Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Proprietà privata e attività d'impresa fra diritto europeo e ordinamento nazionale (di Diletta Balbino, Dottoranda – Università degli Studi di Bari Aldo Moro)


Partendo da una pronuncia della Corte di Appello di Bari si sviluppano alcune considerazioni in ordine al più generale sistema multilivello di protezione del diritto di proprietà. La Corte nazionale riconosce, infatti, una voce di danno, quello emergente all’attività di impresa, che non ha trovato ristoro nel diverso e ulteriore giudizio sovranazionale in quanto definita estranea rispetto al suo ambito di applicazione. Tale decisione finisce inevitabilmente per evocare le profonde divergenze riguardanti il diritto dominicale, oggetto di ampio dibattito in dottrina, tra il regime nazionale e il diritto europeo.

Private property and business activity between European law and National order

Starting from a sentence of the Court of Appeal of Bari, some considerations concerning the more general multilevel system of protection of property right are developed. In fact, the national Court recognizes a head of loss, which concerned the business activity, that has not found relief in the different supranational judgment. This damage was defined as extraneous to European law. The sentence inevitably reminds the deep differences regarding property right between the national regime and European law being already the subject of extensive debate in doctrine.

SOMMARIO:

1. Premessa: la tutela c.d. “multilivello” del diritto di proprietà - 2. Il caso. Il complesso affaire Punta Perotti - 3. Il danno emergente all’attività di impresa - 4. La proprietà privata secondo la Corte EDU - 5. La prospettiva individualistica - 6. Il danno all’attività di impresa fra diritto nazionale ed europeo - NOTE


1. Premessa: la tutela c.d. “multilivello” del diritto di proprietà

L’ormai noto affaire Punta Perotti si vede oggi arricchito da una nuova pronuncia che suscita alcune ulteriori considerazioni in ordine al più generale sistema c.d. “multilivello” di protezione del diritto di proprietà [1]. In tale prospettiva la vicenda si presenta meritevole di attenzione quanto meno per due ordini di ragioni. In primo luogo, in quanto vede la compresenza di un giudizio svolto e ormai concluso in sede sovranazionale rispetto ad uno ancora in corso in sede nazionale. Nonostante, infatti, le domande sollevate dinanzi al giudice interno dalla società attrice presentino profili di specificità, tale situazione definita latu sensu di “interferenza-continenza” ha comunque determinato nell’organo giudicante italiano una particolare attenzione nell’analisi e delimitazione di quanto già riconosciuto in sede sovranazionale. Per altro verso, tale indagine ha accentuato le caratteristiche specifiche del nostro ordinamento interno e di quello sovranazionale in tema di diritto di proprietà inducendo il giudice italiano, attraverso un parziale mutamento rispetto a quanto deciso dal giudice di prime cure, a riconoscere alcune voci di danno emergente – inerenti all’attività di impresa– che non avevano trovato ristoro in sede sovranazionale in quanto definite estranee rispetto allo scenario normativo di riferimento. Nel caso di specie il diritto di proprietà, dunque, ancora una volta ha rappresentato un banco di prova privilegiato per misurare l’efficacia di una tutela pluricentrica trovando, come è noto, una propria disciplina oltre che naturalmente all’interno della legislazione nazionale, con le disposizioni del codice civile e della Costituzione, nella Carta europea dei diritti dell’uomo e nella Carta dei diritti fondamentali. Questa articolazione non si esaurisce nei diversi testi legislativi, ma vede notoriamente per ciascuno di essi uno specifico organo giudicante e, di sovente, il rapporto tra le differenti Corti che presiedono i diversi ordinamenti giuridici viene descritto in termini di “dialogo” [2]. Una tutela multilivello che nel panorama nazionale ormai si impone sia in una fase di formulazione legislativa, ove al legislatore viene richiesta la ricerca di soluzioni di compromesso sia, più di frequente, in un momento successivo, in cui è l’interprete che [continua ..]


2. Il caso. Il complesso affaire Punta Perotti

Il caso, come è ormai noto, trae origine da una complessa lottizzazione successivamente reputata abusiva rispetto alla quale, tuttavia, i proprietari dei suoli e delle costruzioni non erano stati ritenuti penalmente responsabili dalla Cassazione Penale “perché il fatto non costituisce reato” [8]. Per gli imputati si riconosceva l’errore “inevitabile e scusabile” nell’interpretazione delle disposizioni regionali “oscure e mal formulate”, che interferivano con la legge nazionale. Ciononostante, con la medesima sentenza, la Corte penale, aderendo all’interpretazione giurisprudenziale secondo cui la sanzione contemplata nell’art. 19 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 avesse natura amministrativa e fosse quindi irrogabile anche in mancanza dell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato, disponeva la confisca di tutti i beni e la loro acquisizione al patrimonio del Comune. Il Comune procedeva così dapprima all’acquisizione dei terreni e degli immobili e, successivamente, nel 2006, alla loro demolizione. La società costruttrice adiva allora, in un primo momento, il Tribunale civile di Bari richiedendo l’ac­cer­tamento della concorrente responsabilità –extracontrattuale, ovvero, subordinatamente ed alternativamente, contrattuale o precontrattuale– delle pubbliche amministrazioni per aver colposamente ingenerato, mediante rilascio di informazioni e attestazioni erronee, un incolpevole affidamento prima in ordine alla libera edificabilità dell’area e poi in ordine alla regolarità della lottizzazione, contestando tutte le conseguenze dannose, patrimoniali e non patrimoniali, che l’avvenuto accertamento dell’illegittimità della lottizzazione medesima aveva poi comportato. Per altro verso, le imprese lottizzanti instauravano un ulteriore e diverso giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo, per far valere l’illegittimità della confisca in quanto posta in essere in violazione dell’art. 7 della Convenzione e dell’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 e, quindi, per chiedere la restitutio in integrum e il risarcimento di tutti i danni ascrivibili al comportamento posto in essere dalla Repubblica Italiana. È, dunque, necessario considerare le differenti situazioni giuridiche poste a fondamento dei due diversi giudizi. Da un lato, la [continua ..]


3. Il danno emergente all’attività di impresa

La vicenda appena ricostruita, oltre che per le questioni già ampiamente dibattute in passato, offre oggi ulteriori e molteplici spunti di analisi [12]. In particolare, in questa sede, ci si soffermerà sulla decisione della Corte di Appello di Bari, parzialmente differente rispetto a quanto definito dal giudice di prime cure, sulla domanda della società attrice di risarcimento del danno patrimoniale emergente subito a causa degli investimenti effettuati e dei debiti accumulati per la programmazione, presentazione, progettazione ed esecuzione parziale dell’intervento edilizio di cui al Piano di Lottizzazione poi rilevatosi abusivo. Il giudice di prime cure rigettava la domanda sulla base di un complesso iter argomentativo basato essenzialmente sulla valutazione della portata delle decisioni della Corte EDU [13]. Il Tribunale, più precisamente, rilevava preliminarmente l’insussistenza di una completa identità tra il giudizio sovranazionale ed il giudizio nazionale riconoscendo che le ricorrenti nel primo avevano individuato la ragione della domanda nell’arbitrarietà della confisca subita, mentre nel secondo la società costruttrice aveva fatto valere, quale causa petendi dell’azione, come accennato, la diversa responsabilità delle pubbliche amministrazioni per l’aver colposamente ingenerato, mediante il rilascio di informazioni ed attestazioni erronee, un incolpevole affidamento. Nonostante tali presupposti, secondo il giudice di primo grado pur potendosi convenire sul fatto che “tra il giudizio instaurato in sede europea e quello risarcitorio successivamente incardinato dinanzi all’adito Tribunale, non vi fosse – sulla scorta di allegazioni assertive degli attori – completa identità in ordine a tutti gli elementi costitutivi dell’azione (con le relative implicazioni in tema di giudicato, secondo le regole processuali vigenti nell’ordinamento interno)”, tuttavia, anche in presenza di una diversa “causa petendi”, si imponeva un confronto tra le componenti del danno che la Corte EDU aveva valutato e riconosciuto e quelle di cui si richiedeva il ristoro al Tribunale, avendo il giudice europeo espressamente e programmaticamente inteso evitare la duplicazione del risarcimento [14]. Pertanto, il Tribunale proseguiva tramite un controllo delle singole voci di danno accertate nel giudizio [continua ..]


4. La proprietà privata secondo la Corte EDU

Il fulcro della motivazione sviluppata dalla Corte di Appello, se pur in termini estremamente sintetici, si incentra dunque sull’effettiva portata della disciplina contenuta nella Convenzione europea dei diritti del­l’uomo –in relazione naturalmente alle violazioni contestate– e, di riflesso, sull’effettivo rilievo che poteva essere riconosciuto al potere decisorio della Corte EDU, rispetto alla richiesta di risarcimento dei danni al­l’attività di impresa formulata dalla società in sede nazionale. Solo, dunque, attraverso un’analisi a ritroso delle violazioni contestate dalla società ricorrente innanzi alla Corte di Strasburgo, e le motivazioni dalla stessa adottate a fondamento delle proprie decisioni nel caso in esame, è possibile effettivamente comprendere la portata del decisum della Corte nazionale. Come accennato, la società costruttrice nel 2001 presentò ricorso, con le altre imprese lottizzanti contro la Repubblica italiana, innanzi alla Corte EDU contestando l’incompatibilità della confisca subita con l’articolo 7 e l’art. 1 del Protocollo n.1. Veniva, dunque, lamentata la violazione dell’art. 7, avente ad oggetto il principio di legalità secondo cui nullum crimen, nulla poena sine lege, nonché dell’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione a tutela del diritto al rispetto dei “beni” [15]. La Corte EDU accolse le doglianze formulate dalle ricorrenti trattando la questione sotto i due diversi accennati profili [16]. Nel 2009, infatti, concludeva per l’arbitrarietà della confisca irrogata nonostante la sentenza di assoluzione, motivata, nella fattispecie, dall’inevitabilità e scusabilità dell’errore commesso dalle ricorrenti nell’inter­pretazione della legge. Il reato contestato di lottizzazione abusiva traeva origine dalla violazione di fonti legislative e amministrative che non corrispondevano ai criteri di chiarezza, accessibilità e prevedibilità e tale condizione rendeva “impossibile” prevedere l’irrogazione di una sanzione. Alla luce di tali presupposti veniva quindi negato il riconoscimento di una base legale della sanzione ai sensi dell’art. 7 della Convenzione nonché affermata l’arbitrarietà anche ai sensi dell’art. 1 del Protocollo n.1. Come, [continua ..]


5. La prospettiva individualistica

Le sentenze della Corte EDU, intervenute nel caso che ci occupa, ci restituiscono un modello di diritto dominicale che finisce per evocare le divergenze, oggetto di approfondimento in dottrina, tra il nostro ordinamento interno e quello sovranazionale. Proprio il riconoscimento di tali difformità ha indotto il giudice nazionale, in secondo grado, a riconoscere l’esistenza di una voce di danno emergente, quello all’attività di impresa, che diversamente non sembra aver trovato ristoro in sede sovranazionale in quanto considerato estraneo all’ambito di applicazione della Convenzione. Al fine di comprendere il decisum del giudice nazionale è necessario formulare alcune ulteriori considerazioni preliminari. In primo luogo, è opportuno evidenziare l’ambito in cui si inserisce il diritto di proprietà all’interno della CEDU. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo si caratterizza tradizionalmente per l’unilateralità del­l’approccio accolto, in quanto sono trattati in chiave individualistica i diritti civili e politici a discapito dei diritti economici, sociali e culturali, sostanzialmente trascurati [21]. Come è noto, il diritto di proprietà ha trovato ingresso nella Convenzione europea solo in un momento successivo mediante il Protocollo addizionale del 1952, il che già da sé evidenziava le scelte “tormentate” di fondo alla base della Carta [22]. La significativa collocazione del diritto dominicale nella Convenzione sembrava attribuire nuovamente cittadinanza in ambito sovranazionale a quel modello giusnaturalistico abbandonato dalle Carte costituzionali comprimibile nel binomio “libertà-proprietà”, ormai ampiamente superato nelle tradizioni nazionalistiche [23]. La tesi dell’inquadramento del diritto di proprietà privata tra i diritti civili è, infatti, del tutto estranea anche alla nostra Costituzione nella quale all’art. 42 il diritto dominicale non solo trova, come è noto, una propria collocazione sistematica nell’ambito dei “rapporti economici”, ma oltretutto si vede ulteriormente limitato in una prospettiva di solidarietà attraverso il paradigma della ‘funzione sociale’ [24]. Il punto di osservazione che viene accolto nella Convezione sembra essere invece quello principalmente garantista, a tutela [continua ..]


6. Il danno all’attività di impresa fra diritto nazionale ed europeo

La breve ricostruzione degli interessi tutelati dalla disciplina della CEDU in materia di proprietà consente di comprendere le ragioni per cui la Corte EDU nel caso di specie ha risarcito il danno materiale derivante dalla confisca con il ristoro dei costi di costruzione, considerati una componente della restitutio in integrum, nonché del danno derivante dall’indisponibilità –in termini assoluti e relativi– dei terreni illegittimamente sottratti all’impresa. In merito alle ulteriori voci di danno emergente –successivamente qualificate dalla Corte barese come danni all’impresa– richieste dalla società già in sede sovranazionale, la Corte EDU, seppur convinta della rilevanza del danno economico, ritenne di non poterne tenere conto in quanto non direttamente connesse alla duplice violazione contestata e ne sanciva l’estraneità rispetto al suo possibile campo di applicazione. La Corte, adoperando quindi la consueta prospettiva proprietaria cui si è accennato, ha ristorato la società ricorrente della privazione del bene negli esclusivi termini di diritto “assoluto”, quale mero risarcimento per il suo mancato godimento [34]. In sostanza, la suddetta configurazione della proprietà ha negato al Giudice sovranazionale, nel caso di specie, la possibilità di considerare gli ulteriori, pur ingenti, danni emergenti all’attività d’impresa successivamente riconosciuti in sede nazionale dalla Corte di Appello. In tale prospettiva, infatti, a detta del giudice nazionale, alla Corte dei diritti dell’uomo, la quale giudicava solo in virtù della lamentata violazione dell’art. 7, ma soprattutto dell’art. 1 del Prot., non sembrava potersi chiedere di più, rispetto a quanto già ottenuto, e sostanzialmente alla luce dell’ambito operativo in cui agiva e dell’estraneità, rispetto al medesimo, dell’esercizio dell’attività di impresa [35]. La ricostruzione del campo di applicazione dell’art. 1, Prot. 1, della Convenzione fin qui delineata troverebbe inoltre un’ulteriore conferma, ove si consideri, nello scenario normativo europeo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare i diritti, le libertà e i principi ivi sanciti che l’Unione riconosce espressamente con l’art. 6 del [continua ..]


NOTE