Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Il diritto alla cura degli anziani tra vulnerabilità, logiche di mercato e brevettabilità della salute: la necessità di un ripensamento della proprietà intellettuale in chiave sostenibile (di Francesca Rotolo, Dottoranda – Università Cà Foscari Venezia)


Alla luce dei due diversi – ma strettamente connessi – fenomeni della digitalizzazione della medicina e dell’espansione delle logiche di mercato (anche) al settore della salute, vi sono intere fasce della popolazione, come ad esempio le persone di età avanzata, che incontrano sempre più difficoltà ad esercitare il proprio diritto di accesso alle cure garantito da numerose carte internazionali. Parte del problema è individuato da taluni nel complessivo impianto della proprietà intellettuale (IP), intesa come insieme di normative preposte ad incentivare una ricerca scientifica volta più al soddisfacimento di logiche estreme di profitto, che alla produzione della conoscenza pura. Il framework dell’IP, in particolare, nell’apparente intento di promuovere l’innovazione, sarebbe di fatto strumentalizzato al fine di promuovere gli interessi delle imprese private che detengono una posizione di forza del c.d. “mercato della salute” (big pharma), a scapito dei cittadini e a detrimento dei sistemi sanitari pubblici che si trovano a farsi carico delle spese legate alla fornitura di farmaci e servizi essenziali oggetto di numerose privative.

Il presente contributo tenta, innanzitutto, di dar prova dell’esistenza di un filo conduttore che lega i diversi lembi di tale sistema: il “mercato” della salute, al cui presidio sarebbe preposto il complesso dei diritti di esclusiva delineato dal quadro normativo della proprietà intellettuale, determina l’applicazione all’ambito della ricerca di logiche di profitto, le quali impattano sulla capacità dell’apparato pubblico statale di fornire ai cittadini i servizi sanitari essenziali in modo egalitario, che si traduce infine in una difficoltà di accesso alle cure da parte dell’intera collettività e (soprattutto) degli anziani. In secondo luogo, esso cerca di confutare l’assunto che un sistema così strutturato sia davvero in linea con la funzione a cui la proprietà intellettuale sarebbe preposta. Quale che sia la teoria di giustificazione della stessa che si ritiene di voler sposare, un quadro normativo che nel complesso si traduce in una compressione di diritti fondamentali come il diritto alla salute, alla non discriminazione e alla scienza aperta, non trova riscontro in alcuna delle ragioni e degli obiettivi posti alla base delle argomentazioni rispettivamente addotte dalle stesse. Pertanto, si caldeggerà la necessità di una riconsiderazione della proprietà intellettuale in chiave sostenibile. Infine, il contributo si domanda se vi sia spazio, in un framework normativo della proprietà intellettuale così concepito, per immaginare una categoria di soggetti, come gli anziani, cui attribuire un particolare status giuridico in ragione della loro condizione di vulnerabilità.

The Elderly's Right to Care Amid Vulnerability, Market Dynamics, and the Issue of Patentability of Pharmaceuticals in the Health Sector: The Necessity to Reimagine Intellectual Property in a Sustainable Way

In light of two distinct yet closely interconnected phenomena – the digitization of healthcare and the expansion of market-driven approaches into the healthcare sector – numerous segments of the population, such as the elderly, are increasingly encountering obstacles in exercising their right to access healthcare, as guaranteed by numerous international conventions. Part of the issue is identified by some within the overarching framework of Intellectual Property Law (IP Law), conceived as a set of regulations designed to incentivize scientific research primarily geared towards extreme profit motives rather than the pursuit of pure knowledge. The IP framework, notwithstanding its apparent intent to foster innovation, is often in fact instrumentalized to advance the interests of private enterprises holding a dominant position in the so-called “healthcare market”, to the detriment of citizens and public healthcare systems that are burdened with the costs of providing medicines and essential services subject to numerous restrictions.

This contribution seeks, firstly, to demonstrate the existence of a common thread that connects various facets of this system: the “healthcare market”, overseen by the exclusive rights outlined in the intellectual property regulatory framework, drives research towards profit-oriented motives. These motives impact the ability of the State’s public apparatus to offer essential healthcare services to citizens equitably, ultimately resulting in difficulties in healthcare access for the entire community, and particularly the elderly. Secondly, the contribution endeavors to challenge the assumption that such a structured system aligns with the intended function of intellectual property. Regardless of the justification theory one wishes to adopt, a regulatory framework that, overall, translates into a compression of fundamental rights like the right to health, non-discrimination, and open science does not find its root in any of the reasons and objectives underlying the arguments put forth by these theories. Therefore, the essay strongly advocates the need for a reconsideration of intellectual property from a sustainability perspective. Finally, it raises the question of whether there is room, within such a normative framework of intellectual property, to envision a category of subjects, such as the elderly, to whom a particular legal status should be attributed due to their vulnerability.

SOMMARIO:

1. Cenni introduttivi - 2. Il diritto alla salute. – 2.1. Nuovi problemi di accesso alle tecnologie e tradizionali problemi di accesso alle cure - 2.2. Le logiche di profitto nel “mercato” della salute - 3. Brevettare la salute… – 3.1. Gli argomenti a sostegno della proprietà intellettuale e la tragedia degli anticommons - 3.2. Verso una proprietà intellettuale sostenibile - 3.3. Le politiche “a monte” e “a valle” - 4. …nell’epoca di una popolazione che invecchia. – 4.1. Gli anziani come soggetti vulnerabili - 4.2. Gli anziani come categoria “di leva” della proprietà intellettuale? - 5. Conclusioni: una proprietà intellettuale sostenibile per una sanità sostenibile - NOTE


1. Cenni introduttivi

Alla luce dei due diversi – ma strettamente connessi – fenomeni della digitalizzazione della medicina e dell’espansione delle logiche di mercato (anche) al settore della salute, intere fasce della popolazione stanno fronteggiando difficoltà sempre maggiori nell’esercizio del proprio diritto di accesso alle cure garantito da numerose carte internazionali.

Tra queste, vi è indubbiamente quella degli anziani, la cui configurabilità come categoria autonoma giuridicamente rilevante è dubbia ma oggetto di crescenti riflessioni da parte della dottrina, italiana [1] e non solo.

Parte del problema è individuato da taluni nel complessivo impianto della proprietà intellettuale (IP), intesa come insieme di normative preposte ad incentivare una ricerca scientifica volta più al soddisfacimento di logiche estreme di profitto, che alla produzione della conoscenza pura.

Il framework dell’IP, in particolare, nell’apparente intento di promuovere l’innovazione, sarebbe di fatto strumentalizzato al fine di promuovere gli interessi delle imprese private che detengono una posizione di forza del c.d. “mercato della salute” (big pharma[2], a scapito dei cittadini e a detrimento dei sistemi sanitari pubblici che si trovano a farsi carico delle spese legate alla fornitura di farmaci e servizi essenziali oggetto di numerose privative [3].

Il presente contributo tenta, innanzitutto, di dar prova dell’esistenza di un filo conduttore che lega i diversi lembi di tale sistema: il “mercato” della salute, al cui presidio sarebbe preposto il complesso dei diritti di esclusiva delineato dal quadro normativo della proprietà intellettuale, determina l’applicazione all’ambito della ricerca di logiche di profitto, le quali impattano sulla capacità dell’apparato pubblico statale di fornire ai cittadini i servizi sanitari essenziali in modo egalitario, che si traduce infine in una difficoltà di accesso alle cure da parte dell’intera collettività e (soprattutto) degli anziani.

In secondo luogo, esso cerca di confutare l’assunto che un sistema così strutturato sia davvero in linea con la funzione a cui la proprietà intellettuale sarebbe preposta. Quale che sia la teoria di giustificazione della stessa che si ritiene di voler sposare, un quadro normativo che nel complesso si traduce in una compressione di diritti fondamentali come il diritto alla salute, alla non discriminazione e alla scienza aperta, non trova riscontro in alcuna delle ragioni e degli obiettivi posti alla base delle argomentazioni rispettivamente addotte dalle stesse. Pertanto, si caldeggerà la necessità di una riconsiderazione della proprietà intellettuale in chiave sostenibile.

Infine, il contributo si domanda se vi sia spazio, in un framework normativo della proprietà intellettuale così concepito, per immaginare una categoria di soggetti, come gli anziani, cui attribuire un particolare status giuridico in ragione della loro condizione di vulnerabilità.

I termini delle questioni affrontate trascendono in linea di massima il punto di vista di uno specifico ordinamento giuridico, dal momento che la discussione che ruota intorno alle giustificazioni della proprietà intellettuale, all’applicazione delle logiche di mercato alla salute e alle problematiche legate alla c.d. ageing society oltrepassa i confini nazionali, ma i riferimenti normativi e giurisprudenziali sono principalmente di matrice italiana o europea. Alcuni importanti, e inevitabili, cenni sono altresì effettuati a fonti internazionali, quali, ad esempio, l’accordo TRIPS (Trade Related Aspects of Intellectual Property Right) dell’Or­ganiz­zazione Mondiale del Commercio o World Trade Organization (WTO), entrato in vigore nel 1995.


2. Il diritto alla salute. – 2.1. Nuovi problemi di accesso alle tecnologie e tradizionali problemi di accesso alle cure

Nel nostro ordinamento, il diritto di accesso alle cure trova la sua prima fonte nell’art. 32 della Costituzione ed è specificatamente salvaguardato come “gemmazione” del diritto alla salute.

Ostacolare o rendere difficoltoso l’esercizio del diritto alle cure assume, pertanto, i profili di una violazione di quello che la nostra Carta fondamentale definisce un diritto “dell’individuo e interesse della collettività”.

Anche nella prospettiva europea, il diritto di “accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali” è considerato il nucleo essenziale del diritto alla salute (art. 35 della Carta di Nizza).

L’idea di un “mercato” della salute come quello che sembra oggi delinearsi costituisce potenziali pericoli per l’esercizio di tale diritto fondamentale, e ciò in particolare per alcuni gruppi di persone maggiormente destinati a sopportarne il peso.

La difficoltà di accesso alle cure per gli anziani assume tre principali connotati: può declinarsi come (i) preclusione di fatto ad usufruire dei servizi della sanità digitale [4] (“della telemedicina, della teleassistenza e del telesoccorso” [5]), compendiabili nell’espressione “cure digitali”, per mancanza delle competenze tecnologiche necessarie a tal fine; oppure come (ii) difficoltà o impossibilità economica di far ricorso a vie di accesso pubbliche ai servizi sanitari essenziali, laddove il sistema sanitario nazionale (ove presente, come in Italia) non sia in grado di sostenere il sovraccarico di utenti e di costi; o, ancora, come (iii) assenza, a monte, di studi adeguati su talune malattie specificatamente riferibili agli anziani [6].

Rispetto al primo profilo, il fenomeno all’interno del quale si inquadra il problema dell’accesso alle cure digitali da parte degli anziani è quello della più generica “strutturale vulnerabilità” – profilo a cui la recente legislazione europea si sta approcciando con particolare attenzione negli ultimi anni [7] – che riguarda tutti gli individui nel mondo digitale.

Una tale condizione generale di vulnerabilità, che “si radica nel carattere intrinsecamente asimmetrico” [8] della relazione tra uomo e nuove tecnologie, si accentua laddove la “capacità digitale” [9] dello specifico contesto di riferimento o del singolo soggetto non sia particolarmente elevata (è il c.d. “digital divide” [10]).

Si tratta pertanto di un fenomeno, che, seppur non riguardi solo gli anziani, può assumere anche un connotato generazionale, se si considera che ad esso è particolarmente esposta la fascia della popolazione con età più avanzata. Basta da ultimo dare uno sguardo ai dati di recente rilevati nell’ultimo [11] indice DESI (Digital Economy and Society Index) per rendersene subito conto [12]. Secondo questo studio del 2022, basato sui dati del 2021, i “fattori socio-demografici influenzano i livelli di competenze digitali” ed, infatti: “il 71% dei giovani adulti (di età compresa tra i 16 e i 24 anni), il 79% delle persone con un’istruzione formale elevata22 e il 77% degli studenti dell’istruzione superiore hanno almeno competenze digitali di base (…). Al contrario, solo il 35% delle persone di età compresa tra i 55 e i 74 anni e il 29% dei pensionati e degli inattivi hanno almeno competenze digitali di base” [13].

Anche il profilo delle difficoltà legate all’accesso (pubblico) alle cure è un problema che si declina trasversalmente per tutte le fasce anagrafiche della popolazione, ma, in un contesto caratterizzato dal sovraccarico dei sistemi sanitari nazionali, dovuto, tra gli altri fattori, al progressivo invecchiamento della popolazione, tale questione assume anche i connotati di un problema di categoria. Ciò è evidente, banalmente, anche solo per una questione quantitativa, ovvero per il numero di persone di età avanzata che necessita sempre più di usufruire dei servizi sanitari essenziali [14] e che, molto spesso, nell’impossibilità di farlo, finisce per prediligere le cure in casa [15] o – nei limiti delle proprie capacità economiche – quelle offerte dalle strutture private.

Nell’ottica di garantire il diritto alla salute previsto dalle carte costituzionali, i servizi sanitari nazionali (SSN), in diversi Paesi nel mondo, si fanno ad oggi carico della distribuzione di intere classi di farmaci e della fornitura di molti servizi sanitari – peraltro, sostenendone l’intero o parte del peso economico per l’assi­stenza e le cure dei c.d. soggetti fragili [16].

Tuttavia, si solleva da tempo e da più parti la preoccupazione che un sistema sanitario (pubblico) così strutturato rischi presto un collasso, con la conseguenza che ad un aumento dell’utenza che necessita di cure di breve e lungo periodo, potrà corrispondere una risposta sempre meno adeguata.

Per comprendere l’impatto che un obbligato ricorso a vie di cura private può avere sui singoli cittadini (e maggiormente sugli anziani che in misura preponderante necessitano di long-term care), basti pensare che uno degli indici per valutare “il livello di copertura sanitaria dei diversi Paesi del mondo” [17], presi in considerazione da istituti di ricerca e organizzazioni internazionali che si sono occupati di studiare il fenomeno, è il c.d. “impoverimento a causa di spese per la salute”, il quale “rappresenta la percentuale di popolazione che viene spinta al di sotto della soglia di povertà (…) a causa delle spese sanitarie della famiglia” [18].

Quanto all’ultimo profilo segnalato, quello dell’assenza di studi adeguati su talune malattie degli anziani, va detto che lo stesso è espressione di un problema bicefalo, altrettanto non esclusivo di tale “categoria” (si declina anche in termini di discriminazioni di sesso e di genere [19]), ma che nondimeno riguarda gli anziani in modo peculiare: da un lato, l’insussistenza di investimenti (considerati non redditizi in un’ottica di profitto [20]) da parte di big pharma, in farmaci che possano far fronte a malattie rare [21] e che si sviluppano o che sono diagnosticate nell’età più adulta [22]; dall’altro, la tendenza ad effettuare studi che abbiano unicamente ad oggetto l’analisi, nei trials clinici e pre-clinici, di soggetti rientranti nello standard di “uomo giovane, bianco e lavoratore”, senza che siano prese in considerazione, in modo sistematico, le evoluzioni che talune malattie possono avere nella popolazione anziana.

Non vi è dubbio che la commistione tra l’ambito della salute e le logiche di profitto abbia avuto un ruolo preponderante nella genesi di tutti e tre i fenomeni in cui si declina la difficoltà di accesso alle cure da parte degli anziani.

Riflessioni interessanti potrebbero di certo farsi, ad esempio, sul primo dei tre profili, relativo alle difficoltà di accesso alle cure digitali, nell’ambito del quale le ragioni di mercato si legano agli altrettanti innegabili vantaggi per l’intera popolazione dell’uso di nuove tecnologie in ambito sanitario [23].

In questa sede, tuttavia, ci si concentrerà soprattutto sull’analisi degli altri due fenomeni appena citati, ovvero sull’obbligo di ricorrere a vie di cura private e sulla mancanza di studi sulle malattie poco redditizie che riguardano gli anziani.

Si ritiene infatti che siano tali due profili a mostrare in modo “plastico” il ruolo distorsivo che il c.d. mercato della salute ha rispetto alle possibilità di accesso alle cure da parte di tale gruppo di individui.


2.2. Le logiche di profitto nel “mercato” della salute

La letteratura scientifica sta da tempo dimostrando come le logiche di mercato influiscano sulla minor propensione degli istituti di ricerca (soprattutto se privati) a investire in farmaci che possano far fronte a malattie rare o che riguardano specifiche categorie di persone.

È stato notato a tal proposito che, in questo settore, “i fini economico-commerciali hanno spesso distorto la ricerca, favorendo le cure economicamente più fruttuose o i progetti di ricerca funzionali ad interessi commerciali a breve termine” [24].

La ragione dei ridotti investimenti sullo studio di talune malattie sembrerebbe essere ricollegabile allo scarso valore in termini di redditività del prodotto farmaceutico che sarebbe chiamato a farvi fronte.

Quello che le case farmaceutiche chiamano “value” del farmaco corrisponde, infatti, “al valore che uno Stato, un sistema sanitario (o un cittadino) dovrebbero sostenere per curare una persona con la malattia per cui è necessario quel farmaco” [25].

Ebbene, nel “value [sarebbe] incluso anche il valore economico della persona curata: la sua capacità produttiva” [26].

Ciò vorrebbe dire che meno produttiva è (considerata) quella data persona – l’esempio dell’anziano è emblematico in tal senso – più basso è il valore economico del farmaco che tale persona è chiamato a curare e minore è l’interesse che le case farmaceutiche hanno ad investirvi: il prezzo di mercato che le stesse potrebbero imporre, scaricandone parte dei costi sulla collettività, sarebbe necessariamente minore di quello a cui potrebbero vendere un farmaco dal valore maggiore e dunque più bassi i profitti che ne ricaverebbero.

Anche la tendenza a informare le ricerche scientifiche su uno standard di “uomo giovane, bianco e lavoratore”, piuttosto che differenziare in modo sistematico i campioni di soggetti studiati in base a età, sesso, genere, ecc., sarebbe una indiretta conseguenza di tali logiche di profitto: innanzitutto, come si è detto, perché la capacità produttiva di coloro su cui vengono effettuati i trials clinici e gli studi pre-clinici entra in pieno nell’analisi sul value del farmaco; e poi per un più generale fenomeno di “andronormativity [27] che, oltre ad essere ragione di forti e ormai piuttosto note discriminazioni in ambito sanitario basate sul sesso e sul genere [28], comporta una prevalenza, anche nel settore della health care, dei valori della “mascolinità” [29] (strength, courage, independence, leadership, and assertiveness [30]) socialmente attribuiti allo standard di un giovane adulto e considerati imprescindibili dalla valutazione della sua produttività.

La ricerca (farmacologica) è, insomma, ad oggi strettamente trainata da considerazioni di profitto che impattano negativamente in modo significativo sul diritto alla salute di tutti i cittadini e, in particolare, tra questi, di quelli che si discostano dal modello standard di riferimento.

A tali logiche di mercato si collega in modo altrettanto significativo, seppur meno immediato, anche il rischio di collasso dei SSN, che obbliga intere fette della popolazione a far ricorso alle cure private: tra le ragioni della difficoltà dei sistemi sanitari nazionali di farsi carico dei costi relativi alla cura dei cittadini vi è, infatti, un progressivo aumento delle spese che gli stessi sono chiamati a sostenere per poter pagare alle case farmaceutiche il prezzo dei farmaci essenziali che forniscono ai cittadini.

Tali spese, nell’epoca di una popolazione che invecchia, sono esponenzialmente maggiori. Dovendo i sistemi sanitari nazionali sostituirsi ai cittadini bisognosi di cure nel pagamento dei farmaci e dei servizi essenziali, esse sopportano tutto o parte del peso delle privative che le case farmaceutiche detengono sugli stessi.

Se si considera che gran parte dei dispositivi di IP è costituita su beni che le industrie private producono grazie alla ricerca di base delle università, finanziata con fondi pubblici, il paradosso è evidente: è innegabile, in un simile contesto, che la “socializzazione dei costi” avvenga “a fronte di una privatizzazione dei guadagni”, motivata dal fatto che “le imprese si avvantaggiano di contributi pubblici o di sgravi fiscali, trattenendo interamente ogni profitto e trasferendo sulla collettività costi non rispondenti ai rischi assunti” [31].

Una parte della comunità scientifica individua, infatti, uno dei punti cruciali della distorsione visibile nella fornitura dei servizi legati alla salute nel framework regolatorio della proprietà intellettuale, quale sentinella di queste logiche di mercato, rispetto al quale i sistemi sanitari nazionali e le università agiscono come attori “depotenziati”, di gran lunga sopraffatti dalle imprese che, titolari di numerose privative sui farmaci, detengono una posizione di forza nel “mercato” della salute.

Insomma, logiche di profitto applicate alla ricerca, mancanza di rappresentatività delle minoranze, privative nelle mani di case farmaceutiche e attori privati, invecchiamento della popolazione, costi insostenibili per i SSN: è così che si chiude, suo malgrado, il cerchio intorno al quale le problematiche del “mercato” della salute si costruiscono, ponendo le basi delle presenti riflessioni.


3. Brevettare la salute… – 3.1. Gli argomenti a sostegno della proprietà intellettuale e la tragedia degli anticommons

In una sua recente intervista resa alla giornalista scientifica Caterina Visco per il Mulino e confluita nel libro “Brevettare la salute” [32], il farmacologo e ricercatore italiano Silvio Garattini identifica il cuore delle questioni maggiormente problematiche della ricerca scientifica farmacologica nell’abbassamento delle barriere di accesso alla tutela brevettuale da parte di farmaci dallo scarso “valore terapeutico aggiunto” [33].

Più in generale, le critiche del presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Genova sono rivolte alla scarsa attitudine della proprietà intellettuale a ergersi a strumento di promozione della ricerca scientifica [34], così come invece vorrebbe la lettura classica che viene fatta delle privative riconosciute ai titolari di brevetti (e marchi) sui farmaci.

Come si sa, il ruolo dei brevetti è stato a lungo oggetto di ricerche, dibattiti e accese controversie [35].

E oggi ancor di più: riflessioni interessanti sulla funzione della normativa a tutela delle invenzioni e delle creazioni della mente umana ormai proliferano copiose, nel tentativo di trovare la migliore regolamentazione del recente fenomeno delle generative AI [36] e il giusto bilanciamento tra gli interessi in gioco che vi ruotano intorno.

La ricerca delle ragioni che sorreggono l’IP e che, quindi, giustificano il riconoscimento di uno spazio di esclusiva artificiale su dei beni immateriali (di per sé non rivali e non escludibili) è essenziale al fine di aiutare gli interpreti e l’intera collettività a comprendere gli obiettivi che si ritiene di voler perseguire tramite l’istituzione di diritti di proprietà intellettuale. [37]. Interrogarsi sulla funzione della proprietà intellettuale è, infatti, un passaggio imprescindibile per comprendere se i “benefits of intellectual property” rispondano o meno agli obiettivi a cui essa si ritiene sia preposta.

Se “various justifications for the protection of these rights have been propounded” [38], di certo, l’argo­mento più diffuso e ripetuto a favore dei brevetti è quello dell’incentivo alla innovazione [39] (si tratta della c.d. teoria utilitaristica della proprietà intellettuale): già nel 1813, in una lettera all’inventore Isaac McPherson, Thomas Jefferson affermava che il diritto esclusivo sui profitti che derivano dal riconoscimento di un monopolio sulle invenzioni rappresenta un “incoraggiamento agli uomini a perseguire idee che possono produrre utilità” [40].

Oltre al modello utilitaristico, taluni [41] hanno individuato altre tre teorie di giustificazione della proprietà intellettuale: (i) quella della “Prevention of deceitful and fraudulent practices”, (ii) quella della natura dei diritti di IP come “Moral/ Natural rights” e (iii) quella della natura dei diritti di IP come Human Rights.

Volendo fornire, prima di analizzare più approfonditamente le implicazioni della teoria utilitaristica della proprietà intellettuale, una veloce panoramica su tali tre teorie, si può affermare che la prima di esse, la teoria della “Prevention of deceitful and fraudulent practices”, è user-centered e si focalizza sulla prevenzione dei danni che, altrimenti, potrebbero derivare da una mancata protezione delle invenzioni/creazioni: in assenza di una protezione della proprietà intellettuale, l’impegno che, in un dato contesto sociale, sarebbe profuso da pochi individui porterebbe di fatto ad una carenza di creatività e ciò anche perché, in un sistema del genere, la pirateria e la contraffazione sarebbero all’ordine del giorno [42].

La teoria dei diritti morali/naturali (detta anche deontologica) riposa, invece, sull’idea che l’inven­tore/creatore sia proprietario di ogni entità che è una “creation of the creator’s mental power” [43]: in questa prospettiva, che in taluni casi si declina persino in termini religiosi, tutte le risorse date da Dio, ad esclusione del proprio corpo, farebbero parte dei “commons” che Dio stesso avrebbe dotato ogni individuo della capacità e del diritto di utilizzare. Per dirla con le parole di John Locke, “every man has a property in his own person. This nobody has any right to but himself. The labour of his body and the work of his hands, we may say, are properly his. Whatsoever, then, he removes out of the state that nature hath provided and left it in, he hath mixed his labour with it and joined to it something that is his own, and thereby makes it his property…” [44].

Tale teoria può essere fatta rientrare nell’alveo di quello che taluno aveva identificato nel 1999 come modello non-utilitaristico [45], nel cui filone può probabilmente essere altresì ricondotta la terza teoria che lega proprietà intellettuale e human rights.

Quest’ultima, di più recente elaborazione, si pone in qualche modo in continuazione con l’argomentazione dei diritti di IP quali Moral/Natural rights [46]. Essa, nel sostenere che quelli protetti nell’alveo della proprietà intellettuale sarebbero diritti fondamentali di ciascun individuo, trae forza da diverse convenzioni internazionali come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (UDHR) del 1948, il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (ICESCR) del 1966 e da alcune legislazioni regionali come la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950 (Convenzione EDU). Ha da ultimo trovato espressione, nel contesto euro-unitario, nell’inserimento del riferimento alla proprietà intellettuale nel comma 2 dell’art. 17 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE 2000/C 364/01 (Carta di Nizza).

Ad ogni modo, come si diceva, la teoria generalmente più accreditata a giustificazione dei diritti di proprietà intellettuale è quella che vede il complesso di normative poste a tutela delle invenzioni/creazioni umane quale incentivo per l’innovazione.

Essa ha trovato il favore non solo degli Stati Uniti – ove è stata sviluppata [47] e nel cui ordinamento è espressamente riconosciuto che “to promote the progress of science and useful arts, by securing for limited times to authors and inventors the exclusive right to their respective writings and discoveries” (cfr. articolo 1, Sez. 8, della Costituzione degli Stati Uniti) – ma anche nel contesto euro-unitario e internazionale, ove diverse normative e documenti di soft law proclamano ad oggi la necessità di tutelare i beni immateriali nel­l’ottica dell’incentivo della innovazione [48].

Il cardine dell’argomentazione del carattere utilitaristico della proprietà intellettuale è generalmente rappresentato dall’idea della naturale inefficienza dei regimi di libero accesso all’informazione [49].

Secondo questa teoria, il ricorso al sistema dei diritti esclusivi limitati nel tempo sui beni immateriali sarebbe un meccanismo imprescindibile [50] di stimolo della creatività intellettuale: se “l’invenzione è un’infor­mazione, bene non escludibile e non rivale il cui mercato in regime di concorrenza perfetta è destinato a fallire”, i brevetti sono “monopoli legali istituiti dallo Stato per consentire all’inventore di praticare prezzi monopolistici”, circostanza che costituisce “un incentivo fondamentale” [51] al perseguimento di nuovi beni-informazione.

In ambito farmaceutico, ad esempio, si sostiene che la tutela brevettuale di farmaci e vaccini sia fondamentale affinché le università, i centri di ricerca e le imprese private investano nello sviluppo e nelle tecnologie, attraverso le quali tramutare i risultati della ricerca accademica in trattamenti medici [52]: è stato stimato, infatti, che l’assenza di protezione brevettuale nel ramo farmaceutico comporterebbe una riduzione degli investimenti in ricerca e sviluppo pari al 64% [53].

Tale argomento, riposa sull’idea di scongiurare la c.d. “tragedia dei commons” teorizzata da Hardin [54] e adattata alle peculiarità dei beni immateriali, secondo cui, se non opportunamente incentivata da una rete di garanzie a supporto del lavoro che porta all’invenzione, vi sarebbe un’insufficiente produzione di tali beni. Il suo fondamento teorico è duplice [55]: da un lato, vi sarebbero i postulati dell’analisi economica dell’in­for­mazione; dall’altro, nel solco del motto “private property saves lives” [56], le tesi hayekiane sulla superiorità dei regimi di proprietà privata rispetto alle forme di regolamentazione pubblica.

In questa prospettiva, i brevetti avrebbero il merito almeno potenziale, “di offrire gli incentivi per intraprendere progetti rischiosi, favorire la conoscenza dei trovati evitando il persistere del segreto commerciale, nonché la possibilità di determinare una più equa distribuzione degli utili” [57].

Senonché, come da più parti sollevato, l’argomento utilitaristico a giustificazione della creazione sui beni immateriali di regimi di monopolio nella logica dell’incentivo viene messo sempre più a dura prova dalle recenti evoluzioni tecnologiche e dalla crescente presa di consapevolezza che di fianco alla c.d. tragedia dei commons sta prendendo forma una altrettanto grave e diametralmente opposta “tragedia degli anticommons”: la “privatization can solve one tragedy but cause another” [58].

Quest’ultima si sostanzia in una impossibilità per la collettività di avvantaggiarsi delle potenzialità delle risorse costituite dai beni immateriali, a causa dell’eccessiva proliferazione [59] di quegli stessi diritti di esclusiva che ironicamente sarebbero preposti, secondo la lettura di Hardin, a scongiurare proprio la loro insufficiente produzione [60].

Sempre più numerose negli ultimi decenni sono state le riflessioni rese in tal senso a margine di numerose vicende giudiziarie (come quella del noto caso Myriad genetics [61]) da molteplici esponenti della comunità scientifica, le quali si sono compendiate efficacemente nelle preoccupazioni legate (i) da un lato, al progressivo ampliamento dell’oggetto delle privative, a cui non ha corrisposto un reale aumento dell’innovatività dei prodotti farmaceutici protetti; (ii) dall’altro, alla problematica insistenza sul medesimo prodotto di diversi diritti di proprietà intellettuale.

Quanto al primo profilo, come notato da Garattini, le privative in ambito sanitario non proteggono più solo i farmaci, ma anche “tutti i composti simili (…) che possono avere lo stesso tipo di effetto e tutte le famiglie di sostanze chimiche che possono avere una determinata indicazione. E soprattutto si brevettano i processi di produzione” [62].

Se si considera che, in Italia, fino al 1978 vigeva un vero e proprio divieto di brevetto sui farmaci, abbattuto poi da una storica pronuncia della Corte costituzionale (la sentenza n. 20 del 1978) [63], di cui si dirà più avanti, il cambio di prospettiva è di certo molto significativo.

Uno degli aspetti problematici dell’ampliamento dell’oggetto del brevetto è che esso è espressione della circostanza che, in ambito farmaceutico, l’intento di favorire una rapida evoluzione tecnologica “è spesso prevalso sulla puntuale valutazione dei requisiti di novità, inventività e applicazione industriale cui l’oggetto del brevetto dovrebbe rispondere” [64].

La brevettazione dei farmaci, infatti, dipende ad oggi, in larga parte, non tanto dalla valutazione del soddisfacimento o meno dei criteri di accesso alla normativa a protezione delle invenzioni, ma dall’approva­zione dei prodotti farmaceutici da parte delle agenzie a ciò preposte, in vista della loro commercializzazione (ad es. dell’AIFA, per l’Italia; dell’EMA, per i farmaci immessi in commercio negli Stati UE).

Il punto è qui rappresentato dal fatto che l’approvazione di un farmaco è attualmente articolata su criteri di qualità, efficacia e sicurezza dello stesso ma non tiene conto del “valore terapeutico aggiunto” – locuzione che si ritiene compendi almeno i criteri di novità e di inventività previsti dalla normativa brevettuale – che il prodotto farmaceutico dovrebbe avere [65].

L’ampliamento dell’oggetto dei brevetti è dunque avvenuto, come si diceva, a prescindere da un aumento nell’innovatività dei prodotti farmaceutici tutelati, contribuendo così a rivoluzionare i presupposti stessi di applicazione della tutela brevettuale [66]. In questa prospettiva, è ancor più interessante notare come, secondo la rivista indipendente “Prescrire International”, il 70% dei farmaci approvati dalle autorità regolatorie (e dunque brevettati) nei passati dieci anni non presenta alcun vantaggio rispetto ai farmaci già disponibili al tempo della loro approvazione [67].

Tale fenomeno di estensione del campo di applicazione materiale della privativa del brevetto è peraltro strettamente collegato al secondo profilo sopracitato, ovvero alla sussistenza sul medesimo prodotto farmaceutico di diversi diritti di privativa [68], a sua volta intimamente connesso a quello più generale della proliferazione dei diritti di esclusiva, genesi di forti incertezze e di potenziali numerosi contenziosi [69].

Se ad essere protetti non sono più solo i farmaci “fatti e finiti”, ma anche i loro ‘ingredienti’, i processi di produzione e i dati [70], va da sé che su un medesimo farmaco possa insistere un numero molto elevato di privative: basti pensare che ci sono 129 dispositivi di IP “che coprono quanto è necessario per la produzione del pembrolizumab, un anticorpo monoclonale impiegato in oncologia soprattutto contro il melanoma, e 247 per quella di adalimumab, un altro anticorpo monoclonale impiegato invece contro alcune malattie autoimmuni” [71].

La gravità di questo duplice fenomeno è ancor più significativa in un contesto, come quello della ricerca, fortemente trainato da meccanismi di input-output, in cui ogni “informazione di output” costituisce anche potenzialmente un’”informazione di input” di un nuovo processo produttivo. Per fare un esempio in tal senso, rispetto alle recenti vicende di produzione del vaccino anti-COVID, è stato notato che lo sviluppo dei vaccini COVID nei tempi rapidi in cui è avvenuto – in soli 10/12 mesi, a fronte dei 10 anni che sono di solito necessari in media per addivenire allo sviluppo di un nuovo vaccino [72] – è stato possibile grazie agli studi ventennali [73] che erano stati effettuati in precedenza sulla famiglia COVID e all’utilizzo di tecnologie brevettate già esistenti [74].

In un contesto del genere, per creare un singolo prodotto “gli studiosi devono avere accesso ad una molteplicità di dati «a monte» già coperti da diritti di privativa” [75] e ciò causa evidenti problemi di coordinamento tra i vari dispositivi di IP.

Inoltre, la rivalità che vi è tra gli enti di ricerca, coinvolti in questa corsa all’oro – ad accaparrarsi, insomma, i vantaggi derivanti dalla possibilità di privatizzare per primi i risultati delle loro ricerche [76] – riduce sempre più la condivisione di dati tra gli stessi ed è causa di ritardi nella pubblicazione dei loro studi, con la conseguenza che la ricerca e l’innovazione, piuttosto che promosse, finiscono per rimanerne compromesse [77].

Quando nel 1978 la Corte costituzionale italiana ha liberalizzato la brevettazione dei farmaci [78], aveva postulato che la stessa avvenisse a fronte di una serie di correttivi volti a controbilanciare tutti quei rischi che avevano determinato fino a quel momento il motivo precipuo del divieto di costituzione di privative sui prodotti farmaceutici [79]: tra questi, oltre che le temute “forti speculazioni a danno dei malati”, “le truffe e gli imbrogli” [80], proprio “il rallentamento della ricerca” [81].

La pronuncia di incostituzionalità del divieto di brevetto per i farmaci [82] si è basata su una serie di parametri riconducibili, complessivamente, agli articoli 3, 9, 41, 42 e 43 della Costituzione. Fra di essi, particolarmente interessanti sono i richiami all’art. 9 Cost. – posto a presidio della promozione delle scienze e delle arti (cfr. comma 1) – e al suo rapporto con l’interesse generale alla tutela della salute di cui all’art. 32 Cost. La Corte aveva ritenuto, infatti, che il divieto di brevettazione dei farmaci fosse in contrasto con “la promozione della ricerca scientifica” di cui all’art. 9 Cost. e “la necessità di predisporre per l’avvenire le condizioni idonee alla sua esplicazione ed al suo sviluppo”, e ciò perché “comportava un ostacolo ingombrante, seppur indiretto, alla promozione della salute intesa in termini sia individuali sia collettivi”.

È interessante notare come, nell’ottica del ragionamento della Corte, era proprio l’interesse generale alla salute, ex art. 32 Cost., a imporre l’abbattimento del divieto di cui all’art. 14 del r.d. n. 1127 del 1939, sulla base della considerazione che “la normativa [dovesse disporre] un equilibrato bilanciamento fra gli interessi legati alla disponibilità di farmaci e quelli relativi alla ricerca sperimentale ed alle collegate esigenze di privativa”.

Qualificando il rapporto tra ricerca e diritto alla salute in termini di strumentalità dell’una nei confronti dell’altro, la Corte aveva espressamente ribadito che era alla tutela di quest’ultima che dovevano coordinarsi “quali mezzi al fine, la disciplina del prezzo dei medicinali, la loro presenza sul mercato in quantità sufficiente, ed infine, ma non certo come ultimo fattore, la ricerca scientifica e tecnica organizzata nell’ambito del­l’industria farmaceutica” [83].

Invece, il proliferare di privative, nelle mani peraltro quasi sempre degli stessi attori del mercato [84], e l’al­largamento del loro oggetto impediscono che questo rapporto di “mezzi al fine” tra ricerca e diritto alla salute si esplichi in tutta la sua efficacia.

Vi sono, in particolare, alcuni casi più o meno recenti – come quello del sofosbuvir e la vicenda Novartis AG v. Union of India and Others [85] – che rendono evidente questa considerazione. In particolare, come efficacemente sostenuto, “il mercato e la brevettabilità dei farmaci [hanno] non di rado perso il collegamento con la tutela della libertà di ricerca e, soprattutto, con la promozione della salute individuale e collettiva, per assumere, viceversa, una prevalente connessione con logiche estreme di profitto e di speculazione economico-finanziaria; connessione che porta a invertire le priorità e il rapporto di mezzo a fine fissato dalla Corte costituzionale” [86].

È evidente che, se così strutturato (o interpretato), l’odierno impianto normativo posto a tutela dei beni immateriali della proprietà intellettuale si scontra con la logica alla base della decisione della Corte costituzionale e non trova conforto neanche, a monte, nel raggiungimento degli obiettivi che, secondo la teoria utilitaristica, rendono necessario il ricorso alla tecnica dell’esclusiva [87].

Un simile modo di concepire la proprietà intellettuale non si giustifica neppure – e, anzi, a maggior ragione – alla luce delle altre argomentazioni, non-utilitaristiche, a sostegno della stessa.

In particolare, non ha riscontro nella teoria di “prevenzione di condotte illecite e fraudolente” che scongiura i comportamenti parassitari e l’ingiustificato arricchimento di chi non ha compiuto nessuno sforzo per la nascita dell’invenzione, perché un simile impianto è esso stesso causa di arricchimento di soli pochi attori del mercato (in particolare, di big pharma).

Esso non si giustifica neanche nel prisma della teoria deontologica, perché con l’espansione dell’oggetto del brevetto si giunge sempre più a privatizzare anche beni comuni – quali dovrebbero essere intesi gli “ingredienti” dei farmaci o altre “entità” presenti in natura, come i genomi umani [88] – che non postulano alcuno (o comunque un grado sufficiente di) labour dell’uomo.

Infine, forti dubbi vi sono sulla possibilità di riconoscere una giustificazione della proprietà intellettuale, se così strutturata, che sia in linea con le argomentazioni di chi sostiene che i diritti di IP siano human rights suscettibili di una protezione assoluta: tale teoria, infatti, postula il ricorso alla tecnica del bilanciamento tra questi ed altri diritti di pari rango, con la conseguenza che, pur volendo riconoscere alle prerogative derivanti dal brevetto la natura di diritti fondamentali, difficilmente si può sostenere che questi siano preponderanti – e che quindi il relativo ius excludendi sia tout court giustificato – a fronte della compressione dei due diritti fondamentali alla salute e alla scienza aperta con cui le privative sui farmaci così intese si trovano di fatto a confliggere.


3.2. Verso una proprietà intellettuale sostenibile

Come si è visto, la crescente espansione della proprietà intellettuale, in termini di oggetto e di numero di prerogative riconosciute ai titolari dei diritti, costituisce un punto critico dell’attuale impianto normativo a tutela delle innovazioni e delle creazioni della mente umana, specialmente nel campo della ricerca scientifica e farmacologica.

Si ritiene, tuttavia, che – contrariamente alla lettura che ne viene data dalla dottrina maggioritaria – il problema non dovrebbe essere individuato tanto, in termini astratti, nella proprietà intellettuale in sé, quale “bestia nera” del “capitalismo della conoscenza” [89].

Essa che, non a caso, soffre ormai da tempo di una crisi di legittimazione pubblica [90], è in realtà uno strumento di per sé neutro, rispetto al quale le teorie generali di giustificazione appena esposte corrispondono a nient’altro che precise scelte di politica del diritto.

Le logiche di profitto non sono, infatti, ontologicamente intrinseche alla proprietà intellettuale: le motivazioni che spingono il potere legislativo a costituire artificialmente spazi di esclusiva riconducibili alle privative dell’IP ben possono declinarsi anche intorno a valori differenti da quelli difesi essenzialmente dall’indu­stria (farmaceutica).

Il punto problematico è, dunque, l’utilizzo che si fa di questo strumento giuridico – ribattezzato da qualcuno come pseudo-IP [91] – che vede oggi l’impianto normativo della proprietà intellettuale sbilanciato verso considerazioni di mera convenienza di mercato [92] e governato da “pochi e influenti attori economici in grado di imporsi” su scala globale con sempre più facilità come i “vincenti” dell’odierno sistema capitalistico [93].

La proprietà intellettuale, invece, potrebbe, e dovrebbe, porsi a vantaggio della collettività e così integrarsi (e non essere concepita in antagonismo [94]) con le prerogative della normativa a tutela della libera concorrenza, soprattutto in un contesto in cui la concentrazione, consolidata e duratura, del potere di tali attori del mercato è estremamente forte, come nel contesto digitale [95].

Nella già citata sentenza del 1978, la Corte costituzionale aveva prontamente sollevato le sue preoccupazioni contro il rischio di strumentalizzazione che di tale strumento poteva essere fatto [96].

Aveva, infatti, individuato quattro possibili correttivi ai rischi paventati in parallelo alla liberalizzazione dei brevetti sui farmaci: (a) «l’espropriazione dei diritti di brevetto per ragioni di pubblica utilità» (già previsto all’art. 60 del r.d. n. 1127); (b) l’introduzione, «a somiglianza di quanto è disposto in altri paesi europei, di forme speciali di licenza obbligatoria»; (c) la riduzione della durata del brevetto sotto forma di anticipazione di «quella situazione di generale utilizzabilità del prodotto farmaceutico o del processo di fabbricazione (c.d. dominio pubblico del bene immateriale) che normalmente segue all’esaurimento del periodo di durata del brevetto»; (d) una disciplina di attenta regolamentazione pubblicistica dei prezzi” [97].

Una soluzione a questa deriva della proprietà intellettuale verso una pseudo-IP, all’origine tra l’altro della tragedia degli anticommons, che inverte il rapporto di mezzo al fine tra ricerca e diritto alla salute potrebbe essere una riconsiderazione della stessa in chiave sostenibile, in linea con quella sua crescente costituzionalizzazione, preconizzata da taluni già da tempo [98], che vede oggi più che mai un ruolo preponderante dei “fundamental rights in shaping and using intellectual property norms” [99].

Una proprietà intellettuale sostenibile è una proprietà intellettuale non in contrapposizione, ma a sostegno dei diritti costituzionalmente garantiti e, in particolare, dei diritti fondamentali all’accesso alle cure e alla scienza aperta, nonché, più in generale, del principio di solidarietà [100].

Una proprietà intellettuale sostenibile è una proprietà intellettuale che ingloba nei suoi meccanismi il principio personalista della prevalenza della tutela dell’individuo e della sua salute fisica e mentale.

Una proprietà intellettuale sostenibile è una proprietà intellettuale più trasparente, che, alla luce di un’idea di libertà di iniziativa economica e di esercizio della proprietà che non possono svolgersi in contrasto con il fine dell’utilità sociale [101], si preoccupa di perseguire altresì gli interessi generali e collettivi, anche in un’otti­ca di tutela delle generazioni future.

È una proprietà intellettuale pluralista e inclusiva delle istanze di categorie di persone che possono essere qualificate come vulnerabili, che abbia a cuore innanzitutto la tutela della dignità umana, la quale “per il suo carattere inviolabile e la sua forza precettiva che impone rispetto e tutela (art. 1, Carta dei diritti fondamentali UE)” ha la forza di assurgere a vero e proprio principio di conformazione del mercato [102].

È una proprietà intellettuale in cui l’argomento utilitaristico dell’incentivo alla ricerca “non viene lasciato cadere, ma da premessa invalicabile e obiettivo dell’azione pubblica diviene un vincolo della medesima” [103].

Una proprietà intellettuale sostenibile è, dunque, una proprietà intellettuale che persegue una precisa funzione sociale [104].

La costituzionalizzazione della proprietà intellettuale, lungi dal negare la natura della proprietà intellettuale come normativa posta a tutela dei rapporti tra privati e il suo ruolo fondamentale nella regolamentazione del mercato, presuppone nondimeno che la stessa possa perseguire, in un’ottica di promozione dell’interesse generale, gli obiettivi che le carte europee e internazionali le riconoscono da tempo e decantano con enunciazioni che rischiano troppo spesso di ridursi a mere affermazioni di principio.

Infatti, sebbene l’Unione Europea cerchi di “accreditarsi come promotrice” di valori quali, ad esempio, quello dell’Open Science, “sta di fatto che la sua politica in materia di proprietà intellettuale è univocamente puntata al rafforzamento dei diritti di esclusiva” [105].

Insistere sulla costituzionalizzazione della proprietà intellettuale e sulla sua “social function” significa invece identificare e andare incontro ad un’esigenza di ponderazione e di bilanciamento, già nella concezione e poi nell’attuazione dei diritti di proprietà intellettuale, tra i diversi interessi in campo [106].

Per poter proporre una riconsiderazione della proprietà intellettuale in chiave sostenibile è imprescindibile, innanzitutto, mettere in prospettiva gli “intellectual property rights” rispetto ad altri diritti concorrenti e ricordare che fanno parte di un sistema giuridico più ampio [107].

Insomma, volendo traslare al campo dei brevetti il pensiero di Ferrara che, parlando della proprietà letteraria, affermava che la proprietà dell’idea non possa essere concepita “come un diritto isolato, come se l’uomo al quale appartenga fosse solo nel mondo”, la normativa brevettuale deve essere bilanciata con le esigenze della collettività, onde evitare che in nome della “sorte del sapiente già fatto” si soffochi il talento che si rifugia “negli ultimi strati della società” dove “muore, si divora, e si perde per difetto di mezzi” [108].


3.3. Le politiche “a monte” e “a valle”

Il sentimento di un necessario rinnovato approccio alla proprietà intellettuale non si è sviluppato oggi. Nel diritto d’autore, già da tempo si stanno sollevando “riflessioni critiche”, “fenomeni individuali di dissenso”, ed infine “movimenti d’opinione organizzati”, che “rivendicano l’esigenza di riorganizzare i regimi di stimolo all’innovazione” [109] in termini più coerenti con le istanze di accesso da parte della collettività agli artefatti e, in fin dei conti, alla conoscenza quale bene comune.

In ambito brevettuale, i forti dibattiti che vi sono stati, sul tema, a proposito della brevettazione dei vaccini contro il virus COVID-19 [110] – che taluno ha sostenuto dovessero essere ritenuti “global public goods” [111] – sono solo l’ultimo e il più evidente degli esempi di questa crisi di legittimazione che l’IP sta fronteggiando. A tal proposito, è stato osservato, “la tesi di fondo” di un’equa e rapida distribuzione su scala globale dei vaccini anti-COVID-19, “non è nuova” e si basa sull’idea che le politiche di estensione e rafforzamento della proprietà intellettuale, almeno se strumentalizzate così come fatto sinora, sono inconciliabili con le prerogative della scienza aperta [112].

Tra gli espedienti tecnici che potrebbero essere adoperati per ridare vigore alla normativa posta a tutela dei beni immateriali dell’IP in un’ottica sostenibile vi sono alcuni strumenti già conosciuti alla proprietà intellettuale.

In questo contesto, taluni autori [113] usano distinguere tra due principali forme di intervento possibili: da un lato, quelli ascrivibili alle politiche “a valle” della proprietà intellettuale, dall’altro, i correttivi riconducibili alle politiche “a monte”.

Tra le prime vanno fatte rientrare quelle che incidono, ad esempio, (i) sull’attivazione di meccanismi di tutela della concorrenza [114], (ii) sullo strumento delle licenze obbligatorie (le c.d. compulsory licenses), (iii) sulla sospensione dell’accordo TRIPS, con riferimento ai diritti di proprietà intellettuale su vaccini, farmaci e dispositivi medici, (iv) sull’istituzione di un fondo di ricerca permanente, sotto l’egida dell’OMS o di istituzioni ad essa assimilabili, finanziato da soldi pubblici [115], nonché (v) quelle che concernono “le iniziative internazionali che invitano i detentori della tecnologia alla condivisione volontaria dei diritti di proprietà intellettuale e know how” [116].

Tra le politiche a monte, invece, sono ricomprese quelle che riguardano “la definizione dei confini dei diritti di proprietà intellettuale” e, ancora più “in cima”, la distribuzione dei ruoli del settore pubblico e del settore privato e il ripensamento della funzione delle università e degli istituti di ricerca pubblici.

Seppur la letteratura in materia si sia concentrata sinora sulle politiche a valle, non c’è dubbio che “le maggiori debolezze del sistema”, ma anche i più ampi margini di manovra, “attengono a scelte riguardanti le politiche a monte” [117].

Gli interventi ascrivibili alle politiche a valle, infatti, risultano insufficienti rispetto al proposito di ridefinire un impianto normativo complessivamente sostenibile.

Prendendo in considerazione due di essi, le compulsory licenses e la sospensione dell’accordo TRIPS, non vi è dubbio che si tratti di strumenti, seppur utili a garantire un più corretto funzionamento dell’impianto regolatorio esistente, che non prescindono da esso e che, anzi, lo presuppongono, costituendo rispettivamente solo una valvola di sfogo necessaria per far fronte a situazioni specifiche ed eccezionali.

Le compulsory licenses, ad esempio, che si sostanziano nella pratica di consentire a terzi l’utilizzo di invenzioni brevettate senza l’autorizzazione del titolare della privativa [118], sono spesso state immaginate per ridurre il prezzo, nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, di farmaci che curano malattie come l’AIDS [119], la malaria e la tubercolosi [120].

Esse sono disciplinate, a livello internazionale, dall’art. 31 dei TRIPS, che tuttavia non parla espressamente di licenze obbligatorie, quanto di “Other Use Without Authorization of the Right Holder”, e dall’art. 31-bis dei TRIPS che, introdotto nel 2005, stabilisce, tra l’altro, una deroga all’obbligo dell’uso prevalentemente territoriale del farmaco prodotto in forza della licenza obbligatoria, che dà la possibilità di esportare tale farmaco a Paesi terzi che non avrebbero le capacità industriali e tecnologiche per produrlo [121]. A livello euro-unitario val la pena, invece, citare il Regolamento (CE) n. 816/2006, concernente la concessione di licenze obbligatorie per brevetti relativi alla fabbricazione di prodotti farmaceutici destinati all’esportazione verso paesi con problemi di salute pubblica, di attuazione dell’art. 31-bis. Infine, a livello nazionale, è degno di nota l’intervento del legislatore italiano che ha introdotto nel nostro Codice di proprietà industriale, con l. n. 108/2021, un’ipotesi speciale di licenza obbligatoria riservata al settore farmaceutico, finalizzata a fronteggiare una situazione di emergenza sanitaria nazionale [122].

Le compulsory licenses sono immaginate come strumento per promuovere il trasferimento di tecnologia nei Paesi a cui viene concesso l’utilizzo dell’invenzione brevettata, nonché lo sviluppo delle loro capacità industriali [123].

Non vi è dubbio che il loro principale obiettivo è di far fronte a situazioni emergenziali, come i casi di disastri naturali o le ipotesi in cui il titolare del brevetto non fornisca quantità sufficienti del farmaco protetto [124].

Esse, dunque, sono di certo cruciali nel perseguimento di pubblici interessi, come quello alla salute, così come anche specificato nella Dichiarazione ministeriale di Doha sull’accordo TRIPS e la salute pubblica (Dichiarazione di Doha) del 2001, secondo cui le stesse sono considerate strumenti atti ad aumentare la disponibilità di prodotti farmaceutici brevettati, soprattutto in situazioni di estrema urgenza [125].

A proposito delle licenze obbligatorie, infatti, la Dichiarazione di Doha ha esplicitamente stabilito che ciascun paese membro del WTO ha la libertà di determinare i presupposti per la loro concessione al fine di garantire la tutela della salute, specialmente di talune malattie considerate particolarmente critiche.

Tuttavia, non vi è accordo nell’intera comunità scientifica sul fatto che esse siano davvero efficaci nel­l’ottica di una più equa distribuzione dei farmaci [126]. Le principali obiezioni in tal senso riguardano la loro “inutilità” e, anzi, il rischio di danno che potrebbero determinare alla ricerca.

Secondo tali critiche, le compulsory licenses sarebbero inutili dal momento che per produrre un farmaco non è sufficiente accedere alla descrizione brevettuale, occorre accedere al know how [127], ossia al regime di segreti non ricompreso nel brevetto, “volto a tutelare il patrimonio di conoscenze e pratiche derivanti da esperienze e prove” [128]. Se ciò non viene fatto, il destinatario della licenza obbligatoria non può di fatto avvantaggiarsi dell’utilizzo dell’invenzione brevettata. A ciò si aggiunga che, spesso, un prodotto farmaceutico è costituito da una molteplicità di “componenti sviluppate in tutto il mondo lungo una supply chain che ricollega i rispettivi diritti di proprietà intellettuale a una eterogeneità di Paesi” [129], con la conseguenza che riconoscere tante licenze obbligatorie quante siano le componenti di tale prodotto è pressoché impossibile.

Esse sarebbero inoltre dannose, non solo perché pregiudizievoli degli interessi dei titolari costretti a concedere l’utilizzo del proprio farmaco, ma anche perché disincentiverebbero gli investimenti in ricerca e sviluppo. È ciò che sarebbe successo, ad esempio, in Canada, dove, è stato sostenuto, a causa della legislazione permissiva sulle compulsory licenses diverse aziende farmaceutiche impegnate nella ricerca hanno cessato la loro attività, mentre le industrie specializzate nella produzione di farmaci generici avrebbero subito una forte espansione [130].

Entrambe queste obiezioni, non solo sono state da taluni puntualmente smentite [131], ma, ciò che è più interessante, si “annullano” a vicenda. L’argomento dell’inutilità delle compulsory licenses (di cui alla prima argomentazione), infatti, si contraddice con quello degli incentivi (di cui alla seconda argomentazione): se ciò che vuole essere garantito sono gli stimoli alla ricerca, allora una limitazione del brevetto nella forma della licenza obbligatoria, se e in quanto inutile a rivelare il vero funzionamento dell’invenzione-farmaco, non intaccherebbe in alcun modo tale incentivo, perché il titolare del brevetto sarebbe comunque di fatto l’unico a poterne usufruire. In altre parole, “se la limitazione del brevetto non serve a garantire indipendenza di produzione, allora giocoforza non intacca gli incentivi” [132].

Tuttavia, una terza obiezione merita maggiormente attenzione nell’ottica di tale lavoro: il fatto che le stesse, pur utili al trasferimento di tecnologie in Paesi diversi da quelli di produzione, di base restino un meccanismo eccezionale – peraltro, secondo alcuni, destinato ad avvantaggiare maggiormente “non tanto i paesi in via di sviluppo ma giganti come la Cina e l’India che hanno capacità produttiva, ma non hanno la tecnologia occidentale, soprattutto quella americana” [133].

Esse sono infatti statuite per far fronte a una situazione ben determinata (l’art. 31 dei TRIPS prevede espressamente, tra le altre condizioni, che “l’autorizzazione all’uso è concessa sulla base di casi specifici”) e limitata nel tempo ed è comunque difficile imporle [134]: il processo è molto complicato e controverso e richiede il rispetto di una serie di requisiti molto stringenti [135].

Tale considerazione dà evidenza di come simili strumenti non possano nel complesso ritenersi sufficienti, da soli, ad avviare quel ripensamento della proprietà intellettuale in chiave sostenibile che si ritiene necessario.

Stesse valutazioni possono essere effettuate rispetto alle riflessioni circa la sospensione dei TRIPS, che costituiscono un’ulteriore tipologia di intervento delle politiche correttive “a valle” della proprietà intellettuale.

Si tratta di ciò a cui nel contesto internazionale ci si riferisce con il termine “waiver”, ovvero l’espediente tecnico previsto dall’art. IX, paragafo 3, dell’accordo di Marrakesh, secondo cui in circostanze eccezionali “the Ministerial Conference may decide to waive an obligation imposed on a Member by this Agreement or any of the Multilateral Trade Agreements”.

La disposizione, insieme a quella contenuta nel paragrafo 4 del medesimo articolo [136], è tornata di recente al centro di un grande dibattito [137], quando, nel contesto della crisi pandemica, il 2 ottobre 2020, India e Sud Africa hanno richiesto al Consiglio dei TRIPS di raccomandare al Consiglio Generale della WTO la sospensione dell’attuazione, dell’applicazione e della tutela di una parte dell’accordo TRIPS [138] per far fronte alla prevenzione, al contenimento e al trattamento terapeutico del COVID-19.

Anche rispetto a tale strumento – come per le complusory licenses – è del tutto evidente il carattere meramente derogatorio rispetto al complessivo quadro di tutela delle privative sui farmaci.

Tra le politiche “a monte” della proprietà intellettuale che, invece, come si diceva, offrono un maggiore margine di intervento per una sua riconsiderazione complessiva, val la pena richiamare la necessità (i) da un lato, di intervenire sulla ridefinizione dell’oggetto della normativa; (ii) dall’altro, di promuovere maggiormente la ricerca pubblica, nonché il ruolo che gli incentivi non privati all’innovazione hanno rispetto ad essa [139].

Sotto il profilo della ridefinizione del campo applicativo della proprietà intellettuale, essa potrebbe passare, ad esempio, attraverso una reinterpretazione (nuovamente) restrittiva dell’oggetto del brevetto, una diminuzione dei relativi tempi di protezione [140] e un miglioramento del sistema delle eccezioni (rectius, limitazioni) ritagliato sulle istanze di categorie specifiche di individui che patiscono particolarmente la distorsione della pseudo-IP.

A questo proposito va detto che l’opzione di introdurre nuovi confini applicativi della IP per via legislativa è sicuramente la strada più desiderabile in un’ottica di lungo periodo [141]: affinché l’obiettivo di dare forma ad una proprietà intellettuale più inclusiva e sostenibile sia efficacemente raggiunto, infatti, sarebbe indispensabile riformare trattati internazionali e leggi nazionali [142].

Tuttavia, essa soffre di obiettive limitazioni, essendo l’odierno mercato della salute strutturato sulle spalle di case farmaceutiche multinazionali e l’attuale assetto istituzionale caratterizzato da una forte decentralizzazione del sistema delle fonti [143]: la commistione di tali due fenomeni rende imprescindibile, se non altro, domandarsi quale sarebbe l’autorità che dovrebbe essere preposta ad avviare un’iniziativa parlamentare sul punto. Sarebbe necessario, infatti, un intervento del legislatore internazionale, ma, come dimostrato dal fallimento della proposta avanzata nel 2016 dal Panel di esperti istituito dal Segretario generale delle Nazioni Unite, avente ad oggetto lo studio e l’attuazione di “un altro modello per finanziare la ricerca e lo sviluppo dei farmaci attraverso una nuova convenzione internazionale, facendo propria di fatto la proposta avanzata dall’OMS già nel 2012” [144], è difficile immaginare nel prossimo futuro un coordinamento su scala globale.

Inoltre, anche volendosi limitare ad un piano di mera policy, va detto che l’attuale assetto operante a livello mondiale pare fondarsi su una diversa volontà politica.

E, di fatti, scarsa sembra l’attitudine delle istituzioni nazionali e internazionali a tradurre in regole operative le enunciazioni di principio a salvaguardia del diritto alla scienza aperta, alla salute e alla vita che pure vengono affermate nei testi di legge e di soft law.

Nel nulla, ad esempio, sono cadute le iniziative multilaterali (legislative [145] e non [146]) fioccate durante il periodo culminante dell’emergenza sanitaria dettata dalla gestione della pandemia da COVID-19.

L’ultima riprova in tal senso si rinviene, a livello euro-unitario, nell’”Action Plan sui diritti di proprietà intellettuale di supporto alla strategia di ripresa e resilienza del 25 novembre 2020” [147] e a livello nazionale italiano, nelle “Linee di intervento strategiche sulla proprietà industriale per il triennio 2021-2023” del Ministero dello Sviluppo Economico (oggi Ministero delle Imprese e del Made in Italy).

In questo contesto, la necessità di proporre il nuovo abbecedario di una proprietà intellettuale sostenibile non può che passare, allora, quantomeno nel breve periodo, da una riespansione del ruolo ermeneutico della dottrina e della giurisprudenza.

A livello dottrinale, già tante sono le riflessioni in tal senso: molti sono gli autori che stanno via via spingendo, sia nel campo dei brevetti [148] che del diritto d’autore [149], per una interpretazione in chiave più flessibile delle disposizioni normative in materia di IP contenute nel TRIPS agreement [150] e, più specificatamente, del sistema delle eccezioni e limitazioni.

Sempre più piede sta prendendo, infatti, e non a caso, il concetto di TRIPS flexibilities, con cui ci si riferisce al “policy space available for the implementation of the TRIPS Agreement” [151] che fino a non molto tempo fa era identificato con concetti come “room to maneuver,” “margins of freedom,” “safeguards,” e “margin of discretion” [152]. Tale locuzione include non solo le diverse deroghe previste per i Paesi meno sviluppati, ma anche le possibili declinazioni dei modi con cui tutte le disposizioni dell’Accordo TRIPS possono essere interpretate e attuate nei Paesi che ne sono vincolati [153].

Le TRIPS flexibilities si sostanzierebbero, dunque, in margini di manovra di cui gli interpreti nazionali possono avvalersi per ridare respiro alla normativa IP in un senso più conforme a considerazioni di sostenibilità.

Si tratta di un passo che si muove probabilmente nella giusta direzione.

È chiaro, però, che una reinterpretazione in tal senso dell’impianto normativo, per via dottrinale e giurisprudenziale, soprattutto se rivolta alla disciplina della proprietà intellettuale nel suo complesso non è facile. Essa presuppone che vi sia innanzitutto una crescente presa di consapevolezza – anche nella percezione comune – che un nuovo modo di concepire tale normativa è prima di tutto possibile e, in secondo luogo, auspicabile.

Lo stesso può dirsi per il secondo profilo delle politiche a monte che, ugualmente, richiederebbe un cambiamento culturale prima ancora che giuridico.

Nell’ambito di tale secondo profilo, potrebbe essere necessario ridare, ad esempio, importanza alla ricerca quale strumento di produzione della conoscenza pura, che prescinda dalle logiche speculative e del mercato [154].

È in quest’ottica che deve essere letto l’auspicio che “gli obiettivi di ricerca scientifica [siano] distinti dai fini industriali o commerciali” [155]: la ricerca dovrebbe essere il motore alla base di cure innovative, e questo anche nei settori che non sono economicamente remunerativi e nei confronti di categorie di persone che sono generalmente invisibili allo standard di riferimento degli studi scientifici. Non solo, la ricerca dovrebbe garantire un accesso alle cure non discriminatorio.

In tale contesto, dovrebbe diventare centrale l’obiettivo di rilanciare il ruolo delle università e del settore pubblico per far fronte al fenomeno della privatizzazione del sapere scientifico, alla luce del quale la nuova conoscenza generata dalla ricerca pubblica e dalle università produce profitti privati e non garantisce un’equa distribuzione delle risorse economiche [156].

I benefici generati alla collettività dalle università, dai centri di ricerca e dalle altre infrastrutture pubbliche sono d’altronde ampiamente riconosciuti dalla letteratura e si declinano se non altro in termini di: i) impatto scientifico delle pubblicazioni; ii) impatto sulla formazione di studenti e giovani ricercatori; iii) impatto sulla innovazione delle aziende; iv) impatto sul mercato e sull’economia, tramite l’acquisizione di nuovi clienti e l’ingresso in nuovi mercati e v) impatto socio-culturale per la società [157].

Dal punto di vista delle politiche concrete che potrebbero essere intraprese, alcune strategie istituzionali, diverse da quelle della costituzione di diritti di monopolio, potrebbero essere rivolte alla proposizione di premi e sussidi [158] e, più in generale, all’incrementazione degli investimenti pubblici in ricerca.

I fondi pubblici, ad oggi investiti in misura preponderante per coprire i costi sostenuti dal SSN [159], potrebbero essere invece stanziati per finanziare un numero sempre maggiore di progetti delle università e degli istituti di ricerca pubblici.

Tutto ciò potrebbe contribuire ad alleggerire il carico sostenuto dai sistemi sanitari nazionali a fronte di un numero sempre crescente della popolazione che usufruisce dei suoi servizi.

Perché non bisogna dimenticarsi del punto di partenza da cui tale riflessione ha avuto origine: se anche, nell’era della ageing society, i problemi del sovraccarico dei SSN, di una ricerca non inclusiva e della conseguente compressione dell’accesso alle cure riguardino l’intera popolazione, se non adeguatamente affrontati, a subirne gli effetti sono soprattutto le categorie della società a ciò maggiormente esposte, per età, genere e condizioni economiche.


4. …nell’epoca di una popolazione che invecchia. – 4.1. Gli anziani come soggetti vulnerabili

Se volessimo descriverla con le parole della sociologa Brené Brown, usate in un TedX tenutosi a Houston nel 2010, la vulnerabilità è la condizione di chi si appresta a “far qualcosa per cui non ci sono garanzie, attendere la telefonata del medico dopo una mammografia, investire in una relazione che può o non può funzionare” [160].

Derivato del latino vulnerabĭlis (ove “vulnerare” significa «ferire»), il termine vulnerabilità indica la condizione di chi può essere ferito, l’esposizione dunque di un determinato soggetto a un potenziale pericolo o a una situazione a sé sfavorevole.

Ci si chiede da tempo se ciò che l’opinione comune [161] “non esita ad individuare” complessivamente come “anziani” possa assurgere a categoria giuridica autonoma caratterizzata dal riconoscimento, in capo ai soggetti che vi fanno parte, di tratti più o meno comuni di vulnerabilità.

Il quesito si pone in parallelo con la crescente presa di coscienza che è in atto una “rivoluzione silenziosa [162]” che vede come inarrestabile l’invecchiamento della popolazione mondiale e si estrinseca in questi termini: esiste, per il diritto, o sarebbe opportuno teorizzare, un concetto di “anziani” quale categoria giuridica di individui “accomunati dal progressivo decadimento delle forze fisiche e mentali che accompagna l’in­vecchiamento” [163], cui attribuire un particolare status giuridico derogatorio rispetto al diritto comune in ragione proprio della loro condizione di vulnerabilità?

Il diritto civile (italiano, ma non solo) stenta a farsi carico di una simile teorizzazione [164].

Le ragioni sono molteplici: dalla “difficoltà di individuare caratteristiche comuni e costanti dipendenti dall’età che possano giustificare l’individuazione di una categoria anagrafica [165], analoga a quella dei soggetti minori di età” [166], alla considerazione che immaginare una categoria di individui anziani possa essere stigmatizzante e foriero di discriminazioni, inaccettabili in un sistema come quello tradizionale, in cui il soggetto giuridico è e dovrebbe essere, nella fisiologia dei suoi rapporti con altri e rispetto alla legge, “sempre uguale a se stesso” [167] e non declinato differentemente a seconda delle sue peculiari condizioni socio-economiche o anagrafiche.

È sufficiente, tuttavia, allontanare lo sguardo dalla prospettiva prettamente civilistica e volgerlo alla legislazione lavoristica e socioassistenziale per rendersi subito conto che la categoria degli anziani esiste eccome anche per il diritto, seppur, in linea di massima, limitatamente alla individuazione di “un’età pensionabile” e alla previsione di disposizioni ad hoc cui la produzione legislativa ha dato vita soprattutto dopo la pandemia da COVID-19 [168].

La sensazione è che, se declinata rispetto agli anziani, la vulnerabilità sia considerata come potenzialmente stigmatizzante e foriera di discriminazioni in quanto ritenuta coincidente con il concetto di fragilità (quale “attitudine a rompersi facilmente” [169]), laddove essa prescinde, invece, da ogni valutazione di debolezza in concreto di un dato individuo.

Se di vulnerabilità, dunque, si accetta la definizione appena fornita di esposizione a una condizione sfavorevole (che sia di pericolo effettivo o meno), non si può che riconoscere agli stessi la qualifica di soggetti vulnerabili.

Infatti, come si è visto, proprio prendendo in considerazione l’ambito sanitario, ecco che alcuni ordini di problemi, seppur non esclusivi di tale ‘categoria’ (se di ciò può parlarsi), riverberano con particolare fulgore quando rapportati agli individui di età avanzata.

Di conseguenza, quello che è stato sinora un punto cardine attorno al quale l’universalità della regola giuridica si è costruita, come garanzia del ‘mantra’ della “la legge è uguale per tutti”, rischia di nascondere e legittimare esso stesso discriminazioni indirette nei confronti di alcune minoranze “invisibili” al diritto civile, come gli anziani.

Individuare l’essenza del concetto di “vulnerabilità” nell’attitudine ad essere esposti maggiormente ad una situazione di svantaggio può costituire, allora, in questo contesto, un espediente per veicolare per gli individui di età più avanzata la definizione di uno status giuridico [170], che faccia fronte a quella condizione sfavorevole che gli stessi fronteggiano in relazione ad alcuni aspetti della loro esistenza, come appunto quello di accesso alle cure.

Come è stato notato, “l’individuare un gruppo, una categoria di soggetti vulnerabili è funzionale al riconoscimento di diritti, all’attribuzione di obblighi, all’implementazione di specifiche procedure e forme di tutela; allo stesso modo l’individuare un limite di età superato il quale queste previsioni possano trovare diretta applicazione è utile in termini di effettività delle stesse” [171].

Lungi dall’essere stigmatizzante e motivo di discriminazione, dunque, riconoscere giuridicamente la categoria degli anziani anche in ambito sanitario potrebbe essere utile, per “selezionare coloro ai (e per i) quali attribuire risorse, garantire diritti, predisporre forme rafforzate e specifiche di tutela” [172].

In un contesto storico-giuridico che ha visto il diritto civile passare, prima, da una mera [173] prospettiva di tutela del soggetto neutro, poi, ad un progressivo riconoscimento della centralità della persona umana (al singolare), ed, infine, a quello di protezione di tutte le persone (plurale) nella loro dimensione propriamente esistenziale e nelle loro diverse declinazioni economico-sociali, l’idea di configurare in capo agli anziani una categoria giuridica a sé stante risponde, infatti, a quel, più generale, desiderio di enucleare i diritti, poteri e limiti da riconoscer loro, considerando gli stessi “come fattispecie tipiche piuttosto che come declinazioni non tassative dei principi che nel moderno costituzionalismo sono rivolti alla persona” [174].


4.2. Gli anziani come categoria “di leva” della proprietà intellettuale?

Il quesito che, a questo punto dell’analisi si delinea come inevitabile, è se la “categoria” degli anziani possa essere resa giuridicamente “visibile” – o se sarebbe opportuno che lo fosse – anche alla proprietà intellettuale.

Immaginare un sistema di proprietà intellettuale “inclusivo” delle istanze di gruppi in genere invisibili al diritto (civile) significa superare anche in questo campo la concezione del soggetto neutro di diritto, riconoscendo agli stessi uno status peculiare e una protezione specifica in termini di accesso alle cure che passi anche attraverso i meccanismi dell’IP.

Si consideri a tal proposito che il sistema sanitario italiano, come più volte rilevato, già conosce categorie di soggetti a cui garantisce un accesso gratuito ai servizi essenziali, ma se ne sobbarca il peso economico.

Un ripensamento della proprietà intellettuale potrebbe, invece, agire a monte, redistribuendo i vantaggi dell’innovazione scientifico-farmacologica sull’intera collettività.

In una proprietà intellettuale immaginata e strutturata come sostenibile, trasparente e inclusiva si potrebbe, ad esempio, optare per l’introduzione di limitazioni alle privative esistenti, che siano specificatamente ritagliate sulle esigenze degli anziani.

Oppure, si potrebbe immaginare di tradurre i diritti alla salute e alla non discriminazione in altrettanti diritti soggettivi, azionabili dagli anziani, a pretendere l’accesso ai medicinali e ai servizi essenziali, anche quando questi siano coperti da IP, in virtù di specifiche eccezioni appositamente predisposte in loro favore.

Si potrebbe altresì prevedere un regime giuridico volto a riconoscere come pretese giuridicamente rilevanti quelle, da parte di tali categorie, di essere adeguatamente rappresentate nelle ricerche scientifiche. Potrebbe trovare spazio, ad esempio, la formulazione di un diritto soggettivo a promuovere una ricerca inclusiva per gli anziani (anche quando non fosse conveniente economicamente), seppur, tuttavia, nell’equilibrato rispetto del principio di libertà della ricerca sancito dalle Costituzioni.

Potrebbero essere adottate, poi, delle politiche di regolamentazione pubblicistica dei prezzi, almeno per quei farmaci brevettati concepiti per far fronte alle malattie delle categorie che sono destinate a subire maggiormente il peso dello strapotere delle case farmaceutiche.

Si tratta chiaramente solo di suggestioni, che meriterebbero più approfondite considerazioni, ma che lasciano spazio all’idea che, qualora fosse giuridicamente riconosciuta, la categoria degli anziani potrebbe diventare una delle leve che contribuiscono a rendere la proprietà intellettuale più sostenibile e il settore della sanità complessivamente più funzionante, a vantaggio dell’intera collettività.

È facile immaginare i forti ostacoli di natura economica e politica [175] che si potrebbero incontrare di fronte al tentativo di introduzione di soluzioni di questa portata in una proprietà intellettuale che deve ancora far fronte alla ridefinizione della sua funzione nel suo complesso.

Tuttavia, in un’ottica di lungo periodo, potrebbe essere opportuno, oltre che interessante, proporre delle riflessioni puntuali in questo senso.


5. Conclusioni: una proprietà intellettuale sostenibile per una sanità sostenibile

Come si è visto, un sistema di “mercato” della salute come quello attuale costituisce potenzialmente un pericolo per l’esercizio di fatto del diritto alle cure di tutti i cittadini.

Esso, tuttavia, espone soprattutto gli anziani – quale categoria maggiormente destinata a sopportarne il peso – ad una condizione sfavorevole che ne può giustificare la loro considerazione quale “gruppo vulnerabile”.

Alla luce dell’espansione delle logiche di mercato anche al settore della salute e, in particolare, nella ricerca scientifica, gli anziani si trovano, infatti, a fronteggiare sempre maggiori difficoltà nell’esercizio del proprio diritto di accesso alle cure, vuoi per quello che è stato postulato come “digital divide” generazionale, vuoi per il fatto che la necessità di attingere a cure massicce tendenzialmente connaturata al decadimento fisico e mentale conseguente all’avanzamento dell’età si scontra con un progressivo sovraccarico dei sistemi sanitari nazionali [176] e con la parallela mancanza di investimenti da parte di “big pharma” su malattie la cui ricerca risulta essere poco redditizia per il mercato della salute.

Non vi è dubbio che, in un quadro del genere, vi sia bisogno, come anche dimostrato dalla crisi pandemica, di una riconsiderazione della sanità in ottica sostenibile, la quale dovrebbe auspicabilmente scorporarsi dalle logiche di mercato e far tornare al centro delle sue riflessioni e delle sue azioni strategiche, l’indi­vi­duo [177], in tutte le sue sfaccettature (sesso, genere ed età compresi).

Infatti, un mercato della salute così strutturato, che inficia nel profondo anche lo sviluppo di un ambiente di ricerca collaborativo, pluralista e rivolto alla produzione di conoscenza (e non al mero profitto), non è desiderabile. In linea con queste istanze di sostenibilità del settore sanitario, già da tempo sono state intraprese a livello internazionale delle iniziative volte a promuovere un obiettivo di “Copertura Sanitaria Universale, o Universal Health Coverage (UHC)”. Esso “prevede che tutte le persone e le comunità abbiano accesso ai servizi sanitari di cui hanno bisogno senza sofferenza economica” [178].

Uno degli strumenti che potrebbero fare da propulsori ad una ridefinizione dei rapporti di forza tra mercato, industria privata, centri di ricerca pubblica e servizi sanitari nazionali è, come si è tentato di dimostrare, una proprietà intellettuale che torni ad essere coerente con la funzione sociale di promozione dell’innova­zione, che inglobi meccanismi di compensazione dello strapotere di alcuni attori privati e che rimetta al centro del discorso il rapporto di mezzi al fine tra ricerca e altri diritti fondamentali, come il diritto alla salute.

Nell’era della ageing society queste riflessioni assumono un rilievo ancora maggiore.

Il problema della strumentalizzazione dell’IP va, certamente, oltre quello degli anziani. Tuttavia, individuare questi ultimi come categoria giuridica visibile alla proprietà intellettuale avrebbe il vantaggio di porre in prospettiva tutte le criticità appena esposte che si manifestano come corollario dell’inarrestabile fenomeno dell’invecchiamento della popolazione.

Metterebbe in luce le problematiche specifiche di questa categoria di soggetti vulnerabili, non perché gli unici a meritare riflessioni ed interventi puntuali, ma perché le riflessioni che li riguardano rappresentano un punto di partenza paradigmatico di alcune di queste sfide e possono fornire, quindi, un primo zoccolo duro sul quale costruire ulteriori considerazioni, anche in un’ottica di solidarietà intergenerazionale.

Tuttavia, i tempi non sono ancora maturi per una simile rivoluzione elder-inclusive della proprietà intellettuale: un tale ripensamento richiederebbe innanzitutto un cambiamento culturale e dovrebbe tradursi in termini di scelte di politica del diritto che non sembrano essere, al momento, al centro dell’agenda dei legislatori nazionali, né di quello europeo o internazionale.

Resta, questa, allora – forse – una bella sfida per il futuro.


NOTE

[1] Irti, La rilevanza giuridica della persona anziana, in corso di pubblicazione.

[2] Caso, Pandemia e vaccini. L’irrisolvibile antagonismo tra scienza aperta e proprietà intellettuale, https://doi.org/
10.5281/zenodo.4783183.

[3] È stato notato, a tal proposito, che persino gli “high-income countries are facing access challenges, in particular for new lifesaving treatments sold at such high prices that even the richest social security systems cannot provide them to all their citizens in need”, cfr. Krikorian, Torreele, We Cannot Win the Access to Medicines Struggle Using the Same Thinking That Causes the Chronic Access Crisis, in Health and Human Rights, 23, 1, 2021.

[4] Per una panoramica in tal senso cfr. Lofaro, Piattaforma di Telemedicina e Fascicolo Sanitario Elettronico: il raccordo dei flussi informativi per i servizi sanitari digitali alla luce delle nuove linee guida, in Rivista scientifica trimestrale di diritto amministrativo, 2, 2023.

[5] Collicelli, Censis: così il digitale potenzia il diritto alla salute, 2017, https://www.agendadigitale.eu/infrastrutture/censis-cosi-il-digitale-potenzia-il-diritto-alla-salute/.

[6] La carenza di soluzioni terapeutiche adeguate è determinata da un’insufficienza degli investimenti nel settore della ricerca su malattie specifiche della ‘categoria’ degli anziani o di studi clinici e pre-clinici che li rappresentino adeguatamente.

[7] A titolo di esempio, “La dimensione congenita della vulnerabilità umana nel mondo digitale è alla base del c.d. “approccio universalistico” adottato dal regolamento europeo sulla protezione dei dati personali che considera tutti gli individui ugualmente esposti a potenziali violazioni della propria sfera personale digitale”, cfr. Irti, L’uso Delle “Tecnologie Mobili” Applicate Alla Salute: Riflessioni Al Confine Tra La Forza Del Progresso E La Vulnerabilità Del Soggetto Anziano, in Persona e Mercato, 1, 2023 47.

[8] Irti, L’uso Delle “Tecnologie Mobili” Applicate Alla Salute, cit., 47

[9] Intesa come “l’esistenza delle condizioni oggettive e soggettive che consentono un utilizzo consapevole delle tecnologie informatiche”, cfr. Simoncini, Il diritto alla tecnologia e le nuove disuguaglianze, in Marini, Scaccia, Emergenza Covid-19 E Ordinamento Costituzionale, Giappichelli, 2020, 192.

[10] Il digital divide può essere definito come la “scarsa conoscenza e scarsa dimestichezza con i servizi online”, cfr. Collicelli, Censis: così il digitale potenzia il diritto alla salute, cit.

[11]cfr. https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/policies/desi, ultima consultazione: 20 settembre ’23.

[12] Anche i dati riferibili all’Italia sono significativi al riguardo: è stato rilevato, infatti, che “mentre la quasi totalità dei giovani (tra 15 e 24 anni) naviga su Internet – oltre il 90% – tra 65-74 anni la percentuale scende al 41%, per ridursi al solo 11% oltre i 75 anni. A questo dato corrisponde il fatto che, mentre la quasi totalità delle famiglie italiane in cui figura un minorenne dispone di un collegamento a banda larga (95,1%), tra le famiglie composte esclusivamente da ultra-sessantacinquenni la quota scende drammaticamente al 34%”, cfr. Simoncini, Il diritto alla tecnologia e le nuove disuguaglianze, cit., 193.

[13] Cfr. https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/policies/desi, cit.: “socio-demographic factors influence the levels of digital skills. For example, 71% of young adults (aged 16-24), 79% of individuals with high formal education22, and 77% of higher education students have at least basic digital skills (Table 2). By contrast, only 35% of those aged 55-74 and 29% of the retired and the inactive have at least basic digital skills”.

[14] A tal proposito, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Organisation for Economic Co-operation and Development – OECD) ha rilevato che tra il 2015 e il 2030 il numero di anziani bisognosi di assistenza nel mondo aumenterà di 100 milioni e che “nonostante l’aumento dell’aspettativa di vita in buona salute registrato negli ultimi anni (...), i sistemi sanitari dovranno adattarsi per soddisfare le esigenze di una popolazione che invecchia, che probabilmente includeranno una maggiore domanda di assistenza a lungo termine ad alta intensità di lavoro (LTC) e una maggiore necessità di assistenza integrata e incentrata sulla persona (“Between 2015 and 2030, the number of older people in need of care around the world is projected to increase by 100 million”[14] e che “in spite of the gains in healthy life expectancy seen in recent years (…), health systems will need to adapt to meet the needs of an ageing population, which are likely to include greater demand for labour-intensive long-term care (LTC) and a greater need for integrated, person-centred care”https://www.oecd-ilibrary.org/sites/ae3016b9-en/1/3/10/1/index.html?itemId=/content/
publication/ae3016b9-en&_csp_=ca413da5d44587bc56446341952c275e&itemIGO=oecd&itemContentType=book)
; cfr. anche Agar, Brugiavini; Ludovico, Carrino; Cristina, Orso; Giacomo, Pasini Vulnerability and Long-term Care in Europe. An Economic Perspective, Cham, Palgrave Pivot, 2017 (ISBN 9783319689692; 9783319689685).

[15] Carrino, Ludovico; Orso, Cristina; Pasini, Giacomo, Demand of long-term care and benefit eligibility across European countries in HEALTH ECONOMICS, vol. N/D, 1175-1188, 2015 (ISSN 1057-9230); Kalwij, Adriaan; Pasini, Giacomo; Wu, Mingqin, Home care for the elderly: the role of relatives, friends and neighbors in REVIEW OF ECONOMICS OF THE HOUSEHOLD, vol. 12, 2014, 379-404.

[16]Sul sito del Ministero della salute italiano, ad esempio, è specificato che “è diritto di ogni cittadino usufruire dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria. Il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini – gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket) – con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale, un insieme di prestazioni e servizi, definitivi Livelli essenziali di assistenza (LEA)” https://www.portaletrasparenzaservizisanitari.it/i-diritti-dei-cittadini-e-dei-pazienti/.

[17] https://www.epicentro.iss.it/globale/pdf/copertura-sanitaria-mondo.pdf.

[18] https://www.epicentro.iss.it/globale/pdf/copertura-sanitaria-mondo.pdf.

[19] Lippi, Bianucci, Donell, Gender medicine: its historical roots, Postgrad Med J, 2020.

[20] Garattini, Brevettare la salute, cit.

[21] Cfr. le conclusioni del Rapporto della Commissione Monti, così come anche citato in Balduzzi, La “liberalizzazione” dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Profili costituzionali e internazionali, in Quaderni costituzionali, 2022, 263, secondo cui “i prodotti per i quali esiste soltanto un mercato piccolo, come quelli destinati a curare le malattie rare, vengono prodotti soltanto quando esistono altri incentivi, quali l’estensione della tutela brevettuale o contributi pubblici per ricerca e sviluppo”, nonché Garattini, Brevettare la salute, il Mulino, 2020, 93.

[22] Ci sono alcune patologie rare, come la fibrosi cistica, che non vengono diagnosticate in età giovanile ma nell’età adulta.

[23] Collicelli, Censis: così il digitale potenzia il diritto alla salute, cit. È notizia recentissima quella che riguarda il primo intervento chirurgico al mondo, effettuato in remoto con la tecnologia 5G, presso il Policlinico di Bari (cfr. https://www.regione.puglia.
it/web/press-regione/-/eseguito-con-successo-il-primo-intervento-chirurgico-in-remoto-con-5g-su-un-paziente-al-policlinico-di-bari?redirect=%2F
).

[24] Contu, Il ruolo del brevetto biotecnologico tra valorizzazione della ricerca scientifica e logiche economico-commerciali, in Rivista critica del diritto privato, 1, 2012, 103.

[25] Garattini, Brevettare la salute, cit., 76.

[26] Garattini, Brevettare la salute, cit., 76.

[27] Samulowitz, Greyr, Eriksson, Hensing, “Brave Men” and “Emotional Women”: A Theory-Guided Literature Review on Gender Bias in Health Care and Gendered Norms towards Patients with Chronic Pain. Pain Res Manag. 2018 Feb 25;2018:6358624. doi: 10.1155/2018/6358624. PMID: 29682130; PMCID: PMC5845507, https://doi.org/10.1155/2018/6358624.

[28] https://www.dukemedicalethicsjournal.com/copy-of-clinical-implementation-of-ge-1., cfr. anche due studi contenuti nell’ormai celebre numero del 1991 del New English Journal of Medicine, condotti rispettivamente da Ayanian ed Epstein e Steingart et al., hanno dimostrato per la prima volta in modo espresso la “under-diagnosys” e l’”undertreatement” delle donne della malattia arteriosa coronarica, dovuti alla circostanza che i suoi sintomi fossero stati studiati esclusivamente nei pazienti maschi. https://www.asst-pavia.it/sites/default/files/documenti/Primo%20articolo%20%20medicina%20di%20genere.pdf.

[29] “The concept of andronormativity implies that men and masculinity dominate health care” Samulowitz, A., Gremyr, I., Eriksson, E., & Hensing, G., “Brave Men” and “Emotional Women”, cit.

[30] Vetterling-Braggin, Mary, “Introduction”. “Femininity”, “masculinity”, and “androgyny”: a modern philosophical discussion, Totowa, NJ: Littlefield, Adams, 1982.

[31] Latino, L’emergenza sanitaria fra privative brevettuali e solidarietà (dis)attesa: in medio stat virus, in Rivista Della Cooperazione Giuridica Internazionale, 69, 2021, 135-154, 136. A tal proposito, basti pensare che, nel contesto della pandemia da COVID-19, “il vaccino Oxford-AstraZeneca è stato finanziato al 97% da fonti pubbliche e non profit, quello Moderna è stato ricercato e sviluppato con 2,5 miliardi di euro di donazioni pubbliche e altre e che BioNTech-Pfizer ha ricevuto 475 milioni di euro di finanziamenti pubblici per la sua ricerca” (idem, 140). A tal proposito, si notino anche le riflessioni di Balduzzi, che ugualmente rileva come “la quota essenziale del rischio è a carico del settore pubblico, che finanzia una larga parte della ricerca fondamentale sottesa ai nuovi farmaci e alle nuove tecnologie, e ciononostante i profitti vanno in maggioranza alle imprese che si impadroniscono di questo sapere e ne fanno prodotti che immettono nel mercato” (cfr. Balduzzi, La “liberalizzazione” dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Profili costituzionali e internazionali, cit.).

[32] Garattini, Brevettare la salute, cit.

[33] https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2015/542219/IPOL_STU(2015)542219_EN.pdf.

[34] In linea con il pensiero di Garattini, diversi sono gli studi che negano questa correlazione biunivoca tra riconoscimento di brevetti e innovazione e non solo nell’ambito farmacologico. Si vedano ad esempio livello italiano le riflessioni di Caso, Pandemia e vaccini., cit. Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso “Myriad Genetics”, cit.; Casonato, I farmaci, fra speculazioni e logiche costituzionali, in Rivista AIC, 4, 2017, nonché, per una ricostruzione storica, cfr. Dosi, Marengo, Staccioli, Virgillito, Big Pharma and monopoly capitalism: A long-term view, 2022, https://ssrn.
com/abstract=4092494.

[35] Dosi, Marengo, Staccioli, Virgillito, Big Pharma and monopoly capitalism: A long-term view, cit.

[36] Emblematica è la vicenda di DABUS, AI creata dall’ing. Thaler, che ha generato due prodotti di cui negli ultimi anni l’ing. Thaler stesso ha chiesto la tutela come invenzioni, presentando domanda in diversi Uffici Brevetti del mondo. In alcuni di essi, le domande sono ancora pendenti, mentre uffici come lo European Patent Office (EPO) si sono già pronunciati nel senso di escludere la qualifica di inventore in capo all’AI DABUS. Per una panoramica sullo status delle diverse domande e appelli contro le decisioni già adottate, cfr. https://artificialinventor.com/patent-applications/.

[37] Geiger, The Social Function of Intellectual Property Rights, or How Ethics can Influence the Shape and Use of IP Law (March 4, 2013). Graeme B. Dinwoodie (ed.), ‘Intellectual Property Law: Methods and Perspectives’, Cheltenham, UK/Northampton, MA, Edward Elgar, 2013, 153-176, Max Planck Institute for Intellectual Property & Competition Law Research Paper No. 13-06, Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=2228067, 4.

[38] Onyeagbako, Justifications for Copyright and Patents Protection (January 20, 2020). Available at SSRN: https://ssrn.
com/abstract=3596193 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3596193
. Per una disamina più approfondita dei diversi fondamenti di ordine filosofico e politico invocati in riferimento alla proprietà intellettuale, si veda, tra tutti, Libertini, Tutela e promozione delle creazioni intellettuali e limiti funzionali della proprietà intellettuale, in AIDA, fasc.1, 2014, pag. 299; nonché Hughes, The philosophy of Intellectual Property, in 77 Geo. L. J., 1988-1989, 287 ss.

[39] Caso, Pandemia e vaccini., cit.

[40] Inventions then cannot, in nature, be a subject of property. Society may give an exclusive right to the profits arising from them, as an encouragement to men to pursue ideas which may produce utility, but this may or may not be done, according to the will and convenience of the society, without claim or complaint from anybody” (cfr. http://press-pubs.uchicago.edu/founders/
documents/a1_8_8s12.html
).

[41] Per un approfondimento, cfr. Onyeagbako, Justifications for Copyright and Patents Protection, cit.

[42] In the absence of intellectual property protection, the personal and material application of the creative few in a society will only result in lack of creativity and redundancy in a society. New inventions and/or creations may be utilised without care or fear of quality and origin. Misrepresentation, piracy and counterfeiting will be the order of the day (Onyeagbako, Justifications for Copyright and Patents Protection, cit., 5 e ss.).

[43] Onyeagbako, Justifications for Copyright and Patents Protection, cit., 5 ss.

[44] John Locke, Two Treatises of Government, Second Treatise (3rd Edition Cambridge University Press 1988) 287-288.

[45] Menell, Intellectual Property: General Theories, in Menell, Peter S.; Bouckaert, B.; de Geest, G., Encyclopedia of Law and Economics, Edward Elgar, Northampton, 2000.

[46] Macmillan, ‘Speaking truth to power’: Copyright and the control of speech, in O. Pollicino, G.M. Riccio, M. Bassini (eds), Copyright and Fundamental Rights in the Digital Age, Edward Elgar, 2020, 22, secondo cui “this position is generally located theoretically in a highly questionable reading of Chapter 5 of Locke’s Second Treatise, sometimes accompanied by a Kantian natural rights discourse”.

[47] Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso “Myriad Genetics”, cit.

[48] A mero titolo esemplificativo, si consideri che a giugno 2021, nel contesto della pandemia da COVID-19, l’Unione europea ha inviato al Consiglio Generale della WTO una comunicazione in cui avrebbe evidenziato the value of intellectual property as incentive to follow-on innovation”[48]. In particolare, al punto 6 della Comunicazione, si specificava che “The rapid development of several safe and effective COVID-19 vaccines has shown the value of intellectual property, in terms of the necessary incentives and rewards to research and innovation (…). Cfr., COMMUNICATION FROM THE EUROPEAN UNION TO THE COUNCIL FOR TRIPS “URGENT TRADE POLICY RESPONSES TO THE COVID-19 CRISIS: INTELLECTUAL PROPERTY”, IP/C/W/680, https://docs.wto.org/dol2fe/Pages/FE_Search/FE_S_S009-DP.aspx?language=E&CatalogueIdList=274927,274473,274404,274395,
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.

[49] Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso “Myriad Genetics”. Rivista critica del diritto privato, 281-311.,  285.

[50] Menell, Intellectual Property: General Theories, cit.

[51] Caso, Pandemia e vaccini., cit.

[52] Contu, Il ruolo del brevetto biotecnologico tra valorizzazione della ricerca scientifica e logiche economico-commerciali, cit.

[53] Ciò, peraltro, a fronte di una riduzione degli investimenti in ricerca e sviluppo di solo 8 punti percentuali negli altri settori produttivi (cfr. Latino, L’emergenza sanitaria fra privative brevettuali e solidarietà (dis)attesa: in medio stat virus, cit., 142).

[54] Hardin, The tragedy of the Commons, in 162 “Science”, 1234 (1968).

[55] Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso “Myriad Genetics”, cit., 286.

[56] Boyle, The Second Enclosure Movement and the Construction of the Public Domain. Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=470983 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.470983.

[57] Contu, Il ruolo del brevetto biotecnologico tra valorizzazione della ricerca scientifica e logiche economico-commerciali, cit.

[58] Heller, R.S. Eisenberg, Can Patent Deter Innovation? The Anticom– mons in Biomedical Research, in «Science», 1998, 698.

[59] È stato notato, infatti, che ai classici diritti di proprietà intellettuale (come il diritto d’autore, i brevetti, i marchi) si sono progressivamente aggiunti i diritti connessi, i diritti sui generis e i diritti di proprietà intellettuale che non sono specificatamente classificati (come il diritto all’immagine o i diritti degli organizzatori di eventi sportivi): “As intellectual property rights have gained importance, they have lost in transparency. This loss is due first of all to their number, with the classical intellectual property rights (such as copyright, patents, trademarks) having been gradually joined by neighbouring rights, sui generis rights and indeed intellectual property rights that do not reveal their name (like the right to one’s own image or the rights of sports events organisers), in some cases relating to the same object”. Cfr. Geiger, The Social Function of Intellectual Property Rights, or How Ethics can Influence the Shape and Use of IP Law, cit., 2.

[60] Nel desiderio di scongiurare una “sottoproduzione dell’immateriale, indispensabile per il benessere della collettività”, “la presenza eccessiva di siffatta tutela” determina di fatto, invece, una “sottoutlizzazione dell’immateriale stesso a detrimento del bene comune”, cfr. Iannarelli, “Proprietà”, “immateriali”, “atipicità”: i nuovi scenari di tutela, cit., 92.

[61] Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso “Myriad Genetics”, cit., Contu, Il ruolo del brevetto biotecnologico tra valorizzazione della ricerca scientifica e logiche economico-commerciali, cit.

[62] Garattini, Brevettare la salute, cit., 37.

[63] Casonato, I farmaci, fra speculazioni e logiche costituzionali, cit., 3.

[64] Contu, Il ruolo del brevetto biotecnologico tra valorizzazione della ricerca scientifica e logiche economico-commerciali, cit.

[65] Garattini, Brevettare la salute, cit.

[66] La letteratura in materia conviene nel considerare uno standard internazionale il fatto che le invenzioni, per essere brevettate, debbano (i) essere nuove; (ii) essere frutto di un’attività inventiva (inventive step); (iii) avere l’attitudine ad essere applicate in un contesto industriale.

[67] Garattini, Brevettare la salute, cit., 49.

[68] Essi ad oggi non si limitano ai diritti riconosciuti ai titolari di brevetti, ma ricomprendono anche i diritti derivanti da una serie di altri dispositivi della proprietà intellettuale (es. marchi, segreti commerciali, indicazioni di provenienza geografica, ecc.).

[69] Contu, L’inarrestabile corsa alla brevettazione: una battuta d’arresto?, in Rivista critica del diritto privato, 1, 2014, 168.

[70] Garattini, Brevettare la salute, cit., 25.

[71] Garattini, Brevettare la salute, cit., 26.

[72] Latino, L’emergenza sanitaria fra privative brevettuali e solidarietà (dis)attesa: in medio stat virus, cit., 137.

[73] Balduzzi, La “liberalizzazione” dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Profili costituzionali e internazionali, cit., 265.

[74] For instance, in the early 1990s, scientists had studied the use of mRNA as a new therapeutic.43 In 2005, a group of researchers at the University of Pennsylvania released the results of mRNA technology, regarded essential to the development of mRNA-based therapeutics. The University of Pennsylvania provided a series of sublicenses for mRNA-related patents to both Moderna and BioNTech. In 2019, way before the identification and spread of COVID, Moderna and the U.S. National Institutes of Health (NIH) entered into an agreement to co-develop mRNA coronaviruses vaccines”, cfr. Dabbicco, IP Role in Covid Times, cit., 141.

[75] Contu, L’inarrestabile corsa alla brevettazione: una battuta d’arresto?, cit., 168.

[76] “Il sistema brevettuale non premia necessariamente    i veri innovatori, ma quelli più rapidi nel deposito della domanda di brevetto (sistema del first to file)” Caso, Pandemia e vaccini., cit., 12.

[77] Contu, Il ruolo del brevetto biotecnologico tra valorizzazione della ricerca scientifica e logiche economico-commerciali, cit.

[78] Tra i primi commenti sulla pronuncia, si segnala Pardolesi, Sul divieto di brevettazione di farmaci, nota a C. cost., sent. n. 20/1978 (red. Elia), in Foro italiano, I, 1978, cc. 809 ss.

[79] Infatti, prima di allora si pensava che “la concessione del brevetto (…) avrebbe, da un lato, creato forti speculazioni a danno dei malati e, dall’altro, avrebbe rallentato la ricerca e favorito le truffe e gli imbrogli. Oltre ad un «rincarimento cagionato dalla privativa», si temeva, in particolare, che «ciarlatani, speziali e “segretisti” profittassero dell’attestato di privativa per smerciare prodotti non utili alla salute»”.

[80] Casonato, I farmaci, fra speculazioni e logiche costituzionali, cit., 2

[81] Casonato, I farmaci, fra speculazioni e logiche costituzionali, cit., 2.

[82] La decisione della Corte costituzionale è giunta a valle di una serie di pressioni che erano state perpetrate negli anni precedenti da imprese farmaceutiche di diversa nazionalità nei confronti della Commissione ricorsi contro i provvedimenti dell’Ufficio centrale brevetti, la quale aveva deciso infine di sollevare questione di costituzionalità contro il divieto di brevetto presente nell’allora vigente art. 14 del r.d. n. 1127 del 1939.

[83] Punto 5 del Considerato in diritto. Sul rapporto di strumentalità esistente tra la ricerca scientifica e l’affermazione degli altri valori consacrati nella Carta costituzionale, L. Chieffi, Ricerca scientifica e tutela della persona. Bioetica e garanzie costi-tuzionali, Napoli, 1993, 90 ss., nonché Bernes, Alessandro Dati e ricerca genetica. Dalla tutela individuale alla gestione procedurale in biolaw journal, vol. N. 1S (2022), 67-81 (ISSN 2284-4503).

[84] Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso “Myriad Genetics”, cit., p. 292

[85] Per un approfondimento, cfr. Casonato, I farmaci, fra speculazioni e logiche costituzionali, cit., 5 e ss.

[86] Casonato, I farmaci, fra speculazioni e logiche costituzionali, cit., 5.

[87] A tal proposito, è stato notato come proprio l’assetto delle regole sulla proprietà intellettuale potrebbe aver favorito, nel contesto della pandemia da COVID-19, “diseguaglianze di fondo nell’accesso ai medicinali a livello globale”, “anche per i difetti dei meccanismi di flessibilità ivi previsti (giacché l’effettiva agibilità di tali meccanismi deve essere considerata irrinunciabile ai fini di un giusto bilanciamento tra gli interessi in gioco, anche da un punto di vista costituzionale)” (cfr. Balduzzi, La “liberalizzazione” dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Profili costituzionali e internazionali, cit., 268). Se si vogliono, invece, prendere in prestito le parole di Spada, riferite invero alle evoluzioni che il diritto d’autore affronta da qualche decennio nel contesto delle reti telematiche, la tecnica dell’esclusiva, lungi dall’essere l’unica tecnica degli istituti di proprietà intellettuale, “rischia di diventare, nel nuovo ambiente, un arnese declamatorio, che, al più, colpisce a caso e, quindi, in modo ingiusto”, cfr. Spada, La proprietà intellettuale nelle reti telematiche, in Riv. Dir. Civ,, II, 1998, 635 ss., 647.

[88] Cfr. la vicenda Myriad Genetics, Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso “Myriad Genetics”, cit.

[89] Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso “Myriad Genetics”, cit. Per una più ampia riflessione su quella che Iannarelli definisce “Global Knowledge Economy”, cfr. Iannarelli, “Proprietà”, “immateriali”, “atipicità”: i nuovi scenari di tutela, in Resta (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Utet Giuridica, 2010, 86, nota 20.

[90] Geiger, The Social Function of Intellectual Property Rights, or How Ethics can Influence the Shape and Use of IP Law, cit.

[91] Caso, ad esempio in: https://www.robertocaso.it/2023/06/15/the-italian-pseudo-intellectual-property-and-the-end-of-public-domain/.

[92] Una simile dimensione pervasiva del mercato sembrerebbe star incidendo altresì in altri campi del diritto, ugualmente centrali nei dibattiti in tema di diritti fondamentali e collettività, quello del diritto dei consumatori (cfr., a tal proposito, Camardi, Pratiche commerciali scorrette e invalidità, in Obbligazioni e Contratti, n. 6, 2010, 408, secondo cui “il Diritto dei Consumi sembra allontanarsi, nella sua recente evoluzione, dal modello di un Diritto privato dei consumatori, per avvicinarsi ad un modello di Diritto delle imprese e del mercato, nonostante il crescere dei “diritti fondamentali” dei consumatori e degli utenti, anche nella forma collettiva”) e della protezione dei dati personali nel contesto digitale.

[93] A tal proposito, può essere interessante richiamare le riflessioni di Arnaudo, Caporale, Costa, Locatelli, Magrini, Lezioni da una pandemia. Per uno sviluppo condiviso e un accesso equo a cure essenziali e vaccini, in Mercato Concorrenza Regole, 2021, n. 2, 349, secondo cui “la progressiva estensione della proprietà intellettuale è stata componente essenziale di quel «sistema-mondo» – per usare una potente immagine di Immanuel Wallerstein – in cui la distribuzione di ricchezza avviene secondo dinamiche capitalistico-finanziarie governate da pochi centri e subite dalle «periferie» della terra, come rilevato anche da recenti riflessioni in tema di una necessaria «de-colonizzazione» dei diritti di proprietà intellettuale”.

[94] Sul rapporto tra “defensive patent strategies”, da un lato, e “anti-competitive abuse” ai sensi dell’art. 102 TFUE, dall’altro, e su come, anche comportamenti posti in essere dal titolare dei brevetti che siano in linea con la normativa brevettuale possano costituire nondimeno una violazione della normativa a tutela della concorrenza se vi è un intento anti-competitivo, cfr. Drexl, AstraZeneca and the EU Sector Inquiry: When Do Patent Filings Violate Competition Law?, Max Planck Institute for Intellectual Property & Competition Law Research Paper No. 12-02, 2012, https://ssrn.com/abstract=2009276.

[95] Rispetto al quale, è stato rilevato, si “richiede un più marcato intervento in chiave antitrust, nella direzione della equità, lealtà e contendibilità” dell’assetto degli interessi. Camardi, Contratti digitali e mercati delle piattaforme. Un promemoria per il civilista, in Jus Civile, 4, 2021.

[96] E, in particolare, rispetto al pericolo “che il brevetto venisse utilizzato per finalità meramente commerciali e speculative a scapito del diritto alla salute”, il quale, in virtù del principio personalista, “doveva invece rimanere prioritario”, Casonato, I farmaci, fra speculazioni e logiche costituzionali, cit., 4. E infatti aveva specificato che “naturalmente, il coordinamento dei fattori della “disciplina del prezzo” e “della ricerca scientifica e tecnica organizzata nell’ambito dell’industria farmaceutica” doveva risultare equilibrato perché fosse “raggiungibile l’obbiettivo di interesse generale rappresentato dalla tutela della salute pubblica”, cfr. Sent. C. Cost. N. 20 del 1978, Punto 5 del Considerato in diritto.

[97] In riferimento a tutti tali aspetti, si vedano gli approfondimenti e la dottrina citata da Pardolesi, Sul divieto di brevettazione di farmaci, in Foro it., 1978, I, 809.

[98] Geiger C (2006) ‘‘Constitutionalizing’’ intellectual property law? the influence of fundamental rights on intellectual property in Europe. IIC 37(4):371; Geiger, Izyumenko, The Constitutionalization of Intellectual Property Law, cit. Può essere interessante notare, a tal proposito, che la constitutionalization della proprietà intellettuale non è, come si sa, un fenomeno isolato e, anzi, si inserisce nel più ampio filone della costituzionalizzazione dell’intero diritto civile “ovvero alla metodologia della interpretazione costituzionalmente orientata o adeguatrice” (cfr. le riflessioni sul punto di Camardi, Brevi riflessioni sull’argomentazione per principi nel diritto privato, in Rivista di Diritto Civile, n. 5, 1 settembre 2017, 1130).

[99] Geiger, Izyumenko, The Constitutionalization of Intellectual Property Law, cit., 283

[100] Cfr. Balduzzi, La “liberalizzazione” dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Profili costituzionali e internazionali, cit., che propone altresì una riflessione in termini di promozione del principio di fraternità.

[101] Cfr., per quanto riguarda l’ordinamento italiano, il fine di utilità sociale che deve essere perseguito anche rispetto alla libertà di iniziativa economica e al diritto di proprietà ai sensi dell’art. 41 e dell’art. 42 della Costituzione.

[102] Senigaglia, La dimensione patrimoniale del diritto alla protezione dei dati personali, in Contratto e Impresa, 2, 2, 2020, 760-783.

[103] Balduzzi, La “liberalizzazione” dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Profili costituzionali e internazionali, cit., 265.

[104] Sulla teoria della funzione sociale della proprietà intellettuale, Ch. Geiger, “‘Constitutionalising’ Intellectual Property Law? The Influence of Fundamental Rights on Intellectual Property in Europe”, IIC 2006, 375; F. Leinemann, “Die Sozialbindung des Geistigen Eigentums”, Nomos, Baden-Baden 1998; M. Vivant, in: M. Vivant (ed.), “Les grands arrêts de la propriété intellectuelle”, Paris, Dalloz, 2004, Notice No. 1. On the social function of copyright, see E. Pahud, “Die Sozialbindung des Urheberrechts”, Stämpfli, Berne Verlag 2000; A. Rocha de Souza, “A função social dos direitos autorais: uma interpretaçao civil-constitucional dos limites da proteção juridical: Brasil: 1888-2005”, Campos dos Goytacazes, Ed. Faculdade de Direito de Campos 2006; Ch. Geiger, “Droit d’auteur et droit du public à l’information, approche de droit compare”, supra, 27. On the social function of trademarks, see M. Vivant, “Marque et fonction sociale de la marque, Ou quand la réalité passe par le rêve ?”, in: Ch. Geiger & J. Schmidt Szalewski (eds.), “Les défis du droit des marques au 21e siècle/ Challenges for Trademark Law in the 21st Century, Collection of the CEIPI, Paris, Litec, 2010, 145; Ch. Geiger, “Trade Marks and Freedom of Expression– The Proportionality of Criticism”, IIC 2007, 317; G. Dinwoodie, “Third Annual Emmanuel College International Intellectual Property Lecture: Ensuring Consumers “Get What They Want”: The Role of Trademark Law”, Cambridge Law Journal 2013 (forthcoming).

[105] Caso, Pandemia e vaccini., cit., 19.

[106] Geiger, The Social Function of Intellectual Property Rights, or How Ethics can Influence the Shape and Use of IP Law, cit., 4-5.

[107] Geiger, The Social Function of Intellectual Property Rights, or How Ethics can Influence the Shape and Use of IP Law, cit., 4.

[108] F. Ferrara, Proprietà letteraria (Corso per l’a.a. 1850-1851, Lezione 15°, 11 Febbraio 1851), ora in R. Bocciarelli, P. Ciocca (a cura di), Scrittori italiani di eco– nomia, Roma-Bari, 1994, 141ss, cit. in G. Resta, L’appropriazione dell’immateriale. Quali limiti?, in «Dir. inf.», 2004, 23.

[109] Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso “Myriad Genetics”, cit., 291.

[110] Dabbicco, IP Role in Covid Times: Compulsory Licensing, IP Waivers, and Other Initiatives, https://www.4ipcouncil.com/application/files/7716/6488/2774/SSRN-id4179533.pdf.

[111] Hein, Paschke, Access to COVID-19 Vaccines and Medicines – a Global Public Good, in GIGA Focus, Global, 4, 2020.

[112] Caso, Pandemia e vaccini., cit., 9.

[113] Caso, Pandemia e vaccini., cit.

[114] Interessante potrebbe essere, a tal riguardo, una riflessione sul rapporto tra concessione di licenze obbligatorie e comportamenti anti-concorrenziali ai sensi dell’art. 31-bis dell’accordo TRIPS, par. 1, lett. b) e lett. f)-k), cfr. Balduzzi, La “liberalizzazione” dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Profili costituzionali e internazionali, cit., 270.

[115] Balduzzi, La “liberalizzazione” dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Profili costituzionali e internazionali, cit., 266. Su tale proposta, si vedono, inoltre, le riflessioni di Latino, L’emergenza sanitaria fra privative brevettuali e solidarietà (dis)attesa: in medio stat virus, cit., 152.

[116] Merita, invece, una menzione a parte, data la sua dimensione più squisitamente nazionale, lo strumento dell’espropriazione dei titoli di proprietà intellettuale per ragioni di pubblico interesse previsto dal legislatore italiano all’art. 141 del Codice di proprietà industriale, nonché, data la sua specifica riferibilità al contesto della pandemia da COVID-19, quello della depenalizzazione dello sfruttamento abusivo dei brevetti legati a Sars-CoV-2, per la cui analisi si rinvia a Latino, L’emergenza sanitaria fra privative brevettuali e solidarietà (dis)attesa: in medio stat virus, cit., 148.

[117] Caso, Pandemia e vaccini., cit., 9.

[118] Chien, Cheap Drugs At What Price To Innovation: Does The Compulsory Licensing Of Pharmaceuticals Hurt Innovation?,in Berkeley Technology Law Journal, Vol. 18, No. 3 (Summer 2003), pp. 853-907 (55 pages).

[119] Chien, Cheap Drugs At What Price To Innovation, cit.

[120] Caso, Pandemia e vaccini., cit., 16.

[121] L’art. 31-bis delinea, infatti, un “sistema speciale di licenze obbligatorie” che è stato definito “doppiamente derogatorio” rispetto a quello ordinario, dal momento che prevede deroghe ai limiti che l’art. 31 dell’accordo TRIPS stabilisce per le eccezioni ai diritti di esclusiva derivanti dal brevetto (cfr. Balduzzi, La “liberalizzazione” dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Profili costituzionali e internazionali, cit., 272).

[122] Sul punto, si vedano le riflessioni di Balduzzi, La “liberalizzazione” dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Profili costituzionali e internazionali, cit., 277 ss.

[123] Halewood, Regulating Patent Holders: Local Working Requirements and Compulsory Licences at International Law, in Osgoode Hall Law Journal, 35, 2, 1997, 248; UNCTAD/ICTSD, Resource Book on TRIPS and Development, 2005, 487.

[124]Bonadio, Enrico, Compulsory Licensing of Patents: The Bayer/Natco Case (2012). (2012) European Intellectual Property Review (Issue 10), pp. 719-728, Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=2157477, 727.

[125] Useful to increase the availability of patented pharmaceutical products, expecially in situations of extreme urgency” (Chien, Cheap Drugs At What Price To Innovation, cit.)

[126] Cfr. a titolo esemplificativo quanto sostenuto da Latino, L’emergenza sanitaria fra privative brevettuali e solidarietà (dis)attesa: in medio stat virus, cit., 144 ss., nonché da Balduzzi, La “liberalizzazione” dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Profili costituzionali e internazionali, cit.

[127] Così Caso, Pandemia e vaccini., cit., che tuttavia smentisce tale argomentazione. A tal proposito, Di Cataldo, ha affermato che “Per invenzioni così sofisticate come gran parte dei farmaci di oggi, l’istituto della licenza obbligatoria sul brevetto (che rimane, direi, lo strumento elettivo in vista di un incremento forte e distribuito della produzione del nuovo farmaco; del vaccino, nel caso del COVID-19) dovrebbe essere accompagnato da una licenza obbligatoria sul relativo know-how. La pura descrizione brevettuale, infatti, non basta a far sì che il licenziatario produca bene il nuovo farmaco, se a lui non si trasmettono anche le informazioni necessarie alla produzione, ma estranee al brevetto” (Di Cataldo, Proprietà intellettuale ed evoluzione del mondo, in Il Diritto Industriale, n. 2, 2022, 191).

[128]Latino, L’emergenza sanitaria fra privative brevettuali e solidarietà (dis)attesa: in medio stat virus, cit., 145.

[129] Latino, L’emergenza sanitaria fra privative brevettuali e solidarietà (dis)attesa: in medio stat virus, cit., 145.

[130] Pires de Carvalho, The TRIPS Regime of Patent Rights, 2002, 231.

[131] Si veda disamina di Caso, Pandemia e vaccini., cit., 10 e ss.

[132] Caso, Pandemia e vaccini., cit.

[133] Caso, Pandemia e vaccini., cit.

[134] Garattini, Brevettare la salute, cit., 60.

[135] Cfr., a tal proposito, l’elenco di cui all’art. 31 TRIPS.

[136] Il paragrafo 4 del medesimo articolo specifica, poi, che tali circostanze eccezionali che giustificano la sospensione debbano essere, così come i loro termini e condizioni e il termine di durata, indicate in fase di adozione da parte del Ministerial Conference.

[137] ”Molti paesi hanno appoggiato la richiesta di India e Sud Africa, ma per mesi il blocco occidentale – con gli USA, il Regno Unito e l’UE in testa – si è opposto alla sospensione, nonostante un vastissimo movimento di opinione pubblica, alimentato da numerose iniziative (…) e prese di posizione pubblica”, Caso, Pandemia e vaccini., cit.

[138] In particolare delle Sezioni 1 (copyright and related rights; diritti d’autore e connessi), 4 (industrial designs; disegni industriali), 5 (patents; brevetti per invenzione) e 7 (protection of undisclosed information; segreti commerciali) della Parte II dell’accordo TRIPS.

[139] Sul punto, cfr. Bernes, La protezione dei dati personali nell’attività di ricerca scientifica, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, vol. 1, 175-205 (ISSN 0391-3740).

[140] Cfr. le riflessioni di Garatti in tal senso, 94.

[141] Nonché quella più rispettosa sia “[del]la (tradizionale) teoria delle fonti, che [del]la metodologia positivistica e logico-formale dell’interpretazione della legge”: la definizione della “funzione sociale” della proprietà intellettuale operata direttamente dal giudice potrebbe atteggiarsi a usurpazione del potere legislativo e della prerogativa del parlamento di operare la ponderazione di interessi, in sistemi come quello italiano in cui la stessa è posta quale limite alla libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) e alla proprietà privata (art. 42 Cost.), i cui confini applicativi devono essere definiti dal legislatore. Così, Camardi, Brevi riflessioni sull’argomenta­zione per principi nel diritto privato, cit., 2, secondo cui “fra le norme costituzionali che potenzialmente potrebbero essere richiamate in applicazione diretta, certamente alcune sono del tutto insuscettibili di costituire la premessa maggiore di un sillogismo giudiziario senza la previa determinazione della fattispecie applicativa. Ciò va detto, ad esempio e a scanso di equivoci, a proposito degli artt. 41 e 42 concernenti la regolazione dell’iniziativa economica e la funzione sociale della proprietà, ove espressamente il legislatore è richiamato come soggetto responsabile della realizzazione dell’utilità e della funzione sociale dell’una e dell’altra, e rispetto ai quali perciò l’applicazione da parte del giudice ordinario in una controversia nella quale l’attore invochi l’una o l’altra norma per sindacare un certo esercizio dell’iniziativa economica o un certo uso dei beni da parte dei proprietari davvero si atteggerebbe come usurpazione del potere legislativo e della prerogativa del parlamento di operare la ponderazione di interessi; e prima ancora come arbitraria posizione di una fattispecie i cui termini invero le due norme non mettono in grado di reperire”.

[142] Caso, Pandemia e vaccini., cit.

[143] Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso “Myriad Genetics”, cit., 286.

[144] Latino, L’emergenza sanitaria fra privative brevettuali e solidarietà (dis)attesa: in medio stat virus, cit., 152.

[145] È significativo in tal senso il tentativo di adozione di un trattato internazionale antipandemico, il cui iter legislativo pare a tutt’oggi ancora immobile, cfr. https://www.consilium.europa.eu/it/policies/coronavirus/pandemic-treaty/.

[146]Si pensi al Global Vaccine Action Plan 2030, nonché agli strumenti di collaborazione vaccinale attivati in tale contesto quali, ad esempio, il programma Covax del 2020 e l’Access to COVID-19 Tools Accelerator (ACT); o, ancora, alla proposta della Commissione Monti di creare un Consiglio per la salute globale (Pan-European Commission on Health and Sustainable Development – 2021).

[147] Caso, Pandemia e vaccini., cit., p. 19.

[148] Correa, C.M. (2022). Interpreting the Flexibilities Under the TRIPS Agreement. In: Correa, C.M., Hilty, R.M. (eds) Access to Medicines and Vaccines. Springer, Cham. https://doi.org/10.1007/978-3-030-83114-1_1.

[149] Geiger, C., Griffiths, J., Senftleben, M. et al. Limitations and Exceptions as Key Elements of the Legal Framework for Copyright in the European Union – Opinion of the European Copyright Society on the Judgment of the CJEU in Case C-201/13 Deckmyn. IIC 46, 93–101 (2015). https://doi.org/10.1007/s40319-015-0297-0.

[150]Proprio alle fexibilities di cui all’accordo TRIPS ha fatto riferimento anche un’autorevole voce della dottrina italiana in occasione del dibattito che si è sviluppato sul punto nell’ambito della pandemia da COVID-19: “prima di pensare a nuove regole transnazionali, (…) si dovrebbero esplorare adeguatamente le possibilità offerte dalle già esistenti flexibilities dell’Accordo TRIPS, che prevede licenze obbligatorie capaci, secondo molti, di rispondere adeguatamente all’emergenza COVID”, cfr. Di Cataldo, Proprietà intellettuale ed evoluzione del mondo, cit.

[151] A tal proposito, la WIPO avrebbe specificato che il termine “flexibilities” ricomprende “different options through which TRIPS obligations can be transposed into national law so that national interests are accommodated and yet TRIPS provisions and principles are complied with” (cfr. WIPO (2010) Patent related flexibilities in the multilateral legal framework and their legislative implementation at the national and regional levels, p 11. Available from https://www.wipo.int/meetings/en/doc_details.jsp?
doc_id¼142068
.

[152] Correa, Interpreting the Flexibilities Under the TRIPS Agreement, cit. 3.

[153] In particolare, non solo “the exemption for LDCs [least-developed countries]” ma anche “possible variations in the manner in which the TRIPS Agreement’s provisions are interpreted and implemented as they are applied to countries actually subject to them”. Sul punto cfr. Correa, Interpreting the Flexibilities Under the TRIPS Agreement, cit., 4, secondo cui l’espressione “TRIPS flexibilities”, e non a caso, è stata utilizzata per la prima volta in linea con questo significato nella Dichiarazione di Doha.

[154] Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso “Myriad Genetics”, cit., p. 286.

[155] Contu, Il ruolo del brevetto biotecnologico tra valorizzazione della ricerca scientifica e logiche economico-commerciali, cit.

[156] Cfr. la recensione al volume Florio, M. (2022) La privatizzazione della conoscenza. Tre proposte contro i nuovi oli– gopoli, Roma-Bari, Editori Laterza, collana Tempi Nuovi, pp. 256., a cura di Dal Molin, La privatizzazione della conoscenza. Tre proposte contro i nuovi oligopoli, L’industria (ISSN 0019-7416) Fascicolo 4, ottobre-dicembre 2022.

[157] Dal Molin, La privatizzazione della conoscenza. Tre proposte contro i nuovi oligopoli, cit.

[158] Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso “Myriad Genetics”, cit., p. 286.

[159] Garattini, Brevettare la salute, cit., 72 e 100.

[160]The willingness to do something where there are no guarantees, the willingness to breath through waiting for the doctor to call after your mammogram, the willingness to invest in a relationship that may or may not work out” (https://www.ted.com/
talks/brene_brown_the_power_of_vulnerability
).

[161] Irti, La rilevanza giuridica della persona anziana, cit.

[162] Fu la suggestiva definizione del crescente invecchiamento della popolazione mondiale, utilizzata da Kofi Annan, Premio Nobel per la Pace e già Segretario Generale delle Nazioni Unite (ONU) nel 2002.

[163] Irti, La rilevanza giuridica della persona anziana, cit.

[164] Per una panoramica di tali temi, con uno sguardo comparatistico, cfr. Cascione, Il lato grigio del diritto, Giappichelli, 2022, secondo cui nonostante gli anziani rappresentino un segmento considerevole della popolazione, in rapidissima crescita, la senilità appare ancora relegata in una “zona grigia” del diritto, che richiede un ripensamento e specifici interventi normativi.

[165] Dal punto di vista degli studi antropologici la soglia di ingresso nella c.d. terza età tende progressivamente a spostarsi verso avanti. In occasione del 63° Congresso Nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) del novembre 2018, è stata data una nuova definizione dinamica di anzianità (soglia da 65 a 75 anni), più confacente alle attuali performance fisiche e mentali, alla situazione demografica della popolazione italiana e, in generale, alle condizioni psicofisiche dei soggetti appartenenti a Paesi ad alto reddito. Per l’allungamento medio della speranza di vita alla nascita (in Italia 85 anni per le donne e 82 per gli uomini) è stata creata una nuova categoria di anzianità, dividendo le persone con più di 65 anni tra chi appartiene alla terza età (condizionata da buone condizioni di salute, inserimento sociale e disponibilità di risorse) e alla quarta età (caratterizzata da dipendenza da altri e decadimento fisico).

[166] Irti, La rilevanza giuridica della persona anziana, cit.

[167] Irti, La rilevanza giuridica della persona anziana, cit.

[168] Oltre a questo, va notato un’ulteriore tendenza generale del diritto, secondo cui “a fronte della rilevanza che la cultura giuridica riconosce alle Carte dei diritti, e ai profili di “persone” che esse costruiscono con riferimento talvolta indiretto ad elementi differenziali tendenzialmente oggettivi [come, ad esempio, l’età], la legislazione ordinaria non manca di prospettare una serie di altre figure di persone”, che si differenziano dal soggetto neutro di diritto “ritenute meritevoli di attenzione normativa in quanto tali o più spesso per talune preferenze o orientamenti soggettivi, o ancora in quanto alle prese con talune circostanze della vita decisive” (cfr. sul punto, Camardi, Pluralismo e statuti giuridici delle persone, in Jus Civile, 1, 2023).

[169] Cfr. voce “fragilità”, in Dizionario Treccani, https://www.treccani.it/vocabolario/fragilita_%28Sinonimi-e-Contrari%29/#
:~:text=fragilità%20s.%20f.%20%5Bdal%20lat.,delicatezza%2C%20(non%20com
.)

[170] Ciò è ancor più vero se si conviene che “la parola «vulnerabilità» tende ad assumere, nell’odierno dibattito etico e giuridico, un significato valutativo”. Infatti, “l’affermazione che un certo individuo è «vulnerabile» non informa (…) del semplice fatto che egli si trova in una certa situazione (…), ma suggerisce anche che sarebbe bene porre rimedio a questa situazione, garantendo a quell’in­dividuo una particolare protezione, o eliminando una discriminazione cui è soggetto, o riducendo uno svantaggio di cui soffre, ecc.”: non riconoscere una vulnerabilità ad un individuo “significa anche non rilevare, forse colpevolmente, che in [una data] situazione vi è qualcosa di (almeno prima facie) ingiusto”, così E. DICIOTTI, La percezione e i problemi della vulnerabilità, in Etica & Politica, XXII, 2020, 1, 239 ss., 245, richiamato da Irti, La rilevanza giuridica della persona anziana, cit.

[171] Irti, La rilevanza giuridica della persona anziana, cit.

[172] Irti, La rilevanza giuridica della persona anziana, cit.

[173] Invero è ingiusto, rispetto al soggetto neutro di diritto, l’occultamento del “valore emancipatorio che il concetto di soggetto di diritto e la sua astrattezza hanno avuto nel processo di superamento del modello feudale classista e della costituzione dello stato di diritto” (cfr. Camardi, Pluralismo e statuti giuridici delle persone, cit., 4).

[174] Camardi, Pluralismo e statuti giuridici delle persone, cit., 4.

[175] Garattini, Brevettare la salute, cit., p. 21.

[176] Per una panoramica sui sistemi sanitari nazionali, cfr. https://www.who.int/docs/default-source/documents/2019-uhc-report.pdf; https://www.oecd.org/els/health-systems/Universal-Health-Coverage-and-Health-Outcomes-OECD-G7-Health-Ministerial-2016.pdf. https://www.theatlantic.com/international/archive/2012/06/heres-a-map-of-the-countries-that-provide-universal-health-care-ameri
cas-still-not-on-it/259153
/.

[177] https://www.epicentro.iss.it/globale/pdf/copertura-sanitaria-mondo.pdf7.

[178]Questo auspicio costituisce oggi il cuore di uno dei target individuati dagli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, i Sustainable Development Goals (SDGs), guidati dal motto di “non lasciare indietro nessuno”, che nel 2015 tutti gli Stati delle Nazione Unite si sono impegnati a raggiungere entro il 2030, cfr. https://www.epicentro.iss.it/globale/pdf/copertura-sanitaria-mondo.pdf.