Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Autonomia privata e negozio giuridico nel pensiero di Vincenzo Scalisi (di Enrico Gabrielli, Professore ordinario di Diritto civile – Università di Roma “Tor Vergata”)


Il saggio esamina criticamente il pensiero e gli studi di Vincenzo Scalisi sui temi dell'autonomia privata e del negozio giuridico, ponendo in luce l'importanza che gli stessi rivestono nella letteratura civilistica.

Private autonomy and legal act in Vincenzo Scalisi’s studies

The essay critically examines Vincenzo Scalisi's thought and studies on the topics of private autonomy and legal act, highlighting their importance in the civil law literature.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La sistematica degli interessi: gli interessi a rilevanza attuosa - 3. Segue. Gli interessi a rilevanza attuosa negativa - 4. Gli interessi a rilevanza inattuosa o programmatica - 5. Interessi e negozio giuridico - 6. Un percorso teorico e la sua conclusione - NOTE


1. Premessa

Il compito che mi è strato affidato, di parlare del pensiero e dell’opera di Vincenzo (Enzo) Scalisi in materia di autonomia privata e di negozio giuridico, è assai arduo, ai limiti dell’impossibile, soprattutto nel limitato spazio di una relazione, per la ampiezza dell’impegno nella ricerca e nella riflessione che Enzo Scalisi, ha compiuto nel corso del Suo laboriosissimo e luminoso percorso scientifico.

Allievo di Angelo Falzea, e quindi accademicamente discendente da Salvatore Pugliatti, è riuscito a cogliere dei suoi due grandi predecessori alcuni profili che nel Suo pensiero si sono uniti in una sintesi concettuale e teorica di grande rilievo, che vede il suo centro di gravità nell’imprescindibile ruolo dell’ermeneutica.

Quella ermeneutica che verrà, in seguito, applicata anche al “valore della dignità”, in uno degli ultimi ma significativi lavori [1], laddove espressamente l’a. scrive che il senso del diritto è “approntare la regola giuridica più appropriata (vale a dire l’effetto giuridico più ‘conveniente’ e ‘adatto’) a dare tutela agli interessi volta a volta portati dai fatti della vita. Di norma una tale regola discende dall’alto di sovraordinate e precostituite fonti di produzione giuridica, ma altre volte trae origine dal basso di fattualità naturali, economiche, sociali, dotate di forza normativa per conforme e generalizzata attuazione spontanea dei consociati si pensi alla c.d. lex mercatoria” [2].

In entrambi i casi, afferma VS, spetta all’interprete di cogliere e fissare la regola con specifico riferimento alla particolare e concreta situazione di interessi di cui si tratta, attraverso un’attività che non è di sussunzione o di sillogismo, ma di una “vera e propria valutazione produttiva e creativa”, che è essa stessa costitutiva del dover essere giuridico.

La valorizzazione dell’elemento formale, che rimane sempre rilevante nel pensiero della Scuola messinese, si unisce, con la valorizzazione dell’interesse concreto sotteso ad ogni situazione da regolare. In un certo senso, riprendendo, forse, anche l’insegnamento di Rosario Nicolò, secondo cui il concetto di interesse è “un prius rispetto al diritto, un dato preesistente all’ordinamento che lo prenderà più o meno in considerazione, un momento cioè dell’economia” [3].

La sostanza reale di bisogni, di aspettative, alla cui realizzazione e soddisfazione è diretto l’agire del soggetto, e di cui si compone il nucleo essenziale dell’interesse, superano il momento della sua configurazione formale, poiché gli interessi pratici che governano la vita dei singoli e dell’economia sono strettamente connessi con l’effetto giuridico, quale loro imprescindibile elemento costitutivo, al punto tale da colorare di caratteri assiologici le vicende della giuridicità.

Vicende che sono osservate e conosciute mediante una ermeneutica che guarda alla storia e al momento empirico, al bisogno concreto, per ricondurre le singole fattispecie, i singoli problemi, nel quadro dei valori che le stesse esprimono nella dimensione dell’esperienza giuridica.

Nel pensiero di VS la valutazione dell’interesse supera pertanto quella del concetto, come puro schema logico di riferimento, e sul profilo di rilevanza dell’interesse, nelle sue variegate manifestazioni strutturali, penso che si possa fermare l’attenzione per cogliere un aspetto di significativo rilievo della riflessione che VS ha dedicato alla teoria del negozio giuridico.

Profilo questo che, ad esempio, è già presente nella prima fondamentale monografia di VS, nella quale, prendendo le mosse dalla constatazione della “vasta crisi in cui si dibatte, e non da adesso, la dottrina del negozio giuridico” [4], il punto di partenza della revisione del concetto di negozio giuridico viene fissato “nella necessità di ricercare un possibile piano di intesa tra il fatto e il valore e un punto di equilibro tra l’interesse espresso dalla regola privata e l’interesse della comunità presente in ogni valutazione giuridica” [5].

Nel quadro di quella riflessione, che indaga il fenomeno negoziale attraverso il prisma del testamento, l’a., per individuare le diverse forme concludenti di revoca, distingue tra comportamenti materiali; comportamenti immateriali attuosi; comportamenti immateriali inattuosi; comportamenti omissivi [6].

Nella delineata prospettiva già emerge l’analisi strutturale della differente natura degli interessi coinvolti. Scrive VS, discutendo dei comportamenti legalmente tipizzati e della loro riconducibilità alla figura del negozio giuridico, che “prima di prendere posizione sul delicato problema, è opportuno proporsi di individuare il sistema di interessi giuridici che sta a base dei fenomeni di tipizzazione, al fine di rendersi conto del significato dei mezzi di tutela prescelti dal legislatore. È questo il dibattuto problema del fondamento dogmatico degli effetti” [7].

Problema che VS affronta risolvendolo nel senso che l’effetto giuridico, nelle ipotesi di comportamenti legalmente tipizzati, è disposto “a tutela di interessi sui quali ha direttamente e immediatamente inciso la condotta dell’agente”, per cui, pur trattandosi di comportamenti immateriali, “essi rilevano nella previsione legislativa come comportamenti attuosi, per gli interessi che immediatamente sono in grado di attuare o realizzare”, per cui l’inapplicabilità a quei comportamenti dello schema del negozio discende dalla irrilevanza in quei comportamenti del “momento programmatico, in funzione del quale negli atti negoziali gli effetti giuridici sono costituiti” [8].

Da qui il trattamento giuridico differenziato al quale soggiacciono i comportamenti legalmente tipizzati.


2. La sistematica degli interessi: gli interessi a rilevanza attuosa

La discussione centrata sulla natura degli interessi, distaccandosi dalla teoria del comportamento di Falzea, trova una più ampia sistemazione, mediante una propria autonoma, originale elaborazione, nelle pagine sul negozio giuridico raccolte nel prezioso volume sul negozio giuridico [9], nelle quali è sempre la dimensione, anche assiologica e valoriale, dell’interesse il punto di partenza e potremmo dire, anche di arrivo, nel pensiero di VS: l’interesse domina la scena e la pervade della sua presenza costante ed immanente nelle pagine sulla autonomia privata e sulla teoria del negozio giuridico.

Quella che potremmo chiamare “la sistematica degli interessi” nel pensiero di VS viene quindi organizzata lungo due direttrici di inquadramento: gli interessi a rilevanza attuosa; gli interessi a rilevanza inattuosa o programmatica.

L’eleganza della costruzione concettuale del fenomeno, rilevato dalla dimensione del reale ed assunto in quella teorica, ne impone una attenta valutazione della singola e differente loro struttura.

Il punto di partenza del discorso che li riguarda è sempre la teoria del negozio giuridico e la dimensione dell’autonomia privata.

Scrive VS che ogni discorso sul negozio giuridico deve prendere le mosse dalla domanda se la categoria rifletta un dato reale dell’esperienza giuridica o se, al contrario, non sia una mera astrazione priva di riscontro nella realtà, cioè un “concetto astraente, senza referente nell’esperienza pratica: un paradigma logico, una mera forma metastorica” [10].

La considerazione che l’atto negoziale ha “radici ben salde nel sistema della fenomenologia comportamentistica, iscrivendosi il negozio nella categoria degli atti programmatici”, vale a dire a quei comportamenti che si concretizzano ed esauriscono nel porre in evidenza l’interesse e nel prospettarne il relativo programma realizzativo, apre l’indagine per individuare la “negozialità”, nel senso della sua natura “assiologico-pratica” [11].

In questa linea di ricerca si staglia con immediatezza, nella pagina di VS, la visione dell’interesse come “radice di tutto il diritto”, poiché l’interesse “fissa l’ambito di rilevanza e il significato stesso del fatto nel diritto” e dato che la sua considerazione è prioritaria e preminente, si tratta di analizzare la sua giuridica realizzazione, come primo momento di ogni analisi dell’esperienza giuridica.

Il risultato di tale indagine è che “esistono interessi e valori che non vengono e non possono venire in considerazione per il diritto se non in quanto abbiano già trovato in fatto compiuta e integrale realizzazione” [12].

Dallo scrutinio delle varie ipotesi che la realtà ci presenta emergono situazioni in cui non solo la mera enunciazione dell’interesse non assume alcun valore giuridico per ricollegare agli stessi i corrispondenti effetti, ma il diritto interviene solo ad avvenuta e compiuta realizzazione dell’interesse medesimo, così che si limita a tradurre sul piano giuridico, e con effetti di tipo meramente conservativo, un risultato pratico, già di fatto pienamente e integralmente attuato.

Si può pertanto definire “a rilevanza attuosa”, quel tipo di interesse che ha un rilievo giuridico interamente subordinato alla sua preventiva ed effettiva realizzazione [13].

Rispetto al processo di realizzazione di tali interessi la figura del negozio giuridico, nel pensiero di VS, rimane però “del tutto estranea”, poiché il negozio è in ogni caso un atto che, di per se stesso, non è in grado di fornire una realizzazione di interessi immediata e attuale.

Da qui la sostanziale equazione logica secondo cui “laddove si è in presenza di interessi a rilevanza attuosa deve escludersi l’esistenza del negozio” [14].

I comportamenti attuosi danno quindi luogo ad una distinta ed autonoma categoria di “atti non negoziali”, che, in quanto vengono in considerazione a processo interamente concluso, si manifestano come “comportamenti dotati di immediata e attuale forza incisiva e come tale in grado di causare una realizzazione altrettanto immediata ed attuale” di tali interessi.

La loro manifestazione avviene, ovviamente, mediante la stessa materialità del loro porsi, ovvero attraverso atteggiamenti significanti (di tipo manifestativo in senso stretto, o dichiarativo in senso proprio) in tutti quei casi in cui, se l’interesse toccato dal comportamento appartiene alla sfera dell’immaterialità, la attuazione e realizzazione di quell’interesse avviene mediante il significato reso manifesto dal comportamento, in ragione della diretta ed effettiva incidenza che quel comportamento è in grado di esplicare sulla realtà materiale sulla quale si trova ad incidere.

L’enucleazione e l’inquadramento di tali interessi non sarebbe smentita neppure dalla discussa categoria dei negozi di attuazione, dato che – a prescindere dalla sua ammissibilità – l’interesse che sarebbe a base delle singole figure negoziali alla stessa, semmai, riconducibili, non è mai un interesse a rilevanza attuosa, dato che il medesimo interesse può essere perseguito attraverso fattispecie perfettamente parallele ma di tipo dichiarativo, come accade ad esempio con le ipotesi di cui agli artt. 1327 e 1444 cod. civ.

In questi casi, infatti, secondo VS, quello che trova realizzazione nei negozi di attuazione è “uno stato di fatto corrispondente a determinati effetti giuridici”, per cui l’attuazione è propriamente “esecuzione” e come tale si colloca sul piano dell’efficacia strumentale, quindi ad un livello diverso da quello che è il piano del fatto giuridico come causa di effetti giuridici. Nelle ipotesi considerate quali negozi di attuazione (ad es. art. 1444 e 1327 cod. civ.) il profilo della “attuazione-esecuzione” assume anche una funzione manifestativa in senso proprio, come valore di comportamento significante di un determinato intento e del corrispondente interesse. Con la conseguenza che tale aspetto avrebbe generato l’equivoco di essere essi negozi immediatamente e direttamente realizzativi di interessi, laddove si tratta invece di fattispecie negoziali di tipo “manifestativo in senso proprio” [15].


3. Segue. Gli interessi a rilevanza attuosa negativa

La figura del negozio giuridico è incompatibile, secondo VS, anche con la categoria degli interessi a rilevanza attuosa negativa, vale a dire con quegli “interessi appartenenti anch’essi alla realtà materiale di persone e cose oppure a quella immateriale (…), la cui rilevanza, ai fini della predisposizione da parte del diritto di adeguati interventi di reintegrazione della situazione d’interessi violata, presuppone necessariamente che la lesione medesima abbia già trovato concreta, effettiva, immediata e attuale realizzazione mediante il compimento di comportamenti materiali o anche significanti di tipo manifestativo oppure dichiarativo” [16].

Si tratta di situazioni in cui si assiste ad illeciti sia contro le cose, sia contro le persone, ovvero a fattispecie che attengono alla lesione di beni immateriali, quali l’identità personale, la privacy, l’onore, la reputazione, la vita di relazione, laddove l’interesse colpito e leso è sempre un interesse a rilevanza attuosa, dato che la reazione dell’ordinamento giuridico è subordinata al presupposto che la lesione abbia i caratteri dell’im­mediatezza e della attualità, così che anche i comportamenti illeciti – siano essi meramente materiali, siano essi comportamenti significanti di tipo manifestativo in senso stretto o simbolico, che incidono negativamente su tali interessi – sono da qualificare attuosi, poiché anche nel caso di interessi immateriali la lesione che essi producono è sempre il risultato del significato reso manifesto dal comportamento illecito.

Il negozio – così come si è visto accadere per gli interessi a rilevanza attuosa positiva – rimane ad essi estraneo, poiché non è in grado, anche in queste ipotesi, di produrre una lesione immediata e diretta di interessi.

Il negozio, infatti, nella visione di VS, tanto non è in grado di produrre una immediata e diretta realizzazione, quanto non è in grado di produrre una immediata e diretta lesione di interessi.

L’atto di autonomia, infatti, quale manifestazione di un intento, cioè di una tensione della volontà verso il conseguimento di un risultato pratico, e quale proiezione verso il futuro di un determinato assetto di interessi da regolare, non è dotato di una immediata e attuale forza lesiva di interessi giuridici. E ciò, anche a prescindere dall’esistenza di una apposita regolamentazione dell’illiceità negoziale, la quale è solo in funzione della sua mera enunciazione e prospettazione programmatica; tanto ciò è vero che, secondo VS, la reazione del­l’ordinamento di fronte alla nullità non si concretizza nella rimozione di un effetto già prodotto, quanto, invece, nel disconoscimento di una regolamento di interessi al quale non viene consentito di produrre gli effetti voluti, al fine di impedire che quell’assetto illecito possa attuarsi.

Gli interessi cc.dd. a rilevanza attuosa, sia essa positiva (mediante la loro realizzazione), sia essa negativa (mediante la loro efficacia lesiva), sono quindi incompatibili rispetto al negozio giuridico, così che secondo VS il fondamento assiologico-pratico della figura va ricercato in altra direzione.


4. Gli interessi a rilevanza inattuosa o programmatica

Rileva, infatti, VS che, accanto agli interessi a rilevanza inattuosa, esiste una vasta tipologia di interessi e scopi pratici che sia sul piano quantitativo, sia su quello qualitativo, assume una ben più ampia e significativa consistenza, per i quali però è necessario l’intervento preventivo e qualificativo dell’ordinamento, senza del quale i privati non sarebbero in grado di realizzarli [17].

Ne offrono esemplificazione, tra i molti, l’interesse traslativo nei contratti ad effetti reali (1376 cod. civ.); quello al godimento del bene in alcuni contratti di utilizzazione di cose; quello a rimuovere l’incertezza sulle situazioni controverse; quello nei contratti di assicurazione e in quelli di garanzia, e così via dicendo. Con la conclusione secondo cui, non solo tutte le situazioni che coinvolgono interessi di natura contrattuale soggiacciono al medesimo principio realizzativo, ma vi rientrano anche quelle in cui l’interesse è alla base dei negozi di diritto famigliare, dell’atto di ultima volontà, delle promesse dei negozi unilaterali.

Sicché risulta che nella realtà sociale la realizzazione dell’interesse non dipende dalla diretta ed immediata attività dei soggetti, ma unicamente dal diritto, il quale “previa valutazione di compatibilità e meritevolezza della situazione di interesse”, è in grado di procurare l’integrale e compiuta realizzazione di quel fine pratico, che l’autore o gli autori dell’atto volevano realizzare, “mediante la messa a disposizione di corrispondenti effetti finali (e diretti) o anche soltanto strumentali” che richiedono in quanto tali di porre in essere corrispondenti attività esecutive [18].

La concreta realizzazione dell’interesse, però, avviene in maniera differente tra i primi e i secondi tipi di effetti: in quelli ad efficacia finale, la semplice produzione dell’effetto è sufficiente per realizzare l’interesse perseguito, poiché tra il mutamento giuridico e la modificazione puramente ideale della realtà vi è un rapporto diretto.

In quelli ad efficacia strumentale, invece, il mutamento necessita di una successiva attività dei soggetti per la realizzazione dell’interesse perseguito, che viene valutata dall’ordinamento (come necessaria, o come dovuta o come possibile) “a seconda che l’effetto giuridico consista nella modalità assiologica del dovere di agire o in quella alternativa del potere di azione” [19].

Sul piano della configurazione della natura e del tipo di interesse, la differenza è netta: nella situazione in cui la rilevanza è inattuosa “l’effetto segue immediatamente il costituirsi dell’interesse e precede di un tempo reale l’attività realizzativa dei soggetti”, la quale “si trova già indicata e prefigurata nell’effetto a livello potenziale e prospettico di modalità assiologica” e sulla base di tale presupposto si produce l’attuazione dell’in­teresse. E sebbene anche negli interessi a rilevanza attuosa sia l’azione dei soggetti che assicura la integrale realizzazione della situazione di interesse, la differenza con la categoria degli interessi a “rilevanza attuosa” risulta evidente, poiché solo in quelli a rilevanza inattuosa l’attività di realizzazione dell’effetto richiede il preventivo vaglio normativo, il quale si pone “quale mera traduzione in fatto della correlativa componente materiale dell’effetto” [20].

La valutazione dell’ordinamento, e la necessità di una previsione effettuale, del resto, per questo tipo di interessi si basa su un duplice fondamento: sulla preventiva verifica della loro effettiva venuta ad esistenza e sulla circostanza che l’interesse si sia formato e costituito; sulla valutazione – in chiave assiologica – anche di tutti gli altri interessi giuridici interferenti o concorrenti con quello oggetto di considerazione.

Negli interessi a rilevanza attuosa, la valutazione dell’ordinamento si appunta dunque sulla realizzazione o lesione di un interesse già intervenuta; in quelli a rilevanza inattuosa, invece, affinché l’interesse sia considerato meritevole di tutela e di realizzazione, mediante l’attribuzione degli effetti desiderati, è necessario sia il controllo “assiologico omnicomprensivo” (pag. 55), sia il rispetto di determinate e definite condizioni e direttive sia formali, sia sostanziali.

Il processo di qualificazione dell’interesse, quindi, si svolge secondo uno schema “triadico”, dove l’effet­to rappresenta la situazione “satisfattiva” finale; l’interesse la situazione “esigenziale” iniziale; la fase intermedia il necessario momento logico che, collegando le due situazioni (iniziale e finale), definisce e determina la natura e l’essenza del mutamento giuridico.

Il momento intermedio ha pertanto un valore prevalentemente assiologico-pratico, poiché svolge una funzione di mediazione nel passaggio dall’una all’altra situazione, fissando nelle forme di legge il complessivo assetto di interessi perseguiti dalle parti.

L’interesse però non può rimanere a livello di mera enunciazione di esigenze pratiche, ma deve inquadrarsi e collocarsi all’interno di un preciso “programma pratico di azione”, che prefiguri e prospetti con chiarezza gli elementi essenziali e il contenuto sostanziale del mutamento pratico che si vuole conseguire, quale presupposto del mutamento giuridico corrispondente.

Il “programma”, definendo l’assetto strutturale e funzionale dell’interesse, nonché sia i modi e i mezzi della sua realizzazione, sia i necessari presupposti di rilevanza ed efficacia, rende pertanto possibile quel passaggio tra l’interesse, considerato nella sua dimensione pratica e sociale, alla realizzazione dei suoi effetti nella realtà giuridica.

Nella struttura programmatica dell’interesse inattuoso, si concretizza allora la sua natura e la sua differenza rispetto a quelli a rilevanza attuosa o diretta, i quali sono suscettibili di immediata e attuale realizzazione non contemplando alcun momento programmatico [21].

Interesse e programma trovano però il loro punto di riconoscibilità attraverso la categoria del comportamento significante che svolge un insostituibile ruolo di mediazione nel processo di realizzazione degli interessi giuridici e la cui funzione consiste nella rappresentazione al diritto dell’interesse pratico perseguito, unita alla previsione di corrispondenti modelli realizzativi di condotta [22]. Tali comportamenti, aventi una propria connotazione e conformazione pratica e normativa, danno luogo ai negozi giuridici. Con l’avvertenza che quel comportamento, qualificabile come negozio giuridico, è tale in ragione della particolare natura del­l’interesse pratico che vuole realizzare e del modo attraverso il quale esso giuridicamente si realizza.

In tal modo, nella costruzione di VS, si opera una perfetta saldatura tra la natura degli interessi diretti a realizzare risultati pratici e lo schema concettuale del negozio giuridico.


5. Interessi e negozio giuridico

È dunque evidente come alla base della riflessione si pone, nella lezione di VS, la considerazione della sostanza reale degli interessi in conflitto e da regolare, secondo una legge costante di ogni vicenda connessa alla dinamica degli effetti e dell’efficacia giuridica, che è quella del principio di convenienza dell’effetto al fatto [23].

Interessi per i quali è evidente che la considerazione dell’atto di autonomia limitata al suo intrinseco contenuto si rivela insufficiente, dovendosi apprezzare, nella sua unitarietà e complessità, l’intera operazione economica nella quale il negozio e il contratto si inserisce, al di là del suo mero schema formale.

In tal senso è fondamentale anche l’affermazione di VS secondo cui è necessario guardare il regolamento negoziale da quello che assai efficacemente è stato definito “il c.d. punto di vista esterno al contratto, ossia la situazione complessiva, della quale il singolo contratto è diretta esplicazione o nel cui contesto lo stesso è destinato a interagire”, poiché tale situazione “ha valore costitutivo, non soltanto ermeneutico, dell’assetto regolamentare del contratto” [24].

Così che secondo VS il «negozio è la complessiva operazione risultante dalla confluenza di tre distinti ma concorrenti elementi: un interesse a rilevanza inattuosa, un programma pratico di azioni dirette alla sua realizzazione, una situazione finale rappresentata da corrispondenti effetti intesi a procurare l’attuazione giuridica dell’interesse. I primi due elementi integrano il momento sostanziale del fenomeno e il terzo il necessario e ineliminabile momento formale” [25].


6. Un percorso teorico e la sua conclusione

Il percorso attento all’analisi della conformazione dell’interesse, nelle sue variegate connotazioni, iniziato da VS con lo studio sulla revoca del testamento si compie e si conclude, dunque, nei saggi sul negozio giuridico, laddove si pone in evidenza che la negozialità “altro non è che una peculiare modalità del processo di realizzazione giuridica degli interessi, è più precisamente la forma teorica e organizzativa di una intera categoria di interessi umani, quella degli interessi a rilevanza inattuosa o programmatica, una dimensione – come tale – della giuridicità assolutamente reale e praticamente fondata. E si tratta di una dimensione comune al contratto come alle promesse, al matrimonio come al testamento e in genere a tutti quegli atti, nei quali la realizzazione di interessi e valori non solo è opera esclusiva del diritto, ma si colloca anche in una fase – rappresentata dalla produzione degli effetti – necessariamente successiva a quella della preventiva enunciazione programmatica di interessi e regole operata dai soggetti” [26].

Le conseguenze di tale impostazione sono di grande momento, anche se hanno formato oggetto di discussione critica in dottrina, da chi ha osservato che in quella ricostruzione il negozio avrebbe una funzione meramente dichiarativa o rappresentativa, laddove la funzione prescrittiva apparterrebbe allo Stato, il quale, dopo aver sottoposto il negozio al controllo di meritevolezza e di validità, sarebbe in grado di assicurare a quel­l’assetto di interessi l’efficacia, con la conseguenza che questa costruzione, convincente sul piano della razionalità della storia, sarebbe meno persuasiva sul terreno della sintassi dei significati e nella riduzione della regola al fatto [27].

In realtà, questa rappresentazione del pensiero di VS a me pare, a sua volta, riduttiva della ricchezza di sfumature logico-concettuali attraverso le quali VS propone la sua configurazione teorica del negozio.

Laddove VS dopo aver recuperato il negozio alla sua dimensione non solo pratico-organizzativa degli interessi, ma soprattutto assiologica degli effetti di volta in volta perseguiti mediante la realizzazione dell’inte­resse programmato, lo colloca “tra l’interesse e la sua realizzazione”, lo individua “nella sua reale funzione prospettica e progettuale”, lo restituisce “alla sua effettiva dimensione assiologico-pratica di fatto” per giustamente inquadrarlo nel sistema della fenomenologia giuridica, sia come espressione di una sintesi organizzativa, sia come “ costante assiologica modale propria del processo di realizzazione di una intera classe di interessi umani”.

Così che VS – a conferma della utilità della categoria negoziale – conclude nel senso che “anche il negozio concorre alla strategia del cambiamento ed è strumento di partecipazione dell’uomo alle trasformazioni del mondo reale. In quanto tale il negozio va ancora difeso quale espressione della libertà e possibile mezzo di esplicazione della stessa persona umana” [28].

Nella pagina finale sulla teoria del negozio giuridico, allora, troviamo il punto di arrivo di quella ricerca di “un possibile piano di intesa tra il fatto e il valore e un punto di equilibro tra l’interesse espresso dalla regola privata e l’interesse della comunità presente in ogni valutazione giuridica” che segnava le pagine iniziali dello studio sulla revoca del testamento. A testimonianza di un programma di lavoro, impostato per una vita di studio e di ricerca, felicemente assolto e con grande maestria portato a coerente conclusione.

Un esito che il destino riserva, e concede di poter realizzare, solo ai grandi maestri del diritto.


NOTE

[1] V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, Milano, 2018.

[2] V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, cit. 57.

[3] Nicolò, Istituzioni di diritto privato. I., Milano, 1962, 9.

[4] V. Scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente, Milano, 1974, 8.

[5] V. Scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente, cit., 14.

[6] V. Scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente, cit., 48.

[7] V. Scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente, cit., 318.

[8] V. Scalisi, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente, cit., 320.

[9] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, Milano, 1998.

[10] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 43.

[11] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 44.

[12] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 44.

[13] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 46.

[14] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 46.

[15] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 48.

[16] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 48-49.

[17] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 52.

[18] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 53

[19] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 53.

[20] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 54.

[21] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 58.

[22] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 60-61.

[23] V. Scalisi, Contratto e regolamento nel piano di azione delle nullità di protezione, in Riv. dir. civ., 2005, I, 488.

[24] V. Scalisi, Il diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia, in G. Vettori, Remedies in contract: the common rules for a European law, Padova, 2008, 243.

[25] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 62.

[26] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 62.

[27] Mazzamuto, Ricordo di Vincenzo Scalisi, in Eur. dir. priv., 2019, 104.

[28] V. Scalisi, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 69 ss.