Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

L'uso alternativo del diritto fra teoria e prassi (di Carmelita Camardi, Professoressa ordinaria di Diritto privato – Università Ca’ Foscari Venezia)


Il contributo mette a tema, a distanza di cinquant’anni, le ragioni ispiratrici del Convegno catanese su “L’uso alternativo del diritto”, ripercorrendo brevemente l’itinerario teorico che sorreggeva la critica alla dogmatica giuridica tradizionale, e il tentativo di svelarne le connessioni con il potere e gli intenti mistificatori. L’Autrice ricostruisce poi gli apporti così forniti alla scienza giuridica, specie dal punto di vista della fondazione di quello che poi sarà il “diritto dell’economia”.

The alternative use of law between theory and practice

The essay focuses, after fifty years, on the cultural reasons of the Catania conference on “The alternative use of law”, briefly retracing the theoretical itinerary that supported the criticism of traditional legal studies (the dogmatic), and the idea to reveal their socalled mystifications.  Finally, the Author tryes to reconstruct the results that the Alternativ use of law gave to juridical science, especially from the point of view of the foundation of the “Economic law”.

SOMMARIO:

1. Il valore di una testimonianza - 2. Il contesto dato e l’alternativa negli anni ’70. Critica della tradizione, ideologia marxista e tentativo di fondare una “prassi” - 3. Dalla demistificazione alla ricostruzione. La critica della dogmatica - 4. Dalla critica della dogmatica alla prassi emancipatoria fondativa di un nuovo diritto. a). I luoghi della prassi emancipatoria. b) Il nuovo Diritto dell’economia - 5. Uso alternativo del diritto e Costituzione - 6. In chiusura - NOTE


1. Il valore di una testimonianza

Una riflessione sulla formula dell’Uso Alternativo del Diritto a 50 anni dal Convegno catanese che l’ha lanciata come bandiera non solo teorica di un certo modo di fare i giuristi [1], richiede uno sguardo lungo e attento. Lungo, perché la distanza aumenta sempre la capacità di comprensione dei fenomeni. Attento, perché al di là dell’essere una bandiera issata da giuristi della cattedra e da magistrati, e al di là di talune critiche severe che le sono state rivolte, questa bandiera nascondeva aspetti di complessità che non possono essere sottaciuti e che successivamente in altre occasioni si è provato a riportare in evidenza (il Convegno palermitano del 2006 sugli Anni Settanta del diritto privato) [2]. Vorrei allora provare a mettere in ordine questi aspetti e poi ad aggiornare una valutazione che possa –questa è la speranza– restituire a quel Convegno e alla sua proposta un ruolo nella storia della iurisprudentia italiana. Nell’occasione di questa mia testimonianza, mi ripropongo non solo ricordare ciò che ho visto con i miei occhi –e quel che ho fatto nelle mie ricerche– negli anni immediatamente a ridosso del Convegno, ma vorrei anche provare a dare a questi ricordi una valenza non contingente, né meramente commemorativa, ma che sia utile a sollecitare una riflessione capace di riconoscere a quella esperienza la dignità di una stagione di studio, non importa se poi superata e non importa se superata attraverso un ripensamento, un pentimento o un riflusso. Quando dico una stagione di studio intendo una fase di pensiero della scienza giuridica, i cui prodotti di ricerca come tali vadano considerati dal punto di vista della rilevanza scientifica, anche da parte di chi del tutto legittimamente non li condivide nel metodo e nei contenuti. Vorrei perciò cominciare trattando due aspetti tra loro connessi. Il primo è schiettamente scientifico, metodologico e –per così dire– autopoietico: i giuristi “alternativi” si guardano dentro, provano un senso di frustrazione, e non si riconoscono come tali, se non a prezzo di costruire quell’alternativa rispetto all’oggetto del loro pensiero, come ricevuto dalla tradizione ed al modo di manipolarlo. Il secondo aspetto –strettamente conseguente– riguarda i confini del territorio assegnato alla riflessione sul [continua ..]


2. Il contesto dato e l’alternativa negli anni ’70. Critica della tradizione, ideologia marxista e tentativo di fondare una “prassi”

Cominciando dal primo aspetto, provo a costruire alcuni riferimenti. Il contesto culturale degli anni ’70 vede ancora prevalente nella teoria e nella pratica il modello classico della ortodossia giuridica, caratterizzato dall’astrazione [3], cioè dall’idea della neutralità e apoliticità del diritto e dunque del giurista, e dalla tendenziale oggettività dell’interpretazione, garantita da una dommatica storicamente legittimata dalla tradizione romanistica e sistematicamente orientata ad organizzare i procedimenti interpretativi nella direzione della conservazione e stabilità del sistema giuridico. Le impassibili Dottrine di Santoro Passarelli [4] ne rappresentano l’icona più elevata. Questo modello connotava principalmente l’esperienza del diritto privato e civile, ma non è difficile trovare i postulati che lo reggevano, dalla separazione dei poteri, al primato della legge, alla base dell’ortodossia propria del diritto pubblico e amministrativo, come anche del diritto commerciale; come pure –tratto non banale– del diritto del lavoro, non a caso spesso impartito da privatisti a dispetto dell’affermazione di scuole giuslavoristiche che ne rivendicavano –Statuto dei lavoratori alla mano– l’ormai acquisita autonomia dal diritto civile. Ma non solo di questo si trattava. Sul versante più propriamente teorico-metodologico, facilmente tale ortodossia poteva ricondursi al fondamentale contributo di Norberto Bobbio, più lontano nel tempo, ma autorevolmente inteso a confinare il ruolo dell’interprete, nel nome del rigore scientifico della iurisprudentia, nell’analisi del linguaggio giuridico, cioè delle proposizioni del legislatore. Dentro le quali il giurista ha l’occasione di risolvere la sua frustrazione comparativa (al confronto con le altre scienze) e di recuperare la piena dimensione identitaria di scienziato, al pari di tutti gli altri scienziati della natura. Fuori da questo confine tale dimensione si perde. Nel sostituire la verità delle scienze empiriche o formali con il rigore dell’analisi del linguaggio, Bobbio ingabbia il giurista nel perimetro delle regole e del contenuto regolato, sul presupposto che al di fuori delle proposizioni normative nulla ci sia che possa preservare la scientificità del discorso giuridico; non il diritto naturale, né la [continua ..]


3. Dalla demistificazione alla ricostruzione. La critica della dogmatica

Se questa è la cifra della proposta, manifestata nel Convegno di Catania ma in realtà sviluppata per circa tutto il decennio, un elemento successivo di riflessione concerne allo stesso tempo il ruolo del marxismo ed il modo in cui quei giuristi si proponevano di sanare l’impasse generata dal rifiuto del sistema dato, in particolare quella sorta di “orfanità dell’oggetto” che inevitabilmente il salto dalla teoria alla prassi determinava nell’identità sociale del giurista. Cosa oltre le norme? Il rischio era quello che Bobbio paventava, cioè il nulla, un vuoto per esorcizzare il quale egli moltiplicava pur sempre e soltanto i cerchi delle proposizioni linguistiche cui il giurista doveva attingere anche quando la sua interpretazione necessariamente si faceva analogica, storica o sistematica, per poter superare i limiti della lettera della legge [16]. Ma questo metodo ovviamente non bastava a sanare l’orfa­nità, o la frustrazione, generate dal salto nella politica e nella giustizia. Anzi, la drammatizzava. Mi pare allora che la proposta dell’uso alternativo del diritto sia quella di leggere ed assumere come oggetto sub specie iuris ciò che la demistificazione costruita nel canone marxiano aveva portato alla luce, una volta squarciato il velo di quella ortodossia che il giurista tradizionale custodiva quale confine insuperabile tra diritto e politica, fra teoria e prassi. Io credo che qui stia il nucleo metodologico di quella proposta e forse anche la sua attualità. Squarciato il velo dell’astrazione e della neutralità, emergono nella loro brutalità le contraddizioni sociali e gli antagonismi, le disuguaglianze in tutte le loro forme, le discriminazioni personali, le differenze di sviluppo, il potere dell’impresa, la subalternità del lavoro e dei consumatori, come tutte le figure di coloro che si appropriano di quote di ricchezza senza produrle (dai tagliatori di cedole ai rentiers) e di coloro che invece le cedono. La prassi politica che si vuol sostituire ad una teoria del diritto che nasconde queste contraddizioni si riempie perciò di contenuto analitico: quello che dissolve e destruttura il generale pregiudizio dell’astrazione giuridica nelle singole mistificazioni operate dagli istituti giuridici; e quello che ricostruisce poi le contraddizioni così disvelate in una forma che ne contiene una [continua ..]


4. Dalla critica della dogmatica alla prassi emancipatoria fondativa di un nuovo diritto. a). I luoghi della prassi emancipatoria. b) Il nuovo Diritto dell’economia

Ma questo non è tutto. Ben più che la riscrittura degli istituti codicistici in chiave di funzione politica, la costruzione di una prassi politica emancipatoria intesa a disvelare i limiti conoscitivi dell’ortodossia giuridica affronta nodi ben più importanti: quello connesso all’individuazione dei “luoghi” nei quali fondarla e implementarla. E quello connesso al disvelamento dello sviluppo di un altro “diritto”, vigente ma non ancora portato a sistema, capace – esso solo– di smentire il mito dell’astrazione e della neutralità delle forme giuridiche. a) I luoghi della prassi emancipatoria Cominciamo dal primo. L’emersione delle contraddizioni sociali offre il terreno per diverse possibili prassi [20], primariamente quella che invoca un nuovo diritto, e perciò il ruolo del parlamento, chiamato ad abbandonare esplicitamente la regola della neutralità e a prender partito per l’emancipazione. L’esperienza dello Statuto dei lavoratori, con i suoi strumenti di tutela e la valorizzazione della funzione sindacale, evidenzia finalmente l’abbandono della mistificante ricostruzione del rapporto di lavoro come mero contratto di scambio tra salario e lavoro, e permette contestualmente di liquidare quelle grottesche ricostruzioni del diritto di sciopero come diritto potestativo o addirittura negozio di attuazione del contratto di lavoro. Testimonianze di una dogmatica ideologica sulla quale, invero, non servono molti commenti [21]. Vi è poi chi contrappone alla prassi politica come prassi legislativa un più rivoluzionario concetto di prassi emancipatoria vera e propria, da giocarsi nelle aule del Tribunali. Mi riferisco alla promozione di nuove prassi collettive emancipatorie da assumere come fonte creativa di situazioni giuridiche soggettive rilevanti, teorizzando l’esistenza di una sorta di “riserva di liceità” per quelle prassi intese a rimuovere gli ostacoli di cui all’art.3 Cost., e a realizzare di fatto – e in termini di eguaglianza sostanziale– obiettivi realmente emancipatori. Ad esempio, si giustificava con tali argomenti, e con lo scopo di restituire agli esclusi la dignità sociale, l’occupazione senza titolo di edifici disabitati, ma anche la stessa prassi sindacale, come modello di conflitto collettivo che sta fuori dal diritto privato e dal [continua ..]


5. Uso alternativo del diritto e Costituzione

C’è infine un elemento del quale finora ho fatto solo un rapido cenno, e che adesso va correttamente inserito nel progetto scientifico e nella costruzione delle prassi emancipatorie nelle quali l’uso alternativo del diritto si riconosceva: ed è l’argomento costituzionale. Il richiamo dell’art. 3, comma 2, come delle altre norme e principi che nelle varie sedi valorizzano la dignità delle persone, i diritti sociali e l’eguaglianza sostanziale, costituisce il presidio ultimo che fonda l’intera costruzione, per essere essa stessa espressione di un modello sociale alternativo a quello borghese incarnato nei codici. In tal senso, il richiamo della Costituzione fornisce un fondamento sicuro per una teoria critica del diritto, ma anche per una prassi che assuma come suo obiettivo un’idea laica ed egalitaria di giustizia. Quale sia stata e sia ancora la rilevanza dell’argomento costituzionale nell’interpretazione e quale sia l’importanza dello stesso nelle diverse teorie della Drittwirkung è fatto troppo noto perché se ne debba dire qualcosa in questa sede, salva una notazione che invece ritengo debba essere svolta. A ben riflettere, infatti, è proprio l’utilizzo dei principi costituzionali che rende possibile ancora oggi pensare all’uso alternativo del diritto come ad una stagione che un suo ruolo ha giocato nella controversa partita storica della scienza giuridica [27]. Ed infatti, come collocare ad oggi le prassi con le quali, alla luce delle Carte dei diritti fondamentali (la nostra inclusa), associazioni o soggetti privati conducono le loro battaglie per quei diritti della persona che il legislatore non vuole riconoscere? E come definire le decisioni dei giudici che le supportano creando una riserva di liceità –ad esempio per il suicidio assistito o per il riconoscimento dei figli generati da GPA– in presenza di condizioni che ragionevolmente le giustificano, bilanciando i diversi principi? Certo, 50 anni fa l’uso alternativo del diritto si appoggiava ad una corrente politica forte e strutturata nel sistema socio-economico e in quello politico, come portatrice di una logica di classe. Ciò che non può dirsi oggi dei movimenti di opinione che dànno vita alle prassi indicate, trasversali e privi di supporti strutturati. Ma una riflessione intesa a verificare se anch’essi si facciano [continua ..]


6. In chiusura

Vorrei da ultimo dire qualcosa sulle critiche che la proposta dell’uso alternativo ha ricevuto. Alcune ironiche, altre feroci, altre di mera perplessità, e non c’è il tempo in questa sede per raccontarle tutte [28]. Mi limito solo a ricordare, nel rispetto del pluralismo valutativo che ciascuno di noi deve all’altro, che non sarebbe appropriato collocare quella esperienza nella dimensione del contingente e del transitorio, se non per i legami più strettamente politici instaurati con taluni gruppi e partiti. Ma al di là questo, l’elemento del disvelamento o della demistificazione della funzione politica del diritto liberale e dell’interpretazione che su di esso si conduceva, unitamente all’apertura della riflessione giuridica a territori non ortodossi, non rappresentano aspetti transeunti e casuali del pensiero giuridico, ma momenti identificativi del suo processo di sviluppo sul piano metodologico e sistematico. Come tali a tutt’oggi rilevanti.


NOTE