Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Verità e Dignità nel pensiero di Vincenzo Scalisi (di Giuseppe Vettori, Professore emerito – Università degli Studi di Firenze)


lo scritto ricorda la figura di Vincenzo Scalisi. Eminente civilista. Figura fra le più significative della scienza giuridica del '900 italiano. Si pone in luce in particolare la riflessione, negli ultimi scritti del Maestro, sul dovere di verità dell'interprete e sulla dignità della Persona.

Truth and Dignity. In the thought of Vincenzo Scalisi

The paper recalls the figure of Vincenzo Scalisi. Eminent civilist. One of the most significant figures of 20th century Italian legal science. It particularly highlights the reflection, in the Maestro's last writings, on the interpreter's duty of truth and the dignity of the Person.

Il pensiero di Vincenzo Scalisi ha dominato la Scienza giuridica a cavallo di due secoli e si è misurato nel corso di decenni con ogni aspetto del diritto privato nazionale ed europeo. Con un tratto comune negli ultimi anni: la riflessione sul compito dell’interprete chiamato a dare risposta, oggi più di sempre, ad un interrogativo: come individuare la regola giuridica più adatta ad ogni caso della vita che reclama giustizia. Con questa domanda inizia un suo saggio recente e la risposta negli ultimi scritti si sofferma su tre parole: ermeneutica, verità e dignità [1]. Su di esse dirò qualcosa. In breve.

SOMMARIO:

1. L’ermeneutica - 2 Il dovere di verità - 3 La dignità - NOTE


1. L’ermeneutica

L’ermeneutica è una metodica di tutte le scienze umane e sociali. Che cosa accade nella dimensione giuridica fra gi anni ’50 e ’70 del ’900 è noto.

Il saggio di Hart del 1958 [2] consolida la separazione fra diritto e morale con un paradigma che resterà dominante per decenni. Solo Dworkin [3], il suo successore sulla cattedra di Oxford, inizia negli anni ’70, con altrettanto seguito, a porre in discussione quell’impianto formale, riflettendo su Principi, non “definiti da un test normativo ma da una conformità ad un’ideale di giustizia” [4].

L’ermeneutica ha un ruolo fondamentale nei decenni successivi nel fissare alcuni criteri forti.

Il vincolo della legge è un cardine del sistema, ma deve essere riformulato e attualizzato. “il dover essere e l’essere vengono posti sullo stesso piano” perché la norma e il caso concreto non restano immutati ma si fondono e si adattano. Il legislatore e la giurisprudenza lavorano, in modo diverso, ai processi di formazione del diritto, non fosse altro perché la legge “deve esse posta ma per avere efficacia ha bisogno di applicazione e, a sua volta, per essere applicata ha bisogno di essere compresa”, tramite l’osservazione del contesto sociale, la ricerca della piena effettività delle fonti e l’orientamento della buona dogmatica [5].

Vincenzo Scalisi ripercorre le diverse visioni [6]. È consapevole che il nuovo ruolo dell’interprete può condurre ad una deriva soggettivistica che il diritto non può accettare. Sa bene che il testo non è un limite perché solo con l’interpretazione assume un senso compiuto e dunque non è un freno all’arbitrio. Si convince che ‘il circolo ermeneutico’, per funzionare, esige l’adesione ad una prospettiva ontologica. e indica come unico criterio forte e concreto un percorso veritativo.

E sul dovere di verità le conclusioni del Maestro sono incalzanti.


2 Il dovere di verità

La complessità in cui siamo immersi non può essere eliminata o ridotta entro schemi rigidi. All’unità del moderno subentrano, con una forza via via travolgente, la diversità e il molteplice. Il formalismo estremo e lo storicismo che esalta il quotidiano come l’unico mondo possibile sono entrambi da respingere. Dopo l’immersione nei fatti se ne deve prendere la distanza per rimanere vigili custodi di un dovere di verità, appunto, che può radicare stabilmente il dovere essere nell’essere.

Si tratta di capire come.

Angelo Falzea [7] parla di adattabilità necessaria degli effetti al fatto, Salvatore Pugliatti di un dover essere fuso nel fatto [8]. Bobbio e Perelmann delle ‘verità al plurale’ soggette a continue revisioni, grazie alle buone ragioni, senza le quali non resta che la violenza [9]. La retorica esalta il ruolo del convincere e del persuadere ma il diritto richiede scelte ove la verità non si discute [10]. Si fa. Una verità che il diritto cerca e crea come nella confessione e nel giudicato, forme veritative, appunto, create dal codice civile e dal codice di procedura civile [11]. Ma si può andare oltre.

Un dovere di verità esiste per legge a carico di tutti i soggetti del processo.

La parte non può sostenere il falso e il suo avvocato non lo può avvallare ed anzi è vincolato ad un dovere di verità sancito dall’art. 50 del codice deontologico che ha un preciso significato.

Il difensore non deve alterare la verità processuale che si forma attraverso precise norme e decadenze a tutela della parità delle parti e del buon funzionamento del processo, come nel caso del deposito dei documenti o della deduzione delle prove. Il mancato rispetto di tali regole lo espone ad una sanzione disciplinare.

Il giudice deve costruire il fatto rilevante nella causa dopo aver ascoltato la narrazione delle parti [12]. E poi decidere. Tutto ciò deve avvenire nel rispetto di norme inderogabili, del dovere di disciplina (art.54 della Costituzione) e dell’etica professionale. In mancanza la sentenza è viziata e il contegno di chi giudica è censurabile.

Ma la verità non è assicurata solo dal rispetto di norme. Nel diritto “essa altro non è che la sua giustizia”. La quale si realizza, secondo Scalisi, quando l’interprete è in grado di esprimere “la regola adatta e conveniente, appropriata e congrua al caso della vita, quale scopo ultimo del procedimento ermeneutico e criterio ordinatore di tutto il dovere essere” Reso evidente e fatto palese dal tipo e dallo stile di vita della comunità “osservata dall’interprete” [13].

Sicché “occorre ancorare saldamente l’intero procedimento ermeneutico a una concezione integrale della giuridicità. Comprensiva oltre che del dato positivo anche del dovere essere portato dai fatti e da quello che scorre nella vita della società” [14].

Solo un esempio.

Stiamo vivendo una nuova rivoluzione antropologica. Oggi la vita e le azioni di ogni giorno devono confrontarsi con le macchine, gli algoritmi, la profilazione dei nostri dati personali da parte dei media e delle piattaforme.

La ricerca di regole adatte appropriate e convenienti al fatto coinvolge tutte le fonti e i formanti: la legge nazionale, il Regolamento UE del 2016, la disciplina del consumo e della concorrenza. Le corti nazionali e la Corte di Giustizia sono impegnate in due delicate operazioni: assicurare la piena effettività dei rimedi con una sinergia forte fra Regole e Principi di diversa provenienza, potenziare le situazioni soggettive anche attraverso forme di tutela collettiva per ‘diritti individuali omogenei’ o ‘interessi superindividuali verso un bene” da tutelare in modo nuovo e diverso dal passato. Alla ricerca, in ogni caso di tutele e strumenti nuovi e più adeguati al problema da risolvere.


3 La dignità

Il principio è concepito e attraversa ogni cultura, dal pensiero cristiano, alla teoria laica, classica e rinascimentale, sino al giusnaturalismo. Incontra un ostacolo nella modernità giuridica delle prime Carte del ’700 ove domina il concetto di libertà ed eguaglianza formale, astratta “dalle reali e concrete necessità della vita”.

Ottiene una precisa rilevanza giuridica, dopo la seconda guerra mondiale nella Carte internazionali del 1945 e 1948 e poi nella costituzione italiana e tedesca. Promuove una vera rivoluzione “capace di sancire la definitiva ascesa della persona a valore di vertice del nuovo ordine mondiale. Un “argine al ripetersi di quegli errori che la modernità non seppe” evitare e soprattutto “un’ancora di salvataggio dell’umanità di fronte alle insidie e alle nuove sfide della postmodernità”: dall’”aggressività del mercato”, allo “sviluppo tecnologico sempre meno controllabile”, sino al “relativismo etico e al politeismo di valori”, in “uno stile di vita anch’esso nuovo e diverso”, scandito da precarietà ed incertezza [15].

Insomma “il principio di dignità vuol essere fondativo di un ordine giuridico nuovo” dal quale “attingere il finale criterio di legittimità di ogni manifestazione dell’agire privato, di ogni iniziativa dei pubblici poteri, di ogni esito interpretativo dello stesso diritto positivo”: “una nuova religione civile europea” accolta dalla Convenzione di Oviedo, dalla Carta di Nizza e dai Trattati” e resa operativa da alcune pronunzie della Corte di Giustizia e dalla Corte di Strasburgo [16].

Ma il nostro autore avverte subito il lettore. “Occorre definire contenuto ed essenza del principio” per scongiurare ogni possibile ‘infatuazione’ e per respingere chi lo qualifica come frutto di un “pensiero negativo”, un “espressione liturgica”, o “scatola vuota” inutile e manipolabile. Sicché non è sufficiente per fugare questi giudizi demolitori né il richiamo concreto alla storicità di ogni interpretazione e al valore provvisorio e relativo di ogni verità, né i molti elogi [17], perché in un caso e nell’altro non si precisa a sufficienza la “consistenza ontologica “ [18]dell’idea che per molti resta “uno strumento di un inammissibile superiore ordine morale [19], messo in luce da alcuni casi famosi [20].

Da qui un chiarimento e l’inizio di un limpido discorso giuridico: la dignità ha carattere “storico e relativo”, è “una nozione in progress” continuamente “in fieri” come “insieme di natura e cultura”, e va preso “in seria considerazione” fissando “il suo contenuto” e il suo “vero significato”, con grande attenzione alle sue modalità attuative e alla possibilità di rendere effettiva la sua proclamazione normativa.

Occorre muovere dall’idea di un diritto come sottosistema normativo del più generale sistema culturale di una comunità basata sui valori della “civiltà occidentale”, espressa in sistemi integrati nell’ordinamento comunitario per effetto del principio di effettività e del “valore apicale della persona umana”. Intesa come “rilevanza giuridica delle diverse esigenze, bisogni, interessi dell’essere umano (storico-reale)” che sceglie il proprio stile di vita, non contrastante con norme positive e con “il miglior tipo di esistenza realmente possibile e realizzabile” [21] da quel tipo di giuridicità.

Insomma la dignità, secondo Scalisi, presidia e attua “il principio personalista enunciato da un sistema normativo continuamente aggiornato e vivificato dall’ordinamento della vita sociale”, tramite “la predisposizione di appositi dispositivi tecnici intesi ad assicurare effettiva tutela realizzativa al valore fondamentale che per ciascun essere vivente rappresenta il proprio tipo e stile di esistenza”.

Il che comporta superare la forma preliminare della rilevanza giuridica con “misure e strumenti di tutela propri dell’efficacia giuridica” e quindi “destinati a garantire la piena e integrale attuazione, tramite gli effetti, “dei diritti inviolabili e doveri inderogabili”. Così se il principio personalista è “la sintesi omnicomprensiva di tutti i possibili interessi giuridicamente rilevanti dell’essere (storico-reale) della persona”, il principio di dignità è “la sintesi omnicomprensiva di tutti i possibili effetti giuridici, intesi a tradurre, sul piano del dover essere giuridico e delle corrispondenti modalità attuative, l’essere (storico reale) di ogni soggetto.

Si può dire così che la persona è la sostanza mentre la dignità (quale complesso di diritti e doveri ad essa finalizzati) rappresenta la sua forma intrinseca di tutela” [22].

Dunque il discorso giuridico si costruisce su due riferimenti chiari: l’essere della persona e il dover essere della dignità che non è un presupposto morale o metafisico, ma un “concetto normativo” che da un lato garantisce l’unità della persona “nella sua storica e irripetibile individualità”, e dall’altro “modella e misura la tutela giuridica”. Come ogni concetto indeterminato o concetto valvola che consente all’interprete. in questo caso, di realizzare l’integrale sfera soggettiva [23] nel rispetto “un necessario processo di equilibrio e di sintesi tra autodeterminazione ed eterodeterminazione” [24] del singolo.

Resta da precisare come possa costruirsi un coerente statuto della Dignità e quale sia il suo valore ermeneutico. È certo che essa esprime normativamente l’indivisibilità dei diritti fondamentali e di nuove situazioni soggettive della persona [25]e che instaura un “collegamento inscindibile con i doveri, giocandosi tutto sul piano della effettività della tutela realizzata “non da un improvvisato demiurgo quanto dall’impegno di tutti i protagonisti dell’esperienza giuridica nei rispettivi ruoli di competenza” [26]. Sicché l’ermeneutica è un dato essenziale del suo statuto. Ed è chiaro perché.

Il diritto deve approntare la “regola giuridica più appropriata” [27] e dunque l’effetto “più conveniente e adatto” a dar tutela e risposta ad ogni problema di vita [28]. La regola può discendere dall’alto o “trarre origine dal basso di fattualità naturali ed economiche, sociali dotate di forza normativa per conforme e generalizzata attuazione spontanea dei consociati” [29]. In entrambi i casi spetta all’interprete “fissare la regola” tramite una “propria valutazione produttiva e creativa, costitutiva essa medesima del dover essere giuridico” [30]. Si tratta di limitare e rendere prevedibile questa funzione essenziale ed questo è il problema di oggi, avvertito da tutti.

Il nostro autore indica una serie di modalità: una “rigorosa metodica di principi, canoni, criteri e moduli valutativi verificabili”, un “dovere della verità, inteso come dovere di ricerca della regola ‘giusta’, ossia della regola più “conveniente e adatta” insita nel principio “di convenienza e adattabilità dell’effetto al fatto”. Una giuridicità espressa dai precedenti tramandabili (dal diritto vivente alla legalità sociale originaria) [31]. Il collegamento scontato fra idea di giustizia e principio di dignità [32] e soprattutto la capacità del principio di governare “il procedimento ermeneutico” in base ad una serie di dati.

Il carattere di “architrave dell’intero catalogo dei diritti fondamentali”, non espressione di una tirannia assiologica ma capace anzi, come pochi altri, di isolare la persona umana “non come parte di una moltitudine, ma nella sua unicità” [33],difesa molto bene dalle sentenze della Corte costituzionale [34], della Corte di Cassazione (in tema di mutazione di sesso 20.7.2015, n.15138 e di parto anonimo 25.1.2017 n.1946) e dalle Cori europee.

La conclusione è netta: solo il principio di dignità, reso pienamente effettivo, può “costituire un sicuro criterio ermeneutico di governo della complessità giuridica di ogni ordine e grado, a partire dal sistema delle fonti”, come presupposto di legittimità delle regole, “in funzione conformativa di ogni criterio normativo” [35] e come “istanza assiologica suprema di controllo dell’ordinamento positivo” [36].

Insomma un’efficace bussola in un nuovo ordine giuridico europeo e un paradigma umanistico capace di orientare nelle incertezze della postmodernità, nel politeismo dei valori senza cedere ad un “decantato quanto controverso postumanesimo [37]. In ogni settore della vita dal suo inizio alla fine per costruire una soggettività giuridica di tipo nuovo, “sollecitando la costruzione dal basso di sempre nuovi diritti e doveri finalizzati al pieno e sviluppo della persona umana in un tempo dato e definito”. Con i rischi di ogni processo ermeneutico ma con la convinzione che sia possibile un efficace controllo dell’operato dell’interprete [38].

Le visioni sono molteplici. Simon Weil [39] rifiuta la sacralità della persona [40]. Foucault parla della vita che non coincide mai con la soggettività ed è piuttosto “uno spazio che il potere investe senza mai riuscire ad occuparlo integralmente” [41]. Deleuze scrive di una realtà “fuori dalle sagome della persona e della cosa, capace di “riunificare forma e sostanza” [42] e di cogliere ogni aspetto dell’uomo come essere naturale” [43].Mentre “nella filosofia morale e nell’etica contemporanea”, si parla “non di persona ma di ‘persone’,” espresse dalla pluralità delle culture senza alcuna pretesa unificante che si ponga al di sopra dei concreti e molteplici individui e dei concreti modi” in cui si vive nel mondo [44].

Infine la Dignità nella logica impersonale è considerata un “pensiero negativo” [45], un’”espressione liturgica” [46], una “scatola vuota” inutile e manipolabile, “uno strumento di un inammissibile superiore ordine morale [47], addirittura un “concetto stupido” [48] messo in luce da alcuni casi famosi [49]. Alcuno [50] conclude che la Dignità è un sentiero stretto attraverso due principi opposti: “la sovranità dell’individuo e la religione della persona umana che lo asfissia”. Altri reputano la parola “logora”, “obsoleta” “un luogo comune” che induce solo a riflettere sulla libertà e responsabilità dell’uomo e spinge ad alzare gli occhi su una dignità non umana, della natura e dell’universo [51]. Altri ancora teorizzano il valore impersonale di una specie globale in formazione con i tratti essenziali della cultura occidentale [52]. Ma in tal modo si oscura un principio che le Carte costituzionali e internazionali pongono a fondamento della vita di tutti.

A questa visione Vincenzo Scalisi si oppone decisamente.

La dignità ha un carattere storico [53],assiologico [54] e ha “consistenza ontologica” [55]. Non solo. Esprime la “rilevanza giuridica di interessi e bisogni dell’essere umano [56]. Si serve “di appositi dispositivi tecnici propri dell’efficacia giuridica” e quindi “destinati a garantire la piena e integrale attuazione, tramite gli effetti, “dei diritti inviolabili e dei doveri inderogabili”.

Certo l’ermeneutica è un dato essenziale del suo statuto. Ed è chiaro perché. Il diritto deve approntare la “regola giuridica più appropriata” [57] e dunque l’effetto “più conveniente e adatto” a dar tutela e risposta ad ogni problema di vita [58]. La disciplina può e deve discendere dall’alto di una legislazione necessaria [59]. Ma spetta alla dottrina a e all’interprete fissare comunque “il dover essere giuridico” [60]. Con i rischi di ogni processo ermeneutico ma con la convinzione che sia possibile un efficace controllo dell’operato del legislatore e dell’interprete [61].

Insomma la Dignità esprime la rilevanza giuridica di interessi e bisogni dell’essere umano (storico-reale) nella scelta del proprio stile di vita. Attua “il principio personalista enunciato da un sistema normativo continuamente vivificato dall’ordinamento della vita sociale”. Si serve di appositi dispositivi tecnici propri della efficacia giuridica e quindi “destinati a garantire la piena e integrale attuazione, tramite gli effetti “dei diritti inviolabili e dei doveri inderogabili”.

Così se il principio personalista è la sintesi di tutti gli interessi giuridicamente rilevanti, la dignità è la sintesi di tutti i possibili effetti giuridici, intesi a tradurre sul piano del dovere essere e delle corrispondenti modalità attuative, l’essere (storico-reale) di ogni soggetto. Sicché la Persona è la sostanza mentre la Dignità, come complesso di diritti e doveri, rappresenta la sua intrinseca forma di tutela.

E il discorso giuridico si costruisce su due riferimenti chiari: l’essere della Persona e il dovere essere della Dignità che non è un presupposto solo morale o metafisico ma un concetto normativo che da un lato garantisce l’unità della Persona ‘ nella sua storica e irripetibile individualità e dall’altro “modella e misura la sua tutela giuridica”.

Come ogni concetto indeterminato, la Dignità, consente all’interprete di realizzare l’integrale sfera soggettiva nel rispetto di un “necessario processo di equilibrio e di sintesi tra autodeterminazione ed eterodeterminazione” dei singoli.

L’ermeneutica è un dato essenziale del suo statuto ed è chiaro il perché.

Il legislatore deve costruire regole appropriate, ma spetta alla Scienza giuridica e all’interprete dare attuazione a una norma, contenuta in tutte le Carte del novecento, per garantire la piena tutela ad ogni persona nella sua unicità, con una precisa funzione.

Il principio è un criterio di governo della complessità, capace di orientare nelle incertezze della postmodernità e nel politeismo dei valori. Uno strumento per costruire una soggettività giuridica di tipi nuovo “sollecitando dai bassi nuovi diritti e nuovi doveri, finalizzati ad un pieno sviluppo della persona.

Con i rischi di ogni procedimento ermeneutico, ma con la convinzione che sia possibile un efficace dialogo e controllo reciproco fra i formanti. Perché solo un ordine plurale della sovranità che neghi l’assolutezza del potere e lo articoli ina una dimensione dialogica fra organi diversi e autonomi, può garantire una visione integrata ed effettiva della eguaglianza, della identità e della dignità.

Si pensi all’attuale prassi della Corte costituzionale di interloquire con il legislatore su temi sensibili, come la fine della vita e l’aiuto al suicidio, il nome e la genitorialità. E non solo. Si tratta di un percorso veritativo che richiede una virtù tecnica e una virtù etica di altissimo valore.

Solo un’ultima notazione.

Occorre un’azione umana per attuare ogni valore universale come la verità e la dignità.

Il metodo più efficace si deve ancora alla lezione di un Grande fiorentino, svelata da un Grande siciliano come Luigi Russo [62]. Il quale ribalta la vulgata di Machiavelli come cinico tessitore di fini che giustificano i mezzi, ed esalta, invece, la distinzione tra politica e morale come una perpetua dialettica di due momenti essenziali che potenziandosi reciprocamente, realizzano il progresso della civiltà. Machiavelli insegna la virtù tecnica e” identifica la bontà di un’azione con la bontà dei mezzi con cui si sviluppa”. Un’azione è buona se è tecnicamente esatta e coerente con sé medesima [63] . La sua autonomia dal fideismo medievale basato sulla virtù divina, porta Machiavelli a fondare la scienza della politica. Ma la conclusione di Luigi Russo è chiarissima.

Savonarola e Machiavelli “l’uno con la passione spirituale e l’altro con il realismo scientifico restano vittima di due astrazioni”. Perché “senza etica e politica, cultura e tecnica, realtà effettuale e realtà ideale “non si compie opera storica nel mondo” [64].

Queste parole risuonano negli scritti di Vincenzo Scalisi ove etica e tecnica sono fuse in un mirabile intreccio che orienta la nostra attività di giuristi e di cittadini.


NOTE

[1] V. Scalisi, Per una ermeneutica giuridica ‘veritativa’ orientata a giustizia, in Riv. dir. civ., 2014,6, 1249 ss., Id. L’ermeneutica della dignità, Giuffrè Lefebvre, Milano, 2018.

[2] Hart, H.L. Hart, Il concetto di diritto, (1961), Torino, Einaudi, 2002. A. Schiavello, V. Velluzzi (a cura di), Il positivismo giuridico contemporaneo. Una antologia, Torino, Giappichelli, 2005, 207 ss.

[3] R. Dworkin, Sul punto, almeno, R. Dworkin, I diritti presi sul serio, (1977) Bologna, il Mulino 2010 e G. Zaccaria, La comprensione del diritto, Roma-Bari, Laterza, 2012, 4-79.

[4] G. Zaccaria, Postdiritto. Nuove fonti, nuove categorie., il Mulino, Bologna, 2022, 7-10.

[5] F. Viola, G. Zaccaria, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Laterza, Roma-Bari, 1999, 161 ss.

[6] V. Scalisi, Fonti-Teoria.Metodo. Alla ricerca della regola giuridica nell’epoca del postmodernità, Milano Giuffrè, 2012, Id. Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano, Giuffrè, 2005, Id., Per un’ermeneutica giuridica ‘veritativa’ orientata a giustizia, in Riv. dir. civ.,2014, 1249.

[7] A. Falzea, Efficacia giuridica, in Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica. II. Dogmatica giuridica, Milano, Giuffrè,1997, 62.

[8] S. Pugliatti,Per un convegno di diritto cosmico (1961), in Scritti giuridici, VI, Milano, Giuffrè, 2012, p.44.

[9] C. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, trattato dell’argomentazione. La nuova retorica. Con prefazione di N. Bobbio, Einaudi, Torino, 1966, in part. XVII della prefazione di Bobbio-

[10] [10] G. Benedetti, Oltre l’incertezza, cit.75:”L’etica della solidarietà passa per l’etica della comprensione. Che porta il discorso verso l’ermeneutica. Non un ermeneutica che conduca inevitabilmente al nihilismo, più o meno intensamente colorato, ma un ermeneutica aperta a un gesto fondativo. Conformato sulla funzione del diritto civile, sulla sua storia, sulla sua vocazione, sulla missione del giurista che, nel misurarsi con i grandi problemi del nostro tempo, sia all’altezza di quel gesto.

[11] G. Benedetti, ult. cit.

[12] M. Taruffo, La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti, Laterza, Roma-Bari, 2009,74ss.

[13] V. Scalisi, Per una ermeneutica giuridica ‘veritativa’ orientata a giustizia, cit. 1250 ss.

[14] V. Scalisi, ult. cit.

[15] V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, Milano, Giuffrè, 2018.

[16] V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, Milano, cit., 4-15 ove si trova un’ampia bibliografia.

[17] M. Fabre-Magnan, La dignité en droit: un axiom, in Revue interdisciplinaire d’étude juridiques, 2007, 1 ss.

[18] V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, cit. 19.

[19] G. Piepoli, Dignità e autonomia privata, in Pol. Dir., 2003, 60 e in senso critico S. Rodotà, la rivoluzione della dignità, cit. 27 ss.

[20] A. Massarenti, Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima, Parma, Guanda, 2006, 7 ss.

[21] V. Scalisi, cit. 24 e il riferimento a A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto di diritto, Giuffrè. Milano, 2008, 385 ss., 389 ss., 436 ss.

[22] V. Scalisi, cit. 26.

[23] V. Scalisi, cit. 31.

[24] V. Scalisi, cit., 40.

[25] V. Scalisi, cit. 50.

[26] V. Scalisi, cit., 52.

[27] V. Scalisi, cit., 58.

[28] A. Falzea, Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Giuffrè, Milano, 1965, 456.

[29] P. Grossi, Ritorno al Diritto, Laterza, Roma-Bari, 2015, 33 ss.

[30] V. Scalisi, cit., 58 e la lunga nota 3 con una citazione amplissima di autori e opere fondamentali nella cultura del ’900 giuridico.

[31] V. Hassemer, Argomentazione con concetti fondamentali. L’esempio della dignità umana, in Ars interpretandi, 2007, 65, G. Piepoli, Teoria della dignità e ordinamento della società secolare europea, in Riv. crit. dir. priv., 2007, 26. EV. Scalisi, cit. 60.

[32] M.C. Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana. Da individui a persone, Il Mulino, Bologna, 2012.

[33] W. Hassemer, cit. 57 ss.

[34] G. Zagrebelsky, Il giudice delle leggi artefice del diritto, Editoriale scientifica, Napoli, 2007; V. Scalisi, Ermeneutica dei diritti fondamentali e principio “personalista” in Italia e nell’Unione europea (2010) ora in Id., Fonti-Teoria-Metodo. Alla ricerca della “regola giuridica” nell’epoca della postmodernità, Giuffrè, Milano, 2012, 399 ss.

[35] S. Cassese, Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre lo Stato, Einaudi, Torino, 2009, M.R. Ferrarese, Prima lezione di diritto globale, Laterza, Roma-Bari, 2012 citate da V. Scalisi, cit. 73.

[36] L. Mengoni, La tutela giuridica della vita materiale nelle varie età dell’uomo, 1982, in Diritto e valori, Il Mulino, Bologna, 1985, 134.

[37] R. Pepperell, The Post-Human, Condition. Consciousness beyond the brain, Intellect Books, Exeter, 1997 (ivi The post-Human Manifesto); R. Marchesini, Il tramento dell’uomo. La prospettiva post-umanista, Dedalo, Bari, 2009 5 ss.; entrambi citati da V. Scalisi, cit. 76.

[38] V. Scalisi, cit.105-107 e in particolare Id., Per un’ermeneutica giuridica ‘veritativa’ orientata a giustizia, in Riv.dir.civ.,2014, 1249 ss.

[39] S. Weil, La personne e le sacré, in Ecrits de Londres et dernières lettres, Paris 1957 (trad.it. La persona e il sacro, in Oltre la politica.Antologia del pensiero impolitico, a cura di R. Esposito, Milano, 1996, 76. “Quello che è sacro non è la persona ma ciò che non è coperto dalla sua maschera. Solo ad esso può riuscire di ricostruire il rapporto fra umanità e diritto”.

[40] R. Esposito, cit., 21.

[41] La frase è tratta da R. Esposito, Terza persona cit. 24.ma v. M. Foucault, Le penseé du dehors, in Ecrits, Paris, 1994, I, /trad. it. Il pensiero del di fuori, in Scritti letterari, a cura di C. Milanese, Milano, 1984).

[42] R. Esposito, cit., 24. ma v. G. Deleuze, Pourparler, Paris 1990 (trad. it.) Pourparler, Macerata 2000, 154.

[43] Y. Thomas, Le sujet de droit, le personne et la nature, in 2Le debat”, 100 (maggio-agosto, 1998) 85-107 cit. da R. Esposito, Terza persona, cit. 13 nota 12.

[44] Così in Lessico del XXI secolo, Treccani, voce impersonale.

[45] A. Schopenhauer, Il fondamento della morale, Laterza, Roma-Bari, 1991, 168 citato da M. Rosen, Dignity. Its History and Meaning (2012) trad.it. (con il titolo a Dignità. Storia e significato) di F. Rende, Codice Edizioni, Torino 2013, p.14. Entrambe le citazioni si trovano in V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, Giuffrè, Milano, 2918. 5 nota 6 e p.16 ed ivi il riferimento a F. Nietzsche, Lo Stato dei greci in Id. La filosofia nell’epoca tragica dei greci e scritti 1870-1873, Adelphi, Milano, 1073, p.223.

[46] J.P. Baud, L’affaire de la main volée. Une histoire juridique de corps (1993) trd.it. (con il titolo Il caso della mano rubata. Una storia giuridica del corpo) di L. Colombo, a cura di C.M. Mazzoni, Giuffrè, Milano,2003, Prefazione, XVII.

[47] G. Piepoli, Dignità e autonomia privata, in Pol. Dir., 2003, 60 e in senso critico S. Rodotà, La rivoluzione della dignità, cit. 27 ss.

[48] S. Pinker,The stupidity of Dignity, in The Nwe Republic, vol. 238 n. 9,n 28 ss. citato da F. Viola, Lo statuto normativo della Dignità umana, in A. Abignente, F. Scamardella, (a cura di), Dignità della Persona. Riconoscimento dei diritti nelle società multiculturali, Editoriale scientifica, Napoli, 2013, 283, nota 1, entrambi citati da V. Scalisi, cit., 16 nota 45.

[49] A. Massarenti, Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima, Parma, Guanda, 2006, 7 ss.

[50] G. Resta, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della Dignità (note a margine della Carta dei diritti), in Riv. dir. civ., 2002, 6, in part. 106, ma il saggio contiene una ricca rassegna della bibliografia europea sul punto.

[51] C.M. Mazzoni, Quale dignità. Il lungo viaggio di un’idea, Olschki, Firenze,2019, 111 e ss.

[52] A. Schiavone, L’Occidente e la nascita di una civiltà planetaria, Il Mulino, Bologna, 2022, .33, 44, 71 ss.

[53] V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, Milano, Giuffrè,2018, 4-15 ove si trova un’ampia bibliografia.

[54] M. Fabre-Magnan, La dignité en droit: un axiom, in Revue interdisciplinaire d’étude juridiques, 2007, 1 ss.

[55] V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, cit. 19.

[56] V. Scalisi, cit. 24 e il riferimento a A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto di diritto, Giuffrè. Milano, 2008, 385 ss., 389 ss., 436 ss.

[57] V. Scalisi, cit. 58.

[58] A. Falzea, Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Giuffrè, Milano, 1965, 456.

[59] P. Grossi, Ritorno al Diritto, Laterza, Roma-Bari, 2015, 33 ss.

[60] V. Scalisi, cit., 58 e la lunga nota 3 con una citazione amplissima di autori e opere fondamentali nella cultura del ’900 giuridico.

[61] V. Scalisi, cit.105-107 e in particolare Id., Per un’ermeneutica giuridica ‘veritativa’ orientata a giustizia, in Riv. dir. civ., 2014, 1249 ss., e E. Felice, La conquista dei diritti. Un’idea della storia., il Mulino, Bologna, 2022.

[62] L. Russo, Machiavelli, Laterza, Roma-Bari, 1983.

[63] Id., 215.

[64] Id., 18.