Lo scritto affronta il tema della rinunzia all'eredità da parte del chiamato nel possesso di beni ereditari, approfondendo la questione della necessità per tale soggetto di erigere l’inventario anche nell’ipotesi in cui rinunzi all'eredità entro il termine trimestrale di cui al primo comma dell’art. 485 c.c. Contestate le diverse ragioni addotte in dottrina al fine di negare tale necessità, si giungerà a sostenere l’applicabilità dell’acquisto ex lege dell’eredità di cui al secondo comma dell'art. 485 c.c. al c.d. rinunziante tempestivo, alla luce di una indagine volta a comprendere l'effettiva ratio delle previsioni normative richiamate e lo scopo a cui in esse l'inventario deve ritenersi preposto.
This article deals with the issue of the waiver of succession by the heir in possession of hereditary assets and explores the problematic of the burden to draw up the inventory even in the event that the heir renounces the inheritance within the quarterly term referred to in the first paragraph of Article 485 of the civil code. Disputed the various arguments of doctrine against this burden, it will come to support the applicability of the case of inheritance purchase referred to in the second paragraph of Article 485 of the civil code to the heir renounces the estate within the above deadline, in view of the effective ratio of the aforementioned provisions and the purpose for which the inventory must be considered assigned in them.
1. Il problema dell’applicabilità del 2° comma dell’art. 485 cod. civ. all’ipotesi di rinuncia tempestiva da parte del chiamato all’eredità. Il contrasto delineatosi all’interno della giurisprudenza di legittimità - 2. Le posizioni della dottrina contrarie alla necessità di inventario. L’argomentazione letterale: la mancata ricorrenza di uno dei presupposti di operatività della fattispecie di acquisto ex lege dell’eredità. Critica. La permanenza della delazione in capo al rinunziante - 3. Segue. L’argomentazione funzionale: l’assenza di ragioni nell’onere di inventario in capo al rinunziante. Critica. Necessità di una corretta individuazione della generale funzione dell’inventario e della ratio dei primi due commi dell’art. 485 cod. civ. Rinvio - 4. Segue. La tesi dell’«obbligo» di inventario quale espressione della curatela del chiamato possessore e del venir meno di tale obbligo in capo al rinunziante per l’estinzione immediata dei poteri di amministrazione conservativa dell’eredità. Critica. L’«onere» di inventario quale elemento estraneo alla gestione conservativa del patrimonio ereditario - 5. L’individuazione della ratio alla base della fattispecie di cui ai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. e la applicabilità dell’acquisto ex lege dell’eredità in essa previsto al rinunziante tempestivo senza inventario - NOTE
La questione della necessità per il chiamato nel possesso di beni ereditari [1], che intenda rinunciare efficacemente all’eredità, di fare l’inventario ha negli ultimi due decenni riacceso le attenzioni della dottrina, soprattutto a seguito di alcune pronunce di legittimità e di merito che, ponendosi in contrasto con quello che poteva senz’altro dirsi l’orientamento predominante, hanno riportato alla luce il tema in chiave problematica.
Le disposizioni normative da prendere primariamente in considerazione sono quelle contenute nell’art. 485 cod. civ., in particolare nei suoi primi due commi, le quali, ponendosi in un rapporto di specialità rispetto alla disciplina generale di cui all’art. 519 cod. civ. [2], impongono al chiamato possessore di fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità, prevedendo che, decorso tale termine (prorogabile per ulteriori tre mesi con pronuncia del tribunale) senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità debba essere considerato erede puro e semplice.
Se dal riferito articolato normativo nessun dubbio è sorto, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, in merito alla operatività del previsto acquisto ex lege dell’eredità nell’ipotesi di rinunzia successiva al suddetto termine di tre mesi non preceduta dalla redazione dell’inventario entro lo stesso termine (c.d. rinunzia tardiva) [3], non altrettanto lineare è stata la soluzione a cui si è pervenuti con riguardo al caso del chiamato che rinunzi all’eredità entro i tre mesi dall’apertura della successione o dalla conoscenza della devoluzione senza fare l’inventario entro il medesimo termine (c.d. rinunzia tempestiva). Da un lato, infatti, chiara è risultata la lettera della norma nel senso di impedire la rinuncia tardiva, la quale sarebbe sicuramente inefficace in quanto, essendo trascorso il termine indicato senza erezione dell’inventario, al momento della rinuncia si sarebbe già perfezionata la fattispecie tipica di acquisto ex lege di cui all’art. 485, 2° comma, c.c [4]. Dall’altro lato, invece, più oscura e problematica si è rivelata la prospettabilità dell’efficacia di una rinuncia anteriore al decorso del termine di tre mesi (intervenuta, dunque, prima del compiersi dell’acquisto automatico dell’eredità di cui all’art. 485 c.c.) non accompagnata dalla predisposizione entro quello stesso termine dell’inventario [5].
La giurisprudenza, pronunciatasi con più frequenza in relazione a casi di rinunce tardive [6], aveva espresso in tema di rinunce tempestive un orientamento più risalente, ribadito per alcuni decenni, secondo cui la rinuncia all’eredità operata dal chiamato possessore entro i tre mesi dall’apertura della successione non avrebbe dovuto essere preceduta dalla redazione dell’inventario [7]. Tale rinuncia, secondo uno dei primi arresti sul punto, sarebbe stata senz’altro efficace poiché il suo esercizio «nel corso del trimestre è infatti d’ostacolo al compimento della fattispecie legale dianzi indicata, e toglie al possesso a qualsiasi titolo dei beni ereditari da parte del chiamato quel carattere d’equivocità e di pericolosità che esso, nel pensiero del legislatore, acquista se si protrae per oltre un trimestre senza che il chiamato abbia compiuto o almeno cominciato l’inventario ovvero rinunziato all’eredità, e che giustifica, sul piano razionale, la sanzione dell’acquisto di pieno diritto dell’eredità indipendentemente da qualsiasi accettazione» [8]. D’altro canto, l’opposta affermazione della necessità di far seguire alla rinuncia tempestiva il compimento dell’inventario nel termine prescritto è stata, in altra occasione, ritenuta palesemente erronea, in quanto «tale formalità, peraltro logicamente e giuridicamente incompatibile con l’essenza e le finalità proprie del negozio di dismissione del diritto di eredità, non è prevista dalla norma di cui all’art. 519 cod. civ.» [9].
La prima presa di posizione contraria al riferito orientamento si è registrata con una pronuncia di legittimità del 2003, nella quale la necessità che anche la rinuncia entro i tre mesi sia preceduta dall’inventario è stata fondata sulla considerazione per cui l’acquisto ex lege previsto dal 2° comma dell’art. 485 cod. civ. costituirebbe previsione di generale applicabilità destinata ad operare non solo nel caso in cui l’erede voglia procedere all’accettazione con beneficio d’inventario, ma anche quando lo stesso intenda rinunciare, trovando «la sua ‘ratio’ nella esigenza di tutela dei terzi, sia per evitare ad essi il pregiudizio di sottrazioni ed occultamenti dei beni ereditari da parte del chiamato; sia per realizzare la certezza della situazione giuridica successoria, evitando che gli stessi terzi possano ritenere, nel vedere il chiamato in possesso da un certo tempo di beni della eredità, che questa sia stata accettata puramente e semplicemente» [10].
Per quanto non numerosi siano stati i successivi arresti allineatisi a tale ultimo indirizzo [11], la loro presenza nel panorama giurisprudenziale rende chiaramente attuale e degna di attenzioni la questione problematica sollevata, sulla quale si è posta ulteriore luce a seguito di un’ultima più recente sentenza, in cui, in senso conforme all’orientamento minoritario, si è statuito ancora che l’onere del compimento dell’inventario nel termine di legge condiziona anche la facoltà di rinunciare all’eredità in maniera efficace, per cui «la prova del mero decorso del termine previsto dall’art. 485 cod. civ. senza che l’inventario sia stato redatto “implica che il chiamato all’eredità debba essere considerato erede puro e semplice e determina, di per sé, l’inefficacia della rinuncia”» [12]. Se ne è fatto conseguire, su un piano processuale, che l’accertamento circa la tempestività o meno della rinunzia debba comunque sempre essere successivo e subordinato al previo e positivo accertamento della ultimazione, da parte dei chiamati all’eredità nel possesso di beni ereditari, dell’inventario nel termine di legge [13].
In dottrina, salvo qualche isolata voce favorevole alla necessità che l’inventario accompagni anche la rinuncia compiuta nel termine di tre mesi previsto dai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. [14], l’orientamento predominante si è, più o meno esplicitamente, espresso nel senso di ritenere possibile una rinunzia tempestiva senza inventario, la quale sarebbe pienamente valida ed efficace senza bisogno di alcun onere ulteriore, impedendo il compiersi dell’acquisto ex lege dell’eredità di cui al 2° comma dell’articolo richiamato [15].
La prima tra le diverse argomentazioni addotte da tale maggioritaria dottrina ha riguardato il venir meno, nel caso di rinuncia nei termini, di uno dei presupposti essenziali della fattispecie in esame [16], la quale, in base alla formulazione letterale dell’art. 485 c.c., si riferirebbe a colui che è “chiamato” all’eredità e che è nel possesso di beni ereditari. Sarebbe allora manifesto come destinatario della norma non possa essere colui che abbia rinunziato all’eredità prima che la fattispecie sia venuta a compiersi, in quanto con la rinuncia costui perderebbe retroattivamente, ex art. 521 cod. civ., la qualifica di chiamato, facendo in tal modo cadere uno degli elementi costitutivi della suddetta fattispecie ed ostacolandone definitivamente la realizzazione [17].
Le riferite osservazioni si ritiene non possano trovare immediato accoglimento, scontrandosi con la necessità di coordinare la norma di cui all’art. 521 cod. civ. con il disposto di cui al successivo art. 525 cod. civ. e con l’imprescindibilità di una analisi che tenga opportunamente in considerazione la questione degli effetti della rinuncia all’eredità e della qualificazione della revoca della rinuncia, al fine di comprendere se realmente il rinunziante perda la qualifica di chiamato.
Rispetto a tali problematiche occorre rilevare come minoritaria sia rimasta la tesi secondo cui la rinuncia all’eredità comporterebbe un effetto estintivo della delazione (con conseguente venir meno della qualifica di chiamato in capo al rinunziante), effetto estintivo che sarebbe risolubile in virtù di un contrarius actus, dovendo, secondo tale indirizzo, qualificarsi la successiva accettazione del rinunziante ex art. 525 cod. civ. come una vera e propria revoca (tacita) della rinuncia, così come risulterebbe dalla stessa rubrica della norma [18]. L’opportunità di negare la possibilità per il rinunziante di “disporre” della delazione ha, infatti, correttamente indotto la maggioranza degli autori a sostenere che la rinuncia non cancelli la posizione di chiamato, rimanendo, a seguito di essa, l’effetto estintivo della delazione sospeso fino all’acquisto dell’eredità da parte dei chiamati ulteriori o fino alla prescrizione del diritto di accettare. Solo con il concorso di queste ulteriori circostanze la delazione potrà dirsi definitivamente e retroattivamente venuta meno, risultando il riferimento normativo alla «revoca della rinuncia», contenuto nella rubrica dell’art. 525 c.c., tecnicamente non conferente [19].
Sennonché anche alcune delle voci schieratesi in favore di quest’ultima ricostruzione hanno ritenuto di dover escludere l’applicabilità del 2° comma dell’art. 485 cod. civ. all’ipotesi di rinunziante tempestivo, prendendo le mosse dalla distinzione, pur delineata da una buona parte della dottrina, fra effetti della rinuncia all’eredità la cui estinzione rimane sospesa fino al verificarsi di una delle circostanze previste dall’art. 525 cod. civ., ovvero, come appena rilevato, il diritto di accettare l’eredità, ed effetti la cui estinzione si produce, invece, immediatamente in conseguenza della rinunzia. Quanto a quest’ultima categoria di effetti, il riferimento è chiaramente ai poteri di amministrazione conservativa del chiamato di cui agli artt. 460 e 486 cod. civ., che verrebbero fin da subito persi dal rinunziante in favore dei chiamati ulteriori [20]. Presupponendo un collegamento diretto fra i suddetti poteri di gestione interinale e conservativa dell’eredità in capo al chiamato e l’onere imposto al chiamato possessore di beni ereditari di fare l’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione o dalla sua notizia, alcuni in dottrina, pur riconoscendo la permanenza della delazione in capo al rinunziante, hanno escluso per esso la necessità di procedere alla redazione dell’inventario nei termini di legge, ritenendo lo stesso, benché nel possesso di beni ereditari, legittimato a disinteressarsi delle sorti dell’eredità [21].
Su questo supposto collegamento si avrà modo di soffermarsi più compiutamente nel prosieguo del presente lavoro, giungendo a negarsi che l’onere di inventario di cui all’art. 485 cod. civ. possa includersi nell’ambito dei poteri conservativi dell’eredità riconosciuti al chiamato [22], ma ciò che qui può senz’altro affermarsi è che, pur accogliendo la tesi della distinzione tra effetti estintivi immediati della rinunzia all’eredità ed effetti estintivi sospesi, la per lo più unanime inclusione fra questi ultimi del diritto di accettare l’eredità deve portare a considerare il rinunziante ancora “chiamato”, con conseguente possibilità di ritenere integrato anche questo presupposto della norma in esame. Risulta in tal modo superato il rilievo letterale posto alla base della prima argomentazione addotta in favore della validità di una rinunzia tempestiva senza inventario da parte del chiamato che permanga nel possesso di beni ereditari. Una siffatta rinunzia, alla luce delle osservazioni sin qui svolte, dovrebbe, viceversa, ritenersi inefficace per il verificarsi – a causa del successivo protrarsi del possesso e del mancato compimento di inventario da parte del rinunziante, ancora “chiamato” – di tutti i presupposti della fattispecie di acquisto ex lege dell’eredità di cui al 2° comma dell’art. 485 c.c., fattispecie il cui realizzarsi si ritiene vada ad operare nei termini di una condizione risolutiva legale, volta ad eliminare con efficacia retroattiva gli effetti dell’atto rinunziativo compiuto [23].
La seconda argomentazione addotta in dottrina contro la riferibilità dell’onere di inventario di cui ai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. al rinunziante tempestivo si è incentrata sulla affermazione di una ritenuta assenza di ragioni ed utilità nell’imposizione di un siffatto onere in capo al chiamato che rifiuti l’eredità [24].
Si è, in particolare, sostenuto che l’esigenza di tutela dei creditori del de cuius dal rischio di sottrazioni ed occultamenti di beni ereditari da parte del chiamato possessore, posta alla base della previsione normativa in esame da diversi autori [25] ed evidenziata dalla richiamata giurisprudenza minoritaria proprio al fine di giustificare la necessità di inventario anche nel caso di rinuncia entro il trimestre [26], non rappresenti, in realtà, un condivisibile argomento su cui fondare tale assunto. Oltre alla scarsa utilità pratica della soluzione, deducibile dalla considerazione per cui al chiamato che voglia sottrarre beni all’eredità basterà non inserirli nell’inventario, che, dunque, anche laddove eretto, non garantirebbe una efficace prevenzione dal rischio in discorso [27], centrale è risultata la constatazione per cui una adeguata protezione contro il pericolo di occultamenti o sottrazioni di beni ereditari sia già fornita da un’altra specifica norma, quella di cui all’art. 527 c.c., in base alla quale il chiamato che sottragga o nasconda beni ereditari decade dalla facoltà di rinunziare all’eredità e si considera erede puro e semplice, nonostante la sua rinunzia [28].
L’esistenza di quest’ultima disposizione potrebbe effettivamente rappresentare una valida ragione per reputare non convincente la riconduzione della ratio della norma di cui all’art. 485 cod. civ. ad una finalità di tutela dei terzi da occultamenti e sottrazioni di beni ereditari ad opera del chiamato possessore, ancor più laddove si aderisse all’opinione volta a ritenere applicabile l’art. 527 cod. civ. anche all’ipotesi di rinunzia già intervenuta [29]. È tale ultima opinione, del resto, quella che si ritiene di sposare sia perché, come già visto, il termine “chiamato”, contenuto anche in tale enunciato normativo, può riferirsi pure al rinunziante [30], sia perché altrimenti l’inciso finale della disposizione («nonostante la loro rinunzia») non potrebbe avere alcun significato suo proprio [31]. La fattispecie di acquisto ex lege dell’eredità di cui all’art. 527 c.c., nei casi di rinuncia già intervenuta, verrebbe allora ad operare, in modo analogo a quanto sostenuto per l’altra ipotesi di acquisto automatico dell’eredità (quella di cui all’art. 485 c.c.), come una condizione risolutiva legale atta a privare di efficacia l’atto rinunziativo compiuto [32].
La condivisibilità della contestazione della preordinazione dell’onere di inventario imposto al chiamato possessore ad esigenze di protezione dei terzi rispetto ad occultamenti o sottrazioni non può, tuttavia, portare ad accogliere la conclusione, cui una dottrina giunge, che l’inventario di cui all’art. 485 cod. civ. non sia affatto uno strumento di tutela predisposto in favore dei creditori del de cuius, in quanto l’accettazione beneficiata sarebbe principalmente finalizzata a consentire all’erede di non confondere i patrimoni, rispondendo dei debiti ereditari con il solo valore dei beni dell’eredità [33]. Il beneficio d’inventario, secondo tale tesi, agevolerebbe, dunque, il chiamato e non, invece, i creditori del defunto [34], con la conseguenza che la tutela di questi ultimi non potrebbe costituire «una ragione sufficiente per affermare la necessità dell’inventario quale requisito per la rinuncia prima del decorso del trimestre», risultando un inventario eretto da chi rifiuti l’eredità del tutto «privo di ragione» [35].
In tali ultime affermazioni si ritiene sia rinvenibile il delinearsi di una non accoglibile coincidenza e sovrapposizione tra l’istituto dell’inventario e il beneficio che dall’accettazione accompagnata da inventario si produce in favore dell’erede. Il beneficio della separazione dei patrimoni di cui all’art. 484 cod. civ. deve ritenersi collegato, infatti, non di per sé all’inventario, bensì ad una fattispecie più complessa che si fonda su un altro atto, cui l’inventario necessariamente va a riconnettersi, ovvero sulla dichiarazione di accettazione beneficiata [36]. L’autonomia dell’istituto dell’inventario dal beneficio, che pur da esso prende il nome, è un elemento che non può essere trascurato. Tale autonomia ritengo debba portare a riconoscere al primo una generale funzione di individuazione e documentazione dell’esistenza di beni, che sarà poi diretta a raccordarsi, di volta in volta, con gli scopi che la specifica previsione, in cui l’onere di inventario risulta inserito, intende perseguire. La redazione dell’inventario, allora, non potrà e non dovrà ritenersi sempre preordinata allo scopo, immediatamente favorevole al chiamato, di mantenere separati il patrimonio di quest’ultimo da quello del de cuius. Sarà indirizzata alla produzione di un siffatto beneficio laddove collegata alla dichiarazione di cui all’art. 484 cod. civ.; nei casi in cui, invece, l’onere di inventario sia contenuto in previsioni normative non esclusivamente connesse ad una accettazione beneficiata, sarà possibile individuare una finalizzazione dello stesso a scopi totalmente o parzialmente non coincidenti con il suddetto beneficio.
In relazione a tali osservazioni, alla luce di quanto si argomenterà nella parte finale del presente lavoro [37], si giungerà a constatare e si può qui anticipare come le disposizioni di cui ai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. risultino essere norme parzialmente estranee al beneficio di inventario [38], in quanto in esse l’onere di inventario deve ritenersi collegato non solo alla possibilità di porre in essere una accettazione beneficiata, ma anche alla facoltà di rinunciare all’eredità. Ne risulterà confutata tanto la ritenuta esclusiva preordinazione dello stesso all’interesse dell’erede a non confondere i patrimoni, limitando la propria responsabilità per i debiti ereditari alla consistenza del patrimonio del de cuius, quanto la conseguente affermazione dell’assenza di ragioni nella redazione dell’inventario da parte del rinunziante. Tali saranno gli esiti a cui si perverrà a seguito di un’indagine che, in ultima analisi, tenterà di comprendere l’effettiva ratio delle previsioni normative in esame, lo scopo cui in esse l’inventario è preposto, nonché la conseguente raccordabilità di tale ratio alla situazione delineantesi nell’ipotesi di rinuncia del chiamato entro il termine fissato nelle stesse disposizioni, non prima, tuttavia, di aver, di seguito, esposto e preso posizione in merito all’ultima argomentazione addotta in dottrina a sostegno della non applicabilità dell’acquisto ex lege di cui al 2° comma dell’art. 485 cod. civ. al rinunziante tempestivo.
Tra le argomentazioni avanzate più di recente al fine di escludere che il chiamato possessore di beni ereditari sia tenuto all’inventario laddove rinunzi entro il termine trimestrale, si segnala l’opinione di una dottrina che, ritenendo la fattispecie di cui all’art. 485 cod. civ. volta ad ovviare ai rischi di dispersione del patrimonio ereditario connessi alla vacanza ereditaria, ha ricondotto l’onere di inventario ivi previsto nell’ambito dei più generali poteri di amministrazione conservativa dei beni dell’eredità riconosciuti al chiamato, sia o meno possessore, dall’art. 460 cod. civ. e al chiamato possessore dall’art. 486 cod. civ. [39]. Abbracciando la prospettiva secondo cui il chiamato sarebbe un curatore di diritto dei beni ereditari, obbligato, in virtù di un ufficio di diritto privato, al compimento degli atti conservativi previsti dalle richiamate norme [40], tale dottrina è giunta ad affermare che l’adempimento dell’inventario di cui all’art. 485 cod. civ. – non semplicemente un “onere”, bensì un vero e proprio “obbligo” per il chiamato possessore, in quanto espressione della “curatela” dello stesso – non sarebbe più dovuto in caso di rinuncia all’eredità da parte di tale soggetto [41]. La rinunzia, infatti, determinerebbe quale effetto estintivo immediato il venir meno dei poteri di gestione conservativa del chiamato ed il possessore di beni ereditari, in tal modo «sottraendosi alla curatela che gli spetta in quanto chiamato», si sottrarrebbe «anche all’obbligo di compiere l’inventario e alla sanzione incombente dell’acquisto ope legis della qualità di erede puro e semplice per il suo mancato adempimento nel termine di legge» [42].
La non accoglibilità di una siffatta argomentazione si ritiene discenda immediatamente dalla necessità di mettere in discussione l’inclusione dell’onere di inventario di cui ai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. entro il novero dei poteri di amministrazione conservativa dell’eredità spettanti al chiamato possessore.
Ciò, innanzitutto, in considerazione della diversa connotazione strutturale delle situazioni rientranti nel quadro della gestione conservativa dei beni ereditari ex artt. 460 e 486 cod. civ. rispetto alla situazione relativa all’inventario posta in capo al delato ex art. 485 cod. civ. Se, nel primo caso, volendo ammettere la ricostruzione della posizione del chiamato in termini di curatela di diritto, ci troveremmo di fronte a veri e propri obblighi, sanzionabili attraverso il riconoscimento di una responsabilità del soggetto di fronte ai possibili interessati [43], non in tali termini si reputa possa inquadrarsi l’imposizione dell’inventario di cui alla fattispecie indagata [44]. Che, in tale ultimo caso, non possa affatto sostenersi il ricorrere di un “obbligo”, dovendosi, invece, riconoscere la previsione normativa di un “onere”, risulta evidente da una corretta lettura delle disposizioni in discorso [45]. Senza farsi trarre in inganno dall’espressione letterale contenuta nel primo comma dell’art. 485 cod. civ. («deve fare l’inventario»), che pure potrebbe ingenerare l’equivoco che il comportamento richiesto al chiamato sia obbligato [46], determinante deve ritenersi la conseguenza che la stessa norma, nel suo secondo comma, ricollega alla mancata osservanza di quel comportamento («Trascorso tale termine senza che l’inventario sia compiuto, il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice»), ossia la perdita di un potere da parte dell’onerato, quello di rinunciare all’eredità o di accettare con beneficio d’inventario, e non una responsabilità con conseguente obbligo risarcitorio in capo al soggetto [47].
La non rapportabilità della redazione dell’inventario di cui all’art. 485 cod. civ. all’ambito dei poteri-doveri di amministrazione conservativa caratterizzanti la posizione del delato, oltre che dalla non ascrivibilità della relativa situazione ad un vero e proprio obbligo, deve, inoltre, desumersi da una lettura sistematica delle disposizioni disciplinanti la situazione del chiamato all’eredità. Una siffatta ottica ci permette, infatti, di evidenziare come i principali poteri di gestione conservativa del patrimonio ereditario, quelli di cui all’art. 460 cod. civ., siano attribuiti al delato in quanto tale, a prescindere dalla sua relazione materiale con i beni del de cuius, risultando la figura del chiamato, con riguardo all’aspetto dell’amministrazione conservativa dei suddetti beni, trattata in modo tendenzialmente unitario. Tale soggetto, sia esso possessore o meno, è ritenuto dal nostro ordinamento il più idoneo ad occuparsi della conservazione e corretta gestione dell’eredità, in quanto, di regola, a ciò interessato nella prospettiva di una possibile acquisizione della stessa [48]. La previsione dell’onere di inventario di cui all’art. 485 cod. civ. si discosta, invece, dalla considerazione unitaria della figura del delato che caratterizza il profilo dell’amministrazione conservativa dei beni ereditari, ponendo il relativo adempimento solo in capo al chiamato possessore, anzi, preciserei, ponendo tale adempimento in capo al chiamato proprio “in quanto” possessore.
Non servirebbe replicare a tale ultima considerazione evidenziando che nel sistema c’è, tuttavia, una norma, l’art. 486 cod. civ., che riferisce alcuni poteri di amministrazione conservativa del patrimonio ereditario solo al chiamato possessore. Anche a non voler sottolineare la limitatezza contenutistica della disposizione, ciò che in realtà può evincersi da un punto di vista sistematico, leggendo la suddetta norma in rapporto al precedente art. 485 cod. civ., è che le due disposizioni sembrerebbero attenere a due profili diversi rinvenibili nella posizione del chiamato, la quale, secondo diffusa dottrina, viene ad articolarsi, da una parte, nella titolarità del diritto di acquistare l’eredità, dall’altra, nella riferibilità a tale soggetto dei poteri di gestione conservativa dei beni del de cuius [49]. Orbene, se chiara è la rapportabilità dell’art. 486 cod. civ. al secondo dei due aspetti considerati, andando questa norma ad ampliare, per il caso di possesso di beni ereditari, il novero dei poteri riconosciuti in generale al delato dall’art. 460 cod. civ., altrettanto evidente mi sembra, invece, l’attinenza dell’art. 485 cod. civ. all’aspetto della titolarità del diritto di accettare l’eredità, rispetto al quale la necessità del compimento dell’inventario importa e pone rilevanti limitazioni.
Da tali rilievi si ritiene consegua la rappresentazione di un quadro che prelude alla necessità di rinvenire alla base dell’onere di inventario ex art. 485 cod. civ. il ricorrere di una logica diversa, di un diverso fondamento funzionale rispetto a quello che si è reputato essere il fondamento dei poteri di gestione conservativa del delato. Una diversità funzionale da cui deriverà conferma della non accoglibilità dell’argomentazione volta a negare, in caso di rinuncia tempestiva, il prodursi dell’acquisto ex lege di cui al 2° comma dell’art. 485 cod. civ., in virtù del ritenuto venir meno dell’onere di inventario per il venir meno in capo al rinunziante della generale amministrazione conservativa dell’eredità. Ne risulta, ancora una volta, comprovata la centralità del momento di individuazione della ratio delle disposizioni di cui ai primi due commi dell’art. 485 cod. civ., momento a cui si dedicheranno le pagine finali del presente scritto e che ci consentirà non solo di avere definitivo riscontro della non rapportabilità del previsto onere di inventario ad un’esigenza di garanzia della conservazione del patrimonio del de cuius e della non includibilità dello stesso entro i relativi poteri gestori del chiamato, ma anche di sciogliere conclusivamente il nodo della riferibilità del medesimo onere all’ipotesi del delato che rinunzi all’eredità entro il termine di tre mesi dall’apertura della successione o dalla sua notizia.
Per dare una risposta all’interrogativo, che ha originato i dibattiti illustrati e le riflessioni che si è finora ritenuto di svolgere, ovvero al quesito circa la riferibilità dell’onere di inventario di cui al comma 1e 2 dell’art. 485 cod. civ. al chiamato che rinunzi nel termine ivi previsto, si reputa determinante prendere le mosse da una considerazione, spesso trascurata, quella per cui secondo unanime dottrina e giurisprudenza le disposizioni richiamate sono senz’altro applicabili al c.d. rinunziante tardivo, ossia a colui che provveda alla rinuncia dopo la scadenza del termine trimestrale. Comprendere le ragioni che sono alla base dell’operatività della fattispecie in discorso nell’ipotesi da ultimo indicata e, più in generale, la ratio che deve ritenersi giustificare la medesima fattispecie, si reputa, infatti, centrale e decisivo al fine di sciogliere il nodo della applicabilità della stessa al caso del rinunziante tempestivo.
Una delle poche spiegazioni fornite in merito al presunto discrimen che dovrebbe delinearsi fra l’ipotesi della rinunzia intervenuta entro i tre mesi dall’apertura della successione e quella della rinunzia effettuata successivamente a tale termine si è incentrata sulla affermazione per cui la rinuncia tardiva dovrebbe qualificarsi come inefficace «non» per la «mancata redazione dell’inventario in quanto tale», bensì per il fatto che in tal caso sarebbe «già intervenuta la fattispecie tipica di acquisto ex lege di cui all’art. 485 cod. civ.», fattispecie il cui realizzarsi sarebbe, invece, impedito nella diversa ipotesi di rinunzia tempestiva [50]. Una siffatta argomentazione non può ritenersi soddisfacente. Innanzitutto perché sostenere che l’inefficacia dell’atto rinunziativo compiuto oltre il trimestre non dipenda strettamente dalla mancata erezione dell’inventario rappresenta una logica fuorviante, non coerente con la necessaria considerazione che nei primi due commi dell’art. 485 cod. civ. l’acquisto ope legis dell’eredità è fatto conseguire al ricorrere di una serie di presupposti, fra i quali quello della mancata redazione dell’inventario entro un certo termine, elemento quest’ultimo che, dunque, non può affatto reputarsi come privo di un immediato collegamento con l’inefficacia della rinuncia tardiva, risultando determinante per il perfezionamento della fattispecie da cui quella inefficacia deriva. La seconda e decisiva ragione per cui l’esposta spiegazione, data alla differente soluzione prospettata per le due ipotesi di rinunzia, non può essere accolta consegue alla già argomentata possibilità di ritenere integrati, anche nel caso del rinunziante tempestivo, tutti i requisiti di operatività dell’acquisto automatico dell’eredità di cui alla norma in esame. Sostenendo, in particolare, come in precedenza fatto, che da un corretto inquadramento degli effetti scaturenti dalla rinuncia all’eredità discenda che il rinunziante non perde la qualifica di chiamato fino all’acquisto dell’eredità da parte dei chiamati ulteriori o fino alla prescrizione del suo diritto di accettare [51], risulta evidente come neanche un atto rinunziativo compiuto nei termini riesca, se non accompagnato da inventario e se seguito dalla prosecuzione nel possesso di beni ereditari, ad impedire il realizzarsi della fattispecie di cui al comma 2 dell’art. 485 cod. civ.
La non difficile superabilità delle predette argomentazioni è una netta riprova di come centrale debba ritenersi, ai fini della prospettazione di una valida soluzione al quesito posto e indagato nello scritto, una attenta considerazione del profilo funzionale della vicenda. Imprescindibile punto di partenza, a tale scopo, è la duplice constatazione per cui le disposizioni in esame, da un lato, si incardinano su un elemento scriminante, la situazione di perdurante possesso di beni ereditari da parte del chiamato, e, dall’altro lato, in modo indiscusso impediscono, laddove nel termine trimestrale non sia redatto l’inventario, tanto una accettazione beneficiata, quanto una rinuncia successiva alla scadenza del suddetto termine. Da tali rilievi si ritiene di dover evincere che nella fattispecie considerata l’onere di inventario e la sua osservanza si raccordi essenzialmente alla possibilità per il chiamato, che sia nel possesso di beni dell’eredità, di non rispondere con i propri beni dei debiti ereditari o, appunto, attraverso una accettazione con beneficio o attraverso una rinunzia. Ritengo, in altri termini, che le disposizioni analizzate, per un determinato profilo, ovvero in un’ottica di tutela della posizione dei terzi e, principalmente, dei creditori ereditari, vadano ad accomunare la situazione dell’accettante con beneficio d’inventario e quella del rinunziante, laddove entrambi nel possesso di beni ereditari. Per quanto, infatti, le due posizioni siano chiaramente molto diverse, soprattutto dal punto di vista del chiamato all’eredità, vi è un aspetto che, entro la fattispecie di cui all’art. 485 cod. civ., le accomuna e dispiega il suo rilievo rispetto ad esigenze di tutela dei creditori del de cuius: entrambe le situazioni portano con sé la possibilità che un soggetto (il delato), pur essendo nel possesso di beni ereditari, non risponda dei debiti ereditari con il proprio patrimonio personale o perché accettante beneficiato o perché rinunziante, in ciò distinguendosi dalla, per questi versi diversa, posizione dell’accettante puro e semplice [52]. Di fronte ad una tale possibilità si crede che il legislatore abbia ritenuto di chiedere tanto all’uno (il chiamato possessore che voglia accettare con beneficio), quanto all’altro soggetto (il chiamato possessore che intenda rinunciare) l’erezione entro un breve termine dell’inventario allo scopo di chiarire, a garanzia dei creditori dell’eredità, la consistenza del patrimonio ereditario, evitando che il possesso promiscuo di beni (personali e del de cuius) da parte del chiamato crei difficoltà nella individuazione dei cespiti e renda dubbia l’entità dell’attivo ereditario. La funzione dell’inventario nella previsione di cui ai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. si reputa, allora, vada a specificarsi nello scopo di permettere ai creditori dell’eredità di avere contezza dell’esatta configurazione del patrimonio del de cuius in una situazione in cui colui che “tiene” i beni ereditari “insieme” ai propri non risponderà dei debiti ereditari con il proprio patrimonio – o perché accettante beneficiato o perché rinunziante. In una siffatta chiave di lettura l’acquisto ex lege dell’eredità, previsto come conseguenza dell’inosservanza dell’onere di inventario, va visto come esito volto ad ovviare ai riferiti problemi di individuazione dei cespiti facenti parte dell’asse ereditario, attraverso l’automatica estensione dell’ambito dei beni aggredibili dai creditori del de cuius al patrimonio personale del chiamato possessore, che viene reso, in un’ottica innegabilmente sanzionatoria, erede puro e semplice.
Dalla sostenuta lettura funzionalistica deriva, da un lato, la possibilità di distinguere gli scopi sottesi alle disposizioni di cui ai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. da quelli cui è preordinata la norma di cui all’art. 527 c.c., essendo evidente come diversamente si atteggi il rischio di sottrazioni ed occultamenti di beni ereditari da parte del chiamato possessore rispetto a quello di non chiara individuazione da parte dei creditori del de cuius dei cespiti dell’eredità a causa del possesso promiscuo di beni da parte del primo soggetto [53], dall’altro lato, la necessità di rilevare come l’onere di inventario nella fattispecie in discorso non possa ritenersi finalizzato a tutelare unicamente l’interesse del chiamato a conseguire il beneficio della separazione dei patrimoni, con conseguente inutilità dello stesso nel caso di rinunzia [54]. La previsione normativa in esame, infatti, come poc’anzi argomentato, collegando, per ragioni di tutela dei terzi, soprattutto dei creditori ereditari, il suddetto onere non solo alla possibilità di accettazione beneficiata, ma anche alla facoltà di rinuncia all’eredità, si palesa quale norma almeno parzialmente estranea al beneficio d’inventario e, dunque, non esclusivamente riconducibile ad istanze di tutela del delato, se non del tutto avulsa da siffatte ultime istanze, come la logica rinvenuta alla base di essa si ritiene dovrebbe portare a ritenere [55].
Ancora, la medesima sostenuta lettura funzionalistica delle disposizioni di cui ai primi due commi dell’art. 485 cod. civ. consente di confermare ed ulteriormente avvalorare la non includibilità dell’inventario in esse previsto nell’ambito dei poteri di amministrazione conservativa spettanti al chiamato all’eredità [56]. Chiaramente diverso risulta, infatti, il fondamento causale della previsione di tali poteri da quello dell’imposizione dell’inventario in capo al chiamato possessore. Se la ratio di quest’ultima imposizione è quella di rispondere ad un’esigenza di chiarezza nella configurazione della consistenza del patrimonio ereditario, evitando difficoltà per i creditori del de cuius nella individuazione dei cespiti su cui rivalersi in una situazione di promiscuità nel possesso di beni personali ed ereditari da parte del chiamato, ad essa evidentemente non sovrapponibile è l’esigenza, alla base dell’affidamento al delato della gestione conservativa dell’eredità, di garantire la manutenzione del patrimonio ereditario, esigenza quest’ultima raccordata innanzitutto all’interesse dello stesso delato (oltre che a quello dei creditori e degli ulteriori chiamati) rispetto al suo possibile futuro acquisto della qualità di erede. Ne risulta, dunque, ribadita la non rapportabilità dell’inventario di cui all’art. 485 cod. civ. alla logica propria dei poteri amministrativi di cui agli artt. 460 e 486 c.c., con conseguente non giustificabilità del venir meno del relativo onere, in caso di rinunzia all’eredità, alla luce della cessazione, in tale ipotesi, dei suddetti poteri [57].
La ratio che si è ritenuto di dover rinvenire nella previsione volta ad imporre l’onere di inventario al chiamato in possesso di beni ereditari e le sottese esposte esigenze di tutela ci consentono, a questo punto, di sciogliere il nodo problematico alla cui risoluzione si è preordinato il discorso e le riflessioni svolte nel presente scritto, rispondendo all’interrogativo se tale ratio e tali esigenze possano essere rapportate alla situazione del chiamato che rinunzi all’eredità non solo oltre, bensì anche entro i tre mesi dall’apertura della successione o dalla notizia della sua devoluzione, permanendo tuttavia nel possesso di beni ereditari. Sostenuta, sulla base della compiuta indagine sulla posizione del rinunziante rispetto alla delazione, la possibilità di ritenere ricorrenti, anche nel caso di rinunzia tempestiva, tutti i presupposti di operatività della fattispecie di cui al comma 1 e 2 dell’art. 485 cod. civ., inclusa la qualifica di “chiamato” in capo al medesimo rinunziante, si reputa di poter affermare che l’individuata finalità dell’inventario ivi previsto di definire chiaramente il patrimonio ereditario, per tutelare i creditori dello stesso rispetto ad una situazione di possesso promiscuo di beni personali e del de cuius da parte del delato, venga a spiegare tutta la propria pertinenza anche nell’ipotesi in cui la rinunzia all’eredità intervenga nel breve termine indicato. Di conseguenza anche una siffatta rinunzia, in mancanza di tempestiva erezione di inventario, dovrà ritenersi inefficace, potendo tale inefficacia giustificarsi, come già sostenuto, in virtù della rapportabilità della fattispecie di acquisto ex lege dell’eredità di cui al comma 2 dell’art. 485 cod. civ. al meccanismo di operatività di una condizione risolutiva legale [58]. La norma di cui ai primi due commi dell’articolo richiamato, per i profili funzionali ad essa sottesi, si reputa rappresentare, in definitiva, un generale ostacolo all’ammissibilità di rinunzie all’eredità da parte di chiamati nel possesso di beni ereditari non accompagnate da una puntuale formazione dell’inventario, senza che in tal modo possa paventarsi il rischio dell’introduzione ad opera della giurisprudenza «di una fattispecie non prevista dall’ordinamento: la rinuncia con inventario» [59], trattandosi, viceversa, di ipotesi di rinunzia improduttiva di effetti per il compiersi «di una fattispecie prevista dall’ordinamento: l’acquisto ope legis dell’eredità di cui al comma 2 dell’art. 485 cod. civ.».
[1] Non incontrastata, quantomeno in dottrina, è la nozione di possesso di beni ereditari da parte del chiamato. Una parte della dottrina e la pressoché unanime giurisprudenza ritengono il richiamo qui operato al termine “possesso” come un richiamo atecnico, volto a far riferimento ad una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato all’eredità riferibile anche ad una situazione di detenzione, situazione quest’ultima che ricorrerebbe nel caso del chiamato che non abbia ancora accettato l’eredità, in quanto solo dal momento dell’accettazione costui diventerebbe, seppur con efficacia retroattiva, possessore. In tal senso, fra gli altri, U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, I, L’amministrazione durante il periodo antecedente all’accettazione dell’eredità, Milano, 1968, 219 e ss.; L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte. Parte generale, Napoli, 1977, 87 ss.; R. Sacco, Il possesso, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu, F. Messineo, Milano, 1988, 60; A. Albanese, Il chiamato all’eredità e l’attività contrattuale prima dell’accettazione, in Contr. impr., 2006, 986 ss.; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2020, 102; C.M. Bianca, Diritto civile, 2.2, Le successioni, Milano, 2022, 70. In giurisprudenza, ex multis, Cass., 18 luglio 1953, n. 2391, in Giust. civ., 1953, I, 2551; Cass., 27 luglio 1964, n. 2067, in Giur. it., 1965, I, 1, c. 203; Cass., 30 ottobre 1992, n. 11831, in Vita not., 1994, 626; Cass., 5 maggio 2008, n. 11018, ivi, 2008, 959. Diversa la tesi di altra parte della dottrina, secondo cui il possesso dei beni ereditari continuerebbe immediatamente in capo al chiamato, il quale lo acquisterebbe automaticamente all’apertura della successione, giustificandosi così la concessione a tale soggetto della tutela possessoria, cfr. F. Santoro Passarelli, Vocazione legale e vocazione testamentaria, in Riv. dir. civ., 1942, 206; A. Cicu, Successione per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità. Divisione ereditaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu, F. Messineo, Milano, 1961, 130 ss.; L. Ferri, Successioni in generale, in Commentario del Codice civile, a cura di A. Scialoja, G. Branca, Bologna-Roma, 1997, 125; G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2002, 80 e ss. Pacifica risulta, invece, la configurabilità del possesso di beni ereditari, richiesto dall’art. 485 cod. civ. (e non dei beni ereditari), nell’ipotesi di possesso anche di un solo bene, purché di rilievo economico non irrilevante, al riguardo, in giurisprudenza, Cass., 7 ottobre 1967, n. 2324, in Foro pad., 1969, I, 203; Cass., 5 giugno 1979, n. 3175, in Foro it., 1979, I, c. 2003; Cass., 4 maggio 1983, n. 3043, in Rep. Foro it., 1983, voce Successione ereditaria, n. 40.
[2] Nella disciplina di cui all’art. 519 cod. civ. la rinunzia all’eredità è ammessa senza alcuna specificazione in ordine al relativo termine, ma anche senza alcun riferimento ad una possibile relazione del chiamato all’eredità con i beni ereditari.
[3] Nel caso, invece, di erezione dell’inventario entro i tre mesi previsti, in base al 3° comma dell’art. 485 c.c., il chiamato ha un ulteriore termine di quaranta giorni dal compimento dell’inventario per deliberare se accetta o rinunzia all’eredità, trascorso il quale, senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice.
[4] In tal senso, fra gli altri, G. Sicchiero, La rinuncia del chiamato in possesso dei beni ereditari (artt. 485 e 519 c.c.), in Riv. dir. civ., 2018, 508 e 509; M. Ceolin, Chiamato in possesso di beni ereditari, inventario e rinunzia all’eredità, in Riv. dir. priv., 2007, 869.
[5] La problematicità della questione è sottolineata più recentemente in M. Sesta (a cura di), Codice delle successioni e donazioni, I, Milano, 2011, sub Art. 485 cod. civ., 721; G. Cian, A. Trabucchi, Commentario breve al codice civile, Padova, 2015, sub Art. 485 cod. civ.; G. Bonilini, M. Confortini, G. Mariconda, Codice delle successioni e donazioni, Torino, 2015, sub Art. 485 cod. civ., 298.
[6] Si è da parte di alcuni evidenziato come molte pronunce riferite in realtà ad ipotesi in cui la rinuncia risultava successiva al decorso del termine di cui all’art. 485 cod. civ. siano state erroneamente utilizzate, attraverso una lettura distorta delle loro massime e una mancata considerazione del loro testo completo, per sostenere l’affermarsi di un orientamento giurisprudenziale favorevole alla necessità dell’inventario anche nel caso di rinuncia tempestiva; tra tali pronunce si sono richiamate Cass., 3 febbraio 1993, n. 1325; Cass., 19 luglio 1993, n. 8034; Cass., 22 giugno 1995, n. 7076; Cass., 10 dicembre 2007, n. 25728; Cass., 10 marzo 2017, n. 6275. Sul punto cfr. M. Ceolin, op. cit., 868 ss.; G. Sicchiero, op. cit., 509 ss.
[7] Cass., 21 aprile 1958, n. 1319, in Giust. civ., 1958, I, 2178, che riguardava l’analoga fattispecie di cui all’art. 952 del codice anteriore; Cass., 27 luglio 1964, n. 2067, in Giur. it., 1965, I, 1, c. 203, in cui espressamente si è affermato che il chiamato nel possesso dei beni ereditari avrebbe potuto prima del compimento dei tre mesi rinunciare all’eredità senza compiere l’inventario; Cass., 24 febbraio 1984, n. 1317, in cui si è ritenuto posto a carico del chiamato nel possesso dei beni ereditari «il compimento in tre mesi dell’inventario (o la rinuncia all’eredità), e così, in caso di inottemperanza, l’attribuzione della qualità di erede puro e semplice»; Cass., 30 ottobre 1991, n. 11634, in Rep. Foro it., 1991, voce Successione ereditaria, n. 61; Cass., 19 marzo 1998, n. 2911, in Foro it., 1998, I, c. 2170, in cui si legge che l’art. 485 cod. civ. «deroga al principio secondo cui il chiamato non è erede fino a che non abbia accettato, prevedendo, invece, che il chiamato acquista l’eredità senza bisogno di accettazione per il solo fatto di possedere materialmente i beni ereditari, a meno che non dichiari nei termini di rinunciare all’eredità»; Cass., 17 ottobre 2016, n. 20960, in Giur. it., 2017, 2364, con nota di G. Sicchiero, Non serve l’inventario per rinunciare tempestivamente all’eredità, in cui, in un caso di rinuncia tempestiva, si è affermato che una siffatta rinuncia è senz’altro efficace, poiché è intervenuta prima del compimento del termine al cui vano decorso è subordinato il perfezionamento dell’accettazione “presunta”. Nella giurisprudenza di merito si vedano Trib. Reggio Calabria, 26 settembre 2003, in Giur. merito, 2004, 1138; più recentemente, Trib. Milano, 18 febbraio 2020, n. 1552; Trib. Bari, 10 settembre 2020, n. 2387.
[8] In tali termini Cass., 21 aprile 1958, n. 1319, cit.
[9] Cass., 30 ottobre 1991, n. 11634, cit.
[10] Cass., 29 marzo 2003, n. 4845, in Vita not., 2003, 893.
[11] Si segnalano App. Venezia, 19 settembre 2006, in Riv. dir. priv., 2007, 863, con nota di M. Ceolin, op. cit.; Cass., 5 maggio 2008, n. 11018; Cass., 23 luglio 2020, n. 15690.
[12] In tal senso la recente Cass., 11 maggio 2021, n. 12437, in Giur. it., 2022, 42 ss., con nota di G. Sicchiero, Serve davvero l’inventario per rinunciare all’eredità?. In tale pronuncia, pur trattandosi nel caso di specie di una rinunzia tardiva, nette risultano le affermazioni nel senso della necessarietà dell’inventario anche ai fini dell’efficacia di una rinuncia tempestiva. Meno nette le statuizioni contenute nella successiva Cass., 23 novembre 2021, n. 36080, ove, non evincendosi dalla pronuncia se si sia trattato di un caso di rinunzia tardiva o tempestiva, la Corte, richiamando il precedente di Cass. n. 4845 del 2003, ha ritenuto che «se il chiamato che si trovi nel possesso di beni ereditari non compie l’inventario nei termini previsti non può rinunciare all’eredità, ai sensi dell’art. 519 cod. civ., in maniera efficace nei confronti dei creditori del de cuius, dovendo il chiamato, allo scadere dei termini stabiliti per l’inventario, essere considerato erede puro e semplice».
[13] Cass., 11 maggio 2021, n. 12437, cit.
[14] C. Vocino, voce Inventario (Beneficio di), in Noviss. Dig. it., IX, Torino, 1957, 21; G. Perlingieri, L’accettazione dell’eredità, in R. Calvo, G. Perlingieri (a cura di), Diritto delle successioni e delle donazioni, I, Napoli, 2013, 327; V. Sciarrino, La rinunzia all’eredità, in Il Codice Civile. Commentario, fondato e già diretto da P. Schlesinger, continuato da F.D. Busnelli, G. Ponzanelli, Milano, 2020, sub Art. 525 c.c., 270 ss. Nella vigenza dell’art. 959 del codice civile del 1865 ha ritenuto necessario l’inventario anche nel caso di rinuncia tempestiva V. Polacco, Delle successioni, II, Roma, 1937, 49.
[15] Fra gli altri, L. Coviello jr., La formula degli articoli 485, 487 e 527: «Il chiamato è considerato erede puro e semplice» e il modo di acquisto dell’eredità, in Riv. dir. civ., 1960, I, 382 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Milano, 1962, 456; U. Natoli, op. cit., 233; L. Ferri, Successioni in generale, in Commentario del Codice civile, a cura di A. Scialoja, G. Branca, Bologna-Roma, 1970, sub Art. 519 c.c., 74; L. Cariota Ferrara, op. cit., 492; C. Giannattasio, Delle successioni, in Commentario del codice civile, II, 1, Torino, 1971, sub Art. 485 c.c., 148; G. Grosso, A. Burdese, Le successioni. Parte generale, in Trattato di diritto civile, diretto da F. Vassalli, XII, 1, Torino, 1977, 355; E. Perego, Rinuncia all’eredità e sottrazione di beni da parte del chiamato, in Giust. civ., 1985, I, 1977; A. Ravazzoni, voce Beneficio d’inventario, in Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988, 3; M. Ceolin, op. cit., 867 ss.; V. Barba, La rinunzia all’eredità e al legato, in G. Bonilini, V. Barba, C. Coppola (a cura di), Successioni e donazioni, in Nuova Giurisprudenza Bigiavi, Torino, 2012, 58 ss.; M. Graziano, Notazioni critiche e corollari applicativi in tema di rinunzia all’eredità, in Riv. not., 2016, 633 ss.; G. Sicchiero, La rinuncia del chiamato in possesso dei beni ereditari (artt. 485 e 519 c.c.), cit., 513 ss.; C.M. Bianca, op. cit., 143.
[16] Quanto alla qualificazione giuridica della fattispecie di cui ai primi due commi dell’art. 485 c.c., minoritaria è risultata la tesi volta ad intravedere in essa un’ipotesi di accettazione presunta, rispetto alla quale implicita nel comportamento del chiamato dovrebbe considerarsi la volontà dello stesso, cfr. F.S. Azzariti – G. Martinez – G. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1973, 76 e, in giurisprudenza, App. Trieste, 22 novembre 1961, in Foro pad., 1962, I, 1476. Predominante è, infatti, da ritenersi la diversa ricostruzione in base alla quale la fattispecie in discorso rappresenterebbe un’ipotesi di acquisto dell’eredità senza accettazione, del tutto prescindente da una manifestazione di volontà del chiamato, cfr., fra gli altri, A. Cicu, op. cit., 182; G. Prestipino, Delle successioni in generale, in Commentario teorico-pratico al codice civile, diretto da V. de Martino, Roma, 1981, 266; G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 166; C.M. Bianca, op. cit., 537 e, in giurisprudenza, Cass., 19 marzo 1998, n. 2911, in Foro it., 1998, I, c. 2170.
[17] In tal senso si è espresso M. Ceolin, op. cit., 870 ss., il quale, affermato che il possesso di beni ereditari da parte del chiamato e il decorso del termine di legge senza che l’inventario sia stato fatto o iniziato siano imprescindibili elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 485 cod. civ., ha evidenziato come se alcuno di tali elementi venga a mancare, sia pure per fatto del chiamato, prima che la fattispecie sia compiuta, gli effetti scaturenti dalla stessa non possano evidentemente prodursi. Per la non applicabilità dell’art. 485 cod. civ. al rinunziante, riferendosi la norma al chiamato che non abbia ancora deliberato se accettare o meno l’eredità e non a colui che abbia già manifestato la sua volontà negativa in merito alla delazione cfr. G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 215; C. Coppola, La revoca della rinuncia, in G. Bonilini, V. Barba, C. Coppola, La rinunzia all’eredità e al legato, in Nuova giurisprudenza di diritto civile e commerciale, Torino, 2012, 489.
[18] Per una tale prospettazione L. Cariota Ferrara, op. cit., 490 ss.; L. Coviello jr., Diritto successorio: corso di lezioni, Bari, 1962, 346 ss.; Id., La formula degli articoli 485, 487 e 527: «Il chiamato è considerato erede puro e semplice» e il modo di acquisto dell’eredità, cit., 363 ss.
[19] Per la permanenza della delazione in capo al rinunziante, anche se con sfumature diverse, A. Cicu, op. cit., 214 ss.; L. Ferri, Successioni in generale, cit., 1968, 119; G. Grosso, A. Burdese, op. cit., 351 ss.; E. Perego, op. cit., 1975; V. Sciarrino, op. cit., 247 ss.; M. Graziano, op. cit., 382; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 152; C.M. Bianca, op. cit., 142. Ritiene che il rinunziante perda il diritto di acquistare l’eredità, risultando investito del diritto potestativo di riacquistarla, V. Barba, La posizione giuridica del chiamato che abbia rinunziato all’eredità, in Fam. pers. succ., 2009, 869 ss.; Id., La rinunzia all’eredità e al legato, cit., 51 ss.
[20] Per la riferita distinzione L. Ferri, Successioni in generale, cit., 122; G. Grosso, A. Burdese, op. cit., 319 ss. e 351 ss.; V. Barba, La rinunzia all’eredità e al legato, cit., 60, il quale sottolinea come il rinunziante «non è più il protagonista plenipotenziario, bensì un protagonista con il solo diritto potestativo al riacquisto. I pieni poteri e, tra essi, anche quello di esercitare le azioni possessorie, si sono automaticamente trasferiti al chiamato che prende il luogo del rinunziante. Soltanto a quegli competerà la tutela delle situazioni ereditarie». Contro la limitazione della sospensione dell’effetto estintivo della rinuncia al solo potere di accettare l’eredità si veda, invece, A. Cicu, op. cit., 215.
[21] E. Perego, op. cit., 1977; E. Bilotti, La rinuncia all’eredità del chiamato possessore e il sistema dell’amministrazione dei beni ereditari, in Nuova giur. civ. comm., 2022, 909 ss.
[22] Si veda infra, § 4.
[23] Si ritiene si sia di fronte ad una fattispecie legale di acquisto dell’eredità senza accettazione, risolutiva degli effetti della rinunzia posta in essere, non riconducibile all’ambito di operatività della norma di cui all’art. 525 cod. civ. (atecnicamente alla «revoca della rinunzia»), la quale, invece, presuppone una accettazione espressa o tacita da parte del rinunziante.
[24] M. Ceolin, Chiamato in possesso di beni ereditari, inventario e rinunzia all’eredità, cit., 871 ss.; A. Masi, M. Di Fabio, Possesso di beni ereditari e rinuncia all’eredità, in Riv. not., 2016, 637 ss.; G. Sicchiero, Serve davvero l’inventario per rinunciare all’eredità?, cit., 45; Id., La rinuncia del chiamato in possesso dei beni ereditari, cit., 514 ss.
[25] F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, cit., 411; G. Grosso, A. Burdese, op. cit., 262; F.S. Azzariti, G. Martinez, G. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1979, sub Art. 485 cod. civ., 102; C. Romeo, Gli acquisti dell’eredità senza accettazione, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, a cura di G. Bonilini, I, Milano, 2009, 1254. In generale sul normale collegamento dell’onere di inventario a ragioni di tutela dei creditori rispetto a possibili abusi della sua posizione da parte dell’erede, cfr. L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1941, 107.
[26] Cass., 29 marzo 2003, n. 4845, cit.
[27] Per questo rilievo si veda G. Sicchiero, Serve davvero l’inventario per rinunciare all’eredità?, cit., 45; Id., La rinuncia del chiamato in possesso dei beni ereditari, cit., 514 ss., il quale sostiene che infondata sarebbe anche la tesi dell’ulteriore funzione dell’inventario, consistente nel realizzare la certezza della situazione giuridica successoria, evitando che i terzi possano ritenere, nel vedere il chiamato in possesso da un certo tempo di beni dell’eredità, che questa sia stata accettata puramente e semplicemente (per cui si veda Cass., 29 marzo 2003, n. 4845, cit.). Una tale certezza della situazione giuridica successoria potrebbe, infatti, secondo l’autore, conseguire dalla verifica sia del registro delle successioni, sia dei registri immobiliari.
[28] M. Ceolin, op. cit., 871 ss., il quale aggiunge a ciò il rilievo per cui la rinuncia all’eredità toglierebbe al possesso di beni ereditari da parte del chiamato «quel carattere d’equivocità e di pericolosità che esso acquista se si protrae per oltre un trimestre senza che il chiamato abbia compiuto o almeno cominciato l’inventario e che, appunto, solo, giustifica la conseguenza dell’acquisto puro e semplice dell’eredità indipendentemente da qualsiasi accettazione»; A. Masi, M. Di Fabio, op. cit., 637 ss.; G. Sicchiero, Serve davvero l’inventario per rinunciare all’eredità?, cit., 45. E. Bilotti, op. cit., 909 ss.
[29] La questione ha visto contrapporsi due indirizzi: uno propenso, in virtù del riferimento contenuto nella prima parte della norma al «chiamato» e alla «decadenza» dalla facoltà di rinunziare, ad applicare l’art. 527 cod. civ. al solo caso in cui la sottrazione o l’occultamento si verifichino quando non sia ancora intervenuta rinuncia (cfr. L. Ferri, Successioni in generale, cit., 1968, 135; G. Grosso, A. Burdese, op. cit., 351; V. Cuffaro, Rinuncia e accettazione dell’eredità: considerazioni sul disposto dell’art. 527 c.c., in Giur. it., 1986, 290 ss.; E. Perego, op. cit., 1973). L’altro orientamento volto, invece, a riferire la tutela di cui alla disposizione in discorso anche all’ipotesi di rinunzia effettuata anteriormente ai fatti di occultamento o sottrazione di beni ereditari, alla luce della valorizzazione dell’inciso finale della norma, «nonostante la loro rinunzia», che altrimenti non avrebbe alcun plausibile significato (cfr. A. Cicu, op. cit., 216; G. Perlingieri, L’accettazione dell’eredità, in R. Calvo, G. Perlingieri (a cura di), Diritto delle successioni e delle donazioni, cit., 370 e ss.; A. Masi, M. Di Fabio, op. cit., 637; V. Sciarrino, op. cit., 270 ss.; C.M. Bianca, op. cit., 143). In questo secondo senso è stata risolta la questione in giurisprudenza, si veda Cass., Cass., 6 dicembre 1984, n. 6412, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, 458 ss.
[30] Sul punto si rinvia al discorso in merito all’efficacia della rinuncia all’eredità e alla qualificazione giuridica della revoca della rinuncia svolto, retro, nel par. 2 del presente lavoro.
[31] In tal senso Cass., 6 dicembre 1984, n. 6412, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, 458 ss.
[32] Anche in tale ipotesi, dunque, ci troviamo di fronte ad una fattispecie legale di acquisto dell’eredità senza accettazione, risolutiva degli effetti della rinunzia posta in essere, non riconducibile all’ambito di operatività della norma di cui all’art. 525 cod. civ. (atecnicamente alla «revoca della rinunzia»), la quale, invece, presuppone una accettazione espressa o tacita da parte del rinunziante.
[33] G. Sicchiero, Serve davvero l’inventario per rinunciare all’eredità?, cit., 45; Id., La rinuncia del chiamato in possesso dei beni ereditari, cit., 516.
[34] I creditori del de cuius sarebbero invece protetti dal diritto di separazione ex art. 512 c.c., che consentirebbe loro di aggredire anche i beni dell’erede, diversamente dall’accettazione beneficiata, cfr. G. Sicchiero, Serve davvero l’inventario per rinunciare all’eredità?, cit., 45; Id., La rinuncia del chiamato in possesso dei beni ereditari, cit., 515.
[35] G. Sicchiero, Serve davvero l’inventario per rinunciare all’eredità?, cit., 45; Id., La rinuncia del chiamato in possesso dei beni ereditari, cit., 516, in cui l’A. conclude per l’inesistenza di validi argomenti per negare che spetti al chiamato possessore decidere se procedere all’inventario e poi eventualmente alla rinuncia nei termini di cui all’art. 485 cod. civ. oppure rinunciare subito e senza inventario, purché entro quel termine.
[36] Sulla distinzione concettuale fra “inventario” e “beneficio d’inventario” e sull’autonomia del primo rispetto al secondo si veda C. Vocino, op. cit., 14.
[37] Si veda, infra, § 5.
[38] Include l’art. 485 cod. civ. tra le norme parzialmente estranee al beneficio d’inventario C. Vocino, op. cit., 14 e 21.
[39] E. Bilotti, op. cit., 909 e ss. Secondo l’A. i rischi connessi alla vacanza ereditaria non possono essere circoscritti ai soli fatti di sottrazione e occultamento dei beni ereditari ad opera del chiamato considerati dall’art. 527 c.c., ben potendo l’interesse alla non dispersione del patrimonio ereditario essere compromesso anche da comportamenti diversi quali, ad esempio, il mancato esercizio di atti interruttivi della prescrizione o della tutela possessoria dei beni ereditari.
[40] Sul punto risulta da questa dottrina abbracciata la tesi minoritaria dell’obbligo da parte del chiamato di porre in essere gli atti conservativi dell’eredità, in virtù di un ufficio di diritto privato, che farebbe assumere a tale soggetto la veste di curatore di diritto dei beni del de cuius, in tal senso U. Natoli, op. cit., 107 ss.; Id., voce Chiamato alla successione, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 921. Diversamente, l’opinione maggioritaria ha ritenuto, alla luce del tenore letterale degli artt. 460 e 486 c.c., che il chiamato sia titolare di “poteri” di amministrazione conservativa del patrimonio ereditario riconosciutigli nel suo stesso interesse e che, quindi, non abbia un obbligo di gestione, bensì il “diritto” di compiere quegli atti, senza incorrere in alcuna responsabilità in caso di loro non esercizio, cfr. A. Cicu, op. cit., 136 ss.; L. Cariota Ferrara, op. cit., 516 ss.; L. Ferri, Successioni in generale, cit., 1968, 136 ss.; G. Grosso – A. Burdese, op. cit., 158; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 100. Secondo questa tesi solo una volta iniziata scientemente la gestione del patrimonio ereditario, il chiamato potrà reputarsi “tenuto” a portarla a termine, finché l’amministrazione non passi all’erede o ad un curatore, sulla base dei principi della gestione d’affari altrui (A. Cicu, op. cit., 146; L. Ferri, Successioni in generale, cit., 1968, 147 ss.; in giurisprudenza, Cass., 4 maggio 1985, n. 2795, in Mass. Giust. civ., 1985, 867). Una terza opinione, infine, distingue la posizione del chiamato possessore da quella del non possessore di beni ereditari, ritenendo solo il primo gravato di un dovere di gestione conservativa del patrimonio del de cuius, in considerazione dell’impossibilità in tal caso di nominare un curatore dell’eredità giacente, cfr. A. Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1990, 567; A. Albanese, op. cit., 985; C.M. Bianca, op. cit., 73.
[41] E. Bilotti, op. cit., 909 ss.
[42] E. Bilotti, op. loc. ult. cit., secondo il quale il sistema consentirebbe comunque di offrire un rimedio efficiente per il caso in cui, tra il momento dell’apertura della successione e quello della rinunzia all’eredità, il mancato compimento dell’inventario abbia favorito la dispersione o il depauperamento del patrimonio ereditario: dalla prospettiva della curatela di diritto del chiamato deriverebbe, infatti, che tale soggetto sarebbe tenuto a rispondere nei confronti degli interessati di tali fatti, «sia pure con quell’attenuazione dell’entità del risarcimento che si ritiene connessa al carattere gratuito del suo ufficio».
[43] Di responsabilità del chiamato per violazione degli obblighi derivanti dalla curatela di diritto dell’eredità parla E. Bilotti, op. loc. ult. cit. Limitatamente alla figura del chiamato nel possesso di beni ereditari, per la rinvenibilità della sanzione alla violazione dell’obbligo di amministrare «nel quadro della generale responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.», con conseguente obbligo risarcitorio dei danni cagionati al futuro erede e ai creditori, si veda A. Albanese, op. cit., 986.
[44] La diversità di tipo strutturale tra le situazioni rientranti nella gestione conservativa dell’eredità ex artt. 460 e 486 cod. civ. e la situazione relativa all’onere di cui all’art. 485 cod. civ. dovrebbe, d’altro canto, riconoscersi anche laddove si aderisse alla tesi maggioritaria volta ad inquadrare i poteri attribuiti al chiamato in termini non di obblighi, bensì di facoltà esercitabili nel proprio interesse (sul punto cfr. retro, nota 40). Si avrebbero, in tale prospettiva, da un lato, poteri e facoltà costituenti il contenuto di un diritto, dal cui mancato esercizio non deriverebbe alcuna conseguenza giuridica negativa per il suo titolare, dall’altro lato, un onere, dalla cui inosservanza deve ritenersi conseguire la perdita di un potere da parte del chiamato, quello di accettare con beneficio d’inventario o di rinunciare all’eredità. Tale differenza emergerebbe già dalla formulazione letterale delle disposizioni in esame, laddove negli artt. 460 e 486 cod. civ. è ricorrente il termine «può», riferito a tutti i poteri ivi riconosciuti al chiamato, mentre nell’art. 485 cod. civ. è utilizzato il termine «deve» rispetto alla previsione dell’inventario, termine di frequente riferito a situazioni inquadrabili nell’onere.
[45] Nella letteratura giuridica sull’onere si veda G. Brunetti, Norme e regole finali nel diritto, Torino, 1913, 180 ss.; F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1940, 71 ss.; Miche. Giorgianni, L’obbligazione, Milano, 1951, 21; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1955, 112 ss.; F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1962, 74; G. Gavazzi, L’onere. Tra la libertà e l’obbligo, Torino, 1970; N. Irti, Due saggi sul dovere giuridico. (Obbligo-onere), Napoli, 1973, 60 ss.; più recentemente V. Caredda, L’onere. Conversazioni sul diritto privato, Cagliari, 2013.
[46] D’altronde spesso il legislatore utilizza il termine “dovere” riferendosi a situazioni rapportabili all’onere. Si pensi, solo per fare un esempio, all’art. 2643 cod. civ., che, con riferimento all’onere della trascrizione, contiene l’espressione «Si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione».
[47] F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, cit., 235 e ss., ritiene che per distinguere obbligo e onere occorra vedere se la violazione del precetto possa o non possa definirsi come atto illecito, essendo, sul piano dell’inosservanza, l’obbligo garantito da sanzione giuridica, l’onere da sanzione economica, ovvero dal mancato conseguimento di una data utilità. Secondo E. Betti, Diritto romano e dogmatica odierna, Modena, 1928, 31 ss., bisogna distinguere tra sanzione dell’atto illecito civile (garanzia dell’adempimento dell’obbligo), consistente nel riversare sul colpevole il pregiudizio derivato, e sanzione per l’inosservanza dell’onere, rappresentata dal rischio di perdere il vantaggio o di non conseguire l’utile e, dunque, dal soggiacere dell’onerato alle conseguenze dannose dell’inerzia o negligenza propria. Sottolineano il legame tra onere e potere privato e la preordinazione dell’onere alla possibilità di conseguire una posizione vantaggiosa, tra gli altri, Miche. Giorgianni, L’obbligazione, cit., 21; F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, cit., 74. Rifiuta la configurazione dell’onere come «figura o situazione subiettiva derivante dalla norma», N. Irti, op. cit., 118 ss., il quale lo identifica con la mera necessità che sia posto un fatto corrispondente allo schema legale, ovvero come descrizione del nesso normativo di fattispecie ed effetto.
[48] Sull’idoneità del chiamato al compimento degli atti di amministrazione conservativa dell’eredità in quanto soggetto a cui il patrimonio ereditario è destinato, cfr. A. Albanese, op. cit., 983 ss.
[49] In merito ai diversi profili caratterizzanti il contenuto della delazione ereditaria e, dunque, la posizione del chiamato all’eredità si veda U. Natoli, voce Chiamato alla successione, cit., 921; A. Cicu, op. cit., 121 ss.; L. Cariota Ferrara, op. cit., 101 ss.; A. Albanese, op. cit., 983 ss.
[50] M. Ceolin, op. cit., 869.
[51] Su tali profili problematici v. retro, § 2.
[52] Non si reputa, dunque, una singolarità che il chiamato in possesso di beni ereditari che voglia accettare puramente e semplicemente non sia tenuto ad alcun inventario, mentre il rinunciante possessore lo sia, come, invece, ritenuto da G. Sicchiero, Serve davvero l’inventario per rinunciare all’eredità?, cit., 45.
[53] La situazione fattuale alla base della fattispecie di cui all’art. 485 cod. civ. è rappresentata dal semplice possesso promiscuo di beni personali e dell’eredità da parte del chiamato, senza bisogno che ci si spinga a prospettare occultamenti o sottrazioni di beni del de cuius da parte di tale soggetto.
[54] In tal senso si è espresso G. Sicchiero, Serve davvero l’inventario per rinunciare all’eredità?, cit., 45; Id., La rinuncia del chiamato in possesso dei beni ereditari, cit., 515 ss.
[55] In merito alla necessità di non confondere l’istituto dell’inventario con il beneficio conseguente alla relativa accettazione, mantenendo ferma, viceversa, la rispettiva autonomia, v. retro, § 3.
[56] Considera l’inventario di cui all’art. 485 cod. civ. espressione dei poteri di gestione conservativa dell’eredità attribuiti al chiamato E. Bilotti, op. cit., 909 ss.
[57] In merito alle ulteriori argomentazioni che si è ritenuto di porre alla base della non includibilità dell’onere di inventario posto in capo al chiamato possessore entro i poteri di gestione conservativa dell’eredità del delato, v. retro, § 4.
[58] Sul punto v. retro, § 2.
[59] Rischio paventato da M. Ceolin, op. cit., 869.