Il presente contributo si propone di indagare gli aspetti problematici della accettazione ereditaria con beneficio di inventario che l’ordinamento impone nel caso in cui l’erede sia minorenne, trattandosi di soggetto da tutelare in quanto sprovvisto di capacità di agire, concentrandosi in particolare sui precetti centrali che regolamentano tale atto, ovverosia gli artt. 471, 484 e 489 cod. civ. Nondimeno, il contributo in rassegna, oltre ad affrontare il peculiare caso in cui il legale rappresentante sia assente oppure in conflitto di interessi, analizza le criticità più rilevanti che l’applicazione delle norme del Codice civile in tema di obbligata accettazione beneficiata da parte del minore determina con riguardo alla sorte dei diritti di quest'ultimo nel caso in cui il legale rappresentante sia inerte omettendo di effettuare la dichiarazione solenne di accettazione beneficiata ovvero di redigere successivamente l'inventario.
This contribution aims to investigate the problematic aspects of the acceptance of inheritance with the benefit of inventory that the law enforces in the event that the heir is a minor, being a subject to be protected as lacking the capacity to act, focusing in particular on the main rules that regulate this act, i.e. Articles 471, 484 and 489 of Italian Civil Code. Nonetheless, this contribution, in addition to facing the peculiar case in which the legal representative is absent or in conflict of interest, analyzes the most relevant critical issues that the application of the provisions of the Civil Code, in case of compulsory acceptance under benefit of inventory by the minor, determines with regard to the fate of the latter’s rights in the event that the legal representative is inactive by failing to make the solemn declaration of benefited acceptance or to subsequently draw up the inventory.
1. Il minore che succede: aspetti introduttivi - 2. L’inerzia del legale rappresentante e la nomina del curatore speciale - 3. La sospensione della prescrizione di cui all’art. 2942, n. 1), cod. civ. - 4. L’accettazione beneficiata e il suo difficile inquadramento: la critica alla tesi del negozio complesso - 5. La dichiarazione solenne di cui all’art. 484 cod. civ. quale unico elemento costitutivo dell’accettazione beneficiata - 6. La decadenza dalla responsabilità limitata in ipotesi di mancata redazione dell’inventario - 7. I riflessi giuridici della costruzione dogmatica elaborata - 8. Spunti ricostruttivi per una nuova interpretazione dell’art. 489 cod. civ. - NOTE
Pur nella consapevolezza che in materia successoria la produzione scientifica è assai vasta, trattandosi di un àmbito che, sin dall’antichità, ha occupato gli sforzi profusi dagli studiosi del diritto civile, il fenomeno del subentro nei diritti e negli obblighi che facevano capo al de cuius, quando chiamato all’eredità è un minore, si presenta ancora oggi caratterizzato da profili di problematicità non del tutto sopiti.
La ragione principale va individuata nella circostanza che il soggetto in questione non è destinatario di effetti successori comuni. La sua incapacità legale di agire è foriera di non poche deviazioni dalle regole generali che l’ordinamento ha dettato quando a succedere è, invece, una persona che ha raggiunto la maggiore età. Pur potendo il minore essere titolare di diritti e obblighi, al medesimo non è riconosciuta la capacità di manifestare in modo diretto e autonomo la propria volontà di acquisire ed esercitare i primi e, al tempo stesso, di assumere i secondi ovvero di rinunciare a subentrare nei rapporti giuridici, sia attivi che passivi, che facevano capo al de cuius. Mentre le norme che disciplinano gli effetti successori ordinari sono destinate a regolamentare vicende dominate dall’intento egoistico dei privati, allorquando si sia al cospetto di un incapace a questo quadro si aggiungono disposizioni che coinvolgono interessi ritenuti dal legislatore di natura superiore, in quanto collegati a taluni aspetti del diritto di famiglia, volte a proteggere il minore da rischi e conseguenze pregiudizievoli sotto il profilo sia patrimoniale che personale.
Infatti, poiché l’erede subentra non solo nella titolarità di beni e diritti del defunto ma anche nell’obbligo di soddisfare i debiti e i vincoli ereditari, sul presupposto che questi ultimi possano anche superare il valore dei primi, il legislatore ha nel tempo avvertito sempre più la necessità di tutelare il chiamato all’eredità sprovvisto di capacità di agire. Ciò, evidentemente, con il proposito di evitare gli impatti negativi sulla situazione patrimoniale di quest’ultimo, dovendo tuttavia contemperare questa esigenza con quella di non compromettere eccessivamente le ragioni dei creditori dell’eredità e di quelli personali del minore stesso.
Sebbene gli artt. 471, 484 e 489 cod. civ. – quali precetti centrali che sovraintendono il diritto ereditario quando a succedere è un minore – abbiano da tempo costituito oggetto di un rigoroso esame scientifico ad opera della letteratura, che si è occupata dello studio delle norme e dei principi generali in tema di successione dell’incapace, oltre che della giurisprudenza, sempre attenta alle esigenze pratiche del diritto vivente e ai casi particolari che coinvolgono i giudizi, a chi scrive è parso utile tornare sull’argomento al fine di affrontare, sotto una diversa angolatura, talune tra le questioni più delicate che si pongono allorché il minore succede nella posizione del de cuius.
Nello specifico, il contributo in rassegna – senza tralasciare il peculiare caso in cui il legale rappresentante sia assente oppure in conflitto di interessi – si concentra funditus sul beneficio d’inventario e i suoi effetti. Particolare attenzione verrà dedicata alle problematiche più rilevanti che l’applicazione delle norme del Codice civile in tema di obbligata accettazione beneficiata da parte del minore determina con riguardo alla sorte dei diritti di quest’ultimo nel caso in cui il legale rappresentante ometta di effettuare la dichiarazione solenne di accettazione beneficiata ovvero di redigere successivamente l’inventario.
È noto che sia l’accettazione ereditaria [1] che la rinuncia [2] sono attribuite ex art. 320 cod. civ., fino al compimento della maggiore età del minore o all’emancipazione, ai genitori, titolari in maniera congiunta della responsabilità genitoriale [3], oppure al singolo genitore che la esercita in maniera esclusiva. In particolare l’accettazione e la rinuncia a eredità e legati rientrano tra quegli atti di straordinaria amministrazione che i genitori non possono porre in essere se non per necessità o utilità evidente del figlio subordinatamente all’autorizzazione del giudice tutelare [4], dovendosi considerare l’interesse del minore il faro che orienta la decisione circa gli atti da compiere [5] ed essendo del pari indubitabile che detti atti finiscono per riflettersi sulla composizione e, pertanto, sul valore del patrimonio dell’incapace [6].
Per tale ragione, sebbene – come si affronterà meglio nel prosieguo [7] – l’ordinamento giuridico preveda il vincolo dell’accettazione con beneficio di inventario in caso di chiamato all’eredità che sia minore d’età, con riguardo alla figura dei genitori che rappresentano il figlio non maggiorenne l’art. 320, comma 3, cod. civ. dispone comunque che il ricorso all’autorizzazione da parte del giudice tutelare sia obbligatorio, tanto laddove si volesse rinunziare all’eredità quanto in ipotesi di accettazione.
Purtuttavia, il legale rappresentante del minore potrebbe rimanere inerte rispetto al compimento di uno dei suddetti atti, ovverosia restare in uno stato di inazione e inoperosità, sia essa volontaria o meno. Nel diritto l’inerzia esprime un concetto negativo di indifferenza, disinteresse e passività, concretantesi in un difetto di tutela del proprio diritto [8] o di quello del rappresentato, la quale si sostanzia in un comportamento giuridico permanente che consiste nel non esercizio della posizione soggettiva attiva che, se protratto per un certo tempo, ne determina l’estinzione [9]. La dottrina ha pure precisato come essa acquisisca rilevanza per l’ordinamento qualora assuma i caratteri di un oggettivo contegno concludente nei confronti dei terzi che ragionevolmente vi fanno affidamento piuttosto che in virtù di una volontà interna al soggetto [10]. Ebbene, ciò detto, nulla conduce a escludere che il legale rappresentante del minore possa tenere una condotta concludentemente inattiva [11] sia rispetto alla rinuncia alla eredità per conto del minore sia con riguardo alla accettazione con beneficio d’inventario, non procedendo in quest’ultima circostanza a instare il giudice tutelare ai fini dell’autorizzazione oppure non compiendo l’atto, una volta ottenuto il provvedimento autorizzativo, lasciando così scorrere il termine decennale di prescrizione.
Nonostante i molteplici e articolati scenari possibili, il legislatore, tramite l’art. 321 cod. civ., ha dedicato all’inerzia un’unica disposizione, prevedendo che, qualora il genitore non possa o non voglia compiere uno o più atti di interesse del figlio eccedenti l’ordinaria amministrazione [12], il rimedio esperibile consiste nella nomina di un curatore speciale, da parte del giudice tutelare, su istanza del figlio stesso, del Pubblico Ministero o di uno dei parenti del minore.
Sennonché tale norma non appare pienamente soddisfacente in termini di tutela dell’incapace. Al riguardo è, infatti, alquanto inverosimile ipotizzare che lo stesso minore, soprattutto se infante o fanciullo, riesca a verificare l’inerzia del proprio rappresentante legale e di conseguenza adisca il giudice tutelare ai fini della nomina del curatore speciale, così come pare poco probabile che vi provveda, se non appositamente compulsato, il Pubblico Ministero [13] o un parente del soggetto da tutelare, sempre che quest’ultimo vi sia e intenda intervenire oltre che la situazione gli sia nota. Per di più, qualora effettivamente ad agire fosse il minore, non ci si potrebbe esimere dall’interrogarsi su come questi possa conferire valida procura a un difensore ai fini della rappresentanza in giudizio in assenza di capacità di agire. Né aiuta a risolvere il dubbio che ci si è posti la formulazione letterale del precetto in esame il quale nello specificare – in luogo della formula tecnica «ricorso» – che la nomina del curatore speciale avviene «su richiesta» del figlio, si preoccupa di disciplinare esclusivamente il soggetto legittimato e non la sussistenza o meno dei suoi poteri per porre in essere il suddetto atto prodromico all’introduzione del procedimento di volontaria giurisdizione.
La risposta, tuttavia, potrebbe rinvenirsi sostenendo che laddove la legge – al pari di quanto dispone l’art. 321 cod. civ. – abbia conferito al minore un siffatto potere, la medesima ha inteso derogare alla regola generale della capacità di agire da parte dell’interessato al fine di compiere atti che sono il presupposto di determinati effetti giuridici che l’ordinamento stesso prevede.
A corroborare tale approdo è utile ricordare che la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 25 gennaio 1996, ratificata anche dall’Italia, stabilisce nell’art. 4 il diritto del minore di chiedere la nomina di un rappresentante speciale, tanto – lo si sottolinea – personalmente quanto tramite altre persone od organi, nei procedimenti che lo riguardano dinanzi all’autorità giudiziaria allorquando il diritto interno priva i detentori delle responsabilità genitoriali della facoltà di rappresentare il minore a causa di un conflitto di interessi, fermo restando che gli Stati aderenti possono prevederne l’applicazione ai soli minori che in base al diritto interno abbiano una sufficiente capacità di discernimento.
In considerazione di tutto ciò, non si ritiene così remota la possibilità che si crei una situazione nella quale effettivamente il minore finisca per restare semplicemente chiamato all’eredità, e, solo una volta divenuto maggiorenne, decida infine se accettare o rifiutare, sempre che nel frattempo non sia spirato il termine di prescrizione, decorso il quale si assisterebbe invece all’estinzione tout court del diritto all’eredità del medesimo. Quanto sopra prospettato potrebbe, per esempio, accadere qualora il minore, alla data di apertura della successione, non abbia una età superiore agli otto anni e il suo legale rappresentante né accetta né rinuncia, impedendo che il predetto possa esercitare i propri diritti allorquando diciottenne.
Nel caso in cui, invece, sia nominato il curatore speciale – a cui compete, ferma restando l’autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320, comma 3, cod. civ., il compito di accettare o rifiutare l’eredità per conto del minore – un’eventuale criticità si porrebbe se la designazione di tale organo venisse impugnata o revocata [14] e nel frattempo il medesimo volesse porre in essere l’accettazione ovvero la rinuncia all’eredità o ciò fosse già avvenuto.
Una problematica del tutto simile emerge allorquando il curatore speciale sia stato nominato – in forza dell’art. 320, comma 6, cod. civ. – a causa di un conflitto in ragione di contrapposti interessi patrimoniali e personali tra i minori soggetti alla medesima responsabilità genitoriale, oppure tra i minori e i genitori o il genitore che esercita in via esclusiva il predetto potere [15], dovendosi tuttavia ritenere che detta contrapposizione non sussista qualora l’atto da porre in essere sia a vantaggio tanto dei genitori quanto del minore [16].
In ciascuna delle suddette ipotesi è doveroso interrogarsi se sia possibile per il curatore compiere l’atto e, nell’evenienza in cui esso venga nel frattempo posto in essere, se il medesimo conservi la propria efficacia alla luce dell’accoglimento del ricorso con conseguente avvicendamento del curatore stesso. Del pari il dubbio testé esposto sorge altresì nel caso in cui la nomina del curatore, avvenuta in sostituzione del legale rappresentante in forza di un asserito conflitto di interessi, sia riformata a seguito di gravame.
La risposta a detti quesiti non può che prendere avvio dalla natura del provvedimento di nomina. Come noto, l’individuazione del curatore speciale avviene tramite decreto e ha natura di atto di volontaria giurisdizione, reclamabile ai sensi dell’art. 739 cod. proc. civ. [17], ma non è soggetto a ricorso ex art. 111 Cost., poiché non decisorio né definitivo [18].
Tuttavia, è evidente come le questioni in esame si pongano esclusivamente qualora, in forza di quanto disposto dall’art. 741, comma 2, cod. proc. civ., il giudice tutelare, nel provvedimento di nomina e in quello autorizzativo, contestuale oppure successivo al primo, abbia statuito che i medesimi siano immediatamente efficaci una volta riscontrate evidenti ragioni di urgenza, posto che, in difetto, gli stessi produrrebbero effetti solo quando fossero decorsi i termini per proporre reclamo. In una siffatta circostanza si dovrebbe, quindi, ritenere che l’atto negoziale di accettazione così come quello di rinuncia dell’eredità sopravvivano all’eventuale accoglimento del gravame e alla consequenziale nomina di un nuovo curatore in sostituzione del precedente oltre che in ipotesi di vittorioso esito del reclamo avverso il provvedimento ex art. 320 cod. civ., dovendosi per l’appunto ricorrere al generale principio di stabilità degli atti autorizzati e immediatamente efficaci riconosciuto anche dalla giurisprudenza [19].
Qualora invece oggetto di gravame fosse esclusivamente il provvedimento di nomina del curatore speciale, a maggior ragione il predetto atto negoziale non potrà che spiegare effetti, in quanto proveniente dal provvedimento assunto ai sensi dell’art. 320, comma 3, cod. civ., essendo la manifestazione di volontà del curatore speciale esclusivamente lo strumento per riflettere nella sfera del minore il contenuto autorizzatorio del decreto del giudice tutelare che ha accertato le necessità o le utilità evidenti per il figlio.
Alle stesse conclusioni testé raggiunte si dovrebbe approdare in ipotesi di modifica del decreto o di revoca del medesimo ex art. 742 cod. proc. civ. Milita a favore di una siffatta deduzione l’ulteriore previsione di cui all’ultima parte di detto precetto laddove, nel fare salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca, finisce per accogliere sostanzialmente il principio di conservazione degli atti precedentemente compiuti.
Prima di addentrarci nel cuore del presente contributo, al fine di completare la disamina degli accadimenti che, oltre all’inerzia, possono palesarsi nel rapporto tra il minore e il suo legale rappresentante, è utile soffermarsi brevemente anche sugli eventi in grado di incidere sul decorso del termine di prescrizione del diritto di accettare l’eredità da parte del minore stesso.
In materia successoria opera l’art. 480 cod. civ., secondo cui, in relazione al diritto di accettare l’eredità, il termine prescrizionale è quello ordinario decennale ex art. 2946 cod. civ. Di regola, esso decorre dal giorno dell’apertura della successione, che coincide, ai sensi dell’art. 456 cod. civ., con il momento della morte del de cuius, nel luogo dell’ultimo domicilio del medesimo, oppure, in caso di istituzione condizionale, dal giorno in cui si verifica la condizione. Una volta che il diritto di accettare l’eredità si è prescritto, il chiamato non può più diventare erede di fronte ai terzi, agli eventuali coeredi o chiamati all’eredità, con evidenti effetti e ripercussioni nei confronti di essi oltre che dello Stato [20], essendo questi l’ultimo dei successori legittimi a cui sono devolute in modalità beneficiata, ai sensi degli artt. 565 e 586 cod. civ., le eredità vacanti in assenza di altri successibili.
Sennonché la prescrizione è disciplinata in maniera particolare con riferimento alla situazione del minore non emancipato che si trovi privo di legale rappresentante [21], ad esempio, per decesso o interdizione di quest’ultimo.
Difatti, l’art. 2942, n. 1), cod. civ. stabilisce che per i minori si attua la sospensione della prescrizione non solo per il periodo in cui sono privi di un legale rappresentante ma, altresì, per i sei mesi successivi alla nomina di un nuovo soggetto incaricato, qual è il tutore designato ai sensi degli artt. 346 ss. cod. civ. È, questo, il caso in cui il minore sia orfano di entrambi i genitori oppure, benché viventi, essi non possano o non siano in grado di averne cura e di esercitare la vigilanza su di lui, nonché di amministrare i suoi beni [22]. In aggiunta a detta fattispecie, la norma in esame prevede che la sospensione della prescrizione operi anche nei sei mesi che seguono la cessazione dell’incapacità del minore nel frattempo divenuto maggiorenne [23]. Ciò è, infatti, quanto si ricava dal dato letterale della norma che, nell’utilizzare la congiunzione disgiuntiva «o» tra l’evento della nomina e quello della cessazione dell’incapacità, esprime l’intento del legislatore di voler far decorrere il semestre de quo anche nella fattispecie della cessazione della causa di incapacità. Tale interpretazione è altresì corroborata dalla circostanza che, come poc’anzi accennato, al minore, privo di legale rappresentante e divenuto maggiorenne, è concesso il tempo necessario per assumere le proprie autonome determinazioni dopo aver acquisito un quadro cognitivo della vicenda che lo ha investito. Decorso anche tale ultimo periodo semestrale, il termine di prescrizione decennale riprenderà pertanto a decorrere [24] e nel calcolo dell’arco di tempo prescrizionale per l’accettazione dell’eredità da parte del minore occorrerà tenere conto, computandolo, di quello trascorso tra l’apertura della successione e il verificarsi della causa sospensiva [25].
Alla mancanza per il minore del legale rappresentante la giurisprudenza ha equiparato la sussistenza del conflitto d’interessi tra il primo e il secondo, sul presupposto che la carenza di una siffatta previsione tra le cause di sospensione di cui all’art. 2942, n. 1), cod. civ. è parsa in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. [26].
Tuttavia, la dottrina che si è interrogata sul tema all’indomani dell’orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che quest’ultima non abbia riconosciuto il giusto rilievo alla regola della tassatività delle cause di sospensione della prescrizione previste dalla legge [27], che diversamente la costante giurisprudenza di legittimità ha considerato ostativa rispetto alla configurabilità per via interpretativa di altre fattispecie sospensive [28]. L’art. 2942, n. 1), cod. civ. è stato, infatti, ritenuto una norma eccezionale – poiché per l’appunto rappresentante una deroga ai principi generali dell’ordinamento in ragione della presenza di esigenze lecite – e come tale ricompresa nel divieto di interpretazione analogica di cui all’art. 14 Preleggi oltre i casi e i tempi in essa considerati [29].
Evidentemente tale ultimo indirizzo non ha comunque impedito al Supremo Collegio di dar corso a un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in commento [30] in difetto della quale si sarebbe perpetrata la violazione dei principi costituzionali consacrati nell’art. 3 Cost. a fronte di un’ingiustificata disparità di trattamento tra il minore non emancipato privo di legale rappresentante e la fattispecie in cui il rappresentante fosse in conflitto di interessi con il rappresentato.
Al pari di quanto anticipato in apertura di questo contributo, i profili di maggior problematicità per il minore che succede hanno a che fare con la corretta individuazione del momento da cui decorrono gli effetti dell’accettazione beneficiata [31].
Prima di esaminare le conseguenze che si riflettono nella sfera del chiamato all’eredità che non ha ancora compiuto la maggiore età è, tuttavia, doveroso affrontare il dibattuto tema – stante l’obbligatoria accettazione beneficiata anche nel caso in cui appaia sussistere una hereditas lucrosa [32] – della struttura giuridica che caratterizza quest’ultima, posto che è proprio da una corretta ricostruzione della medesima che occorre prendere avvio per la soluzione dei vari interrogativi che questo istituto genera.
Al riguardo, mentre un risalente indirizzo dottrinale – avallato da qualche isolata pronuncia giurisprudenziale [33] – era giunto a distinguere due negozi, ovverosia l’accettazione, con la quale si attuava la successione, da un lato, e la dichiarazione di volersi avvalere della limitazione di responsabilità generata dalla prima attraverso la redazione dell’inventario, dall’altro [34], nel tempo ha finito per prevalere il diverso orientamento secondo cui è possibile individuare nell’accettazione beneficiata una vicenda giuridica unica. In relazione ad essa non sono però mancate una serie di sfumature che hanno condotto a distinguere, nell’ambito del medesimo filone interpretativo, tra chi ha preferito parlare di atto complesso, nel quale vengono a fondersi l’intento di accettare l’eredità e il proposito di ottenere gli effetti beneficiati [35], e coloro che si sono invece orientati verso la costruzione di una fattispecie a formazione progressiva [36] ovvero, in altri casi ancora, hanno ritenuto che si tratti di un procedimento di accettazione beneficiata [37].
Rilevante è, sotto questo profilo, il ruolo assegnato al confezionamento dell’inventario, quale misura conservativa dei beni ereditari [38], attraverso il quale si procede sia a un accertamento materiale dei beni presenti nell’asse ereditario sia a una loro valutazione economica, evincendosi in ciò la finalità garantistica volta a tutelare i creditori che vantano pretese nei confronti dell’eredità [39].
Al riguardo, sotto l’aspetto strutturale, se in un primo momento era stato ritenuto che all’inventario dovesse essere attribuita funzione integratrice della dichiarazione di accettazione beneficiata, la cui assenza avrebbe impedito la produzione dell’effetto limitativo della responsabilità [40], più di recente è stato invero affermato come la carenza della sua predisposizione finirebbe per impedire il perfezionamento della fattispecie [41], sebbene in entrambe le circostanze si sia ammesso che alla dichiarazione di accettazione sarebbero riconnessi effetti ex lege – la qualità di erede puro e semplice – diversi da quelli voluti da colui che aveva a suo tempo manifestato l’intento di accettare.
In definitiva, in forza dell’indirizzo del negozio unico l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario si comporrebbe di due distinti elementi: il primo rappresentato dall’accettazione beneficiata in forma solenne dell’eredità e il secondo costituito dall’operazione materiale di redazione dell’inventario volta a individuare i beni e i debiti appartenenti rispettivamente all’asse attivo ereditario e a quello passivo. Ma una volta ricostruito in termini sintetici il quadro che precede, la domanda che sorge d’obbligo è la seguente: ai fini della determinazione del beneficio d’inventario sono effettivamente sempre necessari entrambi questi elementi oppure la qualità di erede beneficiato si acquisisce – come a chi scrive, si anticipa, pare preferibile – con la sola accettazione in forma solenne, salvo poi potersi mantenere e conservare esclusivamente in forza della redazione, nei termini di legge, dell’inventario, in difetto della quale la limitazione di responsabilità dell’erede viene inderogabilmente meno?
La risposta al suddetto quesito è resa delicata dalla circostanza per cui la responsabilità illimitata per i debiti che compongono, sul versante delle passività, l’eredità potrebbe costituire tanto la conseguenza del mancato prodursi dell’effetto legato al beneficio d’inventario quanto la ripercussione della decadenza dal medesimo sul presupposto, in quest’ultimo caso, che lo stesso abbia sprigionato la propria efficacia fin da subito.
A tal proposito, non pochi sono gli argomenti che fanno dubitare della fondatezza della tesi del negozio complesso. Innanzitutto, la circostanza che l’art. 505 cod. civ. sia silente con riguardo alla perdita della limitazione della responsabilità a causa della mancata predisposizione dell’inventario non è assolutamente decisiva ai fini di dimostrare [42] che quest’ultimo rileva per il completamento della fattispecie e non quale evento idoneo – se mancante – a eliminare l’effetto del beneficio che si è già prodotto. Il suddetto articolo si preoccupa di disciplinare fattispecie che di per sé sono già efficaci ai fini dell’accettazione beneficiata, ma ciò non equivale ad affermare che lo siano in quanto l’inventario assurga a elemento costitutivo della vicenda. La ratio di quest’ultimo adempimento è quella, come poc’anzi accennato, di formare una ‹‹garanzia in senso lato per i creditori dell’eredità›› sul presupposto che l’erede gode del beneficio della responsabilità limitata [43]. In definitiva, sotto questo aspetto, appare evidente come l’art. 505 cod. civ. regolamenti dunque un fenomeno particolare: quello della perdita della limitata responsabilità per l’erede, che si aggiunge alle fattispecie di cui agli artt. 485 e 487 cod. civ., occupandosi esso pertanto di vicende caducative del beneficio differenti rispetto a quelle disciplinate da questi due ultimi articoli.
Sulla base della ricostruzione che qui si intende rigettare e volendo per un momento soffermarsi esclusivamente sui citati articoli, la mancanza di inventario impedirebbe tutt’al più la formazione della fattispecie dell’accettazione con beneficio ma non giustificherebbe la possibilità di determinarne una nuova e diversa – quella dell’erede puro e semplice – senza che venga attribuito valore di accettazione dell’eredità al negozio dichiarativo di cui all’art. 484 cod. civ. In altri termini, se l’assenza di inventario estinguesse effettivamente la fattispecie complessa, non necessariamente ne perfezionerebbe però un’altra.
La tesi del negozio complesso ovvero della fattispecie a formazione progressiva rischia, per di più, di creare confusione a livello concettuale. Allorquando questa non si compia, la naturale conseguenza è che la medesima cada completamente, essendo alquanto difficile immaginare che possa sopravvivere in parte. Alla realizzazione della fattispecie si assisterebbe solamente una volta che tutti gli elementi costitutivi si fossero verificati, posto che in difetto di anche uno soltanto di essi non si potrebbe ipotizzare un conseguimento parziale della figura in esame idoneo a far sì che, se non si completasse l’accettazione con beneficio d’inventario, resterebbe quella pura e semplice. Ammettere una siffatta conclusione significherebbe sovrapporre il piano del perfezionamento del negozio con quello della sua efficacia. Infatti, qualora l’assenza di inventario fosse effettivamente in grado di far cessare la fattispecie a formazione progressiva, l’intero procedimento cadrebbe nel nulla e nessun effetto verrebbe a determinarsi, dovendosi per coerenza ammettere l’inefficacia a qualsiasi titolo anche della dichiarazione di accettazione iniziale di cui all’art. 484 cod. civ. che l’ha originata, il che – in assenza di ulteriori manifestazioni di volontà – lascerebbe il chiamato all’eredità tale, impedendogli di diventare erede puro e semplice. Al contrario, i fautori della tesi del negozio complesso sostengono che, quantomeno per colui che non è minorenne, in luogo dell’effetto della limitazione della responsabilità dell’erede se ne abbia un altro: quello di considerare il chiamato erede puro e semplice [44]. Ma si tratta pur sempre di una assunzione che si colloca sul versante delle conseguenze giuridiche che un determinato negozio – l’accettazione dell’eredità – sprigiona e non su quello del perfezionamento o meno del medesimo.
A tal proposito l’espressione di cui all’art. 487, comma 2, cod. civ. secondo la quale in mancanza di inventario il chiamato all’eredità ‹‹è considerato erede puro e semplice›› non significa che si deve prendere atto che l’erede non si è avvalso del vantaggio che la legge gli aveva accordato offrendogli la possibilità di accettare con beneficio d’inventario. La locuzione va diversamente intesa nel senso che l’erede diventa tale per effetto di un comportamento successivo rispetto all’accettazione che ha una conseguenza rilevante: la perdita del beneficio della responsabilità limitata.
Né è possibile configurare – come invero da taluni sostenuto [45] – che la vicenda in esame integri una conversione dell’accettazione beneficiata in accettazione pura e semplice. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 1324 e 1424 cod. civ. – che si applicano in quanto compatibili ai negozi inter vivos tra i quali rientra l’accettazione dell’eredità [46] – il chiamato diventerebbe erede puro e semplice alla scadenza del termine ultimo per redigere l’inventario [47]. Infatti, se fosse vero che si tratta di una conversione, si dovrebbe del pari ammettere che chi avesse accettato con beneficio d’inventario avrebbe potuto, prima di essa, rinunciare non essendo ancora erede fino allo spirare del termine di redazione dell’inventario in quanto il beneficio stesso si sarebbe perfezionato con tale ultimo adempimento e la conversione in erede puro e semplice avrebbe avuto luogo con la mancanza di esso nel termine di legge. Sennonché a ciò osta la circostanza che l’art. 485, comma 3, cod. civ. ammette la rinuncia solo qualora la dichiarazione di accettazione di cui all’art. 484 cod. civ. non sia stata fatta. Tale ultima considerazione costituisce la riprova che la qualità di erede si acquista già con la dichiarazione di cui all’art. 484 cod. civ. – non potendo più il chiamato rinunciare una volta accettato – e non con la presupposta conversione dell’accettazione con beneficio d’inventario in accettazione pura e semplice [48].
Inoltre, anche il fatto che gli artt. 485 e 487 cod. civ. siano rubricati rispettivamente Chiamato all’eredità che è nel possesso di beni e Chiamato all’eredità che non è nel possesso di beni e che spesso facciano riferimento alla figura del chiamato piuttosto che a quella dell’erede – aspetto questo che si rinviene pure nell’art. 486 cod. civ. – non è decisivo per escludere le conclusioni a cui si è pervenuti e ciò per almeno due ordini di considerazioni. Innanzitutto le prime due delle tre suddette disposizioni sono volte a regolare non solo le modalità e i termini di redazione dell’inventario qualora la dichiarazione di accettazione dell’eredità sia già avvenuta, ma altresì il caso opposto in cui sia il primo a precedere, sotto il profilo cronologico, la seconda e in quest’ultima vicenda sarebbe del tutto inappropriato parlare di erede. In secondo luogo, nella fattispecie di cui all’art. 485, comma 3, cod. civ., la circostanza che, trascorso inutilmente il termine dei quaranta giorni, il chiamato si consideri erede puro e semplice, si giustifica in ragione del fatto che il suddetto possesso da un certo momento in poi – trascorso per l’appunto il quarantesimo giorno – equivale a una sorta di accettazione tacita dell’eredità.
Infine, pure il riferimento alla formulazione chiamato in luogo di erede contenuto nell’art. 486 cod. civ. è irrilevante ai fini di sconfessare la tesi che qui si vuole sostenere. In realtà, la citata disposizione non fa altro che attribuire i poteri di cui all’art. 460 cod. civ. al chiamato all’eredità per consentirgli di stare in giudizio come convenuto allo scopo di rappresentare l’eredità, in quanto la norma parte dal presupposto che siano ancora pendenti i termini stabiliti dall’art. 485 cod. civ. al fine non tanto di redigere l’inventario quanto e soprattutto di deliberare se accettare o rinunciare all’eredità, chiarendo in tal modo che la suddetta legittimità compete oltre che all’erede altresì al chiamato. Il che, semmai, conferma e non smentisce che senza accettazione dell’eredità beneficiata nelle forme previste dalla legge resta la qualifica di chiamato all’eredità, a prescindere dalla redazione o meno dell’inventario.
Rigettata la tesi, senza dubbio prevalente in dottrina e giurisprudenza, del negozio complesso ovvero della fattispecie a formazione progressiva di cui si è cercato di cogliere, nel precedente paragrafo, i punti di debolezza e le argomentazioni non sempre convincenti utilizzate a sostegno della medesima, è ora necessario assumere una motivata posizione sul punto, stante la rilevanza che la ricostruzione della vicenda in commento occupa in ordine allo sviluppo dell’indagine intrapresa in questo contributo.
Dall’esame condotto sulle disposizioni fino a ora analizzate pare possibile ricavare la seguente conclusione: l’accettazione con beneficio d’inventario è non solo un atto giuridico unico inscindibile [49] ma, qualora rispettosa dei requisiti di forma di cui all’art. 484 cod. civ., anche di per sé idonea a far acquisire al soggetto interessato, in via definitiva e stabile, la qualità di erede beneficiato. La stessa è, infatti, sempre espressa [50] poiché necessita di un’apposita dichiarazione formale e consiste, per l’appunto, in un atto negoziale che esprime la volontà del chiamato di ricevere quanto gli spetta [51]. Da tale negozio discendono quindi l’immediato effetto limitativo della responsabilità e la contestuale separazione del patrimonio del defunto da quello dell’erede [52]; beneficio questo che, tuttavia, può essere perso qualora non venga compiuto l’inventario dei beni caduti in eredità nel rispetto dei termini fissati dalla legge [53].
Aderendo a questa impostazione – accolta anche dal Supremo Collegio in epoca ormai risalente [54] oltre che in alcune isolate pronunce della giurisprudenza di merito [55] – la limitazione di responsabilità dell’erede si manifesterebbe in virtù della dichiarazione e contestualmente a essa, mentre la mancata o tardiva formazione dell’inventario integrerebbe una mera causa di decadenza da tale vantaggio. Trascorso infruttuosamente il tempo per redigere l’inventario fissato dalla legge per i minori, il soggetto che ha accettato in via beneficiata decade non già dal diritto ereditario che ha definitivamente conseguito con l’accettazione, bensì dalla prerogativa della responsabilità limitata. La posizione soggettiva ereditaria è, infatti, acquistata dal chiamato in forza di un negozio giuridico autonomo – la dichiarazione di accettazione beneficiata – in sé perfetto se quest’ultima è stata resa nella forma solenne prevista dall’art. 484 cod. civ.
Non può, infatti, qui accogliersi quell’indirizzo che è giunto a ritenere che anche la limitazione di responsabilità, al pari dell’esercizio del diritto di accettare l’eredità, si risolve in un potere a sé stante e, pertanto, in un diritto potestativo in grado di posizionarsi accanto al primo [56]. La limitazione è concessa dalla legge e non dipende dalla volontà del chiamato, apparendo per di più alquanto evidente che si tratti di un effetto della accettazione con beneficio di inventario [57]. In luogo dell’esercizio di un diritto, il chiamato all’eredità si limita, infatti, a decidere – se non è minore – di avvalersi del beneficio discrezionalmente, ma, una volta scelto il regime, le conseguenze giuridiche sono quelle disposte dall’ordinamento. Analoga è la situazione per il minore, con l’unica differenza che l’alternativa non si pone tra accettare con beneficio d’inventario o in forma pura e semplice, collocandosi invero essa su un piano diverso: vale a dire tra succedere al de cuius ricorrendo obbligatoriamente al beneficio d’inventario ovvero rinunciare all’eredità.
Ciò che accade, pertanto, in assenza della predisposizione dell’inventario entro i termini di legge non è la mancata acquisizione di un beneficio bensì la decadenza da un effetto favorevole: quello di limitare la responsabilità del chiamato all’eredità [58]. Chi ha accettato con beneficio d’inventario non è quindi erede puro e semplice ma fin da subito beneficiato, perdendo tale qualificazione e le relative ripercussioni giuridiche quando resta inattuato l’onere della redazione dell’inventario: questo a prescindere che si tratti di un minore o meno. La differenza tra chiamato incapace e chi non lo è si riscontra esclusivamente sotto il profilo cronologico. Il capace di agire decade, in assenza di inventario, dal beneficio della responsabilità limitata alla scadenza dei termini fissati dagli artt. 485 e 487 cod. civ., mentre al minore viene concesso un più ampio periodo di tempo – fino al compimento del diciannovesimo anno di età – al fine di consentirgli di prendere una decisione, nell’inerzia del legale rappresentante, e ciò sul presupposto che è lecito pensare che, una volta divenuto maggiorenne, il successore sia in grado, conoscendo l’eredità, di scegliere autonomamente se continuare o meno ad avvalersi dei benefici della limitazione della responsabilità che l’art. 490 cod. civ. preserva a suo favore, impedendo che questi possa essere considerato decaduto dal beneficio stesso anche se nel possesso dei beni per mancanza di inventario come dispone l’art. 485 cod. civ. In altre parole, l’onere della redazione dell’inventario [59] che il chiamato deve eseguire entro un determinato termine – più ampio per il minore rispetto alla regola generale – non attua certo il suddetto beneficio ma impedisce che questo venga meno [60], tutelando in tal modo l’interesse dell’erede.
Del pari va rigettato qualunque tentativo di inquadrare il beneficio d’inventario ricorrendo all’istituto della condizione, sia sospensiva che risolutiva, essendo escluso che gli effetti del negozio di accettazione costituiti dalla limitazione della responsabilità possano, rispettivamente, farsi discendere ovvero venir meno dal compimento dell’inventario, posto che la redazione di quest’ultimo non è un avvenimento futuro e incerto [61]. Si tratterebbe, in realtà, di un comportamento del tutto arbitrario che dipenderebbe esclusivamente dalla volontà del chiamato, configurando semmai e a tutto voler concedere una condizione meramente potestativa e come tale idonea a rendere nullo il negozio, non dipendendo da un contegno rimesso invero a una valutazione che vedrebbe alla base della decisione assunta la sussistenza di motivi e interessi particolari. A differenza di ciò che si riscontra in presenza di una condizione, quale elemento accidentale del negozio giuridico, nel caso che ci occupa l’accettazione beneficiata rappresenta già di per sé una vicenda negoziale perfetta idonea a sprigionare le proprie conseguenze giuridiche fin da subito e in modo definitivo, quando invece il fenomeno condizionale difetta della capacità sia di produrli immediatamente, nell’ipotesi di condizione sospensiva, sia di mantenerli continuativamente nel tempo, in quella risolutiva.
Svariati sono invece gli argomenti che possono essere addotti a sostegno della tesi a cui si ritiene qui di dover accordare preferenza, secondo cui la dichiarazione solenne ex art. 484 cod. civ. è da sola sufficiente a perfezionare la fattispecie beneficiata, né – per converso – appaiono insuperabili le critiche mosse dai fautori dell’indirizzo opposto a una siffatta impostazione, vale a dire quelle addotte dai sostenitori della sussistenza di un negozio complesso ovvero di una fattispecie a formazione progressiva.
La prima riflessione è di ordine sistematico. Da più parti si è, a ragione, sostenuto che accettare con beneficio d’inventario equivale a esercitare un diritto potestativo [62]. Se ci si sofferma sulla posizione del chiamato [63] la ragione dell’attribuzione della qualifica di diritto potestativo è presto individuata: accettare con beneficio d’inventario significa esercitare un potere in grado di dar corso a una modificazione della situazione giuridica di altri soggetti. Innanzitutto quella dei creditori dell’eredità. Infatti, attraverso la predetta forma di accettazione l’erede impedisce a chi vanta pretese creditizie nei confronti del de cuius di aggredire un patrimonio aggiuntivo rispetto a quello del suo originario debitore, nonostante si sia determinata una sostituzione del soggetto obbligato, posto che al defunto è subentrato l’erede, subendo l’originario rapporto obbligatorio una modificazione soggettiva del tipo successione [64].
Analoghe considerazioni possono poi essere svolte ragionando sul rapporto tra erede beneficiato ed eventuali coeredi che hanno già accettato puramente e semplicemente [65]. Anche in tal caso accettare con beneficio d’inventario significa esercitare un diritto potestativo nella misura in cui la predetta forma di accettazione si concretizza nel potere che l’ordinamento concede al beneficiato di apportare nella sfera giuridica dei coeredi conseguenze diverse da quelle che l’ordinamento prevedrebbe laddove sussistesse una obbligazione solidale (quella tra i coeredi coobbligati in solido). Infatti, nella misura in cui questi ultimi abbiano accettato puramente e semplicemente, essi non potranno rivalersi sull’erede beneficiato, in ipotesi di pagamento di debiti dell’eredità, se non, per la quota di spettanza, nel limite dei beni ereditari, e non sul suo patrimonio personale.
Ma se ciò è esatto, è del pari inconfutabile che il diritto potestativo si concretizza nella facoltà attribuita a un soggetto di modificare, con un proprio atto, la sfera giuridica di altri, i quali versano in una situazione di soggezione – ossia di impossibilità di impedire che si verifichi un effetto giuridico a sé sfavorevole [66] – essendo sufficiente l’iniziativa del titolare del diritto al fine di conseguire l’interesse tutelato [67]. Ne consegue, pertanto, che l’esercizio del diritto (nel caso che ci occupa quello di accettare l’eredità) e la sua realizzazione (per quanto qui rileva acquisire la qualità di erede) coincidono [68]. Il che costituisce la riprova che l’accettazione beneficiata non può che produrre i propri effetti – quale diritto potestativo – fin dal momento in cui viene formalizzata, sempre a condizione che ciò avvenga nel rispetto del disposto di cui all’art. 484 cod. civ.
Al riguardo non appare certo convincente la conclusione di chi [69] – con riferimento all’incapace – ha invece ritenuto che accettare con beneficio d’inventario non significherebbe esercitare un diritto potestativo posto che tale soggetto, se volesse divenire erede e non volesse rinunciarvi, non eserciterebbe liberamente un proprio potere di modificare la sfera giuridica altrui, essendo invero l’ordinamento che lo grava dell’onere di accettare in forma beneficiata ai sensi dell’art. 471 cod. civ., altrimenti egli non diventerebbe erede ma resterebbe mero chiamato.
Che si tratti, invece, di un diritto vero e proprio si evince in termini inequivocabili dalla circostanza che anche per il minore vale il principio, a norma dell’art. 480 cod. civ., secondo cui detta posizione giuridica si prescrive in dieci anni. D’altronde, l’accettazione con il beneficio d’inventario è, per il minore, legale ovvero ancora forzosa nel senso che per esso non vi è altro modo di accettare ma non significa che essa avvenga ope legis oppure che il diritto potestativo di accettare non sia soggetto alla prescrizione decennale o ancora che sia necessaria, posto che l’eredità può invece essere rinunciata [70]. Se così è, il diritto di accettare i beni ereditari resta quindi per il minore – fatta in ogni caso salva l’autorizzazione del giudice tutelare – un diritto potestativo poiché a questi è attribuita dall’ordinamento la facoltà di avvalersi o meno del potere di operare il mutamento consistente nel circoscrivere in capo ai creditori ereditari il potere di aggredire solo i beni appartenenti all’asse attivo ereditario.
A sostegno della costruzione qui proposta – per cui la dichiarazione solenne di cui all’art. 484 cod. civ. è un elemento costitutivo del beneficio d’inventario – al suddetto argomento di tipo sistematico se ne aggiungono altri, per vero ancora più persuasivi.
Innanzitutto, che l’accettazione sia il solo elemento fondante degli effetti ex art. 490 cod. civ. è provato da un assunto di carattere letterale: ai sensi dell’art. 487, comma 1, cod. civ., per evitare la prescrizione del diritto di accettare l’eredità è sufficiente che nel termine decennale sia posta in essere la dichiarazione e non anche l’inventario [71]. Infatti, se l’accettazione beneficiata è formalmente perfetta, non è pensabile che la mancanza di inventario possa porre nel nulla l’atto pubblico con cui il chiamato si era espresso con l’intento di accettare l’eredità, come in realtà è già avvenuto. Detto altrimenti, l’assenza dell’inventario se, da un lato, determina la cessazione del beneficio che è immediatamente operativo con l’accettazione, dall’altro, non fa certo venir meno quest’ultima [72].
In secondo luogo – al pari di quanto è stato correttamente osservato [73] – l’art. 484 cod. civ., nello stabilire la necessaria contestualità della dichiarazione di accettare e di quella di avvalersi del beneficio, costituisce senza dubbio una conferma del fatto che gli effetti di tali dichiarazioni si producono contemporaneamente e che, pertanto, il beneficio si acquista insieme alla qualità di erede con il medesimo atto con cui questi manifesta la propria volontà.
La circostanza che l’accettazione beneficiata sia già di per sé stessa elemento costitutivo della fattispecie negoziale integrando per l’appunto l’intento dell’interessato che si producano determinati effetti quali la successione nella posizione del de cuius, da un lato, e la limitazione della responsabilità con riguardo ai debiti di quest’ultimo, dall’altro, è per di più dimostrato dalla lettera stessa dell’art. 484, comma 1, cod. civ. laddove, nell’affermare la regola secondo la quale l’accettazione beneficiata si effettua mediante dichiarazione in forma solenne e non attraverso questa e la successiva o precedente redazione dell’inventario – che, al pari di quanto impone il comma 3 del medesimo articolo, deve anticiparla o seguirla – attesta inequivocabilmente che la sussistenza di detta accettazione sia l’unico elemento volto a perfezionare il fenomeno in esame. In altri termini, se il legale rappresentante del minore ha compiuto quell’atto solenne che la legge richiede per l’accettazione con beneficio d’inventario risulta difficile ammettere che la fattispecie sia invero carente di quella dichiarazione giuridica strutturalmente idonea a far acquistare al chiamato la qualità di erede beneficiato, e ciò né più né meno di quanto accade per l’accettazione tacita o espressa da parte di un soggetto diverso da un minore o, più in generale, da un incapace.
L’essere giunti ad ammettere, al pari di quanto concluso nel paragrafo precedente, che la mera accettazione beneficiata sia rappresentativa di un negozio di per sé idoneo a far acquisire fin da subito la qualità di erede al chiamato per effetto del subentro in universum ius defuncti trova, a giudizio di chi scrive, ulteriore supporto se si procede ad affrontare la questione da una diversa angolazione: quella della decadenza dal beneficio d’inventario.
Di questo tema, con specifico riferimento al minore, si occupa l’art. 489 cod. civ. laddove afferma che egli non decade dal beneficio sino al compimento di un anno dalla maggiore età, potendo intervenire, a seguito del venir meno dell’incapacità, direttamente per conformarsi alle norme dettate in tema di beneficio d’inventario.
In quest’ordine di idee appare allora inevitabile indagare, sul piano teorico e sistematico, il fenomeno giuridico della decadenza, il quale, quando riferito a un effetto, dovrebbe essere espressivo di una vicenda ascrivibile a qualche cosa che, da un certo momento in poi, si perde, nonostante si sia potuto goderne prima. L’espressione decadenza non è infatti, per quanto qui ci occupa, sinonimo di mancato acquisto – come si vorrebbe desumere dall’assenza di redazione dell’inventario aderendo alle tesi del negozio complesso o della fattispecie a formazione progressiva – o, se si preferisce, di privazione di un vantaggio di cui si sarebbe potuto disporre in futuro, tramite per l’appunto il compimento del suddetto atto indirizzato a perfezionare l’accettazione, ma di perdita ex nunc della limitazione di responsabilità già acquisita da parte del soggetto interessato.
Se così non fosse, nell’art. 489 cod. civ. il legislatore avrebbe dovuto sostituire all’espressione ‹‹non s’intendono decaduti dal beneficio d’inventario›› la dizione ‹‹restano chiamati all’eredità›› i minori che non si sono conformati, nei termini dettati dal precetto in esame, alle norme della Sezione II rubricata Del beneficio d’inventario, enfatizzando in tal modo non la perdita di un effetto già prodotto dalla dichiarazione di accettazione beneficiata quanto il venir meno della possibilità di goderne da un certo momento in poi. In definitiva, chi accetta con beneficio d’inventario – in conseguenza di un obbligo di legge come accade per il minore o quale scelta per il chiamato all’eredità maggiorenne – vuole limitare fin da subito la propria responsabilità patrimoniale e non intende avvalersi di tale beneficio solo in futuro una volta redatto l’inventario, dovendo semmai prendere atto che il detto vantaggio può cessare in carenza del compimento di un determinato onere – la redazione dell’inventario – con l’avvertenza che, se ciò accade, è espressione della modificazione di un effetto che si era già prodotto e non della assoluta impossibilità di acquisire un beneficio al quale il chiamato all’eredità legittimamente ambiva.
Né la conclusione a cui si è pervenuti può essere contraddetta dal fatto che l’art. 489 cod. civ. tace sulla circostanza che il minore divenuto maggiorenne possa essere considerato, in assenza di inventario, erede puro e semplice. La carenza di una siffatta specificazione risiede nella circostanza che la disposizione in esame si occupa esclusivamente di dettare per il minore – fissando un termine perentorio – una diversa scadenza rispetto a quella stabilita dagli artt. 485, comma 2, e 487, comma 2, cod. civ. per la redazione dell’inventario, ma ciò non toglie che rimanga ferma e inalterata la considerazione che, in assenza di inventario, occorre prendere atto che il chiamato all’eredità che ha accettato è erede puro e semplice. D’altra parte, in ipotesi di minore, il legislatore ha ritenuto di derogare al disposto di cui all’art. 485 cod. civ. che impone termini stringenti per eseguire l’inventario [74] al fine di concedergli la possibilità di decidere in autonomia, una volta divenuto maggiorenne, nel caso di pregressa inerzia del legale rappresentante.
A questo punto, se si considerano separatamente il perfezionamento della fattispecie di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario e gli effetti limitativi della responsabilità da essa sprigionati, va da sé che l’art. 489 cod. civ., nella parte in cui afferma che i minori ‹‹non si intendono decaduti›› dal beneficio medesimo qualora entro un anno dal raggiungimento della maggiore età si siano conformati alle disposizioni in tema di eredità beneficiata e, quindi, abbiano provveduto a redigere l’inventario, rafforza il convincimento che fin dalla dichiarazione di cui all’art. 484 cod. civ. il minore acquisisce la qualità di successore nei debiti del de cuius, sebbene la sua responsabilità resti limitata – essendo l’erede beneficiato tenuto solamente con i beni acquisiti [75] – sino al compimento dell’anno dopo la maggior età e ciò anche in assenza di inventario [76].
In definitiva, la redazione di quest’ultimo documento costituisce per il minore l’adempimento di un onere finalizzato a tutelare l’interesse di limitare intra vires la propria responsabilità per i debiti ereditari [77], in modo tale che detto beneficio si consolidi nel tempo e pertanto la decadenza di questo a seguito dell’omesso comportamento in conformità alle norme in materia non opera quale sanzione in senso stretto [78] ma si limita a ripristinare la regola generale in tema di responsabilità patrimoniale dell’erede, cosicché il vantaggio in precedenza accordato dalla legge soffrirà una vera e propria caducazione.
L’atteggiamento del legale rappresentante – e, per quanto si dirà nel prosieguo con riguardo alla disciplina di cui all’art. 489 cod. civ., del minore divenuto nel frattempo maggiorenne – si prefigge, pertanto, l’obiettivo di consolidare la limitazione della responsabilità attribuendo a essa stabilità, affinché detto soggetto mantenga il vantaggio che gli è stato in precedenza accordato. Se di ciò il minore stesso non si occupasse, nel più lungo termine di un anno dal raggiungimento della maggiore età il medesimo finirebbe per rispondere anche con i beni del proprio patrimonio ovviamente in ipotesi di inadempimento dei debiti dell’eredità. Ma questo accadrebbe non perché sarebbe avvenuta una trasformazione o una conversione di istituti successori e, quindi, in forza del passaggio da un’eredità beneficiata a una pura e semplice, bensì per il mero fatto che quel soggetto avrebbe perso il beneficio della responsabilità limitata a causa di un comportamento suo e, in precedenza, del legale rappresentante.
La scelta fra le due diverse strutture dell’accettazione beneficiata – negozio unico dagli effetti immediati, da un lato, ovvero complesso o a formazione progressiva che necessita per la sua efficacia della funzione integratrice dell’inventario, dall’altro – si riflette inevitabilmente sulla realtà. L’essere giunti ad affermare che pure per il minore – al pari di qualunque chiamato maggiorenne che accetti con beneficio d’inventario – l’eredità si acquista da subito con la formale dichiarazione solenne ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, implica, sotto il profilo operativo, una prima considerazione: a decorrere da detta accettazione il legale rappresentante del minore potrà intraprendere tutte le azioni che l’ordinamento riserva in via esclusiva all’erede, che sono invece precluse al chiamato all’eredità.
A tal proposito, pertanto, al minore spetterà innanzitutto la petitio hereditatis prevista dall’art. 533 cod. civ. al fine di permettere all’erede di chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria nei confronti di chiunque possieda tutti o parte dei beni caduti in successione, allo scopo di ottenere la restituzione dei medesimi. Del pari, l’incapace sarà legittimato ad esperire l’azione di divisione ereditaria ai sensi dell’art. 713 cod. civ., con la quale ogni coerede può instare per lo scioglimento della comunione ereditaria e la divisione dei beni. Oltre alle suddette azioni previste dal Codice civile, al minore – sulla base della costruzione dogmatica a cui si è pervenuti – spetta, in quanto legittimario, la legittimazione attiva in ordine all’azione di cui all’art. 564, comma 1, cod. civ. volta alla reintegrazione della quota che risulti ridotta per effetto di donazioni e legati posti lesivamente in essere dal de cuius; azione che, per l’appunto, presuppone per il suo esercizio la condizione della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario e la contestuale qualità di erede [79].
In secondo luogo la qualifica di erede conseguita dal minore con la dichiarazione di accettazione beneficiata di cui all’art. 484 cod. civ. impedirà, sulla base del principio di irrevocabilità dell’accettazione ereditaria espresso dal noto brocardo semel heres semper heres, che questi possa poi rinunciare all’eredità nonostante la mancata redazione dell’inventario da parte sua nel periodo intercorrente tra il diciottesimo e il diciannovesimo anno di età, come disposto dall’art. 489 cod. civ.
Tanto acquisito, non è dato vedere il motivo per cui dovrebbe meritare accoglimento l’indirizzo espresso dal Supremo Collegio il quale, in più di una pronuncia, è giunto a sostenere che qualora l’eredità sia stata accettata nella forma beneficiata dal legale rappresentante del minore, a quest’ultimo non sarebbe preclusa in assenza di inventario la facoltà di rinunziare all’eredità entro i dodici mesi successivi al raggiungimento del diciottesimo anno di età [80]. Evidente è la ragione alla base dell’assunto della Corte. A parere della giurisprudenza di legittimità la forma solenne attraverso cui il legale rappresentante del minore ha accettato l’eredità non sarebbe di per sé sufficiente a far assumere a quest’ultimo la qualità di erede, la quale potrebbe quindi sempre essere rinunciata in assenza di inventario entro i termini di cui all’art. 489 cod. civ. Va da sé che in considerazione di quanto esposto nei paragrafi precedenti una siffatta conclusione non può essere accolta. L’aver dato corso, da parte del legale rappresentante, all’accettazione con beneficio d’inventario costituisce un indice chiaro in ordine al fatto che la posizione del minore si sia già manifestata in termini inequivocabili. In forza della costruzione elaborata, infatti, l’accettazione del legale rappresentante – se avvenuta nel rispetto delle formalità di legge – ha già impedito una sua possibile rinuncia [81], tant’è che una diversa conclusione finirebbe per violare il citato principio di irrevocabilità dell’accettazione ereditaria.
Vero è, invece, che la mancata redazione dell’inventario entro il termine ultimo di un anno dal compimento della maggiore età produrrà quale effetto ex nunc la perdita del beneficio della responsabilità limitata e la necessità di qualificare l’erede in termini puri e semplici. Volendo ripercorrere nelle linee essenziali il ragionamento sin qui condotto, è evidente che il minore resta erede in conseguenza degli effetti che si sono originati dalla dichiarazione solenne di cui all’art. 484 cod. civ. ma ciò accade non in quanto in essa sarebbe compresa, in subordine alla mancata redazione dell’inventario nel termine fissato per il minore dall’art. 489 cod. civ., quella pura e semplice [82], bensì in ragione di una modifica relativa al regime di responsabilità dell’erede.
Qualora invece sussistesse un difetto di forma nell’accettazione beneficiata e, conseguentemente, non fossero rispettate le prescrizioni di cui all’art. 484 cod. civ. – varrebbe a dire la dichiarazione non fosse stata ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione e la stessa non risultasse inserita nel registro delle successioni conservato nello stesso tribunale – l’incapace si verrebbe a trovare, a seguito della mancata produzione di qualsiasi effetto, nella posizione di mero chiamato all’eredità [83]. Il nostro ordinamento preclude, infatti, l’accettazione dell’eredità da parte del minore, debitamente rappresentato, in modo puro e semplice come tanto la dottrina [84] quanto la giurisprudenza [85] hanno avuto occasione di approfondire nel tempo. Analogamente il rigetto investe anche l’ipotesi di una accettazione tacita effettuata dal rappresentante legale dell’incapace senza osservare il disposto dell’art. 471 cod. civ [86].
Da ciò consegue che, in difetto del compimento degli atti necessari a perfezionare, attraverso la dichiarazione solenne, detta accettazione beneficiata, l’incapace rimane nella posizione di chiamato all’eredità, essendo a lui preclusa l’accettazione pura e semplice [87]. Le ripercussioni sono del tutto evidenti. Restando la dichiarazione di accettazione beneficiata improduttiva di effetti, il minore, una volta venuta meno l’incapacità, potrà disporre della facoltà di rinunciare all’eredità oppure di accettarla con beneficio di inventario o ancora in termini puri e semplici, ovviamente sempreché il diritto ereditario non si sia prescritto.
Più volte nel corso del presente contributo si è fatto rinvio al disposto contenuto nell’art. 489 cod. civ. e alla sua ratio di salvaguardare il patrimonio del minore da eventuali negligenze del legale rappresentante [88].
Qualora, infatti, quest’ultimo accetti l’eredità, una volta che sia stato debitamente autorizzato dal giudice tutelare, ma poi non compia per inerzia o trascuratezza l’inventario, lasciando in tal modo detto compito al minore allorché maggiorenne, quest’ultimo resterà comunque ancora protetto dall’ordinamento per lo spazio temporale di un anno successivo alla maggiore età affinché autonomamente possa scegliere quale condotta adottare e quale qualifica di erede, infine, assumere, se per l’appunto beneficiata o pura e semplice.
Quanto supra esposto ha, per di più, condotto a ritenere che l’art. 489 cod. civ. sia una disposizione che introduce, in via d’eccezione, una proroga ex lege dei termini per il completamento dell’accettazione con beneficio d’inventario [89]. D’altronde, come è stato osservato, non sarebbe corretto equiparare la fattispecie in cui l’accettazione con beneficio d’inventario fosse il risultato di una decisione discrezionale della parte interessata con quella in corrispondenza della quale al chiamato all’eredità che volesse accettare l’istituto in commento operasse per legge [90]. Anche a giudizio della giurisprudenza di legittimità l’art. 489 cod. civ. va inteso come norma eccezionale che concerne, riguardo agli incapaci, l’adempimento del compimento dell’inventario, disponendo in merito una disciplina specifica che si differenzia rispetto a quella ordinaria di cui agli artt. 485 e 487 cod. civ [91].
Sennonché, a tal proposito, vi è da dubitare che l’eccezionale prolungamento dei tempi per la redazione dell’inventario integri una vera e propria proroga dell’ordinario termine – che per il minore, infatti, non è altrove disposto – trattandosi per la verità di una peculiare previsione in considerazione dello specifico status del chiamato all’eredità. E ciò, a maggior ragione, in forza del principio secondo cui gli artt. 485 e 487 cod. civ. non si applicano, come già accennato in questo contributo, al minore [92].
Tra questi precetti, da un lato, e l’art. 489 cod. civ., dall’altro, sussiste in realtà un rapporto di regola ad eccezione. Tale ultimo articolo presuppone, infatti, il confronto dei suoi effetti con quelli che si desumono dai primi due, sebbene vi sia tra di loro una relazione, se non di totale, quantomeno di parziale identità [93].
In particolare l’art. 489 cod. civ., lungi dall’essere una norma speciale [94], posto che non restringe il campo di applicazione di quella generale desumibile dagli artt. 485 e 487 cod. civ., presenta evidenti tratti di eccezionalità rispetto al combinato disposto di tali ultime previsioni normative. Da una parte, esso nega, con riferimento alla predisposizione dell’inventario, che l’onere del confezionamento del documento dipenda dal possesso o meno dei beni mentre, dall’altra, disapplica il termine trimestrale per la sua realizzazione decorrente dall’apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità ovvero dalla dichiarazione di accettazione beneficiata. L’art. 489 cod. civ. si sostanzia, quindi, in uno ius eccezionale o singolare in confronto agli artt. 485 e 487 cod. civ., vertendosi in un’ipotesi nella quale la prima delle due disposizioni esclude integralmente l’operatività delle seconde. Il fatto poi che gli artt. 485 e 487 cod. civ. fissino ulteriori termini entro i quali occorre che il chiamato all’eredità compia la dichiarazione solenne di accettazione beneficiata in difetto della quale si hanno determinate conseguenze, colloca la norma di cui all’art. 489 cod. civ. in una evidente direzione antitetica rispetto alle regole predisposte dai primi due precetti. Tutte e tre le previsioni normative in esame presentano in comune un elemento di fatto: la redazione dell’inventario. Ognuna di esse, tuttavia, dispone differentemente, in corrispondenza di questo adempimento, quanto agli effetti giuridici [95], in modo tale che la norma eccezionale – nel caso che ci occupa quella di cui all’art. 489 cod. civ. dettata per il minore – risulta in contrasto e neutralizza quella generale, sancita dagli artt. 485 e 487 cod. civ [96]. D’altronde è principio da tempo affermato quello secondo cui la disposizione di diritto singolare o eccezionale non reca specificazioni a quella generale né le aggiunge elementi, bensì disciplina il caso a quest’ultima sottratto in maniera del tutto diversa, sì che la prima non costituisce un completamento o una precisazione della seconda ma si colloca in una direzione di discontinuità [97].
Non poche perplessità sono inoltre affiorate circa il perimetro di estensione della regola dettata per gli incapaci. Nonostante si sia ritenuto che la medesima possa trovare applicazione in relazione al minore divenuto nel frattempo maggiorenne solo a condizione che questo risulti essere ancora delato, non essendosi verificata la decorrenza dei termini di cui agli artt. 480 e 481 cod. civ. per accettare o rifiutare l’eredità [98], non è nemmeno mancato chi ha invece affermato che l’anno dovrebbe ritenersi disponibile per il minore diventato maggiorenne anche se fosse compiuto oltre il limite prescrizionale decennale [99].
Quanto al primo dei due suddetti indirizzi è stato osservato che, se da un lato l’art. 489 cod. civ. dètta «un particolare trattamento di favore per gli incapaci››, dall’altro il medesimo non arriva ‹‹ad escludere la perdita del diritto di accettare in conseguenza della prescrizione (art. 480) o della inutile decorrenza del termine fissato dall’autorità giudiziaria (art. 481) e, quindi, di quello posto dall’ultimo comma dell’art. 487» [100]. D’altra parte, poiché il rinvio sancito dall’art. 489 cod. civ. si limita expressis verbis ‹‹alle norme della presente sezione›› e, pertanto, alle sole disposizioni di cui alla Sezione II, esso non potrebbe in realtà neppure estendersi nel senso di prorogare fino allo scadere dell’anno dal raggiungimento della maggiore età anche il termine decennale di prescrizione del diritto di accettare l’eredità di cui all’art. 480 cod. civ. e quello fissato a norma del successivo art. 481 cod. civ. dal giudice entro il quale il chiamato all’eredità dovrebbe accettare o rifiutare la medesima [101].
Diversamente, se si abbracciasse la contraria tesi [102], la mancata decadenza dal beneficio d’inventario prevista dall’ordinamento a favore dell’incapace finirebbe per impedire la prescrizione, per il medesimo arco di tempo, del diritto di accettare l’eredità, non essendo altrimenti comprensibile che la legge conceda un beneficio accessorio all’eredità non considerando che medio tempore il diritto si possa estinguere per intervenuta prescrizione [103].
Sennonché entrambe le posizioni non appaiono condivisibili. Poiché solo chi è erede può vedere decaduto un effetto, quale è la limitazione di responsabilità, che entra in gioco esclusivamente allorquando il chiamato diventa successore, l’art. 489 cod. civ. presuppone, a giudizio di chi scrive, l’avvenuta accettazione beneficiata dell’eredità da parte del legale rappresentante. È ben vero che anche l’art. 484 cod. civ. appartiene alle disposizioni della Sezione II a cui il soggetto divenuto maggiorenne dovrebbe conformarsi, ma è del pari evidente come lo stesso si ponga – ripercorrendo nelle linee essenziali il ragionamento fin qui seguito – in termini contradditori rispetto a quanto l’art. 489 cod. civ. vorrebbe far conseguire al minore, non potendosi per l’appunto configurare una decadenza da un effetto, quello della responsabilità limitata dell’erede, che ancora non è sorto.
Se si parte invece dall’assunto per cui l’accettazione è già avvenuta, le conseguenze sono alquanto lineari. Mentre, da un lato, le norme che il minore divenuto maggiorenne deve osservare sono in particolare quelle che impongono di redigere l’inventario al fine di conservare la responsabilità limitata, dall’altro diventa alquanto irrilevante porsi il problema se il precetto di cui all’art. 489 cod. civ. contempli o meno, in aggiunta a un maggior termine per la redazione dell’inventario, anche una proroga della prescrizione del diritto di accettare, posto che una siffatta quaestio verrebbe risolta in radice.
D’altronde una tale conclusione trova un appiglio normativo altresì nel tenore letterale dell’articolo in esame che, nel riferirsi alla sola vicenda della decadenza dalla limitazione della responsabilità, non contempla – a differenza di quanto disposto dall’art. 487, comma 3, cod. civ. – la «perdita del diritto di accettare l’eredità». Ma la ricerca di solidi argomenti sistematici si rinviene anche altrove. È infatti agevole osservare come l’art. 480 cod. civ. non distingua, quanto ai termini di prescrizione del diritto di accettazione o rinuncia dell’eredità, tra minore e chiamato all’eredità maggiorenne. Una sola è quindi la disciplina in materia, la quale si ricava esclusivamente dalla predetta norma, non potendosi confondere con essa la regola contenuta nell’art. 2942 cod. civ. che si occupa della sospensione della prescrizione già trattata nel paragrafo 3.
A tal proposito, coglie nel segno chi afferma che l’art. 489 cod. civ. si limita a prevedere la decadenza dal beneficio della responsabilità limitata e non anche quella dal diritto all’accettazione dell’eredità [104], posto che questa è, per l’appunto, già avvenuta. In altre parole, il precetto in esame non dà luogo a una proroga dei termini di accettazione ma semplicemente impedisce che il minore decada dal beneficio inerente al regime di responsabilità. Il maggior lasso di tempo fissato da esso rispetto a quello indicato negli artt. 485 e 487 cod. civ. rileva infatti – come già a suo tempo concluso – ai fini della redazione dell’inventario e quindi del compimento di tale onere da parte del chiamato che intenda conservare l’effetto favorevole – la limitazione della responsabilità – già acquisito, sul presupposto che questo soggetto sia già erede, avendo osservato le disposizioni in tema di accettazione beneficiata. Peraltro, la circostanza che nel frattempo – vale a dire in attesa che si compia l’inventario – il minore risulti erede non contrasta con il divieto disposto dall’art. 471 cod. civ. Una cosa è succedere beneficiando della responsabilità limitata fin da subito, un’altra è perderla nel tempo in conseguenza della mancata tenuta di un determinato comportamento. Detto diversamente, in relazione all’incapace quale chiamato all’eredità, non compiere l’inventario nel più lungo termine di cui all’art. 489 cod. civ. costituisce una mera decadenza dal vantaggio di beneficiare della responsabilità limitata quanto ai debiti ereditari, ma non impedisce che si producano gli effetti che sono tali a seguito del perfezionamento dell’intervenuta accettazione beneficiata.
Né appare possibile accogliere l’indirizzo di chi ha affermato che il chiamato – a norma dell’art. 489 cod. civ. – avrebbe, entro l’anno, oltre alla facoltà di dichiarare in quale forma intende accettare, anche quella di rinunciare all’eredità nel caso in cui il legale rappresentante del minore non avesse fatto la dichiarazione di accettazione ma avesse redatto l’inventario, posto che la disposizione in esame, rinviando «alle norme della presente sezione», ossia la II, ricomprenderebbe altresì l’ultimo comma dell’art. 485 cod. civ. che concede al chiamato, dopo il compimento dell’inventario, un termine per accettare o rinunciare all’eredità [105]. L’argomento non appare, infatti, convincente. Come più volte affermato e dimostrato in questo contributo, l’art. 485 cod. civ. non va preso a riferimento in caso di chiamata all’eredità da parte di un minore e ciò trova conferma pure nell’orientamento giurisprudenziale prevalente [106].
I riscontri finora effettuati, in ordine al fatto che l’art. 489 cod. civ. trovi applicazione solo allorquando l’accettazione beneficiata sia stata oggetto della dichiarazione solenne di cui all’art. 484 cod. civ. da parte del legale rappresentante, consentono, in conclusione, di dar corso ad alcune precisazioni che completano l’analisi ricostruttiva sin qui elaborata.
La prima considerazione da svolgersi è quella che permette di affermare che la disciplina di cui all’art. 489 cod. civ. non si estende al caso di accettazione dell’eredità da parte del chiamato nel periodo intercorrente tra il diciottesimo anno di età e il diciannovesimo. In ipotesi di mancata redazione dell’inventario, a essere considerato non decaduto dal beneficio è expressis verbis ‹‹il minore›› – che ha accettato – e non il maggiorenne che è divenuto erede nel suddetto arco temporale. Altrimenti detto, poiché il precetto in commento si esprime, quanto alla mancata decadenza, parlando del minore, va da sé che esso si riferisca alla situazione in cui il legale rappresentante abbia già accettato in modo beneficiato prima del compimento della maggiore età da parte del rappresentato e sempreché ciò sia avvenuto nel rispetto dei termini prescrizionali fissati dall’art. 480 cod. civ.
Vero è, in secondo luogo, che a decorrere dal diciottesimo anno il chiamato all’eredità, se non ha fatto in precedenza la dichiarazione solenne di cui all’art. 484 cod. civ., può – sempre che nel frattempo il diritto non si sia prescritto – accettare puramente e semplicemente o rinunciare ovvero ancora restare nella posizione di chiamato in attesa di scegliere la soluzione preferibile, in aggiunta alla facoltà di accettare con beneficio d’inventario. Riguardo a quest’ultimo aspetto, infatti, non si giustificherebbe un ordinamento che impedisse, al soggetto divenuto capace, di accettare con beneficio d’inventario dopo il diciottesimo anno di età – qualora siano ancora pendenti i termini di prescrizione – solo perché il legale rappresentante, quando il primo era minore, non aveva accettato o rifiutato l’eredità. Una volta maggiorenne, il chiamato deve poter conservare integra la possibilità di accettare in via beneficiata, non avendolo potuto fare direttamente in precedenza. Ciò che accade è semplicemente che un obbligo – quello di accettare con beneficio che contraddistingue il minore – si trasforma in una facoltà che attribuisce più libertà al soggetto che nel frattempo ha acquistato la capacità di agire.
È questa una lettura in cui il disposto dell’art. 489 cod. civ. viene calato con particolare enfasi sul minore piuttosto che su ciò che questo può fare – in termini di accettazione dell’eredità – una volta che sia divenuto maggiorenne. Il che induce a escludere che tale precetto operi anche nell’ipotesi in cui il minore – e per esso il legale rappresentante – abbia nel frattempo confezionato l’inventario ma non ancora dichiarato, al compimento della maggiore età, se accettare l’eredità in forma beneficiata.
[1] Che, in termini generali, si estrinseca in un atto negoziale unilaterale inter vivos, espresso o tacito, personale, tramite il quale il chiamato acquista irrevocabilmente l’eredità che gli spetta per legge o per testamento, divenendo erede del defunto in quanto suo successore universale, in modo puro e semplice oppure con beneficio d’inventario. Per una generale rassegna sull’argomento v., ex plurimis, A. Burdese, Successione, in Enc. giur., XXXV, 1993, 6; C.M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia – Le successioni, Giuffrè, 1981, 391 ss.; G. Stolfi, A proposito della revoca di atti giuridici, in Dir. fall., 1976, II, 624 ss.; F.S. Azzariti, G. Martinez, G. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni5, Cedam, 1969, 57 ss. nonché 73 ss., ove ulteriori rinvii ai quali si rimanda; A. Cicu, Successioni per causa di morte, Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità. Divisione ereditaria2, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu, F. Messineo, XLII, Giuffrè, 1961, 164 ss.; L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, Parte generale, con introduzione di S. Delle Monache, riproduzione anastatica dell’edizione del 1977, Edizioni Scientifiche, 2011, 439 ss.; P. Pajardi, Riflessioni e appunti sul sistema dei modi di accettazione dell’eredità, in Riv. dir. civ., 1959, 79.
Ha escluso che l’accettazione abbia natura di negozio contrattuale G. Azzariti, L’accettazione dell’eredità, in Trattato Rescigno, 5. Successioni, Tomo primo, Utet, 1982, 112, il quale ha fondato tale convincimento sul carattere non recettizio della dichiarazione, che è produttiva di effetti anche in assenza dell’incontro con un’altra volontà.
[2] La quale si sostanzia nel negozio unilaterale con cui il chiamato rifiuta – nella forma di cui all’art. 519, comma 1, cod. civ. – di acquisire l’eredità prima di averla accettata. Su tale concetto cfr., fra i tanti, A. Cicu, Successioni, cit., 208 ss.; F.S. Azzariti, G. Martinez, G. Azzariti, Successioni cit., 122 ss., ove ulteriori rimandi ai quali si rinvia; C.M. Bianca, Diritto civile, cit., 409 ss.; G. Azzariti, L’accettazione, cit., 165 ss.; A. Burdese, Successione, cit., 9 ss.; A. Palazzo, Le successioni, I, Disposizioni generali, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di P. Cendon, Utet, 2000, 217 ss.
[3] Il d.lgs. n. 154/2013, riscrivendo gli artt. 316 e ss. cod. civ., ha introdotto, in luogo della potestà, la responsabilità dei genitori finalizzata a proteggere, educare e istruire il figlio minore non emancipato, curandone anche gli interessi patrimoniali, in ragione della sua incapacità di agire. Sul tema v. A. Torroni, L’evoluto concetto di responsabilità genitoriale: poteri gestionali e ruolo del giudice tutelare, in Dir. fam. pers., 2021, passim; A. Spatuzzi, Il conflitto di interessi nella responsabilità genitoriale, in Dir. fam. pers., 2015, 1496 ss.; M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia5, Cedam, 2013, 242, il quale ha affermato che la potestà genitoriale si concretizza nella responsabilità dei genitori nei confronti dei figli con specifico riferimento all’istruzione, protezione, mantenimento e tutela della salute, della sicurezza e della moralità in vista dell’acquisizione di una completa autonomia.
In precedenza, già a seguito della ormai risalente riforma del diritto di famiglia operata dalla l. 19 maggio 1975, n. 151, la dottrina aveva posto l’accento sulla potestà genitoriale intesa come coacervo di diritti e doveri sussistenti tra genitori e figli. Si fa riferimento, ex plurimis, alle considerazioni di G. Campese, Il giudice tutelare e la protezione dei soggetti deboli, Giuffrè, 2008, 43 ss.; nonché ancor prima a quelle di F.D. Busnelli, Capacità ed incapacità di agire del minore, in Dir. fam. pers., 1982, 57, il quale aveva osservato l’incrinatura del dogma della soggezione del minore alla potestà genitoriale a favore, piuttosto, di un rapporto tra doveri e diritti reciproci.
[4] A tal proposito la Suprema Corte – v. Cass., 17 marzo 1990, n. 2235, in Vita not., 1990, 648; nonché Cass., 15 febbraio 1969, n. 541, in Giust. civ., 1969, 581 – ha statuito che detta autorizzazione è elemento costitutivo dell’atto di straordinaria amministrazione posto in essere dal legale rappresentante del minore, pertanto la stessa deve già essere stata emanata quando l’atto negoziale viene concluso.
In argomento occorre inoltre considerare che, con riguardo al ruolo del notaio negli atti del minore che interviene tramite il proprio legale rappresentante, l’art. 54 del r.d. 10 settembre 1914, n. 1326 (con cui è stato approvato il regolamento per l’esecuzione della l. 16 febbraio 1913, n. 89 riguardante l’ordinamento del notariato e degli archivi notarili) stabilisce che il notaio non può rogare contratti nei quali intervengano persone che non siano assistite o autorizzate nel modo che è espressamente previsto ex lege, affinché esse possano in nome proprio o in quello dei loro rappresentanti obbligarsi giuridicamente. Per completezza, si segnala che l’art. 21 d.lgs. 149/2022 (c.d. Riforma Cartabia) ha affidato al notaio una competenza concorrente con quella dell’Autorità giudiziaria – in quanto a quest’ultima restano riservate in via esclusiva le autorizzazioni per promuovere, rinunciare, transigere o compromettere in arbitri giudizi, nonché per sancire la continuazione dell’impresa commerciale – a rilasciare autorizzazioni per la stipula di atti pubblici e scritture private autenticate nelle quali interviene un minore ovvero aventi a oggetto beni ereditari. Il notaio, per di più, deve comunicare l’autorizzazione, anche al fine di assolvere le formalità pubblicitarie, alla cancelleria del tribunale che sarebbe stato competente al rilascio della medesima, nonché al Pubblico Ministero presso lo stesso foro e altresì alla parte istante ai fini della proposizione del reclamo (in tal senso, per quest’ultima comunicazione, v. E. Fabiani, L. Piccolo, L’autorizzazione notarile nella riforma della volontaria giurisdizione, in Consiglio Nazionale del Notariato, 2023, 57 s., i quali ritengono altresì che in caso di procedimenti in cui vi siano parti ulteriori oltre all’istante, l’autorizzazione dovrà essere notificata a costoro a cura del notaio parimenti per far decorrere il termine per promuovere l’eventuale giudizio di reclamo). L’atto autorizzativo reso dal notaio acquista efficacia dopo che sono decorsi venti giorni dalle citate notificazioni e comunicazioni senza che sia stato proposto il reclamo. Nondimeno, l’atto notarile può essere in ogni tempo modificato o revocato dal giudice tutelare, fatti comunque salvi i diritti dei terzi acquisiti in buona fede in forza di convenzioni anteriori alla modifica o alla revoca.
[5] Queste le parole di A. Torroni, L’evoluto concetto, cit., 1887.
[6] Così G. Campese, Il giudice, cit., 78.
[7] V. paragrafo 4.
[8] Con riguardo a tale nozione, N. Irti, Due saggi sul dovere giuridico (obbligo-onere), Jovene, 1973, 89, l’ha identificata nella scelta del singolo di «non agire, lasciando deluso l’interesse al risultato pratico del negozio».
[9] Cfr. B. Grasso, Prescrizione (dir. priv.), in Enc. dir., XXXV, Giuffrè, 1986, 63.
[10] V. in argomento E. Giusiana, Appunti sulla prescrizione, in Riv. dir. civ., 1957, I, 426, il quale ha distinto tra volontà a contenuto negativo e assenza di volontà tout court, ove la prima si concretizza in particolare nella volontà di non agire; R. Ferrucci, Prescrizione estintiva (diritto civile), in Nov. dig. it., XIII, 1966, 645, che ha osservato come il vigente Codice civile, perché si verifichi l’estinzione, richiede il mero “«non esercizio» del diritto”, così di fatto escludendo che l’inerzia sia configurabile come una volizione di contenuto negativo. Ad avviso di A. Auricchio, Appunti sulla prescrizione, Jovene, 1971, 30, affinché l’istituto in commento sia valutabile come un fatto giuridico collegato alla prescrizione, lo stesso deve corrispondere a un «comportamento omissivo del titolare della situazione giuridica attiva». Secondo G. Panza, Giudicato possessorio ed inerzia oltreannale del titolare dell’actio iudicati, in Rass. dir. civ., 1981, II, 1181, l’inerzia – nel caso preso in esame dall’Autore in relazione al titolare dell’azione esecutiva – si sostanzia in un comportamento abdicativo concludente.
A giudizio di B. Grasso, Prescrizione (dir. priv.), cit., 63 in nt. 37, al quale si rinvia per ulteriori riferimenti bibliografici, anche se l’inerzia non è equiparabile a una manifestazione di volontà, occorre riconoscere importanza agli impedimenti di fatto nella valutazione del mancato esercizio del diritto come validi ai fini della prescrizione, in quanto essi sono determinati dall’esigenza che la concludenza del comportamento omissivo sia valutata in termini di effettiva idoneità a generare nei terzi un ragionevole affidamento.
[11] Occorre non dimenticare che una ingiustificata inerzia del rappresentante legale del minore può legittimare a suo carico un’azione per risarcimento dei danni. Sull’argomento si rinvia a G. Prestipino, Delle successioni in generale, art. 456-535, in Commentario teorico-pratico al codive civile, diretto da V. de Martino, Libro II – Delle successioni, Edizioni Pem, 1973, 189, il quale ha affrontato la tematica con riguardo ai legali rappresentanti delle persone giuridiche.
[12] Ad avviso di G. Campese, Il giudice, cit., 110 in testo e in nt. 151, l’impossibilità del compimento dell’atto può essere di tipo materiale o giuridico oppure può essere generata da un rifiuto non giustificato o da inattività di entrambi i genitori o di quello che è responsabile in via esclusiva della potestà.
[13] Assai remota è pure la possibilità che siano i servizi sociali a segnalare una simile situazione al Pubblico Ministero, sempre che la condotta omissiva de qua da parte del genitore non rientri in – o, meglio, si aggiunga a – una più ampia e peculiare fattispecie disciplinata dalla legge, considerando che i casi per i quali il nostro ordinamento ne prevede l’obbligatorietà riguardano, inter alia, la situazione di abbandono del minore ai fini della eventuale dichiarazione del suo stato di adottabilità, l’esercizio della prostituzione, ecc., mentre la segnalazione riveste carattere di opportunità allorquando vi sia un pregiudizio, attuale o potenziale, a carico di un minore, che non viene rimosso dando seguito alle proposte del servizio sociale, fermo restando che la posizione del minore sia da esso seguita.
[14] Con riferimento a quest’ultimo aspetto cfr. A. Spatuzzi, Il conflitto, cit., 1505, il quale ha precisato che i genitori del minore possono pretendere la revoca del curatore speciale qualora egli rimanga inerte o sia inetto rispetto alla funzione affidatagli. Conf., sulla possibile istanza di revoca da parte dei genitori a cui compete il controllo sull’operato del curatore, A. De Rosa, La tutela degli incapaci, I. Patria potestà, Giuffrè, 1962, 238.
[15] Qualora, invece, il contrasto sorga tra il minore e uno solo dei genitori che esercitano la responsabilità genitoriale, la rappresentanza spetta, a norma di legge, esclusivamente all’altro genitore.
[16] Così G. Campese, Il giudice, cit., 103 ss.
In relazione al disposto dell’art. 320, comma 6, cod. civ., v. altresì F.D. Busnelli, Capacità, cit., 68; A. Spatuzzi, Il conflitto, cit., 1497 ss.
[17] Peraltro, in base all’art. 45 disp. att. cod. civ., la competenza a decidere dei reclami avverso i decreti del giudice tutelare spetta al tribunale ordinario quando si tratta dei provvedimenti indicati negli artt. 320 e 321 cod. civ. Per completezza, si segnala che, a seguito della Riforma Cartabia, nel Libro II del Codice di procedura civile, dopo il Titolo IV è stato inserito il Titolo IV-bis, recante “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, tra le quali figura in particolare l’art. 473-bis 8 cod. proc. civ. dedicato al curatore speciale del minore, secondo cui tale ultimo organo viene nominato anche d’ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento in una serie di scenari, tra i quali compaiono quelli in cui il Pubblico Ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, o in cui uno di questi l’abbia chiesta dell’altro. Del pari, in ogni caso il giudice può nominare un curatore speciale quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore.
[18] Cfr., con riguardo alla generale nomina del curatore speciale nei vari procedimenti disciplinati dal Codice civile, Cass., sez. un., 24 marzo 1971, n. 828, in Giust. civ., 1971, 444; Cass., 7 giugno 1974, n. 1693, in Giust. civ. Mass., 1974, 764; Cass., 29 gennaio 1982, n. 570, in Giust. civ. Mass., 1982, 204; Cass., 21 novembre 1983, n. 6943, in Giust. civ. Mass., 1983; Cass., 25 novembre 1998, n. 11947, in Giust. civ. Mass., 1998, 2452; Cass., 4 novembre 2015, n. 22566, in Giust. civ. Mass., 2015.
[19] Cfr., in sede di legittimità, Cass., 25 luglio 2018, n. 19779, in Banche Dati Dejure, la quale ha statuito che la necessità di stabilità delle decisioni si manifesta in modo intenso nelle controversie che riguardano l’interesse prioritario dei minori. In sede di merito v., con particolare riferimento agli artt. 739 e 741 cod. proc. civ., Trib. Treviso, 19 gennaio 2017, in www.fallimentiesocieta.it, ove la Corte ha affermato la sussistenza di «precetti di carattere speciale che privilegiano la conservazione e la stabilità del provvedimento impugnato sino alla definizione del processo con decisione passata in giudicato».
[20] Cfr. L. Cariota Ferrara, Le successioni, cit., 546. Trattasi difatti di prescrizione estintiva: v. in merito, F.S. Azzariti, G. Martinez, G. Azzariti, Successioni, cit., 70.
Con specifico riguardo alla posizione dello Stato quale chiamato all’eredità in ultimo grado v. pure A. Burdese, Successione, cit., 3.
[21] Che l’assenza di quest’ultimo per il minore costituisca una situazione connotata da forte criticità, anche in materia successoria, è suffragato pure dalla circostanza che, se fra gli eredi vi sono incapaci privi di rappresentante, è possibile procedere all’apposizione dei sigilli sui beni che costituiscono l’eredità su richiesta del Pubblico Ministero oppure d’ufficio ex art. 754, comma 1, n. 2), cod. proc. civ. e non può aversene la rimozione se non dopo che al minore sia stato nominato un tutore o un curatore speciale ai sensi dell’art. 762, comma 2, cod. proc. civ. Cfr., in argomento, L.B. D’Espinosa, Apertura delle successioni, in Enc. dir., II, Giuffrè, 1958, 592 s.
[22] Sul ruolo del tutore nell’accettazione e nella rinuncia dell’eredità del minore tutelato v., fra i tanti, F.S. Azzariti – G. Martinez, G. Azzariti, Successioni, cit., 63 e 124.
[23] Che il periodo di sei mesi decorra sia dopo la nomina del legale rappresentante del minore sia successivamente alla cessazione della incapacità parrebbe essere affermazione pure di V. Pappa Monteforte, Brevi note sui minori nell’eredità e nella divisione consensuale con partecipazione dell’usufruttuario, in Riv. not., 1993, 202.
[24] Secondo B. Grasso, Prescrizione (dir. priv.), cit., 70, nell’ipotesi di cause sospensive che sopraggiungono durante la decorrenza del termine, quest’ultimo si interrompe fino a quando la causa di sospensione non viene meno, allorché «il nuovo tempo di inerzia si aggiunge a quello trascorso prima».
[25] V. C. Giannattasio, Delle successioni. Disposizioni generali – successioni legittime, in Commentario del codice civile, Libro II, tm. I, Utet, 1968, 116. In argomento App. Torino, 14 ottobre 1955, in Giust. civ. mass. app., 1955, 1290.
[26] Cfr. Cass., 1 febbraio 2007, n. 2211, in Giust. civ., I, 2007, 577, con nota di G. Vidiri, Sospensione del termine prescrizionale e accettazione dell’eredità: minore (o interdetto) e legale rappresentante in conflitto di interessi.
In passato, tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale si presentava ben diverso. Infatti la Corte Costituzionale, con l’ordinanza 3 dicembre 1987, n. 458, in www.cortecostituzionale.it, aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2942 cod. civ. sollevata per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., in ragione del carattere tassativo delle cause di sospensione disciplinate dalla legge. Del pari, con ordinanza del 15 ottobre 1987, n. 374, in giurcost.org, la medesima Corte Costituzionale – in un caso di negligenza del genitore, esercente la potestà sul figlio non emancipato, che non aveva agito entro il termine prescrizionale al fine di chiedere il risarcimento del danno subìto dal minore in un incidente – aveva ritenuto ancora manifestamente infondata la questione, sollevata per contrasto dell’art. 2942, n. 1), cod. civ. rispetto agli artt. 24 e 31 Cost., nella parte in cui la prima norma limitava la sospensione della prescrizione nei confronti dei minori non emancipati esclusivamente al periodo in cui gli stessi non fossero legalmente rappresentati. A tali orientamenti si era uniformata Cass., 9 giugno 1999, n. 5694, in Giust. civ., 2000, I, 410, che alcuni lustri or sono aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità della norma di cui all’art. 2942, n. 1), cod. civ. – sollevata con riferimento agli artt. 2, 3, 10, 24 e 30 Cost. – nella parte in cui esso non prevedeva la sospensione del corso della prescrizione in favore del minore in caso di inattività dei genitori esercenti la relativa potestà che versassero, rispetto al predetto, in una situazione di conflitto di interessi, pervenendo a tale soluzione sulla base del disposto degli artt. 320 e 321 cod. civ.
[27] V. G. Vidiri, Sospensione del termine prescrizionale e accettazione dell’eredità: minore (o interdetto) e legale rappresentante in conflitto di interessi, in Giust. civ., I, 2007, 584.
[28] Cfr. ex plurimis: Cass., 6 ottobre 2000, n. 13310, in Giust. civ. Mass., 2000, 2100; Cass., 26 novembre 1998, n. 12020, in Giust. civ. Mass., 1998, 2468; Cass., 6 maggio 1975, n. 1751, in Giust. civ., 1975, I, 1055; Cass., 18 maggio 1971, n. 1482, in Giust. civ. Rep, 1971, 2798; Cass., 5 gennaio 1970, n. 11, in Giust. civ. Mass., 1970, 6; Cass., 7 giugno 1962, n. 1393, in Giust. civ., 1963, 1412, con nota di L. Ricca, Conoscenza del testamento e decorrenza del termine per l’accettazione dell’eredità; Cass., 9 agosto 1961, n. 1930, in Giust. civ., 1961, I, 1535.
[29] V. in tal senso di recente Cass., 8 maggio 2018, n. 11004, in Banche Dati Dejure; nonché alcuni lustri orsono già Cass., 2 giugno 1993, n. 6169, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 554, con nota adesiva di A. Barba, e ancor prima Cass., 18 maggio 1971, n. 1482, cit., 2798.
[30] Non nell’ottica del “diritto vivente” a cui diffusamente rinvia la Corte Costituzionale, ma nella logica del giudice di legittimità che ha emanato la sentenza.
[31] Questa fa sì che l’erede, secondo il disposto dell’art. 490 cod. civ., veda, in ordine ai debiti ereditari e ai legati, la propria responsabilità patrimoniale circoscritta al valore di quanto acquisito. Cfr., in proposito, C.M. Bianca, Diritto civile, cit., 397 s. Tale conseguenza favorevole era già stata rammentata da C. Donisi, L’«efficacia estensiva» dell’accettazione di eredità con il beneficio d’inventario, in Studi in onore di Leonardo Coviello, Arte Tipografica di A.R., 1978, 232. In argomento si rinvia altresì a F.S. Azzariti, G. Martinez, G. Azzariti, Successioni, cit., 91 s., i quali hanno osservato come il beneficio in commento spieghi l’effetto di tenere separati il patrimonio dell’erede da quello del de cuius, di talché il primo risponde dei debiti ereditari e dei legati solamente intra vires hereditatis. Per L.V. Moscarini, Beneficio di inventario, in Enc. dir., V, Giuffrè, 1959, 125, la responsabilità in capo all’erede per effetto del beneficio si considera limitata tanto quantitativamente quanto qualitativamente, parlando l’Autore di «responsabilità cum viribus e non soltanto secundum vires hereditatis». In tempi risalenti sul punto v. inoltre C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, Giuffrè, 1942, 373, il quale si era espresso in termini di «limitazione della responsabilità esecutiva dell’erede per i debiti assunti con la successione».
Può ricordarsi come la ratio sottesa all’istituto in esame sia quella di allontanare il rischio che il chiamato all’eredità rinunci alla stessa in modo tale che debba essere lo Stato ad occuparsi della liquidazione dei beni. Cfr., ex plurimis, A. Cicu, Successioni, cit., 262; che è stato poi richiamato anche da G. Capozzi, Successioni e donazioni4, a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Tomo I, Giuffrè, 2015, 263.
[32] V. G. Azzariti, L’accettazione, cit., 139.
[33] Per quest’ultima cfr. Cass., 26 luglio 1971, n. 2490, in Foro it., 1972, I, 424 ss., con osservazioni di L. Di Lalla, la quale aveva tenuto separate la dichiarazione di accettazione da quella di responsabilità limitata, aggiungendo che gli eventi successivi a quest’ultima e inerenti all’attuazione della procedura potevano determinare la decadenza dal beneficio di inventario ma non la nullità della dichiarazione di accettazione beneficiata. In senso analogo parrebbe doversi leggere altresì Cass., 27 luglio 1988, n. 4780, in Vita not., 1988, 742, la quale si era espressa in modo favorevole a una scissione della manifestazione di volontà tra accettazione ereditaria e dichiarazione di avvalersi del beneficio di inventario.
[34] La teoria definibile del doppio negozio (per quest’ultima definizione v. G. Capozzi, Successioni, cit., 265) era stata inizialmente concepita da C. Vocino, Contributo, cit., 195 ss. e in particolare 196, 215, 220 s.: i due suindicati atti negoziali avevano scopi e funzioni differenti e il secondo di essi era dotato di natura non privatistica bensì processuale. In aggiunta, con riguardo al minore, l’Autore (ivi, 270) aveva specificato come l’accettazione effettuata in forma diversa da quella beneficiata prescritta per legge non fosse nulla né annullabile, bensì idonea ad acquistare efficacia «al verificarsi della condizione costituita per l’appunto dal negozio relativo al beneficio d’inventario».
[35] Tra i primi inquadramenti dottrinali cfr. L.V. Moscarini, Beneficio, cit., 124. Sostanzialmente in linea con questa tesi sembra essere anche A. Cicu, Successioni, cit., 189 s., il quale, pur ammettendo l’autonomia concettuale di due diversi negozi, uno diretto ad accettare l’eredità, l’altro preordinato a circoscrivere gli effetti del primo, ha tuttavia messo in evidenza come tale autonomia non assuma né importanza formale – posto che l’ordinamento impone che le dichiarazioni vengano effettuate al contempo all’interno di un unico atto – né invero rilievo sostanziale, dal momento che la dichiarazione di avvalersi del beneficio non postula veramente un altro atto da limitare, discendendo gli effetti limitativi della responsabilità direttamente dalla legge. Di fattispecie complessa ha parlato in seguito altresì P. Lorefice, L’accettazione con beneficio d’inventario, in Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da P. Rescigno, coordinato da M. Ieva, Vol I, Le successioni mortis causa. I legittimari. Le successioni legittime e testamentarie2, Cedam, 2010, 332 s. e 338, a parere del quale l’accettazione dell’eredità (definita come dichiarazione di volontà unilaterale) e il confezionamento dell’inventario (delineato alla stregua di un’operazione materiale), quali distinte formalità, servono entrambe per il perfezionamento del fenomeno giuridico in commento e, pertanto, per determinare la limitazione della responsabilità. Per l’Autore la mancata redazione dell’inventario, impedendo di completare la fattispecie, non elimina l’effetto limitativo di responsabilità ma preclude che questo venga a esistere. Di recente ha reputato preferibile la teoria ricordata in testo anche G. Capozzi, Successioni, cit., 265.
Vasta è pure la giurisprudenza della Suprema Corte che ha accolto la tesi volta a individuare nell’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario un atto complesso. Cfr., al riguardo, Cass., 30 ottobre 1991, n. 11634, in Banca Dati Dejure, dove espressamente si sostiene che l’art. 485 cod. civ. contempla una fattispecie complessa di accettazione ex lege dell’eredità di cui sono elementi costitutivi l’apertura della successione, la delazione ereditaria, il possesso dei beni ereditari e la mancata tempestiva redazione dell’inventario. In precedenza, si era espressa similarmente Cass., 15 maggio 1978, n. 2359, in Foro it. Rep., 1978, 2560, ad avviso della quale l’art. 485 cod. civ. disciplina una accettazione ereditaria ex lege che presupponeva una figura giuridica complessa.
L’indirizzo era stato preceduto anche da alcune Corti di merito che avevano, del pari, configurato l’accettazione beneficiata in termini di atto complesso, costituito dalla accettazione e dalla tempestiva redazione dell’inventario. Così App. Roma, 9 luglio 1962, in Temi romana, 1962, 374, che aveva parlato di duplice requisito di dichiarazione accettativa e redazione dell’inventario; Trib. Napoli, 24 marzo 1958, in Foro nap., 1959, I, 82; Trib. Firenze, 10 gennaio 1958, in Giur. tosc., 1958, 521. In modo maggiormente sfumato cfr., pure, Trib. Roma, 20 gennaio 1959, in Foro it. Rep., 1959, 2400.
[36] V., al riguardo, G. Musolino, L’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario come negozio-procedimento, in Riv. not., 2004, 781 s., in cui si è sottolineato che per aversi perfezionamento del fenomeno giuridico servono la dichiarazione di avvalersi del beneficio e la formazione dell’inventario, trattandosi di elementi costitutivi della vicenda in esame.
Pur senza parlare di fattispecie a formazione progressiva, parevano essere sostanzialmente concordi con la suddetta ricostruzione pure F.S. Azzariti, G. Martinez, G. Azzariti, Successioni, cit., 79 s., laddove in passato avevano reputato che la redazione dell’inventario compiuta nel termine di legge servisse per produrre l’effetto del beneficio.
Più esplicita è stata la giurisprudenza della Suprema Corte. V., al riguardo, Cass., 27 maggio 2019, n. 14442, in Riv. not., 2020, 339 ss., con nota di C. Audano e C. Cicero, Enti non lucrativi ed accettazione con beneficio d’inventario, che, in relazione a una persona giuridica, ha chiaramente statuito come l’accettazione con beneficio di inventario sia una fattispecie a formazione progressiva composta da più atti, vale a dire la dichiarazione di accettazione beneficiata e il compimento del relativo inventario, con la conseguenza che se quest’ultimo non viene effettuato nei termini previsti il chiamato non acquista la qualità di erede. Conf. già Cass., 12 aprile 2017, n. 9514, in Banca Dati Dejure, la quale, dopo aver evidenziato che l’art. 484 cod. civ. delinea una fattispecie a formazione progressiva di cui sia l’accettazione dichiarativa sia la redazione dell’inventario sono requisiti essenziali, ha sostenuto che, nei casi in cui l’accettazione con beneficio di inventario sia obbligatoria per legge, il mancato perfezionamento di quest’ultimo non fa conseguire lo status di erede. Di fattispecie a formazione progressiva in cui l’accettazione dell’eredità beneficiata e l’inventario rappresentano elementi costitutivi ha parlato pure Cass., 15 luglio 2003, n. 11030, in Riv. not., 2004, 776.
Pur senza far riferimento espressamente al concetto di fattispecie a formazione progressiva, anche Cass., 11 luglio 1988, n. 4561, in Vita not., 1988, 751, ha accolto il principio secondo il quale l’accettazione dell’eredità da parte del minore non è di per sé sufficiente a far acquisire a quest’ultimo la qualità di erede beneficiato né quella di erede puro e semplice nell’ipotesi in cui alla stessa non succeda la redazione dell’inventario, restando in tal modo il medesimo un mero chiamato all’eredità.
Anche Cass., 9 agosto 2005, n. 16739, in Vita not., 2006, 298 e Cass., 15 luglio 2003, n. 11030, cit., 776, pur non intervenendo in una vicenda implicante la presenza di un minore come erede, hanno sostenuto che l’accettazione con beneficio d’inventario delinea una fattispecie a formazione progressiva di cui sono requisiti fondamentali tanto la dichiarazione di accettazione beneficiata quanto l’inventario, ma hanno ritenuto, da un lato, che la mancata redazione di quest’ultimo non faccia conseguire il beneficio e, dall’altro, che dall’avvenuta dichiarazione di accettazione discenda comunque la qualità di erede puro e semplice. Conf. a quest’ultima posizione è stato anche Trib. Lamezia Terme, 26 maggio 2000, in Riv. not., 2001, II, 483 ss., con osservazioni di E. Becchetti, laddove ha messo in luce come la procedura beneficiata abbia carattere unitario e il mancato completamento dell’inventario impedisca che il vantaggio della separazione patrimoniale venga acquisito, concludendo che, in una siffatta circostanza, si consegua la qualità di erede puro e semplice.
[37] Così L. Cariota Ferrara, Le successioni, cit., 467 s., il quale ha sostenuto che solo una volta compiuto il procedimento – costituito dalla dichiarazione di accettare con beneficio e il confezionamento dell’inventario – si produrrebbe l’effetto della limitazione della responsabilità intra vires hereditatis. L’Autore ha altresì posto in rilievo che, nel caso del minore, se si accetta con forme diverse da quella del beneficio di inventario, quest’ultimo soggetto non resta erede puro e semplice ma delato, potendo altresì ancora accettare in modo beneficiato o rinunciare, essendo l’accettazione stessa afflitta da nullità assoluta.
[38] In termini netti e chiari v. L.B. D’Espinosa, Apertura, cit., 593. Pacifico in dottrina – cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, cit., 401 s.; F.S. Azzariti, G. Martinez, G. Azzariti, Successioni, cit., 80 s. – è inoltre l’assunto che detto adempimento consiste in un atto pubblico, di ricognizione dei beni mobili e immobili ereditari, ricevuto da notaio o dal cancelliere del tribunale nel cui circondario si è aperta la successione, la cui predisposizione è un onere dell’erede – posto a garanzia delle istanze dei creditori dell’eredità e dei legatari – al quale l’ordinamento subordina la concessione del relativo beneficio. La funzione dell’inventario è quindi ben precisa: permettere al chiamato all’eredità di riservarsi la scelta tra accettazione e rinuncia. Così A. Ascoli, Il beneficio d’inventario e la separazione dei beni nel nuovo codice civile italiano, in Riv. dir. priv., I, 1942, 122.
[39] V. A. Ravazzoni, Beneficio d’inventario, in Enc. giur., V, 1988, 4.
Che l’inventario svolga per l’appunto il ruolo di individuare con precisione i beni appartenenti al patrimonio del de cuius caduti in eredità attraverso una loro fedele e particolareggiata descrizione è stata opinione pure di G. Grosso – A. Burdese, Le successioni. Parte generale, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, XII, t. 1, Utet, 1977, 261.
Già in passato l’inventario era stato, in definitiva, inquadrato quale atto volto ad accertare la composizione del patrimonio e in particolare la sua consistenza, l’entità e l’importanza per averne «piena ed esatta conoscenza». In questi esatti termini, cfr. [A. anonimo], Inventario, in Nuovo dig. it., Utet, 1938, 128.
[40] Sul punto occorre richiamare gli studi di A. Cicu, Successioni, cit., 193 ss. L’Autore, in relazione agli incapaci, aveva escluso che il beneficio potesse essere precluso al minore da un comportamento negligente del rappresentante che omettesse di redigere l’inventario, potendo il minore stesso darvi corso una volta divenuto maggiorenne nel rispetto del disposto di cui all’art. 489 cod. civ. Pure C. Vocino, Inventario (beneficio di) (diritto civile), in Nov. dig. it., IX, Utet, 1963, 17 ss., era stato propenso a scomporre l’atto con il quale si accettava l’eredità, sebbene in via beneficiata, da quello – costituito dall’inventario – indirizzato a circoscrivere la responsabilità dell’erede per i debiti in cui egli è succeduto ai soli beni facenti parte dell’asse attivo ereditario.
Che la responsabilità limitata sia una conseguenza dell’inventario compiuto in modo tempestivo dall’erede a seguito dell’accettazione è stato messo in evidenza, sebbene in termini generici, pure da L.B. D’Espinosa, Apertura, cit., 594.
[41] In termini netti e chiari P. Lorefice, L’accettazione, cit., 338 s.
[42] Come invero ritiene P. Lorefice, L’accettazione, cit., 333.
[43] A. Ravazzoni, Beneficio, cit., 4. Detta funzione di sicurezza è stata riconosciuta anche da P. Lorefice, L’accettazione, cit., 339.
A tal riguardo è stato inoltre sottolineato come attraverso l’inventario stesso si voglia evitare – a tutela dei creditori e dei legatari – che i beni che compongono l’asse attivo ereditario vengano smarriti. Così G. Grosso, A. Burdese, Le successioni, cit., 262.
[44] In questi termini v. anche, tra chi aderisce alla tesi della struttura negoziale complessa, A. Cicu, Successioni, cit., 193; L. Cariota Ferrara, Le successioni, cit., 468; P. Lorefice, L’accettazione, cit. 338.
[45] V. P. Lorefice, L’accettazione, cit., 338.
[46] Che quest’ultima sia un negozio giuridico «tra vivi», oltre che unilaterale e non recettizio è opinione espressa da tempo. Così L. Cariota Ferrara, Le successioni, cit., 439.
[47] La conversione ha infatti effetto ex nunc in quanto non avrebbe senso parlare di un effetto ex tunc che vorrebbe dire che il soggetto interessato sarebbe erede fin dall’accettazione.
[48] Che la qualità di erede si acquistasse già accettando l’eredità con beneficio d’inventario era una conclusione a cui, in passato, era giunto pure C. Vocino, Inventario (beneficio di) (diritto civile), cit., 14.
[49] V. A. Ravazzoni, Beneficio, cit., 1; G. Grosso, A. Burdese, Le successioni, cit., 261; L. Cariota Ferrara, Le successioni, cit., 467 s.; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II. L’amministrazione nel periodo successivo all’accettazione, Giuffrè, 1969, 176 s.
[50] A giudizio di parte della dottrina l’accettazione beneficiata costituirebbe, in effetti, un sottotipo dell’accettazione espressa dell’eredità. Così G. Grosso, A. Burdese, Le successioni, cit., 259. Conf. in seguito pure A. Burdese, Successione, cit., 7; P. Lorefice, L’accettazione, cit., 334.
Diversamente, per C.M. Bianca, Diritto civile, cit., 400, la dichiarazione di beneficio d’inventario non rappresenterebbe un autonomo atto negoziale quanto, invero, la specificazione del contenuto dell’atto di accettazione dell’eredità.
[51] V. G. Grosso, A. Burdese, Le successioni, cit., 230.
[52] Salvo poi tali effetti doversi far retrocedere al momento di apertura della successione – vale a dire in occasione del decesso del de cuius – quale principio generale di cui all’art. 459 cod. civ.
[53] L’indirizzo è stato sostenuto da L. Coviello Jr., Diritto successorio (Corso di lezioni), Dott. Francesco Cacucci Editore, 1962, 424; U. Natoli, L’amministrazione, cit., 175. Sul punto v., inoltre, G. Grosso, A. Burdese, Le successioni, cit., 260 ss., per i quali l’accettazione beneficiata assume la forma di una dichiarazione unitaria e non di due dichiarazioni che si susseguono, dalla quale discende l’effetto di limitazione della responsabilità, con la conseguenza che l’accettazione è sufficiente per acquistare l’eredità con beneficio, il quale ultimo si perde solo se non è fatto l’inventario nei termini. In seguito pure L. Ferri, Successioni in generale2, Art. 456-511, in Commentario del Codice civile, a cura di A. Scialoja, G. Branca, Zanichelli-Soc. ed. Foro italiano, 1980, 307, in testo e in nt. 8, ha messo in luce come l’accettazione beneficiata produca i propri effetti anche senza l’inventario.
Pare essere in linea con questa tesi anche M. Ferrario Hercolani, L’accettazione dell’eredità con il beneficio d’inventario, in Aa.Vv., Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, Vol. I, La successione ereditaria, Giuffrè, 2009, 1263, 1269, 1273, che ha sancito come da un unico negozio discendano tanto l’acquisto dell’eredità quanto la limitazione della responsabilità, precisando che con l’accettazione il chiamato acquista subito la qualità di erede e può fruire del vantaggio della separazione del proprio patrimonio da quello del de cuius invocando al contempo il beneficio, costituendo l’inventario solo un onere da osservare «per potersi avvalere degli effetti del beneficio», pena la decadenza da esso. Fino alla redazione dell’inventario colui che accetta resta in una situazione precaria quanto al regime di responsabilità, avvantaggiandosi solo in via provvisoria della separazione patrimoniale.
[54] Cfr. Cass., 22 gennaio 1977, n. 329, in Foro it., 1977, I, 637 ss., con nota di L. Di Lalla, la quale aveva sostenuto quanto riportato in testo in base a tre considerazioni: il fatto che la redazione dell’inventario, al pari delle altre formalità richieste dalla legge, inerisse alla fase esecutiva della procedura di amministrazione e liquidazione dell’asse ereditario; l’unitarietà della dichiarazione con cui si accettava l’eredità e quella con cui ci si avvaleva del beneficio, discendendo questo contemporaneamente dall’acquisizione della qualità di erede; la possibilità che l’inventario potesse, in base all’art. 487, commi 2 e 3, cod. civ., essere compilato anche dopo la scadenza del termine di prescrizione di dieci anni stabilito per l’accettazione. Detto indirizzo sembra essere stato accolto altresì da Cass., 10 novembre 1993, n. 11084, in Foro it. Rep., 1994, 1903; Cass., 1° aprile 1995, n. 3842, in Foro it. Rep., 1995, 2099.
[55] Avevano fatto proprio il principio che l’erede decadeva dal beneficio d’inventario acquisito con l’accettazione beneficiata, App. Genova, 16 maggio 1953, in Foro it. Rep., 1953, 2240; nonché App. Bari, 24 marzo 1984, in Foro it. Rep., 1985, 3004, con riguardo alle persone giuridiche, e, per esteso, Corti Bari, Lecce e Potenza, 1984, 1732, con nota di R.G. Caldarola, Decadenza dal beneficio d’inventario della persona giuridica: incapacità a succedere?
[56] Così C. Vocino, Inventario (beneficio di) (diritto civile), cit., 17 s.
[57] In questi termini cfr., pure, A. Cicu, Successioni, cit., 190.
[58] Anche a giudizio di G. Grosso, A. Burdese, Le successioni, cit., 262, la mancata redazione dell’inventario parrebbe costituire un elemento dal quale si fa dipendere – se successivo all’accettazione con beneficio d’inventario – la perdita degli effetti già prodotti a seguito dell’accettazione beneficiata, essendo per di più la limitazione della responsabilità in capo all’erede impedita altresì qualora il vizio che affligge la predisposizione dell’inventario sia antecedente rispetto all’accettazione dell’eredità beneficiata.
[59] Così A. Cicu, Successioni, cit., 145; L. Ferri, Successioni, cit., 352, che parla di onere al fine di permettere all’erede di acquistare e conservare il beneficio della responsabilità limitata. Conf. A. Ravazzoni, Beneficio, cit., 1.
[60] Contra, senza espressamente riferirsi alla fattispecie del minore, Cass., 15 luglio 2003, n. 11030, cit., 776, per la quale l’accettante deve essere considerato erede puro e semplice non avendo mai conseguito fin dalle origini il beneficio e non perché lo abbia perso ex post.
[61] Questa considerazione parrebbe rinvenirsi anche nella risalente pronuncia di Cass. 3 dicembre 1936, n. 3263, in Foro it., 1937, I, 625, con nota di A. Butera, Eredità devoluta ad incapaci e beneficio di inventario.
[62] Alquanto vasta è la letteratura scientifica. Cfr., al riguardo, E. Betti, Appunti di diritto civile, Edizioni del Gruppo Universitario Fascista, 1928-1929, 20 e 222; G. Chiovenda, L’azione nel sistema dei diritti, in Saggi di diritto processuale civile (1900-1930), Società Editrice «Foro Italiano», 1930, 21; R. Nicolò, La vocazione ereditaria diretta e indiretta, Edizioni Scientifiche Italiane, 1934, 79; L.V. Moscarini, Beneficio, cit., 123 ss.; L. Cariota Ferrara, Le successioni, cit., 435; U. Natoli, L’amministrazione, cit., 177; G. Grosso, A. Burdese, Le successioni, cit., 237; G. Saporito, L’accettazione dell’eredità, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, Vol. I, Cedam, 1994, 180 s. Più di recente l’affermazione è stata ripresa da P. Lorefice, L’accettazione, cit., 334, laddove l’Autore ha precisato che si tratta di una siffatta posizione soggettiva poiché è in potere dell’erede delimitare l’area della propria responsabilità per i debiti ereditari verso i creditori e i legatari di genere.
Si tratterebbe, invece, di diritto potestativo solo nel caso di accettazione con beneficio d’inventario secondo C. Vocino, Contributo, cit., 201 e 213.
Contra L. Ferri, Successioni, cit., 270 ss., per il quale nella vicenda in esame si rinverrebbe invero un potere giuridico che permetterebbe di modificare la propria situazione giuridica attraverso una manifestazione di volontà e più precisamente mediante un negozio giuridico, dovendosi l’espressione del legislatore diritto di accettare leggersi nel senso di potere di accettazione.
[63] È qui bene precisare che il diritto di accettare l’eredità non va confuso con l’accettazione della stessa che, quale manifestazione di volontà, integra per l’appunto un negozio, né con l’oggetto dell’accettazione che è – v., a tal proposito, C.M. Bianca, Diritto civile, cit., 393 – la successione ereditaria e comprende l’integrale posizione successoria devoluta al chiamato.
[64] Infatti, con tale termine si indica, in modo tecnico, il fenomeno giuridico della modificazione soggettiva del rapporto. V., in tal senso, M. Allara, Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, Giappichelli, 1941, 15, che per modifica soggettiva passiva ha inteso riferirsi a una «successione nel dovere giuridico». Dello stesso Autore v., Id., Le fattispecie estintive del rapporto obbligatorio, Giappichelli, 1952, 9, laddove ha ricordato che una fattispecie di modifica soggettiva sul lato passivo – vale a dire nella sostituzione del debitore nel rapporto – si riscontra appunto nella successione mortis causa a titolo universale dell’erede che prende il posto del de cuius nella titolarità di tutti i suoi debiti trasmissibili.
[65] A ciò non osta il disposto letterale dell’art. 510 cod. civ. nella parte in cui solo apparentemente parrebbe imporre l’estensione degli effetti del beneficio d’inventario agli eventuali coeredi nel caso in cui costoro al contrario non vogliano accettare tout court – cfr. Cass., 19 marzo 1999, n. 2532, in Riv. not., 1999, 1537, secondo cui l’art. 510 cod. civ. non è dotato di vis espansiva, pertanto l’accettazione con beneficio di inventario da parte di uno dei chiamati non comporta l’acquisizione della eredità in via beneficiata anche per gli altri chiamati – ovvero abbiano inteso accettare in modo puro e semplice operando in tal senso. Con riguardo a quest’ultimo tema v., per la giurisprudenza di legittimità, in particolare Cass., 9 febbraio 1982, n. 782, in Foro it. Rep., 1982, 2831, a parere della quale, ai sensi dell’art. 510 cod. civ., l’accettazione con beneficio d’inventario fatta da uno dei chiamati all’eredità non si estende a favore di chi, a tale momento, abbia già acquisito la qualità di erede puro e semplice. Pure Cass., 19 luglio 1993, n. 8034, in Vita not., 1994, I, 249, ha statuito che, in base al disposto dell’articolo in commento, la redazione dell’inventario da parte di uno dei coeredi giova anche agli altri che non siano già accettanti puri e semplici. Da ultimo v. Cass., 10 maggio 2013, n. 11150, in Giust. civ. Mass., 2013, ad avviso della quale l’art. 510 cod. civ., per cui possono giovarsi dell’inventario anche chiamati diversi da quello che ha fatto la dichiarazione, deve essere interpretato nel senso che i beneficiari non sono quelli che hanno già accettato l’eredità puramente e semplicemente.
In dottrina ha aderito a tale orientamento L. Ferri, Successioni, cit., 417, ove ulteriori rinvii ai quali si rimanda.
D’altronde, la norma fa espresso riferimento ai chiamati all’eredità, pertanto se ne può dedurre che l’ambito della sua applicazione non riguardi i soggetti che, avendo accettato, sono già eredi puri e semplici.
[66] Così U. Natoli, L’amministrazione, cit., 151 in nt. 334.
[67] Sul concetto di diritto potestativo e sul suo generale riconoscimento da parte della letteratura numerosi sono i contributi. Al riguardo v., tra i più autorevoli, G. Messina, Sui cosiddetti «diritti potestativi», in Studi giuridici in onore di C. Fadda, Vol. VI, Luigi Fierro Tip. Editore, 1906, 281 ss., al quale si rinvia per la disamina delle posizioni della dottrina italiana e tedesca; Id., Diritti potestativi, in Nov. dig. it., V., 1960, 737 e 739; G. Chiovenda, L’azione, cit., 20 s.; U. Natoli, Il diritto soggettivo, Giuffrè, 1943, 106; S. Puleo, I diritti potestativi (individuazione della fattispecie), Giuffrè, 1959, 1 ss.; G. Suppiej, La struttura del rapporto di lavoro, II, Cedam, 1963, 34 ss.; B. Carpino, L’acquisto coattivo dei diritti reali, Jovene, 1977, 74 ss.; L. Montesano, Obbligo a contrarre, in Enc. dir., XXIX, Giuffrè, 1979, 515 e 523; A. Lener, Potere (dir. priv.), in Enc. dir., XXXIV, Giuffrè, 1985, 627.
[68] V. A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato20, a cura di F. Anelli e C. Granelli, Giuffrè, 2011, 81.
[69] Cfr. P. Lorefice, L’accettazione, cit., 334, in nt. 17.
[70] È questa una considerazione che si evince anche in L. Cariota Ferrara, Le successioni, cit., 473.
[71] Sul punto è doveroso ripercorrere gli insegnamenti di L. Ferri, Successioni, cit., 307 ss. in testo e in nt. 8.
[72] V. L. Ferri, Successioni, cit., 307, laddove ha parlato, in relazione al mancato compimento dell’inventario, della perdita degli effetti della limitazione di responsabilità che l’accettazione aveva «da sola prodotto»; nonché in precedenza U. Natoli, L’amministrazione, cit., 175.
La conclusione riportata in testo è stata seguita quanto alle ricostruzioni utilizzate dal Supremo Collegio ai fini del decisum anche da Cass., 26 luglio 1971, n. 2490, cit., 424, con nota di L. Di Lalla; nonché da Cass., 22 gennaio 1977, n. 329, cit., 637.
[73] V. Cass., 22 gennaio 1977, n. 329, cit., 637.
[74] Detti termini sono peraltro stabiliti con l’intento di permettere a coloro che vantano diritti sul patrimonio ereditario di conoscere l’entità di quest’ultimo in attesa che l’erede decida se accettare o meno i pesi e i vincoli che lo gravano. In argomento cfr. A. Ascoli, Il beneficio, cit., 122.
[75] Il rinvio è a L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale, Disposizioni generali2, in Il codice civile, commentario fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, Giuffrè, 2010, 77.
[76] Controverso, e per di più fin dai tempi passati, è se l’art. 490, comma 1, n. 2, cod. civ., nel disporre che l’erede che abbia accettato avvalendosi di tale beneficio non è tenuto a pagare i debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti, configuri una limitazione del debito in conseguenza della limitazione della responsabilità (in questi termini M. Giorgianni, L’obbligazione (La parte generale delle obbligazioni), I, rist., Giuffrè, 1968, 185), ovvero se, al contrario, descriva un’ipotesi di limitazione di responsabilità, per cui i creditori possono avvantaggiarsi solamente di alcuni beni del loro debitore per soddisfare coattivamente il proprio diritto: nello specifico, i medesimi potrebbero, a norma dell’art. 497 cod. civ., agire solo sull’eredità e non sul patrimonio del debitore, salvo il caso della costituzione in mora nel rendere il conto (così R. Nicolò, Della responsabilità patrimoniale, delle cause di prelazione e della conservazione della garanzia patrimoniale, in Aa.Vv., Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro sesto. Tutela dei diritti. Art. 2740-2899, Zanichelli-Soc. ed. Foro Italiano, 1945, 12 s.).
Hanno aderito al primo indirizzo altresì C.M. Pratis, Della tutela dei diritti. (Artt. 2740-2783), in Commentario del Codice Civile (redatto a cura di magistrati e docenti), Libro VI, (Titolo III, capi 1 e 2), Tomo II, Parte I, Utet, 1976, 39 s.; C.M. Bianca, Diritto civile, Vol. VII, Le garanzie reali. La prescrizione, Giuffrè, 2012, 6.
Concordi con il secondo, invece, sono stati M. d’Amelio, Della responsabilità patrimoniale, delle cause di prelazione e della conservazione della garanzia patrimoniale, Capo I. Disposizioni generali (Art. 2740-2744), in Codice civile Commentario, Libro della tutela dei diritti, diretto da M. d’Amelio, Barbera, 1943, 434; C. Gangi, Le obbligazioni, Concetto-Obbligazioni naturali-Solidali-Divisibili e indivisibili, Giuffrè, 1951, 50 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale9, Vol. III, Giuffrè, 1959, 65.
Peculiare, sulla previsione di cui all’art. 490, comma 1, n. 2, cod. civ., è stata la posizione di V. Roppo, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Vol. XIX, Tutela dei diritti, I, Utet, 1985, 395; oltre che Id., La responsabilità patrimoniale del debitore2, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Vol. XIX, Tutela dei diritti, I, Utet, 1997, 515 s., secondo cui essa rappresenta una vera e propria limitazione di responsabilità legale esclusivamente se si parte dal presupposto che l’erede sia a pieno titolo e per l’intero ammontare debitore pure per debiti già facenti capo al de cuius e per i legati; costituisce invece un caso di debito limitato qualora si reputi che il valore dell’attivo ereditario indichi la misura non solo della sua responsabilità bensì anche del suo debito. Particolare è stata pure l’opinione sostenuta da C. Miraglia, Responsabilità patrimoniale, in Enc. giur., XVII, Treccani, 1993, 8, secondo il cui giudizio, comparando gli artt. 490 e 497 cod. civ., emerge come la posizione dell’erede beneficiato sia soggetta a due limiti, il primo relativo all’entità del debito – poiché è ridotto l’oggetto della sua prestazione – il secondo riguardante l’oggetto della responsabilità patrimoniale correlata a detto debito, di cui l’erede risponde unicamente con i beni dell’eredità che rientrano nel patrimonio separato del de cuius ex art. 497 cod. civ., quando invece, in base all’art. 2740 cod. civ., il medesimo dovrebbe rispondere con tutti i suoi beni.
[77] Come nota giustamente L. Ferri, Successioni, cit., 352. Conf. G. Vidiri, L’accettazione con beneficio d’inventario: atto unico o fattispecie a formazione progressiva? in Giust. civ., I, 2004, 366.
[78] In termini di sanzione – da individuarsi nella perdita del beneficio conseguito dall’erede con l’accettazione beneficiata – che l’ordinamento giuridico ricollega «per l’inosservanza delle formalità impostegli dalla legge» si è espresso in dottrina U. Natoli, L’amministrazione, cit., 175. Analogamente di sanzione ha parlato pure D. Pastore, Incapaci, cit., 1223, con riferimento alla perdita del diritto di accettare in modo beneficiato prevista dagli artt. 485 e 487 cod. civ.
[79] Limitatamente a quest’ultimo aspetto v. Cass., 3 luglio 2013, n. 16635, in Giust. civ., 2013, 9, I, 1691; nonché Cass., 23 dicembre 2011, n. 28632, in Giust. civ. Mass., 2011, 12, 1846, che ha affermato il principio in forza del quale a norma dell’art. 564 cod. civ. solo il legittimario che abbia la qualità di erede può, in ipotesi di accettazione beneficiata, esperire l’azione di riduzione delle donazioni e dei legati lesivi della sua quota di legittima. Anche secondo Cass., 19 novembre 2019, n. 30079, in Banche Dati Dejure, qualora sia stato totalmente pretermesso dal testatore, il legittimario non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del de cuius, potendo acquistare i suoi diritti esclusivamente dopo avere esperito le azioni di riduzione o di annullamento del testamento, con la conseguenza che la condizione della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario ai sensi dell’art. 564, comma 1, cod. civ., ai fini dell’esercizio dell’azione di riduzione, opera solamente per il legittimario che abbia al contempo la qualità di erede e non per il legittimario totalmente pretermesso dal testatore.
Conf., in sede di merito, di recente Trib. Sciacca, 22 dicembre 2021, in Banche Dati Dejure.
[80] V. Cass. 24 luglio 2000, n. 9648, in Fam. dir., 2001, 405, con commento di E. Astuni, Accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario in nome e per conto del minore e rinuncia, da parte di questo, divenuto maggiorenne.
Più di recente, in altro arresto – cfr. Cass., 16 novembre 2018, n. 29665, in Ilfamiliarista, 2019, con nota di B. D’Amato – la Suprema Corte ha affermato sia il principio che il mancato perfezionamento della procedura di accettazione beneficiata da parte del legale rappresentante mantiene il minore nella qualità di chiamato all’eredità – in ogni caso fintanto che non è decorso il termine prescrizionale di cui all’art. 480 cod. civ. – sicché una volta divenuto maggiorenne, potrà valutare se conservare o meno il beneficio ovvero rinunciare all’eredità, sia quello in forza del quale una volta che si sia perfezionata, prima del raggiungimento della maggiore età, la procedura di accettazione beneficiata, con il realizzarsi degli elementi costitutivi previsti dalla legge, risulta ormai acquisita la qualità di erede, con la conseguenza che il minore, divenuto nel frattempo maggiorenne, non potrà più rinunciare all’eredità.
A conclusioni diametralmente opposte è pervenuta in parte motiva Cass. 19 luglio 1993, n. 8034, cit., 249, a giudizio della quale l’art. 489 cod. civ. attribuirebbe al minore, nell’ipotesi in cui il suo legale rappresentante non abbia rinunciato all’eredità, il solo diritto di redigere l’inventario entro il termine perentorio di un anno dal compimento della maggiore età e non il diritto di rinunciare alla medesima. Ha inoltre aderito alla precedente sentenza di merito impugnata che aveva ritenuto tamquam non esset l’atto di rinuncia posto in essere dal minore, divenuto maggiorenne, nei termini previsti dall’art. 489 cod. civ. in presenza di una accettazione beneficiata dell’eredità a cui non aveva fatto seguito la redazione dell’inventario Cass., 5 giugno 2019, n. 15267, in Giust. civ. Mass., 2019.
[81] Uno spunto in tal senso è presente anche in E. Astuni, Accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario in nome e per conto del minore e rinuncia, da parte di questo, divenuto maggiorenne, in Fam. dir., 2001, 413.
[82] Come invero sostenuto da E. Astuni, Accettazione, cit., 413.
[83] L’indirizzo è stato accolto anche dal Supremo Collegio. V., in questa direzione, Cass., 12 aprile 1954, n. 1147, in Giur. it., 1955, I, 559, secondo cui l’accettazione pura e semplice da parte del legale rappresentante non produceva effetti per il minore stesso il quale, alla maggiore età, poteva rinunciare o accettare con beneficio d’inventario. Successivamente pure Cass., 27 gennaio 1962, n. 162, in Giust. civ., 1962, I, 662, con nota di A. De Rosa, Mancata accettazione con beneficio di inventario di eredità devoluta a minori e autorizzazione alla vendita dei beni ereditari, ha ribadito come ogni forma di accettazione espressa o tacita diversa da quella con beneficio d’inventario di cui all’art. 471 cod. civ. non è idonea ad attribuire al minore la qualità di erede, restando quest’ultimo nella posizione di chiamato all’eredità fino al momento in cui si prescrive il diritto di accettare o rinunciare ad essa ex art. 489 cod. civ. Anche per Cass., 9 aprile 1969, n. 1144, in Giust. civ. Mass., 1969, 584, qualora il legale rappresentante del minore non abbia accettato con il beneficio d’inventario avendolo fatto in modo tacito, il minore resterebbe nella qualità di chiamato all’eredità fin quando non si consumi il suo diritto di accettare o rinunciare all’eredità in quanto l’accettazione tacita sarebbe improduttiva di effetti.
[84] Le voci più autorevoli hanno ritenuto che l’eventuale accettazione pura e semplice fatta dal legale rappresentante del minore debba ritenersi nulla integrando, pertanto, un atto non produttivo di effetti fin dall’origine. In questo senso cfr. le giuste osservazioni di U. Natoli, L’amministrazione, cit., 187 s., che ha tratto il proprio convincimento dalla considerazione che, se così non fosse, non si comprenderebbe quale dovrebbe essere la ratio degli artt. 471, 472 e 473 cod. civ.; nonché di A. Cicu, Successioni, cit., 196 ss. e in particolare 198 e 201, per il quale l’accettazione in modalità non beneficiata esula dai poteri del rappresentante legale del minore. Anche a giudizio di L. Cariota Ferrara, Le successioni, cit., 472, l’accettazione semplice da parte dei minori, oltre che degli interdetti, è affetta da nullità assoluta, ossia come se non fosse mai avvenuta, quand’anche «compiuta dal legale rappresentante o con l’assistenza di questo e le debite autorizzazioni», con la conseguenza che si può rinunciare o accettare con il beneficio di inventario in costanza di perdurante incapacità oppure come erede puro e semplice in caso di cessazione di quest’ultima. In argomento pure C. Giannattasio, Delle successioni. Disposizioni generali – successioni legittime2, in Commentario del codice civile, Libro II, tomo I, Utet, 1971, 156, ha notato giustamente come sia invalida ogni forma di accettazione dell’eredità da parte del legale rappresentante del minore qualora diversa da quanto disciplinato dall’art. 484 cod. civ. Su posizioni sostanzialmente analoghe v. A. Ravazzoni, Beneficio, cit., 1. Propenso a considerare nulla l’accettazione pura e semplice effettuata dal legale rappresentante del minore in considerazione dell’assenza di capacità giuridica di quest’ultimo in relazione all’accettazione pura e semplice è stato, inoltre, L. Ferri, Successioni, cit., 231. Più di recente, in senso conf., v. altresì V. Pappa Monteforte, Brevi note, cit., 202; G. Vidiri, Sospensione, cit., 581, il quale ha condiviso tale pensiero tanto in ragione del dato letterale dell’art. 471 cod. civ. quanto perché gli interessi che sono tutelati impongono alla predetta norma «una natura cogente». In termini ricognitivi, ancora sulla nullità dell’accettazione pura e semplice effettuata dal legale rappresentante del minore, cfr. C. Carnevale, Art. 471. Eredità devolute a minori o interdetti, in C. Ruperto, La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, Libro II, Delle successioni, Tomo I, a cura di C. Carnevale, Giuffrè, 2005, 136 ss. Più di recente v., pure, G. Capozzi, Successioni, cit., 283, che, ricorrendo al principio generale di cui all’art. 1418 cod. civ., parla di nullità per violazione di norme imperative.
Hanno diversamente sostenuto l’indirizzo della possibile annullabilità F.S. Azzariti – G. Martinez – G. Azzariti, Successioni, cit., 56, in nt. 1.
A favore di una ipotesi di annullabilità dell’accettazione di eredità, invero derivante dalla mancata precedente autorizzazione del giudice tutelare, si è espresso pure D. Pastore, Incapaci e decadenza dal beneficio di inventario, in Riv. not., 1998, 1215
[85] Da svariati decenni questa ha statuito il divieto di accettazione pura e semplice dell’eredità da parte del minore. Si allude in particolare agli arresti di Cass., 19 febbraio 1962, n. 329, in Foro pad., 1962, I, 442 e di Cass., 23 aprile 1966, n. 1051, in Foro it., 1967, I, 83, per le quali l’accettazione pura e semplice da parte del legale rappresentante non produce effetti per il minore stesso il quale, alla maggiore età, può rinunciare o accettarla con beneficio d’inventario. In epoca remota cfr., pure, Cass. 3 dicembre 1936, n. 3263, cit., 621, con nota di A. Butera, Eredità devoluta ad incapaci e beneficio di inventario, che aveva ritenuto invalida e non produttiva di conseguenze giuridiche l’accettazione di eredità devoluta ai minori in violazione delle formalità stabilite per il beneficio d’inventario.
Solo un risalente indirizzo sorto nelle Corti di merito era giunto in passato, in posizione peraltro minoritaria, a considerare l’accettazione pura e semplice dell’eredità da parte del rappresentante legale dell’incapace valida e idonea ad attribuire a quest’ultimo la qualità di erede, determinando l’inosservanza del disposto dell’art. 471 cod. civ. unicamente la facoltà di accettare direttamente con il beneficio di inventario nel termine, previsto dall’art. 489 cod. civ., di un anno dalla cessazione della incapacità. Questa era la direzione verso cui sembrava muoversi Trib. Trani, 10 gennaio 1961, in Corti Bari, Lecce, Potenza, 1961, 398, la cui prospettiva è stata fatta propria, in seguito, da Trib. Napoli, 11 aprile 1990, in Riv. not., 1993, con nota di V. Pappa Monteforte, Brevi note sui minori nell’eredità e nella divisione consensuale con partecipazione dell’usufruttuario.
[86] La giurisprudenza ha, difatti, escluso che il rappresentante legale dell’incapace possa accettare l’eredità in modo diverso da quello prescritto da detta norma, di talché l’eventuale accettazione tacita, fatta con il compimento di uno degli atti previsti dall’art. 476 cod. civ., ossia con un atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare e che non si avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede, non rientra nel potere di tale soggetto, perciò non produce alcun effetto nei confronti dell’incapace, che resta nella posizione di chiamato all’eredità fino a quando egli stesso o il suo rappresentante eserciti il diritto di accettare o di rinunciare all’eredità entro il termine prescrizionale. In tale ottica v. Cass., 1° febbraio 2007, n. 2211, cit., 577. In argomento Cass., 24 luglio 2000 n. 9648, cit., 405, ha affermato che, con riguardo all’eredità devoluta ai minori, ogni forma di accettazione espressa o tacita è nulla e improduttiva di effetti, tanto da non conferire al minore la qualità di erede, se non viene effettuata con beneficio di inventario. Il Supremo Collegio ha proseguito osservando come da ciò deriva che, nel caso di chiamata all’eredità del minore, non può applicarsi l’art. 485 cod. civ. nella parte in cui dispone, in via generale, che il chiamato che si trovi a qualsiasi titolo nel possesso dei beni ereditari deve compiere l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità, divenendo, in difetto di tale adempimento, erede puro e semplice. Più in particolare, per il minore – sempre a parere della Corte – la decadenza dal beneficio di inventario può avvenire esclusivamente secondo il disposto dell’art. 489 cod. civ. nel caso in cui l’inventario non venga predisposto da tale soggetto entro il termine di un anno dal raggiungimento della maggiore età. Similmente anche Cass., 13 luglio 1999, n. 7417, in Giur. it., 2000, I, 1, 467, con nota di E. Bergamo, Brevi cenni sull’accettazione beneficiata dell’eredità da parte di incapaci e sulla natura giuridica del chiamato all’eredità, ha affermato il principio secondo cui gli atti di conservazione del patrimonio ereditario posti in essere dal rappresentante legale del minore chiamato all’eredità non possono dar luogo ad alcuna accettazione implicita dell’eredità medesima, la quale sarebbe in ogni caso nulla in ragione dell’obbligo di accettazione beneficiata da parte del minore. Un’analoga conclusione si rinviene in Cass., 27 febbraio 1995, n. 2276, in Banche Dati Dejure, che, in una vicenda avente a oggetto una divisione bonaria dei beni ereditari, ha statuito che l’art. 471 cod. civ., stabilendo che le eredità devolute ai minori si possono accettare solamente con il beneficio di inventario, esclude che il rappresentante legale dell’incapace possa accettare l’eredità in modo tacito ovverosia con forme differenti da quelle contemplate ex art. 484 cod. civ. ai fini di una «dichiarazione espressa di volontà volta a fare acquistare all’incapace la qualità di erede con limitazione della responsabilità ai debiti e ai pesi “intra vires per ereditatis”». Ancora più significativa è Cass., 11 luglio 1988, n. 4561, cit., 751, che ha osservato come l’art. 471 cod. civ. sia norma imperativa che non permette al minore di accettare l’eredità in forme diverse da quella beneficiata. Sostanzialmente conf. Cass., 27 febbraio 1986, n. 1267, in Vita not., 1986, 292, la quale ha affermato che l’accettazione non beneficiata effettuata da parte del legale rappresentante è invalida e priva di effetti per il minore il quale resta nella qualità di chiamato che, alla maggiore età, può rinunciare o accettare l’eredità con beneficio d’inventario; Cass., 10 ottobre 1981, n. 5327, in Giust. civ. Mass., 1981, 1902, secondo cui il disposto dell’art. 471 cod. civ. osta a far sì che la riscossione di un credito del de cuius da parte del soggetto esercente la patria potestà sull’erede-minore equivalga ad accettazione tacita dell’eredità da parte di quest’ultimo; Cass., 9 aprile 1969, n. 1144, cit., 584; Cass., 5 maggio 1967, n. 881, in Giust. civ. Mass., 1967, 448; Cass., 27 gennaio 1962, n. 162, cit., 662; Cass., 25 maggio 1960, n. 1358, in Foro pad., 1960, II, 63.
Anche in sede di merito è stato riconosciuto come, ai sensi dell’art. 471 cod. civ., l’eredità devoluta al minore non possa essere accettata con modalità diverse da quella beneficiata, indipendentemente dal valore del compendio ereditario, di talché ogni altra e diversa forma di accettazione espressa o tacita è nulla e improduttiva di effetti. V. Trib. Asti, 13 maggio 2011, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 7252 – pubb. 06/06/2012. In tempi risalenti cfr. pure App. Cagliari, 26 luglio 1963, in Foro it. Rep., 1966, 2271; nonché App. Napoli, 23 dicembre 1957, in Giust. civ., 1958, I, 941, con nota di G. Stella Richter, Accettazione di eredità devoluta ad incapaci ed alienazione di beni ereditari.
[87] Contra G. Azzariti, Accettazione di eredità devoluta ad incapace, in Giur. it., 1975, I, 352, a giudizio del quale se l’incapace ha accettato ma non si è conformato alla disciplina di cui all’art. 489 cod. civ., egli resta comunque erede puro e semplice posto che quest’ultimo precetto non si esprime in termini di decadenza dal diritto all’eredità ma solo dal beneficio d’inventario.
[88] A tal proposito la dottrina non ha, infatti, avuto dubbi: l’art 489 cod. civ. svolge la funzione di permettere di conservare il beneficio di inventario impedendone la decadenza sino alla scadenza del termine perentorio indicato dalla norma stessa. I contributi della letteratura in materia sono tutt’altro che sporadici. Senza pretesa di esaustività non si possono non ricordare, tra i tanti, L. Ferri, Successioni, cit., 322; G. Azzariti, Accettazione, cit., 349; nonché U. Natoli, L’amministrazione, cit., 188 s. Rispetto alla regola generale dettata per i chiamati non incapaci, l’art. 489 cod. civ. si giustifica infatti nella esclusiva volontà del legislatore di allontanare il rischio che sul minore finiscano per gravare eventuali errori commessi dal rappresentante legale. In tale ottica cfr. A. Ravazzoni, Beneficio, cit., 4.
[89] Cfr. D. Pastore, Incapaci, cit., 1213.
[90] In questi termini cfr. L.V. Moscarini, Beneficio, cit., 125.
[91] V., in parte motiva, Cass., 15 luglio 2003, n. 11030, cit., 361.
[92] Di avviso contrario è invero D. Pastore, Incapaci, cit., 1219 ss. e 1222 ss.
[93] Tant’è che «nessuna norma, in sé considerata, è regolare o eccezionale», dovendosi procedere a una necessaria comparazione tra precetti. Così N. Irti, L’età della decodificazione, Giuffrè, 1979, 48 ss.
[94] Per tale concetto si rinvia alle affermazioni assai lontane nel tempo ma ancora del tutto valide di P. Coppa-Zuccari, Diritto singolare e diritto territoriale. I. – Diritto singolare e diritto comune, Società Tipografica Modenese, 1915, 82 ss., che aveva definito speciale rispetto a una regola superordinata quella che presentava tutti gli elementi costitutivi sussistenti anche nella seconda più alcuni aspetti, che di questa rappresentavano «svolgimento o continuazione» (ivi, 82), dato che la legge speciale integrava una «conseguenza o specificazione» (ivi, 83) di quella superordinata, la quale continuava a disciplinare la fattispecie concreta non da sola, però, bensì insieme alla norma speciale. Conf. N. Bobbio, L’analogia nella logica del diritto, Istituto Giuridico della R. Università, 1938, 168; N. Irti, L’età, cit., 45 s., laddove, dopo aver ricordato che i caratteri della norma generale si rinvengono inoltre in quella speciale e che questa vi apporta un connotato in più, ha messo in luce come quest’ultima limiti il campo di applicazione della regola generale che, in mancanza della prima, disciplinerebbe altresì i casi previsti da essa: rimossa la legge speciale, quella generale amplierebbe nuovamente la propria sfera di operatività, applicandosi pure alle ipotesi concrete che presentassero l’aspetto ulteriore e differenziale.
[95] Che la norma eccezionale si caratterizzi – in confronto a quella generale – per la previsione di conseguenze giuridiche difformi è affermazione pacifica in dottrina. V., a tal proposito, ex plurimis, N. Irti, L’età, cit., 45 ss.
[96] Cfr. sul punto le riflessioni condotte da E. Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici. (Teoria generale e dogmatica), Giuffrè, 1949, 87, e le relative citazioni riportate in testo.
[97] Fra i primi fautori dell’elaborazione del concetto di norma eccezionale v. P. Coppa-Zuccari, Diritto singolare, cit., 82 ss. e 90, dove l’Autore rammentava come fosse essenziale che il diritto eccezionale negasse almeno parzialmente ciò che la norma generale statuiva e che dettasse nuove disposizioni chiaramente inconciliabili con quelle previste da quest’ultima. Cfr. sul punto anche le riflessioni condotte da E. Betti, Interpretazione, cit., 87, e le relative citazioni riportate in testo.
[98] È questa l’opinione di G. Grosso, A. Burdese, Le successioni, cit., 246.
[99] Così L. Cariota Ferrara, Le successioni, cit., 472.
[100] L. Ferri, Successioni, cit., 322.
[101] Hanno ritenuto, in assenza di rinuncia o accettazione del legale rappresentante, che trascorso il termine decennale il minore perda irrimediabilmente il diritto all’eredità A. Cicu, Successioni, cit., 198, il quale ha fondato la propria conclusione sull’assunto che la proroga di cui all’art. 489 cod. civ. riguarda «soltanto il termine per conseguire il beneficio d’inventario»; G. Prestipino, Delle successioni, cit., 273; G. Capozzi, Successioni, cit., 286; G. Grosso, A. Burdese, Le successioni, cit., 246 ss. e in particolare 248.
[102] V. C. Mercantini, Accettazione di eredità devolute ad incapaci e autorizzazione a disporre di beni ereditari, in Riv. not., 1951, I, 357.
[103] Che in forza dell’art. 489 cod. civ. anche il termine di prescrizione del diritto di accettazione dell’eredità debba prorogarsi sino al compimento dell’anno successivo a quello del raggiungimento della maggiore età è considerazione che si rinviene pure in P. Lorefice, L’accettazione, cit., 347.
Contra D. Pastore, Incapaci, cit., 1218 s.
[104] V. A. Cicu, Successioni, cit., 198.
[105] Significativamente come riportato da C. Giannattasio, Delle successioni, cit., 157, il quale a propria volta rinvia a precedente dottrina.
[106] Cfr. Cass., 28 agosto 1993, n. 9142, in Riv. not., 1994, 829, la quale ha affermato che al minore non si applica il termine di cui all’art. 485 cod. civ. per la redazione dell’inventario, quanto invece quello fissato dall’art. 489 cod. civ. e di conseguenza egli decade dal beneficio solo in applicazione della disciplina di cui a questa seconda norma, mentre va escluso che, una volta che l’inventario sia stato eseguito in costanza della minore età del chiamato, quest’ultimo, al fine di conservare la posizione di erede beneficiario, debba ripetere entro l’anno dal raggiungimento della maggiore età un inventario già compiuto sia pure nel mancato rispetto del termine di cui all’art. 485 cod. civ. Conf. a quanto affermato in testo v., pure, Cass., 24 luglio 2000 n. 9648, cit., 405; nonché Cass., 16 novembre 2018, n. 29665, cit.