Le fondazioni popolano un territorio storicamente impervio per l’interprete: ciò in ragione di un dato normativo particolarmente carente, insufficiente e inadeguato. Né il Codice Civile né la legislazione speciale offrono una definizione di fondazione; e chi tenti di ricavarne una muovendo (esclusivamente) dal dato normativo, dovrà ben presto arrendersi all’idea che essa vada ricercata aliunde. Dovrà prendere atto che l’ordinamento, nel disciplinare (peraltro, frammentariamente) la fondazione, abbia rinunciato a porre di essa una definizione, dandola piuttosto per presupposta, lasciando all’interprete l’onere di ricercarla, indagarla e ricostruirla. L’ineludibilità di questo ufficio è chiara, tanto per lo studioso, quanto per l’operatore pratico. Entrambi necessitano, nel comune lavoro di interpretazione e applicazione del diritto, di definire il significato (giuridico) del lemma “fondazione”, poiché esso evidentemente rappresenta sia il punto di ricaduta applicativa delle disposizioni che l’ordinamento pone al riguardo sia il medio ordinante la ricostruzione analogica della disciplina applicabile al fenomeno nelle ipotesi, qui invero assai frequenti, di lacune. Di qui la necessità dell’individuazione di una definizione attuale di fondazione. Attuale, in primo luogo, nel senso di conforme al vigente, seppur scarno, diritto positivo; in secondo luogo, nel senso di idonea a reagire, includendole al proprio interno ovvero espungendole al di fuori, sulle numerose tipologie di enti isolati mercé l’analisi fenomenologica.
Foundations populate a historically impervious territory for the interpreter: this due to a particularly deficient, insufficient and inadequate normative data. Neither the Civil Code nor the special legislation offer a definition of foundation; and anyone who tries to derive one starting (exclusively) from the normative data, will soon have to surrender to the idea that it must be sought elsewhere. He will have to acknowledge that the legal system, in regulating the foundation (moreover, fragmentarily), has renounced to define it, rather giving it as a presupposition, leaving the interpreter with the burden of researching, investigating and reconstructing it. The inescapability of this office is clear, both for the scholar and for the practical operator. Both need, in the common work of interpretation and application of the law, to define the (legal) meaning of the term "foundation", since it evidently represents both the point of application of the provisions that the legal system places in this regard and the medium ordering the analogical reconstruction of the discipline applicable to the phenomenon in the hypotheses, here indeed very frequent, of gaps. Hence the need to identify a current definition of foundation. Current, firstly, in the sense of conforming to current, though sparse, positive law; secondly, in the sense of being able to react, including them internally or expunging them externally, on the numerous types of entities emerging from the phenomenological analysis.
1. Le fondazioni: inadeguatezza e insufficienza del dato positivo e assenza di una definizione (normativa) di fondazione. Ragioni storico-filosofiche e politico-economiche - 2. Esaustività ed esclusività del modello tradizionale di fondazione: la fondazione di mera erogazione - 3. Crisi del modello tradizionale e “metamorfosi” delle fondazioni. Fattori di crisi: il raffronto con l’esperienza tedesca e nordamericana negli anni ’60; in particolare, l’indagine circa il rapporto tra fondazione e impresa. Le riflessioni di Rescigno e Costi. La “neutralità” delle forme giuridiche - 4. Segue. Le evidenze dell’analisi fenomenologica e dell’esame della prassi statutaria delle “fondazioni culturali” (o “fondazioni di impresa”) negli anni ’70 - 5. Segue. La comparazione con il non profit sector statunitense negli anni ’80. Il non distribution constraint quale elemento causale discretivo tra gli enti del libro I e quelli del libro V del codice civile - 6. Segue: le indagini intorno al Typus e alle tipologie di fondazione negli anni ’90. L’individuazione di un Idealtypus storico-comparatistico propedeutico all’enucleazione di una definizione di fondazione coerente con l’attuale dato positivo - 7. Segue: la legislazione speciale. La (mini) “riforma per sottrazione” delle persone giuridiche e la riforma del riconoscimento. Le fondazioni speciali. Conferme positive della possibilità per le fondazioni di svolgere attività di impresa - 8. Segue: l’impatto della legislazione speciale sull’autonomia privata: le fondazioni di partecipazione - 9. Segue: dalla fondazione come patrimonio alla fondazione come organizzazione (e come formazione sociale) - 10. Conclusioni: il Typus della fondazione oggi. Gli elementi tipici della fondazione: destinazione di un patrimonio ad uno scopo non lucrativo e nascita di un’organizzazione con soggettività metaindividuale di rilievo reale (c.d. personificazione). Il nesso di strumentalità tra destinazione e personificazione. Differenza con il mero patrimonio destinato. La fondazione come modalità di destinazione patrimoniale indiretta e dinamica - 11. Segue. Elementi tipologici della fondazione (struttura, scopo e attività) e Gestaltungsfreiheit del fondatore. L’output della fondazione: attività di erogazione (diretta e indiretta) e attività di impresa - 12. Segue. Proposta di una definizione attuale di fondazione - NOTE
Le fondazioni popolano un territorio storicamente impervio per l’interprete, soprattutto per quello più abituato, e così maggiormente incline, all’indagine più strettamente positiva. Ciò in ragione di un dato normativo particolarmente carente, notoriamente reputato insufficiente e inadeguato [1]. Invero, né il Codice Civile né la legislazione speciale offrono una definizione di fondazione; e chi tenti di ricavarne una muovendo (esclusivamente) dal dato normativo, dovrà ben presto constatarne, appunto, l’insufficienza e l’inadeguatezza, e così arrendersi all’idea che essa vada ricercata aliunde [2]. Dovrà prendere atto che l’ordinamento, nel disciplinare – peraltro, frammentariamente – la fondazione, abbia rinunciato a porre di essa una definizione, dandola piuttosto per presupposta, lasciando all’interprete l’onere di ricercarla, indagarla e ricostruirla [3]. L’ineludibilità di questo ufficio è chiara, tanto per lo studioso, quanto per l’operatore pratico [4]. Entrambi necessitano, nel comune lavoro di interpretazione e applicazione del diritto, di definire il significato (giuridico) del lemma “fondazione”, poiché esso evidentemente rappresenta sia il punto di ricaduta applicativa delle disposizioni che l’ordinamento pone al riguardo che il medio ordinante la ricostruzione analogica della disciplina applicabile al fenomeno nelle ipotesi – qui invero assai frequenti – di lacune [5]. Per molto tempo – almeno fino agli anni ’60 del secolo scorso – la dottrina italiana non è apparsa particolarmente interessata ad una simile ricerca, né in generale è sembrata avvertire l’utilità di una riflessione aperta e approfondita sull’istituto. La ragione muoveva dalla convinzione, all’epoca assai diffusa e ancor oggi non da tutti abbandonata, per cui l’unico possibile Begriff di fondazione fosse quello – (tralatizio, più che) tradizionale, di patrimonio destinato in perpetuo ad uno scopo di pubblica utilità, eretto in persona giuridica mercé il riconoscimento dello Stato, svolgente attività di mera erogazione di rendite. Questo, si sosteneva, era il tipo [6] – rectius, la tipologia [7] – di fondazione “visualizzata” [continua ..]
Sopravvissuto alla rivoluzione francese e alla condanna illuminista, pressoché ignorato dalle codificazioni ottocentesche, coatto nelle maglie del controllo tutorio dello Stato totalitario, il modello tradizionale di fondazione era dunque compendiabile nella definizione, sopra anticipata, di patrimonio destinato (tendenzialmente) in perpetuo ad uno scopo di pubblica utilità, eretto in persona giuridica mercé il riconoscimento dell’autorità, svolgente attività di mera erogazione di rendite [27]. Per decenni, era in questo Vorbild che la communis opinio risolveva sia il Begriff che il Typus della fondazione. Ciò in quanto il modello veniva reputato, ad un tempo, esclusivo ed esaustivo [28]: esclusivo, in quanto la necessaria utilità pubblica dello scopo – naturale pendant dell’asserita connotazione antieconomica dell’istituto – impediva di concepire tipologie di fondazione istituite per scopi che non fossero di pubblica utilità; esaustivo, poiché l’inderogabilità dei suoi caratteri – quali la natura prettamente devolutiva dell’attività svolta, l’assenza assoluta di lucro (sia oggettivo che soggettivo), la tendenziale perpetuità dell’istituzione, l’indisponibilità per il fondatore del patrimonio di dotazione, il carattere concessorio del riconoscimento (il cui naturale corollario era l’ingerenza da parte dello Stato nella vita dell’ente anche successivamente alla concessione della personalità giuridica) – precludeva all’autonomia privata la possibilità di alterare o di conformare diversamente (per esempio, sul piano strutturale e organizzativo) il modello “visualizzato” dal legislatore. In un contesto in cui Vorbild, Begriff e Typus venivano fatti coincidere, discorrere di fondazioni svolgenti attività non di erogazione o di fondazioni in cui il fondatore continuasse a disporre (come amministratore) dei beni della fondazione o di fondazioni senza dotazione patrimoniale o con dotazione patrimoniale soltanto promessa – sottoscritta ma non versata, direbbe lo studioso di diritto commerciale – insomma, discorrere di tutta quella fenomenologia di fondazioni che di lì a poco avrebbero popolato lo scenario italiano (e che già da fine ‘800 avevano fatto la loro comparsa in quello internazionale), voleva dire [continua ..]
In Italia, è stato solo sul finire degli anni ’60 del secolo scorso che parte della dottrina ha iniziato a porre in discussione l’esclusività e l’esaustività di quel Vorbild, cominciando a documentarne, con proficua sensibilità, i numerosi segnali di crisi. Il ripensamento intorno al concetto tradizionale di fondazione è sembrato prendere avvio in primis sotto la pulsione della comparazione giuridica, particolarmente votata, in quegli anni, all’osservazione del panorama delle fondazioni nel sistema tedesco ed in quello nordamericano [30]. Del primo, anche grazie alla vasta eco generata dal dibattito svoltosi in seno al 44° Deutschen Juristen Tag del 1962 [31], aveva colpito la riflessione circa la necessità di ricercare un nuovo equilibrio tra la natura privatistica dell’istituto e l’interesse pubblico che storicamente ne aveva favorito la diffusione in Germania [32], nonché la possibilità di oggettivizzazione [33] e di socializzazione [34] dell’impresa, che la Rechtsform della fondazione lì pareva aver consentito [35], ma che i dogmi del civilista e del commercialista italiano di allora difficilmente permettevano di immaginare in Italia, nonostante le innegabili affinità rinvenibili, in materia di fondazioni, tra la codificazione tedesca del 1900 e quella italiana del 1942 e nonostante la significativa influenza esercitata dalla dottrina tedesca su quella italiana. Del secondo, aveva impressionato la capacità della fondazione di esser divenuta la principale protagonista del non profit sector e del pluralismo socio-istituzionale americani; temi che giusto in quegli anni iniziavano ad attirare l’attenzione dello studioso italiano [36] e che proprio l’elaborazione del privatista cominciava ad offrire agli interpreti quale nuova chiave di lettura del diritto privato in generale, e del diritto delle persone giuridiche, specie di quello delle fondazioni, in particolare [37]. In quegli anni, proprio grazie all’analisi comparatistica – segnatamente all’osservazione dell’esperienza tedesca – un primo importante segnale di cedimento dell’esclusività e dell’esaustività del modello tradizionale della Hauptgeldstiftung emergeva dalla riflessione che andava svolgendosi intorno al rapporto tra fondazione e impresa. Riflessione inaugurata, [continua ..]
La riflessione intorno al concetto di fondazione è proseguita negli anni ’70, concentrandosi specialmente sulla prassi statutaria delle così dette “fondazioni culturali” o “fondazioni di impresa” [68], che ormai da alcuni decenni cominciavano a diffondersi in Italia, divenendo in breve tempo un fenomeno ampio e di sempre maggior rilievo nel panorama socio-economico del paese. A riguardo, la dottrina [69] rilevava come l’analisi degli atti costitutivi e degli statuti di questa tipologia di fondazioni evidenziasse una distanza straordinaria tra l’originario atteggiarsi del fenomeno fondazionale e il suo concreto configurarsi nella prassi; distanza così significativa da indurre a discorrere di vera e propria “metamorfosi dell’istituto” [70]. Rilevanti e numerose le deviazioni dal Vorbild tradizionale svelate all’interprete dall’analisi fenomenologica: i) la contaminazione del modello fondazionale con quello associativo e con quello societario, dacché sovente le “fondazioni culturali” venivano costituite non da (un vero e proprio) fondatore, ma da più “sottoscrittori” – talvolta addirittura su impulso di una sorta di “comitato promotore” – prevedendosi negli statuti l’attribuzione ai sottoscrittori della qualità di “soci”, nonché la possibilità, per i medesimi, di costituirsi in assemblea e di nominare uno o più membri dell’organo amministrativo [71]; ii) la sostituzione del connotato – tipico del Begriff tradizionale di fondazione – della dotazione patrimoniale con quello – tipico, invece, del diritto societario – della sottoscrizione di una o più quote di capitale (cui spesso era peraltro commisurato il potere di ingerirsi nella gestione dell’ente) [72]; iii) l’irrisorietà, o comunque l’insufficienza, della dotazione patrimoniale iniziale della fondazione e la conseguente necessità di ricorrere a sovvenzioni, anche periodiche, da parte dei fondatori; iv) il mancato “distacco” del fondatore dall’ente (rectius, dal patrimonio dell’ente) [73], essendogli spesso riconosciuto un controllo costante sull’attività della fondazione [74], o diretto, attribuendogli un seggio nel consiglio di amministrazione, o indiretto, [continua ..]
Negli anni ’80, la riflessione intorno al Typus della fondazione, e così l’analisi della crisi del modello dogmatico tradizionale, son sembrate nuovamente alimentarsi del contributo del comparatista, particolarmente attento, questa volta, non solo ad osservare l’evolversi del panorama nordamericano degli enti non profit [80], al fine di esportarne in Italia modelli e soluzioni [81], ma anche a riflettere sui possibili profili di efficienza allocativa dell’output generato da questi enti [82], segnatamente, sulle potenzialità di creare utilità socio-economiche riconducibili all’etero-destinazione dei risultati delle loro attività. Il che ha rappresentato, con particolare riferimento proprio alle fondazioni, un momento di significativa inversione prospettica rispetto alle analisi fino ad allora condotte dagli studiosi, solitamente concentrate, più che altro, sull’input dell’attività fondazionale, e perciò assuefatte all’idea che la dotazione patrimoniale dell’ente rappresentasse una pericolosa sottrazione di beni alla circolazione giuridica [83]. Per la prima volta, la dottrina italiana è apparsa invece interessata a misurare ciò che la fondazione – intesa come Rechtsform – avrebbe potuto essere in grado di restituire (anziché drenare) al benessere complessivo della collettività. A questo proposito, la comparazione giuridica – specialmente l’esame del sistema statunitense – è riuscita d’aiuto all’interprete, offrendogli “i registri argomentativi idonei a colmare la cesura, vissuta più nella costruzione teorica che nella prassi, tra il mondo della produzione e dello scambio e quello delle forme giuridiche pensate per realizzare scopi ideali” [84]. Nei paradigmi del non profit sector nordamericano, lo studioso italiano ha ricercato una spiegazione attendibile – e verosimilmente “esportabile” anche in Italia [85] – della possibile utilità socio-economica degli enti non lucrativi. In particolare, i risultati cui sono giunte queste ricerche sono stati di due ordini. Da un canto, hanno evidenziato come quella tra enti del libro V ed enti del libro I fosse una ‘competizione’ tra forme giuridiche tutte astrattamente idonee allo svolgimento di un’efficiente attività [continua ..]
Ma sono state le ricerche condotte nell’ultimo decennio del secolo scorso a sancire il definitivo superamento del dogma dell’esclusività e dell’esaustività del Vorbild tradizionale di fondazione. In particolare, una dottrina, particolarmente sensibile alla riflessione storica, incline all’osservazione comparatistica e attenta all’analisi economica, offriva in quegli anni un importante contributo alla comprensione e alla sistemazione dell’evoluzione dell’istituto [93]. Muovendo dagli esiti – sopra brevemente ripercorsi – delle ricerche compiute nei tre decenni precedenti, evidenziava il pregiudizio storico nel quale l’egemonia culturale liberal-borghese e post-illuminista aveva relegato la fondazione; contrapponeva, al rischio della manomorta, l’efficienza allocativa che il non profit sector, in particolare l’impresa non profit, aveva conseguito negli Stati Uniti; verificava come il Vorbild di fondazione ‘visualizzato’ dal legislatore del ‘42 non ne esaurisse in realtà né il Begriff né il Typus; confutava gli argomenti testuali tradizionalmente ricavati dagli artt. 16 e 28, comma 1, cod. civ., dimostrando come queste disposizioni, pur avendo certamente ‘valore segnaletico’ della Hauptgeldstiftung (e del fatto che questa fosse stata probabilmente l’unico Vorbild avuto in mente dai compilatori del Codice), riuscissero tuttavia inidonee, di per sé sole, a rivelarne il crisma dell’inderogabilità [94]. Accertata la non coincidenza tra la fattispecie «fondazione» e il modello che ne aveva ispirato la disciplina [95], riaffermata la pertinenza delle forme della soggettività metaindividuale all’area del diritto privato [96] – restando pur sempre le persone giuridiche, e in generale gli enti dotati di rilievo reale [97], strumenti volti a consentire “in via mediata agli interessi privati di costituire, regolare, estinguere rapporti giuridici attraverso una proiezione dell’imputazione a livello metaindividuale” [98] – questa dottrina considerava inappagante l’approccio metodologico votato alla mera constatazione della crisi del modello tradizionale e alla conseguente enunciazione del ‘passaggio’ dalla (vecchia tipicità della) fondazione alle (nuove tipologie di) [continua ..]
Queste conclusioni son sembrate ulteriormente confermate dall’evoluzione legislativa degli ultimi trent’anni. Periodo nel quale la metamorfosi delle fondazioni ha conosciuto un’ulteriore stagione, caratterizzata, questa volta, non tanto dall’opera della dottrina, quanto dall’influenza esercitata dalla legislazione speciale; segnatamente, da tre distinti flussi di leggi speciali. Il primo di essi è consistito: per un verso, in quella che è stata etichettata come la (mini) “riforma per sottrazione” [106] degli enti non lucrativi, che ha comportato lo smantellamento del previgente sistema di controlli e autorizzazioni amministrative relativi agli acquisti, alle donazioni e ai lasciti testamentari in favore delle persone giuridiche del libro primo, e segnatamente l’abrogazione degli artt. 17, 600, 782 ultimo comma, e nella modifica dell’art. 473 cod. civ. [107]; per altro verso, nella riforma del riconoscimento della personalità giuridica, e così nell’abrogazione degli art. 12, 16 ultimo comma, 27 ultimo comma, 33 e 34 cod. civ., e nella contestuale introduzione della nuova disciplina di cui al d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361. La prima riforma è sembrata aver finalmente ridimensionato la diffidenza dello Stato verso le possibili concentrazioni di ricchezza in capo agli enti del libro primo; mercé la seconda, poi, è stato espressamente sancito che lo scopo della fondazione non debba necessariamente essere di pubblica utilità, dacché l’art. 1, comma 3, d.P.R. n. 361/2000 richiede soltanto che esso sia possibile e lecito [108]. Il secondo flusso di leggi speciali è stato quello che è parso eleggere la fondazione a Rechtsform ideale per la realizzazione di quel processo di così detta “privatizzazione” (o “depubblicizzazione”) di taluni importanti enti pubblici; in particolare, di tutti quegli enti pubblici per i quali, per ragioni strutturali o funzionali, non si era ritenuta possibile (o comunque opportuna) la trasformazione in società per azioni. È il caso delle fondazioni bancarie – che di questo fenomeno hanno rappresentato senza dubbio l’esempio al contempo più emblematico e travagliato – [109], delle fondazioni enti lirici [110], delle fondazioni universitarie [111], delle fondazioni culturali [112]. Il terzo [continua ..]
Dei risultati ermeneutici appena osservati è possibile trovare riscontro nella più recente prassi statutaria. L’impatto della legislazione speciale è stato infatti di grande rilievo anche con riferimento alla fenomenologia assunta dall’autonomia statutaria delle fondazioni costituite negli ultimi trent’anni; fenomenologia caratterizzata, nello specifico, dall’emersione di una nuova tipologia: le c.d. fondazione di partecipazione [125]. Tipologia che la dottrina ha ricavato, per induzione, dall’analisi della legislazione speciale [126] e che quasi subito ha ricevuto nomenclatura e riscosso approvazione dal ceto notarile [127], nonché successo tra gli operatori economici [128]. La ragione di una così immediata affermazione è stata la capacità di questa nuova tipologia di far fronte al senso di inadeguatezza – già diffusamente avvertito nella prassi e già a suo tempo denunciato dalla dottrina [129] – del modello fondazionale tradizionale, connotato, come è noto, da un distacco troppo netto tra l’ente e il fondatore, dalla troppo spesso insufficiente dotazione patrimoniale iniziale dell’ente, dalla posizione tradizionalmente troppo servente e conservativa – e dunque priva di iniziativa – degli amministratori [130]. La dottrina ha mostrato immediatamente interesse per il fenomeno, compiendo, peraltro, un importante sforzo ricostruttivo nel tentare di isolarne i tratti salienti, ravvisati: i) nella pluralità dei fondatori, o comunque dei partecipanti all’ente, mediante un apporto di qualsiasi natura purché utile al raggiungimento dei suoi scopi; ii) nel principio di partecipazione attiva alla gestione dell’ente da parte di tutti i fondatori e partecipanti [131], che è forse il tratto maggiormente caratteristico del fenomeno, in quanto “conforma l’organizzazione dell’ente stesso e le sue regole di azione; in altri termini, l’ente è organizzato in una pluralità di organi al fine di consentire una partecipazione attiva di tutti gli aderenti alla fase gestionale” [132]; iii) nella formazione progressiva del patrimonio, non ritenendosi la dotazione patrimoniale iniziale né autosufficiente né definitiva, e pertanto restando aperta ad incrementi per effetto di adesioni successive da parte di soggetti [continua ..]
L’aver ripercorso l’evoluzione dell’istituto consente di fermare alcune riflessioni utili all’enucleazione di una definizione attuale di fondazione. Un primo insieme di considerazioni pertiene all’idea stessa di fondazione; in particolare alla sua rilevanza sia sotto il profilo tecnico-giuridico che sotto il profilo assiologico-costituzionale. Al proposito, in primo luogo sembra corretto rilevare come l’analisi dell’attualità del fenomeno fondazionale – e sul piano normativo, con particolare riferimento alle fondazioni speciali, e sul piano tipologico, con special riguardo al rapporto tra fondazione e impresa – consenta di confermare l’opzione ricostruttiva dell’Idealtypus isolato dalla dottrina italiana intorno alla metà degli anni ’90 [143]; Idealtypus dimostratosi idoneo, invero, a ricomprendere al proprio interno le varie tipologie di fondazione, segnatamente, la fondazione impresa (Unternehmensstiftung) e l’impresa di fondazione (Stiftungsunternehmen), nonché gran parte delle fondazioni speciali, nonché, infine, le fondazioni di partecipazione. In secondo luogo, appare legittimo avvertire come sia avvenuta, nel tempo, una sorta di inversione del rapporto tra le due componenti strutturali dell’Idealtypus, consistenti, come si è visto [144], nella destinazione di un patrimonio ad uno scopo e nella vicenda organizzativa metaindividuale a rilievo reale deputata alla sua realizzazione, consumandosi il passaggio dalla antica centralità della destinazione patrimoniale ad uno scopo, all’attuale centralità dell’organizzazione [145]. Al riguardo, infatti, il positivo esperimento – proprio dell’esperienza delle fondazioni speciali e delle fondazioni di partecipazione – dell’innesto, all’interno della struttura fondazionale, di elementi personalistici tipici del fenomeno associativo e di quello societario – quale, ad esempio la previsione di organi assembleari, di indirizzo, di controllo, etc. – non solo non appare innescare crisi di rigetto, ma sembra addirittura confermare quel passaggio, già annunciato dalla dottrina negli anni ’60, dalla così detta fondazione-patrimonio alla così detta fondazione-organizzazione [146]. La fondazione sembra ormai divenire anch’essa – al pari dell’associazione [continua ..]
Un secondo ordine di considerazioni attiene all’esame del rapporto tra tipicità e tipologie della fondazione; segnatamente, all’indagine circa gli elementi tipici, cioè quelli in presenza dei quali è possibile dirsi integrata la fattispecie «fondazione», dovendo quindi attivarsi la disciplina ad essa direttamente applicabile, e gli elementi tipologici, vale a dire quelli sui quali si misura la Gestaltungsfreiheit (inizialmente) del fondatore (e, successivamente, degli organi della fondazione deputati alle eventuali modifiche statutarie durante la vita dell’ente). Cominciamo dagli elementi tipici. La ricognizione della disciplina positiva e l’analisi storico-comparatistica ripercorse finora confermano come il Typus della fondazione si lasci in effetti scomporre in due elementi essenziali, e precisamente: i) la destinazione di un patrimonio ad uno scopo non lucrativo e immodificabile [148]; ii) la necessaria creazione di un’organizzazione dotata di soggettività metaindividuale di rilievo reale, e segnatamente – discorrendo in termini di più stretto diritto positivo – di personalità giuridica (così detta personificazione). Non paiono ravvisabili, invece, indici che suggeriscano – né tanto meno impongano – all’interprete di includere tra gli elementi tipici della fattispecie ulteriori profili strutturali dell’ente (quali, ad esempio, la necessaria presenza o assenza di un organo assembleare, ovvero di un organo di indirizzo o di controllo, etc.) [149] o ulteriori coloriture dello scopo perseguito o, ancora, particolari declinazioni dell’attività svolta. Così, la pubblica utilità del primo o la natura meramente erogativa della seconda costituiscono non elementi tipici, ma connotati tipologici, certamente caratteristici del modello tradizionale della Hauptgeldstiftung, ma non per questo idonei ad assurgere ad essentialia del Typus [150]. Una particolare riflessione merita il rapporto tra destinazione e personificazione, che appaiono connesse l’un l’altra da un nesso logico (e giuridico) di strumentalità: nella fondazione – ed è questa la differenza di maggior rilievo rispetto al mero Zweckvermögen [151] – la destinazione del patrimonio allo scopo è necessariamente mediata dall’attività [continua ..]
Veniamo adesso agli elementi tipologici. Essi attengono alle varie possibili articolazioni della struttura, dello scopo (in ogni caso non lucrativo) e dell’attività della fondazione. Nella selezione di queste possibili articolazioni, finanche nella creazione di nuove – purché nei limiti segnati dal Typus – si esplica la Gestaltungsfreiheit del fondatore nonché degli organi della fondazione deputati alle eventuali modifiche statutarie (sebbene per questi ultimi in maniera più limitata, essendo loro preclusa, ovviamente, la scelta dello scopo, prerogativa originaria del fondatore). Così, potrà essere adottato qualunque modello strutturale compatibile con la Rechtsform. Potranno essere previsti, ad esempio, un organo assembleare, un consiglio di sorveglianza [161], un organo di controllo [162], uno o più organi consultivi, etc. In ogni caso, a nessun organo potrà essere attribuita la facoltà di modificare lo scopo sociale, pena la Rechtsmissbrauch. Ancora, il fondatore sarà libero di scegliere qualunque scopo, purché possibile e lecito e purché non lucrativo (in senso soggettivo). Dovrà, cioè, essere osservato il non distribution constraint e dunque lo statuto non potrà prevedere la possibilità che i risultati positivi dell’attività dell’ente siano distribuiti ai fondatori, ai partecipanti, o in ogni caso ai soggetti che lo controllano (amministratori, dirigenti, funzionari, etc.), salva, ovviamente, la possibilità per l’ente di remunerare con un giusto e ragionevole compenso chi lavora e collabora nell’organizzazione [163]. Sarà anzi altamente opportuno, anche a fini ermeneutici, che lo statuto espliciti il non distribution constraint, sancendo espressamente la finalità non lucrativa dell’ente e così il divieto di distribuire utili. Quanto alle tipologie di attività che la fondazione può svolgere, deve preliminarmente rilevarsi come l’antica dicotomia tra aziende di erogazione (in cui rientrerebbe l’Hauptgeldstiftung) e aziende di produzione (in cui rientrerebbero lo Stiftungsunternehmen e la Unternehmensstiftung) [164], anche alla luce delle ricerche compiute sul punto dalla dottrina successiva [165], meriti di essere rivisitata. A ben vedere, infatti, l’attività di erogazione – evocata [continua ..]
A questo punto, possiamo tornare al problema di partenza: l’individuazione di una definizione attuale di fondazione. Attuale, in primo luogo, nel senso di conforme al vigente diritto positivo, ancora piuttosto insufficiente, se si guarda al solo Codice Civile, non poi così scarno, però, se si esamina l’intero panorama della successiva legislazione speciale; attuale, in secondo luogo, nel senso di idonea a reagire – includendole al proprio interno ovvero espungendole al di fuori – sulle numerose tipologie di enti isolati dall’analisi fenomenologica. Al tal fine, la ricerca sembra aver restituito importanti risultati, ponendo in luce quanto segue: i) gli elementi strutturali della fondazione consistono nella destinazione di un patrimonio ad uno scopo e nella nascita di un’organizzazione metaindividuale dotata di rilievo reale su cui grava l’ufficio di attuare la destinazione; ii) l’elemento causale della fondazione è il perseguire uno scopo non lucrativo; iii) la destinazione del patrimonio, nella fondazione, è indiretta e dinamica; ciò in quanto è sempre mediata dall’attività dell’ente, poiché è sempre e solo l’attività di produzione del risultato (rendita o profitto che sia) a consentire l’erogazione; l’attività, pertanto, è normalmente di natura economica e nulla vieta che consista in vera e propria attività di impresa; corollario è che il vincolo di destinazione grava (non tanto sul patrimonio quanto) sull’attività della fondazione; a differenza che nello Zweckvermögen, la destinazione patrimoniale resta dunque sullo sfondo dell’attuale Begriff di fondazione, ‘assorbita’ – per così dire – dall’attività dell’ente; iv) lo scopo della fondazione è immodificabile dall’autonomia privata; il che è poi l’unico vero canone discretivo rispetto all’associazione, dacché l’esperienza delle fondazioni speciali e delle fondazioni di partecipazione ha dimostrato come l’antico criterio della prevalenza dell’elemento personale su quello patrimoniale – criterio già di per sé piuttosto atecnico e nebuloso – appaia oggi inidoneo a distinguere la fondazione dall’associazione, atteggiandosi ormai anche la prima a vero e proprio [continua ..]