Il saggio, dopo aver indagato la struttura e la funzione delle diverse ipotesi di diffida ad adempiere, si interroga sulla possibilità di rinvenire nel sistema una fattispecie implicita di risoluzione che, per l'ipotesi di ritardo di non scarsa importanza, consenta alla parte fedele di sciogliersi immediatamente dal contratto.
The essay investigates the structure and function of the various forms of the default notice, with the aim to examine the possibility to identify, under Italian law, an implicit case of termination of the contract that, in the event of substantial delay, entitles the faithful party to withdraw immediately from the contract.
1. Introduzione - 2. La diffida ad adempiere: pluralità degli statuti risolutori - 3. Profili comuni, tratti differenziali e (presunti) elementi tipizzanti: la menzione dell’effetto risolutivo - 4. La persistenza dell’interesse della parte fedele all’adempimento quale presupposto della diffida ad adempiere: congruità del termine e valutazione implicita di non scarsa importanza dell’inadempimento - 5. Inutilità dell’adempimento tardivo e scioglimento immediato del contratto: intorno alla definitività e alla non scarsa importanza dell’inadempimento - 6. Conclusione - NOTE
Queste pagine, intendono raccogliere alcune minime riflessioni attorno allo statuto della diffida ad adempiere, al fine di indagare, sollecitate dal confronto con l’esperienza riformatrice francese [1], la possibilità di rinvenire nel nostro sistema una fattispecie implicita di risoluzione che, per l’ipotesi di ritardo nell’inadempimento, consenta alla parte adempiente di sciogliersi immediatamente dal vincolo contrattuale. Un potere unilaterale di scioglimento dal contratto da far valere in via di azione [2], specularmente a quanto la giurisprudenza già consente di svolgere in via di eccezione, accordando rilievo al rifiuto dell’offerta tardiva dell’adempimento ed esonerando la parte adempiente, che non abbia interesse a coltivare una domanda restitutoria, dall’onere di domandare la risoluzione in via riconvenzionale [3]; un potere unilaterale di scioglimento dal contratto da riconoscere oltre i confini dei contratti di durata [4] nei quali l’essenzialità temporale della prestazione inadempiuta rende evidente l’irrecuperabilità dell’inadempimento (parziale) [5] e di quelli segnati dagli artt. 1463 [6] e 1385 cod. civ., ove la risoluzione assume, quanto alla forma di esercizio, le sembianze del recesso.
Da questo punto di vista, l’art. 1226 code civ. offre una significativa testimonianza dell’evoluzione del sistema dei rimedi contro l’inadempimento verso la stragiudizialità; vi si trovano contemplate due alternative: la prima conduce alla risoluzione mediante un procedimento bifasico. Il creditore che voglia, «à ses risques et périls», risolvere il contratto deve dapprima costituire in mora il debitore, avvertendolo della conseguenza del persistere dell’inadempimento e, successivamente, comunicargli la risoluzione del contratto, menzionando espressamente i motivi che la giustificano. La seconda fattispecie non è compiutamente regolata ma si ricava per riduzione degli elementi della prima: in caso di urgenza, infatti, il creditore può sciogliersi unilateralmente e immediatamente dal contratto.
Per apprezzare appieno l’esistenza di un’analoga fattispecie nel nostro ordinamento e rendere così proficuo il confronto con l’esperienza francese, ci sembra opportuno non arrestare l’analisi alla sola disciplina dell’art. 1454 cod. civ. ma estenderla anche ad altre fattispecie contenute nella disciplina dei singoli tipi negoziali.
Si segnalano, da questa prospettiva, una pluralità di statuti risolutori, non omogenei quanto alla disciplina e alla funzione. La vendita di beni mobili annovera, a esempio, l’art. 1517 cod. civ. il quale accorda al venditore e al compratore, che abbiano preventivamente offerto la consegna del bene o il pagamento del prezzo: (a) la facoltà di risolvere il contratto entro otto giorni dalla scadenza del termine fissato per l’adempimento delle obbligazioni di consegna e di pagamento del prezzo, qualora il venditore o il compratore, prima della scadenza del termine stabilito, abbiano offerto preventivamente l’adempimento dell’obbligazione e l’altra parte non abbia adempiuto alla scadenza; (b) e, al solo venditore, la facoltà di risolvere il contratto entro otto giorni dalla scadenza del termine fissato per l’adempimento della consegna, nell’ipotesi in cui il termine per il pagamento del corrispettivo non sia ancora scaduto e il compratore non si presenti per ritirare il bene preventivamente offerto, ovvero lo rifiuti.
La fisionomia del rimedio in commento sollecita un accostamento ora con l’istituto della diffida ad adempiere (preventiva, giacché l’inadempimento, in entrambi i casi, non è ancora attuale al momento in cui la diffida interviene) alla quale fa seguito, nell’ipotesi prevista dal secondo comma, un potere di risoluzione che è anch’esso anticipato (giacché reagisce ad un pericolo di inadempimento, presunto dalla mancata consegna [7]); ora, limitatamente alla fattispecie recata dal primo comma, un confronto con il termine essenziale, unilateralmente determinato dalla parte nel corso del rapporto; con la peculiarità, in entrambi i casi, di uno scioglimento non automatico del contratto, ma condizionato all’esercizio di un potere unilaterale e stragiudiziale [8].
L’accostamento con la diffida ad adempiere riesce persuasivo, almeno con riferimento alla fattispecie recata dal primo comma dell’art. 1517 cod. civ.: l’offerta di adempimento ha, infatti, la funzione di dialettizzare, in via preventiva, l’essenzialità del termine, mediante un comportamento capace di manifestare, in modo univoco, l’interesse del venditore ad un adempimento temporalmente esatto [9] e da questo punto di vista, perciò, essa svolge la medesima funzione che l’art. 1454 cod. civ. riserva all’intimazione ad adempiere successiva all’inadempimento. L’accostamento del rimedio previsto dal primo comma dell’art. 1517 cod. civ. all’istituto della diffida ad adempiere disciplinato dall’art. 1454 cod. civ. trova, d’altronde, conferma anche sul piano storico: la dottrina [10] è infatti concorde nell’individuare le origini della diffida ad adempiere nella fattispecie di risoluzione di diritto disciplinata dal primo comma dell’art. 67 cod. comm., poi confluito dapprima nell’art. 307, comma 2 del progetto D’Amelio del codice di commercio del 1925, quindi, negli artt. 253 e 254 del progetto preliminare del Libro delle Obbligazioni.
Meno scontato è, invece, l’apparentamento con la diffida ad adempiere della fattispecie prevista al secondo comma: si potrebbe infatti ragionevolmente negare che l’offerta preventiva abbia, in questo caso, la funzione di oggettivare l’interesse del venditore ad un adempimento tempestivo, considerato che la risoluzione si collega alla mancata cooperazione del debitore e non già all’inadempimento all’obbligo di pagamento del prezzo. Si potrebbe allora reputare che la norma accordi al venditore un potere di scioglimento immediato del contratto per l’ipotesi di mancato adempimento all’obbligo di prendere in consegna il bene; l’offerta preventiva, in questa prospettiva, avrebbe la più limitata funzione di informare il compratore, qualora il bene si trovi in un luogo diverso dal domicilio di quest’ultimo, che il bene è pronto per essere ritirato e diviene dunque irrilevante qualora l’obbligazione di consegna debba essere adempiuta presso il domicilio del compratore. Si potrebbe, tuttavia, ragionare anche diversamente e riconoscere che l’offerta ha qui la funzione di dialettizzare (ovvero di oggettivare) l’interesse alla tempestività dell’adempimento, non già all’obbligo di pagamento del corrispettivo, bensì a quello di prendere in consegna il bene, considerate le esigenze del venditore di liberare tempestivamente il proprio magazzino e di non sostenere ulteriormente i costi di custodia del bene [11]. Si potrebbe, infine, riconoscere all’offerta del venditore la funzione di oggettivare quel pericolo d’inadempimento (sul tempestivo adempimento all’obbligo di pagamento del corrispettivo) che, nei contratti di durata, a esecuzione prolungata o a esecuzione differita, consente di risolvere anticipatamente il contratto.
Apprezzata in questi termini, la norma avrebbe una funzione non dissimile da quella svolta dall’art. 1662 cod. civ., il quale consente al committente – sebbene non sia ancora scaduto il termine di consegna dell’opera – di fissare un termine all’appaltatore entro il quale correggere i difetti nell’esecuzione, spirato inutilmente il quale, il contratto si intenderà automaticamente risolto. La dottrina maggioritaria, che discorre di un rimedio contro un pericolo attuale di un inadempimento futuro [12] apparentabile alla diffida ad adempiere, ha trovato il dissenso di altra opinione, incline ad inquadrare la risoluzione come rimedio contro l’inadempimento attuale di un obbligo preparatorio capace di istituire un giudizio prognostico sull’incapacità dell’appaltatore di adempiere all’obbligazione di consegna [13]; un rimedio che sarebbe irriducibile allo schema della diffida ad adempiere. Ci sembra, però, che anche aderendo a quest’ultima ricostruzione, la quale ha posto meritoriamente in risalto l’autonomia degli obblighi preparatori e/o strumentali anche sul piano della loro distinta esigibilità [14], non trova ostacolo la riconduzione del rimedio in esame alla diffida ad adempiere, considerato che il mancato adempimento all’obbligo strumentale nel termine assegnato dal committente svolge la funzione di dialettizzare, oggettivandolo, quel pericolo di inadempimento che giustifica il disinteresse del commettente alla prosecuzione del rapporto [15]. La fattispecie dell’art. 1662 cod. civ. si piega ad una valutazione non dissimile da quella propria dei contratti di durata, nei quali il giudizio sulla rilevanza dell’inadempimento ai fini risolutori è sempre declinato in termini di potenzialità lesiva dell’interesse creditorio, apprezzato però nella dimensione dell’intero rapporto contrattuale; la valutazione sulla importanza dell’inadempimento, muovendo dall’inadempimento della singola prestazione, si proietta infatti sulla futura capacità del debitore di adempiere alle successive prestazioni.
Le fattispecie alle quali si è fatto sinora cenno presentano elementi comuni e tratti di disomogeneità sui quali è bene fermare l’attenzione:
a) la stragiudizialità costituisce un sicuro elemento che accomunare le fattispecie sinora esaminate all’art. 1454 cod. civ.; in dottrina trova, d’altronde, frequente riscontro l’affermazione secondo la quale la diffida ad adempiere rappresenta un «mezzo concesso dalla legge al creditore insoddisfatto per ottenere una rapida risoluzione del rapporto» ed evitare quindi le lungaggini processuali[16];
b) la funzione preventiva: si tratta di un elemento che, se pure può dirsi ricorrente in tutte le fattispecie sinora passate in rassegna, inclusa quella generale contemplata all’art. 1454 c.c., varia in funzione del termine di riferimento. In taluni casi, l’intimazione ad adempiere interviene prima che l’inadempimento si sia verificato e consente di stimolare l’inadempimento e al contempo di prevenirlo; altre volte non solo l’intimazione, ma anche la risoluzione intervengono in un momento in cui l’inadempimento (all’obbligo primario assunto) non è ancora attuale; in ogni caso si può dire che la diffida ad adempiere svolga una generale funzione di prevenzione della compromissione dell’interesse creditorio;
c) l’automaticità dell’effetto risolutivo si ritrova nelle fattispecie recate agli artt. 1454 e 1662 cod. civ. ma è estraneo alle ipotesi contemplate dagli artt. 1517 e 2224 c.c.; in questi casi, invero, la risoluzione è l’effetto – successivo all’intimazione ad adempiere – dell’esercizio di un potere unilaterale (oltre che stragiudiziale);
d) l’interesse alla prestazione: in tutte le ipotesi di diffida adempiere il creditore, al momento dell’intimazione, ha ancora interesse – entro un termine stimato dal creditore oltre il quale risulterebbe compromessa (o seriamente pregiudicata) la realizzazione del proprio interesse – a che la prestazione venga eseguita dall’altra parte; il presupposto sui cui si fonda questo strumento di risoluzione è che l’adempimento sia tuttora utile, ma che questa utilità possa venire a mancare entro un certo lasso di tempo, più o meno breve;
d) la tipologia di inadempimento: le diverse ipotesi di diffida ad adempiere non trovano esclusivo fondamento in un’inesattezza temporale dell’esecuzione della prestazione; l’art. 1662 c.c., in particolare, sembrerebbe smentire l’opinione, autorevolmente sostenuta, che restringe l’ambito di applicazione della diffida ad adempiere alle sole ipotesi di inadempimento assoluto o di ritardo. In senso contrario, d’altro canto, si è affermato che l’intimazione contenuta nella diffida può avere ad oggetto l’esatta esecuzione della prestazione senza che sorgano problemi di compatibilità[17]. Tale affermazione merita, tuttavia, di essere meglio precisata: là dove l’intimazione ad adempiere (com’è nella fattispecie dell’art. 1662 c.c.), pur muovendo da un inadempimento attuale, si proietta, per così dire, sul futuro adempimento e, dunque, assolve alla funzione di oggettivare l’interesse allo scioglimento anticipato del contratto, l’ambito di applicazione si estende anche alle ipotesi di inesattezze di tipo qualitativo; là dove, invece, l’intimazione si rivolge al passato, nel senso che resta confinata ad un inadempimento già intervenuto e del quale si domanda l’eliminazione, l’ambito di applicazione resta confinato all’ipotesi di ritardo. Si può dire, dunque, che il tempo assuma un duplice rilievo nell’economia della diffida ad adempiere: per un verso esso è, per così dire, estrinseco rispetto all’interesse alla prestazione e il suo inutile decorso consente di formulare quel giudizio prognostico sul futuro adempimento dal quale dipende possibilità di risolvere anticipatamente il contratto; per altro verso, esso è, invece, intrinseco all’interesse alla prestazione, nella misura in cui il decorso infruttuoso del termine concesso con la diffida rende rilevante (ai fini risolutori) lo specifico interesse del creditore a che l’inadempimento (qualificato sotto il profilo temporale) non si protragga ulteriormente.
Gli è, allora, che, se l’inadempimento è, invece, tale sotto il profilo qualitativo, qualora esso sia di scarsa importanza, il decorso del termine assegnato dal creditore (per rimediare a tale inesattezza) non sarà capace di attribuire al persistere dell’inadempimento alcun effetto sul piano della risoluzione, così come, specularmente, qualora l’inadempimento sia di non scarsa importanza, già di per sé potrà legittimare lo scioglimento del contratto, indipendentemente dalla concessione di un termine ulteriore al debitore. Ciò non esclude, tuttavia, che l’inesatto adempimento possa apprezzarsi, rispetto alla successiva attività necessaria per correggere l’inadempimento, sotto il profilo temporale, nel qual caso a divenire rilevante sarà, però, la tempestività nell’adempimento all’obbligo conformativo. Da questo punto di vista è possibile apprezzare gli artt. 13 e 16 della dir. 771/19 che consentono al compratore di risolvere il contratto qualora il venditore abbia dichiarato, o risulta chiaramente dalle circostanze – a es. si rende irreperibile dal consumatore o indisponibile al ritirare il bene – che non procederà al ripristino della conformità del bene entro un periodo ragionevole, o senza notevoli inconvenienti per il consumatore. Il rimedio risolutorio se, infatti, mediatamente, reagisce pur sempre all’imperfezione dell’effetto traslativo che si manifesta con la consegna di un bene difforme, trova, però, immediato presupposto nel pericolo di inadempimento all’obbligazione succedanea di riparare il bene entro un ragionevole periodo di tempo, il che consente al consumatore – in alternativa alla facoltà concessagli dall’art. 13, comma 4, lett. c) in caso di difformità «talmente grave» – di risolvere anticipatamente il contratto senza attendere gli esiti della successiva attività ripristinatoria del venditore;
e) la menzione dell’effetto risolutivo: mentre l’art. 1454 cod. civ. ricollega espressamente l’effetto risolutorio ad un preventivo avvertimento del debitore, le altre disposizioni passate in rassegna tacciono a riguardo. Di qui l’interrogativo, apparentemente marginale ma denso in realtà di risvolti sistematici, sulla necessità che il debitore sia informato delle conseguenze dell’esito infruttuoso della diffida ad adempiere (cioè a dire la risoluzione)[18].
L’opinione maggioritaria, com’è noto, si esprime in senso favorevole [19]; la comunicazione preventiva al debitore assume, a esempio, un rilievo centrale nell’opinione di quell’autorevole dottrina [20], la quale, nell’ipotesi di ritardo nell’adempimento, affida la valutazione sulla risoluzione a due requisiti alternativi: l’esistenza di un danno rilevante per il creditore, la comunicazione preventiva al debitore dell’effetto risolutivo. L’opinione in discorso muove, infatti, dalla premessa secondo la quale, il giudizio di gravità dell’inadempimento, se inteso come valutazione sull’interesse del creditore, avrebbe senso unicamente se riferito all’ipotesi di inadempimento inesatto; rispetto al ritardo nell’adempimento, al contrario, troverebbe rilievo unicamente l’interesse del debitore a non essere colto di sorpresa di fronte all’esito risolutorio. Tale interesse troverebbe adeguata tutela, nel caso di risoluzione giudiziale, mediante un adattamento del criterio della gravità dell’inadempimento, di modo che un ritardo di lieve entità al momento della domanda di risoluzione, che non abbia leso in misura rilevante l’interesse del creditore, diventerà grave se il debitore dovesse lasciare trascorrere un congruo termine dalla domanda di risoluzione senza offrire l’adempimento [21]. La tesi che assegna all’intimazione la funzione di avvertire il debitore delle conseguenze del persistere dell’inadempimento ha trovato il dissenso di altra dottrina [22]: la tesi in parola, si è detto, avrebbe il difetto di proporre alla base dell’art. 1455 cod. civ. una duplice ratio, a seconda che la norma trovi applicazione al ritardo, ovvero alle altre ipotesi di inadempimento; la definitiva scomparsa delle disposizioni in tema di dilazione e di onere di avviso dal codice del 1942 testimonierebbe il disinteresse del legislatore per il profilo della “sorpresa”; con la previsione della diffida ad adempiere non si sarebbe affatto inteso tutelare l’interesse della parte inadempiente ad evitare la risoluzione di sorpresa, bensì dotare la parte fedele di un rapido strumento privato di risoluzione.
Se si assume – come meglio si dirà in seguito – che la diffida ad adempiere ha la funzione di dialettizzare l’interesse della parte fedele a sciogliersi dal contratto in difetto di un tempestivo adempimento, dunque di oggettivare il requisito della gravità dell’inadempimento (il quale assolve alla funzione di evitare non già l’effetto risolutorio a “sorpresa” ma che una parte possa approfittare dell’inadempimento dell’altra parte per rimeditare la convenienza dell’affare); ebbene, se ci si colloca in tale prospettiva, si dovrà reputare che la minaccia preventiva dell’effetto risolutivo non assume rilievo alcuno (tantomeno quello di elemento costitutivo della risoluzione). Del resto, la circostanza che l’intimazione di cui all’art. 1454 c.c., consenta, nei fatti, al debitore di essere preventivamente informato del possibile scioglimento del contratto è soltanto una conseguenza dalla scissione tra l’esercizio del potere di risoluzione, contestuale all’intimazione, e rispetto al quale soltanto si pone un problema informativo, e la produzione dell’effetto risolutorio (sospensivamente condizionato all’esito infruttuoso dell’intimazione) di modo che, là dove – come nel caso dell’art. 1517 cod. civ. – la risoluzione discende dall’esercizio di un potere stragiudiziale successivo all’intimazione ad adempiere, l’avviso preventivo non ha alcuna ragion d’essere. Va, semmai, osservato come proprio l’automaticità dell’effetto risolutorio conseguente all’esito infruttuoso dell’intimazione ad adempiere finisca per assegnare a quest’ultima anche una funzione lato sensu compulsoria [23] e che tale funzione si attenua sino a scomparire là dove la risoluzione non è automatica ma è l’effetto dell’esercizio di un potere unilaterale successivo alla intimazione ad adempiere. Così è nella disciplina francese, la quale, da questo punto di vista, si mostra assai più incline ad assicurare una trasparenza di protezione giacché l’art. 1226 code civ., non soltanto prevede che l’atto unilaterale di risoluzione faccia espressa menzione delle ragioni a fondamento della risoluzione, ma che la messa in mora preventiva – necessaria salvo l’ipotesi di urgenza – «mentionne expressément qu’à défaut pour le débiteur de satisfaire à son obligation, le créancier sera en droit de résoudre le contrat».
L’opinione maggioritaria non è, tuttavia, incontrastata [25]: un’autorevole dottrina reputa, a esempio, che la funzione della diffida ad adempiere si risolva nell’offrire ai contraenti un rimedio attraverso il quale fuoriuscire dall’incertezza di una situazione in cui non si sa ancora se il contratto avrà esecuzione o rimarrà definitivamente ineseguito [26]. La centralità che nell’opinione in commento riveste la funzione di superamento dell’incertezza rende irrilevante il giudizio sulla gravità dell’inadempimento, nel senso che si prescinde da esso, e la diffida ad adempiere diviene strumento necessario anche al creditore che abbia definitivamente perso l’interesse a ricevere la prestazione.
Secondo una diversa opinione [27], l’irrilevanza del giudizio di gravità dell’inadempimento discenderebbe dalla funzione complessa che è destinata ad assolvere la diffida ad adempiere nella sequenza procedimentale che conduce alla risoluzione del contratto: una funzione coercitiva, che si risolve nell’intimare al debitore di adempiere la prestazione, e una funzione preventiva (dell’inadempimento definitivo), che consente al creditore di sciogliersi dal vincolo e di concludere un contratto sostitutivo prima che abbia perduto interesse alla prestazione. La funzione di prevenzione dell’inadempimento definitivo, propria della diffida ad adempiere, suggerisce alla dottrina in commento di escludere che l’inadempimento debba essere importante, sia al momento dell’intimazione ad adempiere, sia al momento dello scadere del termine intimato. All’opinione appena richiamata, ampiamente condivisibile nell’impostazione di fondo, potrebbe obiettarsi che l’esigenza di consentire alla parte fedele di sciogliersi dal contratto, così da stipulare tempestivamente un contratto sostitutivo – nell’ottica di prevenire l’inadempimento definitivo – è assicurata ancor più che dalla diffida ad adempiere – che, comunque presuppone il persistere, seppure entro un certo termine, dell’interesse all’adempimento e che, dunque, assolve, in pari tempo, una funzione coercitivo-preventiva – dalla possibilità per il contraente fedele di sciogliersi unilateralmente e in via stragiudiziale dal contratto, e che tale facoltà è subordinata proprio al ricorrere di un inadempimento di non scarsa importanza. In secondo luogo, che l’affermata irrilevanza di una valutazione ex art. 1455 cod. civ. sembra dettata dall’implicito convincimento che l’inadempimento sia importante soltanto quando abbia pregiudicato del tutto l’interesse del creditore, e non anche, come suggerisce la lettera dell’art. 1455 cod. civ., allorquando il ritardo pregiudichi in maniera rilevante, senza ancora comprometterlo del tutto, la realizzazione dell’interesse dedotto in contratto.
Alla parte fedele si offrono due alternative: risolvere immediatamente il contratto, qualora il ritardo – e ciò, indipendentemente dalla sua consistenza temporale – sia tale da compromettere la realizzazione dell’interesse creditorio; intimare alla parte inadempiente di adempiere entro un congruo termine, pena la risoluzione del contratto, qualora il ritardo non pregiudichi ancora la realizzazione dell’interesse dedotto in contratto e il creditore abbia ancora interesse a ricevere la prestazione dal debitore. La prima alternativa, che reputiamo implicita nel sistema, asseconda, per un verso, l’interesse del creditore a stipulare tempestivamente un contratto sostitutivo e, per altro verso l’interesse dell’inadempiente ad essere risarcito qualora il giudice dovesse accertare la scarsa importanza dell’inadempimento. La seconda consente, invece, alla parte fedele, che abbia ancora interesse all’esecuzione della prestazione, di insistere per l’adempimento avvertendo il debitore che la persistenza dell’inadempimento oltre un certo termine rischia di pregiudicare, senza necessariamente comprometterlo del tutto, l’interesse alla prestazione. In entrambi i casi, tuttavia, lo scioglimento del contratto presuppone il ricorrere di un inadempimento di non scarsa importanza: se nella prima ipotesi, la rilevanza dell’inadempimento ai fini risolutori è rimessa all’accertamento (sia pure ex post, e dunque eventuale) del giudice, nel secondo caso esso può dirsi implicito nell’inutile spirare del termine concesso dal creditore; che, dunque, si apprezza non soltanto con riguardo alla capacità del debitore di adempiere alla prestazione in ritardo, ma anche in relazione all’esonero dell’accertamento giudiziale dell’esistenza della gravità dell’inadempimento: l’attitudine del ritardo dell’interesse creditorio è espressamente dialettizzata, ai fini risolutori, dalla concessione di un congruo termine.
L’instaurarsi di una dialettica tra la risoluzione per atto unilaterale e la risoluzione mediante diffida trova conforto nella disciplina dei due principali contratti tipici: al committente è consentito di esperire, in alternativa al rimedio dell’art. 1662 c.c., il recesso di cui all’art. 1671 c.c., il quale, proprio perché ad nutum, è capace di comprendere anche la sfiducia nei confronti dell’appaltatore, collegata all’inadempimento di quest’ultimo [28]. Con la conseguenza che il committente, convenuto per l’adempimento della propria prestazione o per il risarcimento del danno potrà dedurre, opponendola in via di eccezione, la non scarsa importanza dell’inadempimento dell’appaltatore quale causa del recesso. La dialettica che, nella fase esecutiva, si instaura tra una risoluzione per atto unilaterale e una risoluzione mediante diffida ad adempiere, si apprezza anche nel momento successivo alla scadenza del termine convenuto per l’adempimento; in caso di ritardo nell’esecuzione della prestazione, ovvero di ritardo nella consegna dell’opera ultimata, ma non ancora accettata, così come in presenza di vizi e difformità, il committente potrà ricorrere alla diffida ad adempiere – nella prima ipotesi anche nella forma dell’art. 1662 cod. civ. – ovvero potrà sciogliersi immediatamente dal vincolo, dando prova della gravità dell’inadempimento [29].
Anche la disciplina del contratto di vendita reca, agli artt. 1515-1516 c.c., un rimedio (la compravendita in danno) che, se si esclude l’apparentamento con l’area della tutela in natura (dei rimedi lato sensu satisfattivi del diritto di credito della parte adempiente) [30], può essere ricondotto all’area della risoluzione (stragiudiziale) del rapporto, nel quadro di una forma complessa di autotutela privata contro l’inadempimento [31]. Una risoluzione che, però, può essere vista sia come il presupposto (implicito) [32] del procedimento che si completa con la compravendita di rimpiazzo, sia come l’esito (seppur contestuale alla vendita di rimpiazzo) di tale procedimento; di qui l’ulteriore problema di stabilire se l’eventuale avviso del venditore abbia la funzione, oltre che di consentire al compratore di valutare, nel caso di beni non aventi valore di mercato, la correttezza delle operazioni di vendita, di rendere edotto quest’ultimo della risoluzione già avvenuta ovvero di consentirgli di adempiere tardivamente, evitando lo scioglimento del contratto. Di là dalla qualificazione giuridica del rimedio, nel quale più realisticamente convivono i tratti propri dell’esecuzione e della risoluzione, merita di rimarcare come la giurisprudenza e la dottrina accordino al venditore la possibilità, in alternativa alla vendita in danno, di ricorrere alla c.d. rivendita libera, ammettendo dunque la facoltà del venditore di risolvere unilateralmente e stragiudizialmente il contratto, a condizione che l’inadempimento sia di non scarsa importanza [33].
Le considerazioni che precedono sollecitano un più generale interrogativo: nell’ipotesi in cui il creditore non abbia interesse a ricevere la prestazione in ritardo, egli può sciogliersi immediatamente dal contratto (giudizialmente o stragiudizialmente), o, viceversa, è necessario che costituisca preventivamente in mora il debitore?
Si potrebbe, anzitutto, pensare di fondare una distinzione sulla natura della prestazione: se la prestazione è di dare, nella specie dell’obbligo di consegna, si darebbe la possibilità di una risoluzione immediata; là dove, invece, la prestazione è di fare, il ritardo non sarebbe di per sé grave, dovendo il debitore costituire necessariamente in mora il debitore. La distinzione poggerebbe su un fondamento incerto: nell’appalto, a esempio, il ritardo nella consegna non consente all’appaltatore di liberarsi dal contratto con la stessa facilità con la quale il compratore può risolvere il contratto, sicché parrebbe più persuasivo fondare la distinzione sull’esistenza o meno di costi rilevanti per il debitore nell’esecuzione della prestazione. Uno spunto in tal senso parrebbe provenire dall’art. 61 cod. cons. [34], giacché si potrebbe reputare che l’obbligo, (previsto dal comma 3) in capo al compratore che voglia sciogliersi dal contratto, di concedere al venditore un termine supplementare per adempiere, sussista – come suggerisce il considerando n. 52 della dir. 2011/83 – soltanto nell’ipotesi in cui il professionista abbia confezionato o acquistato appositamente per il consumatore i beni venduti, sostenendo perciò costi rilevanti; con la conseguenza, allora, di ammettere il consumatore a risolvere immediatamente il contratto, anche oltre le ipotesi contemplate dal comma 4. Le caratteristiche del contratto d’appalto e la specificità della qualità di consumatore, che parrebbero limitare l’interesse del creditore ad uno scioglimento immediato in caso di semplice ritardo, lasciano spazio una disciplina del contratto di vendita assai più elastica, perlomeno a livello codicistico. I testi normativi internazionali, nei quali la risoluzione figura come potere stragiudiziale unilaterale, anche in reazione ad un inesatto adempimento, contengono, infatti, norme meno univoche: se l’art. 64 CISG distingue tra un inadempimento essenziale, che legittima il venditore a risolvere immediatamente il contratto, e un inadempimento tardivo, che consente al venditore di risolvere il contratto dopo aver concesso al debitore un termine di tolleranza; l’art. 135 CESL, nel discorrere di un ritardo di per sé non grave, che consente alla parte fedele di sciogliersi dal contratto dopo che il termine di tolleranza sia spirato inutilmente, parrebbe, per contro, consentire la risoluzione in presenza di un mero ritardo.
Le disposizioni appena richiamate potrebbero, allora, essere intese sia nel senso di considerare la diffida ad adempiere solo uno strumento a disposizione della parte fedele qualora essa abbia ancora interesse al ricevimento della prestazione, con l’alternativa, dunque, di una risoluzione immediata (e stragiudiziale), qualora il contraente fedele non abbia più interesse a riceverla, sia nel senso di escludere che il semplice ritardo possa condurre di per sé alla risoluzione del contratto, dovendo la parte fedele dialettizzare la perdita di interesse mediante l’esperimento di una diffida ad adempiere.
Il ragionamento potrebbe svolgersi in questi termini: la mancanza di un termine essenziale, di una clausola risolutiva espressa (che fissi le modalità temporali dell’inadempimento), di una preventiva diffida ad adempiere (anteriore alla scadenza del termine) sarebbero indici impliciti della non definitività dell’inadempimento e, dunque, dell’impossibilità di risolvere il contratto. Dalla disciplina della diffida ad adempiere sarebbe allora dato di ricavare, seguendo questo ragionamento, un principio generale, che impone al debitore di tollerare l’altrui ritardo: rispetto alla dinamica giudiziale tale principio andrebbe tradotto, ora nell’onere di una preventiva costituzione in mora del debitore, ora nell’obbligo di tollerare l’adempimento tardivo, in ragione della parificazione tra la domanda di risoluzione e la diffida ad adempiere [35]; ora, infine, in una valutazione dinamica della importanza dell’inadempimento che, superando la preclusione dettata dall’art. 1453, comma 3, cod. civ., tenga conto anche della condotta successiva delle parti [36].
La diffida ad adempiere, assecondando questo modo di ragionare, lungi dal tutelare l’interesse del creditore all’adempimento tardivo, si limiterebbe ad offrire un rimedio più rapido alla parte fedele che intenda sciogliersi dal contratto e non abbia interesse a domandare la restituzione o il risarcimento del danno. In tal modo, risulterebbe valorizzata la funzione più strettamente di autotutela assolta dalla risoluzione stragiudiziale, a discapito della funzione di compulsione all’adempimento, che è dato di scorgere, sia pur indirettamente, ponendo l’accento sulla intimazione ad adempiere (che muove dal persistente interesse del creditore all’adempimento) e sull’automaticità dell’effetto risolutivo che consegue alla mancata soddisfazione di quest’ultimo.
A tale modo di ragionare – che avrebbe il difetto di generalizzare una soluzione che potrebbe rivelarsi in talune ipotesi irragionevole – si potrebbe contestare la scelta di declinare il giudizio sulla definitività dell’inadempimento allo stesso modo, sia che sia diretto a governare il rapporto tra domanda di adempimento e domanda di risoluzione, sia che sia, invece, volto a regolare il passaggio dalla domanda di adempimento a quella di risarcimento. La definitività dell’inadempimento – cioè a dire la possibilità per la parte fedele di rifiutare l’adempimento tardivo [37] – si atteggia diversamente a seconda che il rifiuto dell’adempimento sia prodromico alla domanda di risarcimento del danno o a quella di risoluzione. Nel secondo caso, il rifiuto soddisfa l’interesse del contraente a liberarsi dal vincolo [38] per stipulare tempestivamente un contratto sostitutivo; nel primo caso asseconda l’interesse a mutare unilateralmente l’oggetto dell’obbligazione e a dare completamento allo scambio nella forma per equivalente [39]. L’offuscamento di tale distinzione riflette il modo abituale di intendere la risoluzione, quale rimedio necessariamente complementare al risarcimento del danno [40] ma che, nondimeno, appare discutibile, considerato che la risoluzione non soddisfa (garantisce effettività a) l’interesse del creditore all’attuazione dello scambio (si tratta, come messo in luce da autorevole dottrina di un potere dispositivo-novativo [41]) ma quello, del tutto contrario, allo scioglimento dal vincolo [42]. L’inadempimento definitivo si connota diversamente nei due casi; nel primo caso esso coincide con un inadempimento protrattosi oltre un certo margine di tolleranza il quale, più propriamente, discende dal principio della priorità dell’adempimento in natura; nel secondo caso, la definitività dell’inadempimento coincide, viceversa, con la non scarsa importanza dell’inadempimento, di cui ne coglie il profilo soggettivo della rilevanza dell’interesse del creditore. Occorre, in secondo luogo, evitare di scambiare quello che – nella dialettica tra adempimento e risarcimento del danno – è un principio connaturato alla struttura del rapporto obbligatorio, a quello che – nel rapporto tra adempimento e risoluzione – è una scelta, storicamente determinata, di politica del diritto volta a consentire, al debitore di somma di denaro un certo margine di tolleranza nell’adempimento [43].
La concreta dinamica negoziale suggerisce che il creditore perseguirà la strada dell’adempimento in natura-risarcimento del danno, là dove, ad un iniziale inadempimento che non pregiudica la soddisfazione dell’interesse creditorio, faccia seguito o la definitiva impossibilità di eseguire la prestazione o la definitiva compromissione dell’interesse creditorio e non sussista la possibilità di stipulare tempestivamente un contratto sostitutivo. Qualora tale possibilità sussista, la parte fedele non solo avrà interesse a liberarsi dal contratto per stipulare tempestivamente un contratto sostitutivo, così da soddisfare altrove il proprio interesse, ma sarà obbligata ad agire in tal senso, giacché, in difetto, non potrà domandare il risarcimento sostitutivo di un danno che sarebbe stato evitabile.
Il problema si risolve, dunque, nello stabilire quando l’inadempimento (temporalmente inesatto) sia di non scarsa importanza; quando cioè l’interesse (non dialettizzato) del creditore a liberarsi immediatamente dal contratto per soddisfare, mediante la stipula di un contratto sostitutivo, il proprio interesse, assuma rilevanza ai fini risolutori. Nel discorso generale, trova frequente riscontro l’opinione secondo la quale il giudizio sull’importanza dell’inadempimento assumerebbe a parametro tanto il peso che la prestazione ha nell’economia del contratto, quanto l’interesse del creditore all’esatto adempimento (in particolare nei termini convenuti). Si precisa, poi [44], come non si tratti di due valutazioni distinte, ma di un unico giudizio che, muovendo dagli interessi che lo specifico contratto intende realizzare, si incentra sulla misura della compromissione dell’interesse dedotto in contratto, il quale dunque diviene un posterius variabile in funzione del primo elemento. Si apprezza così l’infondatezza di quelle ricostruzioni inclini ad attribuire rilevanza al ritardo unicamente valutandone la sua consistenza temporale, così a esempio giudicando grave un ritardo protratto oltre un certo termine, senza assegnare prioritario rilievo all’interesse creditorio, quale parametro al quale riferire la consistenza in sé dell’inadempimento. Deve trattarsi naturalmente di un interesse obiettivato nel contratto: così ragiona la dottrina, la quale, muovendo dall’esigenza di sottrarre all’arbitrio del creditore lo scioglimento del vincolo contrattuale ha impostato il dibattito sulla rilevanza dell’interesse creditorio intorno all’alternativa, più apparente che reale, tra una valutazione soggettiva e una oggettiva dell’interesse creditorio, e ha finito poi per trovare una inconsapevole sintesi nella rilevanza assegnata alla rilevanza della prestazione nell’economia complessiva del contratto. In questa prospettiva, da alcuni autori si è condivisibilmente fatto riferimento alla regola della prevedibilità, che, seppur rilevante ai soli fini del risarcimento del danno, istituisce, al pari della importanza dell’inadempimento, un collegamento tra l’oggetto della prestazione e l’interesse del creditore. Invero, se l’art. 1225 cod. civ. guarda a questa collegamento in positivo, assecondando, sotto il profilo risarcitorio, la specifica destinazione del bene nell’economia individuale del creditore, l’art. 1455 cod. civ., svolge il medesimo collegamento in negativo, dal momento che ai fini dello scioglimento del vincolo si richiede la rottura di quel nesso prestazione-interesse per come essa emerge dallo specifico contenuto negoziale: cioè a dire, per modo d’esempio, dell’interesse del venditore a rivendere il bene acquistato solo che dal contratto risulti il carattere professionale del compratore [45]. Il nesso tra ritardo e interesse ad un adempimento tempestivo consente di approdare alla risoluzione anche se l’inadempimento non ha ancora impedito la realizzazione delle finalità perseguite con il contratto: non si tratta di affermare, come pure è stato sostenuto in dottrina, che quand’anche l’interesse sia di scarsa importanza non per ciò andrebbe esclusa la risoluzione atteso che l’art. 1455 assumerebbe a parametro non già l’interesse all’attuazione dello scambio, bensì quello allo scioglimento [46], quanto di riconoscere che il ritardo potrà essere considerato rilevante ai fini risolutori indipendentemente da un giudizio sulla definitiva compromissione dell’interesse creditorio [47]. Si rivela, pertanto, affrettata, sia una soluzione che dovesse riconoscere, di per sé, capacità risolutoria al semplice ritardo di un giorno, sia quella che dovesse negare, in modo altrettanto assoluto, tale capacità, senza avere riguardo al concreto interesse che il creditore mirava a soddisfare mediante il contratto [48].
Una conferma della rilevanza dell’interesse, oggettivato nel contratto, ad un tempestivo adempimento si ricava, d’altronde, proprio dalla giurisprudenza in tema di termine essenziale, incline ad assegnare rilevanza, oltre che alla espressa qualificazione del termine in tal senso, alla natura e all’oggetto della prestazione, nella sua destinazione funzionale [49]. Si può dire, anzi, che proprio la propensione della giurisprudenza ad attribuire rilevanza alla prestazione, apprezzata nel contesto del concreto assetto di interessi che le parti intendevano realizzare, ha finito per attrarre alla disciplina del termine essenziale quelle ipotesi di ritardo che, forse più correttamente, avrebbero potuto essere ricondotte alla fattispecie – implicita, per quanto si è detto – di risoluzione unilaterale. L’accentuazione dell’elemento oggettivo nella valutazione sull’essenzialità del termine manifesta una certa diffidenza verso la risoluzione stragiudiziale e si risolve nello spostamento del baricentro della norma – sollecitato anche dal vano tentativo di segnare con nettezza i confini rispetto alla fattispecie della clausola risolutiva espressa – dall’autonomia privata alla valutazione giudiziale, peraltro incentrata su una nozione di gravità dell’inadempimento che coincide con la definitiva compromissione dell’interesse creditorio. Non sarebbe peregrino valutare l’opportunità di considerare, in controtendenza con l’opinione dominante, l’art. 1457 cod. civ. una semplice specificazione dell’art. 1456 cod. civ., e di limitarne il campo di applicazione soltanto a quelle ipotesi in cui le parti, pur senza riconnettere all’inadempimento l’effetto risolutivo, abbiano esplicitamente qualificato come essenziale il termine, mediante l’uso di formule inequivoche [50], così sottraendo l’effetto risolutivo all’accertamento della non scarsa importanza dell’inadempimento; e dunque, di escludere dal campo di applicazione della norma sia le ipotesi in cui l’essenzialità discende dal collegamento esplicito (così, a esempio, la prenotazione di un servizio di trasferimento per l’aeroporto per una determinata ora, accompagnata dall’indicazione – peraltro frequentemente richiesta – dell’orario di partenza del volo) o anche implicito, ma ricavabile, secondo una valutazione social-tipica, dalla natura della prestazione (il classico esempio del vestito di nozze da consegnare entro un dato giorno) con un evento determinato collocato nel tempo; sia quelle ipotesi in cui l’essenzialità del termine si ricava dalla specifica destinazione della prestazione (l’esempio classico della rivendita del bene). Che si accolga o meno questa ricostruzione, resta il fatto che – di là dai rapporti di durata, nei quali il termine, facendo riferimento al singolo rapporto inadempiuto, e non all’intero contratto, difficilmente potrebbe condurre alla risoluzione dell’intero rapporto – resterebbero attratte alla fattispecie del recesso stragiudiziale tutte quelle ipotesi nelle quali «sulla destinazione e uso della prestazione influiscono circostanze sopravvenute» [51], sconosciute al momento della conclusione del contratto, ma prevedibili: è il caso della rivendita del bene, solo potenziale al momento della conclusione del contratto e che si è concretizzata nell’immediatezza dell’inadempimento.
Le riflessioni maturate sinora consentono di raccogliere alcune brevi conclusioni: la disciplina dei contratti tipici di vendita e di appalto lascia scorgere una dialettica tra una risoluzione che consegue all’intimazione ad adempiere ed una risoluzione immediata per atto unilaterale; l’intimazione ad adempiere sorregge l’interesse del creditore all’adempimento tardivo e là dove non è prospetticamente rivolta a palesare il pericolo del futuro inadempimento, svolge la funzione di oggettivare il disinteresse del creditore alla esecuzione della prestazione oltre un certo termine, offrendo prova implicita della gravità dell’inadempimento; qualora il ritardo nell’adempimento pregiudichi (ancorché senza comprometterlo) l’interesse alla prestazione del creditore, quest’ultimo ha interesse a sciogliersi immediatamente dal vincolo; l’inadempimento, sotto il profilo temporale, è di non scarsa importanza anche là dove circostanze sopravvenute, ma prevedibili al momento della conclusione del contratto, rendano intollerabile un adempimento tardivo. Emerge, dunque, quella fattispecie immediata di risoluzione che può dirsi implicitamente contenuta nell’art. 1454 c.c.: ancorché non dialettizzato, l’interesse del creditore a liberarsi immediatamente dal vincolo diviene meritevole di tutela, ogniqualvolta il semplice ritardo abbia gravemente pregiudicato il suo interesse alla permanenza del vincolo [52]. Si tratta di una conclusione che potrebbe ricevere conforto, oltre che dalla disciplina dei singoli tipi negoziali esaminati, proprio dall’art. 1226 code civ.: vero è che la norma solleva il creditore dall’onere della costituzione in mora soltanto in caso di urgenza, là dove, in presenza di un inadempimento sufficientemente grave lo scioglimento del vincolo è subordinato alla concessione di un termine di dilazione; tuttavia, la dottrina – in linea con la giurisprudenza precedente e successiva [53] – è concorde nel parificare all’urgenza anche l’inutilità di una prestazione tardiva; inutilità – ci sembra – che altro non rappresenta che la declinazione soggettiva dell’interesse della parte fedele alla prestazione [54]. Ci sembra, piuttosto, da rimarcare, tornando alla fattispecie esplicita, come la variabile di una messa in mora che non determini automaticamente la risoluzione del contratto, assecondi sì l’interesse del creditore all’adempimento, ma senza mostrare quella effettiva capacità coercitiva che è propria della diffida ad adempiere tratteggiata dall’art. 1454 cod. civ. La possibilità che il creditore, spirato il termine di tolleranza, insista nell’esigere l’adempimento se, da un lato, rafforza certamente la sua libertà di scelta, invece preclusa dall’automaticità dell’effetto risolutorio, dall’altro lato certamente attenua la capacità compulsoria dell’istituto.
[1] Un’ampia e accurata analisi è offerta da M. Dellacasa, La nuova résolution du contrat pour inexécution, ovvero come aggiornare la tradizione, in Riv. dir. civ., 2017, 1539 s.; S. Pagliantini, La risoluzione per inadempimento tra legge e giudizio (studio sull’inadempimento definitivo), in La risoluzione per inadempimento. Poteri del giudice e poteri delle parti, a cura di C. Consolo, I. Pagni, S. Pagliantini, V. Roppo, M. Maugeri, Padova, 2018, 99 s.
[2] In dottrina giungono a tale esito I. Pagni, Le azioni di impugnativa negoziale. Contributo allo studio della tutela costitutiva, Milano, 1998, 340 s.; M. Dellacasa, Risoluzione per inadempimento e ricorso al processo, in Riv. dir. civ., 2015, 40 s.; S. Pagliantini, Eccezione (sostanziale) di risoluzione e dintorni, in Oss. dir. civ. comm., 2016, 9 s.; M. Paladini, L’atto unilaterale di risoluzione per inadempimento, Torino, 2003, passim.
[3] Per i riferimenti giurisprudenziali cfr. Pagliantini, Eccezione (sostanziale), cit., 18 s.
[4] Per una generalizzazione del recesso per inadempimento nei contratti di durata cfr. F. Padovini, Risoluzione e recesso, in Obbl. contr., 2012, 86 s.
[5] G. Gabrielli, Recesso e risoluzione per inadempimento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1974, 743 s.
[6] Cfr. S. Pagliantini, Commento sub-art. 1463 c.c., in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, a cura di E. Navarretta, A. Orestano, Dei contratti in generale, Torino, 2011, 557 s.
[7] Detto altrimenti: la mancata cooperazione del compratore è «rubricata alla stregua di un indice qualificato della volontà di non provvedere al successivo pagamento»; in questi termini S. Pagliantini, Le obbligazioni del compratore, in Trattato dei contratti, diretto da V. Roppo, I-Vendita e vendite, Milano, 2014,148.
[8] Classici i riferimenti a C. M. Bianca, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, Torino 1993, 947; D. Rubino, La compravendita, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1952, 716.
[9] Rileva Pagliantini, Le obbligazioni del compratore, cit., 145, come l’art. 1517, comma 1, cod. civ. asseconda l’interesse del venditore di «prevenire un adempimento che sia tardivo» ed è espressivo «di una specie di induzione o di sollecito ad adempiere prontamente».
[10] Cfr. A. Smiroldo, Profili della risoluzione per inadempimento, Milano, 1982, 75 s.
[11] Rubino, La compravendita, cit., 735, secondo il quale «presumibilmente, il criterio seguito dalla legge, è che l’interesse del venditore a sbarazzarsi della cosa merita di essere tutelato col più energico strumento della risoluzione solo quando il prezzo non sia ancora stato pagato».
[12] L’espressione è di D. Rubino, G. Iudica, L’appalto, in Commentario del codice civile, diretto da A. Scialoja e G. Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 2007, 304.
[13] A. Venturelli, Risoluzione in corso d’opera dell’appalto e tutela sinallagmatica «anticipata», in Contr. impr., 2015, 461 s. La differenza starebbe nel fatto che, mentre la diffida ad adempiere manifesta il disinteresse del creditore ad un adempimento che intervenga oltre il termine intimato, la minaccia di risoluzione, ex art. 1662 c.c., viceversa, mirerebbe ad evitare l’inadempimento definitivo della prestazione, mediante un’attività conformativa che arricchisce il contenuto del rapporto obbligatorio. Ci sembra, però, che in entrambi i casi – e specie qualora si colleghi l’intimazione ad un inadempimento attuale – l’intimazione manifesti l’interesse del creditore all’attuazione del rapporto fino al limite dell’adempimento entro il termine convenuto, il cui trascorrere testimonia, da un lato, il disinteresse ad un adempimento oltremodo tardivo, dall’altro lato la perdita di fiducia del creditore. Anche l’asserita diversità sotto il profilo del contenuto della condotta debitoria ci pare controvertibile, considerato che anche l’adempimento tardivo può comportare un incremento dell’attività debitoria.
[14] Sia consentito, sul punto, il rinvio ad A. Iuliani, Obblighi strumentali e azione di adempimento, Milano, 2018, 332 s.
[15] Esclude del tutto la rilevanza del giudizio sulla gravità dell’inadempimento Venturelli, Risoluzione in corso d’opera dell’appalto, cit., 491; C. Giannattasio, L’appalto, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1967 166. Reputano, invece, essenziale la valutazione circa la gravità dell’inadempimento, così da evitare che la risoluzione possa prodursi anche in ipotesi di inadempimento marginale o di irregolarità di mero dettaglio, Rubino, Iudica, L’appalto, cit., 307; E. Lucchini Guastalla, Le risoluzioni di diritto per inadempimento dell’appaltatore, Milano, 2002, 156 s.; V. Putuortì, La risoluzione mediante diffida ex artt. 1454 e 1662 c.c., in Le Corti Fiorentine, 2017, 14 s.; M. Dellacasa, Inadempimento prima del termine, eccezioni dilatorie, risoluzione anticipata, in Riv. dir. priv., 2007, 574 s.
[16] In questo senso, a esempio, G. Mosco, La risoluzione del contratto per inadempimento, Napoli, 1950; 148; M. Costanza, Della risoluzione per inadempimento, I, in Commentario del codice civile, diretto da A. Scialoja, G. Branca, diretto da F. Galgano, Bologna-Roma, 1990, 433; M. Tamponi, La risoluzione stragiudiziale, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, vol. XIII, Il contratto in generale, Tomo VIII**, La risoluzione, Torino, 2011, 130.
[17] M. Dellacasa, Le risoluzioni di diritto: la diffida ad adempiere, in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, V. Rimedi-2, a cura di V. Roppo, Milano 2006, 276.
[18] In senso favorevole Bianca, La vendita, cit., 943; in senso contrario Rubino, La compravendita, cit., 720.
[19] G. Iudica, Le asimmetrie dell’art. 1662 cod. civ., in Nuova giur. civ. comm., 2015, 321; Rubino, Iudica, Appalto, cit., 307 (ma v. l’opinione contraria precedentemente espressa da D. Rubino, L’appalto, in Trattato di diritto civile, diretto da F. Vassalli, Torino, 1954, 394); Lucchini-Guastalla, Le risoluzioni di diritto, cit., 162; contra Giannattasio, L’appalto, cit., 167; Venturelli, Risoluzione in corso d’opera dell’appalto, cit., 479.
[20] G. Auletta, Importanza dell’inadempimento e diffida ad adempiere, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1956, 655 s.
[21] Auletta, op. ult. cit., 668 s.
[22] Smiroldo, Profili della risoluzione per inadempimento, cit., 389 s.
[23] Cfr., sul punto, G. F. Basini, Risoluzione del contratto e sanzione dell’inadempiente, Milano, 2001, 187 s.
[24] Cfr., ex multis, Tamponi, La risoluzione stragiudiziale, cit., 135 s.; Costanza, Della risoluzione per inadempimento cit. 434 s.; M.G. Cubeddu, L’importanza dell’inadempimento, Torino, 1995, 297 s.; G. Sicchiero, Diffida ad adempiere, voce, in Dig. disc. priv., Agg. 6, Torino, 2011, 329. In giurisprudenza, tra le tante, si v. Cass. 16 dicembre 2021, n. 40325; Cass. 8 settembre 2015, n. 17784; Cass. 4 settembre 2014, n. 18696.
[25] Si è già detto dell’autorevole opinione di Auletta, Importanza dell’inadempimento, cit., passim, per il quale nella diffida ad adempiere si prescinde dalla gravità dell’inadempimento (meglio, del ritardo), giacché sarebbe già soddisfatta l’esigenza di evitare che il debitore subisca senza preavviso la risoluzione.
[26] È la nota opinione di G. Collura, Importanza dell’inadempimento e teoria del contratto, Milano, 1992, 118 s.
[27] Dellacasa, Le risoluzioni di diritto, cit., 284 s.
[28] Lo evidenzia Paladini, L’atto unilaterale di risoluzione, cit., 140; in giurisprudenza è nota Cass. 30 marzo 1985, n. 2236, in Giust. civ., 1986, 511 s., con nota di M. Lipari, Inadempimento dell’appaltatore, «ordine di sospensione dei lavori» e recesso del committente.
[29] Paladini, L’atto unilaterale di risoluzione, cit., 140.
[30] In questo senso, F. Ferrara jr., L’esecuzione coattiva della compravendita commerciale, Milano, 1937, 90; S. Pugliatti, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935, 204 s.; Rubino, La compravendita, cit., 707, che la definisce come una forma di «esecuzione, sia pure in forma anomala», ancorché (ivi, 733) riconosca come sia più «armonica per la rivendita che per la ricompera la costruzione nel senso di esecuzione coattiva anticipata».
[31] Un atto di autotutela contrattuale che rimpiazza il contratto inadempiuto e liquida l’ammontare del danno per il mancato guadagno e le spese da rimborsare; così Bianca, La vendita, cit., 954.
[32] Di risoluzione implicita discorre M. Giorgianni, In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, in Contr. impr., 1991, 63.
[33] In questo senso, M. Dellacasa, Adempimento e risarcimento nei contratti di scambio, Torino, 2015, 151 s., spec. 152, ove si legge che «la scelta di rivendere il bene sul mercato presuppone la risoluzione del contratto che richiede, a sua volta, un inadempimento grave del compratore».
[34] Cfr., sul punto, S. Pagliantini, La norma incompiuta dell’art. 61 cod. cons.: consegna e recesso in autotutela, in Nuove leggi civ. comm., 2014, 1002 s.
[35] Secondo V. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica, P. Zatti, Milano, 2001, 974 «leggere la domanda di risoluzione come diffida ad adempiere può avere un altro apprezzabile senso pratico: attenua il rigore della preclusione a carico del convenuto, consentendogli di adempiere (e così salvare il contratto) anche dopo la domanda di risoluzione, purché lo faccia entro un termine non più lungo di quello corrispondente a un termine «congruo». Ciò può suonare poco rispettoso dell’art. 14533: ma è coerente con la massima giurisprudenziale secondo cui l’adempimento successivo alla domanda di risoluzione, pur non cancellando l’inadempimento verificatosi, può essere apprezzato dal giudice come fattore che lo riporta sotto la soglia della scarsa importanza».
[36] Il superamento della preclusione dettata dall’art. 1453, comma 3, cod. civ. è tuttavia prevalentemente intesa in senso sfavorevole al debitore, nella misura in cui, in presenza di una sua contestazione, egli è chiamato ad adempiere anche successivamente, con la conseguenza che un inadempimento valutato di non scarsa importanza al momento della proposizione della domanda di risoluzione non può essere considerato di scarsa importanza a seguito del persistere dell’inadempimento. Così U. Carnevali, La risoluzione giudiziale, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, vol. XIII, Il contratto in generale, Tomo VIII**, La risoluzione, cit., 104.
[37] Così A. Luminoso, Della risoluzione per inadempimento, I, in Commentario del codice civile, diretto da A. Scialoja e G. Branca, diretto da F. Galgano, cit., 127.
[38] Diversamente da quanto reputa la giurisprudenza – cfr., a esempio, Cass. Sez. un., 11 aprile 2014, n. 8510, in Contratti, 2014, 755 s., con nota di M. Dellacasa, “Ius variandi” e risarcimento del danno tra disciplina legislativa e regole giurisprudenziali – secondo la quale «L’interesse del contraente deluso che domanda la risoluzione non è soltanto quello di ottenere lo scioglimento del vincolo contrattuale per un difetto funzionale sopravvenuto, di eliminare cioè il regolamento contrattuale in quanto fonte di prestazioni corrispettive e di essere in tal guisa liberato dalla prestazione su di lui gravante».
[39] Cfr. L. Nivarra, Diritto soggettivo, obbligazione, azione, in Teoria e Storia del Diritto Privato, XII, 2019, 75 s., secondo il quale mentre risoluzione e adempimento sono rimedi alternativi ma non omogeni, azione di adempimento e risarcimento, sono invece rimedi omogeni ma non alternativi, là dove l’omogeneità indica la perdurante identità del fine, pur nella contingente variabilità del mezzo, mentre l’alternatività, indica non la mutevolezza del mezzo, ma il mutamento del fine. Contrariamente a quanto diffusamente si reputa, allora, «Il risarcimento sostitutivo si presenta, dunque, incompatibile con la risoluzione del contratto. E non è, quindi, a quest’ultima che può essere affidato il passaggio dall’adempimento in natura al risarcimento del danno commisurato al valore della prestazione»; così F. Piraino, Il risarcimento sostitutivo tra adempimento in natura e risoluzione, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti. Omaggio a Salvatore Mazzamuto a trent’anni dal convegno palermitano, a cura di G. Grisi, Napoli, 2019, 578. Come a dire che la risoluzione non determina la definitività dell’inadempimento nel rapporto tra azione di adempimento e risarcimento sostitutivo.
[40] Così Cass., Sez. un., 11 aprile 2014, n. 8510, cit.: «la tutela risarcitoria, quantunque non legata da un rapporto di consequenzialità logico-giuridica alla domanda di risoluzione, concorre nondimeno ad integrare e a completare le difese del contrente in regola, costituendo un coelemento, un tassello di un sistema complessivo di tutela». In dottrina la tesi risale a G. Auletta, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, rist. inalt., Napoli, 2020, 168, secondo il quale «la risoluzione serve a soddisfare un interesse del creditore, almeno equivalente a quello che doveva essere soddisfatto mediante l’adempimento, e superiore a quello che verrebbe attuato mediante il risarcimento e la esecuzione forzata, cioè mediante le sanzioni comuni disposte per proteggere l’interesse del creditore; la risoluzione vinee così a porsi naturalmente fra gli istituti disposti per attuare, almeno per equivalente, l’interesse difeso mediante la costituzione del rapporto da contratto bilaterale».
[41] È la nota tesi formulata da B. Grasso, Eccezione d’inadempimento e risoluzione del contratto (Profili generali), Napoli, 1973 che individua nella risoluzione un potere dispositivo-novativo.
[42] Tale conclusione potrebbe trovare conferma, per un verso, nell’irrilevanza ai fini dello scioglimento del contratto di un giudizio sull’imputabilità dell’inadempimento – v., sul punto, le considerazioni di Costanza, Della risoluzione per inadempimento, cit., 437, secondo la quale se «correttamente si accoglie la tesi che lo scioglimento del contratto costituisca solo un rimedio ai difetti del sinallagma, la rilevanza dell’imputabilità rimane circoscritta alle conseguenze risarcitorie», nonché di Mosco, La risoluzione del contratto per inadempimento cit., 24; M. Giorgianni, voce Inadempimento (diritto privato), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 886 s. – e, per altro verso, nella determinazione del risarcimento del danno, il quale lungi dall’essere parametrato all’interesse positivo, discende dalla violazione di un obbligo di non causare l’inefficacia sopravvenuta del contratto: un obbligo lato sensu di protezione che si colloca di là dalla sua conclusione. In tal senso, cfr. F. Piraino, Il danno da risoluzione, in Le Corti fiorentine, 2017, 49 s.
[43] Cfr., a riguardo, A. di Majo, voce Termine (diritto privato), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 215.
[44] Così, tra gli altri, L. Sitzia Importanza dell’inadempimento, in Dig. disc. priv., sez. civ., agg. X, Torino, 2016, 305.
[45] Attribuiscono rilevanza all’art. 1225 c.c., in sede di concretizzazione del giudizio di gravità dell’inadempimento, anche M. Dellacasa, Offerta tardiva della prestazione e rifiuto del creditore: vantaggi e inconvenienti di una risoluzione «atipica», in Riv. dir. civ., 2007, 522; A. Belfiore, Risoluzione per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1324; contra Mosco, La risoluzione del contratto per inadempimento, cit., 51, il quale fa impropriamente discendere tale conclusione dalla giusta considerazione circa l’estraneità della colpa tra i presupposti della risoluzione.
[46] A. Klitsche De La Grange, Risoluzione per inadempimento e potestà del giudice, in Riv. dir. civ., 1964, I, 28 s.
[47] Sitzia, Importanza dell’inadempimento, cit., 317 s.; Basini, Risoluzione e sanzione dell’inadempiente, cit., 203; in generale occorre considerare che la «non scarsa importanza dell’inadempimento» testimonia «l’intenzione del legislatore di tenere, in via generale, piuttosto bassa la soglia d’ingresso dell’azione di risoluzione e che, comunque, essa precluda all’interprete una delimitazione di tale soglia in guisa tale che la risoluzione finisca con l’essere una sorta di ultimum subsidium, cioè di “rimedio straordinario”»; così Belfiore, Risoluzione per inadempimento, cit., 1324; C. Granelli, Uno strumento di (dubbia efficacia) di risoluzione stragiudiziale: la diffida ad adempiere, in La risoluzione per inadempimento. Poteri del giudice e poteri delle parti, cit., 215, il quale reputa che «con riferimento alla diffida ad adempiere, l’art. 1455 cod. civ. potrebbe essere interpretato nel senso di ostare alla legittimità di quelle sole intimazioni che, per il fatto di essere effettuate a fronte di inadempienze marginali e non suscettibili di ulteriori aggravamenti (inadempienze, appunto, di «scarsa importanza»), risultano oggettivamente espressione della volontà, di certo contraria a «buona fede», di sciogliersi, evidentemente per ragioni diverse dal suo inadempimento, da un contratto che ha sostanzialmente realizzato l’operazione economica con lo stesso divisata».
[48] Come a dire che «il semplice fatto dell’inadempimento imputabile al debitore va, di per sé, considerato inidoneo a dare ingresso all’azione di risoluzione, nel senso che, ad esempio, scaduto un termine non essenziale il ritardo di un giorno non comunica, di per sé solo, […] l’insorgere di un effetti bisogno del creditore di porre ai rischi poc’anzi accennati» (cioè a dire, a esempio, il rischio «che all’attesa dell’adempimento consegua la disorganizzazione dell’assetto patrimoniale del creditore»); così Belfiore, Risoluzione per inadempimento, cit., 1321.
[49] Cfr., anche per i riferimenti giurisprudenziali, M. Dellacasa, Il termine essenziale, in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, V, Rimedi-2, cit., 326 s.
[50] Spunti interessanti in D. Carusi, Commento sub-art. 1457 c.c., in Commentario del Codice civile, diretto da E. Gabrielli, Dei contratti in generale, a cura di E. Navarretta, A. Orestano, cit., 452-453.
[51] Auletta, La risoluzione per inadempimento, cit., 408, si domanda, denunciando l’incongruità di un sistema che, per il caso di perdita di interesse del creditore, non consentisse lo scioglimento immediato dal contratto: «quando la prestazione non compiuta è divenuta inutile per il creditore, come può questi, senza ledere in pieno il suo interesse, fissare un termine per l’adempimento tardivo?» e, ivi, 419, ove si legge che «se il giudizio sulla gravità dell’inadempimento deve compiersi tenendo presenti tutte le successive circostanze, bene esso potrà non coincidere col giudizio che avrebbero formulato le parti al momento della conclusione, tenendo presenti solo le circostanze allora esistenti».
[52] È l’esito cui giunge Pagliantini, La risoluzione per inadempimento tra legge e giudizio, cit., 1111: «perché non immaginare che il disposto dell’art. 1454 cod. civ. annoveri due forme di stragiudizialità extraconvenzionale, una con termine dilatorio e l’altra no, per il principio che, quando un adempimento correttivo non si dia più, il contraente fedele deve poter procedere de lui-meme e con una notifica in quanto atto suffisante?».
[53] Cfr., ex multis, rispettivamente Cass. civ., 28 octobre 2003, 01-03.662 e Cass. civ., 9 juillet 2019, 18-14.029.
[54] T. Genicon, O. Deshayes, Y.M. Laithier, Réforme du droit des contrats, du régime général et de la preuve des obligations: commentaire article par article, Paris, 2016, 503.