Il saggio affronta l’analisi delle azioni rappresentative a tutela dei consumatori nell’ambito del New Deal for consumer ed alla luce del d.lgs. 10 marzo 2023 n. 28, adottato in attuazione della Dir. UE 1828/2020. La cifra di armonizzazione minima di quest’ultimo atto normativo e il tenore e i rinvii dello stesso d.lgs. n. 28/2023 pongono, fra l‘altro, la questione delle reciproche interazioni con l’azione di classe disciplinata dagli art. 840-bis ss. c.p.c, tenendo presenti le comuni problematiche proprie del processo aggregato ma anche le peculiarità della nuova disciplina, destinata ad apprestare tutela rispetto a violazioni di normative diverse, alla luce della “declinazione slargata” dell’ambito applicativo definito nei relativi allegati.
The essay deals with the analysis of representative actions to protect consumers in the context of the New Deal for consumer and in light of the legislative decree of 10 March 2023 n. 28, adopted in implementation of EU directive 1828/2020. The minimum harmonization figure of this latest regulatory act and the content and references of the legislative decree n. 28/2023 raise, among other things, the question of mutual interactions with the class action regulated by the articles 840 bis and the following c.p.c, keeping in mind the common problems of the aggregate process but also the peculiarities of the new regulation, intended to provide protection against violations of different regulations, in light of the “broader declination” of the application scope defined in the relevant annexes.
1. Premessa - 2. La Dir. 2020/1828 nell’ambito del New Deal for Consumer - 3. Il d.lgs. 10 marzo 2023, n. 28. Profili introduttivi - 4. L’ambito applicativo della nuova disciplina. Gli interessi (collettivi) tutelati. L’omogeneità come criterio di selezione degli interessi lesi - 5. La legittimazione attiva e passiva - 6. Le Autorità competenti a pronunciarsi sulle azioni rappresentative - 7. La procedura (cenni) - 7.1. Il meccanismo di partecipazione agli effetti dell’azione rappresentativa - 8. L’esito - 9 Conclusioni. I rapporti con l’azione di classe e con gli altri rimedi a tutela dei consumatori - NOTE
L’adozione – in attuazione della Dir. UE 2020/1828 [1] – del d.lgs. 10 marzo 2023, n.28 in materia di azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori sollecita alcune riflessioni, nella cui trama sarà utile inserire un confronto con l’azione di classe disciplinata dagli art. 840-bis ss. c.p.c.
Quest’ultimo tema è certo abbastanza arato [2], ma la cifra di armonizzazione minima (o, secondo alcuni, incompleta) della citata Dir. 1828 e il tenore (e i rinvii) dello stesso d.lgs. 28/2023 pongono oggi la questione delle interazioni tra i due strumenti, tenendo presenti le comuni problematiche proprie del processo aggregato [3] e le complicazioni ricostruttive che derivano dal trattamento normativo unitario di (procedimenti che tendono ad esiti diversi quali i) provvedimenti inibitori e compensativi.
L’iter che a livello europeo ha portato all’introduzione, nell’ambito della tutela collettiva, prima dei rimedi inibitori e poi di quelli risarcitori trova, per certi versi, corrispondenza nel percorso seguito nell’ordinamento italiano, che è giunto più tardi all’azione di classe rispetto all’azione inibitoria [4]. Ed infatti, sebbene il rimedio dell’azione risarcitoria di classe sia già operativo da tempo nel nostro ordinamento, a livello di normazione europea (che prevedeva già, in base alla Dir. 2009/22/CE abrogata con effetto dal 25 giugno 2023, provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori) la possibilità di ottenere (anche) la pronuncia di provvedimenti risarcitori nell’ambito di giudizi instaurati attraverso la proposizione di azioni rappresentative, per la violazione delle disposizioni in specifiche materie del diritto dell’Unione europea o delle norme di diritto interno di recepimento, ha costituito una novità importante (forse, la più importante) introdotta dalla Dir. 2020/1828.
Peraltro l’ambigua formulazione delle disposizioni di quest’ultimo atto normativo e dei suoi considerando ha reso difficile anche solo la delimitazione dei vincoli posti dal legislatore europeo agli Stati nazionali, mentre alcuni autori hanno posto in evidenza [5] “un esteso attrito con le regole processualistiche nazionali (…) se non già un oltrepassamento della linea delle competenze dell’Unione” [6].
Dall’analisi della Dir. europea 2020/1828 sarà dunque utile muovere, per poi procedere ad una riflessione sul relativo decreto di attuazione, destinato ad apprestare tutela rispetto a violazioni di normative diverse, alla luce della “declinazione slargata” dell’ambito applicativo [7] definito nei relativi allegati (I della Dir. 1828 e A del d.lgs. n. 28/2023). Ivi sono incluse, infatti, discipline varie: dai mercati finanziari e dei capitali alla sicurezza dei prodotti, dai mercati regolamentati (energia, telecomunicazioni, media) alla protezione dei dati; in quest’ultimo caso, probabilmente, in base ad una precisa ratio, giacché uno degli intenti perseguiti dalla Dir. 2020/1828– quello di favorire un apparato di sanzioni proporzionate e dissuasive– riguarda soprattutto le infrazioni diffuse di carattere transfrontaliero [8], che a loro volta si registrano in maniera particolare a danno dei consumatori che operino nei mercati on line (che sono anche i mercati dei dati) [9].
Com’è noto, il New Deal dei consumatori ha preso le mosse da un’indagine avviata nel 2017 dalla Commissione Europea, avente ad oggetto la valutazione delle norme vigenti in materia di consumo.
Quanto allo specifico tema delle tutele collettive, muovendo dal Piano di Azione sull’accesso dei consumatori alla giustizia varato dalla Commissione nel 1996, la prospettiva di tutela dei consumatori è stata inserita nel documento di Strategia per la politica dei consumatori dell’UE 2007-2013 ed è poi stata attuata con le Dir. 1998/27/CE e 2009/22/UE (come segnalato, ora abrogata).
Un impulso decisivo per l’adozione di una direttiva di armonizzazione delle legislazioni nazionali nella materia delle tutele collettive è stato fornito dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 2 febbraio 2012 “Verso un approccio europeo coerente in materia di ricorsi collettivi”, seguito dalla Raccomandazione della Commissione 2013/ 396/UE dell’11 giugno 2013 relativa a “Principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo di natura inibitoria e risarcitoria negli Stati membri che riguardano violazioni di diritti conferiti dalle norme dell’Unione”. Da segnalare anche la Raccomandazione rivolta al Consiglio e alla Commissione il 4 aprile 2017 a seguito dell’inchiesta sulla misurazione delle emissioni nel settore automobilistico (il c.d. Dieselgate [10]).
La valutazione di adeguatezza della normativa UE sulla tutela dei consumatori (pubblicata il 23 maggio 2017 [11]) è stata poi seguita dalla Relazione sull’attuazione della Raccomandazione del 2013 (presentata dalla Commissione il 25 gennaio 2018) relativa a principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo di natura inibitoria e risarcitoria negli Stati membri riguardanti violazioni di diritti conferiti dalle norme dell’Unione. Tale intervento di controllo ha tratteggiato un quadro normativo in materia di protezione dei consumatori largamente insoddisfacente, a causa della sua elevata frammentazione, facendo maturare la presa di coscienza che alcune norme di questo settore non sono state applicate in modo efficace in tutta l’UE.
L’opzione scelta è stata allora quella dell’abbandono del precedente approccio di soft law (adottato ad esempio con la Raccomandazione del 2013), che consentisse un semplice ravvicinamento delle legislazioni, in favore di uno strumento vincolante per realizzare quanto meno un’armonizzazione minima.
Ci si è mossi così– lungo le linee delle direttive dedicate rispettivamente a fornitura di contenuti/servizi digitali (Dir. 2019/770/UE, recepita in Italia con il d.lgs. 4 novembre 2021, n. 173 [12]) e riforma della vendita mobiliare b2c (Dir. 2019/771/UE, recepita in Italia con il d.lgs. 4 novembre 2021, n. 173), insieme alla c.d. Dir. omnibus (Dir. 2019/2161/UE) – con la Dir. UE 2020/1828/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sulle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori: una normativa sollecitata da una rinnovata sensibilità rispetto a questi temi, oltre che dall’esperienza recente, che ha mostrato controversie relative a consumatori transfrontalieri (come appunto quelli coinvolti dallo scandalo “Dieselgate”) e palesato la necessità di un rafforzamento del diritto europeo dei consumi tramite l’introduzione di misure collettive, sia riparatorie che inibitorie.
La nuova direttiva recava l’esplicito obiettivo di “migliorare l’azione di deterrenza contro le pratiche illecite e ridurre il danno per i consumatori in un mercato sempre più globalizzato e digitalizzato”, che ha accresciuto il rischio che un ampio numero di consumatori sia danneggiato dalla stessa pratica illecita (considerando 1) con un profilo di danno che però, se considerato a livello individuale, assume contorni più sfuggenti e dimensioni spesso bagatellari [13].
Pur animata da tali obiettivi “virtuosi”, tale normativa è stata peraltro oggetto di critiche [14], nel “dilatato” (in virtù di alcuni scorrimenti) periodo impiegato per il suo recepimento.
In particolare, insieme a specifiche questioni che saranno segnalate nei paragrafi che seguono, rilievi preliminari sono stati formulati rispetto allo stesso tenore di tale disciplina, pensata per realizzare un’armonizzazione minima e parziale, con l’effetto però di una larga discrezionalità concessa ai legislatori nazionali, stridente rispetto all’ambizioso obiettivo di evitare la frammentazione degli strumenti di tutela [15]. In via preliminare, è stata posta criticamente la questione del rapporto tra diritto dell’Unione europea e sistemi nazionali in materia processuale; rapporto– che non è parso rispettato nell’intervento in commento e– che è stato “storicamente nel senso di una ripartizione, in base alla quale il primo individua le situazioni giuridiche soggettive da tutelare, ed i secondi individuano le relative garanzie processuali” [16].
Inoltre, con la l. 4 agosto 2022, n. 127 [17], allegato A, con cui il Governo è stato delegato a recepire la Dir. 2020/1828 (insieme ad altre ivi indicate), non sono stati formulati criteri specifici per l’esercizio delle delega. È mancata, in particolare, una disposizione che espressamente autorizzasse il Governo ad intervenire sul codice di procedura civile. Ciò, secondo alcuni autori [18] avrebbe potuto frapporre un ostacolo insuperabile alla sua possibile novellazione mediante il decreto legislativo delegato. La scelta del legislatore italiano, come si vedrà subito, è stata nel senso di incidere (non sul codice di procedura civile, bensì) sul codice del consumo.
Il d.lgs. 10 marzo 2023, n. 28, con cui è stata data attuazione nel nostro ordinamento alla Dir. 1828, introduce infatti norme recanti modifiche al codice del consumo e, in particolare, prevede l’inserimento in quella sede di uno specifico titolo composto da 12 articoli (titolo II.1, Azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, artt.140-ter-quaterdecies) [19].
Il decreto consta di 5 articoli e un allegato (poi confluito nell’allegato II-septies nel codice del consumo) nel quale è inserito l’elenco delle disposizioni dell’Unione europea la cui violazione comporta l’esperibilità delle azioni rappresentative.
Si tratta del primo limite applicativo di questo strumento, utilizzabile appunto, secondo la definizione fornita dalla lettera f dell’art.140-ter c. cons., esclusivamente “nelle materie di cui all’allegato”: una tipizzazione dell’illecito che avviene non (come accadeva con riferimento all’azione di classe nell’abrogato art. 140-bis c. cons.) con un riferimento a diritti incisi e relativi a rapporti di consumo ma con un’elencazione di specifiche normative violate: dalla responsabilità per danno da prodotti difettosi alle clausole abusive e alle pratiche commerciali sleali; dalla garanzia dei beni di consumo alla pubblicità ingannevole; dal commercio elettronico e dai servizi digitali alla protezione dei dati personali; dalla sicurezza dei prodotti e alimentare alla commercializzazione a distanza di servizi finanziari, al credito ai consumatori.
Il decreto legislativo riprende la distinzione, contenuta nella direttiva, tra azioni rappresentative nazionali (promosse, come si vedrà, innanzi al giudice italiano da un’associazione dei consumatori e degli utenti inserita nell’elenco di cui all’art. 137 ovvero da organismi pubblici indipendenti nazionali) e azione rappresentativa transfrontaliera, considerata tale in considerazione della differenza tra lo Stato membro in cui l’azione rappresentativa viene intentata e quello di designazione dell’ente legittimato (e dunque, alternativamente: o perché promossa, nelle materie di cui all’allegato II septies, innanzi al giudice italiano da uno o più enti legittimati di altri Stati membri ed inseriti nell’elenco di cui all’art. 5, paragrafo 1, comma 2 della Dir. 1828 ovvero perché intentata in un’altro Stato membro da un ente legittimato ai sensi dell’art. 140-quinquies, anche insieme ad altri enti legittimati di diversi Stati membri).
Anche le disposizioni in materia di azioni rappresentative transfrontaliere trovano sede all’interno del codice del consumo, secondo la scelta di collocare in un unico atto normativo gli istituti posti a tutela del consumatore, pure laddove questi siano connotati da natura ultranazionale [20]: l’esigenza è quella, confermata nella relazione illustrativa del progetto di decreto, “di garantire organicità alla disciplina di settore in un’ottica di semplificazione, coordinamento ed effettività di tutela per il consumatore” [21].
Tanto la Dir. 2020/1828/UE (cfr. artt. 1,2,3,6,10), quanto il d.lgs. n. 28/2023 (cfr. 140-ter, lett. e) delimitano preliminarmente le situazioni giuridiche tutelate, richiamando gli “interessi collettivi dei consumatori”.
È evidente che anche in tal caso, come nell’azione di classe (che però prevede anche la concorrente possibilità dell’iniziativa individuale), la tutela superindividuale, con l’iniziativa processuale rimessa agli enti, mentre consente di “superare gli ostacoli cui devono far fronte i consumatori in azioni individuali, quali quelli relativi all’incertezza in merito ai propri diritti e ai meccanismi procedurali disponibili, la riluttanza psicologica ad agire e il saldo negativo tra costi relativi ai benefici attesi dall’azione individuale” (considerando 9 della Dir. 1828) [22], pone tutte le questioni connesse alla “giustiziabilità” degli interessi collettivi così tutelati; il tema, antico nella riflessione della dottrina (non solo) processualcivilistica, è connesso alla “limitata versatilità delle regole del processo civile a dare riscontro alla tutela degli interessi dei gruppi”, con riferimento in particolare ai profili problematici della legittimazione ad agire e dell’estensione degli effetti del giudicato.
Nella nuova disciplina, d’altra parte, la normativa (art.140-ter cod. cons.) delimita diversamente le situazioni tutelate, tra direttiva e decreto attuativo e tra questi e l’azione di classe: i primi due fanno riferimento– come in parte posto in evidenza– a una dimensione esclusivamente superindividuale degli interessi.
Ma, nella direttiva, la definizione in concreto delle situazioni tutelabili con le azioni rappresentative tiene conto della natura ibrida o “multiforme” dei provvedimenti cui tale atto normativo fa riferimento, precisando (art. 3, n. 3) che, quando si tratti di azione inibitoria, gli “interessi collettivi dei consumatori” corrispondono all’interesse generale dei consumatori; ma quando si prospetti un’azione c.d. risarcitoria, per “interessi collettivi” devono intendersi gli interessi di un gruppo di consumatori (che corrisponde alla somma degli interessi individuali dei consumatori pregiudicati dalle condotte tenute dal professionista convenuto). [23] Nel decreto legislativo 28 questa distinzione si perde e si fa riferimento (art. 140-ter lett c) agli “interessi di un numero di consumatori che sono stati o potrebbero essere danneggiati da una violazione delle disposizioni” individuate nell’allegato II-septies [24].
In tale prospettiva, però, l’azione rappresentativa, per come costruita nell’attuale disciplina, può far porre la questione della coerenza tra situazioni sostanziali tutelate, requisiti di ammissibilità dell’azione e legittimazione alla stessa e, quanto all’azione risarcitoria in particolare, evidenzia profili di contiguità con l’azione di classe, fra l’altro in relazione al requisito dell’omogeneità degli interessi.
Anche nella nuova normativa, infatti, è ancora l’omogeneità degli interessi– elevata a requisito centrale per l’esperimento dell’azione di classe, nel passaggio dall’art. 140-bis c. cons. [25] all’art. 840-bis c.p.c., che ha segnato l’eliminazione della tipizzazione delle situazioni tutelabili [26] – a costituire il criterio per vagliare, con la configurabilità di un gruppo, la possibilità di attrarre le controversie che possono essere dedotte in giudizio nell’orbita dei rimedi di tipo collettivo.
Sul punto può porsi in evidenza che secondo la Dir. 2020/1828 spettava “agli Stati membri decidere in merito al grado richiesto di similarità delle pretese individuali o al numero minimo di consumatori interessati da un’azione rappresentativa per provvedimenti risarcitori affinché il caso sia ammesso al trattamento come un’azione rappresentativa” (considerando 12); che il decreto 28/2023 fa riferimento (art.140-septies, comma 5, in merito alle necessarie indicazioni che gli enti legittimati devono inserire nel ricorso) agli “elementi necessari a determinare il gruppo dei consumatori interessati all’azione rappresentativa”; che la nuova normativa considera l’”omogeneità dei diritti individuali per cui è richiesta l’adozione dei provvedimenti compensativi” quale requisito di ammissibilità dell’azione rappresentativa (comma 8 art. 140-septies).
Anche questo, tra gli altri che verranno posti in evidenza, è uno degli indici normativi che rivelano una certa tendenza a “piegare” l’azione rappresentativa (almeno quella volta ad ottenere provvedimenti compensativi) sull’azione di classe e pongono dunque, come si diceva, il problema di individuare i tratti distintivi e di delimitare l’ambito applicativo dei diversi rimedi.
Da questo punto di vista, è da dire che una caratteristica che invece distingue i diversi strumenti attiene alla legittimazione.
È allora alla legittimazione ad agire e resistere in giudizio che deve farsi un rapido richiamo per completare il quadro giacché, come posto in evidenza dalla dottrina processualcivilista, oltre a costituire “uno dei temi più cari al dibattito attorno alla tutela giurisdizionale degli interessi sovraindividuali”, essa proietta “sul piano processuale il problema della titolarità dell’interesse e con esso quello della sua struttura formale” [27].
Come si è in parte anticipato, nella nuova normativa viene esclusa tanto la legittimazione individuale dei singoli consumatori (neanche se questi si costituiscano in un gruppo), quanto quella dei comitati, nonostante il più ampio dettato dei considerando 11 e 28 e dell’art. 4, comma 6, della direttiva, che prevedevano la possibilità di designare enti legittimati ad hoc per specifiche azioni rappresentative nazionali.
Si tratta di una scelta normativa che, lungi dal costituire un volano per la tutela degli interessi dei consumatori, può restringere il confine della protezione loro riservata.
Gli artt.140 quater e quinquies distinguono tra le azioni rappresentative nazionali e transfrontaliere; per le prime, da proporre dinanzi al giudice italiano, sono competenti le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’articolo 137 e gli organismi pubblici indipendenti nazionali (indicati nel reg. UE 2017/2394) che facciano richiesta di essere legittimati [28]. Per le azioni rappresentative transfrontaliere, l’art. 140 quinquies riprende i requisiti indicati nella direttiva, con l’ulteriore specificazione della necessaria previsione nello statuto degli enti di regole, anche riferite alle cause di incompatibilità relative ai rappresentanti legali, idonee ad assicurare l’indipendenza dell’associazione e la previsione di un organo di controllo che vigili sul rispetto dei principi di indipendenza e delle misure di prevenzione e risoluzione dei conflitti di interessi. Possedendo tali requisiti, gli enti potranno iscriversi in una sezione speciale dell’elenco previsto dall’articolo 137, dedicata appunto agli enti legittimati a proporre azioni transfrontaliere e istituita, come precisato nella relazione illustrativa, tenuto conto della coincidenza solo parziale dei requisiti previsti dall’art. 137 del codice del consumo con quelli previsti dall’art. 3, paragrafo 4, della direttiva.
Quanto agli organismi pubblici indipendenti nazionali, il conferimento della legittimazione ad agire ad autorità titolari di autonomi poteri sanzionatori pubblici nei confronti della parte professionale, e che come tali dovrebbero mantenersi in una posizione di assoluta neutralità, appare una scelta dubbia sul piano dell’opportunità, oltre a scolpire una commistione tra tutele privatistiche e tutele pubblicistiche e a presentare profili di possibile illegittimità costituzionale dal punto di vista della violazione dell’art. 111 Cost. (giacché gli enti potrebbero irrogare sanzioni amministrative pecuniarie a imprese e poi esercitare azioni rappresentative contro le stesse, in evidente conflitto d’interessi).
Se questo è il quadro delle competenze attribuite dalla normativa in commento, può essere significativo aggiungere che, per promuovere le azioni rappresentative, non è necessario che l’ente legittimato abbia a tal fine ricevuto un apposito mandato da uno o più singoli consumatori [29] (atteso che esso agisce nell’esercizio di una legittimazione propria a tutela degli interessi collettivi: art. 8, par. 3; art. 140-septies del codice del consumo). Nel caso dei provvedimenti inibitori, l’ente inoltre non avrà l’onere di provare il dolo o la colpa del professionista (art.140-octies c. cons.) e non avrà nemmeno l’onere di dimostrare i pregiudizi e le perdite subite dai singoli consumatori interessati (art. 8, par. 3, lett. a e b; art. 140-octies, quarto comma, cod. cons.) [30].
Quanto alla legittimazione passiva, come posto in evidenza, le azioni rappresentative possono essere esperite nei confronti di “professionisti” “per le violazioni” delle disposizioni del diritto UE (indicate nell’Allegato), che abbiano causato o possano causare una lesione degli “interessi collettivi dei consumatori”.
La legittimazione passiva– riservata, per l’azione di classe dall’art.840-bis c.p.c., alle imprese ovvero agli enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità “relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività [31], e per le azioni rappresentative ai “professionisti” che agiscono “per fini relativi alla propria attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale” (secondo l’art.140-ter c. cons.) – riduce sostanzialmente l’ambito applicativo di queste azioni pur sempre alla materia contrattuale/consumeristica (ed analoga disposizione è dettata per l’azione collettiva inibitoria dall’art. 840-sexiesdecies c.p.c.) [32].
Quanto alla competenza alla trattazione e definizione dei procedimenti instaurati attraverso l’esperimento di un’azione rappresentativa (nazionale o transfrontaliera), in base alla direttiva gli Stati membri sarebbero stati liberi di decidere se attribuirla esclusivamente ad organi giurisdizionali, soltanto ad autorità amministrative ovvero ad entrambi.
Quello che però la direttiva richiedeva è che gli Stati membri assicurassero (considerando 19) che venisse adeguatamente tutelato il diritto (dei professionisti eventualmente convenuti davanti ad una autorità amministrativa) di difendersi proponendo un ricorso ad un organo giurisdizionale, per impugnare una decisione assunta dall’autorità amministrativa eventualmente adita con un’azione rappresentativa.
Sul punto, la dottrina aveva posto in evidenza, tenuto conto del ruolo e della funzione centrale attribuita alle Autorità indipendenti [33] di settore (soprattutto all’Autorità garante per la concorrenza e il mercato) dalla normativa italiana e dalla giurisprudenza [34], l’inopportunità di attribuire alle suddette autorità amministrative (anche) la competenza a conoscere e definire i procedimenti instaurati attraverso la proposizione di azioni rappresentative, e la necessità invece di concentrare la competenza solo sull’autorità giudiziaria ordinaria, e segnatamente sulle sezioni specializzate in materia di impresa istituite presso i tribunali (c.d. tribunale delle imprese): ciò, come dimostrato dall’effetto condizionante la discrezionalità del giudice civile esercitato all’accertamento della formulazione non trasparente e/o del contenuto vessatorio di una clausola o della natura scorretta di una pratica commerciale da parte dell’AGCM nei procedimenti amministrativi di sua competenza [35].
Il nodo appariva particolarmente delicato, se solo si tiene presente il dettato del comma 2˚ dell’art. 144 bis c. cons., novellato dall’art. 37 della l. europea 2019-2020: in base a tale disposizione, il Ministero dello sviluppo economico (ora Ministero delle imprese e del made in Italy) e le altre Autorità considerate «competenti» per far valere le diverse normative di protezione del consumatore (AGCM, AGCOM, ENAC, Autorità di regolazione dei trasporti, Banca d’Italia, IVASS e CONSOB) sono titolari di poteri di indagine e di enforcement contemplati dall’art. 9 reg. UE 2017/2394; e ciò tanto con riferimento alle fattispecie regolate da quest’ultimo atto normativo, quanto con riferimento alle «infrazioni lesive degli interessi collettivi dei consumatori in ambito [esclusivamente] nazionale». E tale quadro di competenze assumeva particolare significato, come posto in evidenza in dottrina, in relazione all’art. 15 della direttiva, che stabilisce che gli Stati membri devono provvedere affinché la decisione definitiva di un organo giurisdizionale o di un’autorità amministrativa di qualsiasi Stato membro relativa all’esistenza di una violazione degli interessi collettivi dei consumatori «possa essere usata da tutte le parti come prova» nell’ambito di procedimenti di natura collettiva instaurati attraverso azioni rappresentative finalizzate all’adozione di provvedimenti «risarcitori» nei confronti del professionista.
Forse tenendo conto di tali considerazioni, nel d.lgs. n. 28/2023 (art. 140-septies del codice del consumo) è stata adottata la scelta (già prevista dall’articolo 840-ter c.p.c. per le azioni di classe) di una competenza inderogabile della sezione specializzata in materia di impresa competente per il luogo ove ha sede la parte resistente [36].
Quanto alla procedura, inoltre, l’art. 140-novies cod. consumo rinvia agli artt. da 840-quater a 840-terdecies e all’art. 840-quinquiesdecies c.p.c.: vengono mantenute le tre fasi e il meccanismo dell’adesione previsto per l’azione di classe.
I commi da 5 a 11 dell’art.140-septies del codice del consumo, introdotti dall’art.1 del d.lgs. n. 28/2023, disciplinano le modalità di proposizione dell’azione rappresentativa e i requisiti di ammissibilità, con il relativo procedimento [37].
Tra le fasi, ne è prevista una preliminare, che si conclude con la valutazione di ammissibilità della domanda decisa con ordinanza entro il termine di trenta giorni dalla prima udienza, tanto per le azioni rappresentative risarcitorie quanto per quelle inibitorie.
Tale previsione (del giudizio preliminare di ammissibilità), per vero, potrebbe non essere necessaria per le azioni inibitorie, che non richiedono l’adesione dei consumatori al procedimento; rispetto ad esse un filtro preliminare, che aggiunge una nuova fase e rischia di ritardare un giudizio di per sé connotato da esigenze di celerità, oltre a risultare inutile, potrebbe essere dannoso. Anche per le azioni rappresentative compensative, caratterizzate da un perimetro di accesso ristretto, dalla riserva della legittimazione ad agire ad enti qualificati e da un sistema di adesione cui verosimilmente si darà seguito, nell’ambito della struttura “trifasica” del procedimento, solo dopo la sentenza, appare da ridimensionare la funzione stessa (di filtro) del giudizio di ammissibilità.
Un ulteriore punto critico, che ha fatto registrare una mancata corrispondenza tra le prescrizioni contenute nella Dir. 2020/1828 (UE) e le norme italiane di recepimento, riguarda l’art. 7, comma 6, Dir. 2020/1828 (UE), secondo il quale gli «Stati membri provvedono affinché gli interessi dei consumatori in azioni rappresentative siano rappresentati da enti legittimati e affinché tali enti legittimati abbiano i diritti e gli obblighi di una parte ricorrente nel procedimento». Nel decreto attuativo si rinvia al procedimento di classe italiano, che contempla una terza fase nella quale esce di scena il ricorrente (l’ente legittimato nell’azione rappresentativa, che incardina e conduce la fase di accertamento ed eventuale condanna del convenuto), e diventa centrale il ruolo di un soggetto diverso, il rappresentante comune (nominato con la sentenza con cui il Tribunale accoglie l’azione), cui è affidata la tutela e la rappresentanza dei consumatori aderenti in sede di accertamento, liquidazione, eventuale transazione e successiva esecuzione.
La definizione del meccanismo di partecipazione costituiva un’ulteriore scelta che avrebbero dovuto adottare gli Stati nazionali in sede di recepimento della direttiva, a norma della quale (considerando 43), quanto alle azioni rappresentative volte a ottenere provvedimenti risarcitori, “per meglio rispondere alle loro tradizioni giuridiche, gli Stati membri dovrebbero prevedere un meccanismo di partecipazione o un meccanismo di non partecipazione, o una combinazione di entrambi” (…); “gli Stati membri dovrebbero poter decidere in quale fase del procedimento i singoli consumatori possano esercitare il loro diritto di partecipare o meno a un’azione rappresentativa”.
Sul punto, curiosamente, non si è registrato un ripensamento rispetto alla disciplina dell’azione di classe, che già scontava “il peccato originale del c.d. opt in che ne condiziona e appesantisce le movenze rendendola una ibridazione” [38]: nell’occasione di introdurre un nuovo strumento di ricorso collettivo, non si è ritenuto di far tesoro dei limiti mostrati dall’esperienza applicativa dell’azione di classe, ma anzi si è scelto di continuare a far richiamo proprio al suo “procedimento contraddetto dalla realtà della sua disciplina” dopo l’ulteriore esperienza della “pallida fattispecie” dell’art.140-bis c. cons. [39]. Tale esperienza applicativa ha confermato che “la struttura dell’adesione mal si presta…a gestire efficientemente l’apparato del risarcimento collettivo” e a favorirne un largo utilizzo, incontrando un limite nella tendenziale inerzia tipica del consumatore/ attore; ma la scelta di tale sistema era stata determinata dalla considerazione che “è evidentemente difficile superare il tabù della estraneità dell’opt out al sistema domestico della tutela” e ciò sia per l’idea di una incostituzionalità del vincolo automatico di produzione degli effetti in favore di chi non abbia aderito sia anche, di più, per una “sotterranea sfiducia che lo vede più esposto all’abuso di massa”.
Il richiamo, operato dal nuovo art. 140-novies c. cons, con riferimento ai provvedimenti compensativi, alla disciplina dell’azione di classe (fra le altre norme, l’art. 840-septies c.p.c.) anche quanto alle modalità di adesione (con la conferma della complessità del doppio turno, dopo l’ordinanza di ammissibilità dell’azione e dopo la sentenza [40], già prevista dalla previgente disciplina) è un ulteriore limite che evidentemente condiziona anche la nuova normativa; e ciò anche se il superamento del sistema delle adesioni volontarie, secondo parte della dottrina processualistica, sarebbe stato ben possibile, tenendo conto fra l’altro dei ricorrenti riconoscimenti di sentenze straniere adottate su azioni di classe improntate al sistema dell’opt out (e a dispetto delle ricostruzioni “indurite” [41]che pongono l’accento sulla possibile violazione del comma 2 dell’art. 24 Cost).
Ciò a cui l’azione rappresentativa può tendere è un provvedimento risarcitorio o inibitorio.
Le relative istanze possono essere presentate anche congiuntamente: in tal senso il decreto legislativo attua la discussa possibilità prevista dal paragrafo 5, primo periodo, dell’art. 7 della direttiva, ai sensi del quale “gli Stati membri possono consentire agli enti legittimati di richiedere i provvedimenti di cui al paragrafo 4 con un’unica azione rappresentativa, se del caso”.
Nel concetto di provvedimento risarcitorio la direttiva faceva rientrare un ventaglio di misure eterogenee: l’art.3 lo definiva come “una misura che obbliga un professionista a offrire ai consumatori interessati rimedi quali un indennizzo, la riparazione, la sostituzione, una riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto o il rimborso del prezzo pagato, a seconda di quanto opportuno e previsto dal diritto dell’Unione o nazionale” [42].
Analoga ampia prospettiva è seguita nel decreto legislativo, che adotta l’espressione “provvedimento compensativo” per riferirsi ad una “misura rivolta a rimediare al pregiudizio subito dal consumatore, anche attraverso il pagamento di una somma di denaro, la riparazione, la sostituzione, la riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto o il rimborso del prezzo pagato”. Come precisato nella relazione illustrativa (pag. 4), “la locuzione “provvedimento risarcitorio” è stata sostituita da quella di “provvedimento compensativo”, posto che il riferimento al modello risarcitorio tracciato dalla direttiva non è sussumibile, per ratio e natura, nell’alveo della nozione di risarcimento come declinata nell’ordinamento interno”. Inoltre, il riferimento all’“indennizzo” è stato sostituito con quello di “pagamento di una somma di denaro”; si è infatti ritenuto “che l’esatta trasposizione della formulazione della direttiva sarebbe risultata fonte di difficoltà interpretative, stante la specificità delle nozioni di risarcimento e indennizzo nell’ordinamento nazionale, che per tale ragione sono state sostituite con terminologia che appare più appropriata”.
Il provvedimento inibitorio è invece definito come l’atto definitivo o provvisorio teso a far cessare una pratica o, se del caso, a vietarla, nel caso in cui si ritenga che detta pratica costituisca una violazione di cui all’articolo 2, paragrafo 1: ordini rivolti dall’organismo giudiziario competente, con cui si ingiunge al professionista– che tiene una condotta contrastante con i precetti dettati da una o più disposizioni di diritto UE riportate nell’Allegato alla direttiva – di porre fine ad una condotta e/o di astenersi dal proseguirla ovvero dal reiterare una condotta esauritasi anteriormente alla proposizione della domanda.
Nel decreto attuativo, l’art. 140-octies prevede l’obbligo di notifica del ricorso al pubblico ministero (comma 2) e l’applicazione dei commi da 4 a 14 dell’art. 840-quinquies c.p.c. che disciplina il procedimento dell’azione di classe (comma 3).
L’azione rappresentativa (comma 8 dell’art.140 octies) può essere proposta solo decorsi quindici giorni dalla richiesta di cessazione del comportamento lesivo, rivolta dagli enti legittimati al professionista.
È da riflettere se il provvedimento con cui l’autorità si pronuncia su azioni rappresentative inibitorie possa imporre al professionista l’obbligo di eseguire prestazioni positive (di dare o facere), ulteriori rispetto alla pubblicazione della decisione ovvero di una dichiarazione di rettifica (espressamente prevista dall’art. 8, par. 2, lett. b).
In base al considerando 33, i provvedimenti inibitori avrebbero potuto “obbligare i professionisti ad adottare misure specifiche, per esempio fornire ai consumatori le informazioni che sono state precedentemente omesse in violazione di un obbligo legale”; la formula è appunto da comprendere, anche perché meno ampia di quella contenuta nell’art.840 sexiesdecies c.p.c. che prevede il potere del tribunale di ordinare, con la condanna alla cessazione della condotta omissiva o commissiva, il compimento di “misure idonee ad eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate” a carico della parte soccombente.
Un’ultima riflessione sui rapporti tra azioni rappresentative ed altri rimedi collettivi, in particolare l’azione di classe.
Si è già posto in evidenza che comuni sono stati gli intenti dell’introduzione dei diversi strumenti, riconducibili allo “strumentario della politica del diritto del controllo di qualità dei servizi collettivi e dei beni di consumo di massa per ogni società c.d. adversaria” [43]: efficienza ed economia processuale, abbattimento dei costi di accesso alla giustizia soprattutto per quei diritti che si concretano in pretese risarcitorie di modesta entità, conseguente azione di deterrenza rispetto al compimento di illeciti e all’esercizio di pratiche scorrette dell’impresa [44].
Analoghi sono poi i meccanismi di tutela nella distribuzione dei ruoli tra le diverse parti in causa: anche nella nuova disciplina appare in molti aspetti privilegiata la posizione dell’attore rispetto al convenuto, cui non è corrispondentemente riconosciuto il potere (che pure potrebbe essere utile, ad esempio per gli enti che erogano servizi di massa) di vedersi garantita, a determinate condizioni, l’unitarietà del giudizio stesso e cui in particolare non vengono apprestati strumenti di reazione nei confronti di azioni individuali disaggregate che invece si presterebbero ad essere unite in una classe [45].
La preoccupazione di evitare abusi del contenzioso, già evidente nella disciplina dell’azione di classe (di cui è espressione normativa anche la previsione della procedura plurifasica e del filtro di ammissibilità dell’azione, presente tanto nella versione degli artt. 140-bis ss. cod. civ. tanto in quella degli artt. 840 ss. c.p.c.) ha trovato corrispondenza, nella Dir. 1828 (art. 1, par. 1), nella particolare attenzione per le regole relative all’individuazione e al finanziamento degli enti legittimati (considerando 10), ma soprattutto nell’obbligo per gli Stati membri di attribuire alle autorità (giudiziarie o amministrative) competenti la possibilità di rigettare tempestivamente le azioni rappresentative ove vengano acquisite informazioni che le facciano apparire ad un primo sommario esame manifestamente infondate. Da questo punto di vista, è inoltre interessante che – nella prospettiva del conseguimento di un livello elevato di protezione dei consumatori – già la direttiva (e poi il d.lgs. n. 28 con l’introduzione dell’art.140-decies c. cons.) abbia scelto di porre sullo stesso piano delle azioni rappresentative le transazioni concernenti i risarcimenti [46], quale strumento di composizione veloce della lite.
Dunque, un insieme di obiettivi analoghi, del resto derivanti dalla comune natura superindividuale delle azioni.
Rimane però il nodo dei rapporti, per vero, non solo con l’azione di classe prevista dall’art.840-bis c.p.c., ma anche con l’azione inibitoria collettiva di cui all’art.840-sexiesdecies c.p.c.: è evidente che con la Dir. 2020/1828 il legislatore europeo di fatto realizzi una “incursione sul terreno processualcivilistico nazionale, da sempre assunto a materia di autonomia degli Stati membri” [47], e che dunque un problema di coordinamento con gli strumenti previgenti di matrice nazionale si ponga; un problema che, si badi, ha dei riflessi sostanziali significativi, giacché la possibilità di azioni su diversi “tavoli” (il consumatore che ad esempio, come posto in evidenza, non può agire con l’azione rappresentativa neanche se organizzato in gruppo ma può agire con l’azione di classe anche per questioni relative alle discipline indicate nell’allegato del d.lgs. n. 28) potrebbe frustrare l’obiettivo proprio delle azioni plurisoggettive della eliminazione del contenzioso plurimo e determinare giudicati parzialmente o integralmente contradditori.
La scelta di non intervenire, in sede di attuazione della direttiva, anche attraverso un coordinamento con la disciplina previgente ha fatto sì che nel nostro ordinamento, fino al 19 maggio 1931, si registrerà la compresenza di tre diverse discipline di tutela collettiva risarcitoria: l’azioni di classe ex art. 140-bis cod. consumo, che continuerà ad applicarsi per tutte le condotte poste in essere sino al 19 maggio 2021, data di entrata in vigore della l. n. 31/2019; l’azione di classe, inserita negli artt. 840-bis ss. c.p.c. a seguito della riforma operata con l. n. 31/2019, applicabile alle condotte illecite poste in essere dal 19 maggio 2021;l’azione rappresentativa prevista agli artt. 140-ter ss., cod. consumo, in virtù del d.lgs. n. 28/2023, che si applica, ai sensi dell’art. 4, comma 1, a decorrere dal 25 giugno 2023.
Per vero, si è tentato di risolvere i problemi di coordinamento tra le diverse azioni con la citata delimitazione per materie dell’ambito applicativo del nuovo strumento: l’art. 140-ter, comma 2, del codice del consumo ha stabilito che, a fronte di condotte tenute da professionisti lesive degli interessi collettivi dei consumatori in una delle discipline elencate nel nuovo Allegato II septies, gli enti legittimati “non possono agire con l’azione di classe” prevista dal codice di procedura civile, mentre “restano fermi i rimedi contrattuali ed extracontrattuali comunque previsti a favore dei consumatori” (con la conseguenza, appunto, che in quelle materie le associazioni dei consumatori potranno esclusivamente far ricorso alla procedura collettiva di matrice europea, mentre i singoli consumatori avranno la possibilità di avvalersi dell’azione di classe contemplata dal c.p.c.).
Rimangono però, nella disciplina delle azioni rappresentative, una serie di richiami (operati dall’art. 140-novies cod. cons. agli articoli da 840-quater a 840-terdecies e all’art. 840-quinquiesdecies c.p.c., con riferimento in particolare al procedimento trifasico, al meccanismo dell’adesione e la previsione del compenso premiale) che rivelano una certa tendenza a “piegare” l’azione rappresentativa (almeno quella volta ad ottenere provvedimenti compensativi) sull’azione di classe.
Ma è da aggiungere, come già posto in evidenza, che anche per l’azione di classe la legittimazione passiva riservata dall’art. 840-bis c.p.c. alle imprese ovvero agli enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità “relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività”, riduce sostanzialmente il suo ambito applicativo pur sempre alla materia contrattuale/consumeristica: se è vero che “la recente incorporazione al codice di procedura civile toglie all’azione di classe il sigillo della differenziazione, in particolare di quella consumeristica” tale connotazione comunque rimane “indirettamente, per la selezione operata tra i convenibili («imprese» ovvero «enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità»)” [48].
Dal punto di vista del rapporto tra rimedi inibitori e risarcitori, la dottrina processualistica ha messo in evidenza che la distinzione tra “interessi collettivi, da un lato, e diritti individuali omogenei, dall’altro, spesso impiegata al fine di distinguere le situazioni giuridiche soggettive tutelate nei due diversi procedimenti, ha il sapore del mero artificio formale, utile solo a separare ciò che nella sostanza è unitario”, e che “l’oggetto della sentenza che accoglie la domanda di classe è limitato all’accertamento della condotta plurioffensiva, ovvero sostanzialmente coincide con l’oggetto del giudizio inibitorio”, con la conseguenza che “il cumulo delle due azioni collettive in un unico processo appare l’unica soluzione processualmente idonea a rispondere adeguatamente alla suddetta esigenza di tutela effettiva dei diritti coinvolti” [49].
Da questo punto di vista, è interessante sottolineare che mentre l’art.840-sexiesdecies c.p.c. stabilisce che il giudice debba separare le cause qualora l’azione inibitoria sia proposta congiuntamente all’azione di classe risarcitoria, l’art. 140-septies introdotto dal d.lgs. n. 28/2023, come si è visto, prevede che le azioni rappresentative possono essere promosse “al fine di richiedere, anche cumulativamente, l’adozione dei provvedimenti inibitori previsti dall’articolo 140-octies oppure dei provvedimenti compensativi previsti dall’art.140-novies”.
Un’ultima considerazione, infine, sulle situazioni tutelate, anche in rapporto al (la opportunità del) trattamento unitario di provvedimenti compensativi e inibitori.
Con l’azione di classe si possono tutelare «propri diritti» (art. 24 Cost.), ed è in considerazione di questa aggregazione processuale che si riconosce l’iniziativa individuale, si pone un problema di omogeneità con altri e si giustifica il meccanismo dell’adesione: l’omogeneità è concetto relativo, in quanto va parametrata rispetto all’interesse di chi nell’azione di classe propone per primo l’azione, e come tale è incompatibile con la tutela di interessi collettivi.
Con l’azione rappresentativa si possono tutelare diritti in qualche modo “altrui” in quanto collettivi, ed è per questo che non è necessario dare mandato agli enti, cui è rimesso l’esercizio dell’azione in base ad una legittimazione propria.
Si tratta dunque di una tutela collettiva contro una tecnica processuale aggregata, che in molti aspetti vengono trattate unitariamente attraverso strumenti che, a causa di una legislazione stratificata e incerta, appaiono ancora caratterizzati da numerose incertezze applicative.
Se a ciò si aggiungono significative distonie tra decreto attuativo e direttiva (ad esempio dal punto di vista del procedimento trifasico che prevede l’uscita di scena dell’ente legittimato in favore del rappresentante comune) e soprattutto quella mancanza di chiarezza nella definizione delle diverse aree di operatività degli strumenti, ci si rende conto che ciò potrà comportare l’ingresso nei processi di questioni formali e procedurali, che potranno preliminarmente condizionare la risoluzione delle questioni di merito.
Pare, dunque, si sia persa, così, l’occasione per realizzare un rimedio autenticamente efficace ed efficiente per proteggere il consumatore realizzando “un impianto nel complesso fragile” [50], perché rimesso a scelte che avrebbero dovuto essere compiute in sede di recepimento, nell’alternativa tra la conservazione dei modelli nazionali, il che avrebbe forse vanificato alcune peculiarità della disciplina contenuta nella direttiva, e la soluzione di un innesto che però avrebbe dovuto essere accompagnato da un coordinamento ulteriormente meditato [51].
Sullo sfondo, l’aleggiare di una “irresoluzione”: se “piace a tutti ripetere che … è una modalità efficiente e sperimentata per risolvere controversie su larga scala”, “non è però chiaro se il problema sia evitare un effettivo spreco di risorse o creare, attraverso l’offerta, una domanda altrimenti inesistente. Ci si muove per sgravare il sistema giudiziario da una tangibile esorbitanza di causa individuali, ovvero per aprire le porte di Temi alla folla di casi che non ne solcherebbero mai la soglia? Per tagliare lo spreco di risorse della parcellizzazione della giustizia, ovvero per soddisfare una domanda di giustizia inespressa? [52]”.
[1] M. Bona, La direttiva UE 2020/1828 sulla tutela rappresentativa dei consumatori, in Giur. it., 2021, 1, 252.
[2] Cfr., ad esempio, B. Sassani (cur.), Class action, Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019 n°31, Quaderni di Iudicium, Pacini giuridica, Pisa 2019.
[3] Sul punto, cfr. F. Auletta, L’azione rappresentativa come strumento di tutela dei diritti, in NLCC, n. 6, 1 novembre 2022, 1670; P.G. Monateri, La responsabilità civile “individualista” e la responsabilità civile di massa: il costo del sistema, in Danno resp. 2023, 1, 5 ss. Cfr. anche in materia C. Cost. 26 novembre 2020 n. 253.
[4] Insieme all’art. 18 della l. 349/1986, si ricorderà che la l. n. 52/1996, in attuazione della Dir. 93/13, aveva inserito all’interno del codice civile anche l’art. 1469-sexies e la disciplina dell’inibitoria delle condizioni generali di contratto di cui venisse accertata l’abusività. Un’azione inibitoria a carattere generale, a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, era stata poi prevista dalla l. n. 281/1998; tali disposizioni sono successivamente confluite negli artt. 37 e 139-140 del codice del consumo. Sul punto, cfr. R. Donzelli, L’ambito di applicazione e la legittimazione ad agire, in B. Sassani (cur.), Class action, cit., 3.
[5] E. Camilleri, La dir. 2020/1828/UE sulle azioni rappresentative e il “sistema delle prove”. La promozione dell’interesse pubblico attraverso la tutela degli interessi collettivi dei consumatori: verso quale modello di enforcement?, in NLCC, 2022, 4, 1062.
[6] E. Camilleri, loc. ult. cit.
[7] Il Legislatore interno non si è avvalso della possibilità contemplata dal considerando 18 della Direttiva, secondo il quale «gli Stati membri dovrebbero rimanere competenti a rendere applicabili le disposizioni della presente direttiva a settori aggiuntivi rispetto a quelli che rientrano nel suo ambito di applicazione».
[8] G. De Cristofaro, Azioni “rappresentative” e tutela degli interessi collettivi dei consumatori. La “lunga marcia” che ha condotto all’approvazione della dir. 2020/1828/UE e i profili problematici del suo recepimento nel diritto italiano, cit., 1025.
[9] Per l’apertura a soluzioni nazionali che consentano meccanismi di tutela degli interessi dei consumatori contro il presunto autore di violazioni della disciplina sulla protezione dei dati personali, cfr. Corte giust. UE 29 luglio 2019, causa C-40/17, nel caso Fashion ID GmbH & Co. KG c. Verbraucherzentrale NRW eV.
[10] Su cui Cfr. B. Gsell, T. Moellers (ed.), Enforcing Consumer and Capital Markets Law. The Diesel Emissions Scandal, Cambridge, 2020.
Sul c.d. Dieselgate, cfr. CGUE, Grande Sezione, 14 luglio 2022, causa C-128/20, in Giur.it, 2023, 5, 1010, con nota di E. Tuccari, La CGUE ritorna sul ‘‘Dieselgate’’ e disegna una disciplina sempre più’’sostenibile’’ del settore automotive.
[11] Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’applicazione della Dir. 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della Dir. 93/13/CEE del Consiglio e della Dir. 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la Dir. 85/577/CEE del Consiglio e la Dir. 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
[12] Su cui cfr. G. De Cristofaro, Legislazione italiana e contratti dei consumatori nel 2022: l’anno della svolta . Verso un diritto “pubblico” dei (contratti dei) consumatori?, in NLCC, 2022, 1 ss.
[13] E. Camilleri, op.cit., 1056.
[14] E. Camilleri, op. cit., 1053 ss.
[15] E. Minervini, L’azione inibitoria nella dir. 2020/1828/UE, in NLCC 2022, 5, 1378.
[16] E. Minervini, L’azione inibitoria nella dir. 2020/1828/UE, in NLCC, 2022, 5, 1379.
[17] La l. n. 127/2022 – Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti normativi dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2021 (in GU Serie Generale n.199 del 26-08-2022), è entrata in vigore il 10 settembre 2022. Nell’allegato A della legge è inclusa, al punto 7, la direttiva in questione.
[18] G. De Cristofaro, loc. ult. cit.
[19] Per alcune disposizioni della direttiva, indicate nella tabella di concordanza, non è stata ritenuta necessaria l’attuazione in quanto riconducibili a disposizioni già vigenti nell’ordinamento interno.
[20] In questo senso si era d’altra parte posta l’attuazione di altre normative, come la dir. (UE) 2019/2161 relativa al rafforzamento della tutela dei consumatori anche mediante l’armonizzazione dell’impianto sanzionatorio per violazioni transfrontaliere.
[21]Su questa linea, il legislatore ha inserito nel codice del consumo sia le disposizioni in materia di “risoluzione extragiudiziale delle controversie” di cui al titolo II-bis della parte V (articolo 141 e seguenti), sia le disposizioni in materia di “cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori” di cui all’articolo 144-bis del codice del consumo (in attuazione di quanto previsto dal regolamento (UE) 2017/2394); le prime, adottate con funzione deflattiva del contenzioso giudiziario, per evitare il rischio che i consumatori non esercitino i propri diritti a causa dei costi e dei tempi processuali; le altre che prevedono “un sistema orizzontale per le infrazioni alle disposizioni consumeristiche, distinguendo differenti violazioni in base alla natura transfrontaliera e declinando specifici strumenti di cooperazione tra autorità nazionali e Commissione europea” (relazione illustrativa al progetto).
[22] Si veda il dossier curata dal Servizio del bilancio del Senato della Repubblica (gennaio 2023) in commento allo schema di d.lgs. 28; ivi si precisava, con riferimento all’art.140-ter c. cons., che “lo scopo della disposizione è quello di offrire tutele e garanzie al consumatore di ampio spettro e, quindi, anche in linea preventiva, inibendo il reiterarsi di comportamenti analoghi anche in altri settori e materie, così che la pronuncia giudiziale assurga a “precedente” che diriga l’attività giurisdizionale e funga da deterrente per eventuali comportamenti lesivi del diritto unionale.”.
[23] G. De Cristofaro, loc. ult. cit. In questo senso anche E. Minervini, op. cit., 1381.
[24]Una descrizione che ha assunto “quale riferimento primo, con gli opportuni adattamenti, la definizione di cui all’articolo 67-ter del codice del consumo” (così, relazione illustrativa allo schema di decreto). Cfr., per una riflessione di carattere generale, A. Gambaro, Interessi diffusi, interessi collettivi e gli incerti confini tra diritto pubblico e diritto privato, in Riv. trim dir. proc. civ., 2019, 791.
[25] Sia pure in diverso ambito, considera preclusiva, rispetto alla configurabilità della legittimazione a proporre un’azione di classe di una associazione, la circostanza di rappresentare una classe ‘omogenea e determinata’ di ‘utenti e consumatori, Cons Stato, Sez. V, 22/05/2023, n. 5031, in Quotidiano giuridico 2023.
Cass., 31 maggio 2019, n. 14886 (in Riv. dir. proc., 2020, 1, 356, nota di Giussani; in Danno e Resp., 2019, 5, 634, nota di Selini; in Danno e Resp., 2019, 5, 634, nota di Selini) evidenzia che si dovrebbe trattare di situazioni “accomunate da caratteristiche tali da giustificarne un apprezzamento seriale e una gestione processuale congiunta”.
[26] Si ricorda che, prima ancora, tenuto conto delle posizioni eccessivamente restrittive della giurisprudenza (cfr. App. Torino 27 ottobre 2010 in Foro it., 2010, 3530; Trib. Roma, 11 aprile 2011, in Foro it., 2011, I, 3424) il d.l. n. 1/2012, conv. in l. n. 27/2012 aveva sostituito l’omogeneità al previgente requisito dell’identità dei diritti lesi. Secondo App. Milano, sez. I, 19 aprile 2011, i diritti individuali omogenei “altro non sono se non i diritti soggettivi individuali sorti in occasione di comportamenti di massa e, quindi, connotati da omogeneità sia perché generati da uno stesso comportamento o da comportamenti simili ripetuti sia perché il loro accertamento giudiziale richiede la soluzione di questioni di diritto o di fatto simili se non identici”.
[27] R. Donzelli, op. cit., 35.
[28]A questi vengono affiancati gli enti designati in un altro Stato membro e iscritti nell’elenco elaborato e pubblicato dalla Commissione europea ai sensi dell’art. 5, paragrafo 1, comma 2, della Dir. (UE) 2020/1828.
[29] La direttiva si incarica di definire i criteri per la definizione come ente legittimato, mentre, con riferimento all’azione di classe, nell’originaria versione dell’art. 140-bis c. cons. si faceva riferimento solo ad “associazioni cui [il componente della classe] dà mandato o comitati cui partecipa”.
[30] Si veda sul punto, con riferimento al trattamento di dati personali, quanto stabilito da CGUE (Sez. III, 28/04/2022, n. 319/20), secondo la quale “In virtù dell’articolo 80, paragrafo 2, dell’RGPD, l’esercizio di un’azione rappresentativa non è subordinato all’esistenza di una violazione concreta dei diritti di cui una persona beneficia sulla base delle norme in materia di protezione dei dati. Infatti, come risulta dal tenore letterale stesso di detta disposizione, ricordato al punto 67 della presente sentenza, la proposizione di un’azione rappresentativa presuppone soltanto che l’ente di cui trattasi «ritenga» che i diritti di un interessato previsti dal regolamento in parola siano stati violati in seguito al trattamento dei suoi dati personali, e dunque che tale ente faccia valere l’esistenza di un trattamento di dati contrario a disposizioni del regolamento stesso. Ne consegue che, per riconoscere la legittimazione ad agire ad un tale ente, in virtù della succitata disposizione, è sufficiente far valere che il trattamento di dati controverso è idoneo a pregiudicare i diritti che persone fisiche identificate o identificabili si vedono riconosciuti dal suddetto regolamento, senza che sia necessario provare un danno reale subito dall’interessato, in una situazione determinata, a causa della lesione dei suoi diritti.”
[31] In questo senso R. Donzelli, op. cit., 8; M. Libertini, M.R. Maugeri, Azione di classe: definizione di impresa e diritti contrattuali dei consumatori, in NGCC 2012, I, 913 ss.: “non esiste un concetto di impresa (…) valido per tutti i contesti normativi, ma tante fattispecie (solo in parte coincidenti), funzionali a ciascun differente contesto.”
[32] Come precisato nella relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo, la trasposizione della nozione di professionista non è stata semplice, in considerazione delle diverse, non allineate definizioni che si ricavano dalle differenti versioni linguistiche della direttiva. Ad esempio, la locuzione “sotto il controllo pubblico o privato”, contenuta nel testo italiano della direttiva, ha un corrispondente diverso nella versione francese (che definisce il professionista come “toute personne physique ou morale, qu’elle soit publique ou privée”), ed è differente rispetto a quella recepita nel d.lgs. n. 28 (“indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto pubblico o privato”), che riprende le definizioni contenute in altre norme del codice del consumo (si consideri, ad esempio, la nozione di “fornitore” contenuta all’art. 67-ter).
In tale ultima definizione (così come nel testo dell’art. 3 della direttiva), inoltre, si fa riferimento a chiunque “agisce in nome o per conto” del professionista, con una formulazione coerente con il dettato dell’articolo 18 del codice del consumo.
[33] In questo quadro, si sarebbe determinata quella “ulteriore, forse definitiva torsione, che si sarebbe tentati di dire di segno pubblicistico se non fosse che lo specchio deformato del processo di integrazione europea rende ormai “pubblico” e “privato” termini largamente inattendibili”. Camilleri, op. cit., 1054.
[34] Cass. 31 agosto 2021, n. 23655, la quale ha affermato che «in tema di contratti tra professionista e consumatore, il provvedimento con il quale l’AGCM accerti l’assenza di chiarezza e comprensibilità di alcune clausole contrattuali determina, nel giudizio civile promosso ex art. 37 bis, comma 4, c. cons., una presunzione legale, suscettibile di prova contraria, che non è sancita espressamente dalla legge ma scaturisce dalla funzione sistematica assegnata agli strumenti di public enforcement e genera un dovere di motivazione e di specifica confutazione in capo al giudice civile che maturi una diversa opinione [corsivo nostro]».
[35] La dottrina ha, in questa linea, posto in evidenza “ l’evidente, e a dir poco preoccupante, rischio di un sensibile svilimento del ruolo e di una sostanziale subordinazione delle valutazioni del giudice civile rispetto al ruolo e alle valutazioni dell’AGCM (e dei giudici amministrativi davanti ai quali vengano impugnati i suoi provvedimenti) in controversie che, inerendo a fattispecie contrattuali e di responsabilità civile, diversamente da quanto accade nei giudizi civili instaurati dai consumatori finali con azioni risarcitorie e/o restitutorie esperite nei confronti di imprenditori resisi responsabili di illeciti antitrust presentano connotati squisitamente privatistici, che non vengono minimamente inficiati dalla circostanza che le disposizioni di diritto privato di cui viene invocata l’applicazione (e/o lamentata la violazione) siano assistite (anche) da un apparato di enforcement pubblicistico”. (De Cristofaro, op. cit., in NLCC 1/2022, 6).
[36] Secondo la relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo, il mantenimento di tale competenza anche per le azioni rappresentative è stato giustificato dalla volontà di favorire la specializzazione dei giudici che tratteranno la materia delle azioni rappresentative, connotata da diverse peculiarità, “non ultimo sotto il profilo del “case management” che richiede anche l’utilizzo del portale dei servizi telematici, istituito proprio per l’attuazione delle azioni di classe previste dagli articoli 840-bis e seguenti del Codice di procedura civile”.
[37] Il comma 7 prevede che il procedimento sia regolato dal rito semplificato di cognizione di cui al libro secondo, capo III-quater, c.p.c., come introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (cd. riforma Cartabia).
[38] B. Sassani, Presentazione, cit., X.
[39] B. Sassani, loc. ult. cit., anche per le citazioni successive. Si consideri che, secondo il dossier pubblicato a cura della sezione bilancio del Senato nel gennaio 2023, il numero di azioni di classe mediamente proposte ai sensi dell’articolo 140-bis del codice del consumo (applicabile ratione temporis), è oggi attestato a circa 2 all’anno.
[40] Nell’uno o nell’altro caso l’adesione dovrà avvenire entro un termine definito dal giudice, tra 60 e 150 giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza o della sentenza.
[41] L’espressione è di B. Sassani, loc. ult. cit.
[42] E. Camilleri, op. cit., 1060.
[43] Così, in generale, Hazard, Taruffo, La giustizia civile negli Stati Uniti, Bologna, 1993, 187 ss., richiamati da F. Auletta, loc. ult. cit.
[44] Anche nella Dir. 2020/1828 interessante è il richiamo, contenuto nel considerando 60, ai “rischi reputazionali associati alla diffusione di informazioni relative alla violazione”, che sono considerati “importanti riguardo all’effetto deterrente che esercitano sui professionisti che violano i diritti dei consumatori”.
[45] Evidenzia che “un difetto di unitarietà di giudizio può riuscire insostenibile per la parte che disciplina per moduli o formulari la sua attività negoziale”, F. Auletta, loc. ult. cit.
[46] Su cui M.A. Astone, Le transazioni concernenti i risarcimenti, in NLCC 2022, 4, 1088 ss.
[47] E. Camilleri, La Dir. 2020/1828/UE sulle azioni rappresentative e il “sistema delle prove”., cit., 1061.
[48] Così F. Auletta, loc. ult. cit.
[49] Sassani, loc. utl. cit.
[50] Camilleri, op. cit., 1076.
[51] Un coordinamento che riguarda anche la materia sostanziale del codice del consumo. Cdr. De Cristofaro: Legislazione italiana e contratti dei consumatori nel 2022: l’anno della svolta. verso un diritto “pubblico” dei (contratti dei) consumatori?, cit., 3: “l’accavallarsi disordinato e disorganico di queste nuove discipline fa apparire ormai ineludibile l’esigenza di una radicale riforma del codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005), da attuarsi seguendo due linee direttrici di fondo. Per un verso, rimeditando con la dovuta attenzione la individuazione delle discipline da inserire in questo testo normativo e la scelta dell’atto normativo in cui inserire le discipline eventualmente reputate meritevoli di essere collocate al di fuori del codice del consumo (codice civile, codice di settore, t.u. o legge speciale autonoma): invero, le relative opzioni, dal 2005 ad oggi, sono state compiute dal legislatore nazionale sulla base di motivazioni oscure, ambigue e contraddittorie, con gravi ripercussioni sul grado effettivo di completezza, coerenza ed organicità che dovrebbe a rigore connotare il codice del consumo proprio in considerazione della sua natura di “codice” di settore e delle ragioni e degli obiettivi della sua creazione. Per altro verso, rivedendo e riorganizzando la distribuzione, l’articolazione ed i contenuti dei precetti inseriti nelle disposizioni che fanno parte del codice del consumo: proprio a causa del disordinato e scoordinato accavallarsi di interventi di riforma è infatti divenuto oggi difficilissimo per l’interprete ricostruire in modo compiuto, coerente e credibile il regime normativo applicabile alle singole fattispecie”.
[52] B. Sassani, presentazione, cit., X.