Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Diritto privato e interessi generali. Profili storico-sistematici (di Giuseppe Portonera, Assegnista di ricerca in Diritto privato – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)


La dialettica tra interessi individuali e interessi generali segna tradizionalmente una linea di confine tra diritto privato e diritto pubblico. Essa non si sviluppa, però, soltanto lungo il discrimen tra i settori dell’ordinamento, dal momento che, come branche del diritto pubblico possono farsi carico della tutela dei primi, così il diritto privato fornisce rappresentanza al punto di vista dei secondi. Oggetto dello studio è verificare, anche per mezzo di una indagine di tipo storico, fino a che punto il sistema di diritto privato possa offrire ospitalità a interessi generali: per essere più precisi, per quali ragioni e in quale estensione possa farsene carico in un modo che risulti compatibile con la logica interna del sistema.

Private law and public interests. Historical and systematic outlines

Traditionally, the dialectic between individual and public interests marks a dividing line between private and public law. However, the dialectic does not only develop along this line, for as branches of public law can assume the protection of the former, so private law provides representation to the latter. The study, built upon a historical investigation, aims to ascertain to what point the private law system can accommodate public interests. To be more precise, it seeks the reasons and the extent to which the private law system can provide representation to public interests in a way that is compatible with the inner logic of the system.

SOMMARIO:

1. La «grande dicotomia» tra diritto privato e diritto pubblico e lo spazio per gli interessi generali nel diritto civile. Il sostegno di un’indagine di tipo storico - 2. I codici civili come costituzioni delle società borghesi - 3. “Rottura” dell’unità sociale e diritto post-borghese. Il Codice civile del 1942 - 3.1. La novità della Costituzione repubblicana e i suoi riflessi sul sistema del diritto privato - 4. L’orizzonte europeo: il «diritto privato regolatorio». In particolare, la tensione tra le diverse politiche del diritto del consumo e la nuova frontiera della sostenibilità - 5. Di quali interessi generali possa farsi carico il diritto privato, e secondo quale modalità. Il caso paradigmatico della responsabilità civile, tra criterio di imputazione oggettiva e funzione punitiva - NOTE


1. La «grande dicotomia» tra diritto privato e diritto pubblico e lo spazio per gli interessi generali nel diritto civile. Il sostegno di un’indagine di tipo storico

Quella fra diritto pubblico e diritto privato è stata notoriamente definita come una, se non la, «grande dicotomia» del pensiero giuridico occidentale [1]. Le sue radici affondano nella civiltà romana, che, dopo aver “inventato” l’idea del diritto [2], ha avvertito la necessità di distinguere – riproducendo le espressioni del celebre frammento ulpianeo (D. I. 1. 2) – tra ciò che spetta «ad statum rei Romanae» e ciò che spetta «ad singolorum utilitatem». C’è stato un tempo in cui questa distinzione era assunta come una categoria a priori del pensiero giuridico: una necessità logica, se non addirittura ontologica, prima di ogni formalizzazione ordinamentale, e – soprattutto – indisponibile alla modellazione da parte del legislatore [3]. Oggi, invece, è diffusa l’idea che la distinzione tra diritto pubblico e diritto privato si arresti sul piano delle definizioni meramente stipulative, di per sé né vere né false, ma solo più o meno adeguate alla classificazione dei concetti [4]. Non si tratta di prospettive propriamente “riduzionistiche”, come tali intendendosi quelle che negano la distinzione postulando l’annullamento di un diritto nell’altro (e si discorrerà, alternativamente, di «primato del diritto pubblico» o, di converso, di «primato del diritto privato» [5]), bensì di posizioni che possono dirsi “relativizzanti”. A disegnare questa evoluzione hanno concorso l’acquisizione di una consapevolezza circa l’intrinseca storicità dei concetti giuridici e una certa interiorizzazione del pensiero normativistico nella forma mentis del giurista europeo. Sul primo versante, il costante oscillamento del pendolo tra organizzazioni della società più o meno fondate sul decentramento dei processi decisionali – e che trovano usualmente delle sintesi sul piano istituzionale nei termini di “Stato” e “mercato” [6] – ha indotto a ritenere che ciò che è pubblico e ciò che è privato dipenda, in buona sostanza, da ciò che si vuole considerare pubblico e ciò che si vuole considerare privato in base alle circostanze sociali, economiche e politiche di un dato momento storico. Sul secondo versante, [continua ..]


2. I codici civili come costituzioni delle società borghesi

L’indagine storica mostra che non sempre – e, dunque, non necessariamente – la sfera degli interessi privati e quella degli interessi pubblici sono apparse riconoscibili nella loro indipendenza. Di contro, si sono avute esperienze in cui le due sfere sono state ritenute armonizzabili al punto da renderle osmotiche. Nel giusnaturalismo medievale, ad esempio, i diritti individuali non erano soltanto preordinati al conseguimento del bene comune, ma riconosciuti in ragione di quest’ultimo. La proprietà, che è l’archetipo del diritto soggettivo, viene giustificata da San Tommaso d’Aquino alla stregua di un diritto “naturale” non nel senso in cui questo termine viene ormai comunemente impiegato – ossia come sfera di libertà che precede l’orga­niz­zazione politica e che da quest’ultima va difesa – bensì nel senso di essere conforme allo sfruttamento delle cose più compatibile con il bene comune, perciò corrispondendo alla migliore “natura” delle cose medesime [15]. Nella società borghese, questa armonia tra la sfera dell’interesse privato e quella dell’interesse pubblico è mantenuta, sia pure declinata da una prospettiva inversa: non è più, infatti, l’interesse privato a identificarsi con l’interesse pubblico, ma quest’ultimo a risultare, di “riflesso”, nel primo. L’ordine sociale è infatti fondato sul «postulato fisiocratico dell’esistenza di una legge naturale che produce la coincidenza dell’interesse individuale, liberamente perseguito, con l’interesse generale» [16] – postulato che viene recepito nel prodotto normativo per eccellenza di questo tempo: i codici civili. Questi ultimi, si è detto, sono state le costituzioni delle società borghesi, e i principi codicistici – proprietà privata, autonomia contrattuale, concorrenza, responsabilità centrata sulla colpa, libertà di testare – altro non erano che i canoni politici su cui le società del XIX secolo si fondavano [17]. Detto altrimenti, in un momento in cui il diritto pubblico era ancora e sostanzialmente soltanto norma di organizzazione delle istituzioni, i codici civili hanno tradotto il linguaggio politico delle libertà individuali nella forma giuridica del diritto soggettivo [continua ..]


3. “Rottura” dell’unità sociale e diritto post-borghese. Il Codice civile del 1942

Nel momento in cui le masse, portatrici di interessi antagonisti a quelli del gruppo sociale fino allora dominante, fanno il loro ingresso sulla scena politica, si consuma ciò che Massimo Severo Giannini ha definito come il passaggio dallo Stato monoclasse a quello pluriclasse [27]. In questo nuovo contesto – nel quale l’idillio borghese di una società coesa nei valori di fondo si rivela un’illusione, e nel quale, quindi, non è più possibile ridurre l’interesse generale a mero riflesso di quelli individuali – il piano normativo è divenuto il luogo della mediazione e della composizione tra interessi divergenti. Ne è stata conseguenza l’avvio di quel processo di giuridicizzazione dei rapporti sociali, che prosegue – sia pure, di volta in volta, con forme e modalità diverse – fino ad oggi. Suoi cardini sono stati, per un verso, l’espansione dei pubblici poteri (anche in campo economico) [28] e, per altro verso, una «politicizzazione del diritto» che è il riflesso «del pluralismo sociale nel tessuto dell’ordinamento» [29]. Se pure il diritto privato “monoclasse” borghese non può essere derubricato a mero mezzo di soddisfazione di interessi gretti ed egoistici (come prova il fatto che le infrastrutture di quell’ordine – su tutte: proprietà [30], contratto [31], impresa [32] – vengono ancora riconosciute come tasselli fondamentali dei sistemi liberal-democratici contemporanei [33]), nondimeno è chiaro che, in una società pluralista, non è più possibile «ridurre il diritto a mera tecnica di organizzazione sociale, misconoscendone la funzione di realizzare storicamente un sistema di valori distinto e sovraordinato ai valori puramente economici» [34]. Di fronte al processo di profonda trasformazione dell’assetto socio-economico, dei rapporti politici e della cultura generale che ha avuto luogo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo [35], la reazione dei legislatori europei è stata quella di creare una sorta di doppio binario all’interno del sistema del diritto privato: si voleva mantenere la codificazione, in linea con l’esperienza storica, dominio dell’individualismo liberale, attribuendo invece la funzione di politica cosiddetta sociale alle leggi [continua ..]


3.1. La novità della Costituzione repubblicana e i suoi riflessi sul sistema del diritto privato

Se disposizioni come quelle analizzate nel paragrafo precedente sono qualcosa in più che mere «gocce di olio sociale» fatte scivolare negli ingranaggi individualistici del diritto privato comune, in dottrina si è comunque affermato che il legislatore del ‘42 ha mancato l’occasione storica della nuova codificazione per sviluppare un prodotto normativo all’altezza del «compito sociale» del diritto privato. Sul piano dei presupposti politico-culturali, infatti, «le vecchie idee-forza erano sì logore, ma non erano ancora mature le nuove» [65], mentre sul piano della tecnica giuridica «non si è andati alla codificazione battendo l’unica strada seriamente percorribile: quella di una ricognizione convinta e approfondita della legislazione particolare da cui far spiccare lo statuto complessivo degli istituti onde poterli ritrarre nel codice in maniera realistica» [66]. È nei decenni successivi al secondo dopoguerra che l’interesse per la relazione tra interessi generali e interessi individuali ha guadagnato nuova attenzione, e l’ha guadagnata non più ai margini del diritto privato comune, bensì direttamente al cuore dell’attività legislativa e della ricerca scientifica. All’origine di questo cambio di prospettiva sta la Costituzione repubblicana, con il nuovo modello di società e di relazioni tra l’individuo e la collettività cui essa ha messo capo. In seno all’Assemblea costituente, Giorgio La Pira aveva addirittura proposto di riconoscere espressamente la “finalizzazione” dell’esercizio dei diritti individuali al conseguimento del bene comune [67], secondo una prospettiva neo-giusnaturalista che richiamava peraltro l’esempio del costituente weimariano. Quest’ultimo, infatti, in riferimento all’archetipico diritto soggettivo, quello cioè di proprietà, aveva proclamato: «Eigentum verpflichtet. Sein Gebrauch soll zugleich Dienst sein für das Gemeine Beste» («La proprietà obbliga. Il suo uso deve essere allo stesso tempo al servizio del bene comune»: Art. 153). Benché la proposta di La Pira non ebbe seguito, la Costituzione ha reso manifesto il legame tra le libertà del singolo e gli obblighi del vivere in società, come si evince – solo per fare alcuni tra i [continua ..]


4. L’orizzonte europeo: il «diritto privato regolatorio». In particolare, la tensione tra le diverse politiche del diritto del consumo e la nuova frontiera della sostenibilità

Se la società moderna ha superato una certa indistinzione, propria della società borghese, tra i piani degli interessi privati e di quelli pubblici, un apparente salto all’indietro si è registrato con il diritto di derivazione europea. In particolare nella fase iniziale del processo di integrazione comunitaria, infatti, è riemersa la scelta di individuare l’ubi consistam dell’interesse generale nella garanzia del massimo grado di libertà individuale, specialmente quando questa si realizza nell’esercizio delle attività economiche. Non si tratta, come noto, di un recupero tout court del liberalismo borghese, né tantomeno dell’importazione sul continente europeo del liberalism di matrice anglosassone (che, pure, è opportuno ricordarlo, deve le sue fortune nel secondo Novecento a un gruppo di intellettuali austriaci [93]). Si tratta, invece, del modello, elaborato in seno al pensiero ordoliberale tedesco, di una «società basata sul diritto privato» (Privatrechtsgesellschaft) [94], delle cui condizioni istituzionali – diritti di proprietà, iniziativa economica, concorrenza, certezza del diritto – lo Stato si fa garante. Non a caso, si è proposto di qualificare il diritto privato europeo come «diritto regolatorio» [95], mettendone in rilievo una funzione che – negli ordinamenti cosiddetti welfaristi – era attributo delle autorità pubbliche e oggetto di comandi e divieti [96]. La vocazione del diritto europeo a facilitare e incentivare le libertà individuali, servendo da ius commune di una società che su tali libertà sia basata [97], ha esercitato un’influenza positiva sui singoli ordinamenti nazionali, consentendo – tra le altre cose – di rivalutare, contro una sfortunata tendenza invalsa invece negli Stati nazionali del secondo dopoguerra, il legame tra libertà politica e libertà economica [98]. Calata nel contesto dell’ordinamento italiano, per esempio, quell’influenza ha sollecitato una rilettura teleologica dei poteri attributi dall’art. 41 comma3 Cost. alla legge, nel senso che i fini sociali, ai quali deve essere indirizzata dai pubblici poteri l’attività economica, non si individuano più con la programmazione dei risultati da conseguire con riferimento a determinate finestre [continua ..]


5. Di quali interessi generali possa farsi carico il diritto privato, e secondo quale modalità. Il caso paradigmatico della responsabilità civile, tra criterio di imputazione oggettiva e funzione punitiva

L’excursus che abbiamo svolto prova che il rapporto tra interessi privati e interessi generali viene declinato secondo prospettive ricavate dal più generale orientamento di politica sociale ed economica dominante in ciascuna fase storica. Né potrebbe essere altrimenti, giacché il diritto privato è esso stesso prodotto sociale, e riceve dunque i suoi contenuti dall’esperienza umana che è chiamato a ordinare. Così, se lo Stato monoclasse ha potuto trattare gli interessi generali quasi come epifenomeno della tutela degli interessi privati, lo Stato pluriclasse (e poi pluralista) ha dovuto scandire i diversi piani, così da rendere possibile quel­l’ope­ra di mediazione del conflitto sociale che proprio l’interesse generale imponeva di svolgere [114]. E se con l’avvento del diritto europeo questa scansione in piani è divenuta più incerta, nondimeno essa resta ancora necessaria: in primo luogo, come direttiva commessa al legislatore; in secondo luogo, e di conserva, come parametro di interpretazione per sciogliere potenziali ambiguità dei testi normativi. Come si è già scritto, non accedere a letture “liquidatorie” dei confini non significa anche irrigidirsi in sterili schematismi. Di converso, significa riconoscere che il confine esprime un valore: che è quello di restituire l’esistenza di un ordine tra materie diverse, così da rappresentare icasticamente il senso stesso di un ordinamento [115]. Per quel che più direttamente ci riguarda, all’esito della nostra ricerca ci appaiono due le questioni che si impongono all’attenzione del giurista. La prima, che involge la definizione degli spazi reciproci tra i termini della «grande dicotomia» pubblico-privato, ha a che fare con il tipo di interessi generali di cui il diritto civile può farsi carico. La seconda, interna al sistema di diritto civile, ha invece per oggetto il modo con cui quell’interesse generale, una volta accolto, può trovare espressione. A entrambe le questioni non può fornirsi una soluzione aprioristica: nell’un caso, perché si deve tenere conto della mutevole incidenza di fattori ideologici, culturali e sociali in senso ampio, nonché delle esigenze pratiche di una determinata fase storica [116]; nell’altro, perché la scienza giuridica [continua ..]


NOTE