Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Diritto civile e nuovi valori costituzionali. Qualche suggestione da recenti riforme (di Carmelita Camardi, Professoressa ordinaria di Diritto privato – Università Ca’ Foscari Venezia)


Il contributo prende avvio dalla recente riforma degli art. 9 e 41 della Costituzione per verificare l’impatto del principio di sostenibilità nella struttura delle relazioni private. Si indagano in particolare i riflessi del principio nei rapporti di consumo e la possibile rilevanza delle generazioni future attraverso l’esperienza della Climate change litigation.

Civil law and new constitutional principles. Some suggestions from recent reforms

Starting from the recent reform of the art. 9 and 41 of the Italian Constitution, the essay aims to verify the impact of the principle of sustainability in the structure of private relations; particularly analyzing the effects in consumer relations and the possible relevance of future generations interests, as shown by  Climate change litigation experience.

SOMMARIO:

1. La riforma dell’art.9 della Costituzione, lo sviluppo sostenibile e il tema delle generazioni future anche nel diritto civile - 2. Strumenti di potenziamento del(l’effettività del) diritto civile. I principi - 3. La sostenibilità nel diritto privato dei consumatori - 4. Ancora sulle generazioni future. Ipotesi sui loro “diritti” - NOTE


1. La riforma dell’art.9 della Costituzione, lo sviluppo sostenibile e il tema delle generazioni future anche nel diritto civile

Il tema dei valori costituzionali, e dei principi che li mettono in forma nella Carta fondamentale, costituisce una sfida permanente per il civilista, perché mette in gioco una serie di paradigmi che nel tempo hanno conferito al metodo civilistico dell’interpretazione una sua identità stabile ed un suo ruolo sociale definito, e perciò quasi un compito irrinunciabile.

Ripropongo il tema aggiungendo l’aggettivo “nuovi”, con riferimento ai valori costituzionali: e di fronte a questa novità – che a breve chiarisco – vorrei provare a rimettere in discussione quei paradigmi, e capire se gli stessi resistono ancora oppure è necessario che il civilista assuma un fardello, se non un grimaldello, idoneo a riconfermarli o a superarli.

E la novità, o la sfida, è la nuova formulazione dell’art. 9, e poi dell’art. 41 della Costituzione, che sanciscono come oggetto di tutela costituzionale alcuni valori e alcune entità che finora lo sono stati prevalentemente per via interpretativa [1].

La Repubblica … Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.

Il diritto è linguaggio, e se il linguaggio cambia, cambiano rationes e valori del diritto. Devo subito dire che – come parole del diritto – alcune di quelle che troviamo nell’art. 9 Cost. sono già presenti nell’ordina­mento, in particolare in quel Codice dell’ambiente frutto della fenomenologia normativa contemporanea, per il suo essere attuazione del diritto europeo e del diritto costituzionale medesimo. In questo Codice troviamo in particolare, dopo la definizione dell’ambito di applicazione, l’indicazione delle finalità perseguite (la promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali.); l’affermazione dei principi guida (precauzione, azione preventiva, correzione … dei danni causati all’ambiente, nonché il principio “chi inquina paga”); ed infine l’esplicito richiamo del principio dello sviluppo sostenibile: “Ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future”. Il principio dello sviluppo sostenibile – come sappiamo – non è di nuovo conio, ed è presente in tutte le fonti e in tutti gli strumenti normativi con i quali l’azione della Repubblica si confronta [2].

Ma allora dove sarebbe la novità?

La novità sta nella riformulazione del suo contenuto nel contesto dell’art. 9 della Costituzione, e la circostanza non ha la stessa valenza del pur importante richiamo con articolo ad hoc nel menzionato Codice del­l’ambiente, perché ciascuna fonte disegna anche un perimetro. Il perimetro del Codice dell’ambiente è la sua amministrazione, da parte di quell’Autorità che – sebbene alla luce del principio di sussidiarietà – il Codice ha investito di tutte le funzioni necessarie ad assicurare quell’uso accorto delle risorse che costituisce il nucleo genetico della sua azione.

Riportato nella Costituzione, il principio generale dello sviluppo sostenibile, declinato con le parole che ho letto, si apre come territorio della Repubblica, e perciò chiama in causa anche il diritto civile, o almeno quei civilisti sensibili al ruolo dei valori costituzionali quali strumenti dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto civile, ma prima ancora al ruolo del diritto civile quale plesso dell’ordinamento funzionale alla definizione dell’ordine in una società complessa [3].

Ma in questa riformulazione dell’art. 9 non c’è solo il tema classico – ricorrente per tutte le norme costituzionali che non si occupano dell’architettura istituzionale in senso stretto – dell’argomentazione per principi, e più ancora della Drittwirkung, diretta o indiretta, immediata o mediata dalle clausole generali, integrativa, correttiva o financo abrogativa delle norme scritte che fossero contrarie ai principi costituzionali. In altre parole, nel contesto dell’art.9 Cost. non c’è solo il tema dell’interpretazione adeguatrice, c’è una sfida in più, una posta in gioco sul tavolo della effettività delle norme. Una posta in gioco, la cui importanza – ci si permetta una notazione non giuridica – è resa drammaticamente evidente dalla semplice osservazione del paesaggio (di cui pure l’art. 9 si preoccupa), che restituisce il letto dei fiumi senz’acqua, la neve artificiale, la ricorrenza sempre più frequente di tempeste tropicali, la scomparsa del clima intermedio, e tutto quanto indichiamo distrattamente come disordine climatico [4].

E la sfida in più, per noi civilisti, è il significato normativo da assegnare al richiamo delle generazioni future; non tanto al richiamo della tutela degli ecosistemi e delle biodiversità da consegnare a chi verrà dopo di noi, quanto la valenza o la qualifica da assegnare al loro “interesse”. Ed è un tema che sussiste nella misura in cui – con ogni evidenza – non si vuole relegare l’art.9 fra le norme costituzionali che compongono quel catechismo di principi fondamentali sì, ma ineffettivi finché il legislatore non le trasforma in qualcosa di altro.

Eppure le nuove generazioni sono una sfida per il civilista. La norma indica che ci sono “figure”, non posso ancora dire “soggetti”, al di là da venire, non ancora presenti, il cui interesse però deve essere tenuto in considerazione ora, hic et nunc, perché la Repubblica deve tutelarlo adesso e non dopo.

Ed è qui l’arcano, o la sfida. Il diritto civile include per suo tratto genetico l’orizzonte del presente, si articola su diritti e interessi di soggetti che hanno una vita, un nome e una parola, e per queste ragioni possono essere dotati di diritti soggettivi e di strumenti rimediali di tutela. Le generazioni future non vi rientrano. Esse evocano una massa amorfa di individualità dai contorni ancora incerti, il cui tratto identitario e così possiamo dire – è determinato dal “non esserci ancora”, dalle problematiche che esse saranno chiamate ad affrontare quando verranno ad esistenza, quale conseguenza delle azioni che noi oggi mettiamo in campo. Dunque, un orizzonte temporale ibrido: che include necessariamente il presente – ciò che oggi noi facciamo – ma apre ad un futuro senza data e senza termini, e però rilevante [5]. Un futuro che non coincide con quello dei nostri discendenti diretti, o semplicemente dei “terzi” che verranno a reclamare un diritto leso dai nostri atti: questi soggetti appartengono al presente e non minacciano la stabilità del diritto civile, che li può includere nelle dinamiche dei suoi istituti perché le loro pretese sono definibili sin d’ora (i nostri eredi legittimi per il nostro patrimonio; i soggetti lesi dai nostri atti come i terzi acquirenti). Le generazioni future non hanno nome né volto, non avranno nemmeno il nostro cognome perché non sono i nostri nipoti, non avranno i nostri beni, né verranno a reclamare diritti patrimoniali di cui sono titolari. Sono una massa anonima, per l’appunto, che non sembra avere cittadinanza nel diritto civile, ma alla quale la Costituzione obbliga la Repubblica a fare riferimento, a ponderare il loro “interesse”.

Questo interesse ha una caratura, un contenuto che possiamo esprimere con il vocabolario del diritto civile? L’essere le generazioni future collocate in un orizzonte temporale di lungo periodo, il non essere attori del presente, rende ciononostante il loro interesse attualizzabile? Oppure li colloca nell’irrilevante giuridico di coloro i quali non possono avere diritti? L’art.9 dice di no, ma non dice come rendere attuale un interesse futuro.

Eppure, non vi è dubbio che, almeno per taluni aspetti, la società attuale ha preso consapevolezza della necessità di allungare l’orizzonte della decisione politica verso le generazioni future. Seppur nel contesto di principi che hanno la loro valenza principale nel presente, i controlli sui conti pubblici istituiti a livello europeo, insieme con le riforme dei sistemi previdenziali tentano di prendere atto delle conseguenze che l’invec­chiamento della popolazione e il calo demografico producono nell’equilibrio intergenerazionale quanto alla distribuzione delle risorse e al sostegno dei debiti pubblici. L’eccesso di spesa di oggi graverà sulle generazioni di domani, alle quali dunque si attribuisce sin d’ora, se non un diritto, un obbligo, l’interfaccia del diritto. Una spesa eccessiva non è sostenibile, quando è assunta asimmetricamente a carico delle generazioni future, che proprio perché non presenti non l’hanno scelta, ma dovranno subirla. Così come non hanno scelto di intensificare l’emissione di Co2, ma si dovranno adattare ad amministrarne le conseguenze negative in un contesto di risorse depauperato, non più ricostruibile [6].

Ma ritorniamo al diritto civile. Evitare tutto questo significa proteggere adesso l’interesse delle generazioni future, ma il diritto civile come vi contribuisce? La protezione è compito del Ministro dell’ambiente e del Ministro delle finanze, della legislazione ambientalistica e/o previdenziale, o anche “nostro”, e “come”?

Fin qui però il concetto di generazioni future si nutre di discorsi non ancora prettamente giuridici, non ancora formali, ma più spesso tratti dalla lezione economica, non sensibile all’esigenza di raccontare i fatti attraverso le categorie e le forme. Questo ha una spiegazione: le generazioni future, non definite e non ancora presenti, eccedono il modello formale binario delle relazioni giuridiche, che è il modello nucleare dell’obbligazione, costruito sul rapporto prettamente individualistico dell’obbligazione fra soggetti presenti, che ha per oggetto una prestazione determinata attuale (o anche futura, ma determinabile), e nell’interesse altrettanto attuale della parte attiva del rapporto [7]. I soggetti dell’obbligazione diventano poi contraenti secondo la stessa logica; e la stessa riveste poi di sé anche il rapporto che scaturisce dall’illecito, come ogni altro rapporto che non origina da quest’ultimo e nemmeno dal consenso. L’eccesso che la stessa idea di generazione futura determina rispetto a questo schema essenziale e irrinunciabile del diritto moderno è evidente: essa non ha e non può avere una forma in questa logica.

Ma provare a pensarla è la sfida che dovremmo raccogliere.


2. Strumenti di potenziamento del(l’effettività del) diritto civile. I principi

È opportuno a tal fine dare un rapido sguardo alla letteratura, percorrendo sia piste generali, attente al profilo dell’argomentazione per principi; sia piste più specifiche, che hanno già incluso il principio dello sviluppo sostenibile nel territorio degli istituti civilistici.

Sul piano del diritto privato europeo, vorrei per prima cosa ricordare un’opera recente, il bel volume di S. Grundmann, H. Micklitz, M. Renner, New private law theory [8], che ha una struttura tutt’altro che manualistica, e condensa in nuova luce tutta l’esperienza del diritto privato continentale, in una prospettiva critica ampia, annunciata nelle 5 tesi “manifesto” che aprono l’opera attraverso 5 parole chiave: pluralismo, comparazione, ermeneutica orientata all’applicazione, prospettiva transnazionale, approccio critico [9]. In questa prospettiva di contenuti e di metodo, trova ampio spazio il tema della costituzionalizzazione del diritto privato, esplicitato in primis nel cap.8, a cura di Micklitz [10], dove leggiamo che il costituzionalismo si traduce non tanto nell’applicazione dei principi, quanto e soprattutto nell’influenza dei diritti umani fondamentali – sociali civili e politici– in funzione di “… overcome a certain justice deficit in the private law order”. Ne traggo una chiara indicazione di metodo, suffragata dall’espressa professione ermeneutica (non l’ermeneutica filosofica, ma quella pratica), che apre a ragionamenti intesi a ricavare uno spazio non secondario alla protezione dei diritti fondamentali nella sfera dei rapporti privati.

A partire da questa assai significativa indicazione, vorrei poi ricordare il dibattito sui principi che la civilistica italiana ha affrontato al proposito, lungo una linea complessa che include una pluralità di posizioni, da quelle che ancora si richiamano alla partizione di cui all’art.12 delle preleggi, a quelle che invece riconoscono alla Costituzione e ai principi di rilievo costituzionale la massima effettività quali norme direttamente e sempre applicabili, anche in presenza di fattispecie positivamente normate il cui contenuto andasse in senso contrario. Non occorre riprendere in questa sede tale controverso dibattito, costantemente tenuto vivo da una casistica che tocca questioni delicate, così riproponendo anche il tema istituzionale della ricaduta della soluzione e dell’orientamento prescelti sull’assetto dei rapporti tra legislazione e giurisdizione, tra legge e interpretazione [11]. Personalmente ho assunto una posizione flessibile, agganciando l’ap­plicazione diretta dei principi all’attribuzione ai singoli di un diritto degno di protezione, oltre che ad una corretta ricostruzione della dinamica delle fonti che interferiscono nella ricostruzione del caso. E su questa strada continuerei a muovermi, nella convinzione della necessaria estensione del valore precettivo dei principi fino al limite del rispetto dei diritti fondamentali, non oltre quello del necessario rispetto delle prerogative del legislatore [12].

Sulla base di tali premesse, e comunque entro una tale cornice, che implementa una controllata applicazione dei principi costituzionali ai rapporti privati, è opportuno adesso sperimentare la possibile rilevanza civilistica del principio normativo dello sviluppo sostenibile.

La difficoltà del tema, come noto, scaturisce dal fatto che il principio in questione reca – ben più di altri – una carica innovativa tale da incidere non soltanto sull’attribuzione dei diritti personali o sulle modalità del loro esercizio, ma anche sull’organizzazione di attività private e pubbliche, e pertanto non sempre la sua applicazione può essere immediata, e prescindere dalla previa ridefinizione normativa del processo sul quale la sostenibilità incide. Si aggiunga quale dato tutt’altro che secondario, che il principio di sostenibilità ha carattere trasversale e sistemico, in quanto investe diverse discipline ed istituisce interferenze tra i vari sottosistemi sociali, modificandone le consuete relazioni. Non è un caso, infatti, che la declinazione della sostenibilità si esprima attraverso coppie concettuali antitetiche, le quali spesso esibiscono modalità operative e organizzative opposte e non sempre esauribili in un modello binario di comportamento. Si pensi alla contrapposizione tra economia lineare ed economia circolare [13]; ovvero tra economia estrattiva ed economia generativa; o ancora tra shareholder value e stakeholder value [14], e così via; tutte contrapposizioni che evocano una complessità non esauribile in una singola azione normativa o interpretativa, e delineano per contro una non semplice via normativa dello sviluppo sostenibile [15].

Nonostante questa consapevolezza, è presente un filone di riflessioni che mira alla costruzione di un diritto civile sostenibile, quale espressione di un principio trasversale che inciderebbe su tutti gli istituti civilistici, e che si esprime ancora attraverso nuove coppie concettuali [16]: proprietà e sviluppo sostenibile (con riferimento alla teoria dei beni comuni [17] e comunque ad una proprietà sottoposta a conformazione ecologica) [18]; contratto e sviluppo sostenibile, sub specie di un contratto “ecologico”, che assume il principio quale dispositivo idoneo a colorarne la causa, come risulterebbe da taluni modelli, dagli appalti verdi al green franchising [19]; sino alla apparentemente facile costruzione dell’attività economica sostenibile di cui ci direbbe l’art.41 nella nuova versione “ambientale” [20].

Molte di queste proposizioni a dire il vero non chiariscono se la valenza del principio sia generalizzabile – e in che misura – nelle mani del giudice e del suo eventuale sindacato sull’attività negoziale o di godimento dei privati, tutte le volte in cui la concreta operazione economica o il concreto uso del bene, e la loro disciplina, non presentino uno specifico tipo di problema che chiama in causa l’applicazione del principio, come più avanti cercheremo di argomentare, indipendentemente dalla mediazione del legislatore; senza trascurare la polisemia del termine e la menzionata ampiezza delle possibili declinazioni.

È questa una perplessità che dà ragione dell’esistenza di filoni culturali che invocano una via normativa della sostenibilità, a garanzia di quelle libertà, prima fra tutte la libertà d’impresa, con le quali l’attuazione del principio deve fare i conti. Ciò che renderebbe imprescindibile l’intervento del legislatore, certamente non solo di quello nazionale, e comunque inaccettabile l’idea di un generalizzato potere di “conformazione ecologica” delle attività private [21].


3. La sostenibilità nel diritto privato dei consumatori

Le perplessità sopra evidenziate possono attenuarsi, invece, allorché la concreta fattispecie sia direttamente sussumibile in uno degli ambiti di applicazione del principio di sostenibilità. Ciò che invero è accaduto, ad esempio, con riferimento alle decisioni prodottesi nel mondo sul caso Dieselgate da una parte, e sul Climate change dall’altra parte, casistiche che ci restituiscono un fecondo terreno di riflessione critica.

Qualche parola dunque su queste vicende.

La vicenda Dieselgate [22] apre un fronte estremamente importante: quello della possibile rilettura del diritto dei consumi in chiave di sostenibilità. Vengono qui in gioco due subsettori del diritto dei consumi, quello delle pratiche commerciali scorrette, richiamato dal fenomeno crescente del green washing [23]; e quello della garanzia di conformità nella vendita di beni di consumo, innovato dalla Direttiva 771/2019, attuata in Italia con dlvo n.170/2021, che ha riformato gli artt.128-135-septies del codice del consumo.

Sull’applicazione della disciplina delle pratiche commerciali scorrette alle dichiarazioni mendaci di compliance ambientale può riservarsi una certa quale attenzione, laddove esse incidano effettivamente sul­l’autodeterminazione del consumatore e colpiscano in particolare la sensibilità di quello che adesso viene chiamato il consumatore “etico” [24]. Anche in tal senso sono state intese, ad esempio in Italia, le dichiarazioni mendaci e truffaldine della Wolkswagen a proposito del noto device che nascondeva le emissioni nocive, così aprendo la strada sia per l’applicazione delle sanzioni da parte dell’Autorità Antitrust; sia per l’appli­cazione delle sanzioni civili da parte del giudice ordinario, in particolare del risarcimento del danno patrimoniale, a titolo aquiliano, e del danno non patrimoniale da reato di frode al commercio, a favore dei consumatori. Sennonché – ed è questo un punto cruciale nel ragionamento che si conduce – il calcolo del risarcimento non è andato oltre la considerazione del danno derivante da pratica commerciale scorretta nel contesto di un’azione di classe; in particolare il giudice italiano ha ritenuto che tale danno si sia risolto “nel maggior aggravio economico, parametrato al maggior prezzo dei veicoli omologati Euro5, sostenuto per l’acquisto di un veicolo formalmente Euro5, ma di fatto di classe Euro inferiore” [25]; e ciò anche sull’ar­gomento per il quale, a seguito degli interventi di service realizzati dal produttore truffaldino, le automobili comunque funzionavano! Molto più “ecologico” e “sostenibile”, invero, era stato il ragionamento del­l’Antitrust [26].

Riprendendo i ragionamenti prima enunciati, non si può non notare che attraverso tale qualificazione del comportamento del produttore truffatore semplicemente in termini di green washing, il principio della sostenibilità viene reso effettivo ben al di sotto delle sue possibilità.

Non basta una multa, o un risarcimento (nella specie calcolato fino al 15% del prezzo medio della vettura) per scoraggiare la produzione di beni insostenibili; anzi ove generalizzate, e per di più a fronte di comportamenti estremamente gravi del danneggiante, le sanzioni suddette sembrano atteggiarsi quasi come una sorta di prevedibile fee, pagata la quale, ciascuno dice quel che vuole, e soprattutto produce come vuole.

Non così i fatti andarono negli USA, dove la produttrice riconosce la propria responsabilità e chiude le controversie con tre pesanti accordi inclusivi di impegni concreti, non solo più che ampiamente risarcitori, ma di rimozione dal mercato delle auto viziate, nei confronti del Governo federale e dei consumatori [27]; e nemmeno in UE fortunatamente, dove la recente Decisione della CEG del 14 luglio 2022 [28] sul Dieselgate dichiara:

1) che un dispositivo che garantisce il rispetto dei valori limite di emissione di ossido di azoto unicamente nell’intervallo termico costituisce un impianto di manipolazione in linea di principio vietato ai sensi dell’art. 5, paragrafo 2, del regolamento n. 715/2007; e poi che:

2) un veicolo non presenta la qualità abituale dei beni dello stesso tipo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi e quindi non è conforme al contratto qualora, pur disponendo di un’omologazione CE in vigore e potendo, di conseguenza, essere utilizzato su strada, tale veicolo è dotato di un impianto di manipolazione vietato.

Da ricordare che l’Avvocato generale nelle cause riunite C-128/20, C-134/20 e C-145/20 sul Dieselgate aveva addirittura dichiarato che la violazione della normativa in materia di emissioni rende nulli i certificati di conformità, e perciò rende inidoneo il veicolo alla circolazione, realizzando un palese ed ampio difetto di conformità, in base – all’epoca dei fatti – alla vecchia direttiva 1999/44.

Un commentatore definisce queste valutazioni “devastanti” per i produttori [29].

E arriviamo così alla disciplina attuale introdotta dalla direttiva n.771. Qui l’incidenza del principio di sostenibilità è evidente ed è positiva, specie nella riformulazione delle aspettative del consumatore rispetto alle qualità del bene. Si introduce il requisito della durabilità del bene (con evidente riferimento alle pratiche di obsolescenza programmata) intesa come “la capacità dei beni di mantenere le loro specifiche funzioni e prestazioni attraverso un uso normale” (art.128 lett. o); e si precisa al successivo art.129 che per essere conforme il bene deve, fra le altre cose, “essere della quantità e possedere le qualità e altre caratteristiche, anche in termini di durabilità, funzionalità, compatibilità e sicurezza, ordinariamente presenti in un bene del medesimo tipo e che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e delle dichiarazioni pubbliche fatte dal o per conto del venditore, o da altre persone nell’ambito dei precedenti passaggi della catena di transazioni commerciali, compreso il produttore, in particolare nella pubblicità o nel­l’etichetta” [30].

Ciò posto, cos’altro può dirsi in base al principio di sostenibilità che non sia già detto in queste norme?

Il suggerimento viene da chi analizza, proprio in chiave di sostenibilità, la gerarchia dei rimedi offerti al consumatore che riceve un bene le cui caratteristiche si accerti non essere sostenibili in base alle norme citate. Come noto, l’art.135 bis dispone che “il consumatore può scegliere tra riparazione e sostituzione, purché il rimedio prescelto non sia impossibile o, rispetto al rimedio alternativo, non imponga al venditore costi sproporzionati”, in base alle circostanze del caso e a quelle poi indicate nella norma. I rimedi edilizi classici spettano in caso i primi non siano possibili ex lett. a-d del comma 4.

E però, si è notato che la norma non stabilisce una gerarchia interna ai rimedi ripristinatori, lasciando il consumatore libero di scegliere tra sostituzione e riparazione, salvo il bilanciamento con gli interessi del venditore. Ebbene, è qui che il principio di sostenibilità può intervenire. Si legge in letteratura che studi in chiave di sostenibilità hanno posto in risalto come la sostituzione dei beni abbia un notevole impatto sul­l’ambiente, comunque superiore rispetto a quello della riparazione, che invece risulta essere uno strumento più efficiente per contribuire all’economia circolare. Questo secondo rimedio concorrerebbe ad allungare la vita dei prodotti, a ridurre i rifiuti, i costi di trasporto etc. Ed allora, se il principio costituzionale di sostenibilità ha un valore, questo è un significativo terreno interpretativo per sperimentarlo. La soluzione proposta è quella di considerare la scelta del consumatore tra riparazione e sostituzione come sottoposta ad un vaglio di coerenza con la sostenibilità, in seguito al quale la riparazione sarebbe rimedio eleggibile tutte le volte in cui assicuri pari soddisfazione e non sacrifichi eccessivamente le ragioni del venditore [31]. Una conseguenza forte, se si pensa alla dimensione massiva della produzione di taluni beni ed al fatto che la durabilità, come gli aggiornamenti, sono già elementi la cui mancanza incide sulla conformità (e vedi ancora una volta i provvedimenti dell’Antitrust del 2018 contro Apple e Samsung per avere aggiornato i dispositivi con software che riducevano la durata della batteria, sì da indurre i consumatori a cambiare modello) [32].


4. Ancora sulle generazioni future. Ipotesi sui loro “diritti”

Ma con questi rilievi non abbiamo ancora toccato il punto più innovativo e la sfida più grande che il principio dello sviluppo sostenibile lancia al civilista. Che è quella degli strumenti attraverso i quali dare voce a chi non ce l’ha, alle generazioni future: rendere effettivo il loro interesse attraverso strumenti non solo indiretti, come quelli che abbiamo menzionato, che toccano il mondo dei consumi e per questa via della produzione in molti dei suoi aspetti, ma anche diretti e immediati; non solo reattivi, ma preventivi, tali da rendere le generazioni a venire attori del presente, e attori parlanti: protagonisti della comunicazione sociale.

So che si tratta di una sfida, prima ancora che al rigore del giurista, al rigore della legge, la cui architettura – come ho già detto – anche quando supera la dimensione dell’umano, è comunque dimensionata sul presente, sul già esistente, sulla pretesa e sul danno presenti, non su quelli futuri.

E però non manca qualche segnale.

Nel contesto della climate change litigation [33], esperienze non lontane dalla nostra hanno sperimentato meccanismi di controllo dell’attività umana presente diretti ad evitare, nel nome della protezione dei diritti fondamentali e in ottemperanza con il principio dello sviluppo sostenibile, che il rischio climatico si abbatta in maniera iniqua e sproporzionata sulle generazioni a venire, segnatamente – come nel caso deciso dalla Corte Costituzionale tedesca il 26 aprile 2021 sul caso Neubauer et al. contro Germania – su quelle che verranno dopo il 2030, anno entro il quale la legge tedesca prevedeva un target di riduzione delle emissioni nocive che la Corte ha reputato troppo basso [34].

Ed ancora nella non lontana Olanda, la Corte Suprema decideva nel dicembre 2019 sul caso Urgenda, condannando lo stato olandese ad una opportuna e rapida riduzione delle emissioni nocive nel nome delle generazioni future e a tutela dei loro diritti [35].

Non posso in questa sede scendere nei dettagli del giudizio, se non per ciò che concerne l’elemento chiave, pregiudiziale dell’intero processo, e cioè le caratteristiche dell’attore, analizzate e vagliate positivamente dalle Corti: nel primo caso un semplice gruppo di attivisti tedeschi anche minorenni e un gruppo di cittadini orientali; nel secondo caso una Fondazione, il cui statuto faceva riferimento al principio di sostenibilità, abilitata perciò secondo il codice civile olandese ad agire in giudizio anche a nome e a tutela di gruppi indefiniti e non identificabili di persone, ciò che ha permesso l’ingresso in giudizio delle generazioni future, “rappresentate” dalla Fondazione.

E qui l’indagine civilistica diventa interessante, a partire dal quesito seguente. Nei due casi menzionati, come negli altri che si sono svolti, ad es. negli USA, le Corti hanno messo in atto un meccanismo istitutivo di una nuova soggettività in capo alle generazioni future, attribuendo loro – in ragione dell’assenza di un substrato materiale – una appropriata rappresentanza?

Oppure più semplicemente hanno riconosciuto a soggetti esistenti la titolarità di un interesse proprio ma proiettato sull’orizzonte intertemporale di soggetti non ancora esistenti?

Certo, se assumiamo a modello il caso Urgenda, la prima soluzione appare forse la più lineare, e quella più facilmente estensibile a tutti gli enti che includano il principio di sostenibilità fra i propri scopi istituzionali e vogliano attivarlo sul piano processuale per dare tutela alle generazioni future e “parlare” a loro nome.

Se invece assumiamo a modello gli altri casi, nei quali si è ritenuta legittima la proposizione di un’azione giudiziaria da parte di un “gruppo” non entificato, allora la questione si fa più complessa, perché si adombra un meccanismo di soggettivazione delle generazioni future, o più sottilmente di attribuzione di diritti soggettivi a soggetti ficti, di cui si finge l’esistenza presente, in attesa di quella futura: un’anticipazione di tutela a vantaggio di chi non è presente ora, ma lo sarà domani.

Il richiamo alle note fenomenologie dei “diritti senza soggetto” è frequente in chi si è cimentato in questa teoria [36].

Ma con ciò non siamo ancora al punto finale. Esperienze ordinamentali questa volta molto lontane dalle nostre sono andate oltre, verso la rottura dello schema fondamentale che regge il rapporto tra l’uomo e quella natura che – una volta risorsa infinita– oggi si presenta come risorsa scarsa e a rischio. Alludo allo schema per il quale l’uomo è pur sempre soggetto e la natura è pur sempre oggetto, come tale appropriabile. La personificazione della natura è l’esito di un processo che capovolge quel rapporto: l’oggetto diventa soggetto attraverso un processo costitutivo che individua un substrato materiale, lo personifica, istituisce gli organi che lo rappresentano e ne stabilisce le regole di azione. Qui la personificazione eccede l’ambito limitato di un processo giurisdizionale nel quale reclamare occasionalmente un diritto, e stabilizza invece un soggetto idoneo a “parlare” in qualunque sede, con una capacità e diritti commisurati ai suoi interessi, all’interno dei quali le generazioni future restano formalmente sullo sfondo, beneficiarie della difesa che il nuovo soggetto – di solito un ecosistema – istituisce per sé stesso, ma anche per loro [37].

Non sempre questa prospettiva viene condivisa.

Proiettandosi in altra dimensione concettuale, qualcuno ha suggestivamente prospettato al proposito la categoria dei diritti trans-soggettivi [38], o dei diritti “latenti”, con l’intento di marcare da altra prospettiva filosofica l’incapienza del diritto moderno, in particolare della forma della soggettività, nei confronti di figure/entità non ancora esistenti, o di ecosistemi che non “parlano”. Ma questa volta non si tratta di negare a priori la possibilità di un orizzonte intertemporale, ma di prendere atto delle conseguenze che derivano da quelle impostazioni che tendono a far coincidere l’essere con il linguaggio [39]. Ne viene fuori un’idea – quella dell’agire in nome di tutti – che lavora non sui soggetti ma sui diritti, postulando la creazione di diritti che si affiancano ai diritti soggettivi tradizionali, ma senza riprodurne il meccanismo individualistico.

Una prospettiva complessa e tutta ancora da decifrare, a testimonianza della necessità attuale di una riflessione alla cui costruzione credo che il civilista si debba urgentemente dedicare con impegno.

Le suggestioni qui riportate vorrebbero contribuire a far crescere questa sensibilità.


NOTE

[1] S. Masini, Ambiente e Costituzione: svolgimento di un itinerario ed esame di coscienza di una riforma, in Giust.civile.com, Editoriale 16 febbraio 2022, p.1; M. Meli, In tema di ricadute privatistiche della riforma degli artt. 9 e 41 Cost., in Riv. crit. dir. priv., 2022, p.549.

[2] Informazioni nella pagina del Ministero dell’ambiente https://www.mase.gov.it/pagina/il-contesto-internazionale, con riferimento all’atto di nascita del principio, ricondotto al noto documento “Our common future”, il rapporto finale della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, istituita in ambito Onu nel 1983 e presieduta da Gro Harlem Brundtland. L’Art. 3-quater del Codice dell’ambiente ne riporta i contenuti.

[3] Il diritto della “sostenibilità” si è infatti espanso oltre i limiti del diritto ambientale, e ha permeato di sé quasi tutte le branche del diritto. Seppur con diverse prospettive, G. Alpa, Solidarietà, Bologna 2022, p.275; G. Vettori, Verso una società sostenibile, in Persona e mercato, 2021, p.463; e più ampiamente G. Capaldo, Linee evolutive in tema di soggetti per una società sostenibile, ibidem, 2020, p.334; M. Cian, Principi dell’ordinamento giuridico economico e sviluppo sostenibile in Italia e Austria, in NLCC, 2022, p.100; M. Libertini, Gestione “sostenibile” delle imprese e limiti alla discrezionalità imprenditoriale, in Contratto e impresa, 2023, p.54; G. Riolfo, Sostenibilita` sociale/ambientale dell’attività d’impresa: la proposta di direttiva sul “dovere di diligenza ai fini della sostenibilità e l’esperimento delle società benefit, ibidem, 2023, 184. I riferimenti normativi della più recente letteratura sono la Proposta di DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937, reperibile al link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52022PC0071&print=true; e la DIRETTIVA (UE) 2022/2464 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 14 dicembre 2022 che modifica il regolamento (UE) n. 537/2014, la direttiva 2004/109/CE, la direttiva 2006/43/CE e la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità, al link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32022L2464&from=FR. Nel diritto del lavoro, vedi V. Cagnin, Diritto del lavoro e sviluppo sostenibile, Milano, 2018; ma anche M. Renna, Attività di impresa, sostenibilità ambientale e bilanciamento tra diritto alla salute e iniziativa economica privata, in Contratto e impresa, 2022, 537 (con riferimento al caso ILVA).

[4] Per cominciare il ragionamento, vedi G. Puleio, Rimedi civilistici e cambiamento climatico antropogenico, in Persona e mercato, 2021, 469 ss. Il ragionamento teorico sulle generazioni future, peraltro, nasce dalle controversie in tema di climate change, delle quali si dirà nel prosieguo del testo.

[5] È questa l’interessante impostazione di M.W. Monterossi, L’orizzonte intergenerazionale del diritto civile. Tutela, soggettività, azione, Pisa, 2020, 11 ss. Sul tema anche A. D’Aloia, voce Generazioni future, in Enciclopedia del diritto, Milano, 2016, 331, ed ivi altre indicazioni; R. Bifulco, A. D’Aloia, Le generazioni future come nuovo paradigma del diritto costituzionale, in Aa.Vv., Un diritto per il futuro. Teorie e modelli dello sviluppo sostenibile e della responsabilità intergenerazionale, Napoli, 2008; L. Bartolucci, Il più recente cammino delle generazioni future nel diritto costituzionale, in Osservatorio Costituzionale, AIC,2021, 212. Sulla solidarietà intergenerazionale si veda ampiamente T. Guarnier, La solidarietà intergenerazionale nella prospettiva costituzionale. Prime riflessioni su alcuni nodi da sciogliere, in Rivista Gruppo di Pisa, 2022, III, p.1, 4 ss.

[6] Una critica radicale al modello giuridico che fin qui ha costruito il rapporto tra società, natura, scienza e diritto, in una dimensione tipicamente “estrattiva”, ovvero di un “diritto estrattivo”, strumentale allo sfruttamento dei beni naturali e di tutte le risorse anche quelle create dall’uomo, in funzione di un’accumulazione del tutto indifferente ai bisogni delle comunità e alle stesse necessità individuali, si trova ampiamente argomentata nel volume di F. Capra, U. Mattei, Ecologia del diritto. Scienza, politica, beni comuni, Arezzo, 2017.

[7] La determinatezza, infatti, è il concetto chiave, fisionomico, dell’obbligazione e della circostanza per la quale essa, così come suppone che ci siano due soggetti, suppone intuitivamente che essi siano determinati. È per questo che talvolta sembra un problema la spiegazione di situazioni nelle quali invece uno dei soggetti è semplicemente determinabile, e lo è sulla base di criteri attualmente presenti che ne permettono l’individuazione al momento opportuno. Questo è il tema, ad esempio, della promessa al pubblico, o dei titoli di credito. Ora, nella confutazione della problematicità di queste fattispecie si giunge a dichiarare che anche in queste ipotesi risulta soddisfatto “il principio della necessaria presenza e determinatezza dei due soggetti dell’obbligazione”. Così, per tutti, M. Giorgianni, L’obbligazione. La parte generale delle obbligazioni, Catania, 1945, 44, ma già 41 ss. Del resto, non occorre nemmeno un commento per desumere dal requisito essenziale del “consenso delle parti” la necessità della attuale determinatezza dei soggetti contraenti ai fini della esistenza del contratto. Così come non occorre riflettere sull’uso del termine “terzo” quale inequivocabile sanzione del carattere necessariamente binario del rapporto giuridico, in ragione del quale chi non è parte è – e non può che essere – “soggetto terzo” (dal terzo che adempie; al terzo non toccato dagli effetti del contratto, nella paradigmatica costruzione linguistica dell’art.1372 cod.civ.). Del resto, infine, inequivocabilmente binario è anche il rapporto giurisdizionale, fra attore e convenuto, salvo che – per l’appunto – un terzo decida di intervenire. Cenni suggestivi in tal senso in P. Femia, Il civile senso dell’autonomia, in Cardozo electronic law bulletin, 2019, I, vol. 25, 1, 7.

[8] S. Grundman, H.W.Micklitz, M. Renner, New private law theory. A pluralist approach, Cambridge University Press, 2021.

[9] Sono le Five Theses for a New Private Law Theory, poste a premessa della lunga analisi che segue e le sviluppa, corredata sempre da ampie citazioni di brani di letteratura e di decisioni giurisprudenziali. Sul punto, New private law theory, cit., 1 ss.

[10] Constitutionalization, Regulation and Private Law, in New private law theory, cit., 166.

[11] Per una significativa idea della distanza fra le varie posizioni nel dibattito sul tema dei principi, ci limitiamo a rinviare a P. Femia, Principi e clausole generali. Tre livelli di indistinzione, Napoli, 2021; e a G. D’Amico, Appunti per una dogmatica dei principi, in Nuovo diritto civile, 2017, 47; Id. (a cura di), Principi e clausole generali nell’evoluzione dell’ordinamento giuridico, Milano, 2017.

[12] Mi permetto di rinviare, anche per altre indicazioni bibliografiche, al nostro Brevi riflessioni sull’argomentazione per principi nel diritto privato, in Riv.dir..civ., 2017, 1130; Id., Certezza e incertezza nel diritto privato contemporaneo, Torino, 2017, 10, 15 e ss.; ma anche al volume di E. Navarretta, Costituzione, Europa e diritto privato. Effettività e Drittwirkung ripensando la complessità giuridica, Torino, 2017.

[13] M. Magri, Regioni ed “economia circolare”, in Giorn. Dir. amm., 2018, 706; M.F. Tommasini, La fenomenologia del rifiuto tra atti di dismissione e tutela del bene ambiente, in Contratto e impresa, 2018, 416; A. Venieri, Sostenibilità d’Impresa: una “bussola” per le aziende e gli addetti ai lavori, in Ambiente & sviluppo, 2022, 681; T. Ronchetti, M. Medugno, Pacchetto Economia Circolare: al via il recepimento, in Ambiente e sviluppo, 2020, 279.

[14] Una problematica questa ancora significativamente rappresentata dallo studio di H. Hansmann, The ownership of enterprise, Harward, 1996, trad. it. di A. Bonito Oliva, G. Sandicchi, ed. it. A cura di A. Zoppini, Bologna, 2005. Recentemente sul punto, N. Cucari, Lo shareholder engagement negli studi di corporate governance, Milano, 2018.

[15] Ad indicare e rappresentare tale complessità valgano le seguenti letture di A. Genovese, L’armonizzazione del reporting di sostenibilità delle imprese azionarie europee dopo la CSRD, in Contratto e Impresa, 2023, 88; C. Mignone, Diritti e sostenibilità. Una ricostruzione per immagini, in Actualidad Jurídica Iberoamericana, 2021, 208, che fa partire la sua analisi da una concreta vicenda giudiziaria, concernente la chiusura di un ufficio postale, per sviluppare poi una riflessione sul carattere polimorfo e ambiguo del principio dello sviluppo sostenibile; F. D’Alessandro, Il mantello di San Martino, la benevolenza del birraio e la Ford modello T, senza dimenticare Robin Hood (Divagazioni semiserie sulla c.d. responsabilità sociale dell’impresa e dintorni), in Riv.dir, civ., 2022, 409; M. Cian, Principi dell’ordinamento giuridico-economico e sviluppo sostenibile in Italia e Austria, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 100; A. Moliterni, Antitrust e ambiente ai tempi del Green Deal: il caso dei “sustainability agreements”, in Gior. Dir. amm., 2021, 354, che rappresentano dichiaratamente, e più o meno fiduciosamente, l’idea che solo norme cogenti possano rendere effettivo il principio di sostenibilità. Si vedano ancora gli Autori citati supra in nota 3, soprattutto M. Libertini, Gestione “sostenibile” delle imprese e limiti alla discrezionalità imprenditoriale, passim.

[16] In questi termini, M. Pennasilico, Sviluppo sostenibile, legalità costituzionale e analisi “eologica” del contratto, in Persona e mercato, 2015, 37; P. Pollice, Sviluppo sostenibile e “contratto ecologico”: un altro modo di soddisfare i bisogni, in Rass. dir. civ., 2016, 1291; S. Persia, Proprietà e contratto nel paradigma del diritto civile “sostenibile”, in Riv. quadr. dir. amb., 2018, 4. In senso critico, S. Pagliantini, Sul c.d. contratto ecologico, in Nuova giur. civ. comm, 206, 337, che non riconosce a codesto paradigma una valenza generale, quanto meramente descrittiva di una contrattazione soggetta ad uno statuto inderogabile (344).

[17] Anch’essa non lineare e controversa. Vedi M.R. Marella, Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Verona, 2012.

[18] A. Nervi, Beni, proprietà, contratto e giustizia ecologica. Qualche riflessione sul diritto di proprietà, in Cardozo electronic law bulletin, 2019, I, vol. 25, 1.

[19] In argomento vedi supra nota 16; nonché, per le tipologie menzionate, S. Colombari, Le considerazioni ambientali nell’aggiudicazione delle concessioni e degli appalti pubblici, in Urbanistica e appalti, 2019, 5, C. Irti, Gli “appalti verdi” tra pubblico e privato, in Contratto e impresa/Europa, 2017, p.183.

[20] P.M. Sanfilippo, Tutela dell’ambiente e “assetti adeguati” dell’impresa: compliance, autonomia ed enforcement, in Riv.dir.civ., 2022, 993; I. Speziale, Il nuovo paradigma dell’impresa sostenibile, in contratto e impresa, 2022, 752; G. Alpa, Note sulla riforma della costituzione per la tutela dell’ambiente e degli animali, ibidem, 361; B. Rabai, Public procurement e clausole sociali. Un nuovo equilibrio tra diritti sociali e ragioni del mercato, in Gior. Dir. amm., 2022, 230.

[21] Non almeno nel senso auspicato da S. Persia, Proprietà e contratto nel paradigma del diritto civile “sostenibile”, cit., 17, che sembra auspicare un controllo di meritevolezza in questa chiave per tutti gli atti di autonomia, tipici o tipici che siano.

[22] Lo scandalo cosiddetto “dieselgate” scoppia negli USA e poi in Europa, in conseguenza dell’accertamento del fatto per cui alcune autovetture Volkswagen producevano ossidi di azoto in quantità molto superiori rispetto a quelle che era ragionevole attendersi sulla base delle attestazioni rilasciate; ed ancor peggio della truffaldina installazione di un device di manipolazione delle emissioni che le occultava ai controlli di conformità. Sulla complessa vicenda vedi ampiamente F. Bertelli, Profili civilistici del «dieselgate». Questioni risolte e tensioni irrisolte tra mercato e sostenibilità, Napoli, 2021; I. Garaci, Il dieselgate. Riflessioni sul private e public enforcement nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Riv. dir. ind., 2018, 61 ss.; E. Camilleri, Qualità pubblicizzate e affidamento del consumatore. Spunti per il caso Dieselgate?, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 707.

[23] Sui quali ancora F. Bertelli, I green claims tra diritti del consumatore e tutela della concorrenza, in Contratto e impresa, 2021, 286; A. Pistilli, Il green-washing tra pubblicità ingannevole e pratica commerciale scorretta: quando può dirsi atto di concorrenza sleale?, in Dir. ind., 2022, 381.

[24] Il cui atto di consumo, cioè, risponde anche a personali convincimenti assiologici, per le quali il bene deve corrispondere alle motivazioni etiche che sorreggono l’atto di consumo. Vedi in proposito le interessanti riflessioni di A. Quarta, Per una teoria dei rimedi nel consumo etico. La non conformità sociale dei beni tra vendita e produzione, in Contratto e impresa, 2021, 523; A. Leone, Advertising e tutela del consumatore verde, in Dir. ind., 2021, 73.

[25] Tribunale di Venezia, 7 luglio 2021, in Danno e resp., 2022, 239, 243, con nota di P. Santoro, Dieselgate italiano: (e)mission impossible. Il Tribunale di Venezia accoglie la class action e, in sintonia con i Tribunali di Avellino e Genova, riconosce il risarcimento dei danni da illecito antitrust e da pratiche commerciali scorrette, ibidem, 243, ove anche l’intera cronistoria della vicenda. Queste le massime “Qualora una pratica commerciale scorretta abbia leso la libertà negoziale dei consumatori, i suoi autori sono tenuti a risarcire, a titolo di responsabilità extracontrattuale, il danno patrimoniale derivante da tale lesione, mentre non è risarcibile il danno non patrimoniale da violazione del diritto all’autodeterminazione. Qualora una pratica commerciale scorretta integri gli estremi del reato di frode in commercio, è risarcibile il danno non patrimoniale subìto dai consumatori lesi da tale pratica”.

[26] Delibera AGCM 4 agosto 2016, n. 26137 (procedimento PS10211), nel sito istituzionale dell’Autorità.

[27] Ogni informazione in P. Santoro, Dieselgate italiano, cit., p.245 ss.

[28] Vedi i contenuti in https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2022-07/cp220124en.pdf.

[29] G.F. Simonini, Verso una concezione oggettiva (e tecnica) del difetto di conformità dei beni di consumo, in Danno e responsabilità, 2022, 64, 66 ss.

[30] Sul tema vedi ampiamente M. D’Onofrio, Obsolescenza programmata: qualificazione giuridica e rimedi alla luce della Direttiva 2019/771 e del diritto interno, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 516; D. Imbruglia, Mercato unico sostenibile e diritto dei consumatori, in Persona e mercato, 2021, 495, 504 ss.; A. Barenghi, Osservazioni sulla nuova disciplina delle garanzie nella vendita di beni di consumo, in Contratto e impresa, 2020, 806, 811 (sulla durabilità).

[31] Suggerisce esplicitamente e con interessanti argomenti sistematici la presente soluzione D.M. Matera, Difetto di conformità, gerarchia dei rimedi e sostenibilità ambientale nel nuovo art. 135-bis cod. cons. e nella Dir. 771/2019, in Riv. dir. priv., 2022, 453, 462 ss.; ne sottolinea l’importanza, richiamando altresì la Risoluzione del Parlamento europeo più sotto citata, anche D. Imbruglia, Mercato unico sostenibile e diritto dei consumatori, cit., p.507 ss., con riferimento al diritto alla riparazione e all’importanza del riutilizzo dei beni; e M. D’Onofrio, Obsolescenza programmata, cit., 517, 519 ss. Si vedano sul tema la Risoluzione del Parlamento europeo del 10 febbraio 2021 sul nuovo Piano d’azione per l’economia circolare (nr. 34, al link: https://www.europarl.europa.eu/
doceo/document/TA-9-2021-0040_IT.pdf
); e la Risoluzione del Parlamento europeo del 25 novembre 2020 ‘Verso un mercato unico più sostenibile per le imprese e i consumatori’, al link https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0318_IT.pdf.

[32] Vedi il provvedimento dell’AGCM contro Apple nel sito istituzionale al link https://www.agcm.it/
dettaglio?db=C12560D000291394&uid=A1013121217854FFC1258335005F2BB1&view=&title=-APPLE-AGGIORNAMENTO%
20SOFTWARE&fs=
; e quello contro Samsung al link https://www.agcm.it/dettaglio?db=C12560D000291394&uid=7956CD1F
0A5CF620C1258335005F2BB0&view=&title=PS11009-SAMSUNG-AGGIORNAMENTO%20SOFTWARE&fs=Pratiche%20scorret
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. Di interesse anche le considerazioni del Presidente nell’audizione del 30 luglio 2019 avanti al Senato della Repubblica, con riguardo alle condotte attuate dai gruppi Apple e Samsung, al link https://www.agcm.it/dotcmsdoc/audizioni-parlamentari/Audizione-20190730.pdf.

[33] Una rassegna utile da parte di M. Delsignore, Il contenzioso climatico dal 2015 ad oggi, in Giorn, dir. amm., 2022, 265; S. Marino, La climate change litigation nella prospettiva del diritto internazionale privato e processuale, in Riv. Dir.Int. Priv. e Proc, 2021, 898; C. Viviani, Climate change litigation: quale responsabilità per l’omissione di misure idonee a contrastare i cambiamenti climatici?, in Ambiente e sviluppo, 2020, 599.

[34] Vedi una sintesi della decisione operata dalla nostra Corte Costituzionale al link https://www.cortecostituzionale.it/documenti/
segnalazioni_corrente/Segnalazioni_1619774479177.pdf
; e un commento di R. Bin al link https://www.lacostituzione.info/index.
php/2021/04/30/la-corte-tedesca-e-il-diritto-al-clima-una-rivoluzione/
; M. Pignataro, Il dovere di protezione del clima e i diritti delle generazioni future in una storica decisione tedesca, www.eublog.it.

[35] Una ricostruzione puntigliosa e intelligente del caso Urgenda è data da M.W. Monterossi, L’orizzonte intergenerazionale del diritto civile. Tutela, soggettività, azione, cit., 83, 99 ss.

[36] R. Orestano, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto. Linee di una vicenda concettuale, in Jus, 1960, 149.

[37] Su queste esperienze (ad esempio, quella della Nuova Zelanda), vedi ancora M.W. Monterossi, L’orizzonte intergenerazionale del diritto civile. Tutela, soggettività, azione, cit., 264 ss., ove una accurata ricostruzione del procedimento costitutivo del “nuovo” soggetto, dalla dichiarazione della entità come persona legale, alla predisposizione dell’apparato idoneo a produrre decisioni, alla definizione delle regole formali per agire.

[38] Ovvero “Accanto ai diritti soggettivi si collocano diritti trans-soggettivi, diritti senza padrone. Diritti il titolare dei quali non soltanto non può esercitare nel proprio interesse, ma l’esercizio dei quali si consuma all’interno stesso dell’atto di esercizio. Diritti radicalmente evenemenziali. Come le actiones populares, il sistema giuridico introduce agenti di contrasto (controdiritti): valenze collettive che ciascuno può attivare, ma delle quali nessuno può diventare il signore.”

Così, P. Femia, Il civile senso dell’autonomia, cit., 9, dopo aver contestato che, nel caso di cui da ultimo nel testo, la soggettivazione della Natura o dei laghi o dei fiumi sia la soluzione giusta.

[39] Scrive P. Femia, op. ult. cit., 8: “Senza discorso nessun diritto, nessun soggetto. Ma le montagne non parlano come i sindacati, non sono soggetti di discorso. Le risorse naturali non parlano, e chi parla domina.”.