Con l'accezione “opera NFT” o Cripto art si fa riferimento ad un'opera d'arte digitalizzata (native) ovvero anche ad un'opera d'arte reale che viene dotata di un codice identificativo capace di provarne l’autenticità e la proprietà digitale e tale da rendere impossibile qualsiasi tentativo di falsificazione. Dal punto di vista giuridico l’opera NFT è un bene immateriale di carattere non finanziario suscettibile di traffici giuridici ad un prezzo di mercato, che può divergere dal valore intrinseco, e potenzialmente in grado di circolare anche al di fuori della Blockchain. La possibilità di creare NFT ha fatto emergere numerosi problemi in considerazione della frammentarietà dell'impianto normativo di riferimento e della inadeguatezza di alcuni strumenti giuridici non pensati per essere adattati all'attuale evoluzione digitale.
The term "NFT work" or Cripto art indicates a digitized (native) work of art or even a real work of art characterized by an identification code that proves its authenticity and digital ownership and makes it impossible to forge. Legally, the NFT is an intangible asset of a non-financial nature that can be subject to legal trade at a market price and can also circulate outside the Blockchain. The possibility of developing NFTs has brought out many problems regarding the discipline to be applied given that the current regulatory instruments are not designed to be adapted to the current digital evolution.
1. Inquadramento e qualificazione giuridica dell’NFT - 2. Creazione dell’NFT e sua tutela. L’NFT native - 3. NFT tratti da opere reali. Il caso del Tondo Doni di Michelangelo - 4. Segue. Gli NFT di opere museali tra disciplina della valorizzazione del patrimonio culturale e normativa sul riuso dei dati pubblici - 5. La commercializzazione degli NFT. Le informazioni inserite nei blocchi ed i problemi connessi alla lo-ro immutabilità - 6. Gli strumenti di transazione degli NFT. Smart contract e licenze di sfruttamento economico degli NFT - 7. Segue. Blockchain e protezione dei dati nel mercato dell’arte - 8. Impossibilità di risolvere lo smart contract avente ad oggetto un NFT ed esclusione del diritto di recesso. Il nuovo standard ERC-721R - 9. Il pooling investment e il processo di democratizzazione dell’arte digitale. La disciplina applicabile alle share (condivisioni) - 10. NFT, proof of work e costi ambientali delle piattaforme. La necessità di una disciplina ecosostenibile - NOTE
Un NFT o non fungible token (gettone non fungibile o non riproducibile) è un asset digitale che identifica la proprietà di un prodotto digitale. Generalmente gli NFT, unici nel loro genere, insostituibili e non replicabili (o comunque in numero limitato), vengono venduti ed acquistati on line spesso utilizzando criptovalute [1]. Gli NFT vengono commercializzati attraverso marketplace (siti) che utilizzano la tecnologia Blockchain (o catena di blocchi) [2], un registro pubblico distribuito in cui vengono annotate le transazioni.
Sin dal suo esordio, ufficialmente avvenuto nel 2014 [3], questo strumento è risultato di estrema utilità nel mondo dell’arte [4] e della musica [5] ed in tutti quei settori coinvolti dal diritto d’autore (software, meme [6], tweet [7] e gif [8]). L’accezione opera NFT o Cripto art si riferisce, nello specifico, sia ad un’opera d’arte digitalizzata (native) ovvero anche ad un’opera d’arte reale che, attraverso un processo di tokenizzazione [9], viene dotata di un codice identificativo capace di provarne l’autenticità e la proprietà digitale e tale da rendere impossibile qualsiasi tentativo di frode o di falsificazione. Tra i metadati [10] di una opera NFT, il proprietario o il creatore può, inoltre, conservare informazioni riguardanti il bene alienato, può siglare la propria opera, può incorporare opzioni che consentano la raccolta dei diritti di autore in modo tale da ricevere una percentuale sulla vendita ogni volta che viene acquistata da un proprietario successivo.
Se dunque una prima forma di utilizzo della tokenizzazione nel mercato dell’arte consiste nell’attestare l’autenticità dell’opera, la sua provenienza e la sua probabile attribuzione (sulla falsariga della documentazione da consegnare all’acquirente ai sensi dell’art. 64 del Codice dei beni culturali e del paesaggio) [11], essa ha, peraltro, reso possibile la valorizzazione economica e la commercializzazione di res illimitatamente riproducibili sul piano materiale (NFT native come i meme o i tweet) e, tuttavia, a tiratura limitata qualora abbinati ad un token autorizzato dall’autore, ovvero di res unitarie ed infungibili (opere d’arte reali). In quest’ultimo caso il processo di tokenizzazione consente di scomporre l’opera d’arte in molteplici unità (res fungibili e immateriali) destinate a circolare separatamente dalla res corporalis [12]. Viene qui in rilievo una peculiare funzione economica della tokenizzazione la quale consente, non solo di ridurre i costi di certificazione, ma di rendere autonomo ed alienabile un bene privo ab origine di tali caratteristiche.
Gli NFT, pur potendo essere attratti nell’orbita degli strumenti finanziari in quanto potenziali oggetto di option, future, contratti derivati su opere d’arte [13] e quote di fondi comuni d’investimento [14], non sono né merci o prodotti finanziari tout court [15] né strumenti finanziari dematerializzati [16]. A conferma di ciò il fatto che la Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari modificativa della direttiva 2002/92/CE e della direttiva 2011/61/UE (c.d. MiFID II) [17], non indica e non disciplina tra gli strumenti finanziari gli NFT. Quand’anche l’investimento in arte digitale sia motivato da finalità lucrative, l’opera NFT è, e rimane, un bene immateriale di carattere non finanziario suscettibile di traffici giuridici ad un prezzo di mercato che può divergere dal valore intrinseco [18] e potenzialmente in grado di circolare anche al di fuori della Blockchain.
L’impatto delle nuove tecnologie e la possibilità di creare NFT hanno fatto emergere numerosi problemi in considerazione della frammentarietà dell’impianto normativo di riferimento e della inadeguatezza di alcuni strumenti giuridici non pensati per essere adattati all’attuale evoluzione digitale. La questione principale, legata alla creazione degli NFT (siano essi o meno tratti da opere reali) ed alla loro successiva commercializzazione attraverso smart contract (ma anche a mezzo di contratti stipulati al di fuori della rete), consiste, infatti, nell’accertamento della titolarità del diritto di proprietà, dei diritti morali e patrimoniali e/o nella loro ripartizione, anche non unitaria (ad esempio nell’ipotesi di condivisioni), tra i soggetti creatori delle opere d’arte digitali, i proprietari delle opere reali qualora gli NFT siano da essi tratti ed i successivi acquirenti. Un tale accertamento è finalizzato alla tutela di situazioni giuridiche sostanziali (quali ad esempio il diritto di licenza di sfruttamento economico dello stesso; il diritto a chiedere la risoluzione del contratto o la possibilità di esercitare il diritto di recesso) che sembrano solo apparentemente duplicarsi quando l’opera NFT appartenga ad un soggetto diverso dal suo autore. A seconda, infatti, che l’opera NFT sia native (cioè nasca direttamente dal web come opera d’arte digitalizzata) ovvero riproduca un’opera fisica reale, le considerazioni da svolgersi sono differenti.
Se l’NFT è native nulla impedisce che, ai sensi dell’art. 2575 cod. civ., esso sia considerato opera dell’ingegno di carattere creativo [19] ed in quanto tale sia protetto dalla legge sul diritto d’autore (Legge n. 633 del 22 aprile 1941) [20]. L’art. 1 stabilisce, infatti, che sono protette ai sensi di questa legge “le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”. Sono, altresì, protetti i programmi per elaboratore “come opere letterarie (ai sensi della Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche ratificata e resa esecutiva con legge 20 giugno 1978, n. 399) nonché le banche dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell’autore”. Il legislatore ha, cioè evitato accuratamente di dare una definizione di opera d’arte e ha accordato una protezione a tutte le opere dell’ingegno di carattere creativo che, a prescindere dalla loro natura, siano conformi ai requisiti di originalità [21], creatività [22] ed unicità [23]. Gli NFT native, generati con tecnologia blockchain, in quanto token non fungibili, posseggono tutti questi requisiti. Né costituisce ostacolo a considerare un’opera nativa NFT come opera d’arte il fatto che si tratti di un’opera virtuale. La materialità, infatti, non è requisito imprescindibile per godere della tutela del diritto d’autore.
L’opera d’arte NFT, ovviamente, diventa oggetto di protezione solo nel momento in cui si realizza concretamente per cui la semplice idea non è proteggibile; oggetto della tutela è la forma dell’opera, il modo in cui questa viene espressa ed esteriorizzata. È necessario che il creatore proceda, perciò, alla “coniazione” dell’NFT [24]. Una volta coniato l’NFT, il creatore diventa titolare dei diritti morali sull’opera e, in particolare, conserva il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione (art. 20 della Legge sul diritto d’autore). Questi diritti sono tutti inalienabili. Tuttavia una volta che il creatore abbia conosciute ed accettate le modificazioni della propria opera non può più agire per impedirne l’esecuzione o per chiederne la soppressione. (art. 22 L.d.a.). Dopo la morte del creatore i diritti morali sull’opera possono essere fatti valere, senza limite di tempo, dal coniuge e dai figli e, in loro mancanza, dai genitori e dagli altri ascendenti e da discendenti diretti; mancando gli ascendenti ed i discendenti, dai fratelli e dalle sorelle e dai loro discendenti (art. 23 L.d.a.). Al creatore dell’NFT è, altresì, riconosciuto il diritto di utilizzare economicamente l’opera (art. 12 L.d.a.) ed ha il diritto esclusivo di riprodurla in tutto o in parte, in copie dirette o indirette, temporanee o permanenti, ed in qualunque modo o forma (art. 13). Il creatore, pertanto, potrà riprodurre l’opera NFT un numero indefinito di volte venendo ogni volta remunerato per la vendita delle singole copie. Il diritto di utilizzazione economica dell’opera dura tutta la vita e sino al termine del settantesimo anno solare dopo la sua morte (art. 25 L.d.a.). Quando il creatore dell’opera decide di concedere a terzi lo sfruttamento economico della sua opera, egli ha diritto a percepire una percentuale sui proventi incassati. I diritti patrimoniali d’autore sono diritti a titolo originario (che nascono automaticamente al nascere dell’opera) che possono essere trasferiti dal creatore stesso sia mediante contratto o atto stipulato tra le parti, sia per successione in caso di morte. Con il trasferimento di tali diritti, gli unici soggetti legittimati a farli valere sono, ovviamente, coloro che li hanno ricevuti.
Quando gli NFT sono il risultato della riproduzione di un’opera d’arte reale, la trasformazione tecnologica “libera” il bene immateriale imprigionato nella res corporalis e lo rende suscettibile di essere divulgato e fruito in maniera autonoma rispetto al bene materiale. Lo “sfruttamento dei giacimenti culturali” [25], a fronte di un minoritario orientamento giurisprudenziale che riconduceva la tutela della componente immateriale nella logica esclusivistica della disciplina proprietaria [26], pone in effetti l’insorgenza di problematiche di natura diversa a seconda che il creatore dell’NFT sia anche autore dell’opera ovvero sia un soggetto terzo.
Se a dar vita all’opera digitale sia l’autore e proprietario dell’opera reale, il token attesta l’autenticità dell’opera, la sua attribuzione e provenienza. Solo il creatore dell’opera reale e di quella digitale o un suo delegato sono autorizzati alla vendita dell’NFT e/o dell’opera sottostante. Questi, infatti, possono cedere l’FNT insieme all’opera reale ovvero in modo disgiunto riconoscendo all’acquirente diritti il cui contenuto è regolato, al pari di quanto accade per la generalità degli NFT, dai c.d. terms of service (termini di servizio) delle piattaforme ove gli stessi sono esposti e negoziati. Se l’NFT viene venduto contestualmente all’opera sottostante nulla quaestio perché l’acquirente diventa destinatario dei diritti di sfruttamento economico e di copyright che attengono sia all’opera reale che all’NFT [27]. Se, viceversa viene alienato solo l’NFT ed il creatore si riserva il diritto di proprietà dell’originale, in tal caso può accadere che il creatore riconosca all’acquirente il solo diritto di mostrare, promuovere e condividere l’NFT senza trasferirgli il diritto di sfruttamento economico sullo stesso. In tal caso l’acquirente non avrà la possibilità di utilizzarlo commercialmente, perché i diritti di sfruttamento dell’NFT al pari del diritto di copyright sullo stesso resteranno nella disponibilità del creatore (artt. 20-22 L.d.a) [28].
Differente è il caso in cui a creare l’NFT sia un soggetto terzo, diverso dall’autore dell’opera d’arte reale da cui esso è tratto. Il creator che agisce su incarico dell’autore dovrà eseguire l’opera (realizzazione dell’NFT) a regola d’arte e dovrà consegnarla entro i termini prestabiliti (art. 2224 cod. civ.). In relazione al risultato ottenuto ed al tempo impiegato l’autore dovrà corrispondere al creator il corrispettivo convenuto (art. 2225 cod. civ.) [29]. Una volta ottenuto il token ed i diritti sulla proprietà intellettuale dello stesso, il proprietario potrà utilizzarlo come se si trattasse di un NFT da lui stesso creato.
La necessità di apprestare delle regole che disciplinassero siffatta materia in modo più puntuale, si è sentita prepotentemente quando si è percepita la possibilità di riprodurre digitalmente le immagini di beni appartenenti al patrimonio immateriale dello Stato e di sfruttare ecomicamente gli NFT [30]. Nel maggio 2021, per la prima volta al mondo, la Galleria degli Uffizi di Firenze (soggetto pubblico) ha dato, infatti, incarico ad un creator di riprodurre in forma digitale una serie numerata di nove esemplari del dipinto di Michelangelo Buonarroti, Tondo Doni [31]. Il contratto intercorso tra la Galleria Uffizi di Firenze e l’Azienda Cinello prevedeva che quest’ultima realizzasse l’NFT da un dipinto scelto tra le opere selezionate dal Museo [32] e dal ricavo netto della vendita di ogni NFT ne versasse il 50 % agli Uffizi [33]. L’NFT del Tondo Doni, realizzato attraverso un brevetto esclusivo (il DAW– Digital Art Work) di cui rimaneva proprietaria l’Azienda Cinello, è stato corredato da un certificato di autenticità firmato dal direttore del museo detentore dell’opera originale. Tutti i diritti sull’opera d’arte reale e sulla sua riproduzione rimanevano, ovviamente, in capo al proprietario-concedente e, nel caso del Tondo Doni, in capo agli Uffizi. Questo accadimento, ben diverso dal deaccessioning (vendita) delle opere museali già da anni diffuso in America [34], ha spinto il Ministero, a chiedere temporaneamente alle sue istituzioni di sospendere i contratti con le società tecnologiche riguardanti la riproduzione digitale delle opere delle proprie collezioni. Data la complessità della materia e la mancanza di specifica regolamentazione che poteva indurre le parti a sottoscrivere “contratti abusivi”, presso la Direzione generale Musei è stata, perciò, istituita una Commissione di esperti per l’elaborazione di linee guida operative in merito agli NFT e alla cripto-arte, allo scopo di uniformare l’applicazione – da un punto di vista regolamentare ed operativo – sul territorio nazionale, indirizzando e coordinando l’attività delle articolazioni periferiche del Ministero e dei luoghi della cultura. La Commissione, muovendo dalla proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo ai mercati delle cripto-attività (MiCA o MiCAR) [35] ed a modificare la Direttiva (UE) 2019/1937 [36], si è più volte riunita per capire, innanzitutto, se questo tipo di assets potesse rientrare o meno nella previsione del futuro regolamento europeo, e per individuare, in attesa della approvazione del Parlamento europeo, “linee guida utili a orientare gli istituti e i luoghi della cultura nella valutazione delle proposte progettuali di NFT, in modo da verificarne la compatibilità con le esigenze di tutela dei beni culturali, nonché con il carattere artistico o storico degli stessi e con il loro decoro” [37].
In attesa, dunque, che il legislatore europeo e quello interno si pronuncino sui diversi aspetti della materia, l’interprete può solo limitarsi a riordinare le fonti e, se del caso, a verificare se la legislazione in vigore sia compatibile con il caso di specie. Il fenomeno della riproduzione digitalizzata di opere d’arte ancor prima dell’avvento degli NFT era stato oggetto della legge n. 106 del 29 luglio 2014 [38] la quale, con le sue rilevanti innovazioni all’art. 108 del Codice dei beni culturali, ha riallineato la disciplina delle riproduzioni delle opere d’arte rispetto ad un’accezione di valorizzazione – in termini di promozione della conoscenza e ottimizzazione dell’accessibilità e della pubblica fruizione – che si rivela più affine alla definizione di principio che lo stesso Codice ne offre. In particolare la novella ha statuito che le riproduzioni dei beni culturali e la successiva divulgazione delle immagini – con qualsiasi mezzo, dunque anche on line, su blog e social media – siano “libere” quando siano svolte “senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale” (comma 3-bis art. 108 del Codice dei beni culturali). L’attività di riproduzione deve essere attuata con modalità tali da non comportare alcun pericolo per la conservazione del bene. Insomma, l’attuale versione della disciplina del Codice dei beni culturali legittima nell’interprete “una visione irenica della relazione fra la valorizzazione culturale delle opere d’arte e la loro libera e gratuita riproducibilità digitale – per usi non lucrativi – speculare rispetto alla mancanza di idiosincrasia fra l’uso della tecnologia digitale e la conservazione fisica del bene” [39]. Nella previsione de qua non può certamente ricadere la creazione degli NFT del Tondo Doni in quanto, come è dato evincere dal contratto stipulato tra gli Uffizi e l’Azienda Cinello, essa è avvenuta per mere finalità di lucro e non per scopi culturali e/o di studio.
Per le stesse motivazioni non può applicarsi al caso specifico nemmeno il Decreto legislativo n. 102 del 18 maggio 2015 in tema di riutilizzo dell’informazione del settore pubblico [40]. In particolare il legislatore, considerando “il libero riuso commerciale dei dati della pubblica amministrazione come fattore di crescita democratica ed economica”, estende la sua operatività anche ai contenuti digitali (immagini, archivi, cataloghi, audiovisivi, applicazioni etc.) delle collezioni museali. Il decreto, però, statuisce che tali contenuti, pur rappresentando un nuovo asset per il museo, non possono essere considerati open data per ciò che concerne gli usi lucrativi [41]. Anche in tal caso, cioè, il legislatore mentre, per un verso, apre la porta alla liberalizzazione della riproduzione ove si tratti di realizzare interessi collettivi (la ricerca, l’arricchimento culturale, l’insegnamento etc.) inoppugnabili perché tutelati dalla Costituzione ed espressione di altrettanti diritti fondamentali della persona, per altro, invece, pone un limite alla scelta dell’open data diversamente da quanto imposto per le altre informazioni pubbliche.
Se, quindi, le restrizioni imposte dalla normativa interna impediscono lo sfruttamento economico delle opere immateriali tratte da opere reali esposte nei musei e, dunque, anche degli NFT, non resta che attendere che il legislatore individui nuovi paradigmi negoziali che non demonizzino la valorizzazione economica degli asset.
I creatori di NFT native o di NFT che riproducono opere d’arte reali, una volta generato o “coniato” il token, possono commercializzarlo, su diversi siti (o marketplace) di compravendite [42]. Se i prodotti o i servizi commercializzati sono di diverso genere i marketplace si definiscono orizzontali; se, invece, permettono il commercio di un solo tipo di prodotto prendono il nome di marketplace verticali. A seconda, poi, dei soggetti coinvolti, essi si suddividono in: consumer to consumer (C2C) se le transazioni avvengono tra singoli soggetti privati che interagiscono tra loro; business to consumer (B2C) che è il modello più noto di commercio elettronico ed in cui le aziende espongono i propri servizi e/o prodotti al consumatore finale; business to business (B2B) che riguarda transazioni commerciali tra aziende all’interno di mercati che possono trattare diversi segmenti produttivi.
I siti di compravendite utilizzano la tecnologia blockchain che, secondo i principi fissati nella Risoluzione del Parlamento europeo del 3 ottobre 2018 (in tema di Tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione) [43], consente di annotare tutte le informazioni riguardanti l’opera e, in particolare, la paternità della stessa; la titolarità dei diritti di autore (morale e patrimoniale); in caso di morte dell’artista, le informazioni relative ai soggetti che acquisiscono, iure proprio in occasione della morte, il diritto morale di autore; le immagini e il titolo dell’opera, l’anno di realizzazione, i materiali usati, le misure e la denominazione di “pezzo unico” oppure di “opera in serie”; le informazioni sulla proprietà dell’opera e sui successivi trasferimenti tramite contratto; i certificati di autenticità; l’arte c.d. immateriale [44]. In sostanza l’utilizzo di questa tecnologia non solo consente di rappresentare l’NFT con tutte le caratteristiche proprie della res corporale, come se si trattasse di un prodotto artistico tangibile, ma permette all’artista di certificarne la paternità senza incappare nella farraginosità della attuale burocrazia [45].
Il carattere immutabile dei blocchi può, però, generare non pochi problemi quando le attestazioni di autenticità indicate non siano veritiere [46], o perché lo stesso artista rinneghi, in un tempo successivo, l’autenticità dell’opera, o, perché un’opera venga certificata falsa da un giudice o attribuibile ad autore diverso. In tali circostanze, fatta salva la possibilità per l’ignaro acquirente che ha acquistato un NFT privo della qualità essenziale (autenticità) di esperire verso l’alienante i rimedi risarcitori ex art. 1497 cod. civ., è necessario che le informazioni corrette siano annotate in blocchi successivi, “pena la non veridicità dell’informazione diffusa nel network, con quanto consegue in ordine ai trasferimenti successivi e alla loro certezza” [47]. Vanno, così, indicati in blocchi successivi tutti gli accadimenti che hanno coinvolto l’opera NFT, se, cioè, essa sia stata oggetto di un contratto che abbia perso di efficacia a seguito di recesso, annullamento o risoluzione, ovvero se il contratto di vendita dell’opera d’arte sia stato coevo alla realizzazione di una fattispecie di reato punibile ex art. 178 del Codice dei beni culturali (contraffazione di opere d’arte). Solo procedendo con successive e costanti annotazioni nel registro, le transazioni, principalmente ove siano “interne” all’ambiente virtuale, potranno dirsi sicure e controllate.
Se non è escluso che l’NFT di un’opera d’arte possa essere oggetto di un contratto stipulato tra le parti al di fuori del web e sia disciplinato, dunque, alle regole di cui all’art. 1321 ss., cod. civ., è più comune che esso venga concluso on line attraverso smart contract [48]. Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà della forma del contratto, ragion per cui la manifestazione del programma negoziale può avvenire con dichiarazione orale, con comportamento concludente, con dichiarazione per iscritto o, appunto, per via informatica [49]. Con riferimento alla particolare modalità di manifestazione del consenso negli smart contracts, e in genere nei contratti telematici o cibernetici, pur nella loro differente struttura, il legislatore nazionale dapprima con legge n. 59 del 15 marzo 1997 [50] e con il d.P.R. n. 513 del 10 novembre 1997 [51], poi trasfuso nel d.P.R. n. 445 del 28 Dicembre 2000 [52], e poi con il CAD [53], ha affermato il principio della piena validità dei contratti stipulati per via informatica o telematica, prevedendo che “gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge”. Attraverso uno smart contract, dunque, le parti possono esprimere una dichiarazione intesa a realizzare un contenuto giuridicamente vincolante, imputabile direttamente ai soggetti ai quali i codici digitali sono legati e che si attua secondo quanto programmato [54].
Poiché lo smart contract va redatto con un linguaggio informatico, comprensibile agli algoritmi operanti nel protocollo [55], non è strutturato per messaggi complessi e può contenere solo l’indicazione delle parti, la determinazione o determinabilità dell’oggetto e la causa (art. 1325 cod. civ.). Lo smart contract, dunque, ha uno scheletro minimo sufficiente che non ammette formule ambigue o dal significato oscuro [56]. Il linguaggio crittografico deve essere espresso in maniera chiara e le parti devono essere in grado di intendere il contenuto del testo [57].
Con lo smart contract il creatore/autore dell’opera o un suo delegato possono trasferire ad un soggetto acquirente/utilizzatore la proprietà dell’opera NFT. Non necessariamente devono essere trasferiti i diritti d’autore legati all’opera stessa che possono rimanere in capo al creatore dell’NFT. In tale circostanza, l’opera NFT acquistata viene connessa alla identità digitale del compratore/utilizzatore, ma il diritto di copyright è sempre riconducibile al suo creatore/autore [58]. Poiché, però, i rapporti tra l’autore dell’opera e gli utilizzatori della stessa possono risultare di difficile gestione in quanto l’NFT per sua natura può avere rapidissima capacità di diffusione tanto da renderne difficile il controllo, spesso nello smart contract viene incorporata la licenza di sfruttamento economico dell’opera. Un tale accordo aggiuntivo, compatibile con il diritto comunitario [59] e con quanto tratteggiato dalla Legge sul diritto d’autore (l. 633/1941) nel nostro diritto interno [60], prevede a carico del licenziatario l’obbligo di versare una somma di denaro una tantum o un canone periodico che può essere commisurato in tutto o in parte ai ricavi del licenziatario per lo sfruttamento del diritto immateriale [61]. La licenza può essere esclusiva, ossia a favore di un solo soggetto per un determinato ambito territoriale, ovvero, non esclusiva qualora il licenziante conceda il diritto di sfruttamento economico del diritto a più soggetti all’interno di un determinato ambito territoriale. La licenza, inoltre, può essere limitata in relazione al tempo, alla tipologia, alla destinazione e alle caratteristiche tecniche degli NFT. Le parti, peraltro, possono stabilire che la licenza sia liberamente cedibile a terzi ovvero, a contrario, possono escludere le sublicenze. Tutte queste indicazioni, che dovranno essere inserite nei blocchi, consentono al titolare del diritto d’autore di gestire i rapporti con gli utilizzatori e di controllare le eventuali cessioni dell’NFT. La transazione, dunque, comprensiva eventualmente di licenza d’uso, una volta generata dal sistema è trasparente, immutabile, ha data certa ed è validata dal meccanismo della decentralizzazione.
Problema di non secondaria importanza legato all’utilizzo della blockchain per commercializzare gli NFT è rappresentato dal fatto che chi acquista opere d’arte, spesso, ha interesse a tenere celati i propri dati personali, preferendo operare nell’anonimato, soprattutto nel caso in cui oggetto della transazione sia un bene di particolare importanza e valore economico. Se dal punto di vista tecnico è prospettabile la possibilità di stoccare i dati personali al di fuori della catena, memorizzando all’interno di essa soltanto un rinvio ad essi tramite hash (stringa) [62], dal punto di vista normativo e procedimentale occorre verificare se la tecnologia blockchain sia conciliabile con il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) [63]. Il GDPR, “voluto dal legislatore eurounitario per arginare l’utilizzo indiscriminato dei dati personali da parte delle web company che fanno ricorso alla profilazione dei loro utenti per costruire artificialmente una posizione di vantaggio concorrenziale e per trarre profitti economici” [64], riconosce al titolare dei dati il diritto di sapere in quale modo essi verranno trattati (art. 12); come verranno utilizzati al momento della loro raccolta/richiesta e per quanto tempo saranno conservati (artt. 13 e 14); in qual modo sia possibile accedervi e come possano essere rettificati e modificati (art. 16); quando se ne possa chiedere la cancellazione e/o limitarne il trattamento (art. 18); come si possa riceverli in un formato strutturato così da agevolarne la consultazione (art. 20); quando ci si possa opporre all’utilizzo per profilazione o commercializzazione (art. 21). Seppure l’applicazione del GDPR sembri apparentemente incompatibile con la blockchain che si connota per decentralizzazione, accessibilità ed immutabilità dei dati in essa inseriti, ciò non deve far ritenere che la riservatezza di questi ultimi sia a priori da escludere; al contrario, essa può essere garantita da altre caratteristiche della blockchain che consentono la anonimizzazione dei dati relativi ai soggetti che hanno posto in essere una determinata operazione e la minimizzazione dei dati che vengono condivisi.
Le transazioni che hanno ad oggetto gli NFT, nello specifico, possono essere anonimizzate attraverso la rimozione, la sostituzione e la distorsione degli identificatori diretti (ad esempio il nome completo delle parti o altre caratteristiche rilevanti delle persone fisiche). Questa singola operazione spesso viene utilizzata in combinazione con altre tecniche di anonimizzazione. All’eliminazione degli identificatori diretti si può aggiungere, infatti, la tecnica della generalizzazione che comporta la riduzione del grado di dettaglio di una determinata variabile e la eliminazione degli identificatori indiretti (cioè delle altre informazioni disponibili che rendono identificabile una persona in base all’occupazione, allo stipendio, all’età etc.) [65].
La tecnica di anonimizzazione non esclude comunque che, ai sensi dell’art. 5 del G.d.P.R.., i dati personali trattati debbano essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità del trattamento (minimizzazione dei dati). Il richiamo alle finalità della raccolta rende necessario accertare, di volta in volta, quale sia lo scopo che il titolare del trattamento si prefigge al momento della richiesta dei dati personali agli interessati, in quanto il consenso di questi ultimi è, per l’appunto, legato a tale unico fine, ed un utilizzo per obiettivi diversi risulterebbe eccedente e non pertinente. Una raccolta di dati è eccedente quando risulta eccessiva, esagerata in termini numerici, troppo vasta rispetto all’intenzione di chi raccoglie le informazioni; è non pertinente quando non si lega all’obiettivo da raggiungere e non serve per la finalità che si prestabilisce. Solo prendendo in considerazione lo scopo è, quindi, possibile stabilire se i dati raccolti rispettino le condizioni di liceità di cui all’art. 6 del GDPR (cioè se rispettino finalità determinate, esplicite e legittime) e se la loro raccolta sia strettamente necessaria al raggiungimento dello scopo prefissato [66]. Proprio per non correre il rischio che il trattamento dei dati personali degli acquirenti di NFT avvenga in maniera non rispondente ai summenzionati requisiti, alcuni operatori del settore hanno provveduto ad individuare team di specialisti con il compito di verificare che le informazioni inserite nella blockchain vengano trattate in modo corretto. Si tratta di una forma di tutela piuttosto interessante posto che le blockchain operanti nel settore dell’arte devono fornire, più di altre, garanzie di riservatezza e sicurezza.
La complessità delle tecnologie utilizzate (token, blockchain, smart contract) e l’automaticità dell’adempimento che si realizza a prescindere da un comportamento delle parti, fa sì che il contratto avente ad oggetto il trasferimento di un NFT non possa essere risolto ai sensi dell’art. 1453 del cod. civ. [67] né che il bene possa essere restituito con conseguente ristoro delle spese sostenute. Agli NFT non è, infatti, applicabile neanche il diritto di recesso [68] previsto all’art. 52 del Codice del Consumo [69]. L’art. 59 del Codice del Consumo statuisce espressamente che il diritto di recesso è escluso nei contratti di servizi dopo la completa prestazione del servizio se l’esecuzione è iniziata con l’accordo espresso del consumatore e con l’accettazione della perdita del diritto di recesso a seguito della piena esecuzione del contratto da parte del professionista (lettera a); con riferimento alla fornitura di registrazioni audio o video sigillate o di software informatici sigillati che sono stati aperti dopo la consegna Inoltre il diritto di recesso è escluso (lett. i); con riferimento alla fornitura di contenuto digitale (come l’NFT) mediante un supporto non materiale (come ad esempio una chiave privata per un NFT o altro codice di riscatto dell’NFT) se l’esecuzione è iniziata con l’accordo espresso del consumatore e con la sua accettazione del fatto che in tal caso avrebbe perso il diritto di recesso (lett. o).
Poiché, però, non può aversi la certezza che i consumatori-acquirenti che si registrano sulle piattaforme virtuali nate per lo scambio di NFT leggano effettivamente i cosiddetti terms of service (le condizioni generali di un servizio) o comprendano le clausole in essi inserite ed accettate (nello specifico la clausola che prevede l’esclusione del diritto di recesso), i fornitori di servizi commerciali, allo scopo di promuovere con maggiore sicurezza le proprie attività, hanno creato un nuovo standard NFT denominato “ERC-721R” [70] che conferisce all’acquirente il diritto di recedere dal contratto entro un termine di scadenza prestabilito e di ottenere il rimborso del prezzo corrisposto per l’NFT coniato. In particolare, questo meccanismo si realizza tramite un vincolo sul deposito delle somme poste a garanzia dallo smart contract. Coloro che coniano l’NFT non possono prelevare il prezzo fino a quando non sia scaduto il periodo di attesa implementato; così, entro il termine previsto, l’acquirente ha la possibilità di effettuare un reso dell’NFT di cui è diventato titolare ottenendo automaticamente il rimborso di quanto corrisposto. Questa soluzione innovativa, sebbene ancora lontana dal vedere una diffusa applicazione pratica, rappresenta però una valida possibilità sia per riconoscere finalmente all’utente il diritto di recesso, sia per combattere la diffusa pratica del rug pull (letteralmente Tiro del tappeto) cioè quelle truffe artatamente realizzate dagli sviluppatori di un progetto che lo creano col solo scopo di abbandonarlo e scappare con i fondi pagati dagli investitori-acquirenti.
La creazione e la vendita di NFT hanno reso il mercato dell’arte un settore in forte crescita, indifferente alla crisi economica che ha colpito gli Stati Uniti e l’Europa negli ultimi dieci anni, ed in grande espansione anche sulle piazze finanziarie asiatiche [71]. Tale ascesa è stata ancor più incentivata dalla possibilità di rendere l’investimento in arte molto più accessibile e “democratico” tramite il modello del pooling investment. Alcune società di consulenza propongono, infatti, un’innovativa applicazione degli NFT, offrendo ai collezionisti (enti e/o soggetti privati) la possibilità acquistare una o più quote di NFT e di diventare co-proprietari di opere d’arte [72]. La proprietà di un’opera d’arte NFT viene, cioè, frazionata in quote (art share) così da consentire anche ai piccoli investitori di acquistare una quota di un’opera e di commercializzarla sulla blockchain quando essi necessitino di liquidità [73]. Come per le opere NFT anche per le quote, la blockchain ne traccia la storia, ne garantisce la provenienza a garanzia della verificabilità del suo valore attuale e futuro e ne ricostruisce la cronologia dei proprietari.
Dal punto di vista giuridico i token non fungibili possono certificare le shares (condivisioni) che costituiscono un’innovativa forma di “comunione” di beni (artt. 1100-1116 del codice civile). Ogni comproprietario è titolare di una percentuale/quota sull’intero bene e non già di una porzione materiale o fisica dello stesso. Ed ogni NFT equivale a un certificato di proprietà dell’opera d’arte. I comproprietari possono servirsi della cosa in comune, con l’unica limitazione di non alterare la destinazione del bene e non impedire agli altri di farne parimenti uso secondo il proprio diritto (art. 1102 cod. civ.). Essi possono chiedere ed ottenere l’esclusiva temporanea detenzione dell’opera d’arte NFT per mostre e/o iniziative pubbliche/private, previa apposita comunicazione scritta e nel rispetto dei regolamenti contrattuali sottoscritti [74]. In tali circostanze è necessario che l’opera d’arte sia garantita assicurativamente con strumenti adeguati.
Per quanto concerne le spese necessarie alla conservazione e al godimento del bene (opera d’arte), ciascun partecipante deve contribuire in proporzione alla relativa quota. Parimenti vengono suddivisi i vantaggi, le utilità che potrebbero derivare dallo sfruttamento o dal godimento dell’opera stessa (art. 1101, comma 2, cod. civ.). Spesso, l’amministrazione e la gestione del bene sono affidate, di comune accordo, ad un gestore che deve rendere note ai comproprietari le operazioni contabili assunte in ragione della gestione dell’opera, mediante la redazione e successiva approvazione di un rendiconto consuntivo annuale, deve garantire la corretta conservazione del bene, adottando, previa autorizzazione, le azioni opportune per il restauro e la manutenzione dell’opera stessa. Il gestore deve, altresì, agire nell’esclusivo interesse dei comproprietari al fine di promuovere l’opera e valorizzarne gli aspetti economici e culturali.
Se, dunque, la tecnologia blockchain offre la possibilità di realizzare opere d’arte NFT native in unico esemplare o in edizioni limitate; di creare NFT tratte da opere reali; di tracciare e conservare in modo sicuro (ed a prova di manomissione) le informazioni riguardanti le opere d’arte digitali; di vendere gli NFT o nella loro interezza o anche solo pro quota (attraverso smart contract o, più recentemente, a mezzo di aste digitali [75]); e, non ultimo, di certificarne in modo rapido l’autenticità; è pur vero, però, che l’utilizzo della blockchain e la logica creditizia ad essa sottesa crea non poche preoccupazioni in merito al fatto che la crypto art possa generare bolle speculative e che il mercato possa essere influenzato artificialmente dai dati immessi sulla catena.
Come ogni tecnica innovativa, l’utilizzo della blockchain presenta, dunque. un intreccio inestricabile di vantaggi e rischi, che avvicinano artisti e fruitori (acquirenti). Il rapporto tra questi ultimi non si fonda sulla fiducia reciproca, essi, infatti, poiché nella maggior parte dei casi vogliono mantenere l’anonimato, non si conoscono e non si conosceranno mai. Piuttosto il rapporto tra i partecipanti al sistema (artisti-venditori e fruitori-acquirenti) poggia sul mutuo controllo delle reciproche attività [76], e sull’osservanza di impegni adottati in sede comune all’atto della sottoscrizione delle condizioni contrattuali. In tale “fattispecie concertativa complessa”, lo scambio di informazioni si rivela funzionale alla realizzazione degli accordi assunti ed alla successiva verifica della loro attuazione. Ecco perché le informazioni devono essere affidabili, sicure e corrette. Utile in tale direzione è il controllo operato dai miner [77] i quali, operano per conto delle piattaforme e verificano le informazioni e le transazioni inserite nella catena. Questo processo (proof of work) necessita dell’utilizzo di macchine con elevata potenza di calcolo e ad alto consumo di energia elettrica. Poiché la maggior parte dei computer che servono le blockchain non sono alimentati con energia rinnovabile ma con energia di origine fossile, i costi ambientali di tali processi risultano essere elevatissimi [78]. Per denunciare gli impressionanti costi ambientali della Crypto Art un gruppo di artisti ha pubblicato un manifesto sottolineando la necessità di una regolamentazione apposita volta all’adozione “di una disciplina unitaria ed armonizzata per il controllo dei mercati che sfruttano risorse limitate senza riserve” [79]. Poiché è facile prevedere che in un futuro prossimo la fruizione delle opere d’arte si svilupperà prevalentemente per mezzo di immagini digitali, è auspicabile che, di là dalle soluzioni più sostenibili proposte dagli esperti del settore [80], gli Stati dell’Unione pongano fine in tempi rapidi al vuoto normativo regolamentando i processi che avvengono nelle piattaforme e limitando il consumo energetico che essi comportano.
[1] I token si dividono in due categorie: Fungible Token (FT) e Non Fungible Token (NFT). I Bitcoin (la criptovaluta più nota, ma lo stesso discorso vale per tutte le altre criptovalute) sono per definizione FT poiché sono divisibili e interscambiabili. Il Bitcoin non ha dietro una Banca centrale che distribuisce nuova moneta ma si basa fondamentalmente su due principi: un network di nodi, cioè di pc, che la gestiscono in modalità distribuita (peer-to-peer) e l’uso di una forte crittografia per validare e rendere sicure le transazioni. Un token NFT, invece, è unico, non replicabile ma è scambiabile (si può comperare e si può vendere). La unicità del NFT è scritta nei metadati del token stesso, è inalterabile e permanente, è una sorta di certificato di autenticità. Il token NFT ha quindi le stesse caratteristiche della criptomoneta (sicurezza e trasferibilità) ma non è “nativo” e soprattutto “interno” alla blockchain sulla quale vengono memorizzate le transazioni che lo riguardano ma rappresenta il gemello digitale di un bene reale, un diritto “reale”, ma che esiste di fuori del sistema blockchain.
[2] La Blockchain (letteralmente catene di blocchi) si sostanzia in una tecnologia di registri distribuiti (o codici) in cui i dati delle transazioni vengono memorizzati su singoli nodi costituenti la catena, gli uni connessi agli altri, attraverso un processo di comunicazione simile alle reti peer to peer. Ciò implica che per potere modificare una singola parte della catena è necessario ottenere il consenso di tutti gli altri nodi (sul punto si vedano: P. Boucher, Come la tecnologia blockchain può cambiarci la vita, in Servizio di ricerca del Parlamento Europeo, 2017, 4; Crisci S., Intelligenza artificiale ed etica dell’algoritmo, in Foro amm. 2017, 10, 1787 ss.; M. Iansiti, K.R Lakhani, The truth about Blockchain, in Harvard Business Review 2017; C. Millard, Blockchain and law: incompatible codes?, in Computer Law & Security Review, 2018, 843 ss.). Il sistema blockchain può essere di tipo pubblico (permissionless), privato (permissioned) e a permesso condiviso (consortium). Nel primo caso, qualunque utente può contribuire all’aggiunta e all’aggiornamento dei blocchi e disporre delle copie di quanto viene approvato. Tra le più importanti blockchain pubbliche ci sono Bitcoin ed Ethereum. Il sistema Bitcoin (BTC) è stato progettato per inviare danaro in tutta sicurezza su Internet, senza necessità di intermediazione del sistema bancario e senza timori di frodi, e il suo linguaggio di programmazione, volutamente limitato per garantire una maggiore sicurezza, non consente di inviare grande quantità di dati per ogni transazione né di eseguire calcoli oltre a quelli necessari per eseguire una transazione. Ethereum (ETH) è, invece, una piattaforma decentralizzata che può essere scaricata gratuitamente e ha la capacità di essere programmata, similmente ad un computer (G. Gitti , Emissione e circolazione di criptoattività tra tipicità e atipicità dei nuovi mercati finanziari, in Banca, borsa e titoli di credito 2020, 1, 13; G. Gitti, M. Maugeri, C. Ferrara, Offerte iniziali e scambi di cripto attività, in Osservatorio del diritto civile e commerciale 2019, 1, 103; F. Bartolini, Requisiti della criptovaluta, ex articolo 2464, comma 2, c.c. ai fini del conferimento nel capitale sociale di una s.r.l., in Ilsocietario.it 2018). Nel caso della blockchain privata (permissioned) soltanto un numero limitato di nodi, detti trusted, può svolgere operazioni di aggiunta o aggiornamento dei blocchi, giacché in questa tipologia di blockchain vi è l’esigenza di limitare queste operazioni soltanto a coloro in possesso di una specifica autorizzazione. Ad utilizzare la tipologia di tipo privato sono in larga parte operatori economici, quali, ad esempio, compagnie aeree, società internazionali di distribuzione alimentare, compagnie energetiche, che hanno un ruolo evidentemente strategico nel mercato internazionale. Si pensi, tra gli altri, ai sistemi blockchain di tipo privato creati da British Airways per la risoluzione delle problematiche legate all’organizzazione dei voli commerciali, da UPS per la tracciabilità e la spedizione delle merci, da Walmart per la sicurezza dei prodotti alimentari o da Shell per la distribuzione di energia (G. Finocchiaro, C. Bomprezzi, A legale analysis of the use of blockchain technology for the formation of smart legal contract, in MediaLaws 2020). La blockchain del tipo “consortium” o a “permesso condiviso” o “parzialmente decentralizzata” è caratterizzata dal fatto che il processo di consenso è controllato da un insieme preselezionato di nodi che svolgono la funzione di validatori. Esempi di tale tipo blockchain è Il consorzio R3 CEV LLC, una società finanziaria e di ricerca tecnologica che coopera con un consorzio di 200 società finanziarie (tra cui Banca d’America, Goldman Sachs, Citigroup, Banca Nazionale dell’Australia, Royal Bank del Canada, Sumitomo Mitsui Banking Corporation e altri) nello sviluppo dell’utilizzo della tecnologia blockchain all’interno del sistema finanziario. Altro progetto del tipo consorzio è Hyperledger, un progetto della Fondazione Linux che si basa su una blockchain con codice open source per supportare lo sviluppo collaborativo di registri distribuiti sulla base della blockchain. Cisco, Hitachi, IBM, Intel, NEC, J.P. Morgan, SAP e altri figurano tra coloro che vi hanno preso parte (Abriani N., Il diritto societario incontra il diritto dell’informazione. IT, corporate governance e corporate social responsability, in Riv. delle società 2020, 1326).
[3] Il primo NFT della storia viene creato materialmente il 3 maggio 2014 ed a farlo è l’artista digitale Kevin McCoy con la sua opera “Quantum” coniata su una Blockchain chiamata Namecoin e costruita sul modello Bitcoin. Quest’opera digitale consiste nell’immagine di un ottagono pixelato che cambia colore (A. Moleti, Chi ha inventato gli NFT (Non fungible token)?, in https://www.
trend-online.com).
[4] La prima opera d’arte NFT ad essere elencata in una delle principali case d’asta di Christie’s è stata quella dell’artista digitale statunitense Beeple che, nel febbraio 2021, ha lanciato il lavoro Everydays. The first 5000 days (Beeple Brings Crypto to Christie’s, in https://www.nytimes.com) pagato ben sessantanove milioni di dollari. Beeple è autore di numerose altre opere NFT: Crossroad, rilasciato e venduto per 6,60 milioni di dollari dopo la sconfitta di Donald Trump, rappresentava l’ex presidente giacente sul ciglio di una strada, nudo con il corpo pieno di graffiti e scritte offensive; Ocean Front battuto per 6 milioni di dollari che, in tema di cambiamenti climatici, rappresenta una piattaforma di container da cui spicca un albero (forse l’ultimo rimasto), in mezzo ad un oceano (sciolto) che si perde a vista d’occhio (Quali sono gli NFT più costosi che sono stati venduti finora? Ecco la lista delle opere d’arte crypto da milioni di dollari!, in https://youngplatform.com). Recentemente, la startup italiana Reasoned Art ha portato L’Arco della Pace di Milano, primo monumento al mondo, nel Metaverso trasformandolo in un NFT che è stato messo in vendita per finanziare un nuovo polo di ricerca, interamente dedicato all’arte, alla scienza e alla tecnologia (NFT. L’Arco della Pace è il primo monumento del Metaverso, in https://www.exibart.com).
[5] I Kings of Leon nel marzo 2021 pubblicano When You See Yourself, il primo album musicale venduto anche tramite NFT (Dai Kings of Leon arriva il primo album disponibile anche via criptovaluta, in https://www.ilsole24ore.com; Hissong S., Kings of Leon Will Be the First Band to Release an Album as an NFT, in https://www.rollingstone.com) e, nello stesso mese, gli italiani Belladonna diventano con il loro singolo New Future Travelogue i primi al mondo a includere nell’NFT i diritti del brano, ed i primi artisti in Italia a vendere un brano musicale come NFT in copia unica (Belladonna primi artisti italiani a pubblicare singolo come Nft, in https://www.adnkronos.com; BELLADONNA – Italian quintet becomes the first rock band in the world to auction a new single as a 1-of-1 NFT, in https://www.femmemetalwebzine.net). Nell’aprile del 2021 Morgan lancia un’asta per la sua canzone inedita Premessa della premessa in NFT che viene aggiudicata per 10 ETH (circa ventuno mila euro). L’acquirente dell’opera, oltre a diventarne l’unico proprietario e titolare esclusivo, ha ricevuto anche da Morgan le stampe uniche ed originali autografate con il testo del brano.
[6] Il meme è un elemento culturale che si propaga, per imitazione, da un individuo a un altro; può assumere la forma di un’idea, un’immagine, uno stile o un comportamento, e si diffonde tramite le relazioni interpersonali o attraverso i mezzi di comunicazione di massa. I memi, così come i geni, hanno le proprietà di replicarsi, mutare, ed essere soggetti a selezione naturale. I primi NFT ad essere creati sono stati i giochi catena di blocchi CryptoKitties che utilizzavano NFT sulla catena di blocchi di Ethereum (Wong J., The Ethereum world is now obsessed with breeding cartoon cats, in https://qz.com).
[7] Il tweet è un messaggio di testo avente una lunghezza non superiore a 140 caratteri, inviato a un sito Internet tramite instant messenger, e-mail o cellulare con lo scopo di comunicare informazioni in tempo reale. Nel dicembre 2021 Vodafone ha venduto all’asta come gettone non fungibile il primo SMS al mondo, inviato nel 1992: un offerente anonimo se l’è aggiudicato per 107.000 euro, che sono stati donati all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Vodafone: il primo sms all’asta per 107mila euro – Economia, in https://www.ansa.it).
[8] L’acronimo GIF (Graphics Interchange Format) è un formato per immagini digitali di tipo bitmap che permette la visualizzazione massima di soli 256 colori. Le immagini animate che ci sono su internet sono sequenze di fotogrammi di tipo GIF. L’NFT della gif Nyan Cat di Chris Torres, con un gatto incastrato in un dolcetto che vola per una notte stellata lasciandosi dietro un arcobaleno, è stato battuto per quasi 600 mila dollari in forma di 300 Ethereum (G. Di Donfrancesco, La GIF di Nyan Cat è andata all’asta per mezzo milione di dollari, in https://it.mashable.com).
[9] La tokenizzazione implica un processo di trasformazione che prende le proprietà di quell’oggetto. Questo processo di trasformazione consiste nella digitalizzazione di detto oggetto e nel portare tutte le sue informazioni in un blocco di una blockchain. Una volta registrato, può essere scambiato o conservato. Durante questo processo, a quell’oggetto viene assegnato un token che consente a tale oggetto di essere manipolato come parte integrante di detta blockchain. La tokenizzazione su blockchain può essere applicata praticamente a qualsiasi cosa (F.M. Livelli, Tokenizzazione degli asset: scenari e sfide, in https://www.blockchain4innovation.it).
[10] I metadati sono le informazioni di cui bisogna dotare il documento informatico per poterlo correttamente formare, gestire e conservare nel tempo. Il documento informatico è, infatti, privo di un supporto materiale ed è memorizzato in sistemi che contengono moltissimi oggetti digitali; per poter essere conservato, reso accessibile nel tempo, e per poter essere correttamente inserito nel suo contesto, deve essere posto in relazione ad un insieme di informazioni che lo descrivano a vari livelli. I metadati basilari sono il formato e il nome del file, le specifiche tecniche sulla versione del software e sul hardware, le date di creazione, di accesso e di ultima modifica, l’autore; quelli più complessi la descrizione, l’oggetto, i termini di rilascio, accesso e uso, ecc. L’Allegato 5 al DPCM 3 dicembre 2013 (Regole tecniche in materia di sistema di conservazione ai sensi degli articoli 20, commi 3 e 5-bis, 23-ter, comma 4, 43, commi 1 e 3, 44, 44-bis e 71, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005), in G.U. n. 59 del 12 marzo 2014, prevede quali metadati minimi che devono essere associati al documento informatico, l’identificativo, la data di chiusura, l’oggetto, il soggetto produttore, il destinatario.
[11] L’art. 64 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004, in G.U. n. 45 del 24 febbraio 2004) il quale testualmente afferma che “chiunque esercita l’attività di vendita al pubblico, di esposizione a fini di commercio o di intermediazione finalizzata alla vendita di opere di pittura, di scultura, di grafica ovvero di oggetti d’antichità o di interesse storico od archeologico, o comunque abitualmente vende le opere o gli oggetti medesimi, ha l’obbligo di consegnare all’acquirente la documentazione che ne attesti l’autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza delle opere medesime; ovvero, in mancanza, di rilasciare, con le modalità previste dalle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza. Tale dichiarazione, ove possibile in relazione alla natura dell’opera o dell’oggetto, è apposta su copia fotografica degli stessi”.
[12] L’utilizzo della tokenizzazione per rendere “fungibile” ciò che naturaliter è infungibile riporta d’attualità le considerazioni svolte da W. Benjamin, (L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, 2000, 12) circa la perdita dell’aura dell’opera d’arte per effetto della sua riproduzione tecnica.
[13] Un esempio di contratto derivato su opera d’arte è il contratto con il quale il collezionista/investitore non acquista il manufatto artistico, bensì la facoltà di acquistarlo (opzione call) nel tempo futuro dietro il pagamento di un “premio”. L’oggetto del negozio giuridico non è qui la res in quanto tale ma il diritto di acquistarla ad un prezzo certo: ciascuna delle parti del contratto effettua, quindi, una scommessa di segno opposto sull’andamento nel tempo del valore dell’opera d’arte. In questa prospettiva, di solito l’acquirente non ha alcun interesse a disporre materialmente della res; il che emerge con evidenza là dove si stabilisca di eseguire l’obbligazione contrattuale del venditore soltanto “per differenza”, ovvero senza alienare l’opera d’arte bensì versando una somma pari alla differenza tra il premio concordato e la maggiore quotazione dell’opera all’esercizio dell’opzione (G. Trovatore, L’opera d’arte e il suo valore nell’epoca della blockchain, in Arte e diritto 2022, 1, 81).
[14] Anche nel caso dei fondi comuni d’investimento in arte il gestore del fondo acquista le opere all’unico scopo di ottenere una plusvalenza dalla loro successiva rivendita accrescendo così nel tempo il valore delle quote del fondo; e sebbene alcuni fondi offrano ai quotisti la possibilità di fruire temporaneamente delle opere d’arte acquistate, la scissione tra la titolarità delle quote e il potere di gestione rimarca che l’interesse dei sottoscrittori consiste principalmente nella remunerazione del loro investimento (G. Trovatore, L’opera d’arte e il suo valore nell’epoca della blockchain, cit. 81).
[15] L’equivoco che nasce dalla qualificazione di “prodotto finanziario” contenuta nell’art. 1, comma 1, lettera u) del TUF (Decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998, in G.U. 26 marzo 1998), il quale, fa ricadere nell’alveo della nozione di “prodotto finanziario “ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”, è prontamente chiarito dalla giurisprudenza. La Suprema Corte, infatti, afferma che, con riferimento ad un’offerta al pubblico di contratti di compravendita di opere d’arte con diritto di riscatto, costituisce un “investimento di natura finanziaria” – ed è perciò riconducibile alla normativa di settore del mercato finanziario – ogni operazione economica in cui siano compresenti un impiego di capitale, un’aspettativa di rendimento ed un rischio connesso all’impiego del capitale conferito (Corte di Cassazione, sentenza n. 5911 del 12 marzo 2018, in https://www.gazzettanota
rile.com).
[16] La principale somiglianza tra le NFT e gli strumenti finanziari dematerializzati attiene al carattere necessariamente intermediato della circolazione: come il trasferimento degli strumenti finanziari può effettuarsi soltanto in forma di registrazioni contabili effettuate dagli intermediari che fanno parte del sistema, così anche il token può circolare materialmente, benché in forma digitale, soltanto all’interno di una determinata infrastruttura informatica (Martorano F., Titoli di credito dematerializzati, Milano 2000, 129). La fondamentale differenza è che mentre gli strumenti finanziari dematerializzati (ma anche cartolari) circolano ormai soltanto all’interno del sistema di gestione accentrata, l’opera d’arte tokenizzata, ove non sia stata altresì immobilizzata, può anche circolare al di fuori della blockchain (P. Spada, La circolazione della “ricchezza assente” alla fine del millennio, in Banca borsa titoli di credito 1999, 1, 408; G. Trovatore, Sulla “neutralità” del sistema di gestione accentrata di strumenti finanziari, in Rivista di diritto civile 2001, 347).
[17] Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la Direttiva 2011/61/UE, in G.U.U.E. n. L173/349 del 12 giugno 2014.
[18] J. Levinson, Intrinsic value and the notion of a life, in The journal of aesthetics and art criticism 2004, 6, 319.
[19] L’art. 2575 cod. civ. statuisce che “formano oggetto del diritto di autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”.
[20] Legge n. 633 del 22 aprile 1941 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), in G.U. n. del166 del 16 luglio 1941.
[21] La protezione del diritto d’autore postula il requisito dell’originalità. Occorre, cioè, stabilire se l’opera sia o meno frutto di un’elaborazione creativa originale rispetto ad opere precedenti, ma con un’importante precisazione, che la creatività e l’originalità sussistono anche qualora l’opera sia composta da idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa, purché formulate ed organizzate in modo personale ed autonomo rispetto alle precedenti (Corte d’Appello di Venezia, sentenza del 9 luglio 2014, in Redazione Giuffrè, 2014).
[22] Il concetto giuridico di creatività postula che l’opera dell’ingegno sia frutto di personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate in via esemplificativa all’art. 1 L.d.a. e consiste nella forma della sua espressione, che rifletta la personalità del suo autore manifestando scelte libere e creative di quest’ultimo. Il carattere creativo dell’opera dell’ingegno è un fatto che è rimesso all’accertamento del giudice di merito, incensurabile quando è sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici (Corte di Cassazione, sentenza n. 10300 del 29 maggio 2020, in AIDA, 2020, 1, 784).
[23] La unicità consiste nell’individualità della rappresentazione, ossia nell’idoneità dell’opera ad esprimere in modo personale un sentimento, un’idea, un fatto (Consiglio di Stato, sentenza n. 6324 del 20 luglio 2022, in https://www.sentenzeappalti.it).
[24] Su alcune piattaforme la coniazione del token è gratuita, mentre su altre essa avviene a pagamento, per cui è necessario che il creatore possegga un wallet su cui avrà depositato la criptovaluta. I Wallet sono strumenti di pagamento elettronico, solitamente sotto forma di app. Il Wallet memorizza in completa sicurezza le versioni virtuali delle carte di debito e di credito, così che è possibile pagare senza inserire i dati della carta. Esistono i c.d. Wallet aperti (accettati quasi ovunque) con cui si possono effettuare acquisti online e pagamenti contactless nei negozi, ricevere cashback, e anche prelevare da ATM convenzionati; ed i Wallet semi-chiusi o chiusi con cui possono essere effettuate transazioni presso un gruppo predefinito di rivenditori, o solo con il rivenditore emittente.
[25] L. Mansani, Proprietà intellettuale e giacimenti culturali, in AIDA, 2013,118.
[26] Corte di Cassazione, sentenza n. 4213 del 16 marzo 2012, in Foro it., 2013, 1137. In dottrina sul punto Scognamiglio C., Proprietà museali ed usi non autorizzati di terzi, in AIDA 1999, 74 il quale afferma che il “di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo” può implicare “il potere di utilizzare economicamente il bene ... riproducendo la sua immagine esteriore e moltiplicandola in copie” al fine di “evitare che un’utilizzazione economica non regolamentata possa risolversi in una flessione del valore del bene (o, più correttamente, delle riproduzioni dello stesso)”. Dello stesso tenore Fusi M., Sulla riproduzione non autorizzata di cose altrui in pubblicità, in Riv. dir. ind., 2006, 89 e ss.
[27] P.L. Cardella, Prime osservazioni in tema di non fungible token (NFT) e imposta sul valore aggiunto, in https://www.
rivistadirittotributario.it.
[28] Di una stessa opera NFT potranno, quindi, essere vendute diverse copie a soggetti diversi che saranno tutti, allo stesso modo, proprietari di una singola copia digitale ma non ovviamente dell’originale che rimarrà di proprietà esclusiva dell’autore dell’NFT.
[29] Se l’attività del creator è riconducibile nell’ambito della disciplina del lavoro autonomo, ai redditi percepiti è applicabile la relativa imposta diretta di cui all’art. 54 TUIR. Qualora si tratti invece di un’operazione posta in essere nell’ambito della normale attività imprenditoriale, avremo una prestazione rilevante ai fini del reddito d’impresa. Le cessioni occasionali daranno luogo, da ultimo, alla generazione di un reddito diverso con applicazione dell’art. 67 TUIR per attività di lavoro autonomo o d’impresa occasionale. Ai fini dell’IVA, la verifica dovrà incentrarsi sulla riconducibilità o meno dell’NFT alla disciplina del diritto d’autore, valutando se si possa o meno ritenere che le prestazioni siano rilevanti in tal senso.
[30] G. Manfredi, La tutela proprietaria dell’immateriale economico nei beni culturali, in Dir. econ. 2017, 29 ss.; G. Morbidelli, Il valore immateriale dei beni culturali, in Aa.Vv, I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche, Napoli 2014, 171; S. Barile, Verso una nuova ipotesi di rappresentazione del concetto di bene culturale, in Aa.Vv., Patrimonio culturale e creazione di valore. Verso nuovi percorsi, Padova 2012, 71; G. Resta, L’immagine dei beni, in Aa.Vv., Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino 2011, 554.
[31] S. Hecker, M. Vanzetti, L’originale nell’arte come concetto mutevole nel tempo e nell’ambito della sua attuale tutela, in Arte e diritto 2022, 1, 29, secondo cui le accezioni di originale e copia vanno ripensate. Ci si chiede, infatti, se l’NFT di un’opera reale, nella specie del Tondo Doni, “sia una riproduzione, una copia oppure un nuovo originale”. Nel caso di opere d’arte si parla di replica quando essa è realizzata dallo stesso autore, mentre se una generica riproduzione è compiuta da un autore diverso da colui che ha dato vita all’originale essa viene chiamata copia. L’NFT del Tondo Doni è una copia digitale di un’opera del passato e non ci si può riferire ad essa parlando di originale anche se essa costituisca un pezzo unico e non venga replicato.
[32] Tra le opere selezionate vi erano la “Madonna del Granduca”, la “Velata” e la “Madonna del Cardellino” di Raffaello, “La nascita di Venere”, la “Primavera” e la “Calunnia” di Botticelli, “L’annunciazione” e il “Battesimo di Cristo” di Leonardo, “L’Eleonora da Toledo” del Bronzino, il “Bacco” di Caravaggio, “I quattro filosofi” di Rubens, “La leda e il cigno” di Tintoretto, la “Venere di Urbino” di Tiziano, “La veduta di Palazzo Ducale a Venezia” di Canaletto.
[33] Il Tondo Doni è stato venduto per 240 mila euro ad un anonimo collezionista ed ha fruttato agli Uffizi, secondo le intese raggiunte, una somma di circa 70 mila euro.
[34] Emblematici sono stati i casi dell’Everson Museum di Syracuse, che ha affidato Red Composition di Jackson Pollock a Christie’s per ricavare fondi e acquisire opere di donne e di artisti di colore; ma anche quello del Brooklyn Museum, che ha venduto 12 dipinti (tra cui un Cranach e un Courbet) per sopperire agli effetti della pandemia; o, ancora, quello del Baltimore Museum che ha ceduto tre masterpiece a Sotheby’s per un incasso lampo da 65 milioni di dollari.
[35] La Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui mercati delle criptovalute e modifica della Direttiva (UE) 2019/1937 (Markets in Crypto-Assets Regulation – MiCA) è stata pubblicata dalla Commissione Europea il 24 settembre 2020, in https://eur-lex.europa.eu. Il MiCA, che ha lo scopo di rappresentare l’impianto autorizzativo, regolatorio e di vigilanza a cui nei prossimi anni gli attori del mercato dovranno rifarsi all’interno dell’Unione, istituisce un duplice regime regolamentare. Il primo è relativo alle cd. utility token cioè alle cripto-attività destinate a fornire l’accesso digitale a un bene o a un servizio, disponibile mediante DLT (tecnologia di registro distribuito), e che è accettato solo dall’emittente di tale token. Il secondo è relativo ai token collegati ad attività (asset-referenced token – “ART”) cioè alle cripto-attività “che intendono mantenere un valore stabile facendo riferimento al valore di diverse monete fiduciarie aventi corso legale, di una o più merci o di una o più cripto-attività, oppure di una combinazione di tali attività” ed ai token di moneta elettronica (e-money token – “EMT”), cripto-attività il cui scopo principale è quello di essere utilizzato come mezzo di scambio e che mira a mantenere un valore stabile facendo riferimento al valore di una moneta fiduciaria avente corso legale (A. Borri, NFT & Cripto. La proposta di regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets Regulation), in https://compliancedesign.it). Il Mica non può applicarsi alle criptovalute che si qualificano come: strumenti finanziari (come definiti all’art. 4, paragrafo 1, punto 15), della direttiva 2014/65/UE (MiFID (Markets in financial instruments directive) II)); alla moneta elettronica (come definita all’art. 2, punto 2), della direttiva 2009/110/CE (E-Money Directive or the electronic money directive (EMD), salvo quando si qualificano come gettoni di moneta elettronica ai sensi del presente regolamento); ai depositi (come definiti all’art. 2, paragrafo 1, punto 3), della Direttiva 2014/49/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi; ai depositi strutturati (come definiti all’art. 4, paragrafo 1, punto 43), della direttiva 2014/65/UE (MiFID (Markets in financial instruments directive) II)); alla cartolarizzazione (come definita all’art. 2, punto (1), del Regolamento (UE) 2017/2402 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, che stabilisce un quadro generale per la cartolarizzazione, instaura un quadro specifico per cartolarizzazioni semplici, trasparenti e standardizzate.
[36] Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione, in https://eur-lex.europa.eu.
[37] Lavori della VII Commissione permanente (Cultura, scienza e istruzione) del 15 giugno 2022, (Indagine conoscitiva sull’uso dei certificati digitali di unicità (non fungible token – NFT) nell’arte (Deliberazione), in https://www.camera.it.
[38] Legge n. 106 del 29 luglio 2014 (Conversione, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo), in G.U. n. 175 del 30 luglio 2014.
[39] R. De Meo, La riproduzione digitale delle opere museali fra valorizzazione culturale ed economica, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2019, 3, 669.
[40] Decreto legislativo n. 102 del 18 maggio 2015 (Attuazione della direttiva 2013/37/UE che modifica la direttiva 2003/98/CE, relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico), in G.U. n. 158 del 10 luglio 2015.
[41] A.L. Tarasco, Il patrimonio culturale. Modelli digestione e finanza pubblica, Napoli 2017, 269; P. Magnani, Musei e valorizzazione delle collezioni: questioni aperte in tema di sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale sulle immagini delle opere, in Riv. dir. ind. 2016, I, 214; S. Fantini, Beni culturali e valorizzazione della componente immateriale, in Aa.Vv., I beni immateriali, Napoli 2014, 171; G. Guerzoni, S. Stabile, I contenuti museali digitali, in Aa.Vv., Il diritto dell’arte, II, La circolazione delle opere d’arte, Torino 2013, 228; L. Mansani, Proprietà intellettuale e giacimenti culturali, in AIDA, 2013, 122.
[42] Tra i maggiori circuiti di compravendite attualmente c’è OpenSea.Io, una piattaforma peer to peer che si definisce “fornitore di oggetti digitali rari e pezzi da collezionare”. Per accedere a questa piattaforma è sufficiente che l’utente crei un account grazie al quale può sfogliare il catalogo ed ordinare i prodotti. Anche Rarible, simile ad OpenSea.Io, è una piattaforma commerciale democratica che consente agli artisti ed ai creativi di pubblicare e vendere NFT. Chi acquista i token emessi dalla piattaforma (che prendono il nome di RARI) ha diritto a partecipare ai processi decisionali che interessano le tariffe e le regole della community. Foundation è una piattaforma completamente diversa. Su di essa gli artisti devono ricevere “upvotes” o essere invitati da altri creatori per potere pubblicare le proprie opere. L’esclusività della community ed il costo di ingresso degli artisti che devono pagare delle “gas fees” per potere coniare i propri NFT, permettono a questa piattaforma di vantare opere di altissimo livello.
[43] Risoluzione del Parlamento europeo del 3 ottobre 2018 sulle tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione (2017/2772(RSP)), in https://eur-lex.europa.eu.
[44] Sulla catena di blocchi è possibile cristallizzare informazioni relative a quelle manifestazioni artistiche che, ad esempio, esprimono un’idea; a quelle effimere, destinate, cioè, a venire meno; a quelle che si concretizzano nell’uso di oggetti quotidiani o industriali e, infine, alle installazioni che impongono riattivazioni della medesima opera. In particolare, ci sembra che sia possibile memorizzare le opere che si sostanziano in “indicazioni” provenienti dall’autore, relative alla loro futura realizzazione, in genere contenute in un documento scritto. Famoso creatore di questo genere di opere è Salvatore Garau che ha venduto all’asta per poco più di 27 mila euro la sua “scultura immateriale” Davanti a te, ritoccando verso l’alto la cifra massima raggiunta per questa particolare tipologia di opera d’arte (15 mila euro per Io sono, sempre a lui appartenente). Oggetto dell’asta, tenutasi all’interno dell’asta 4 U News della auction house milanese Art Rite, non è un’opera tangibile ma bensì un’idea di scultura accompagnata da un certificato di autenticità, che poi sarà dato al compratore. Nel certificato si legge che l’opera è da collocare in uno spazio libero da qualsiasi ingombro, di circa 200 x 200 centimetri, e che il certificato non può essere esposto nello spazio riservato all’opera (La scultura immateriale di Salvatore Garau, in https://wumagazine.com).
[45] Il diritto d’autore sorge con la creazione dell’opera. A differenza di quanto accade con i brevetti o con i marchi non è quindi necessario alcun tipo di deposito per ottenere il diritto, essendo sufficiente dimostrare di esserne gli autori e di avere creato l’opera prima di altri. Per facilitare la prova da offrire in merito alla paternità di un’opera si può, però, effettuare un deposito dell’opera presso un ente che ne certifichi la data. In Italia questo ruolo è assunto essenzialmente dalla SIAE presso la quale possono essere depositate opere anche inedite. Per effettuare il deposito è necessario predisporre una copia dell’opera che si vuol tutelare, sotto forma di documento cartaceo e/o di supporto magnetico. Tale copia, accompagnata da una dichiarazione di paternità, viene conservato dalla SIAE e custodito senza renderlo accessibile al pubblico. La SIAE rilascia al depositante un attestazione di avvenuto deposito nel quale viene assegnato un numero ed una data di deposito ma non effettua alcun controllo sul contenuto di quanto viene depositato. La lettera b) delle Condizioni di deposito (in https://www.siae.it) prevede, infatti, che “il deposito ha carattere privato ed è accettato dalla SIAE agli effetti di costituire una prova di esistenza dell’opera alla data di deposito”, con la conseguenza che se si procede a depositare presso la SIAE un’opera che non sia proteggibile ai sensi della Legge sul diritto d’Autore, con il deposito non si acquisterà alcun diritto neppure nel caso in cui il deposito venga accettato dalla SIAE. Il deposito ha una durata di 5 anni e può essere rinnovato alla scadenza per un uguale periodo salva la facoltà del titolare di ritirare in ogni momento l’opera. Se alla scadenza il titolare non ritira l’opera o non rinnova il deposito la SIAE si ritiene autorizzata alla distruzione del materiale stesso.
[46] Caso piuttosto noto è quello di un utente che si è registrato su una piattaforma come proprietario della “Gioconda” di Leonardo ottenendo un certificato che comprovava tale sua qualifica (G. Trincardi, Questo tizio è diventato "l’autore" della Gioconda con un servizio blockchain, in https://www.vice.com).
[47] G. Frezza, Blockchain, autenticazione ed arte contemporanea, in Diritto di famiglia e delle persone, 2020, 2, 489.
[48] Sulla base del rapporto che lega codice informatico e accordo, gli smart contract possono essere semplici veicoli di scambio delle dichiarazioni negoziali (smart contract con funzione strumentale); atti di esecuzione di contratti conclusi in forma tradizionale (smart contract con funzione esecutiva); o, ancora, fonti del vincolo negoziale “in quanto creano, modificano, trasferiscono diritti, doveri e poteri” (smart contract con funzione costitutiva). Per maggiori approfondimenti sul tema si rimanda a M. Tommasini, Lo smart contract ed il diritto dei contratti, in Jus civile, 2022, 4, 831 e ss.
[49] F Carnelutti., Voce Documento (Teoria moderna), in Noviss. dig. it., Torino 1964, IV, 86, evidenziava l’irrilevanza della materia, affermando che “qualunque materia, atta a formare una cosa rappresentativa, può entrare nel documento: tela, cera, metallo, pietra e via dicendo”.
[50] Legge n.59 del 15 marzo 1997 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), in G.U. n. 63 del 17 marzo1997.
[51] D.P.R. n. 513 del 10 novembre 1997 (Regolamento recante criteri e modalità per la formazione, l’archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici, a norma dell’art. 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59), in G.U. n.60 del 13 marzo 1998.
[52] D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000 (Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa), in G.U. n. 42 del 20 febbraio 2001.
[53] Il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) è un testo unico che riunisce e organizza le norme riguardanti l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione nei rapporti con i cittadini e le imprese. Istituito con il decreto legislativo n. 82 del 7 marzo 2005, è stato successivamente modificato e integrato prima con il decreto legislativo n. 179 del 22 agosto 2016 e poi con il decreto legislativo n. 217 del 13 dicembre 2017 per promuovere e rendere effettivi i diritti di cittadinanza digitale.
[54] M. Giuliano, L’adempimento delle obbligazioni pecuniarie nell’era digitale, cit. 170.
[55] E. Mik, Smart contract: terminology, technical limitations and real world complexity, in Law, innovation and technology 2017, 9.
[56] M, Raskin, The law and legality of smart contract, in Georgetown law technology review 2017, 325 afferma che “ambiguity is anathema to computer language”.
[57] Ai fini della validità del contratto le parti devono dar prova di comprendere il significato dello smart contract, il che può avvenire “sia per espressa loro ammissione effettuata in linguaggio naturale, sia per deduzione in considerazione delle loro comprovate competenze tecniche”. In entrambi i casi si tratta di accertare se le parti sono “in grado di avere accesso e di comprendere il significato del codice di programmazione con cui è predisposto lo smart contract e le conseguenze della sua esecuzione, attribuendo quindi ad esso la fonte primaria delle loro obbligazioni” (F. Rampone, Smart contract: né smart né contract, in Rivista di diritto privato 2020, 10 e ss.). Nel caso in cui il linguaggio informatico non sia compreso pienamente, parte della dottrina ritiene plausibile che le parti possano accompagnare lo smart contract con una versione del contratto espressa con un linguaggio naturale (Stazi A., Automazione contrattuale e contratti “intelligenti”. Gli smart contract nel diritto comparato, Torino 2019, 147).
[58] N. Muciaccia, Diritti connessi e tutela delle opere dell’intelligenza artificiale, in Giur. Commerciale, 2021, 4, 761.
[59] Si veda il Regolamento (UE) n. 316/2014 della Commissione, del 21 marzo 2014, relativo all’applicazione dell’art. 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi di trasferimento di tecnologia Testo rilevante ai fini del SEE, in G.U.U.E. L93 del 28 marzo 2014; e più recentemente la Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE, in G.U.U.E. L130/92 del 17 maggio 2019. In dottrina per un inquadramento della c.d. Direttiva Copyright si veda V. Falce, M.L. Bixio, Brevi note sul principio di fair remuneratione fair contract nella Direttiva Copyright, in Riv. dir. Industriale, 2020, 4, 261.
[60] Sul punto S. Sandri. I contratti di licenza in Italia, in Riv. dir. Industriale, 1996, 1, 43.
[61] Le licenze a titolo gratuito sono estremamente rare, ma possono essere stipulate nel caso in cui, ad esempio, il licenziante voglia avvalersi della collaborazione del licenziatario per diffondere nel mercato una tecnologia ancora sconosciuta e con poco mercato. Più comuni sono certamente le licenze a titolo oneroso. Il corrispettivo della concessione della licenza (esclusiva o meno) dipende da fattori di difficile determinazione e previsione, quali ad esempio, l’ampiezza della privativa concessa, l’esclusività o meno della licenza, l’evoluzione tecnologica del settore, la penetrazione sul mercato del prodotto e la possibilità di ulteriore espansione nella distribuzione del prodotto stesso. La prassi ha individuato diverse forme di corrispettivo, quali ad esempio, Lump sum, Paid up, Down payment, Royalties. La Lump sum è un corrispettivo unitario, una somma globale una tantum che il licenziatario corrisponde al licenziante per tutta la durata della licenza. Pertanto, il pagamento della Lump sum è indipendente dall’entità dei profitti che realizzerà il licenziatario con lo sfruttamento economico della privativa oggetto della licenza. Tale scelta, ovviamente, potrà essere favorevole al licenziante nel caso in cui lo sviluppo e la penetrazione nel mercato del bene licenziato siano inferiori a quanto ipotizzato in sede di contrattazione e sottoscrizione del contratto. Viceversa, il corrispettivo Lump sum potrà essere favorevole al licenziatario qualora la risposta del mercato sia superiore alle aspettative. Il Paid-up è un corrispettivo che "copre" una certa capacità produttiva, superata la quale il corrispettivo dovrà essere determinato con altri metodi, ad esempio con il metodo della Royalty. Pertanto, il licenziatario paga un corrispettivo al licenziante per produrre in un dato periodo di tempo una determinata quantità di prodotti, superata la quale sarà opportuno prevedere altri metodi di determinazione del corrispettivo, quali ad esempio le Royalties ovvero il pagamento di un’altra somma una tantum. Il Paid up, pertanto, consente al licenziante di ricevere un corrispettivo fisso, nonostante la capacità di penetrazione del mercato del bene sia inferiore alle aspettative, garantendo, in ogni caso, di regolare i casi in cui lo sfruttamento economico del licenziatario sia superiore alle capacità produttiva preventivata nel contratto. Il Down payment, letteralmente, significa cifra anticipata. Solitamente l’entità del Down payment richiesto dal licenziante sarà di importo consistente nei casi in cui siano minori le garanzie di effettivo sfruttamento del diritto licenziato da parte del licenziatario. Generalmente, al Down payment, i contraenti aggiungono delle Royalties legate a fattori variabili quali la produzione o la vendita. Le Royalties sono la forma più diffusa di determinazione del corrispettivo nei contratti di licenza. In linea di massima, le Royalties rappresentano un corrispettivo variabile determinato da una percentuale su differenti fattori, quali il prezzo di vendita all’ingrosso o al dettaglio, il profitto del licenziatario, il costo di produzione. Solitamente le Royalties sono computate sulla base di una percentuale del prezzo netto di vendita del prodotto licenziato. Le Royalties possono essere crescenti o decrescenti nel tempo in relazione alle aspettative di vita commerciale del prodotto o a livelli presunti di fatturato. Tale metodo di determinazione del corrispettivo consente sia al licenziante che al licenziatario di ricevere un profitto legato al reale andamento delle vendite del bene e penetrazione del mercato.
[62] N.B.Truong, K. Sun, G. Myoung Lee, E. Guo, GDPR. Compliant Personal Data Management: a blockchain-based Solution, in IEEE Transaction on information forensics and security 2019, 1.
[63] Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), in G.U.U.E. L119/1 del 4 maggio 2016.
[64] Magri G., La Blockchain può rendere più sicuro il mercato dell’arte?, in Aedon, 2019, 2, 183.
[65] Cavalli R., Anonimizzazione del dato: le tecniche possibili, in https://www.iusinitinere.it.
[66] M. Zampetti, GDPR e minimizzazione dei dati, casi pratici d’applicazione, in https://www.cybersecurity360.it.
[67] E ciò in deroga a quanto previsto per gli smart contract aventi un oggetto diverso. Si veda in tal senso M. Tommasini, Lo smart contract e il diritto dei contratti, cit. 856.
[68] Tra i più recenti e solo a titolo esemplificativo si vedano: C. Confortini, A proposito del ius poenitendi del consumatore e della sua discussa natura, in Europa e diritto privato 2017, 4, 1343; D. Lamanna Di Salvo, La tutela del consumatore nell’ordinamento italiano tra strumenti privatistici e pubblicistici, in Giur. merito 2013, 2658; F.P. Patti, Il recesso del consumatore: l’evoluzione della normativa, in Europa e dir. priv. 2012, 4, 1007; F. Padovini, I contratti di credito ai consumatori. Il recesso e l’estinzione del rapporto, in Banca borsa tit. cred. 2011, 6, 697.
[69] D.lgs n. 206 del 6 settembre 2005, in G.U. n. 235 dell’8 ottobre 2005.
[70] Quando si parla di uno standard per NFT ci si riferisce all’identificazione univoca di un token rispetto ad altri dello stesso smart contract. Per ottenere un token non fungibile si utilizza uno standard denominato “ERC-721”. Quest’ultimo descrive come creare token non fungibili sulla blockchain di Ethereum ed è possibile immaginarlo come una sorta di template che gli utenti compilano in modo totalmente gratuito e autonomo affinché venga generato un token che sia non fungibile. In altre parole, tale standard è alla base della ormai nota distinzione tra token fungibili e non fungibili; esso è impiegato in mercati costantemente in crescita quali, ad esempio, quelli relativi agli oggetti di gioco online.
[71] Nel Metaverso cinese l’utilizzo della parola “token” è inibito poiché, secondo le istituzioni, è un rimando troppo diretto alle criptovalute (non permesse in Cina), piuttosto è utilizzata l’espressione digital collectibles che sottolinea la mera funzione di oggetti da collezione. Pur non esistendo una regolamentazione ufficiale, oltre la Muraglia non è permesso rivendere un’opera digitale. Secondo un accordo tra le grandi piattaforme di vendita, gli user possono trasferire la proprietà solo in maniera totalmente gratuita dopo un periodo di tempo variabile. Secondo le ultime direttive, inoltre, i regolatori richiedono la registrazione del nome reale per tutti gli emittenti, acquirenti e venditori di NFT, una misura che dicono è volta a prevenire il riciclaggio di denaro. Nonostante tali caratteristiche potrebbero rendere meno attraente l’acquisto di questi prodotti, al contrario in Cina le piattaforme che ne permettono la vendita stanno continuando a crescere. Finora, le principali aziende tecnologiche cinesi, tra cui Ant Group (il braccio finanziario di Alibaba), Tencent, JD.com, Baidu, NetEase e Bilibili hanno già lanciato i propri marketplace raccogliendo un enorme interesse e consenso da parte dei netizens cinesi (Metaverso e NFT in Cina: caratteristiche e primi esperimenti nelle strategie dei brand internazionali, in https://www.hylinkeurope.com).
[72] In questo settore è recentemente nata una piattaforma di art-investment che opera su tecnologia blockhain denominata Maecenas e che promuove proprio la proprietà frazionata di opere d’arte (E. Zavelev, Why Blockchain Will Impact The Art Market, in https://www.forbes.com).
[73] Gli NFT come strumento di investimento diffuso: la democratizzazione dell’arte digitale, in https://www.filodiritto.com.
[74] L’utilizzatore diventa titolare di un diritto di privativa che lo legittima a agire per evitare che i terzi possano produrre un danno al suo diritto di utilizzo del bene immateriale NFT (T.O. Scozzafava, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano 1982, 468). Il legislatore italiano, però, ha sottratto i beni immateriali al sistema delle situazioni di appartenenza, ritenendolo poco consono a tutelare gli interessi relativi a beni suscettibili di consumo non rivale e, di conseguenza, pure in relazione alla tutela del possesso, per predisporre un’apposita disciplina, più funzionale all’effettivo atteggiamento degli interessi coinvolti.
[75] Le più famose case d’aste del mondo hanno fatto solo da pochi anni il loro ingresso nella cripto-community per vendere NFT. L’asta “An American Place. The Barney A. Ebsworth Collection”, che si è tenuta nel novembre 2018 a New York da Christie’s, è stata la prima asta di richiamo internazionale a usufruire della tecnologia blockchain. “La collezione Ebsworth si presentava come un’ottima candidata per l’esperimento, vista la possibilità di ricostruire in modo dettagliato la provenienza dei singoli lotti. La collezione era una delle principali al mondo con riferimento all’arte moderna americana e comprende varie opere di Willem de Kooning, Jackson Pollock, Jasper Johns ed Edward Hopper. Il progetto pilota è stato avviato in collaborazione con una startup specializzata nel mercato dell’arte (Artory) la quale ha fornito un certificato criptato digitalmente per ciascuna delle 90 opere battute durante l’asta. Una volta conclusa l’asta, Artory ha registrato, con riguardo a ogni lotto, tutte le informazioni pubbliche utili alla sua circolazione, compresi titolo, descrizione, prezzo finale e data nella quale il trasferimento è avvenuto, creando un certificato digitale della transazione che potrà essere consegnato da Christie’s all’aggiudicatario del bene” (G. Magri, La blockchain può rendere più sicuro il mercato dell’arte?, cit. 186). In Italia la prima asta on line di NFT si è avuta nel settembre 2022 e ad occuparsene è stata la casa d’aste Pandolfini (Gli NFT arrivano da Pandolfini: in autunno la prima asta dedicata alla crypto art, in https://artness.it).
[76] Il “mutuo controllo” è ben diverso dal “controllo immediato” sulla res tipico della logica dominicale. Il proprietario, infatti, può esercitare direttamente il suo potere sulla cosa e direttamente da essa trae il soddisfacimento dei propri interessi, senza che ci sia la collaborazione di alcun soggetto.
[77] I miner sono persone che registrano e verificano le transazioni su una blockchain risolvendo problemi matematici complessi utilizzando hardware con un’elevata potenza di elaborazione. Il risultato è il nonce, un numero che, una volta ottenuto, viene aggiunto a un blocco crittato che soddisfa il livello di difficoltà nel trovare un hash. Il primo miner che identifica il nonce riceve una ricompensa nella criptovaluta nativa della blockchain (Chi sono i miner?, in https://cryptorobin.it).
[78] L’artista e ingegnere inglese di origini turche Memo Akten ha condotto sul tema uno studio denominato The Unreasonable Ecological Cost of #CryptoArt in, https://memoakten.medium.com, in cui ha calcolato il dispendio di energia di ogni operazione per singolo NFT: il minting costa 142 kWh (83 kg di Co2, che equivale al consumo di circa due settimane di energia elettrica di un singolo cittadino europeo), fare un’offerta sulla piattaforma costa 41 kWh (24 kg di Co2), cancellare un’offerta 12 kWh (7 kg di Co2), una vendita ha un costo di 87 kWh (51 kg di Co2) e un trasferimento di proprietà costa 52 kWh (30 kg di Co2). Conclusivamente l’analisi effettuata ha stabilito che un solo NFT costa circa 340 kWh che corrisponde all’emissione di 211 kg di Co2. Lo studioso, per rendere comprensibile di fronte a che entità di consumo ci troviamo, lo ha paragonato all’energia elettrica di cui un cittadino europeo si serve in un mese, all’utilizzo di un pc per tre anni, a un viaggio in auto di 1000 km o a un volo aereo di due ore.
[79] Il manifesto denominato Episode V. Toward a New Ecology of Crypto Art: A Hybrid Manifesto è pubblicato in https://flash---art.com.
[80] Una delle soluzioni in corso di sviluppo consiste nella realizzazione di piattaforme meno energivore (come ad esempio Palm o Chia) che puntano ad utilizzare una blockchain che sfrutti un algoritmo evoluto rispetto a quello di Bitcoin ed Ethereum (il “Proof of Work” o PoW). Gli algoritmi sviluppati per ridurre l’impatto ambientale sono detti Proof of Stake (PoS) e Proof of Space Time (PoST). I protocolli PoS consentirebbero di ridurre l’impatto del 99% implementando sulle piattaforme esistenti protocolli che adoperano un processo differente per convalidare le transazioni e raggiungere il consenso. Si tratta sempre di un algoritmo crittografico, ma il suo funzionamento consente più alta scalabilità delle transazioni e meno consumo energetico. Il “Proof of Space and Time” o PoST consente invece di ridurre i passaggi del mining e l’impatto ambientale, sfruttando lo spazio disponibile su hard disk e SSD e abbandonando la tecnologia cloud è possibile spegnere i relativi server (G. Parenti, Il recente fenomeno della crypto art, l’impatto ambientale e la necessaria regolamentazione, in https://rgaonline.it).