La riforma della disciplina processuale del curatore speciale costituisce lo spunto per esaminare la disciplina del conflitto di interessi nelle diverse varianti legate alla disciplina sostanziale e processuale, muovendo dalle riflessioni di Salvatore Pugliatti ed esaminando i più recenti approdi giurisprudenziali.
The reform of the procedural discipline of the special curator constitutes the starting point for examining the regulation of conflict of interest in the variants linked to the substantive and procedural discipline, starting from the reflections of Salvatore Pugliatti and examining the most recent jurisprudential developments.
1. Il ruolo di Pugliatti nella teoria del confitto di interessi - 2. Le caratteristiche del conflitto nella rappresentanza legale - 3. Le questioni controverse alla luce della riforma - NOTE
Nel Codice civile del 1865 mancava una disciplina generale del conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato. Il tema fu affrontato in un lungo saggio di Salvatore Pugliatti [1], il quale si intestò l’idea secondo la quale il rappresentante, nell’agire in nome altrui, attraverso la contemplatio domini, non poteva che esprimere l’interesse del rappresentato [2]. In tal modo l’illustre studioso risolveva due questioni di particolare interesse in quel momento storico: in primo luogo, negava l’astrattezza della procura, sostenendo che il rappresentante agiva comunque nell’interesse del rappresentato o per un mandato tacito o attraverso la negotiorum gestio [3]; in secondo luogo, fondava la invalidità per gli atti compiuti dal rappresentante volontario in conflitto di interessi, ancorché nel silenzio del legislatore [4].
Quella riflessione era basata sull’analisi delle disposizioni che vietavano il conflitto di interessi nella rappresentanza legale, disposizioni che erano formulate in termini non troppo diversi da quelli che troviamo nella disciplina vigente: per cui molte delle idee emerse anche in tema di conflitto di interessi nella rappresentanza volontaria, ancorché formulate dalla dottrina che ha operato sotto il codice vigente e dopo la riforma del diritto di famiglia, sono tributarie, attraverso l’autorità del Pugliatti [5], di analisi che avevano, quale unico punto di riferimento normativo, il conflitto di interessi nella rappresentanza legale [6].
La disciplina del conflitto di interessi nel caso di rappresentanza legale era, ed è, regolata sia nel Codice civile, sia nel Codice di procedura civile. La dottrina, sin dai tempi di Pugliatti, ha sostenuto che le norme sul conflitto di interessi facevano riferimento al medesimo concetto e, pertanto, si dovessero applicare, ad entrambe le discipline, i medesimi principi [7].
Nel Codice civile regola il conflitto di interessi l’ultimo comma dell’art. 320, a tenore del quale “Se sorge conflitto di interessi patrimoniali tra i figli soggetti alla stessa responsabilità genitoriale o tra essi e i genitori o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, il giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale. Se il conflitto sorge tra i figli e uno solo dei genitori esercenti la potestà genitoriale, la rappresentanza dei figli spetta all’altro genitore” [8]. Gli atti compiuti in conflitto di interesse sono annullabili, ai sensi dell’art. 322 cod. civ., su istanza dei genitori che esercitano la responsabilità genitoriale, o del figlio, o dei suoi eredi o aventi causa.
Secondo la dottrina prevalente, l’atto compiuto in conflitto di interessi è annullabile anche se è stato autorizzato dal giudice tutelare, ai sensi del terzo comma dell’art. 320, e anche se il conflitto di interessi non fosse conosciuto né conoscibile dal terzo che ha contrattato con il rappresentante [9]. Dal punto di vista rimediale, quindi, la disposizione del libro quarto in tema di conflitto di interessi nella rappresentanza volontaria, contenuta nell’art. 1394 cod. civ., nella parte in cui richiede che il conflitto di interessi sia riconoscibile dal terzo, si distacca dalla disciplina rimediale della rappresentanza legale [10].
In questa sede intendo esaminare gli approdi dottrinali e giurisprudenziali, anche al fine di valutare l’incidenza della recente modifica degli artt. 78 e 80 c.p.c., ora racchiusa nell’art. 473-bis.8, sulla nozione di conflitto di interesse [11].
Perché sussista conflitto di interessi occorre che gli interessi del rappresentante siano antitetici e incompatibili rispetto agli interessi del rappresentato: gli interessi devono essere contrastanti, nel senso che il vantaggio dell’uno comporti il danno per l’altro [12]. Non vi è conflitto di interessi nel caso in cui il genitore abbia un interesse comune o concorrente nell’affare del figlio, per cui gli interessi di entrambi siano suscettibili di essere soddisfatti dalla stipulazione del negozio, ovvero dall’accoglimento o dal rigetto della domanda giudiziale che li vede coinvolti [13]. Si pensi al caso in cui i genitori e i figli siano comproprietari di un immobile che si intende vendere a terzi: i genitori hanno interesse a vendere il bene comune al prezzo più alto e, almeno in questa prospettiva, hanno un interesse comune a quello dei figli.
Il conflitto di interessi deve riferirsi agli interessi immediati direttamente connessi con il negozio da compiere, in modo che il rappresentato e il rappresentante assumono nel negozio stesso posizioni contrastanti, in rapporto al fine da eseguire: in questo senso si parla di conflitto diretto, che si riferisce ai casi in cui il pericolo di danno deriva dalla circostanza che il rappresentante non può eseguire l’incarico nell’interesse esclusivo del rappresentato, o perché nell’affare da concludere ha un proprio interesse contrastante, o perché è stato incaricato dalla controparte, della quale deve curare gli interessi [14].
Il conflitto di interessi può essere anche indiretto ed è rilevante, in quanto la situazione viene valutata alla luce di elementi che non si collocano nella struttura del contratto per cui viene esercitato il potere rappresentativo, ma tenendo presente un elemento esterno, che attiene ai rapporti patrimoniali del rappresentante con il terzo [15]: il classico esempio di conflitto indiretto si ha nel caso in cui il genitore venda il bene del figlio a una società di cui è socio [16].
Nell’art. 320 si parla di conflitto di interessi patrimoniali, formula che non ricorre invece, né nell’art. 1394, né nel codice di rito. La dottrina prevalente ritiene che il conflitto debba sussistere solo tra interessi che abbiano rilevanza economica [17]. Una posizione minoritaria, ma autorevole e non isolata, è nel senso che il conflitto possa riguardare anche interessi morali [18]: in tal senso si è sostenuto che l’art. 320, riguardando l’amministrazione dei beni dei figli, debba essere interpretato in linea con l’art. 1174, cioè nel senso che il conflitto deve avere riguardo a rapporti il cui contenuto o il cui effetto sia patrimoniale; tuttavia, gli interessi delle parti in conflitto possono anche non essere di rilevanza patrimoniale [19]. Si suppone in questa prospettiva che, nella disposizione dell’art. 320, il legislatore non sia stato in grado di formulare il precetto in maniera appropriata, pur essendo il tema controverso sotto la disciplina abrogata [20].
Nei conflitti indiretti si può dubitare che possa essere rilevante l’interesse morale nel rapporto tra rappresentante e terzo: se così fosse, non si spiegherebbe la disciplina, invero molto criticata [21], che consente al coniuge di essere rappresentante del figlio nell’atto in cui l’altro coniuge è in conflitto di interessi [22].
Il discorso potrebbe cambiare nel conflitto diretto: in particolare, si fa riferimento al caso in cui il genitore venda un bene che ha in comunione con il figlio a un prezzo vantaggioso, ma il figlio ha un interesse esistenziale a non venderlo (perché, ad esempio, lo usa come sala per la registrazione della musica). In tal caso, ci si domanda se l’interesse del minore, pur rilevante, anche sul piano del diritto sovraordinato, non debba essere valutato al fine di nominare un curatore speciale. Non vi è dubbio, infatti, che l’interesse del minore sia valutabile dal giudice in sede di autorizzazione dell’atto; lo stesso interesse deve essere valutato dal giudice nel giudicare il comportamento del rappresentante legale che di tale interesse non abbia tenuto conto nell’esercizio della responsabilità. In senso contrario, si può sostenere che tale interesse, rilevante in queste altre sedi, non lo sia per l’annullamento del contratto concluso dal rappresentante legale, anche al fine di evitare di fare ricadere sui terzi, che potrebbero subire l’annullamento pur essendo in assoluta buona fede, le conseguenze di questo tipo di conflitti.
Se si muove da questa prospettiva, si comprende la diversa soluzione nel caso di conflitto di interessi nella rappresentanza volontaria, dove è espressamente tutelata la buona fede del terzo, attraverso il presupposto della riconoscibilità del conflitto d’interessi.
Discorso più complesso vale invece per la regola nel codice di rito: la disciplina del conflitto di interessi, infatti, riguarda non solo giudizi in cui il contrasto attenga a pretese di carattere patrimoniale (ad es. revocatoria della donazione tra genitori e figli), ma si riferisce prevalentemente a vertenze in cui gli elementi di valutazione sono essenzialmente personali ed extrapatrimoniali, quali le procedure di adozione e i giudizi de potestate [23].
Secondo una tradizione risalente, ma ancora attuale nella letteratura giuridica [24], il conflitto di interessi è una “situazione” che comporta un pericolo di danno per il rappresentato.
Le norme sul conflitto di interessi, quantomeno nella rappresentanza legale, sono considerate tecniche giuridiche volte ad eliminare preventivamente gli inconvenienti derivanti dalla situazione anomala dalla quale scaturisce il pericolo di danno per il rappresentato: a tale fine si provvede alla nomina del curatore speciale, la quale presuppone che il negozio non sia stato ancora concluso e che il danno debba essere valutato ex ante, quale pericolo di danno [25].
Il discorso si complica al cospetto della seconda tecnica rimediale, che interviene ex post, sia nel diritto sostanziale, con l’annullamento dell’atto negoziale, sia nel diritto processuale, con la nullità della sentenza.
La questione non si dovrebbe porre per l’annullamento ex art. 322, che consegue meccanicamente alla violazione delle discipline richiamate e quindi al contratto per il quale, stante il conflitto di interessi ex ante, si sarebbe dovuto nominare il curatore speciale.
Piuttosto il problema è emerso nella rappresentanza volontaria, in cui si sta diffondendo l’idea che il conflitto di interessi debba avere provocato un effettivo pregiudizio al rappresentato, valutabile ex post, perché questi possa agire per l’annullamento del contratto. La tesi non trova fondamento nella storia della disciplina (anche alla luce dell’origine pugliattiana), né nel sistema dato, in cui la rilevanza del pregiudizio è limitata a talune fattispecie, ma può giustificarsi sul piano assiologico al fine di restringere l’ambito di applicazione del rimedio, che si rivela squilibrato in presenza di comportamenti meramente colposi, in quanto, riservando la legittimazione al soggetto leso, lo rende arbitro della convenienza dell’operazione negoziale per un periodo oggettivamente troppo lungo rispetto alle esigenze di certezza dei traffici economici.
Nella rappresentanza legale, il tema si ripropone nel contrasto tra il linguaggio della dottrina e quello delle corti, dove si discute se il conflitto di interessi debba essere attuale o potenziale [26]. Si può tuttavia affermare che dietro questa controversia interpretativa vi sia stata, almeno in passato, più che una divergenza operativa, una differenza di significati nei termini utilizzati. In giurisprudenza si ritiene che sia sufficiente un conflitto meramente potenziale [27]; in passato la giurisprudenza ha sostenuto che il conflitto, essendo potenziale, pretendeva che la sua valutazione del conflitto fosse effettuata in astratto ed ex ante, non essendo rilevante quale atteggiamento avessero tenuto il rappresentato e il rappresentante; e ciò valeva sia per la rappresentanza legale nel contratto, sia per la rappresentanza legale nel processo. La dottrina, invece, ha tradizionalmente continuato a sostenere che il conflitto di interessi debba essere attuale; ma, almeno per il passato, non intendeva proporre una soluzione diversa da quella illustrata per la giurisprudenza, in quanto al medesimo risultato si perveniva attraverso la nozione di pericolo di danno [28]. L’uso di questa terminologia, per taluni aspetti controintuitiva, si deve, come già rilevato, all’autorità del Pugliatti, il quale distingueva tra conflitto di interessi, che deve essere attuale, e pregiudizio, che può essere futuro, potenziale o eventuale [29]. La questione, tuttavia, è diventata incerta e non più soltanto nominalistica alla luce delle argomentazioni e delle soluzioni che si trovano nella giurisprudenza più recente.
La questione ha assunto criticità nella più recente giurisprudenza sull’art. 78 del codice di rito, dove si tende ad articolare la soluzione in relazione alle divere procedure: a fronte di taluni procedimenti in cui si ritiene che il conflitto di interessi emerga già in astratto [30], in altri casi si pretende che il conflitto di interessi debba essere valutato in concreto, sulla base di quanto emerge dal comportamento processuale. In questa prospettiva, si tende a far coincidere la valutazione in concreto con la rilevanza ex post del conflitto, utilizzando un termine di significato incerto, che in altro luogo è stato ritenuto espressivo della sussistenza di un danno effettivo per la posizione del rappresentato.
In realtà parte della giurisprudenza, che richiede una valutazione in concreto, è ben consapevole che il conflitto debba essere accertato pur sempre ex ante, riguardando un pregiudizio potenziale [31].
In altri casi, tuttavia, si nega espressamente che la valutazione possa essere ex ante, sostenendo piuttosto che debba essere ex post, sulla base del concreto atteggiamento processuale dei genitori: questa sembra essere una linea innovativa rispetto al passato, in cui si tendeva a svalutare il concreto comportamento delle parti del processo.
Siffatta linea argomentativa si trova nella più recente giurisprudenza di legittimità, la quale, in caso di revocatoria della donazione, nega che vi sia conflitto di interessi tra il genitore donante e il figlio donatario [32]. Conflitto di interessi che viene negato in astratto, in quanto i due interessi sono convergenti per sottrarre la donazione alla revocatoria; e che viene negato anche in concreto, sulla base delle concrete difese delle parti, perché la posizione adottata dal genitore in giudizio era in linea con l’interesse del figlio. La ragione per cui la giurisprudenza ha fatto ricorso alla valutazione in concreto, che potrebbe apparire superflua, è dettata dalla volontà di superare alcuni precedenti, in cui il curatore del fallimento del genitore imprenditore ha agito in revocatoria contro il figlio, nei quali si era sostenuta la sussistenza del conflitto di interessi tra genitore e figlio minore, secondo una valutazione in astratto, ritenendo che il genitore potesse avere interesse al recupero del bene nell’attivo fallimentare. In realtà in questa vicenda, di rilevanza patrimoniale, sembra che la giurisprudenza di legittimità abbia soltanto modificato la propria valutazione della rilevanza degli specifici interessi oggettivamente riferibili alle parti.
Un altro ambito in cui sembra ammettersi che il giudice possa accertare la situazione di conflitto di interessi in base al concreto comportamento processuale delle parti, si trova, ad esempio, nel giudizio di separazione coniugale, ogni qualvolta i comportamenti delle parti tendano ad impedire una adeguata valutazione dell’interesse del minore o a frapporsi al diritto del minore ad essere ascoltato dal giudice [33].
Si pone perciò il problema se si sia consolidata una divaricazione, nell’individuazione delle caratteristiche del conflitto di interessi nella rappresentanza legale, tra la tradizione conformata sul diritto sostanziale e gli orientamenti della giurisprudenza più recenti riferiti al diritto processuale. Tanto più che tali orientamenti giurisprudenziali sembrano avere trovato conforto nella novella dell’art. 78 (ora riversata nell’art. 473bis.8) c.p.c., la quale per un verso ha confermato alcune fattispecie in cui la valutazione andrebbe formulata in astratto [34], mentre, per altro verso, sembra richiamare un potere di valutazione non solo in concreto, ma anche ex post non soltanto quando nel processo i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati alla rappresentanza del minore [35], ma soprattutto nel caso in cui dai fatti emersi nel procedimento venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore [36].
Trattasi di questioni interpretative di spettanza del processualista, rispetto alle quali mi limito a formulare delle domande e ad avanzare con cautela qualche ipotesi.
Il tema è quello del rapporto tra la disciplina generale del conflitto di interessi richiamata nel secondo comma dell’art. 78 e le fattispecie specificamente introdotte nei commi successivi (e ora nell’art. 473-bis.8) dalla novella. Se queste fattispecie siano articolazioni dei principi sottostanti la regola generale, estensibili analogicamente dagli interpreti, come sembra suggerire la loro origine dall’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 78, ovvero siano norme speciali o eccezionali, che pongono regole alternative ai principi generali.
Nelle fattispecie in cui il conflitto di interessi debba essere considerato in re ipsa, si potrebbe sostenere che, ove ricorre un conflitto di interesse così significativo da non soffrire limitazioni, il legislatore abbia inteso riaffermare il criterio generale che nega al giudice il potere di valutare i concreti atteggiamenti processuali delle parti. Si pone comunque il dubbio se tali discipline siano coerenti con l’idea, invalsa in dottrina e giurisprudenza, secondo la quale l’interesse del minore deve essere valutato dal giudice in relazione ad ogni singola controversia e non può essere rimesso ad una valutazione vincolante del legislatore.
In relazione alle altre fattispecie, per un verso, sembra confermato il principio della valutazione in concreto, per altro verso, sembra ammettersi che tale valutazione debba essere effettuata sulla base dell’atteggiamento processuale delle parti e non, come sarebbe stato coerente con la tradizione, sulla base delle specifiche caratteristiche della controversia; il riferimento al pregiudizio, inoltre, sembra suggerire che la valutazione non debba essere effettuata ex ante, in vista di un pericolo di danno, ma ex post.
Si tratta di due questioni che non vanno sovrapposte e meritano risposte distinte.
Sulla prima questione, si può avanzare il dubbio che l’attribuzione di una specifica rilevanza al comportamento delle parti in giudizio sia coerente con la natura diacronica di quei riti la cui particolare struttura consente di tenere conto delle sopravvenienze e di dare rilevanza all’evoluzione delle relazioni familiari, anche e soprattutto nelle loro componenti extrapatrimoniali. I giudizi familiari e minorili, infatti, interessando il rapporto tra i genitori e i minori, nella loro continuità esistenziale, non consentono di definire le posizioni processuali sulla base delle caratteristiche della controversia e richiedono che la verifica in concreto abbia ad oggetto gli interessi che, di tempo in tempo, emergono dalle risultanze processuali [37].
Sulla seconda questione, mi sembra sostenibile l’idea che il richiamo al pregiudizio sia da intendere, seguendo uno schema generale di tutela preventiva, quale indice di emersione del conflitto di interessi, idoneo a prospettare ulteriori pericoli per il minore, imponendo la tempestiva nomina del curatore speciale, secondo un modello equilibrato di gestione del processo.
[1] S. Pugliatti, Il conflitto di interessi tra principale e rappresentante. Contributo alla teoria generale della rappresentanza, Estratto dagli “Annali dell’Istituto di scienze giuridiche, economiche, politiche e sociali della Regia Università di Messina”, vol. II, 1928, passim.
[2] Pugliatti, op. cit., 49 ss.
[3] Pugliatti, op. cit., 10 ss.
[4] Pugliatti, op. cit., 72 ss.
[5] Pugliatti, op. cit., 65 ss.
[6] Sull’origine della regola del conflitto di interessi nella rappresentanza volontaria, cfr. Maffeis, Conflitto di interessi nel contratto e rimedi, Milano 2002.
[7] Con riferimento all’art. 136, comma 3, del Codice di procedura civile del 1865, a tenore del quale “Se manchi la persona che deve rappresentare o assistere il convenuto o la medesima abbia interesse opposto a quello del convenuto o non vi sia chi la supplisca, il presidente della corte o del tribunale, il pretore o il conciliatore davanti cui è portata la causa nomina sull’istanza dell’attore un curatore speciale al convenuto”, cfr. Pugliatti, op. cit., 65 (nota 2).
[8] Il Pugliatti poteva condurre le sue riflessioni in base all’art. 224, commi 3 e 4, del Codice civile del 1865, che recitava: “Nascendo conflitto d’interessi tra i figli soggetti alla stessa patria podestà o tra essi ed il padre, sarà nominato ai figli un curatore speciale. La nomina del curatore sarà fatta dall’autorità giudiziaria ordinaria davanti alla quale fosse vertente il giudizio, ed in ogni altro caso dal tribunale civile”.
[9] Per tutti M. Faccioli, La responsabilità precontrattuale ex art. 1338 c.c. del genitore per l’annullamento del contratto concluso in conflitto d’interessi con il figlio minore, in Riv. dir. civ., 2013, 195 ss.
[10] Maffeis, op. cit., 453 ss.
[11] Per una prima valutazione sulla riforma: G.O. Cesaro, L’estensione e valorizzazione della figura del curatore speciale del minore: la riforma degli articoli 78 e 80 c.p.c., in NLCC, 2022, 48 ss.; M.G. D’Ettore, Il pregiudizio e il conflitto di interesse, in Aa. Vv., Il curatore speciale del minore, a cura di A. Cagnasso, Milano, 2022, 63 ss.
[12] Per tutti: Pugliatti, op. cit., 90.
[13] Tra gli altri, F. Ruscello, La potestà dei genitori: rapporti patrimoniali, sub art. 320-323, Milano, 2007, 143 s.; M. Dogliotti, La potestà dei genitori e l’autonomia del minore, in Tratt. dir. civ., dir. Cicu, Messineo, Mengoni, Schlesinger, Milano, 2007, 383 s.; E. La Rosa, Sub art. 320, Comm. cod. civ., dir. Gabrielli, Della famiglia, vol. II, Torino, 2018, 763 ss.
[14] Pugliatti, op. cit., 96 s.
[15] Nella concezione restrittiva di Pugliatti, op. cit., 98 ss., il conflitto di interessi indiretto non assumerebbe rilevanza nel caso di sussistenza di un rapporto di parentela tra il rappresentante che deve procedere ad una divisione e uno dei condividenti, neanche nel caso in cui il rappresentante possa aspirare a divenire erede del condividente. Piuttosto l’A. ritiene che si avrebbe conflitto di interessi ogni qualvolta il rappresentante abbia stipulato un contratto con il condividente, con cui questi si obblighi a trasferire ad un determinato prezzo parte della proprietà da dividere.
[16] Così A. Gorgoni, Filiazione e responsabilità genitoriali, Milano, 2017, 173.
[17] In tal senso tra gli altri, sostenendo che la sfera di interessi non patrimoniali è regolata dagli artt. 330 e 333 cod. civ., A. Finocchiaro, M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, II, Milano, 1984, 2014 ss., dove riferimenti ai precedenti giurisprudenziali e ai lavori preparatori; Dogliotti, op. cit., 384; La Rosa, op. cit., 765 s.; G. De Cristofaro, Il contenuto patrimoniale della potestà, in Tratt. dir. famiglia, dir. Zatti, vol. II, Milano, 2012, 1410. Nello stesso senso, ritenendosi vincolati al dato letterale, A. Bucciante, La potestà dei genitori, la tutela e l’emancipazione, in Tratt. dir. priv., dir. Rescigno, vol. 4, t. III, Torino, 1997, 637; Faccioli, op. cit., 200; M. Sesta, La filiazione, in Tratt. dir. priv., dir. Bessone, vol. IV, t. IV, Torino, 2011, 134; G. Villa, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Aa. Vv., Il diritto di famiglia, Tratt. Bonilini – Cattaneo, vol. III, Torino, 2007, 348. Critica la scelta legislativa A.C. Pelosi, Sub art. 320 c.c., in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo, Trabucchi, t. I, parte II, Padova, 1977, 783.
[18] L. Ferri, Della potestà dei genitori, sub art. 320, Comm. Scialoja – Branca, Bologna – Roma, 1988, 98 ss.; Ruscello, op. cit., 139 ss.
[19] Ruscello, op. cit., 139 ss.
[20] Nella vigenza della disciplina abrogata non si poneva espressamente il limite della rilevanza patrimoniale del conflitto e le opinioni erano divergenti: cfr. A. Bucciante, La patria potestà nei suoi profili attuali, Milano, 1971, 159. La rilevanza degli interessi morali era prospettata da A. Cicu, La filiazione, in Trattato Vassalli, vol. III, tomo II, Torino, 1951, 304; era negata invece da A. Torrente, La donazione, Milano, 1956, 372 s.
[21] A.C. Pelosi, op. cit., 783 s.; Ruscello, op. cit., 144 s.
[22] Ferri, op. cit., 100, che coerentemente nega rilevanza al conflitto indiretto; anche Dogliotti, op. cit., 385.
[23] La Rosa, op. cit., 766.
[24] La tesi si trova già in Pugliatti, op. cit., 86 ss.; più di recente, si veda Ruscello, op. cit., 142 s.
[25] Sottolinea la differenza con l’art. 1394 cod. civ., Maffeis, op. cit., 452 ss.
[26] Per tutti, si rinvia a Faccioli, op. cit., 201 ss., il quale rileva che in giurisprudenza si è da tempo adottata una concezione di conflitto di interesse per cui sarebbe sufficiente che “sussistano condizioni tali da rendere possibile la sua concretizzazione futura”, mentre in dottrina quella per cui “siano già presenti circostanze obiettive idonee a generare il pericolo di abuso”.
[27] Così, D’Ettore, op. cit., 76 ss., il quale segnala che la posizione giurisprudenziale sarebbe in corso di superamento (ma cfr. da ultimo Cass. 9 marzo 2022, n. 7734).
[28] Gorgoni, op. cit., 173; Dogliotti, op. cit., 384; Ruscello, op. cit., 142.
[29] Pugliatti, op. cit., 103 ss.
[30] Ad esempio, nel caso di giudizi de potestate: Cesaro, op. cit., 54 ss.; in giurisprudenza, tra le più recenti: Cass. 21 aprile 2022 n.12802; Cass. 16 dicembre 2021, n. 40490; Cass. 6 dicembre 2021, n. 38720; Cass. 2 novembre 2018, n. 29001, con nota di A. Frassinetti, in Fam. e dir., 2019, 368 ss.; Cass., 6 marzo 2018, n. 5256; nel procedimento di adozione piena: D’Ettore, op. cit., 83; F. Tommaseo, Giudizi di adottabilità: il ruolo del tutore, del tutore provvisorio e del curatore speciale, in Fam. e dir., 2019, 721 ss., 727 s.; in giurisprudenza: Cass. 8 giugno 2016, n. 11782; Cass., 18 giugno 2012, n. 9948, con nota di L. Giorgianni, in Fam. e dir., 2013, 1118 ss.; nelle azioni di stato: Cass. 2 febbraio 2016, n. 1957, con nota di A. Nascosi, in NGCC, 2016, 1032 ss.
[31] Si veda in particolare Cass. 9 marzo 2022, n. 7734, secondo la quale “Nei giudizi aventi ad oggetto la regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, ove i genitori siano divenuti tali in assenza di legami sentimentali e di un progetto parentale comune ma a seguito di un incontro volutamente episodico a fini esclusivamente procreativi tra persone mai viste prima, conosciutesi tramite un sito internet dedicato, e a tale genesi dell’evento procreativo segua in modo univoco una gestione “sui generis” della genitorialità e/o la volontà di ciascuno dei genitori, o anche di uno solo di essi, di escludere l’altro da ogni rapporto con il figlio, è ravvisabile un potenziale conflitto di interessi tra genitori e figlio, che impone la salvaguardia dell’interesse del minore tramite la nomina del curatore speciale”; anche Cass. 22 giugno 2016, n. 12962, secondo la quale “Nel procedimento di adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lett. d), della l. n. 184 del 1983, non è configurabile un conflitto di interessi “in re ipsa”, anche solo potenziale, tra il minore adottando ed il genitore-legale rappresentante, che imponga la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., dovendo, anzi, individuarsi nella necessità dell’assenso del genitore dell’adottando, di cui all’art. 46 della legge citata, un indice normativo contrario all’ipotizzabilità astratta di un tale conflitto, che, invece, va accertato in concreto da parte del giudice di merito.”.
[32] Si vedano Cass. 29 gennaio 2016, n. 1721; Cass. 5 aprile 2018, n. 8438.
[33] Cass. 24 maggio 2018, n.12957; nello stesso senso anche Trib. Torino, 21 dicembre 2018, con nota di F. Danovi, in Fam. e dir., 2019, 695 ss.
[34] In particolare, per i procedimenti per la decadenza della responsabilità genitoriale chiesta nei confronti di entrambi i genitori o dall’uno nei confronti dell’altro, nonché per i procedimenti di allontanamento del minore dalla famiglia e di affido eterofamiliare: Cesaro, op. cit., 61 ss., 64.
[35] Regola che può applicarsi pacificamente ai giudizi di separazione e divorzio: Cesaro, op. cit., 66 ss.
[36] Il riferimento è al caso in cui il PM abbia agito per la decadenza di uno solo dei genitori o il provvedimento richiesto abbia quale oggetto la sospensione o la limitazione della responsabilità genitoriale: Cesaro, op. cit., 63 s.
[37] Si cfr., al riguardo, Cass. 20 aprile 2023, n. 10666 e Cass., 31 gennaio 2023, n. 2829, secondo le quali “In tema di procedimenti instaurati per la regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, l’ampliamento in sede di reclamo del thema decidendum a comportamenti dei genitori pregiudizievoli al minore, rilevanti ex art. 333 c.p.c., comporta per il giudice, oltre al dovere di sollecitare il contraddittorio sul nuovo oggetto di indagine ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.c., anche quello di nominare un curatore speciale al figlio per il sopravvenuto conflitto di interessi con i genitori, la cui inottemperanza determina la nullità del giudizio di impugnazione e, in sede di legittimità, la cassazione con rinvio alla Corte d’appello, dovendo escludersi il rinvio al primo giudice, perché contrario al principio fondamentale della ragionevole durata del processo (espresso dall’art. 111, comma 2, Cost. e dall’art. 6 CEDU), di particolare rilievo per i procedimenti riguardanti i minori, e comunque precluso dalla natura tassativa delle ipotesi di cui agli artt. 353, 354 e 383, comma 3, c.p.c., che non comprendono quelle in esame, ove le nullità attengono al solo giudizio di reclamo.”.