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G. Giappichelli Editore

Nullità del contratto e sopravvivenza di clausole «autosufficienti» (di Maria Samantha Esposito, Ricercatrice di Diritto privato – Politecnico di Torino)


Il contributo esamina la possibile sopravvivenza di alcune pattuizioni accessorie nell’ipotesi di nullità del regolamento contrattuale per il resto. L’analisi si propone, in particolare, di ricostruire la natura giuridica di tali patti e di verificare i presupposti in presenza dei quali essi possono ritenersi idonei a produrre effetti autonomi nonostante l’invalidità del contratto che li contiene.

Nullity of the contract and survival of «self-sufficient» clauses

This article investigates the impact of nullity on contractual agreements as regards the effectiveness of certain non-essential clauses. The analysis aims to define the legal nature of such clauses and to verify the conditions under which they can be considered capable of producing autonomous effects despite the invalidity of the contract to which they belong.

COMMENTO

Sommario:

1. L’oggetto di indagine - 2. Sull’inquadramento giuridico delle clausole autosufficienti: l’autonomia funzionale e il collegamento negoziale - 3. Il legame con il rapporto principale e l’indipendenza delle c.d. clausole contratto - 4. Alcuni esempi di clausole contratto e applicazione della ricostruzione proposta - NOTE


1. L’oggetto di indagine

Nel contesto dei problemi di natura ermeneutica che la fattispecie della nullità solleva vi è quello della possibile «sopravvivenza» di alcune pattuizioni accessorie nell’ipotesi di nullità integrale del contratto: l’interrogativo riguarda, in particolare, l’individuazione dei presupposti in presenza dei quali è consentito il mantenimento in vita di «qualche regola contrattuale di contorno» [1] rispetto al contratto di riferimento; ancor prima, è opportuno indagare la qualificazione giuridica da riconoscere a tali patti.

I dubbi derivano principalmente dal fatto che il nostro ordinamento sancisce la nullità integrale ogniqualvolta l’invalidità colpisca un elemento qualificabile quale principale [2] per la struttura del contratto [3], mentre consente una verifica circa l’essenzialità della previsione nel caso concreto nell’ipotesi in cui l’invalidità riguardi una pattuizione accessoria [4]; così, ove la pattuizione accessoria colpita dal vizio non risulti rilevante per il perseguimento degli interessi avuti di mira dai contraenti, il regolamento contrattuale può continuare a operare per il resto [5].

In questa prospettiva, dunque, una volta accertata l’essenzialità della clausola [6] invalida – siccome principale o essenziale nell’economia dell’accordo – e dichiarata la nullità dell’intero contratto, non sembra esserci spazio per affermare la sopravvivenza di una diversa pattuizione meramente strumentale rispetto al regolamento contrattuale definito dai contraenti [7].

Peraltro, sia in dottrina che in giurisprudenza [8] si ipotizza l’esistenza di alcune pattuizioni accessorie che, sebbene inserite all’interno di un più ampio contratto, sono in grado anche di vivere vita autonoma al di fuori di esso [9].

È il caso, ad esempio, della clausola compromissoria, della clausola penale, del patto di non concorrenza o, ancora, del patto di scelta del foro competente [10]. A tali pattuizioni si è invero riconosciuta la possibilità di continuare a operare nonostante l’invalidità (o la risoluzione) del contratto in cui sono inserite, ogniqualvolta esse trovino in sé la propria ragione, definendo obblighi separati e autonomi, e siano, al contempo, in grado di conservare un’autonoma funzione idonea a sorreggerne indipendentemente la vitalità.

Tratto distintivo dei patti [11] oggetto di indagine è, dunque, la presenza di una duplice e apparentemente contraddittoria caratteristica: da un lato, si tratta di patti che presuppongono un contratto, al quale si accostano con il loro effetto (nota di accessorietà), dall’altro lato, i medesimi patti presentano caratteristiche di indipendenza, potendo in alcuni casi sopravvivere fuori dal regolamento contrattuale cui accedono (nota di indipendenza) [12].

Si tratta allora di ricostruire la natura giuridica di tali pattuizioni accessorie concluse dai contraenti e di verificare i presupposti in presenza dei quali esse possono ritenersi idonee a produrre effetti autonomi nonostante la patologia che colpisca il contratto che le contiene.


2. Sull’inquadramento giuridico delle clausole autosufficienti: l’autonomia funzionale e il collegamento negoziale

Al fine di offrire una ricostruzione giuridica dei patti in esame è necessario muovere dalla struttura del contratto, quale sintesi delle clausole che lo compongono. In particolare, per comprendere le ragioni del­l’indipendenza di tali patti occorre, in primo luogo, cogliere la posizione di ciascuna delle clausole che formano il testo contrattuale e i legami tra di esse intercorrenti.

Il regolamento contrattuale si presenta, invero, il più delle volte complesso; accanto a un contenuto minimo essenziale per la realizzazione dello schema negoziale prescelto, può convivere un contenuto accessorio, contenente gli elementi particolari previsti dai contraenti per governare la vicenda realizzata con il contratto.

A tale duplicità di contenuto corrisponde, nei contratti nei quali sia dato riscontrarla, la distinzione tra clausole principali e secondarie [13], con le quali si concreta, rispettivamente, il contenuto necessario e quello di carattere accessorio del contratto. Le clausole principali indicano le determinazioni qualificative del tipo di contratto posto in essere dalle parti e dalle quali non può pertanto prescindersi per l’esistenza e la validità dell’accordo [14]; le clausole secondarie, invece, riguardano quell’ambito in cui l’ordinamento riconosce ai privati la possibilità di regolare i propri interessi in maniera peculiare rispetto a quella delineata dallo schema negoziale di riferimento, tipico o atipico e, per questo motivo, la loro assenza non impedisce la configurabilità di una struttura contrattuale [15].

Particolare rilevanza ai fini della distinzione tra clausole principali e accessorie assume il ricorso al criterio causalistico, che consente di individuare le clausole principali dalla definizione normativa che qualifica i contratti nominati e ne descrive la funzione economica sociale, ovvero, con riferimento ai contratti innominati, dalla funzione sociale che li caratterizza [16]. Le clausole accessorie sono, invece, rappresentate da tutte quelle pattuizioni inserite dai contraenti in aggiunta allo schema negoziale di riferimento per il perseguimento di interessi a esso strumentali.

Tale soluzione sembra mantenere una propria utilità anche laddove si guardi, sulla scorta delle più recenti [17] – e condivisibili – sollecitazioni, al di là del modello astratto, per cogliere il diverso rilievo che i vari elementi assumono all’interno del contratto nel caso concreto [18]. In questo contesto, la distinzione tra determinazioni principali e secondarie porta ad annoverare fra le prime quelle che risultino indispensabili per il conseguimento dello specifico assetto di interessi avuto di mira dalle parti.

Nell’ambito delle diverse prospettive offerte, il meccanismo valutativo al fine di distinguere tra clausole principali e accessorie sembra, dunque, essere il medesimo [19], consentendo di qualificare come secondaria quella clausola che non elimini la capacità strutturale della parte residua del contratto di perseguire il proprio risultato (tipico o atipico).

Stante la molteplicità di interessi che le parti intendono soddisfare, piuttosto raramente, dunque, l’operazione negoziale avuta di mira dai contraenti può essere realizzata mediante uno schema negoziale semplice ma è necessaria la conclusione di una pluralità di patti ognuno diretto a soddisfare un diverso bisogno [20]. Tali patti, pur rientrando nella medesima operazione economica complessivamente intesa, devono essere valutati in modo diverso a seconda della funzione che ciascuno riveste e del tipo di legame tra di essi intercorrente [21].

I patti conclusi dalle parti possono, invero, in primo luogo inserirsi all’interno della struttura di un dato contratto per il perseguimento di scopi a esso strumentali. In tal caso essi, quali frammenti della normativa negoziale cui accedono [22], condividono la medesima causa del negozio di cui fanno parte, senza assumere una funzione economica individuale.

In altri casi può accadere che una determinata pattuizione presenti tutti gli elementi necessari per integrare un’autonoma fattispecie negoziale. Queste manifestazioni dell’autonomia privata si allontanano, quindi, dal tipo contrattuale previsto dal legislatore o dalla prassi, presentandosi sovrabbondanti rispetto a esso [23].

Per dar conto di questo aspetto si è proposta la distinzione tra clausole «parte» e clausole «contratto», a seconda che, rispettivamente, esse poggino sulla medesima causa di un dato contratto e, dunque, siano da esso non-autosufficienti [24], ovvero siano dotate di una causa propria, configurando in tal caso negozi autonomi sebbene inseriti all’interno di un più ampio regolamento contrattuale avuto di mira dai contraenti (anche c.d. clausole autosufficienti) [25].

Le clausole contratto, dunque, poggiando su una causa singolare, configurano autonomi negozi che si accostano con il loro effetto al contratto in cui risultano dedotte. L’autonomia causale consente, pertanto, di individuare la presenza di una pluralità di negozi distinti, sebbene inseriti all’interno dell’unitario regolamento contrattuale [26].

Queste conclusioni richiamano, a ben vedere, quella corrente di pensiero che individua nella causa il criterio di riferimento per risolvere il problema dell’unità o della pluralità di contratti [27]. Sul presupposto che il principale elemento distintivo di ciascun negozio giuridico è rappresentato dalla funzione economica del­l’operazione cui ciascuno di essi è diretto a realizzare, secondo tale opinione, al fine di valutare la sussistenza di uno o più contratti occorrerebbe aver riguardo alla causa stessa [28]. In questa prospettiva, in presenza di una fattispecie negoziale che si presenta sovrabbondante rispetto al tipo delineato dal legislatore o dalla prassi, è necessario distinguere i casi in cui l’effetto giuridico diverso è pur sempre omogeneo rispetto agli effetti previsti per quel determinato tipo di negozio, tipico o atipico, o comunque concorra al loro raggiungimento dando luogo a una diversa fattispecie atipica, dai casi in cui esso presenti, invece, una propria autonomia funzionale, dando luogo a un mutamento giuridico diverso e autonomo rispetto a quello astrattamente previsto per il tipo. Nel primo caso si sarà pertanto in presenza di un unico negozio, laddove nel secondo caso si sarà in presenza di una pluralità di negozi.

L’accento posto sull’eventuale autonomia funzionale delle diverse pattuizioni concluse dai contraenti consente, dunque, di rispondere al primo interrogativo in precedenza formulato in merito all’inquadramento giuridico di quei patti in grado di conservare la propria efficacia nonostante l’invalidità che colpisca il contratto cui risultano legati.

La particolarità di tali patti si coglie, invero, nella specifica funzione che ciascuno di essi persegue, la quale non coincide con quella propria del contratto cui risultano legati nell’ambito della complessiva operazione economica ma è diretta a regolare in modo indipendente una determinata situazione.

L’autosufficienza causale costituisce, pertanto, presupposto necessario agli effetti dell’autonomia dei patti conclusi dalle parti, nonché della loro eventuale [29] sopravvivenza nonostante l’invalidità che colpisca il contratto cui accedono.

Diversamente, infatti, ove si individuasse la presenza di un unico contratto, troverebbe necessaria applicazione la regola di cui all’art. 1419, comma 1, cod. civ., per cui l’invalidità di una o più clausole secondarie non interessa [30] l’intero contratto, a meno che le stesse non possano considerarsi essenziali nell’economia dell’atto [31]. Senonché, a ben vedere, l’applicazione di tale disciplina non giustificherebbe l’eventuale salvezza della clausola autosufficiente. Ciò in quanto, in quest’ultimo caso non si sarebbe in presenza di un contratto che sopravvive senza la parte nulla, quanto, piuttosto, di un contratto che cade interamente, salvandosi solo una clausola che, tuttavia, non coincide con quel regolamento contrattuale cui la norma si riferisce [32].

Nelle ipotesi in esame si è in presenza, dunque, di una pluralità di contratti – due almeno – uno dei quali costituito dalla clausola autosufficiente e un altro costituito dal contratto in cui la prima è dedotta.

La natura autonoma non spiega, tuttavia, il vincolo giuridico che lega i patti in esame al contratto cui si riferiscono e, dunque, l’accessorietà che li caratterizza.

Al riguardo può osservarsi come la presenza di una pluralità coordinata di contratti che conservano ciascuno un’autonoma causa, sebbene nel loro insieme siano diretti ad attuare un’unitaria e complessa operazione economica, consente di ricondurre il rapporto tra di essi intercorrente al fenomeno del collegamento contrattuale [33][34].

In questa prospettiva, si tratterà, in primo luogo, di individuare in quale misura sia possibile applicare le regole affermate in tema di collegamento negoziale, al fine di verificare l’idoneità della clausola contratto a «sopravvivere» nonostante la patologia che colpisca il rapporto di riferimento.

Dalle osservazioni che precedono emerge, dunque, l’esigenza di tenere distinti due diversi aspetti che interessano le c.d. clausole contratto: quello della loro autonomia e autosufficienza e quello della loro indipendenza [35].

Come visto, l’autonomia discende dal costituire, tali patti, negozi strutturalmente distinti rispetto al contratto in cui sono dedotti e al quale risultano legati da un nesso di collegamento. L’effettiva indipendenza di tali patti, con la conseguente possibilità di sopravvivenza di fronte alla patologia che interessa il residuo rapporto, dipende, invece, come si avrà modo di verificare, dalla natura e dall’intensità del nesso che li lega al contratto in cui sono inseriti e dalla possibilità di individuare una specifica funzione idonea a giustificarne il mantenimento in vita in modo indipendente [36].


3. Il legame con il rapporto principale e l’indipendenza delle c.d. clausole contratto

Nel precedente paragrafo si è dato atto di come l’indipendenza delle c.d. clausole contratto e, dunque, la loro capacità di sopravvivenza sia legata, in primo luogo, all’intensità del rapporto che le unisce al negozio in cui sono inserite.

Ciò richiede di indagare brevemente le regole individuate in tema di collegamento negoziale al fine di verificare il nesso che intercorre tra più negozi inclusi nell’ambito di un’operazione economica complessa per il perseguimento di uno scopo unitario e le conseguenze che ne derivano.

La definizione tradizionale [37] identifica il collegamento negoziale nell’operazione economica realizzata dai contraenti attraverso una pluralità di distinti negozi, i quali – pur mantenendo una propria individualità – sono legati da un nesso di interdipendenza, tale per cui le vicende patologiche dell’uno si ripercuotono sul­l’altro condizionandone la validità e l’efficacia. Tale affermazione è stata tuttavia da tempo sottoposta a vaglio critico, sul presupposto che le diverse ipotesi di collegamento riscontrabili nel caso concreto non possono essere comprese in una nozione unitaria [38]. La prassi sempre più frequente di realizzare operazioni economiche complesse mediante l’impiego di più schemi negoziali impone, invero, il ricorso a regole operative in grado di far fronte ai diversi problemi che emergono nel caso concreto, riguardanti, in particolare, la qualità del nesso intercorrente tra i negozi, nonché la natura degli effetti che derivano da tale collegamento e la loro ampiezza [39].

A fronte dei diversi legami che possono interessare i contratti conclusi dai contraenti nel contesto della medesima operazione negoziale è pertanto necessario, di volta in volta, individuare il tipo di collegamento che li caratterizza e le conseguenze che ne discendono.

In questa prospettiva, le principali ipotesi di collegamento tra negozi individuate dalle classificazioni maggiormente ricorrenti rappresentano un utile riferimento al fine di ricostruire il rapporto tra le diverse pattuizioni nel caso concreto [40].

L’analisi della complessa operazione economica conclusa dai contraenti potrà, invero, far emergere la presenza di un mero collegamento occasionale tra le diverse pattuizioni, siccome strutturalmente e funzionalmente autonome e solo casualmente riunite nell’unità del documento in cui sono contenute o da altre circostanze estrinseche. In tali ipotesi, l’unione tra i diversi contratti non influenzerà, pertanto, la disciplina dei singoli rapporti [41].

Il nesso che caratterizza le diverse pattuizioni all’interno del regolamento contrattuale potrebbe altrimenti riguardare il loro processo di formazione, risultando in tal caso una dipendenza di tipo meramente logico e temporale, con esclusione di una diretta influenza delle rispettive vicende in fase di svolgimento del rapporto [42].

In altri casi, invece, potrebbe individuarsi un legame maggiormente intenso e, di conseguenza, in grado di variamente influire sui profili relativi agli effetti di ciascuno contratto e, dunque, sul loro svolgimento e i relativi rapporti [43]. In questo contesto, solo un’attenta indagine del programma economico realizzato dai contraenti, ovvero della natura e della funzione dei contratti conclusi [44], consentirà di individuare il tipo di relazione esistente tra le pattuizioni, non potendosi assumere come regola generale quella della necessaria influenza delle vicende patologiche che le riguardino [45].

La pluralità di forme che il collegamento negoziale può assumere e le diverse conseguenze che ne possono derivare giustifica, a ben vedere, la critica mossa da una parte della dottrina nei confronti di una generale applicazione del principio simul stabunt simul cadent e, dunque, contro l’affermazione circa la necessaria dipendenza delle sorti di un contratto da quelle dell’altro, nel senso che le vicende relative alla validità, efficacia ed esecuzione dell’uno si ripercuoterebbero immediatamente sull’altro [46][47].

Limitando l’analisi al tema oggetto di indagine, le osservazioni poc’anzi formulate consentono pertanto di ammettere, superando soluzioni aprioristiche, la configurabilità di ipotesi di nullità parziale anche nel­l’am­bito del collegamento negoziale e, dunque, di situazioni in cui a fronte della nullità che colpisca uno solo dei negozi collegati l’operazione possa ancora sussistere per il resto. Invero, poiché la sorte di ciascun contratto è «variamente legata [48]» all’esistenza o alla sorte dell’altro o degli altri, la nullità di uno di essi può, a seconda dei casi, reagire sugli altri negozi collegati o limitare i suoi effetti al negozio viziato [49]. Tale soluzione risulta, del resto, maggiormente rispettosa dell’autonomia privata nonché rispondente all’esigenza di economia dei mezzi giuridici [50].

Al fine di verificare l’effettiva indipendenza, nel caso concreto, del contratto collegato non colpito dal vizio e, dunque, la sua capacità di mantenere una autonoma vitalità, possono, in particolare, farsi proprie le conclusioni cui è pervenuto l’annoso dibattito sviluppatosi in relazione al criterio interpretativo sollevato dal­l’art. 1419, comma 1, cod. civ [51].

Sebbene debba escludersi la diretta applicabilità di tale disposizione nell’ambito del collegamento negoziale, essendo stata dettata con specifico riferimento al singolo contratto [52], alle regole in essa previste può, invero, riconoscersi portata generale siccome espressione del principio di conservazione del negozio cui è informato il nostro ordinamento [53], con conseguente operatività anche rispetto ai contratti collegati, caratterizzati dall’unitarietà dell’interesse perseguito dai contraenti.

La disposizione in tema di nullità parziale stabilisce, come in precedenza evidenziato [54], che la nullità di singole clausole, ove non qualificabili quali principali [55], comporta la nullità del rapporto residuo «solo se risulta che i contraenti non l’avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità» [56].

Nella selezione dei criteri per il giudizio sull’essenzialità della pattuizione accessoria viziata, in grado, in caso di esito positivo, di giustificare la nullità totale del contratto in assenza di espresse indicazioni delle parti [57], sia da parte della dottrina che della giurisprudenza sono state in un primo momento elaborate soluzioni di stampo subiettivo, dirette a indagare la volontà effettiva dei contraenti ovvero la loro volontà ipotetica [58]. Emersi tuttavia i limiti di tali soluzioni, l’orientamento ad oggi prevalente, e senz’altro maggiormente condivisibile, ha accolto, criteri di tipo oggettivo [59], che guardano alla volontà delle parti come oggettivizzata nel­l’accordo [60]. In questo contesto si ha riguardo agli interessi che le parti hanno inteso conseguire con l’operazione economica nel suo complesso, al fine di verificare l’essenzialità della clausola nulla e, dunque, la «perdurante utilità del contratto rispetto agli interessi con esso perseguiti [61]».

Il giudizio di cui all’art. 1419, comma 1, cod. civ., così interpretato, impone, pertanto, di ricercare il senso dell’operazione economica che le parti hanno inteso raggiungere, al fine di verificare non solo la possibilità, da un punto di vista strutturale, ma anche l’opportunità di salvare il negozio privato della clausola viziata siccome comunque in grado di realizzare la finalità perseguita dai contraenti [62].

Considerazioni non dissimili sembrano a ben vedere potersi applicare anche nell’ambito del collegamento negoziale quale unitaria operazione complessa, ove, come detto, ciascun negozio può essere variamente legato agli altri e, di conseguenza, non è sempre possibile stabilirne a priori la sorte nell’ipotesi in cui uno di esso risulti invalido. In questo contesto, dunque, la soluzione in merito alla conservazione dei negozi collegati non colpiti da nullità è strettamente legata al nesso che intercorre tra le diverse pattuizioni e alla funzionalità del regolamento residuo rispetto agli interessi dei contraenti nel caso concreto: la valutazione dovrà pertanto tener conto della qualità e intensità del nesso che tiene stretti i negozi [63], al fine di verificare la scindibilità del contratto nullo dal rapporto residuo [64], e della perdurante possibilità di raggiungere il risultato prefissato nonostante la nullità di uno di essi, ossia della capacità della pattuizione residua di mantenere, nell’economia dell’accordo, un’autonoma vitalità [65].

La valutazione in merito alla nullità totale o parziale nell’ambito di un complesso di negozi collegati non sarà, dunque, tanto diversa da quella necessaria nell’ipotesi di nullità che colpisca solo alcune delle clausole accessorie nell’ambito di un singolo contratto [66]. Individuato il negozio direttamente interessato dalla nullità, è necessario scomporre il regolamento residuo: vi possono essere contratti collegati che pur non viziati cadono direttamente a fronte nel nesso di stretta interdipendenza che già sul piano strutturale li legava al negozio nullo [67]. Mancando, invece, tale inscindibilità, affinché la nullità possa rimanere parziale, ossia limitata alla parte invalida, è necessario, altresì, che l’accordo residuo consenta comunque alle parti di realizzare l’inte­resse in concreto perseguito attraverso l’operazione economica [68].

Per tale via sembra pertanto possibile risolvere il quesito in merito all’eventuale sopravvivenza della c.d. clausola autosufficiente al contratto cui accede. In particolare, nell’ipotesi in cui solo il contratto nel quale la pattuizione accessoria è inserita risulti invalido, una volta esclusa la presenza di un nesso di stretta interdipendenza tra di essi e, di conseguenza, confermata l’oggettiva scindibilità dei due negozi, dovrà verificarsi l’opportunità di mantenere in vita il patto medesimo, siccome ancora idoneo, sotto il profilo funzionale, a soddisfare gli specifici interessi perseguiti dalle parti con la sua previsione [69].


4. Alcuni esempi di clausole contratto e applicazione della ricostruzione proposta

La ricostruzione proposta, in merito al criterio per individuare la capacità di sopravvivenza delle c.d. clausole contratto, può essere verificata richiamando brevemente alcune ipotesi di clausole per le quali, essendo dotate – secondo l’orientamento che chi scrive ritiene maggiormente condivisibile – di una propria autonomia causale, può sorgere il problema della loro sorte in caso di nullità del contratto che le contiene.

Al riguardo viene in considerazione, in primo luogo, la clausola arbitrale, alla quale ormai [70] da più parti si riconosce natura autonoma rispetto al contratto del quale sembra costituire un mero patto accessorio [71].

Si è al riguardo evidenziato, in particolare, che mentre il contratto è diretto a regolamentare un conflitto di interessi tra le parti, la funzione della clausola compromissoria è, invece, quella di individuare il miglior giudice per dirimere una determinata categoria di liti [72].

Tra la clausola arbitrale e il contratto di riferimento può in particolare individuarsi un rapporto [73] la cui rilevanza si esaurisce nella fase di formazione della clausola, con esclusione, dunque, di un legame di dipendenza funzionale. Il nesso che intercorre tra i due negozi deriva, invero, unicamente dalla necessaria dipendenza della clausola in senso logico e temporale dal contratto in cui è inserita [74], rimanendo di regola entrambi insensibili alle vicende che interessano l’altro durante lo svolgimento del rapporto [75].

Fatte salve, dunque, le ipotesi in cui, nel caso concreto, la clausola compromissoria sia direttamente invalida per ragioni esclusivamente proprie [76] ovvero coincidenti con quelle del contratto sostanziale [77], essa rimane valida nel caso di vizio del contratto in cui sia contenuta [78].

L’autonomia causale e l’assenza di un nesso di stretta interdipendenza, se consentono di escludere l’influenza dei vizi, non sono, tuttavia, ancora sufficienti a giustificare, in ogni caso, la capacità della clausola arbitrale di mantenersi in vita nonostante il venir meno del rapporto residuo, essendo di contro necessario indagarne l’eventuale indipendenza anche sotto il profilo funzionale [79], ossia la possibilità di continuare a produrre effetti utili nell’economia dell’accordo.

L’esistenza di un nesso logico e storico [80] tra i due negozi, pur dotati ciascuno di una propria causa, impedisce, infatti, di escludere ogni ricaduta delle vicende patologiche del contratto sull’efficacia della clausola [81], essendo di contro necessario verificare la possibilità per quest’ultima di continuare a soddisfare gli interessi perseguiti dalle parti con la sua previsione.

Nello specifico, perché possa affermarsi la perdurante utilità della clausola compromissoria, è necessario che le parti abbiano inteso affidare agli arbitri anche la decisione relativa al particolare vizio che ha colpito il contratto principale nel caso concreto, giacché, altrimenti, non avrebbe senso mantenere in vita il patto stante l’impossibilità di produrre i propri effetti.

Così, ad esempio, nell’ipotesi in cui tra le controversie che le parti hanno inteso devolvere ad arbitri non vi sono anche quelle relative alla nullità del contratto [82], il mantenimento in vita della clausola arbitrale nonostante la nullità del contratto di riferimento non potrà giustificarsi, in quanto non più in grado di produrre alcun effetto utile [83].

Anche la giurisprudenza è ormai pressocché concorde nell’ammettere la sopravvivenza della clausola arbitrale ogniqualvolta essa trovi in sé la propria ragione, così affermando che «l’eventuale invalidità di un negozio non si estende alla clausola compromissoria che vi acceda, potendo rientrare nella competenza arbitrale la stessa cognizione delle cause di nullità od annullabilità di quel negozio [84]».

A conclusioni parzialmente diverse si perviene, invece, guardando alla clausola penale, le quali tuttavia confermano la ricostruzione proposta in merito alle c.d. clausole contratto.

Anche con riferimento alla clausola penale l’orientamento maggioritario ritiene si tratti di un negozio autonomo [85] in quanto dotata di una propria peculiare funzione giuridica [86], diversa dallo scopo perseguito dai contraenti con il contratto [87] cui accede.

Nonostante la sua autonomia, la clausola penale, presupponendo l’esistenza di un’obbligazione, ha tuttavia funzione accessoria rispetto al rapporto principale [88] cui si riferisce e al quale risulta pertanto necessariamente collegata [89].

Proprio in quanto la funzione della penale è legata all’individuazione degli obblighi il cui inadempimento – in senso stretto ovvero il semplice ritardo nell’adempimento – costituisce il presupposto del suo operare, non sembra ci possano essere spazi per il suo funzionamento separatamente dall’obbligazione contrattuale cui accede; nello specifico, a fronte del collegamento per accessorietà con l’obbligazione cui la penale si riferisce, le vicende patologiche che comportano l’improduttività di effetti del contratto – e, quindi, il mancato sorgere dell’obbligazione – incidono sull’obbligazione accessoria derivante dalla clausola penale, impedendone la produzione degli effetti.

La clausola penale, dunque, non segue automaticamente le sorti del negozio cui accede in quanto patto ad esso accessorio, privo di una causa propria: è l’impossibilità per la clausola, nonostante la propria autonomia, di perseguire la propria funzione economica a impedirne la sopravvivenza alle vicende patologiche che incidono sulla validità dell’obbligazione principale; di conseguenza, essa sarà invece in grado di operare in modo indipendente ogni volta che i vizi dell’obbligazione principale non ostacolino il verificarsi dell’evento cui è subordinato il funzionamento della penale.

Così, ad esempio, la nullità del rapporto principale travolge necessariamente anche la penale. Nell’ipotesi di nullità del contratto di riferimento la clausola penale non è, infatti, più in grado di svolgere la propria funzione economica, dal momento che non sorgerebbero quegli obblighi il cui inadempimento essa è diretta a sanzionare [90].

Di contro, la clausola penale è idonea a produrre i propri effetti in caso di risoluzione del contratto per inadempimento e, dunque, è in grado di mantenere un’autonoma vitalità nonostante il venir meno dell’obbli­gazione cui si riferisce [91], giacché, in tal caso, il vizio non impedirebbe il verificarsi del presupposto per il suo funzionamento [92].

La questione in merito alla possibile sopravvivenza delle c.d. clausole contratto trova, inoltre, un ulteriore referente nei patti di non concorrenza inseriti come clausola di un diverso e più ampio contratto [93], ai quali, ove non causalmente connessi a quest’ultimo [94], è riconosciuta natura autonoma ai fini della sottoposizione ai limiti di cui all’art. 2596 cod. civ [95].

Il quesito in merito all’autonomia della pattuizione accessoria si è posto, tra l’altro, in relazione a un patto di non concorrenza contenuto all’interno di un contratto di scioglimento di società, al quale la Corte di Cassazione ha riconosciuto natura autonoma, evidenziando come in tal caso il patto sia destinato ad assolvere una funzione diversa dal contratto cui accede: il primo è diretto, infatti, a regolare il rapporto di concorrenza tra più imprenditori, mentre il secondo intende risolvere un rapporto in essere tra di essi e disporre dei beni aziendali. Il patto di non concorrenza è, pertanto, in tal caso destinato a produrre effetti quando la funzione del contratto principale si è compiutamente realizzata e, dunque, in un momento in cui quest’ultima non può più essere integrata [96].

Limitando l’analisi al tema che ci occupa, può osservarsi come anche in tal caso l’affermazione dell’auto­nomia del patto di non concorrenza non sia sufficiente a giustificarne l’indipendenza funzionale e, di conseguenza, l’idoneità a mantenere una propria vitalità nonostante l’invalidità che colpisca il contratto di riferimento, ma è necessario indagare il nesso che lega il patto di non concorrenza al contratto, nonché la capacità del primo di produrre, nell’economia dell’accordo, effetti utili anche ove il secondo risulti invalido.

Tra la clausola di non concorrenza e il rapporto principale, pur autonomi e distinti da un punto di vista strutturale, sussiste, infatti, pur sempre, tra l’altro, un nesso logico e storico che impedisce di affermare la sicura l’insensibilità della prima alle vicende che interessano il secondo, essendo invece necessario che si verifichi il presupposto per l’operare del patto accessorio [97].

Per tale via, non può riconoscersi, ad esempio, capacità di autonoma sopravvivenza al patto di non concorrenza che, pur collegato solo occasionalmente al contratto di scioglimento di società dichiarato invalido, non preveda un divieto di concorrenza utile anche per l’ipotesi in cui la società dovesse rimanere in vita: non essendovi un rapporto di concorrenza da disciplinare il patto perderebbe, infatti, la ragione della sua esistenza [98].


NOTE

[1] Così, R. Sacco, Le invalidità, in R. Sacco, G. De Nova, Il contratto4, Utet, 2016, 1514.

[2] In merito alla distinzione tra elementi principali e secondari v. il par. successivo.

[3] Cfr. art. 1418 cod. civ.

[4] Cfr. art. 1419, comma 1, cod. civ. È invero opinione pressoché condivisa che l’art. 1419, comma 1, cod. civ., si riferisca alle sole clausole qualificabili come accessorie. In proposito v., più ampiamente, oltre sub nt. 13.

[5] La disciplina si ritiene espressione del principio di conservazione del negozio cui è informato il nostro codice, per cui «l’attività negoziale deve potersi mantenere in vigore il più che possibile al fine della realizzazione dello scopo pratico perseguito»: così L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Morano, 1966, 395 e ivi anche un richiamo alle altre disposizioni che esprimono tale principio. In questo senso v., altresì, tra gli altri, G. Criscuoli, La nullità parziale del negozio giuridico, Giuffrè, 1959, 103 ss., per il quale l’art. 1419, comma 1, cod. civ., sarebbe diretto ad assicurare l’impiego più economico dei mezzi giuridici e il rispetto dell’interesse e della volontà dei contraenti; più recentemente, accolgono tale conclusione, tra gli altri, M. Rabitti, Sub art. 1419-Nullità parziale, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Dei contratti in generale (artt. 1387-1424), a cura di E. Navarretta, A. Orestano, Utet, 2012, 590 s.; V. Franceschelli, Nullità del contratto, in Il Codice Civile Commentario, fondato e già diretto da P. Schlesinger, continuato da F.D. Busnelli, Artt. 1418-1423, Giuffrè, 2015, 159; R. Pettinelli, Patto di non concorrenza – La clausola di recesso unilaterale apposta al patto di non concorrenza è nulla? Così è (se vi pare), in Giur. it., 2020, 11, 2523. Per un’analisi delle diverse opinioni espresse al riguardo v. P.M. Putti, La nullità parziale, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, 187 ss.; Id, Le nullità contrattuali, in Diritto civile, diretto da N. Lipari, P. Rescigno, III, Obbligazioni, II, Il contratto in generale, Giuffrè, 2009, 933 ss. In giurisprudenza, ex multis, Cass. sez. un., 30 dicembre 2021, n. 41994 e Cass. 5 febbraio 2016, n. 2314, entrambe in One Legale. Sul principio di conservazione in generale v., inoltre, C. Grassetti, voce Conservazione (Principio di), in Enc. dir., Giuffrè, 1961, 173, per il quale tale principio si fonderebbe sulla generale esigenza di economia dei mezzi e sulla presunzione della serietà di propositi di chi emette una dichiarazione di volontà, privata o statuale. In merito al giudizio di cui all’art. 1419, comma 1, cod. civ., v., più ampiamente, oltre sub par. 3.

[6] Il legislatore non fornisce una diretta definizione del termine clausola, impiegando piuttosto il termine con una pluralità di significati (v. al riguardo quanto osservato da C. Grassetti, voce Clausola, in Enc. dir., VII, Giuffrè, 1960, 184, per il quale a fronte della pluralità di significati che il termine ha assunto nel linguaggio legislativo sarebbe vano tentare di ridurlo a unità). Nell’ambito delle elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali sono emerse, tuttavia, due principali ipotesi di significato del termine clausola. Per clausola si intende, anzitutto, ciascuna delle proposizioni di cui consta il contratto. In questo senso, dunque, il termine designa ciascuna dichiarazione espressa dalle parti per manifestare la propria volontà che, nel loro insieme, formano il testo contrattuale. La clausola contrattuale è in tal modo delineata sotto il profilo formale per indicare ogni proposizione linguistica dei contraenti, rimanendo irrilevante l’eventuale autonomia sostanziale di ciascuna di esse (v., tra gli altri, C. Grassetti, op. loc. cit., 184, il quale evidenzia come tale termine sia impiegato dal legislatore, ad esempio, nell’ambito delle disposizioni in tema di interpretazione del contratto. In particolare, l’art. 1363 cod. civ. si riferisce al primo momento del processo interpretativo diretto a ricercare la volontà delle parti sulla base delle proposizioni linguistiche da esse enunciate. Per tali motivi, il termine clausola impiegato in questo contesto indica necessariamente un’autonomia meramente formale della proposizione negoziale e non un autonomo precetto, dal momento che quest’ultimo è ancora in corso di accertamento; M. Tamponi, Contributo all’esegesi dell’art. 1419 c.c., parte I, in Riv. dir. proc. civ., 1978, 137). L’espressione può essere poi intesa sotto il profilo sostanziale come precetto negoziale inscindibile, pur potendo risultare dalla combinazione di più proposizioni linguistiche. In questa prospettiva, la clausola rappresenta un singolo imperativo dotato di propria individualità rispetto al contenuto complessivo del contratto, il quale sarà il risultato della coordinazione di tutte le clausole-precetto (in giurisprudenza, punto di riferimento in merito alla clausola precetto è Cass. sez. un., 16 ottobre 1958, n. 3294, in Giust. civ., 1959, I, 311, ove, nell’ambito di un giudizio concernente la disciplina di cui all’art. 1419, comma 2, cod. civ., si definisce clausola contrattuale quel «precetto dell’autonomia privata, isolato od isolabile nel contesto complesso di un contratto, che la legge non considera scindibile nelle sue varie proposizioni»). Per una disamina delle soluzioni offerte al riguardo v., altresì, P. M. Putti, Le nullità contrattuali, cit., 935 s. Ai fini della presente indagine interessa aver riguardo alla clausola in senso sostanziale e, dunque, al precetto negoziale che, solo o unitamente ad altri precetti, plasma il regolamento contrattuale verso la produzione di determinati effetti (v., tra gli altri, G. Sicchiero, La clausola contrattuale, Cedam, 2003, 45 s.). Sul presupposto che la forza precettiva spetta agli effetti delle norme giuridiche, è stato ulteriormente chiarito che la clausola precetto è diretta a definire le proposizioni delle parti valevoli a configurare un successivo effetto negoziale disposto da una norma giuridica. In questo senso la nozione di clausola coincide con quella di patto, pure impiegata in alcuni casi dal legislatore per delineare le determinazioni contrattuali delle parti dirette alla produzione di determinati effetti (in proposito v. C. Grassetti, op. loc. cit., 185, il quale fornisce alcuni esempi di disposizioni in cui il termine clausola viene inteso quale sinonimo di patto).

[7] Cfr. G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 253.

[8] In questo senso, tra gli altri, M. Fragali, Clausole, frammenti di clausole, rapporti fra clausole e negozio, in Giust. civ., 1959, 313 s.; G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 241 ss. In giurisprudenza, ex multis, Cass. 14 aprile 2000, n. 4842, in One Legale. V., inoltre, la dottrina e la giurisprudenza citate oltre, in particolare sub par. 4.

[9] Cfr. V. Roppo, Il contratto2, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica, P. Zatti, Giuffrè, 2011, 433.

[10] Con il quale le parti nell’ambito di un contratto stabiliscono, nei limiti consentiti dalla legge, l’autorità giudiziaria territorialmente competente per le controversie che dovessero sorgere in relazione al negozio (v. artt. 28 e 29 cod. proc. civ.). Affermano la natura autonoma della clausola derogativa della competenza territoriale, tra gli altri, S. Satta, sub Art. 29, in Commentario al codice di procedura civile, I, Giuffrè, 1959, 135; T. Segrè, Della competenza per territorio, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E. Allorio, I, 1, Utet, 1973, 297, il quale evidenzia come, a fronte della sua autonomia, la clausola rimanga efficace anche nell’ipotesi di invalidità, risoluzione o rescissione del contratto principale; A. Levoni, voce Competenza nel diritto processuale civile, in Dig. disc. priv. Sez civ., III, Utet, 1988, 126. Nello stesso senso, più di recente, F. Auletta, A. Panzarola, Della competenza per materia e valore. Della competenza per territorio. Art. 7-30-bis, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Zanichelli, 2015, 386, per i quali si tratterebbe di un negozio autonomo, con conseguente irrilevanza delle vicende che riguardano il rapporto principale; U. Corea, Clausola di deroga alla competenza territoriale, in Clausole negoziali, a cura di M. Confortini, Utet, II, 2019, 185. In giurisprudenza v., tra le altre, Cass. 21 luglio 2011, n. 16006, in Giust. civ. Mass., 2011, 9, 1220; Trib. Roma 2 marzo 2020, n. 4559, in De Jure. Per la tesi contraria, diretta ad affermare la natura accessoria della clausola di scelta del foro competente, v., tra gli altri, G. Andreotti, Le metaclausole, Giuffrè, 2021, 229 s., per il quale si tratterebbe di una clausola accessoria legata alla causa del contratto cui accede, sebbene al contempo dotata di funzioni proprie (nello specifico tale patto rientrerebbe in un gruppo particolare di clausole accessorie che l’A. definisce «metaclausole». In proposito v., più ampiamente, oltre, sub nt. 26). Con riferimento, invece, alla clausola compromissoria, alla clausola penale e al patto di non concorrenza v. quanto più ampiamente evidenziato oltre, sub par. 4.

[11] In merito all’impiego di tale termine v. sopra sub nt. 6, nonché le osservazioni di M. Tamponi, Contributo, parte I, cit., 133, il quale evidenzia come l’uso indistinto dei vocaboli «clausola» e «patto» sia possibile solo ove ci si riferisca a una «determinazione contrattuale delle parti», con esclusione dunque, delle ipotesi in cui il termine clausola sia impiegato per designare il precetto di una norma imperativa.

[12] Evidenziano la duplice caratteristica che connota tali patti, tra gli altri, G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 241 ss.; G. Andreotti, Le metaclausole, cit., 1.

[13] La distinzione è emersa, in particolare, nell’ambito delle riflessioni sul tema della nullità parziale di cui all’art. 1419, comma 1, cod. civ. Tale partizione riveste, invero, fondamentale importanza al fine di distinguere le fattispecie che ricadono, rispettivamente, nella previsione di cui all’art. 1418 cod. civ. e in quella di cui all’art. 1419, comma 1, cod. civ.: nel silenzio della legge, l’opinione sicuramente maggioritaria ritiene che la prima disposizione riguardi le sole clausole qualificabili come principali, laddove la seconda si riferisce, invece, alle sole clausole secondarie. In questo senso, può affermarsi che la nullità della clausola principale incide necessariamente sull’intero contratto, laddove la valutazione dell’incidenza dell’invalidità di una clausola solo secondaria impone la verifica di cui all’art. 1419, comma 1, cod. civ. Per tale soluzione cfr., tra gli altri, R. Tommasini, voce Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., XXVIII, Giuffrè, 1978, 902; M. Tamponi, Contributo, parte I, cit., 145 ss.; G. Criscuoli, Clausola illecita, scindibilità oggettiva del regolamento negoziale, essenzialità soggettiva della parte nulla, mancanza unilaterale di volontà ed automatica inserzione sostitutiva di norme imperative nel contratto secondo la disciplina della nullità parziale, in Giur. it., 1966, I, 1161 ss.; M. Casella, Nullità parziale del contratto e inserzione automatica di clausole, Giuffrè, 1974, 23; G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 218 ss.; A. D’Adda, Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, Padova, 2008, 37, il quale distingue tra clausole essenziali e accidentali. Con riferimento alla distinzione tra clausole principali e accessorie v., inoltre, M. Dossetto, Autonomia contrattuale, clausole contrattuali principali ed accessorie, condizioni generali e particolari di contratto, in Riv. dir. comm., 1950, I, 252 s. In giurisprudenza v., ex multis, Cass. 5 luglio 2000, n. 8970, in Foro it., 2000, I, c. 2782.

[14] Più precisamente, la nullità delle clausole principali non consente di limitare la caducazione alla parte colpita dal vizio, potendo tuttavia il contratto, ricorrendone i presupposti, perseguire comunque risultati utili compatibili con l’originario atto di autonomia quale fattispecie atipica ovvero a seguito di conversione in un tipo diverso. Al riguardo cfr., altresì, le osservazioni di M. Casella, Nullità parziale del contratto, cit., 27; A. Gentili, La risoluzione parziale, Jovene, 1990, 140; A. D’Adda, Nullità parziale, cit., 37.

[15] La distinzione tra clausole principali e accessorie è pertanto compiuta, in un primo momento, in astratto, avendo riguardo alla corrispondenza del negozio posto in essere dai contraenti con la fattispecie di riferimento, potendo poi la clausola secondaria assumere rilievo essenziale come clausola sine qua non rispetto all’operazione economica voluta dai contraenti (v., tra gli altri, G. Criscuoli, Clausola illecita, cit., 1161 s.). Sul punto v. anche oltre, sub par. 3. In merito alla rilevanza della distinzione tra clausole principali e secondarie v., inoltre, le osservazioni di M. Franzoni, Degli effetti del contratto, II, in Il codice civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, Artt. 1374-1381, Giuffrè, 1999, 41, il quale evidenzia, altresì, come la distinzione si riveli in realtà inutile e meramente definitoria allorché la legge preveda la sostituzione automatica di una clausola contrattuale difforme da quella imposta.

[16] In questo senso cfr. M. Casella, Nullità parziale del contratto, cit., 23, il quale evidenzia come per i contratti innominati tale criterio di identificazione risulti a volte problematico e, per questo motivo, occorre in tal caso ricorrere ad altri criteri di «tipizzazione» mediante l’individuazione di dati qualificanti. In particolare, l’A. precisa come nei contratti nominati la loro qualificazione normativa consente di porne in luce gli effetti caratterizzanti, delineandone in tal modo la struttura essenziale. In presenza di contratti atipici, invece, l’individuazione delle clausole principali andrebbe effettuata seguendo una gerarchia di criteri: innanzitutto, riferendosi alle fattispecie tipiche più prossime, e, in caso di concorrenza di più fattispecie, attribuendo prevalenza all’intento pratico, successivamente valutando schemi contrattuali generali (ad esempio, instantaneità o durata; gratuità, sinallagmaticità) e, nell’ambito di tali schemi, riferendosi allo scopo pratico perseguito dai contraenti nel caso concreto. V., inoltre, G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 232; E. Saracini, Nullità e sostituzione di clausole contrattuali, Giuffrè, 1971, 13, per il quale nei contratti nominati le clausole principali sarebbero quelle rientranti nella loro definizione legislativa, mentre in relazione ai contratti innominati si tratterebbe delle clausole che valgono a qualificarli come tali.

[17] Per una disamina delle diverse impostazioni proposte sul tema della causa v., tra gli altri, E. Navarretta, Sub art. 1343-Causa illecita, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Dei contratti in generale (artt. 1321-1349), a cura di E. Navarretta, A. Orestano, Utet, 2011, 590 ss.; di recente, C. Calabretta, Il ruolo della causa nell’attuale esperienza giuridica, Edizioni Scientifiche Italiane, 2020.

[18] V., tra i tanti, G. B. Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Giuffrè, 1966, 355 ss., il quale ha individuato nella causa la «funzione economico-individuale» del contratto; A. Cataudella, Sul contenuto del contratto, Giuffrè, 1966, rist., 1974, 196 s.; L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F.D. Busnelli, U. Natoli, Diritto civile. Fatti e atti giuridici, Utet, 1986, 701 ss.; C.M. Bianca, Il contratto3, in Diritto civile, III, Milano, 2019, 410 ss., per il quale la causa del contratto è la causa concreta, ossia «l’interesse che il contratto stipulato dalle parti è in concreto diretto a realizzare»; Id., Causa concreta del contratto e diritto effettivo, in Riv. dir. civ., 2014, 251 ss. Per una puntuale analisi delle diverse elaborazioni in merito alla causa del contratto v. M. Barcellona, Della causa. Il contratto e la circolazione della ricchezza, Cedam, 2015, 59 ss. In giurisprudenza, tra le prime decisioni ad aver accolto la concezione della causa «in concreto» v. Cass. 8 maggio 2006, n. 10490, in Contratti, 2007, 621 ss., alla quale hanno fatto seguito numerose altre decisioni: v., ex multis, Cass. 24 luglio 2007, n. 16315, in De Jure; Cass. sez. un., 18 febbraio 2010, n. 3947, in Banca, borsa, tit. cred. 2010, 257 ss.; Cass. sez. un., 6 marzo 2015, n. 4628, in De Jure; Cass. 26 settembre 2018, n. 22903 e Cass. 9 luglio 2020, n. 14595, entrambe in One Legale. Con riferimento alla giurisprudenza di merito v., tra le tante, Trib. Trieste 7 marzo 2014, in Giur. it., 2014, 1613, con nota critica di E. Gabrielli, Causa in concreto e patti parasociali; Trib. Monza 17 luglio 2012, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 2, 139, con nota di D. Tommasini, Interest rate swap con funzione di copertura e causa concreta del contratto. Per un’attenta disamina della giurisprudenza che negli ultimi anni ha utilizzato, con sempre maggior frequenza, la categoria della causa in concreto v., inoltre, V. Roppo, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente, né compiacente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, 4, 957 ss.; M. Martino, La causa in concreto nella giurisprudenza: recenti itinerari di un nuovo idolum fori, in Corr. giur., 2013, 11, 1441 ss.; F. Delfini, Causa ed autonomia privata nella giurisprudenza di legittimità e di merito: dai contratti di viaggio ai derivati sul rischio di credito, in Nuove leggi civ. comm., 2013, 6, 1358 ss.

[19] Al riguardo cfr., altresì, le osservazioni di G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 234 ss., il quale evidenzia come la distinzione tra autosufficienza dell’atto in relazione a un modello tipico o, piuttosto, con riferimento al risultato concreto perseguito dalle parti, sfumi ove si tenga conto, tra l’altro, che al legislatore non preme la coincidenza dei modelli adottati dai privati con quelli tipici, quanto il controllo sul risultato in concreto perseguito. Da qui, dunque, l’irrilevanza del mero raffronto tra la parte residua e i modelli tipici, potendo ritenersi secondaria ogni clausola la cui eliminazione non impedisca alla parte residua di mantenere i connotati minimi di un valido contratto, ancorché, in ipotesi, debba qualificarsi come atipico. Sul rilievo della distinzione tra causa in astratto e causa in concreto v., più ampiamente, Id., Il contratto con causa mista, Cedam, 1995, 178 e 202 s.

[20] In proposito v. anche G. B. Ferri, Causa e tipo, cit., 351 ss., il quale evidenzia come il negozio giuridico sia nella maggior parte dei casi integrato da elementi personali, clausole e condizioni, che le parti inseriscono per meglio realizzare i loro interessi.

[21] In questo senso v. quando evidenziato, tra gli altri, da F. Messineo, Il contratto in genere, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu, F. Messineo, XXI, I, Giuffrè, 1973, 723; C. Di Nanni, Collegamento negoziale e funzione complessa, in Riv. dir. comm., 1977, 306 s.

[22] Cfr. M. Fragali, Clausole, cit., 313.

[23] V., tra gli altri, F. Di Sabato, Unità e pluralità di negozi (contributo alla dottrina del collegamento negoziale), in Riv. dir. civ., 1959, I, 414.

[24] È il caso, ad esempio, della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 cod. civ.

[25] A sostegno di tale soluzione cfr., tra gli altri, V. Roppo, Il contratto, cit., 433; G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 241 ss.; E. Capobianco, La determinazione del regolamento, in Regolamento, II, a cura di G. Vettori, in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, Giuffrè, 2006, 238; G. Criscuoli, La nullità parziale, cit., 185, per il quale, mentre le clausole parte si inquadrano nell’unità negoziale sotto il profilo della medesima causa, le clausole negozio rappresentano specifici negozi autonomi siccome caratterizzate da una funzione propria; M. Fragali, Clausole, cit., 313, per il quale si ha una clausola-negozio ogniqualvolta una manifestazione di volontà diretta a realizzare un concreto interesse delle parti presenti le caratteristiche di una fattispecie completa di tutti gli elementi necessari per la produzione degli effetti previsti dall’ordinamento, consentendo in tal modo di ritenerla quale figura autonoma, tipica o atipica. In tal caso, dunque, la clausola presenta una causa propria, che si coordina soltanto a una funzione più generale propria dell’atto in cui è dedotta; M. Tamponi, Contributo all’esegesi dell’art. 1419, parte II, in Riv. dir. proc. civ., 1978, 483 s.

[26] Critica, tuttavia, il richiamo alla nozione di causa della clausola N. Lipari, Il negozio fiduciario, Giuffrè, 1964, 252 ss. In senso critico v. anche C. Colombo, Operazioni economiche e collegamento negoziale, Cedam, 1999, 238 s. Contrario alla soluzione indicata nel testo, altresì, di recente, G. Andreotti, Le metaclausole, cit., passim, il quale critica, in particolare, l’individuazione nella causa il tratto distintivo per spiegare la natura autonoma delle clausole in esame. A sostegno di ciò, l’A. richiama quella corrente di pensiero che ha espresso censure rispetto alla considerazione della causa come elemento tipizzante, evidenziando come in alcune ipotesi la causa non rappresenta un elemento sufficiente per individualizzare e distinguere un negozio da un altro (v., tra gli altri, G. De Nova, Il tipo contrattuale, rist., Edizioni Scientifiche Italiane, 2014, 59 ss.). Esclusa la qualifica di negozi autonomi, l’A. ricostruisce tali pattuizioni come patti aggiunti al contratto, siccome diretti a perseguire effetti accessori, ossia scopi strumentali rispetto alla causa del negozio di riferimento. L’A. evidenzia al riguardo che, al pari delle altre clausole accessorie, tali patti producono effetti complementari, ossia funzioni ulteriori ma comunque strumentali a quelle perseguite con il negozio; di conseguenza, anch’essi dovrebbero considerarsi parte della struttura del negozio e non negozi autonomi. Per altro verso, questi patti svolgono, tuttavia, anche una funzione autonoma in grado di reggersi da sé e, dunque, si mostrano sotto questo aspetto indipendenti rispetto alla causa del negozio, a differenza delle altre clausole accessorie che svolgono solo funzioni complementari, ossia dipendenti dalla causa del contratto. In altre parole, la funzione strumentale, sebbene caratteristica comune ad entrambi i tipi di clausole accessorie, si distinguerebbe nelle due ipotesi a seconda che si presenti autonoma ovvero dipendente rispetto alla causa del contratto di riferimento. A fronte delle particolari caratteristiche dei patti in esame, dotati di funzione strumentale autonoma, le pattuizioni in grado di sopravvivere alle patologie del contratto cui accedono configurerebbero, nella ricostruzione offerta, un tertium ens, distinto dalle altre figure richiamate e, dunque, formerebbero un gruppo speciale di clausole accessorie che l’A. definisce «metaclausole». Per l’unità della fattispecie v., inoltre, C. Di Nanni, Collegamento negoziale, cit., 293, nt. 23.

[27] Il problema si è posto, in particolare, nell’ambito degli studi dedicati al collegamento negoziale.

[28] A tale conclusione aderiscono, seppur con alcune differenze argomentative, tra gli altri, A. Venditti, Appunti in tema di negozi giuridici collegati, in Giust. civ., 1954, I, 259 ss.; N. Gasperoni, Collegamento e connessione tra negozi, in Riv. dir. comm., 1955, I, 359 ss.; R. Scognamiglio, voce Collegamento negoziale, in Enc. dir., VII, Giuffrè, 1960, 375 ss.; F. Messineo, voce Contratto collegato, in Enc. dir., X, Giuffrè, 1962, 48 s.; C. Di Nanni, Collegamento negoziale, cit., 307 s.; L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico, cit., 324; G. Schizzerotto, Il collegamento negoziale, Jovene, 1983, 39 ss.; F. Galgano, Trattato di diritto civile3, II, a cura di N. Zorzi Galgano, Cedam, 2020, 251. In giurisprudenza, tra le altre, Cass. 17 novembre 1983, n. 6864, in Giur. it., 1984, I, 1, 1460, ove si evidenzia che: «nel caso in cui più dichiarazioni contestuali aventi, se considerate l’una indipendentemente dalle altre, individualità ed efficacia proprie, occorre distinguere l’ipotesi in cui ciascuna dichiarazione viene in considerazione come un distinto negozio giuridico, per cui alla pluralità di dichiarazioni corrisponde una molteplicità di negozi, da quella in cui le varie dichiarazioni risultino combinate fra loro, sì da dar vita ad un negozio giuridico unitario. Mentre in quest’ultima ipotesi si ha un solo negozio, complesso o misto, caratterizzato dall’unificazione dell’elemento causale, nella prima ipotesi si ha invece un insieme di negozi che possono essere collegati funzionalmente o anche solo occasionalmente». Sul tema, più recentemente, tra le altre, Cass. 26 marzo 2010, n. 7305 e Cass. 18 luglio 2003, n. 11240, entrambe in One Legale. Per l’inutilizzabilità della causa quale criterio discretivo tra unità e pluralità contrattuale v., tuttavia, tra gli altri, C. Colombo, Operazioni economiche, cit., 117 s. Per una disamina dei diversi criteri proposti dalla dottrina al fine di distinguere tra unità e pluralità di contratti v., tra gli altri, F. Di Sabato, Unità e pluralità di negozi, cit., 415 ss. Con riferimento alle diverse ricostruzioni proposte nel corso del tempo dalla giurisprudenza v. invece, tra gli altri, A. Izzo, Il collegamento contrattuale: note in materia civile, arbitrale internazionale e di conflitti di legge, in Nuova giur. civ. comm., 1998, II, 71 s.

[29] Come si dirà oltre, l’autonomia causale non è invero ancora sufficiente a giustificare il mantenimento in vita delle clausole in esame nonostante il venir meno del rapporto per il resto.

[30] In proposito si è osservato come non sia corretto parlare di estensione, comunicazione o propagazione della nullità di una parte all’intero contratto, in quanto ciò presupporrebbe l’esistenza di un contratto in origine valido e solo successivamente reso invalido dalla singola clausola viziata, laddove invece il contratto nasce già, in ipotesi, totalmente o parzialmente invalido. In questo senso, tra gli altri, M. Tamponi, Contributo, parte I, cit., 114; G. Criscuoli, Clausola illecita, cit., 1158.

[31] In merito al criterio interpretativo sollevato dall’art. 1419, comma 1, cod. civ., v., più ampiamente, oltre, par. 3.

[32] V., altresì, G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 253.

[33] Con riferimento ai patti in esame, in generale v., tra gli altri, G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 254 s.; E. Capobianco, La determinazione del regolamento, cit., 242. Per tale soluzione in relazione a specifici patti v., inoltre, la dottrina citata oltre sub par. 4. Può inoltre osservarsi come nonostante sia opinione costante quella per cui il collegamento non richiede necessariamente la contestualità formale degli accordi (cfr., tra gli altri, V. Roppo, Il contratto, cit., 368), nell’ipotesi in esame tale requisito è invece piuttosto frequente, dal momento che di norma la clausola contratto è contenuta nel medesimo documento del contratto cui inerisce. Al riguardo v., altresì, le osservazioni di G. Sicchiero, op. loc. cit., 255.

[34] Per lungo tempo oggetto di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, il collegamento negoziale sembra aver trovato, in più occasioni, altresì, riconoscimento normativo (in argomento v., tra gli altri, G. Ferrando, Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, 233 s.; C. Colombo, Operazioni economiche, cit., 17 ss.; A. Buonfrate, voce Contratti collegati, in Dig. disc. priv., sez. civ., III agg., I, Utet, 2007, 287). È il caso, ad esempio, della disciplina di cui all’art. 1469-ter cod. civ., in materia di clausole vessatorie inserite nei contratti con i consumatori, successivamente trasfusa nel­l’art. 34 cod. cons. V., tuttavia, quanto osservato da R. Sacco, voce Contratto collegato, in Dig. disc. Priv., sez. civ., VI agg., Utet, 2011, 240.

[35] Con specifico riferimento alla clausola compromissoria v., tra gli altri, A. Marini, Note in tema di autonomia della clausola compromissoria, in Riv. arb., 1993, 3, 415, il quale in senso critico evidenzia come a seguito dell’affermazione dell’autonomia della clausola compromissoria si sia giunti alla riduzione a unità di due problemi distinti: quello dell’autonomia e quello dell’indipendenza della clausola rispetto al contratto cui accede; F. Criscuolo, Ancora sulla compromettibilità ad arbitri della questione di nullità del contratto per illiceità, in Riv. arb., 1998, 278, per il quale «l’affermazione dell’autonomia della clausola non può arrivare al punto di predicare una sorta di extravaganza di essa rispetto al regolamento sostanziale, laddove, nella prospettiva di una ponderata valutazione dell’indipendenza della clausola rispetto al contesto dei patti non si sarebbe certo potuto prescindere da un’indagine sul­l’es­senzialità» (che l’A. riconduce all’art. 1419, comma 1, cod. civ.).

[36] V., altresì, A. Marini, Note, cit., 413, per il quale, mentre il riferimento all’autonomia della clausola serve a evidenziare la specifica funzione da essa assolta rispetto a quella del contratto cui accede, il problema dell’influenza dell’invalidità del rapporto principale riguarda, invece, la misura e l’intensità del collegamento esistente tra la clausola e il contratto; G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 259.

[37] In dottrina v., tra gli altri, L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico, cit., 321 ss. In giurisprudenza cfr., ex multis, Cass. 11 giugno 2001, n. 7852, in Giust. civ. Mass., 2001, 1165; Cass. 5 luglio 1991, n. 7415, in Giust. civ. Mass., 1991, 7; Cass. 15 dicembre 1984, n. 6586, ivi, 1984, 12; Cass. 15 febbraio 1980, n. 1126, ivi, 1980, 2. Manca invece un’espressa definizione a livello normativo.

[38] V. G. Ferrando, I contratti collegati, in Nuova giur. civ. comm., 1986, II, 256 ss., per la quale non bisognerebbe parlare di un unico collegamento negoziale ma di molteplici collegamenti negoziali. V. anche G. Lener, Profili del collegamento negoziale, Giuffrè, 1999, 3 ss.

[39] Pongono l’accento su tale esigenza, tra gli altri, G. Ferrando, I contratti collegati, cit., 262; Id., Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, 234 ss.; A. Izzo, Il collegamento contrattuale, cit., 69 s.

[40] Per una disamina delle diverse soluzioni proposte nel tempo da parte della dottrina v., tra gli altri, C. Colombo, Operazioni economiche, cit., 6 ss.; G. Schizzerotto, Il collegamento negoziale, cit., 161 ss.

[41] Sul collegamento occasionale v., tra gli altri, G. Ferrando, Recenti orientamenti, cit., 234; R. Sacco, voce Contratto collegato, cit., 239; F. Messineo, voce Contratto collegato, cit., 49 s., G. Schizzerotto, op. ult. cit., 163, il quale evidenzia come si tratti di un’unione tra negozi meramente materiale, diversa dal fenomeno del collegamento in senso proprio, in quanto lascia i singoli negozi indipendenti l’uno dall’altro senza che vi sia alcuna reciproca influenza; A. Venditti, Appunti in tema di negozi giuridici collegati, cit., 265 s.; C. Di Nanni, Collegamento negoziale, cit., 315 s. In giurisprudenza cfr., tra le altre, Cass. 21 settembre 2011, n. 19211, in De Jure; Cass. 27 marzo 2007, n. 7524, in Contratti, 2008, 2, 132; Cass. 11 giugno 2001, n. 7852, cit., ove si afferma che: «Nel caso di negozi collegati, il collegamento deve ritenersi meramente occasionale, quando le singole dichiarazioni, strutturalmente e funzionalmente autonome, siano solo casualmente riunite, mantenendo l’individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sicché la loro unione non influenza la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano». V. anche Cass. 13 febbraio 1992, n. 1751, in Giur. it., 1993, I, 1, 1076, con nota di De Mari; Cass. 5 luglio 1991, n. 7415, cit.; Cass. 17 novembre 1983, n. 6864, cit.

[42] Si tratta del c.d. collegamento genetico, al quale si riconducono quei contratti che per la loro natura e funzione sono destinati a esercitare un influsso sulla vita di un altro contratto, determinandone la costituzione, la modificazione o l’estinzione, ovvero sono a esso legati da una dipendenza sul piano funzionale, senza pertanto influire sul funzionamento dello stesso (per alcuni esempi generalmente ricondotti a tale ipotesi di collegamento v., tra gli altri, A. Buonfrate, voce Contratti collegati, cit., 293, nt. 19). La categoria del collegamento genetico è stata, tuttavia, criticata dalla dottrina maggioritaria, la quale ne ha rilevato il carattere marginale rispetto all’indagine sui contratti collegati, dal momento che incide sul solo negozio e non sul rapporto giuridico. In questa prospettiva, si ritiene che di collegamento in senso proprio si possa parlare soltanto quando tra i negozi esista un nesso di tipo funzionale e, dunque, capace di influire sullo svolgimento del rapporto. In questo senso cfr., tra gli altri, F. Messineo, voce Contratto collegato, cit., 49 s., il quale, pur ritenendo la rilevanza del collegamento genetico marginale rispetto a quella del collegamento funzionale, non esclude del tutto la sua importanza: in tali casi, infatti, la nascita del secondo negozio e, dunque del rapporto, non avrebbe luogo se si prescindesse dal primo; G. Lener, Profili del collegamento negoziale, cit., 14 s.; A. Izzo, Il collegamento contrattuale, cit., 73 s. Particolarmente critico è poi F. Di Sabato, Unità e pluralità di negozi, cit., 434 ss., per il quale la categoria del collegamento genetico sarebbe del tutto priva di contenuto. Un’ulteriore distinzione proposta, questa volta diretta a porre in risalto la direzione operativa del nesso, è quella tra collegamento unilaterale e bilaterale, a seconda che solo uno dei negozi sia sensibile alle vicende dell’altro ovvero che tra i negozi intercorra una reciproca dipendenza (riassunta nella regola simul stabunt simul cadent) (in argomento v., tra gli altri, G. Schizzerotto, Il collegamento negoziale, cit., 162 ss.).

[43] È il c.d. collegamento funzionale, da molti considerato come l’unica ipotesi di collegamento vero e proprio in quanto da esso deriva un nesso giuridicamente rilevante tra i diversi contratti. A differenza del passato ove, sul presupposto che l’effetto del collegamento e dell’interdipendenza fra diverse prestazioni non fosse possibile al di fuori di uno stesso negozio (cfr., tra le tante, Cass. 5 agosto 1977, n. 3545, in Mass. Giur. it., 1977), oggi la rilevanza del collegamento funzionale emerge, altresì, dalla definizione di collegamento negoziale ripetutamente accolta da parte dei giudici, in cui si individuano tre elementi caratterizzanti: la pluralità di distinti negozi; l’esistenza di un nesso funzionale intercorrente fra gli stessi; la comunicazione delle vicende di un contratto all’altro sul piano degli effetti. È ricorrente, infatti, l’affermazione per cui: «Le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, possono dar vita a distinti e diversi contratti, contestuali o non contestuali, i quali, pur caratterizzandosi ciascuno in funzione della propria causa, conservando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale e rimanendo sottoposti alla relativa disciplina, vengono concepiti e voluti funzionalmente e teleologicamente collegati fra loro e posti in rapporto di reciproca interdipendenza, sì che le vicende dell’uno debbano ripercuotersi sull’altro, condizionandone la validità o l’efficacia», così Cass. 6 settembre 1991, n. 9388, in Mass. Giur. it., 1991. V. anche Cass. 27 aprile 1995, n. 4645, in Giust. civ. Mass., 1995, 912; Cass. 12 febbraio 1980, n. 1007, in Giur. it., 1981, I, 1, 1357; nonché le decisioni richiamate sopra sub nt. 37.

[44] Nell’ambito di tale tipo di collegamento si distingue, infatti, tra collegamento necessario e collegamento volontario, a seconda della diversa fonte da cui trae origine il fenomeno in discorso (in proposito v., tra gli altri, A. Izzo, Il collegamento contrattuale, cit., 74). Il collegamento necessario, definito anche strutturale o collegamento per volontà della legge, trova la sua fonte nella natura stessa dei contratti, nella loro struttura o nella funzione che l’uno adempie nei confronti dell’altro, per cui un contratto obiettivamente e necessariamente presuppone l’esistenza dell’altro, ovvero direttamente nella legge (v. però quanto osservato da R. Scognamiglio, voce Collegamento negoziale, cit., 378, per il quale anche con riferimento ai negozi collegati necessariamente il legame andrebbe ricondotto, seppur in via mediata, all’autonomia privata, giacché è ad essa che compete in concreto la scelta degli strumenti negoziali). Diverso da tale tipo di collegamento è il collegamento per volontà delle parti, in cui l’interdipendenza tra i diversi contratti nell’ambito del complessivo regolamento è unicamente frutto dell’autonomia privata (si evidenzia, tuttavia, come nella maggior parte dei casi i contraenti intendono unicamente perseguire determinati interessi, senza alcuna consapevolezza di porre in essere una pluralità di contratti. Per tali osservazioni cfr., tra gli altri, R. Scognamiglio, op. loc. cit., 380. Nello stesso senso cfr. C. Di Nanni, Collegamento negoziale, cit., 342). In tal caso, dunque, sono gli stessi contraenti che nella libera determinazione dei loro interessi possono concludere più contratti, i quali, pur conservando le caratteristiche del tipo cui appartengono e la loro autonomia, vengono tra di loro coordinati in vista di un fine economico che si presenta, nel suo complesso, unitario.

[45] Diversi sono i problemi interpretativi che emergono a seconda che si tratti di collegamento necessario ovvero di collegamento volontario (v. nota precedente). Nel collegamento necessario è, invero, dalle stesse norme di legge che regolano i diversi contratti che si può desumere la disciplina, l’intensità e le conseguenze del collegamento (al riguardo v., tra gli altri, A. Izzo, Il collegamento contrattuale, cit., 74, il quale evidenzia come il problema del collegamento necessario sia di fatto un problema di interpretazione della legge; A. Cataudella, I contratti. Parte generale5, Giappichelli, 2019, 244). Diversamente, nel collegamento volontario, ove la relazione tra due o più contratti strutturalmente autonomi nasce dalla direzione che i privati hanno loro impresso, si pongono problemi di accertamento, sia in merito all’esistenza in concreto di un programma economico unitario, sia con riferimento agli effetti che esso determina sui singoli contratti che ne rappresentano distinti momenti attuativi, per i quali sarà pertanto necessaria un’attenta analisi dell’operazione economica nel caso concreto (con riferimento ai criteri per condurre tale giudizio, l’orientamento più recente ritiene che la ricerca del nesso di collegamento non possa (solo) risolversi in un’indagine sulla volontà dei contraenti ma debba anche riguardare la verifica dell’esistenza di un elemento ulteriore di tipo oggettivo, costituito dall’esistenza di uno scopo economico comune che le parti devono aver inteso perseguire mediante la conclusione di diversi contratti. In proposito, cfr. A. Izzo, op. ult. cit., 74 e 78 s.; G. Lener, Profili del collegamento negoziale, cit., 9 ss. e 18 ss., per il quale l’accertamento dell’esistenza di un collegamento negoziale dovrebbe risolversi nella ricerca della volontà obiettivata nell’atto; C. Colombo, Operazioni economiche, cit., 253 ss., il quale invita a tener distinto il profilo relativo al fondamento della rilevanza del collegamento funzionale non necessario, da quello della sua concreta individuazione. Sul punto cfr., altresì, G. Ferrando, Recenti orientamenti, cit., 237, per la quale proprio in quanto il collegamento costituisce un particolare modo di esplicazione dell’autonomia privata, la sua ricostruzione è questione di interpretazione della funzione economica e sociale che le parti intendevano attribuire ai contratti nel contesto dell’operazione economica. La giurisprudenza è ormai unanime nell’affermare che al fine di poter ravvisare un collegamento negoziale tra negozi è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra più negozi, tutti diretti alla regolamentazione degli interessi delle parti nell’ambito di una finalità pratica unitaria, sia quello soggettivo, inteso quale comune intenzione delle parti di realizzare non solo l’effetto tipico di ciascun negozio ma anche uno scopo unitario, come derivante dal loro coordinamento: cfr., ex multis, Cass. 16 marzo 2006, n. 5851, in Giust. civ. Mass., 2006, 3; Cass. 17 dicembre 2004, n. 23470, ivi, 2004, 12. V., inoltre, Cass. 25 agosto 1998, n. 8410, in De Jure; Cass. 27 gennaio 1997, n. 827, in Foro it, 1997, I, 1142. Per l’impostazione meno recente, per la quale era necessaria la dimostrazione positiva della volontà delle parti diretta alla creazione di un nesso tra i contratti, v., per tutte, Cass. 22 luglio 1971, n. 2404, in Giust. civ., 1971, 1536 ss.).

[46] Hanno invece affermato la necessaria influenza delle vicende patologiche, tra gli altri, L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico, cit., 329 s.; F. Messineo, voce Contratto collegato, cit., 52 s.; A. Venditti, Appunti in tema di negozi giuridici collegati, cit., 271; M. Tamponi, Contributo, parte II, cit., 512. V., però, quanto osservato da C. Di Nanni, Collegamento negoziale, cit., 331 ss. e G. Schizzerotto, Il collegamento negoziale, cit., 195 s., per i quali il venir meno di un negozio per qualsiasi causa di invalidità non reagisce direttamente sull’altro, ma rende impossibile la realizzazione della finalità conseguita e, di conseguenza, il negozio collegato al primo diviene inutile. In senso critico verso l’applicazione generalizzata della regola richiamata, invece, tra gli altri, G. Ferrando, Recenti orientamenti, cit., 237 s.; A. Izzo, Il collegamento contrattuale, cit., 76 s.; G. Criscuoli, La nullità parziale, cit., 179, per il quale: «Non si può (…) stabilire a priori che, venendo meno uno dei negozi collegati, il collegamento tra gli altri negozi non possa più sussistere e tutti debbano cadere nel nulla. Bisogna giudicare di volta in volta, in concreto, della essenzialità della partecipazione di tutti i negozi»; N. Gasperoni, Collegamento e connessione tra negozi, cit., 385 s., il quale limita l’automatica ripercussione ai soli casi di negozi necessariamente connessi; A. Cataudella, I contratti, cit., 243 s. In giurisprudenza cfr., tra le altre, Cass. 1 ottobre 2014, n. 20726; Cass. 10 luglio 2008, n. 18884, entrambe in One Legale. Diversa è, invece, la soluzione di G. Lener, Profili del collegamento negoziale, cit., 217 ss., per il quale nell’ambito dei contratti collegati i vizi, genetici o funzionali, devono essere valutati e assumono rilievo nell’ambito del regolamento complessivo, ossia devono essere valutati come se si avesse un unico contratto.

[47] Nello specifico, mentre con riferimento al collegamento necessario, a fronte della struttura stessa dell’insieme negoziale, è senz’altro possibile dedurre una dipendenza – reciproca ovvero unilaterale, ove sussista un rapporto di accessorietà – delle vicende che interessano i contratti collegati, la cui intensità andrà poi valutata alla luce delle disposizioni normative di riferimento, per il collegamento volontario, rappresentando un modo di esplicazione dell’autonomia privata, è necessario, invece, aver riguardo al diverso rapporto tra i contratti come oggettivizzato nel regolamento contrattuale nel caso concreto. In tal caso, dunque, è dall’esame del complesso dell’operazione economica creata dai contraenti che è possibile individuare il tipo di relazione esistente tra i contratti collegati, non potendo assumersi come regola generale quella della necessaria influenza delle vicende patologiche che li riguardino.

[48] Cfr. F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile9, rist., Jovene, 1985, 216.

[49] V., al riguardo, le osservazioni di G. Criscuoli, La nullità parziale, cit., 179, per il quale occorre valutare, di volta in volta, l’essenzialità della partecipazione del negozio nullo, in quanto non può escludersi che secondo l’intento delle parti l’assetto di interessi perseguito in generale non possa perseguirsi con gli altri negozi.

[50] In questo senso, sulla regola di conservazione di cui all’art. 1419, cod. civ., G. Criscuoli, op. ult. cit., 103 ss. V. anche sopra, sub nt. 5.

[51] Al riguardo cfr., altresì, S. Poli, Appunti in tema di nullità parziale e di clausole di non concorrenza, in Giur. it., 1994, I, 2, 44, per il quale l’applicazione dell’art. 2596 cod. civ. alle clausole di non concorrenza inserite all’interno di un più ampio contratto dovrebbe essere ricollegata all’effettiva indipendenza funzionale di tali patti rispetto al loro contenitore, da valutare con i criteri proposti per il giudizio di nullità parziale (i quali guarderebbero, secondo l’A., all’assetto di interessi obiettivizzato dalle parti all’interno del contratto, tenuto conto sia del principio di buona fede e correttezza sia del comportamento delle parti).

[52] La questione in merito alla diretta applicabilità dell’art. 1419, comma 1, cod. civ., al collegamento negoziale non ha, invero, incontrato unanimità di opinioni. Per la tesi negativa v., tra gli altri, L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico, cit., 365, il quale, richiamando motivi meramente formali, evidenzia come la disposizione in commento si riferisca alla parte di un unico negozio. Altri autori, partendo dall’osservazione per cui la disposizione in esame costituisce espressione del principio di conservazione del contratto, hanno evidenziato come nel collegamento negoziale operi un principio esattamente opposto, dal momento che ogni singolo negozio deve ritenersi essenziale per il conseguimento dello scopo economico complessivamente programmato dalle parti. L’invalidità di un negozio collegato renderebbe impossibile, infatti, la realizzazione del risultato prefissato, con conseguente inutilità degli altri contratti non colpiti dal vizio, in applicazione del principio utile per inutile vitiatur. In questo senso, cfr. G. Schizzerotto, Il collegamento negoziale, cit., 197 e C. Di Nanni, Collegamento negoziale, cit., 292 ss. Per la tesi positiva v., invece, tra gli altri, F. Criscuolo, Ancora sulla compromettibilità ad arbitri, cit., 278; R. Sacco, voce Contratto collegato, cit., 240. Una diversa opinione, pur negando la diretta applicabilità della disposizione in commento, ritiene che dall’art. 1419, comma 1, cod. civ., in combinato disposto con l’art. 1424 cod. civ., sia possibile ricavare un principio generale per cui «l’iniziativa economica espressa in una pluralità di atti collegati debba mantenersi, seppure nella misura ridotta conseguente alla nullità di uno dei negozi, quando ciò sia conforme all’originario programma contrattuale»: così G. Castiglia, Negozi collegati in funzione di scambio, in Riv. dir. civ., 1979, II, 415 ss., il quale evidenzia, altresì, come a nulla varrebbe sostenere che per tale via si andrebbe ad applicare un criterio non espressamente previsto con riferimento al collegamento negoziale. Poiché, invero, la stessa elaborazione di quest’ultima figura è il risultato di un’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, svolta sulla base del concreto atteggiarsi dell’esperienza, allo stesso modo è necessario ricavare dal sistema i principi in grado di regolarla in modo coerente all’assetto di interessi perseguito con l’affare. Per questa soluzione v., altresì, E. Zerella, La nullità parziale, in Giust. civ., 1985, II, 390. Anche per G. Criscuoli, La nullità parziale, cit., 174 ss., il principio utile per inutile non vitiatur, da più parti ritenuto desumibile dall’art. 1419, comma 1, cod. civ., avrebbe una portata generale, applicabile anche al fenomeno del collegamento contrattuale, ove a cambiare è solo la struttura considerata; F. Festi, La clausola compromissoria, Giuffrè, 2001, 48 s.; F. Galgano, Trattato di diritto civile, cit., 600. In giurisprudenza, confermano l’applicabilità al collegamento negoziale delle regole desumibili dall’art. 1419, comma 1, cod. civ., stante la necessità di una considerazione unitaria della fattispecie, ex multis, Cass. 6 luglio 2015, n. 13888, in One Legale; Cass. 12 dicembre 1995, n. 12733, in De Jure; Cass. 30 maggio 1987, n. 4822, in Giust. civ., 1987, I, 2883, ove si è ritenuto di poter far riferimento alla disciplina in commento nell’ipotesi di negozi collegati in ragione della loro interdipendenza che determina una situazione di unitarietà teleologica; Cass. 12 febbraio 1980, n. 1007, cit.; nella giurisprudenza di merito, tra le altre, Trib. Arezzo 16 aprile 2020, n. 279, in De Jure.

[53] In proposito v. sopra, sub nt. 5.

[54] V. sopra par. 1.

[55] In merito alla riferibilità dell’art. 1419, comma 1, cod. civ., alle sole clausole accessorie e, dunque, alle sole clausole non essenziali per la stessa esistenza del contratto, v. quanto evidenziato sopra sub nt. 13.

[56] In proposito v., altresì, A. Gentili, Le invalidità, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno, E. Gabrielli, I contratti in generale2, II, a cura di E. Gabrielli, Utet, 2006, 1550, il quale evidenzia come la regola dettata dalla disposizione in esame, che fa leva sulla volontà delle parti, abbia in realtà carattere supplettivo, in quanto oltre alle ipotesi di sostituzione della clausola, in molti casi la conservazione del rapporto residuo non colpito dal vizio è imposta dalla legge (è il caso, ad esempio, dell’art. 1229 cod. civ.) (si è al riguardo parlato di nullità parziale legale, in contrapposizione a quella prevista dall’art. 1419, comma 1, cod. civ., detta volontaria).

[57] Nell’ambito del regolamento contrattuale i contraenti possono inserire, invero, un patto di inscindibilità al fine di escludere il mantenimento in vita del rapporto residuo ove solo una parte di esso risulti viziato, ovvero, al contrario, possono indicare la non essenzialità di una pattuizione in relazione all’accordo tra loro stipulato, al fine di evitare l’eventuale giudizio di nullità totale che risulterebbe dall’analisi dell’operazione economica nel caso concreto (o, ancora, senza esprimersi sull’essenzialità della pattuizione, possono escludere in via preventiva l’estensione dell’eventuale nullità parziale all’intero contratto); in quest’ultimo caso, la previsione della clausola non elimina, tuttavia, la necessità di un preventivo giudizio di carattere strutturale al fine di verificare l’autosufficienza del regolamento ridotto. In argomento v., tra gli altri, G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 261 ss.; R. Tuccillo, Clausole volte a escludere l’estensione della nullità parziale, in Clausole negoziali, a cura di M. Confortini, I, Utet, 2017, 1281 ss.

[58] In un primo momento, facendo maggiormente leva sulla lettera della norma, sono invero prevalse letture attente al dato psicologico della volontà dei contraenti e, dunque, alla loro intenzione. In questo contesto, esclusa la possibilità di individuare la volontà reale delle parti, ossia cosa i contraenti avrebbero voluto in caso di invalidità di una singola parte del negozio, ad eccezione delle ipotesi di un’espressa dichiarazione in tal senso (v. però, per tale soluzione, tra gli altri, L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico, cit., 365 ss.; E. Saracini, Nullità, cit., 23 ss.; M. Fragali, Clausole, cit., 324 s., per il quale assume tuttavia rilevanza anche la ricostruzione della volontà ipotetica, quale mezzo supplettivo, rispetto alla ricerca della volontà effettiva, dell’indagine in merito alla volontà delle parti), secondo le prime riflessioni avanzate in merito al criterio per decidere sulla conservazione del negozio l’interprete dovrebbe tener conto della c.d. volontà ipotetica (v., tra gli altri, A. Fedele, La invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Giappichelli, 1943, 155 s.). L’estensione della nullità andrebbe pertanto valutata sulla base del probabile e presumibile intento dei contraenti, tenuto conto dell’id quod plerumque accidit. In giurisprudenza sembra potersi riconoscere un’impronta di tipo soggettivo in, ex multis, Cass. 4 settembre 1980 n. 5100, in Mass. Giur. it., 1980; Cass. 8 giugno 1979, n. 3268, in Giust. civ. Mass., 1979, 6.

[59] Più recentemente sia la giurisprudenza che la dottrina hanno, invero, evidenziato i limiti della precedente impostazione, stante, tra l’altro, l’impossibilità pratica di accertare quello che i contraenti vollero in relazione all’ipotesi che una parte del regolamento pattuito si fosse rivelato viziato e, dall’altro lato, la stessa contraddizione insita in tale riferimento, giacché le parti, nel momento in cui concludono un contratto, vogliono stipularlo con tutte le sue clausole (A. Gentili, La risoluzione parziale, cit., 149 ss.; A. D’Adda, Nullità parziale, cit., 58 s.). Si è pertanto preferito far ricorso a criteri di carattere oggettivo per l’interpretazione dei contratti colpiti da nullità parziale. In particolare, pur con varietà di soluzioni, secondo questo orientamento l’indagine in merito alla volontà delle parti non dev’essere condotta sulla base di elementi psichici ma avendo riguardo alla struttura stessa del negozio, ossia verificando se il contratto residuo sia comunque compatibile con gli interessi perseguiti dalle parti: per tale soluzione v., tra gli altri, A. Cataudella, I contratti, cit., 407, per il quale occorre individuare la funzione concreta perseguita con il contratto, verificando se l’assetto di interessi conseguente all’efficacia parziale sia con essa congruente sebbene non coincidente; R. Tommasini, voce Nullità (dir. priv.), cit., 903; M. Tamponi, Contributo, parte I, cit., 115 s., secondo il quale per il giudizio sull’essenzialità o meno della parte colpita dal vizio dovrebbe aversi riguardo allo scopo perseguito dai contraenti; M. Casella, Nullità parziale del contratto, cit., 48, il quale evidenzia come l’art. 1419, comma 1, cod. civ., richieda al giudice di verificare se il regolamento risultante dalla riduzione dei precetti negoziali per effetto del vizio continui a corrispondere all’assetto di interessi perseguito dalle parti, ossia allo scopo pratico che esse si sono proposte; E. Roppo, Nullità parziale del contratto e giudizio di buona fede, in Riv. dir. civ., 1971, I, 707 ss., per il quale il giudice, chiamato a decidere in merito alla conservazione, dovrà accertare l’economia del contratto alla stregua della clausola di correttezza e buona fede. Accoglie in un secondo momento tale soluzione anche G. Criscuoli, Clausola illecita, cit., 1164. V., inoltre, A. Gentili, op. loc. cit., 162 ss., per il quale «la vis expansiva del vizio parziale è piuttosto un problema di funzionalità del patto residuo che di volontà dei contraenti». Il procedimento attraverso cui il giudice giunge a ritenere che le parti avrebbero o meno stipulato il negozio residuo è «più semplicemente un confronto logico di coerenza e compatibilità tra negozio originario e negozio residuo», condotto in base al materiale significante del negozio originario (ossia guardando alle dichiarazioni e ai comportamenti dei contraenti). In giurisprudenza, tra le altre, Cass. sez. un., 30 dicembre 2021, n. 41994, cit.; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2314, cit.; Cass. 11 luglio 2012, n. 11749, in Corr. giur., 2013, per la quale, al fine di stabilire se la pattuizione nulla debba ritenersi essenziale è necessario «procedere ad un confronto fra lo scopo pratico sotteso al programma originariamente divisato e il diverso assetto d’in­teressi che risulta dal contratto, depurato della clausola colpita da nullità, e valutare se quest’ultimo è ragionevolmente compatibile, in termini di causa in concreto e di buona fede, con il primo. Ciò non significa, beninteso, mettere fuori gioco la volontà privata e la ricerca della comune intenzione delle parti, fedelmente espressa dal significato delle parole usate nel contratto e del loro comportamento complessivo, anche successivo, dal giudizio di nullità; ma vuoi dire attribuire alla volizione delle parti rilevanza se ed in quanto essa disegna e concretizza l’operazione che, in termini oggettivi ed economici, le parti hanno inteso realizzare»; Cass. 5 luglio 2000, n. 8970, cit., per la quale l’indagine sull’essenzialità della pattuizione viziata ai fini dell’estensione della nullità richiede «una valutazione della potenziale volontà delle parti, che non è la volontà manifestata, ma quella obiettivamente ricostruibile sulla base del concreto regolamento di interessi»; Cass. 1 febbraio 1992, n. 1074, in Corr. giur., 1992, 638; Cass. 19 aprile 1982, n. 2411, in Mass. Giur. it., 1982. Per una disamina delle posizioni espresse nel corso del tempo in merito al giudizio imposto dall’art. 1419, comma 1, cod. civ., v., tra gli altri, A. Gentili, op. loc. cit., 149 ss.; S. Poli, Appunti in tema di nullità parziale, cit., 38 ss.

[60] V., al riguardo, le osservazioni di R. Sacco, Le invalidità, cit., 1511, il quale invita a non attribuire troppa rilevanza alla contrapposizione tra il criterio di buona fede e quello psicologico. La volontà di contrarre, proprio in quanto ipotetica, verrà infatti valutata con un certo grado di astrazione e, a sua volta, il criterio di buona fede userà quale parametro la volontà ipotetica. Evidenzia come il ricorso a criteri obiettivi non significhi irrilevanza dell’autonomia privata, altresì, M. Casella, Nullità parziale del contratto, cit., 34 s., per il quale si tratta di indagare la volontà rivolta allo scopo pratico perseguito dalle parti.

[61] Così Cass. 19 aprile 1982, n. 2411, cit. In senso conforme, tra le tante, Cass. 21 maggio 2007, n. 11673, in One Legale; Cass. 5 luglio 2000, n. 8970, cit.; Cass. 1 marzo 1995, n. 2340, in Giust. civ., 1995, I, 2438; Cass. 1 febbraio 1992, n. 1074, cit., ove al centro del giudizio si è posto «il permanere o meno dell’utilità del contratto in relazione agli interessi che si intendono attraverso di esso perseguire».

[62] Al riguardo v., tra gli altri, le osservazioni di A. D’Adda, Nullità parziale, cit., 44 ss., il quale evidenzia come non basti una verifica di ordine strutturale e, dunque, formale, per affermare l’eventuale salvezza del rapporto residuo (sebbene non si possa prescindere da una preventiva verifica della natura dell’atto invalidato), essendo di contro necessaria una seconda fase di giudizio di ordine sostanziale, per verificare il ruolo giocato dalla pattuizione nel complessivo regolamento; G. Criscuoli, Clausola illecita, cit., 1158 ss., per il quale occorrerebbe condurre un giudizio suddiviso in due momenti logici: innanzitutto è necessario accertare l’obiettiva scindibilità della parte colpita dal vizio dal resto del negozio e, successivamente, occorre verificare l’essenzialità o meno della parte nulla per l’economia dell’intero regolamento negoziale e, dunque se risulta giustificabile la conservazione delle sole clausole non colpite dal vizio. Nello stesso senso, M. Casella, Nullità parziale del contratto, cit., 46, il quale evidenzia la necessità di un giudizio a due fasi che tenga conto, in primo luogo, della struttura del negozio e, in particolare, della natura della clausola invalida, nonché, in secondo luogo, dell’opportunità di mantenere in vita il rapporto residuo.

[63] V. quanto evidenziato in precedenza in merito ai diversi tipi di collegamento individuati dalle classificazioni tradizionali.

[64] Del pari, con riferimento all’ipotesi di contratto unico v. quanto già evidenziato da Cass. 6 aprile 1970, n. 932, in Giust. civ., 1970, I, 805, per la quale la nullità parziale in luogo di quella totale può configurarsi «soltanto se la parte o la clausola del contratto non affetta da invalidità persegua un risultato configurabile come distinto ed abbia un’esistenza autonoma, e non se la clausola sia in correlazione inscindibile con il resto e funzioni da condicio causam dans o sine qua non».

[65] Al riguardo v., altresì, F. Festi, La clausola compromissoria, cit., 48 ss., il quale evidenzia come il principio generale sotteso agli artt. 1419, comma 1 e 1420 cod. civ., se applicato ai contratti collegati, consenta di affermare che la nullità di un contratto influenza l’efficacia dell’accordo connesso solo se il patto invalido risulti essenziale avuto riguardo agli scopi che le parti intendevano perseguire.

[66] In giurisprudenza, ex multis, Cass. 12 dicembre 1995, n. 12733, in De Jure, ove si legge che: «l’esistenza di un collegamento funzionale tra più negozi, pur non eliminando l’individualità giuridica dei singoli negozi collegati, che restano conseguentemente soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale, ne impone una considerazione unitaria…In questa prospettiva si afferma che il collegamento reagisce sull’efficacia e sulla validità di ciascuno dei negozi collegati, che dovranno essere conseguentemente verificate avendo riguardo all’interesse globalmente perseguito dalle parti; e che, pertanto, riveste un’importanza marginale stabilire se le pattuizioni intervenute tra le parti siano qualificabili come un unico contratto complesso o come più contratti collegati, posto che nell’uno e nell’altro caso sono applicabili le regole desumibili dall’art. 1419 c.c. in tema di invalidità parziale (e deve quindi ammettersi che l’invalidità di un contratto possa riflettersi sugli altri contratti che siano ad esso collegati, sempre che naturalmente la loro permanenza in vigore non sia compatibile con l’originario programma negoziale…)».

[67] È il caso in cui la validità di ogni negozio che forma il regolamento contrattuale complessivo costituisca conditio sine qua non della conservazione di tutti o, ancora, dell’ipotesi in cui, esistendo un rapporto di subordinazione, l’esistenza del contratto c.d. principale rappresenti il presupposto di fatto per l’efficacia del contratto collegato. Al riguardo, v. anche G. Criscuoli, La nullità parziale, cit., 180, il quale evidenzia come il giudizio sulla nullità parziale non sia possibile solo in quei casi in cui la partecipazione di tutti i negozi risulti essenziale già sul piano strutturale.

[68] Si osserva al riguardo, con specifico riferimento al problema della nullità parziale nell’ambito del singolo contratto, che «La nullità del patto residuo è dunque una nullità per mancanza di causa (in concreto)»: così A. Gentili, Le invalidità, cit., 1559.

[69] Per tale soluzione v. anche G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 259 ss., il quale invita a tener conto del legame che intercorre tra i patti in esame e il contratto cui accedono, nonché dell’idoneità dei primi a produrre effetti autonomi sulla base del regolamento di interessi nel caso concreto; F. Criscuolo, Ancora sulla compromettibilità ad arbitri, cit., 278, il quale richiama il meccanismo di cui all’art. 1419, comma 1, cod. civ., ai fini della verifica dell’effettiva indipendenza della clausola contratto dal resto del regolamento.

[70] Per una disamina del contrario orientamento diffuso in passato, per il quale alla clausola compromissoria avrebbe dovuto riconoscersi una mera posizione accessoria rispetto al contratto di riferimento, v. F. Festi, La clausola compromissoria, cit., 41 s.; G.B. Ferro, La clausola compromissoria, in AA.VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, rassegna coordinata da G. Alpa, II, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi, Utet, 1999, 619 s.; M. Zaccheo, Contratto e clausola compromissoria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, 424 s.

[71] Per tale soluzione v., tra gli altri, F. Carnelutti, Clausola compromissoria e competenza degli arbitri, in Riv. dir. comm., 1921, I, 327 ss., il quale è stato il primo autore a prendere le distanze dal precedente orientamento diretto ad affermare la natura accessoria della clausola compromissoria. L’A. ha in particolare evidenziato, in primo luogo, come con il termine «clausola» compromissoria il legislatore non abbia inteso stabilire un nesso giuridico tra questa e il contratto, ma solo far riferimento a una convenzione che viene pattuita «contemporaneamente» a un’altra o, più precisamente, in «occasione» di questa. L’autonomia della clausola rispetto al contratto «sostanziale» troverebbe inoltre conferma nella diversa funzione svolta dai due negozi: mentre con il contratto le parti regolano un loro conflitto di interessi, individuando un punto di equilibrio nel quale tale conflitto si compone, con la clausola compromissoria i contraenti intendono invece cercare il giudice più idoneo per la composizione delle controversie. Tali diverse funzioni riflettono, a ben vedere, i differenti piani, sostanziale e processuale, in cui il contratto e la clausola compromissoria operano. Confermano l’autonomia della clausola compromissoria, tra i tanti, F. Festi, La clausola compromissoria, cit., 42 ss.; G.B. Ferro, La clausola compromissoria, cit., 620 ss.; G. Schizzerotto, Dell’arbitrato2, Giuffrè, 1982, 135 ss.; G. Criscuoli, La nullità parziale, cit., 185, in particolare nt. 92; F. Criscuolo, Ancora sulla compromettibilità ad arbitri, cit., 277 s., per il quale il principio in merito all’autonomia della clausola compromissoria avrebbe assunto le vesti di un vero e proprio dogma; G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 241. In giurisprudenza cfr., ex multis, Cass. 8 febbraio 2022, n. 3934, in One Legale; Cass. 22 gennaio 2020, n. 1439, in Riv. arb., 2020, 2, 283; Cass. 31 ottobre 2011, n. 22608, in Giust. civ., 2012, 3, I, 694 (le quali hanno affermato la sopravvivenza della clausola compromissoria contenuta in un preliminare di compravendita non riprodotta nel contratto definitivo, sul presupposto della natura autonoma della clausola, con funzione distinta dal contratto preliminare); Cass. 30 settembre 2010, n. 20504, in Giust civ. Mass., 2010, 9, 1273; Cass. 11 luglio 2003, n. 10910, in Giust. civ., 2004, I, 1555; Cass. 14 aprile 2000, n. 4842, cit.; Cass. 12 marzo 1990, n. 2011, in Giust. civ. Mass., 1990, 3. L’autonomia della clausola compromissoria sembra del resto aver trovato, altresì, supporto nella legge, laddove l’art. 808, comma 2, prima parte, cod. proc. civ., dispone che i requisiti di validità di tale clausola devono essere accertati in modo autonomo rispetto a quelli del contratto cui accede. La clausola compromissoria avrebbe invece natura accessoria, tra gli altri, per N. Irti, Compromesso e clausola compromissoria nella nuova legge sull’arbitrato, in Riv. arb., 1994, 4, 654, secondo il quale l’art. 808, comma 2, prima parte, cod. proc. civ., dando per presupposta la natura accessoria della clausola compromissoria, in quanto «si riferisce» ad un contratto, disporrebbe un isolamento normativo del patto. Nello specifico, ai sensi della citata disposizione il giudizio di validità della clausola compromissoria andrebbe svolto in modo autonomo e, dunque, secondo criteri propri del patto, indipendentemente dalle vicende che interessano il contratto. Similmente v. M. Confortini, La clausola compromissoria, in Arbitrato. Profili di diritto sostanziale e processuale, a cura di G. Alpa e V. Vigoriti, Utet, 2013, 688 ss., anche nt. 30, per il quale l’autonomia della clausola compromissoria, sancita, altresì, da ultimo dal legislatore, sarebbe un predicato del giudizio e non della clausola stessa. In questo senso, la clausola compromissoria sarebbe, dunque, quanto al giudizio di validità, indipendente dal contratto che la contiene, del quale, tuttavia, concorrerebbe a determinare il contenuto e del quale formerebbe parte integrante. Affermano la natura accessoria della clausola compromissoria contenuta all’interno di un contratto, altresì, C. Colombo, Operazioni economiche, cit., 241, nt. 204; G. Andreotti, Le metaclausole, cit., 194, nt. 30.

[72] Cfr. le osservazioni di Carnelutti richiamate nella nota precedente.

[73] V., al riguardo, P. Rescigno, Arbitrato e autonomia contrattuale, in Riv. arb., 1991, 1, 23, il quale individua nella clausola compromissoria un atto bivalente, caratterizzato, al contempo, da «indipendenza funzionale» e «appartenenza strutturale».

[74] Tra la clausola compromissoria e il contratto principale può, infatti, individuarsi una tendenziale, anche se non necessaria, contestualità e una unilaterale implicazione logica.

[75] V., tra gli altri, M. Zaccheo, Contratto e clausola compromissoria, cit., 432 s., per il quale in tal caso il collegamento assumerebbe rilevanza nella sola formazione dei due negozi, ove il contratto rappresenta il presupposto dell’esistenza della clausola arbitrale; E. Zucconi Galli Fonseca, Collegamento negoziale e efficacia della clausola compromissoria: il leasing e altre storie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 4, 1101 s., in particolare nt. 59; Id., Clausola compromissoria, in Arbitrato. Artt. 806-8403, commentario diretto da F. Carpi, Zanichelli, 2016, 174 s. V., inoltre, G.B. Ferro, La clausola compromissoria, cit., 623 e, in giurisprudenza, tra le tante, Cass. 31 ottobre 2011, n. 22608, cit.; Cass. 14 aprile 2000, n. 4842, cit., le quali escludono la presenza di un rapporto di dipendenza in senso tecnico, che si concreterebbe nell’impossibilità per il negozio accessorio di esistere separatamente da quello principale.

[76] È il caso, ad esempio, della mancanza di forma scritta.

[77] V. E. Zucconi Galli Fonseca, La convenzione d’arbitrato, in L’arbitrato, a cura di L. Salvaneschi, A. Graziosi, Giuffrè, 2020, 115; N. Soldati, Le clausole compromissorie nelle società commerciali, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, Giuffrè, 2005, 8; A. Marini, Note, cit., 411. In giurisprudenza, ex multis, Cass. 29 novembre 2021, n. 37266, in One Legale; Cass. 28 ottobre 2021, n. 30531, ivi; Cass. 8 febbraio 2005, n. 2529, in Giust. civ., 2006, I, 174; Cass. 9 dicembre 1949, n. 2564, in Giur. it, I, 1, 154 ss.

[78] In questo senso, dunque, il vizio che riguarda il rapporto principale non coinvolge necessariamente anche la clausola compromissoria, ma è necessaria una autonoma valutazione. Ad esempio, nel caso in cui il contratto principale risulti annullabile perché stipulato da un incapace di intendere e di volere, non necessariamente deve ritenersi viziata anche la clausola compromissoria. Può accadere, infatti, che i due negozi vengano stipulati in momenti diversi e che il soggetto che versa in stato di incapacità di intendere e di volere al momento del contratto stipuli, invece, la successiva clausola in condizioni di piena capacità (al riguardo v., tra gli altri, M. Zaccheo, Contratto e clausola compromissoria, cit., 441); G. Schizzerotto, Dell’arbitrato, cit., 135, il quale evidenzia come la clausola compromissoria sia un autonomo negozio giuridico e pertanto non vive la vita del contratto cui accede. Per l’opposta soluzione condivisa in passato, conseguente all’assunto circa la natura accessoria della clausola compromissoria, cfr. le decisioni e la dottrina richiamati da F. Festi, Clausola compromissoria e contratto illecito, in Corr. giur., 1997, 12, 1434, 1435.

[79] Al riguardo v., tuttavia, le osservazioni di G.B. Ferro, La clausola compromissoria, cit., 625, il quale, pur condividendo la necessità di non confondere il concetto di autonomia della clausola con quello di indipendenza, evidenzia giustamente la necessità di non sottovalutare l’importanza del primo, dal momento che se non si affermasse l’autonomia della clausola rispetto al contratto non si potrebbe neppure discutere della sua indipendenza.

[80] V. le osservazioni di Carnelutti riportate sopra sub nt. 71.

[81] In proposito vedi anche quanto evidenziato da F. Festi, La clausola compromissoria, cit., 47 s., per il quale non è possibile escludere del tutto che il negozio processuale venga influenzato dal rapporto, dal momento che il primo presuppone necessariamente l’esistenza o quanto meno la prospettabilità del secondo; Id., Clausola compromissoria e contratto illecito, cit., 1440 s. V., inoltre, A. Marini, Note, cit., 413, per il quale l’autonomia causale della clausola compromissoria non sarebbe sufficiente a risolvere il problema dell’influenza dei vizi, dovendosi anche indagare la misura e l’intensità del collegamento e, dunque, la concreta indipendenza della clausola rispetto al contratto cui accede. Ciò esclude, pertanto, la possibilità di accogliere quelle soluzioni più estreme che, nel porre l’accento sull’autonomia della clausola compromissoria, negano qualsiasi rilevanza giuridica al rapporto tra la clausola arbitrale e il contratto di riferimento (v., ad esempio, G.B. Ferro, La clausola compromissoria, cit., 626 s.; G. Schizzerotto, Dell’arbitrato, cit., 134 ss.; Cass. 14 aprile 2000, n. 4842, cit.). È necessario poi considerare che a volte è la stessa legge ad attribuire rilievo al carattere di accessorietà della clausola rispetto al contratto, sottoponendola alla disciplina di quest’ultimo. È il caso, ad esempio, dell’art. 808, comma 2, cod. proc. civ., in merito al potere di rappresentanza per la stipula della clausola compromissoria.

[82] Nel silenzio dei contraenti si deve, tuttavia, ritenere che la competenza arbitrale si estenda a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce: cfr. art. 808-quater, cod. proc. civ. Anche prima dell’introduzione della citata disposizione da parte del legislatore la giurisprudenza si era già espressa nel senso della più ampia operatività della clausola compromissoria in assenza di indicazioni contrarie da parte dei contraenti: v., ex multis, Cass. 20 febbraio 1997, n. 1559, in Giust. civ. Mass., 1997, 280: «la clausola compromissoria, che si riferisce genericamente alle controversie nascenti dal contratto cui si riferisce, in mancanza di espressa volontà contraria, deve essere interpretata nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie che si riferiscono a pretese aventi la loro causa petendi nel contratto medesimo. V. anche Coll. arb. 20 giugno 1990 (Roma), in Riv. arb., 1992, 339 ss.

[83] Per tale soluzione v., altresì, F. Festi, La clausola compromissoria, cit., 50 s. Quanto evidenziato trova applicazione anche per altre situazioni di inefficacia del solo rapporto sostanziale diverse dalla nullità. Ad esempio, la clausola compromissoria è idonea a sopravvivere in caso di simulazione del contratto in cui è inserita, ove non simulata anch’essa, ogniqualvolta tale specifica causa di inefficacia rientri nell’oggetto della convenzione arbitrale stipulata dalle parti. Il medesimo ragionamento vale altresì, tra l’altro, nel­l’ipotesi di risoluzione del contratto sostanziale (al riguardo, v. F. Festi, op. loc. cit., 51). In giurisprudenza, ex multis, Cass. 28 ottobre 2021, n. 30531, cit.; Cass. 19 dicembre 2000, n. 15941, in One Legale.

[84] Così, tra le tante, Cass. 12 marzo 1990, n. 2011, cit. (massima).

[85] In questo senso v., tra gli altri, A. Zoppini, La pena contrattuale, Giuffrè, 1991, 209 s., il quale evidenzia come con la clausola penale i contraenti intendano perseguire un risultato diverso, anche se talvolta coincidente, rispetto a quello perseguito con il contratto principale, che si sostanzia nella volontà di sottoporre il debitore inadempiente a una determinata prestazione nei confronti del creditore. A parere dell’A., tuttavia, l’alternativa tra autonomia e accessorietà della clausola penale non inciderebbe in modo significativo sulla struttura e sulla funzione del patto; Id., La clausola penale e la caparra, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno, E. Gabrielli, I contratti in generale2, cit., 1016; V. M. Trimarchi, voce Clausola penale, in Noviss. Dig. it., III, Utet, 1959, 351 s.; Id., La clausola penale, Giuffrè, 1954, 27; A. Magazzù, voce Clausola penale, in Enc. dir., VII, Giuffrè, 1960 189 s.; A. Marini, La clausola penale, Jovene, 1984, 69 s., il quale evidenzia come la clausola penale non partecipi alla definizione del regolamento contrattuale ma interviene solo ove quest’ultimo non trovi compiuta attuazione; M. Franzoni, La clausola penale, in Diritto civile, diretto da N. Lipari, P. Rescigno, III, Obbligazioni, II, Il contratto in generale, Giuffrè, 2009, 676; F. Galgano Trattato di diritto civile, cit., 599 s., il quale individua nella clausola penale una causa autonoma, distinta dalla causa del contratto cui si riferisce e al quale risulta legata da un nesso di accessorietà. In giurisprudenza, ex multis, Cass. 7 marzo 1964, n. 486, in Mass. Giur. it., 1964, 150; Cass. 20 luglio 1960, n. 2036, in Giust. Civ. Rep., 1960, voce Obbligazioni e contratti, n. 63, secondo la quale: «la clausola penale, anche quando assume il carattere di una pattuizione accessoria rispetto al contenuto di un determinato negozio, presenta, a differenza di ogni altra clausola negoziale, una causa propria e autonoma, anche se eventualmente complementare a quella del contratto principale»; più di recente, tra le altre, Cass. 24 aprile 2018, n. 10046, in One Legale. V., tuttavia, tra gli altri, R. Scognamiglio, I contratti in generale3, in Trattato di diritto civile, diretto da G. Grosso, F. Santoro-Passarelli, IV, II, Vallardi, 1975, 150 s., il quale evidenzia come la ricostruzione diretta ad affermare l’autonomia della clausola penale contrasti con la natura giuridica del patto, giacché esso si conclude, e può operare, solo in stretto riferimento al contratto che prevede l’obbligazione cui si riferisce, completandone così il contenuto sul piano della disciplina delle conseguenze dell’inadempimento; A. Cataudella, Sul contenuto del contratto, cit., 219 s.; G. Mirabelli, Delle obbligazioni. Dei contratti in generale3, in Commentario del codice civile, IV, II, Utet, 1980, 333. In giurisprudenza accolgono quest’ultima soluzione, ex multis, Cass. 26 settembre 2005, n. 18779, in De Jure; Cass. 6 novembre 1998, n. 11204, ivi. Con riferimento alle diverse conseguenze in tema di prescrizione, nullità e annullabilità, derivanti dall’imposta­zione seguita, v., tra gli altri, F. Camilletti, La clausola penale: profili giuridici, in Contr. impr., 2014, 1, 178 s.

[86] Non vi è invero unanimità di opinioni in merito alla funzione che la penale è chiamata ad assolvere. Per una parte della dottrina la penale avrebbe una funzione risarcitoria, di liquidazione preventiva e forfettaria del danno (cfr., tra i tanti, C.M. Bianca, La responsabilità, in Diritto civile, V, Giuffrè, 2021, 242 ss.). Secondo un diverso orientamento la prevalente funzione della penale sarebbe di tipo afflittivo, in quanto, oltre a predeterminare l’ammontare del risarcimento del danno, sarebbe diretta a reprimere l’inosservanza degli obblighi contrattuali (svolgerebbe invece unicamente una funzione punitiva per V.M. Trimarchi, voce Clausola penale, cit., 351 s. [con riferimento alla c.d. penale pura] e A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., 189, per i quali la clausola penale darebbe vita ad una pena privata). Altri autori hanno evidenziato la duplice funzione della penale, sia coercitiva che risarcitoria (in questo senso cfr., tra gli altri, G. Mirabelli, Delle obbligazioni. Dei contratti in generale, cit., 334 s.). Un’altra opinione ritiene, invece, che la penale possa esercitare, di volta in volta, funzioni diverse, per cui non sarebbe possibile individuarne una funzione tipica: le parti possono invero inserire una penale per creare convenzionalmente una sanzione, per indurre il debitore ad adempiere, ovvero per limitare il risarcimento o, ancora, per evitare controversie sulla misura del danno (cfr. G. De Nova, Clausola penale, in Dig. civ., II, Utet, 1988, 379; M. Franzoni, La clausola penale, cit., 673). Per una disamina delle diverse opinioni espresse al riguardo v., tra gli altri, C. M. Bianca, op. loc. cit., 242 ss.; L. Bozzi, La clausola penale tra risarcimento e sanzione: lineamenti funzionali e limiti dell’autonomia privata, in Eur. dir. priv., 2005, 4, 1099 ss.; G. Smorto, voce Clausola penale, in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg. VIII, Utet, 2013, 142 ss. La giurisprudenza dominante individua nella clausola penale uno strumento per il rafforzamento del vincolo contrattuale e per la liquidazione preventiva della prestazione risarcitoria: cfr., ex multis, Cass. 19 gennaio 2007, n. 1183; in De Jure; Cass. 10 giugno 1991, n. 6561, in Mass. Giur. it., 1991; Trib. Pavia 27 aprile 2022, n. 580, in De Jure.

[87] Una parte della dottrina ritiene che la clausola penale possa riferirsi anche a obbligazioni di fonte non contrattuale. In questo senso cfr., tra gli altri, A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., 190; G. De Nova, Clausola penale, cit., 377 s.; A. Zoppini, La pena contrattuale, cit., 214 ss. Con riferimento alla disciplina previgente v. G. Piola, voce Clausola penale, in Dig. it, VII, Utet, 1987-1902, 365 s. Di avviso contrario, tra gli altri, G. Mirabelli, Delle obbligazioni. Dei contratti in generale, cit., 333; L. Bozzi, La clausola penale tra risarcimento e sanzione, cit., 1092 ss.

[88] La clausola penale può invero riguardare anche una soltanto, o solamente alcune, delle obbligazioni nascenti dal contratto (cfr. G. De Nova, Clausola penale, cit., 377 s.).

[89] Tra la clausola penale e il negozio principale si individua, infatti, un collegamento necessario che si specifica nell’accessorietà della prima rispetto al secondo. In questo senso, v. tra gli altri, A. Zoppini, La pena contrattuale, cit., 211; A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., 190.

[90] Cfr. F. Camilletti, La clausola penale, cit., 2014, 1, 180, il quale evidenzia come a seguito della nullità del rapporto principale la clausola penale rimarrebbe priva di causa, dal momento che dai contratti nulli non può sorgere alcun obbligo giuridico alla cui violazione è invece subordinata la penale; A. Zoppini, La pena contrattuale, cit., 211 s.; L. Bozzi, La clausola penale tra risarcimento e sanzione, cit., 1091. In giurisprudenza, ex multis, Cass. 15 febbraio 2002, n. 2209, in Giust. civ. Mass., 2002, 248, la cui massima evidenzia come la validità del contratto costituisca un presupposto logico e giuridico della clausola penale e, pertanto, quest’ultima non può operare nell’ipotesi di nullità del contratto. V. anche G. Piola, voce Clausola penale, cit., 373.

[91] Confermano la possibilità di far valere la penale per l’inadempimento nell’ipotesi di risoluzione del contratto, tra gli altri, C. M. Bianca, La responsabilità, cit., 250; M. Franzoni, La clausola penale, cit., 681, il quale evidenzia come nonostante la perdita di efficacia del contratto, in tal caso la clausola penale rimarrebbe in vita al limitato fine di risarcire il danno nella misura predeterminata convenzionalmente; G. De Nova, Clausola penale, cit., 380; A. Zoppini, La pena contrattuale, cit., 206; P. Iamiceli, Art. 1382-Effetti della clausola penale, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Dei contratti in generale (artt. 1350-1386), a cura di E. Navarretta e A. Orestano, Utet, 2011, 984. Per tale soluzione, al tempo del codice previgente, v. G. Piola, voce Clausola penale, cit., 373. In giurisprudenza, ex multis, Cass. 31 ottobre 2018, n. 27994, in De Jure, la quale nell’escludere il cumulo tra la domanda di adempimento della prestazione principale e quella diretta a ottenere la penale per l’inadempimento (a differenza della penale per il ritardo), ammette la possibilità di richiedere contestualmente alla risoluzione del contratto il risarcimento del danno da inadempimento e la penale per il ritardo, ovvero, cumulativamente, la penale per il ritardo e quella per l’inadempimento; Cass. 28 agosto 2007, n. 18195, in Rep. Foro it., 2007, Contratto in genere, n. 370. In senso conforme, in precedenza, tra le tante, v. Cass. 28 novembre 1989, n. 5185, in De Jure, la quale ammette la coesistenza della clausola penale anche con la previsione pattizia della risoluzione di diritto del contratto; Cass. 13 luglio 1984, n. 4120, in Mass. Giur. it., 1984.

[92] La possibilità della clausola penale di mantenere una vitalità propria nonostante la risoluzione del contratto deriva, a ben vedere, dalla sua natura di negozio autonomo.

[93] Non sorgono dubbi, invece, in merito all’applicabilità della norma ai patti di non concorrenza autonomi. Al riguardo, cfr., altresì, G. Ferri, voce Patto di concorrenza, in Enc. dir., XXXII, Giuffrè, 1982, 508.

[94] In tal caso la durata dell’obbligo di non concorrenza coinciderà con la durata del contratto cui accede, anche se superiore al quinquennio previsto dall’art. 2596 cod. civ.

[95] L’orientamento maggioritario ritiene, invero, che i limiti di cui all’art. 2596 cod. civ. non trovino applicazione solo con riferimento a quei patti di non concorrenza che, inseriti come patti aggiunti a un determinato contratto, costituiscano parte integrante della sua funzione economica e, dunque, della causa di quel contratto; di contro, sarebbero soggetti alla norma in esame tutti quei patti che, pur essendo inseriti in un diverso e più ampio contratto, svolgano, tuttavia, una distinta e autonoma funzione. Per tale soluzione in dottrina v., tra gli altri, G. Ferri, voce Patto di concorrenza, cit., 508 s.; S. Palmieri, Scioglimento della società e patto di non concorrenza: la “causa concreta” approda in Cassazione?, in Corr. giur., 1998, 1, 83 s., i quali evidenziano come una simile soluzione trovi implicita conferma in numerose disposizioni. È il caso, ad esempio, dell’art. 2105 cod. civ., il quale per tutta la durata del rapporto vieta al prestatore di lavoro di svolgere attività in concorrenza con quella dell’imprenditore, laddove l’art. 2125 cod. civ., prevede, invece, l’applicazione dei limiti temporali di cui all’art. 2596 cod. civ. al patto di non concorrenza stabilito tra i medesimi soggetti per il periodo successivo alla cessazione del rapporto. Nel senso che la disposizione in commento troverebbe applicazione solo per i patti di non concorrenza che si presentino autonomi sebbene inseriti in un contratto più ampio, altresì, S. Poli, Appunti in tema di nullità parziale, 44, a parere del quale l’applicazione dell’art. 2596 cod. civ. andrebbe ricollegata alla sussistenza di un’indipen­denza funzionale del patto di non concorrenza dal negozio contenitore, da valutare alla stregua dei criteri proposti per il giudizio di nullità parziale; L. Albertini, Sui patti accessori di non concorrenza, in Giust. civ., 1998, 816. V., però, T. Ravà, Diritto industriale, I, Utet, rist., 1986, 200, il quale critica il riferimento alla causa ai fini della valutazione dell’accessorietà del patto in esame rispetto al contratto in cui è inserito. A parere dell’A. occorrerebbe invece aver riguardo agli effetti del patto e, dunque, verificare se il vincolo di non concorrenza sia destinato a operare durante l’esecuzione del contratto di riferimento ovvero in un momento successivo: solo in quest’ultimo caso troverà applicazione il limite temporale di cui all’art. 2596 cod. civ., laddove nel primo caso il vincolo si estenderebbe per tutta la durata del rapporto. In giurisprudenza, ex multis, Cass. 4 febbraio 2000, n. 1238, in Foro it., 2000, I, 1595; Cass. 6 agosto 1997, n. 7266, in Corr. giur., 1998, 1, 80 ss.; App. Torino 28 settembre 1992, in Giur. it., 1994, I, c. 38 ss. Non mancano, tuttavia, opinioni di segno contrario, per le quali il limite temporale di cui all’art. 2596 cod. civ. riguarderebbe qualsiasi convenzione restrittiva della concorrenza. In questo senso v., tra gli altri, M. Scardigli, Patto di esclusiva e limite convenzionale alla libera concorrenza, in Foro it., 1960, I, 468 s. Il quesito in merito all’applicazione o meno della disposizione in commento non si pone, invece, nei casi in cui è la stessa legge a far coincidere l’obbligo di non concorrenza con la durata del contratto ovvero ad applicare la limitazione temporale prevista dall’art. 2596 cod. civ. Al riguardo cfr. G. Ferri, op. loc. cit., 508, e ivi anche un elenco delle disposizioni di riferimento.

[96] Cfr. Cass. 6 agosto 1997, n. 7266, cit. Diverso è, invece, il caso in cui il patto di non concorrenza risulti strettamente connesso, sotto il profilo causale, al contratto principale, come nel caso in cui il contratto principale instauri un rapporto di tipo collaborativo tra le parti e la mancanza di concorrenza ne costituisca l’inevitabile corollario. V. anche Cass. 23 settembre 2013, n. 21729, in Giust. civ. mass., 2013, ove la Corte ha escluso l’applicazione dell’art. 2596 cod. civ. a una clausola di esclusiva inserita in un contratto di somministrazione, non assumendo la clausola, nel caso di specie, «una posizione prevalente nell’economia del contratto sino a staccarsi causalmente dal contratto di somministrazione e da fare emergere un’autonoma funzione regolatrice della concorrenza».

[97] Si sofferma sul legame esistente tra il patto di non concorrenza e il contratto di scioglimento della società, tra gli altri, L. Albertini, Sui patti accessori di non concorrenza, cit., 819, il quale osserva, tra l’altro, come in taluni casi tale collegamento possa atteggiarsi, nel caso concreto, anche come bilaterale, ove non solo il patto di non concorrenza non avrebbe senso avulso dal contratto principale ma, al contempo, il contratto di scioglimento non sarebbe stato concepito senza la clausola di non concorrenza.

[98] V. anche G. Sicchiero, La clausola contrattuale, cit., 259.