La pronuncia annotata conferma l’orientamento consolidato in materia di rinuncia al legato in sostituzione della legittima, qualificato come condizione dell’azione di riduzione. Da tale qualificazione si ricava l’utile esperibilità della rinuncia al legato fino alla rimessione della causa in decisione. Tale orientamento appare meritevole di un ripensamento, nel senso di annettere alla proposizione dell’azione di riduzione il significato di rinuncia tacita al legato in sostituzione di legittima.
The judgment commented confirms the well-established case law about the waiver of the legacy in substitution to the forced heir. The waiver is a condition of the legal action for claiming the forced share. This qualification makes the waiver of the legacy possible until an advanced stage of the judicial proceeding, in which the case is remitted for the decision. This principle seems worthy of reconsideration, by considering the legal action, taken by the forced heir, as a tacit waiver to the legacy in substitution of the forced share.
La rinuncia al legato sostitutivo, intervenuta nel corso della causa di riduzione, non è mai tardiva in senso squisitamente temporale, potendo la rinuncia utilmente intervenire prima della spedizione della causa a sentenza, ma al limite irrilevante, in presenza di una precedente accettazione, espressa o implicita, che avesse consumato la facoltà di rinuncia del legatario.
Cass. civ., sez. II, ord. 29 aprile 2022, n. 13530
1. Il caso e la decisione - 2. La proposizione dell’azione di riduzione non è un atto univoco di rinuncia al legato sostitutivo - 3. Rilievi critici - 4. L’alternativa tra conseguimento del legato in sostituzione della legittima e l’azione di riduzione - 5. La rinuncia al legato sostitutivo come condizione dell’azione di riduzione e il relativo termine - 6. Le conseguenze processuali del difetto della condizione dell’azione e l’indisponibilità unilaterale della rinuncia agli atti - 7. Conclusioni - NOTE
L’ordinanza annotata [1] è intervenuta a decisione di un’articolata vicenda processuale – non ancora conclusa: si attende il secondo giudizio di rinvio – che vede coinvolti, da una parte, il coniuge della de cuius, beneficiario di un legato sostitutivo, e i suoi eredi, e, dall’altra parte, i beneficiari di una donazione disposta in vita dalla stessa de cuius. Costei aveva disposto in favore del marito un legato sostitutivo, avente ad oggetto il denaro esistente sul conto corrente; dopo l’apertura della successione, il marito aveva agito per la riduzione delle donazioni fatte in vita dalla moglie ai nipoti.
Il Tribunale di Pisa – con decisione confermata in grado d’appello – aveva accolto la domanda attorea, ritenendo integrata la rinuncia al legato da parte del legittimario, in base ad una valutazione del suo comportamento complessivo, anteriore e successivo alla domanda giudiziale. L’attore aveva incassato un importo pari alla metà del saldo del libretto e del conto corrente cointestati con la moglie. Aveva provveduto alle spese per le esequie, la sepoltura e le onoranze funebri, in carico alla massa in prededuzione rispetto al soddisfacimento di eredità e di legati. I giudici escludevano che l’incasso delle somme di spettanza della defunta costituisse accettazione del legato in sostituzione di legittima.
Investita una prima volta del ricorso dei donatari convenuti, la S.C. cassava la sentenza. Il giudice del rinvio non ravvisava nella condotta del legittimario alcuna rinuncia al legato sostitutivo – essendo tardiva la rinuncia formulata a verbale d’udienza – quindi rigettava la domanda attorea, in applicazione del principio di diritto secondo cui il legittimario, destinatario di un legato sostitutivo, non avrebbe potuto agire in riduzione senza preventivamente rinunciare al legato. L’erede dell’attore proponeva ulteriore ricorso contro la sentenza, affidandolo a due motivi, mentre i convenuti resistevano con controricorso.
La Suprema Corte riteneva il ricorso fondato, così argomentando:
(i) la rinunzia al legato sostitutivo della legittima, fatto salvo il requisito della forma scritta quando il legato ha per oggetto beni immobili, può risultare da atti univoci compiuti dal legatario, implicanti necessariamente la volontà di rinunciare al legato;
(ii) non è “atto univoco” della volontà di rinunciare al legato sostitutivo la sola dichiarazione del legittimario di rifiutare le disposizioni testamentarie, in quanto lesive dei suoi diritti, giacché non si può negare a priori che tale dichiarazione abbia il significato di una mera riserva di chiedere soltanto l’integrazione della legittima, ferma restando l’attribuzione del legato;
(iii) non è atto univoco della volontà di rinunciare al legato sostitutivo nemmeno la proposizione dell’azione di riduzione, essendo ipotizzabile un duplice intento del legittimario di conseguire il legato e di conseguire la legittima;
(iv) il legato sostitutivo rimane soggetto alla norma generale dell’art. 649 cod. civ., per cui il legato si acquista immediatamente all’apertura della successione, senza bisogno di accettazione, salva tuttavia la facoltà del legatario di rinunciarvi, mentre l’incompatibilità della vocazione a titolo particolare con il diritto alla quota riservata è sanzionata subordinando la vocazione a titolo universale al rifiuto del legato;v) la domanda di riduzione sarà così respinta se il legittimario, prima della spedizione della causa a sentenza, non dichiari di rinunciare al legato o, se si tratti di legato di immobili, non fornisca la prova di avervi rinunziato nella forma dovuta;
(vi) il fatto che l’acquisto del legato avvenga automaticamente non vuol dire che l’accettazione sia inutile o irrilevante; infatti, con l’accettazione il legatario fa definitivamente proprio il beneficio del legato, e ciò si traduce nella definitività giuridica dell’acquisto, rendendo del tutto irrilevante una successiva rinuncia;
(vii) la rinuncia al legato sostitutivo, intervenuta nel corso della causa di riduzione, non è mai tardiva in senso squisitamente temporale, potendo la rinuncia utilmente intervenire prima della spedizione della causa a sentenza, ma al limite irrilevante, in presenza di una precedente accettazione, espressa o implicita, che avesse consumato la facoltà di rinuncia del legatario.
La Corte, poi, riteneva il controricorso infondato, osservando che la espressione “(rinuncia) tardiva” non sarebbe stata usata dalla Corte fiorentina come sinonimo di “(rinuncia) frustranea” – i.e. vana, inutile, come sarebbe stata in presenza di un’accettazione del legato – bensì, semplicemente, per alludere al fatto che nel corso della causa la rinuncia era intervenuta a verbale, mentre – secondo l’inesatto intendimento del giudice di rinvio – la S.C. avrebbe enunciato il principio secondo cui la rinuncia dovesse necessariamente precedere l’esperimento dell’azione. Al contrario, i Giudici di legittimità confermavano che «la rinuncia al legato – condizione dell’azione – può utilmente intervenire fino alla spedizione della causa a sentenza, salva una precedente accettazione del legato stesso, che consuma la facoltà di rinuncia». La S.C. accoglieva il ricorso, rinviando nuovamente la causa alla Corte d’Appello, la quale verosimilmente accoglierà definitivamente la domanda attorea.
I punti (i), (ii), (vi) dell’iter argomentativo alla base della pronuncia ora annotata, come riportato nel paragrafo precedente, appaiono condivisibili.
Nello specifico, non vi è ragione per criticare l’orientamento in materia di forma della rinunzia al legato sostitutivo della legittima, la quale – salvo il requisito della forma scritta se il legato ha per oggetto beni immobili – può ben risultare anche da atti univoci compiuti dal legatario, implicanti necessariamente la volontà di rinunciare al legato [2]. Parimenti, non vi sono ragioni per criticare l’orientamento che esclude la natura di “atto univoco” – ai fini della rinuncia – della dichiarazione del legittimario di rifiutare le disposizioni testamentarie, in quanto lesive dei suoi diritti: in quanto tale, siffatta dichiarazione (stragiudiziale) ben potrebbe avere significato proprio di una mera riserva di chiedere l’integrazione della legittima, ferma restando l’attribuzione del legato [3].
Si propone invece una revisione critica del principio di diritto, secondo cui la proposizione dell’azione di riduzione non sarebbe un indice univoco della volontà di rinunciare al legato sostitutivo, «essendo ipotizzabile un duplice intento del legittimario di conseguire il legato e di conseguire la legittima» [4].
Occorre muovere dal principio già richiamato, secondo cui non costituisce atto univoco della volontà di rinunciare al legato la dichiarazione del legittimario di rifiutare le disposizioni testamentarie, «non potendosi negare a priori a siffatta dichiarazione il significato proprio di una mera riserva di chiedere soltanto l’integrazione della legittima, ferma restando l’attribuzione del legato».
Secondo quest’orientamento, il legatario è ammesso a riservarsi di «chiedere soltanto l’integrazione della legittima, ferma restando l’attribuzione del legato». Ne consegue che la dichiarazione di “rifiutare le disposizioni testamentarie” non configura una rinuncia tacita al legato sostitutivo, come invece potrebbe sembrare. Infatti, la dichiarazione (stragiudiziale) del legittimario-legatario di rifiutare le disposizioni testamentarie potrebbe precedere la proposizione da parte sua di un’azione (giudiziale) di riduzione. Quest’ultimo, tuttavia, non è un esito necessario. Infatti, il legittimario ben potrebbe dichiarare di “rifiutare le disposizioni testamentarie” anche in via stragiudiziale. A tale dichiarazione, in quanto tale, non si potrebbe annettere il significato di un “atto univoco di rinuncia tacita al legato sostitutivo”. Ad assumere quest’ultimo significato – per quanto si dirà nel prosieguo [5] – è solo la proposizione dell’azione di riduzione, la quale è necessariamente un atto giudiziale (in quanto introduttivo del relativo giudizio). Questa ricostruzione trova una conferma nel già richiamato arresto delle Sezioni Unite, nel quale si enunciava il principio di diritto relativo alla “non univocità” della dichiarazione (stragiudiziale) del legittimario di voler rifiutare le disposizioni lesive – principio che perciò deve ritenersi confermato – ma non anche il principio relativo alla “non univocità” della proposizione dell’azione di riduzione. Con riferimento alla proposizione dell’azione di riduzione, dunque, vi è spazio per argomentare l’idoneità di tale iniziativa del legittimario a costituire una sua rinuncia tacita al legato sostitutivo [6].
Un altro principio di diritto richiamato nella pronuncia ora in esame, che pare senz’altro condivisibile – anch’esso ribadito dalle Sezioni Unite – è quello secondo cui il legato sostitutivo rimane soggetto alla norma generale dell’art. 649 cod. civ., per cui il legato si acquista immediatamente all’apertura della successione – senza bisogno di accettazione del legatario, salva la facoltà di rinunciarvi – giacché l’incompatibilità della vocazione a titolo particolare con il diritto alla quota riservata è sanzionata dal legislatore subordinando la vocazione a titolo universale al rifiuto del legato [7]. Identiche considerazioni valgono per il principio secondo cui l’automaticità dell’acquisto del legato non vuol dire che l’accettazione sia inutile o irrilevante, giacché con l’accettazione il legatario fa definitivamente proprio il beneficio del legato, e ciò si traduce nella definitività giuridica dell’acquisto, così rendendo del tutto irrilevante una successiva rinuncia [8].
Con il presente contributo, dunque, si propone una revisione critica del principio di diritto indicato al punto (iii) dell’iter argomentativo alla base della decisione annotata [9], e – quali immediati corollari di tale principio di diritto – dei principi indicati ai punti (v) e (vii) [10]. Si tratterà di dimostrare, cioè: in primo luogo, che la proposizione dell’azione di riduzione è atto univoco della volontà del legittimario di rinunciare al legato sostitutivo, non essendo ipotizzabile un suo duplice intento di conseguire sia il legato sia la legittima [11]; in secondo luogo, che la domanda di riduzione dovrà essere accolta anche in mancanza di una rinuncia espressa del legittimario, giacché la rinuncia deve ritenersi implicita nella proposizione dell’azione di riduzione; in terzo luogo, che la rinuncia al legato sostitutivo, intervenuta nel corso della causa di riduzione, è priva di effetti giuridici autonomi, giacché deve già ritenersi implicita nella proposizione dell’azione di riduzione [12].
Per giungere alle conclusioni anzidette, è sufficiente confutare il principio secondo cui «non è atto univoco della volontà di rinunciare al legato sostitutivo neanche la proposizione dell’azione di riduzione, essendo ipotizzabile un duplice intento del legittimario di conseguire il legato e di conseguire la legittima», mentre gli altri principi di diritto sono strettamente dipendenti da quest’ultimo, con il quale essi stanno e cadono.
A riguardo, non pare compatibile né con la lettera dell’art. 551 cod. civ. né con altre previsioni di legge (la cui importanza sistematica sarà illustrata in seguito) un’interpretazione della disposizione richiamata che dia rilievo al «duplice intento del legittimario di conseguire il legato e di conseguire la legittima». Da tale interpretazione deriva che la proposizione dell’azione di riduzione, se accompagnata da tale “intento” del legittimario, non sarebbe qualificabile come rinuncia tacita al legato sostitutivo. Il giudice di merito avrebbe perciò un potere discrezionale di accertare se legittimario abbia voluto rinunciare al legato [13].
Tutto ciò non pare compatibile con il dettato dell’art. 551 cod. civ., che letteralmente impone al legittimario di scegliere se conseguire il legato sostitutivo o agire in giudizio. Pare perciò preferibile ritenere che la proposizione dell’azione di riduzione configuri senz’altro rinuncia tacita al legato [14].
Questa soluzione si fonda su tre argomenti.
In primo luogo, l’art. 551 cod. civ. impone al legittimario l’alternativa se agire in riduzione ovvero conseguire il legato. Da ciò sembra possibile ricavare che gli è precluso di conseguire il legato sostitutivo – vuoi per accettazione, vuoi per mancata rinuncia – dopo aver agito in riduzione.
In secondo luogo, la disciplina codicistica dell’azione di riduzione prevede una pluralità di condizioni dell’azione – una è la rinuncia al legato sostitutivo, qualificata appunto come una condizione dell’azione [15] – tra cui anche l’accettazione beneficiata dell’eredità (art. 564 cod. civ.). Contrariamente a quanto si richiede in via generale per le condizioni dell’azione – che possono intervenire fino al momento della decisione [16] – l’accettazione beneficata deve verificarsi in un momento anteriore o contestuale alla proposizione dell’azione di riduzione. Ciò dimostra che la qualificazione della rinuncia al legato sostitutivo come condizione dell’azione non contraddice la sua necessaria anteriorità o contestualità alla domanda giudiziale.
In terzo luogo, la necessaria “serietà” della proposizione dell’azione di riduzione da parte del legittimario-legatario – che si realizza nella rinuncia al legato sostitutivo, in mancanza delle quale l’azione sarà inammissibile – trova conferma in quella norma di diritto processuale (da leggersi nel combinato disposto degli artt. 306 e 310 c.p.c.) che preclude all’attore la possibilità di determinare l’estinzione del processo, attraverso una rinuncia unilaterale agli atti, con salvezza del diritto sostanziale azionato in giudizio (giacché la rinuncia unilaterale può solo investire il diritto sostanziale, mentre la rinuncia agli atti – che consente di fare salvo il diritto sostanziale azionato – dev’essere accettata dalla controparte) [17].
Il primo comma dell’art. 551 cod. civ. prevede la facoltà del legittimario – al quale è stato lasciato un legato in sostituzione di legittima – di «rinunciare al legato e chiedere la legittima», mentre il secondo comma sancisce che il legittimario «se preferisce di conseguire il legato, perde il diritto di chiedere un supplemento … e non acquista la qualità di erede» [18]. La lettera della disposizione, cioè, impone al legatario la scelta se “conseguire” il legato – già acquistato per effetto dell’apertura della successione, ai sensi dell’art. 649 cod. civ. – oppure chiedere la legittima, proponendo domanda giudiziale di riduzione delle disposizioni testamentarie e donazioni lesive, ai sensi degli artt. 554 e 555 cod. civ.
Qualora il legittimario dichiari espressamente di accettare il legato, oppure lasci trascorrere inutilmente il termine di prescrizione dell’azione di riduzione [19], allora sarà indubbia la sua scelta del legato in sostituzione di legittima, e saranno altrettanto indubbie la perdita del diritto di chiedere un supplemento e la mancata assunzione della qualità di erede (effetti espressamente previsti dal secondo comma dell’art. 551 cod. civ.). Qualora, invece, egli chieda la legittima, proponendo l’azione di riduzione, si pone la questione se e quando il legittimario perda il legato sostitutivo. Il primo comma dell’art. 551 cod. civ. impone l’alternativa tra «rinunciare al legato e chiedere la legittima»: dunque, la perdita del legato è conseguenza di un atto di rinuncia. Ci si interroga perciò in quale forma ed entro quale termine possa intervenire la rinuncia al legato da parte del legittimario.
Si è evidenziata la necessità di distinguere tra la questione della forma della rinuncia, e la questione della natura espressa della rinuncia stessa. Può aversi rinuncia tacita – ma in forma scritta – quando l’atto scritto dimostri che vi è totale incompatibilità con l’esercizio di un diritto. Può aversi rinuncia implicita – sempre in forma scritta – se la dichiarazione scritta che riguarda un fatto ne comprende anche un altro. Ci si è interrogati, dunque, se la rinuncia ad un legato di bene immobile attribuito in sostituzione della legittima possa essere tacitamente inclusa in un documento, com’è l’atto di citazione con cui si domanda la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della legittima [20], o possa essere implicita in un atto scritto, come nel caso in cui il legatario agisca in riduzione offrendo di conferire alla massa ereditaria il legato (la dichiarazione comporta implicitamente, e non tacitamente, la rinuncia al legato) [21].
Si ritiene che la rinuncia al legato possa essere fatta sia in forma tacita sia implicita. Si è ravvisata la rinuncia tacita nella proposizione dell’azione di riduzione, quale comportamento inequivocabilmente incompatibile con la volontà di valersi del diritto oggetto del legato, «nell’ipotesi in cui la domanda di riduzione non contenga la richiesta di trattenere il bene legato». In tal caso, la volontà di ottenere la quota di legittima è incompatibile con la volontà di rimanere legatario, giacché il bene legato deve rientrare nella massa ereditaria (e l’azione di riduzione pretende anzitutto la ricostruzione della massa) [22].
Quanto alla questione della rinuncia implicita al legato, si è affermato che la questione non sarebbe risolvibile astrattamente, ma dipenderebbe, in concreto, dal contenuto della domanda. Nel senso che, laddove l’azione di riduzione non contempli la volontà anche di trattenere il legato sostitutivo, la domanda sarà incompatibile con tale volontà, e quindi la rinuncia rivestirà la forma scritta eventualmente necessaria, essendo implicita nella domanda di riduzione [23].
Di tale ricostruzione – per il resto condivisibile – è opinabile che la domanda con cui il legittimario propone l’azione di riduzione, ed esprime altresì una (contraddittoria) volontà di trattenere il legato sostitutivo, non comporti la rinuncia tacita al legato stesso. Al contrario, sembra che la proposizione dell’azione di riduzione sia tout court incompatibile con la volontà di conservare la qualità di legatario, e che un’eventuale domanda di trattenere il legato configuri una protestatio contra factum proprium, di per sé inefficace.
Semmai, come si illustrerà subito appresso, la domanda di trattenere il bene oggetto del legato potrà assumere rilievo come domanda di accertamento della compensazione legale (o giudiziale) tra l’obbligo del legittimario-legatario di restituire il bene oggetto del legato di cui è già entrato in possesso (ob causam finitam, giacché la proposizione della domanda di riduzione implica rinunzia al legato) e il suo diritto alla restituzione dei beni ereditari (con l’accoglimento delle domande di riduzione e di restituzione, ed eventualmente di divisione) [24].
Il principio di diritto – secondo cui, nonostante la proposizione dell’azione di riduzione, il giudice è autorizzato ad ipotizzare comunque «un duplice intento del legittimario di conseguire il legato e di conseguire la legittima» – appare fondato su un fraintendimento. Infatti, esso pare presupporre una sovrapposizione tra due domande, entrambe proponibili dal legatario-legittimario. La prima è la domanda volta all’integrazione della legittima (i.e. l’azione di riduzione), «ferma restando l’attribuzione del legato»; la seconda è la domanda di restituzione dei beni ereditari, conseguente al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione da parte del legittimario leso.
Al riguardo, occorre considerare che l’accoglimento della domanda di riduzione presuppone (quale condizione dell’azione) che il legittimario abbia rinunziato al legato; e tale rinunzia lo priva di un titolo idoneo a giustificare l’attribuzione patrimoniale in cui tale legato consiste (della quale attribuzione egli potrebbe avere in concreto già beneficiato). Dunque, il legittimario che rinuncia al legato sostitutivo sarà obbligato a restituire alla massa i beni oggetto del legato, ai sensi degli artt. 2033, 2037 e 2038 cod. civ. [25]. Da qui l’incompatibilità tra la proposizione dell’azione di riduzione (che presuppone la rinunzia al legato) e la volontà di tenere “ferma” l’attribuzione del legato (il quale dev’essere restituito, per effetto della rinunzia).
D’altro canto, l’accoglimento dell’azione di riduzione proposta dal legittimario determina l’inefficacia, nei suoi confronti, della disposizione testamentaria (o della donazione) lesiva dei suoi diritti. Potendo accettare la vocazione legale all’eredità – allorché le disposizioni lesive diventano inefficaci nei suoi confronti – il legittimario acquisterà così un diritto sui beni ereditari, a tutela del quale egli può già promuovere un’azione di restituzione contro gli eredi (o contro i donatari, secondo la rispettiva disciplina), al fine di ottenere la condanna di costoro alla consegna dei beni ereditari [26].
L’accoglimento delle domande del legittimario comporta perciò la nascita di obbligazioni restitutorie incrociate tra il legittimario e i beneficiari delle disposizioni testamentarie o delle donazioni oggetto di riduzione. Il legittimario che aveva conseguito il legato sostitutivo – e non l’aveva restituito, nonostante la rinunzia al legato – sarà obbligato a restituire alla massa ereditaria il bene oggetto del legato; il convenuto condannato alla restituzione dei beni ereditari sarà obbligato a sua volta a consegnare al legittimario tali beni [27]. Ora, i debiti reciproci di somme di denaro liquide ed esigibili (ad es., se il “bene ereditario” è un saldo del conto corrente, come nel caso di specie) si estinguono per compensazione, limitatamente alle quantità corrispondenti e dal giorno della loro coesistenza (art. 1242 cod. civ.). Solo in questo modo si realizza la “attribuzione” del legato sostitutivo al legittimario vittorioso in riduzione. Essa non consegue alla “mancata rinuncia” al legato da parte del legittimario, e neanche alla sua espressa volontà di tenerlo “fermo” nonostante la proposizione dell’azione di riduzione.
Al contrario, la “attribuzione” del legato sostitutivo al legittimario vittorioso è il risultato di un complesso di effetti giuridici, che consegue, da una parte, all’utile esperimento dell’azione di riduzione – che presuppone la rinuncia al legato sostitutivo – e, dall’altra parte, alla mancata restituzione dei beni oggetto del legato sostitutivo da parte del legittimario. L’iniziativa di quest’ultimo è ellitticamente descritta come un suo «duplice intento [...] di conseguire il legato e di conseguire la legittima», ma – sul piano giuridico e qualificatorio – tale espressione appare inesatta, per tutte le ragioni anzidette.
Semmai, il legittimario propone in giudizio due domande diverse: una di condanna (conseguente all’accoglimento dell’azione di riduzione), l’altra di accertamento della compensazione del suo diritto oggetto della domanda di condanna con l’obbligo restitutorio sussistente in capo al legittimario stesso. Tale ricostruzione non pare assimilabile – se non in senso meramente fattuale ed economico – ad una “attribuzione del legato” al legittimario, il quale, al contrario, ha perso ogni diritto sui beni oggetto del legato sostitutivo, in conseguenza della rinuncia allo stesso. La legge, infatti, esprime una chiara incompatibilità tra l’iniziativa giudiziale del legittimario (l’azione di riduzione), e la sua “preferenza” per il legato sostitutivo (cfr. art. 551 comma 2 cod. civ.).
La diversa ricostruzione adottata dalla giurisprudenza – che ritiene la preferenza per il legato sostitutivo compatibile con l’esercizio dell’azione di riduzione – pare esaltare eccessivamente la volontà del legittimario. L’art. 551 comma 2 cod. civ., infatti, prevede espressamente la perdita di ogni diritto sulla quota di riserva, in conseguenza dell’acquisto del legato, e non si vede come il legittimario-legatario possa acquistare i diritti aventi ad oggetto la quota riservata, senza al contempo perdere il diritto al legato. Deve perciò concludersi che la proposizione della domanda si qualifica come un’indicazione necessariamente univoca della volontà del legittimario di rinunziare al legato.
Questa conclusione consente di risolvere la questione dell’individuazione del termine per la rinuncia al legato sostitutivo ai sensi dell’art. 551 cod. civ. Secondo la ricostruzione qui offerta, la questione risulta mal posta, dal momento che la proposizione dell’azione di riduzione contiene essa stessa la volontà (tacita) del legatario-legittimario di rinunciare al legato. Il momento in cui si verifica la rinuncia, pertanto, coincide necessariamente con la proposizione dell’azione di riduzione (salvo che tale rinuncia intervenga anteriormente). È perciò superfluo interrogarsi se la rinuncia possa intervenire successivamente alla domanda (come invece ammette la giurisprudenza), giacché – in concreto – la sola proposizione della domanda è già un atto univoco di rinuncia al legato, sicché una manifestazione ulteriore di volontà di rinunciare al legato sarebbe davvero “frustranea”, cioè improduttiva di effetti giuridici ulteriori e autonomi.
Nel prosieguo si illustrerà come questa soluzione ben s’incastri con la natura processuale di condizione dell’azione della rinuncia al legato sostitutivo; inoltre, si argomenterà che tale soluzione è preferibile dal punto di vista sistematico – rispetto all’orientamento giurisprudenziale criticato – con specifico riferimento al regime delle altre condizioni dell’azione di riduzione.
Che la rinuncia al legato in sostituzione di legittima integri una condizione dell’azione di riduzione – e non un presupposto processuale – è opinione prevalente in dottrina [28] e in giurisprudenza [29]. Indipendentemente da tale qualificazione della rinuncia, tuttavia, permangono alcune incertezze riguardo al termine entro cui essa debba intervenire. Nella decisione annotata si afferma che la rinuncia possa intervenire anche a causa iniziata: e nello stesso senso è orientata la giurisprudenza che esclude che la mera proposizione dell’azione di riduzione integri automaticamente rinuncia tacita al legato sostitutivo [30], così ammettendo a contrario che la rinuncia possa intervenire in corso di causa. Un precedente di legittimità ha richiesto che la rinuncia al legato intervenisse al più tardi al momento della domanda, ma è rimasto isolato [31].
Si cerca di dimostrare, dunque, che la rinuncia al legato in sostituzione di legittima integra sì una condizione dell’azione di riduzione – che, in quanto tale, può verificarsi fino alla spedizione della causa in decisione – ma, nonostante ciò, che tale rinuncia debba comunque ritenersi implicita nell’atto di citazione, con cui il legittimario propone la domanda in questione [32].
A questo proposito, giova ricordare che la natura della rinuncia al legato quale condizione dell’azione di riduzione comporta, in primo luogo, che la sua sussistenza può essere rilevata ex officio dal giudice, anche in assenza di eccezione di parte [33]; in secondo luogo, che la condizione dell’azione può intervenire in qualsiasi momento prima che la causa sia trattenuta in decisione, ma non oltre quel momento.
La qualificazione della rinuncia in termini di condizione dell’azione, tuttavia, non esclude la possibilità di interferenze della disciplina sostanziale con quella processuale. In particolare – sempre in materia di azione di riduzione – l’art. 564 comma 1 cod. civ. richiede ai legittimari diversi dai coeredi di integrare un’ulteriore condizione dell’azione, vale a dire l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, salvo che le disposizioni testamentarie e le donazioni di cui si chiede la riduzione siano state fatte a persone chiamate come coeredi.
Le condizioni dell’azione di riduzione, dunque, sono due: l’accettazione beneficiata dell’eredità, e la rinunzia al legato in sostituzione di legittima. Al contrario, non integra una condizione dell’azione di riduzione l’imputazione ex se delle liberalità effettuate in vita dal de cuius al legittimario, la quale – nonostante la rubrica dell’art. 564 cod. civ. (“Condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione”) – si ritiene che si traduca in una mera operazione di calcolo, con la quale – dopo aver considerato come facente parte della sua quota legittima il valore delle donazioni e dei legati fatti al legittimario – si verifica se esiste una differenza tra la misura della quota spettante in astratto al legittimario, e quella in concreto attribuitagli per tal via [34].
L’accettazione con beneficio d’inventario è ritenuta una condizione dell’azione, e non un presupposto processuale, di tal che la sua mancanza potrà essere rilevata d’ufficio dal giudice, anche in appello, senza necessità che il convenuto in riduzione sollevi la relativa eccezione [35]. Tuttavia, nonostante si tratti di condizione dell’azione – che, come tale, può sopravvenire nel corso del processo – si richiede che l’accettazione beneficiata intervenga al tempo in cui l’azione è incardinata, non potendo sopraggiungere in un secondo momento. La ragione è di diritto sostanziale: se l’accettazione beneficiata interviene dopo la proposizione dell’azione di riduzione, quest’ultima implica comunque accettazione pura dell’eredità (in forma tacita), così precludendo una successiva accettazione beneficiata [36].
Dunque, il regime processuale dell’accettazione beneficiata – una condizione dell’azione di riduzione, che deve però sussistere all’atto in cui l’azione è incardinata – è giustificato da ragioni di ordine sostanziale. Infatti, la proposizione dell’azione di riduzione è un atto che presuppone necessariamente la volontà del chiamato di accettare l’eredità. Ne consegue che l’accettazione beneficiata successiva alla proposizione della domanda sarebbe davvero inutile, in quanto la proposizione dell’azione di riduzione avrebbe già prodotto gli effetti di una accettazione tacita (in forma pura, anziché beneficiata).
Lo stesso deve ritenersi, mutatis mutandis, per la rinuncia al legato: la proposizione dell’azione di riduzione si configura essa stessa come atto inequivocabilmente incompatibile con l’acquisto del legato in sostituzione (i.e. il “conseguimento” del legato per mancato rifiuto). Ne discende che la rinuncia al legato va qualificata come condizione dell’azione, che può intervenire in qualsiasi momento prima che la causa sia trattenuta in decisione, e tuttavia non potrà darsi il caso di una rinuncia sopravvenuta, posto che – sul piano sostanziale – la stessa notificazione dell’atto di citazione comporta la volontà del legittimario, che agisce in riduzione, di rinunciare al legato sostitutivo.
Esaminati i profili di diritto sostanziale, restano da trattare alcune questioni di carattere processuale. Ferma restando la natura della rinuncia al legato di condizione dell’azione di riduzione, va rilevato che la disciplina processuale dell’estinzione del processo per rinuncia agli atti preclude all’attore di disporre unilateralmente del processo, conservando allo stesso tempo il potere di azionare il diritto in un nuovo giudizio [37]. Che è esattamente quanto accadrebbe se l’attore in riduzione potesse, a sua discrezione, rinunciare al legato sostitutivo successivamente all’introduzione della domanda di riduzione, facendo mancare una condizione dell’azione, e così determinando il rigetto in rito della domanda proposta, con salvezza del diritto sostanziale azionato. Posto che un simile esito non è consentito dall’ordinamento, se ne ricava a contrario la necessità che la rinuncia intervenga, al più tardi, al momento dell’introduzione del giudizio. La soluzione proposta – che la rinuncia sia senz’altro implicita nella proposizione della domanda – pare soddisfacente anche sotto questo profilo.
Si è ha osservato che – se si volesse contrastare l’interpretazione, secondo cui la rinunzia al legato è condizione dell’azione, il cui difetto originario è sanabile in corso di causa – non sarebbe sufficiente il rilievo che, alla stregua della qualificazione così assegnata all’atto di rinunzia, il legittimario che agisce per la riduzione potrebbe approfittare del suo compimento nel corso del giudizio, e così avrebbe modo di valutare le difese avversarie prima di formulare il rifiuto del legato [38]. Si è affermato che questa non sarebbe una strategia difensiva utile, considerando che il legatario-legittimario è consapevole della consistenza della massa ereditaria, del valore della propria quota di riserva e delle conseguenze sulla domanda di riduzione della persistente mancata rinuncia al legato [39].
A ciò occorre aggiungere l’esame di un ulteriore profilo di diritto processuale. Come si è anticipato, se la rinuncia al legato in sostituzione (condizione dell’azione) potesse concretamente sopraggiungere alla proposizione dell’azione di riduzione – si è cercato di dimostrare che non è così – allora il legatario-legittimario sarebbe arbitro della (in)sussistenza del potere del giudice di decidere la causa nel merito. Infatti, se la condizione dell’azione – qual è anche la rinuncia al legato – non interviene prima della rimessione della causa in decisione, allora la domanda dovrà essere rigettata in rito [40].
In astratto, si potrebbe ritenere questa conseguenza si rannodi ad un altro principio, relativo all’irrinunziabilità dell’azione di riduzione solo prima della morte del de cuius (art. 557 comma 2 cod. civ.), dal quale potrebbe ricavarsi una conferma del potere del legittimario di condizionare l’andamento del processo. Si potrebbe sostenere che il legittimario – che ha agito in riduzione dopo l’apertura della successione – possa rinunciare all’azione di riduzione, sicché nulla osterebbe a consentirgli di “far cadere” in altro modo la sua iniziativa giudiziale (ad es., facendo mancare la condizione dell’azione).
Ad una simile ricostruzione, tuttavia, possono muoversi alcune obiezioni.
Occorre infatti ricordare che la rinunzia all’azione di riduzione opera sul piano sostanziale, e comporta una dismissione – da parte del legittimario – del suo diritto potestativo (sostanziale) di ottenere una pronuncia costitutiva dell’inefficacia relativa delle disposizioni testamentarie o delle donazioni lesive della sua quota di riserva. L’effetto della rinunzia all’azione di riduzione è l’estinzione del relativo diritto sostanziale, dalla quale sorge il dovere del giudice di rigettare nel merito la domanda giudiziale – per infondatezza (giacché il diritto azionato non esiste più, sul piano sostanziale) – e cioè la rinuncia spiega effetti sia nel giudizio nel corso del quale è stata posta in essere, sia in eventuali giudizi proposti successivamente. Il rigetto nel merito, infatti, comporta la formazione del giudicato sostanziale in ordine all’inesistenza del diritto azionato.
Al contrario, la mancata rinunzia al legato sostitutivo comporta l’inammissibilità della domanda per difetto di una delle condizioni dell’azione. L’effetto del mancato avverarsi della condizione dell’azione di riduzione (la rinuncia al legato) è il rigetto della domanda in rito – per l’inammissibilità della stessa, restando impregiudicata ogni questione in ordine all’esistenza del diritto sul piano sostanziale (giacché manca semplicemente una condizione di decidibilità della causa nel merito) – e ciò vale solo per il giudizio in corso, salva la possibilità per il legatario-legittimario di riproporre utilmente la domanda in un successivo giudizio. Infatti, le pronunce di rito non sono idonee alla formazione del giudicato sostanziale sull’(in)esistenza del diritto azionato.
Questo secondo scenario va raffrontato all’ipotesi della rinunzia agli atti, la quale comporta l’estinzione del processo «quando questa è accettata dalle altre parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione» (art. 306 comma 1 c.p.c.), senza con ciò comportare l’estinzione dell’azione, cioè del diritto sostanziale sottostante (rectius, del diritto di azione, cioè il potere di agire in giudizio, onde ottenere una pronuncia nel merito circa l’esistenza e il modo di essere di quel diritto sostanziale) (art. 310 c.p.c.).
Sia la rinunzia agli atti sia la mancata tempestiva rinunzia al legato sono strumenti fruibili all’attore in riduzione, che può valersene a sua discrezione; entrambe precludono la decisione della causa del merito, ma non precludono la riproposizione dell’azione di riduzione in un giudizio successivo; e – tuttavia – solo la rinunzia agli atti richiede l’accettazione delle altre parti costitute, mentre la mancata tempestiva rinunzia al legato si traduce in un’iniziativa unilaterale dell’attore (controparte non ha alcun potere di opporsi alla conseguenza della mancata accettazione, i.e. il rigetto in rito della domanda).
Ora, il legittimario che agisce in riduzione può senz’altro disporre della sua tutela giurisdizionale, nei modi ed entro i limiti stabiliti dalla legge. Tali limiti si sostanziano nella seguente alternativa: (i) in caso di rinuncia all’azione, si produrrà l’estinzione del diritto sostanziale dell’attore, il quale non potrà nuovamente azionarlo in giudizio (in tal caso non è necessaria l’accettazione di controparte), oppure, (ii) in caso di rinuncia agli atti, si produrrà l’estinzione del processo, salva la possibilità per l’attore di azionare nuovamente in giudizio il medesimo diritto sostanziale (ma in tal caso sarà necessaria l’accettazione di controparte, se si è costituita in giudizio) [41]. Gli artt. 306 e 310 c.p.c. non sembrano consentire al legittimario di disporre unilateralmente dell’azione, come invece egli potrebbe fare semplicemente omettendo di rinunziare tempestivamente al legato. Tanto gli è concesso, d’altra parte, dall’orientamento giurisprudenziale ora criticato, secondo cui la condizione dell’azione (la rinunzia al legato sostitutivo) può essere posta in essere dal legittimario (o da lui essere fatta mancare definitivamente) anche in corso di causa.
Un’ultima notazione. La ricostruzione proposta potrebbe sembrare eccessivamente severa nei confronti del legittimario-legatario, sostanzialmente costretto a rinunziare al legato già al momento della proposizione dell’azione di riduzione. A quest’obiezione si può replicare, in primo luogo, che rispetto all’orientamento criticato la ricostruzione proposta è più aderente al dato normativo (artt. 551 e 564 cod. civ.; artt. 306 e 310 c.p.c.); in secondo luogo, vi è un’altra soluzione– sebbene incerta e farraginosa – che consente al legittimario-legatario che rinuncia al legato, nel momento in cui propone l’azione di riduzione, di tutelarsi rispetto ad un possibile rigetto della sua domanda, apponendo alla rinuncia la condizione risolutiva del rigetto dell’azione di riduzione [42]; in terzo luogo, va considerato che il legatario-legittimario – che ritiene di essere stato leso nei suoi diritti, ma non conosce l’esatto ammontare dell’asse ereditario – potrebbe comunque proporre un’azione di mero accertamento del suo diritto alla legittima, senza necessità di proporre la domanda costitutiva in cui si sostanzia l’azione di riduzione (e, con essa, rinunziare al legato sostitutivo) [43]; infine, sul piano processuale, il giudizio civile è fitto di preclusioni, e ammettere il potere dell’attore di integrare una condizione di decidibilità della causa nel merito fino ad una fase avanzata del giudizio (la rimessione della causa in decisione) pare contrario al principio costituzionale di ragionevole durata del processo [44].
La pronuncia annotata va apprezzata per il rigore nell’applicazione dei principi di diritto già affermati dalla Suprema Corte. Tuttavia, uno di questi principi appare maturo per un ripensamento. Precisamente, si tratta di rimeditare la questione – non sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite nel 2011 – se la proposizione dell’azione di riduzione possa qualificarsi alla stregua di una rinunzia tacita al legato in sostituzione di legittima, fermo restando che tale rinunzia ha natura di atto dismissivo di un diritto già acquistato al patrimonio del legatario per effetto dell’apertura della successione [45].
La soluzione positiva è preferibile, sia per ragioni di diritto sostanziale sia per questioni di ordine processuale. Precisamente, il legislatore impone al legittimario di scegliere se conseguire il legato sostitutivo o agire in riduzione, e la volontà di tenere “ferma” l’attribuzione ricevuta di per sé è irrilevante, salvo che l’obbligo restitutorio del legittimario (che ha rinunziato al legato) potrebbe poi compensarsi con il suo diritto sui beni ereditari. Inoltre, la rinunzia al legato sostitutivo è considerata una condizione dell’azione di riduzione – la cui mancanza determina il rigetto in rito della domanda – sicché pare inaccettabile che l’attore si riservi un potere unilaterale di determinare il mancato verificarsi di tale condizione (omettendo di rinunziare al legato in corso di causa), in modo tale da conseguire in modo unilaterale un effetto – quello della rinuncia agli atti con salvezza del diritto sostanziale fatto valere – per cui l’ordinamento in via generale richiede l’accettazione del convenuto.
Tutte queste considerazioni sembrano prestarsi – se condivise – ad essere integrate agevolmente con i principi giurisprudenziali già consolidati, senza necessità di compiere alcun revirement di ampia portata, né tantomeno di rimettere la questione alle Sezioni Unite. Al contrario, pare sufficiente riconoscere che la proposizione dell’azione di riduzione costituisce di per sé un atto inequivocabile di rinuncia al legato in sostituzione di legittima.
Dal punto di vista applicativo, l’accoglimento di tale soluzione comporterà la fondatezza della domanda del legittimario che agisce in riduzione, qualora sia stato beneficiato con un legato sostitutivo. Ciò anche in mancanza di un’espressa rinunzia da parte del legittimario, e persino in presenza di un’eventuale sua espressa riserva di “mantenere fermo il legato”. Per contro, dovrà essere disattesa ogni eccezione di rito, relativamente al difetto di quella condizione dell’azione (di riduzione) che consiste nella rinunzia al legato sostitutivo, in quanto la proposizione dell’azione di riduzione integra senz’altro tale condizione. Anche dal punto di vista applicativo, dunque, la soluzione proposta sembra preferibile, perché idonea a favorire una più rapida definizione della controversia che origina dall’iniziativa del legittimario beneficiario di un legato sostitutivo.
[1] Cass. civ., 29 aprile 2022, n. 13530, in Familia.it, 10 maggio 2022, con commento di L. Collura, La rinuncia al legato in sostituzione di legittima è condizione dell’azione di riduzione e non presupposto processuale.
[2] Questo il punto (i) dell’iter argomentativo dell’ordinanza, come sopra riportato, con richiamo ai precedenti di Cass. civ., Sez. Un., 29 marzo 2011, n. 7098, in Giur. it., 2011, 5, 546 s., con nota di C. Cervasi, La forma della rinuncia al legato immobiliare; in Nuova giur. civ. comm., 2011, 9, 923 s., con nota di C. Costantino, La rinuncia in forma scritta ad un legato in sostituzione di legittima avente ad oggetto beni immobili; in Riv. not., 2011, 5, 524, con nota di R. Ucci, Natura giuridica e forma della rinuncia al legato in sostituzione di legittima avente ad oggetto beni immobili; in Vita not., 2011, 3, 1333 s., con nota di L. Giustozzi, Riflessioni in tema di delazione e acquisto del legato; in Studium iuris, 2011, 9, 959 s., con nota di F. Oliviero, Rinunzia al legato ex art. 551 c.c.; in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 4, 1193 s., con nota di M. Martino, Forma della rinunzia al legato ex art. 551 c.c. avente ad oggetto un immobile: le sezioni unite contro Luigi Ferri; in Giur. it., 2012, 3, 549 s., con nota di M.F. Giorgianni, La forma della rinuncia al legato in sostituzione di legittima avente a oggetto beni immobili; in Fam. dir., 2012, 11, 3019 s., con nota di R. Gelli, La forma della rinuncia al legato in sostituzione di legittima avente ad oggetto beni immobili secondo le sezioni unite; Cass. civ., 22 luglio 2004, n. 13785; Cass. civ., 27 maggio 1996, n. 4883, entrambe in OneLegale.
[3] Questo il punto (ii) dell’iter, con richiamo al precedente di Cass. civ., 22 giugno 2010, n. 15124, in OneLegale. Il principio di diritto è stato ribadito dalle Sezioni Unite del 2011, in motivazione, v. note successive.
[4] Questo il punto (iii) dell’iter, riaffermato anche in Cass. civ., 22 giugno 2010, n. 15124, cit., alla cui critica sono dedicati i successivi §§ 3-4 del presente contributo.
[5] V. infra § 3.
[6] L’art. 374 comma 3 c.p.c. impone, alla sezione semplice che ritenga di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, il dovere di rimettere la decisione con ordinanza motivata alle S.U. Senza necessariamente trarre argomento, a sostegno della tesi ora proposta, dal silenzio delle Sezioni Unite sul punto, va osservato che tale silenzio rende più agevole un revirement “chirurgico” – relativamente al solo principio di diritto che esclude l’univocità della proposizione dell’azione di riduzione come atto di rinuncia del legato sostitutivo (il cui overruling non richiede la rimessione alle Sezioni Unite) – rispetto ad un revirement di più ampia portata – relativo anche al principio di diritto che esclude l’univocità della dichiarazione (stragiudiziale) di rifiutare le disposizioni testamentarie lesive (il cui overruling richiederebbe la rimessione alle Sezioni Unite ex art. 374 co. 3 c.p.c.) – il quale del resto sarebbe ultroneo rispetto alla tesi ora sostenuta, relativamente all’idoneità della (sola) proposizione dell’azione di riduzione ad integrare senz’altro rinuncia tacita al legato sostitutivo.
[7] Questo il punto (iv) dell’iter, con richiamo ai precedenti di Cass. civ., 22 luglio 2004, n. 13785, cit.; Cass. civ., 27 maggio 1996, n. 4883, cit.; Cass. civ., 16 maggio 2007, n. 11288, in OneLegale; contra L. Ferri, Rinunzia e rifiuto nel diritto privato, Giuffrè, 1960, 11 s., seguito da G. Criscuoli, Le obbligazioni testamentarie, Giuffrè, 19802, 510 s., secondo cui l’art. 649 cod. civ. disciplinerebbe solamente una presunzione di acquisto, e non già un acquisto automatico. Altrimenti, secondo l’A., non avrebbe senso alcuno la disposizione di cui all’art. 650 cod. civ.: la possibilità di chiedere al giudice la fissazione di un termine, entro cui il legatario dichiari se intenda rifiutare, sarebbe indice di una fattispecie acquisitiva non ancora integratasi, in cui l’accettazione da parte dell’onorato sarebbe un elemento costitutivo. Quindi, anche per il legato, come per l’eredità, al momento dell’apertura verrebbe a crearsi uno stato di pendenza, e l’acquisto non sarebbe ancora definitivo. Da ciò conseguirebbe che la rinunzia al legato non avrebbe ad oggetto un diritto già acquistato, concretandosi in un rifiuto di acquistare, una omissio adquirendi, e come tale non rientrerebbe nella previsione di cui al n. 5 dell’art. 1350 cod. civ. Infine, la rinunzia al legato sarebbe atto impeditivo all’acquisto con effetto retroattivo, mentre la rinunzia al diritto derivante dal legato sarebbe atto dismissivo con efficacia solo ex nunc.
Questa diversa lettura dell’art. 649 cod. civ. ha formato oggetto, in data 23 luglio 2010, dell’ordinanza di rimessione da parte della seconda sezione, ma tale ricostruzione non è stata condivisa dalle Sezioni Unite, che hanno ribadito il principio di diritto riportato supra, nota 2.
[8] Questo il punto (vi) dell’iter, con richiamo al precedente di Cass. civ., 27 agosto 2020, n. 17861, in Nuova giur. civ. comm., 1, 2021, 70 s., con nota di E. Morotti, Legato in sostituzione di legittima e trasmissione dell’azione di riduzione. Anche questo principio di diritto è stato ribadito dalla già pronuncia citata della Sezioni Unite più volte richiamata.
[9] Giova ricordare che la motivazione della pronuncia ora annotata richiama il precedente di Cass. civ., 11 novembre 2008, n. 26955, in Giur. it., 2009, 10, 2201 s.; in Riv. not., 2009, 3, 256 s., con nota di N. Toscano, Riflessioni sul legato in sostituzione di legittima: «La mera richiesta della legittima formulata dal destinatario del legato con la domanda di riduzione non costituisce manifestazione chiara e non equivoca della volontà di rinunziare al legato».
[10] La motivazione della pronuncia annotata richiama il precedente di Cass. civ., 4 agosto 2017, n. 19646, in Giur. it., 2018, 5, 1074 s., con nota di G. Sicchiero, Forma e termine per la rinuncia al legato in sostituzione di legittima; e in Fam. e dir., 2018, 5, 468 s., con nota di C. Marino, La rinuncia al legato sostituivo: presupposto processuale o condizione dell’azione di riduzione?: «la domanda di riduzione sarà così respinta se il legittimario, prima della spedizione della causa a sentenza, non dichiari di rinunciare al legato o, se si tratti di legato di immobili, non fornisca la prova di averlo rinunziato con la forma dovuta».
[11] Il problema è esattamente colto da A. Bucelli, Legato in sostituzione e diritto al supplemento, in Dir. succ. fam., 2016, 2, 380, che qualifica la proposizione dell’azione di riduzione «la fattispecie più problematica» di rinunzia tacita del legato sostitutivo. Ben rileva l’A. che «l’art. 551, per come è formulato, lascia sì intendere che la rinunzia è conditio sine qua non al fine di “chiedere la legittima”, ma non chiarisce fino in fondo se, proponendo l’azione, il legittimario implicitamente rinunzi al legato», sicché – in contrario all’atteggiamento rigoroso della giurisprudenza «nel pretendere un’esplicita, specifica manifestazione di volontà, ... a ben penare, l’iniziativa giudiziale a tutela dei diritti riservati dovrebbe lasciar supporre l’implicita e contestuale rinuncia alla disposizione sostituiva degli stessi» (corsivo agg.).
[12] Salvo che vi sia stata una precedente accettazione del legato sostitutivo, espressa o implicita, che avesse consumato la facoltà di rinuncia del legatario, rendendo così inefficace la successiva rinuncia, implicita nella proposizione dell’azione di riduzione, che dovrà essere rigettata per mancanza della condizione dell’azione costituita dalla rinuncia al legato sostitutivo.
[13] Cfr. Cass. civ., 11 novembre 2008, n. 26955, in OneLegale, che ha confermato la motivazione della Corte d’appello, in ordine all’indagine di fatto «se la mancata restituzione della somma costituente oggetto del legato né prima né dopo tale rinuncia configurasse un comportamento da parte della legataria dal quale fosse legittimo desumere la sua volontà, espressa o tacita, di conservare il legato, comportamento quindi che, se per un verso assumeva valore confermativo, seppure superfluo della già realizzata acquisizione patrimoniale, per altro verso comportava “ope legis” la contemporanea caducazione del diritto di chiedere la legittima».
[14] Ad esito analogo mira L. Collura, La rinuncia, cit., a commento dell’ordinanza che si annota, ritenendo l’interpretazione della Suprema Corte «troppo probante quanto meno per l’esigenza di evitare giudizi inutili. Se infatti il legittimario viene ammesso ad esperire l’azione di riduzione senza preventivamente rinunciare al legato tacitativo, ciò significa che all’esito della causa si potrebbe financo addivenire ad una pronuncia di rigetto per mancanza della condizione di esperibilità dell’azione, così senz’altro frustrando tutte le operazioni fino a quel momento compiute dalle parti e dal giudice, le quali in un giudizio avente ad oggetto la riduzione di disposizioni testamentarie o donazioni lesive richiedono tra l’altro quasi sempre tempi lunghi e sforzi non indifferenti. Parrebbe dunque più opportuno, per lo meno sotto questo profilo, un mutamento dell’indirizzo esegetico volto a riconoscere alla rinuncia al legato in sostituzione di legittima non la natura di condizione dell’azione ma di vero e proprio presupposto processuale».
[15] V. infra note 28, 29.
[16] V. infra note 30, 31.
[17] Sul punto, si v. amplius infra, § 6.
[18] Sulla rinunzia al legato sostitutivo, A. Trabucchi, Forme necessarie per la rinuncia al legato immobiliare e natura della rinuncia al legato sostitutivo, in Giur. it., 1954, I, 1, 914 s.; U. Morello, Accettazione o preferenza del legato in sostituzione di legittima?, in Foro it., 1964, I, 1210; G.B. Ferri, Dei legittimari. Artt. 536-564, in Commentario al codice civile, diretto da V. Scialoja e G. Branca, Zanichelli, 1981, 94 s.; E. Perego, I legati, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 5, I, UTET, 1982, 221; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del codice civile, Cedam, 1982, 250 s.; A. Palazzo, Le successioni, in Trattato di. diritto privato, diretto da G. Iudica e P. Zatti, Giuffrè, 2000, 2a ed., I, 543 ss.; L. Gardani Contursi-Lisi, Successione necessaria, in Dig. disc. priv. (civ.), XIX, UTET, 2001, 99 s.; G. Iudica, Il legato in conto di legittima nel sistema dei legati in favore del legittimario, in Familia, 2003, I, 294 s.; M. Ferrario, Il legato in sostituzione di legittima, in Fam. pers. succ., 2005, I, 66 s.; S. Patti, La rinunzia al legato in sostituzione di legittima, in Fam. pers. succ., 2006, I, 64 s.; G. Schiavone, Il legato in luogo di legittima: modalità di acquisto e ambito della funzione sostitutiva, in Familia, 2006, 2, 215 s.; F. Romoli, Brevi cenni sul legato in sostituzione di legittima, in Riv. not., 2008, 3, 1155 s.; M. Ferrario Hercolani, Il legato in sostituzione di legittima, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, diretto da G. Bonilini, Giuffrè, 2009, III, 335 s.; D. Achille, Legato in sostituzione di legittima e forma della rinunzia (in presenza di diritti reali immobiliari), in Riv. dir. civ., 2011, 6, 591 s.; B. Caliendo, La quota di legittima ed il suo soddisfacimento mediante legati, in Giur. it., 2012, 10, 2206 s.; C.M. Bianca, Diritto civile 2.2. Le successioni, Giuffrè, 2015, 5a ed., 192 s.; A. Bucelli, Legato in sostituzione e diritto al supplemento, in Dir. succ. fam., 2016, 2, 371 s.; C. Marino, La rinuncia al legato sostitutivo: presupposto processuale o condizione dell’azione di riduzione?, in Fam. dir., 2018, 5, 465 s.; G. Sicchiero, Forma e termine per la rinuncia del legato in sostituzione di legittima (art. 551 c.c.), in Giur. it., 2018, 5, 1074 s.; A. Baio, Il legato in sostituzione di legittima: un’analisi sistematica, in Riv. not., 2022, 5, 460 s.; V. Barba, Legati a favore del legittimario. Studio n. 136-2021/C, in Studi e materiali. Rivista semestrale CNN, 2023, 2, 389 s..
[19] In materia di decorso del termine (decennale) di prescrizione del diritto di agire in riduzione, Cass. civ., Sez. Un., 15 ottobre 2004, n. 20644, in Giur. it., 2005, I, 1605, con nota di A. Bucelli, Azione di riduzione e decorrenza della prescrizione: l’ultima parola delle Sezioni Unite della Cassazione, che ha stabilito che – nel caso in cui la lesione derivi da una donazione fatta in vita dal de cuius – il termine di prescrizione decennale per l’esperimento dell’azione di riduzione decorre dalla data di apertura della successione, laddove – nel caso in cui la lesione sia ricollegabile a disposizioni testamentarie – è necessario attendere, ai fini della decorrenza del termine prescrizionale, che tale lesione della legittima divenga attuale attraverso l’accettazione dell’eredità da parte del chiamato, poiché, prima di tale momento, la lesione, per effetto delle disposizioni testamentarie, è solo potenziale e il legittimario non potrà, quindi, agire in riduzione per difetto di interesse.
[20] Così Cass. civ., 10 giugno 2003, n. 9262, in Giur. it., 2004, 748 s.: «l’atto di citazione sottoscritto da coloro che intendevano compiere la rinuncia integra il requisito della forma scritta necessario per la rinuncia al legato avente ad oggetto beni immobili».
[21] G. Sicchiero, Forma e termine per la rinuncia al legato in sostituzione di legittima, cit.., in nota a Cass. civ., 4 agosto 2017, n. 19646, richiamata nella pronuncia che ora si annota.
[22] G. Sicchiero, Forma, cit., 1080.
[23] G. Sicchiero, Forma, cit., 1081; cfr. U. Perfetti, Dei legittimari. Art. 536-564, in Commentario al codice civile, diretto da V. Scialoja, G. Branca e F. Galgano, a cura di G. De Nova, Zanichelli, 2021, 264, che ritiene – a proposito dei legati non immobiliari, per i quali la rinuncia può risultare anche da facta concludentia – che «occorre essere prudenti e non indulgere a semplificazioni, perché la questione resta pur sempre quella di stabilire a quali condizioni il comportamento possa dirsi concludente e in particolare se la stessa proposizione della domanda di riduzione soddisfi il requisito» (corsivo nel testo).
[24] Cfr. A. Tullio, L’azione di riduzione e le azioni di restituzione, in Fam. Pers. Succ., 2011, 4, 296 s.; V. Barba, Quota di legittima e quota dell’eredità. Gli effetti dell’azione di riduzione, in Rass. dir. civ., 2022, 1, 1 s., ricostruisce gli effetti propri dell’azione di riduzione, distinguendo tra: (i) accertamento della qualità di legittimario; (ii) accertamento della lesione; (iii) ridefinizione delle quote di eredità; (iv) pronuncia della inefficacia della disposizione lesiva.
[25] In questo senso, v. Cass. civ., 11 novembre 2008, n. 26995, cit., in motivazione: «Neppure può essere condivisa l’ulteriore affermazione della Corte secondo cui la mancata messa a disposizione della massa ereditaria dell’oggetto del legato dopo che sia stata fatta valere la facoltà di cui all’art. 551 cod. civ., non indica una preferenza da parte del legatario per il legato stesso, ben potendo un tale comportamento assumere il diverso significato dell’attesa dei conferimento alla massa per poi procedersi, determinata la disponibile, alla attribuzione della quota di riserva; invero, una volta rinunciato al legato, il beneficiario ne deve dismettere l’oggetto non avendo più alcun titolo per conservarne la disponibilità» (corsivo agg.).
[26] Salva la necessità della divisione di un’eventuale comunione ereditaria costituitasi per effetto dell’accoglimento della domanda di riduzione. Cfr. Cass. civ., 29 ottobre 2015, n. 22097, in OneLegale: «è ammessa la possibilità per il legittimario di esercitare l’azione di riduzione anche in sede di divisione ereditaria, atteso che gli effetti della divisone, nonostante il meccanismo della collazione, non assorbono gli effetti della riduzione».
[27] Ad esempio, il testatore lascia al legittimario un legato sostitutivo di 100 euro, mentre questi ha diritto ad una quota di 150. Il legittimario agisce in riduzione contro l’erede universale istituito per testamento: rinuncia al legato sostitutivo, ma trattiene la somma (i.e. non la versa all’erede). Se la domanda del legittimario è accolta, l’erede dovrà pagargli (non 150 ma) 50.
[28] P. Rapone, In tema di legato, cit., 1116 s.; L. Mengoni, Successioni, cit., 122 s.; S. Patti, La rinuncia, cit., 65; C. Marino, La rinuncia, 472. Contra L. Collura, La rinuncia, cit., che propone – in base a considerazioni relative all’efficienza dei giudizi – che la rinuncia al legato in sostituzione di legittima vada riqualificata come presupposto processuale dell’azione di riduzione. Pare a chi scrive che una simile riqualificazione sia ultronea rispetto allo scopo (condivisibile) di evitare il rigetto in rito della domanda di riduzione, qualora non si verifichi la condizione dell’azione (la rinuncia al legato), giacché la natura di condizione dell’azione è senz’altro compatibile con il suo necessario verificarsi al più tardi al momento della proposizione della domanda (nella quale si ravvisa la rinuncia tacita al legato: v. supra nel testo).
[29] Oltre alla pronuncia qui annotata, Cass. civ., 4 agosto 2017, n. 19646, cit.: «Il potere attribuito al legittimario, in favore del quale il testatore abbia disposto un legato tacitativo, di conseguire la parte dei beni ereditari spettantegli ex lege, anziché conservare il legato, postula l’assolvimento di un onere, consistente nella rinuncia al legato che, integrando gli estremi di una condizione dell’azione, può essere assolto fino al momento della decisione» (corsivo agg.). Inoltre, si v. Cass. sez. II civ. 26 gennaio 1990, n. 459, in Giur. it., 1990, 8, 1116 s., con nota di P. Rapone, In tema di legato, cit.; in Riv. not., 1990, 5, 1125 s., con nota di N. Di Mauro, In tema di forma della rinuncia al legato avente per oggetto beni immobili.
[30] Cass. civ., 4 agosto 2017, n. 19646, cit.; Cass. civ., 22 giugno 2010, n. 15124, in OneLegale; Cass. civ., 11 novembre 2008, n. 26955, cit.; Cass. civ., 15 marzo 2006, n. 5779, in Riv. not., 2007, 1, 200 s., con nota di G. Musolino, La rinunzia al legato in sostituzione di legittima; Cass. civ., 22 giugno 2005, n. 13380, in OneLegale; Cass. civ., 22 luglio 2004, n. 13785 in OneLegale; Cass. civ. 15 maggio 1997, n. 4287, in Giust. civ., 1997, 12, 1099 s., con nota di N. Di Mauro, Legato di liberazione da un debito e remissione mortis causa: appunti sull’art. 658 c.c.; Cass. civ., 5 giugno 1971, n. 1683; Cass. civ., 19 settembre 1968, n. 2966. La dottrina segue la giurisprudenza, v. per tutti L. Mengoni, Successioni, cit., 119, secondo cui «in difetto d’altro, la domanda non è di per sé in grado di esprimere in modo acconcio la volontà di rinuncia al legato, non trattandosi di atto univoco».
[31] Cass. civ., 22 giugno 2005, n. 13380, in OneLegale, in motivazione: «L’esercizio dell’azione del riservatario diretta al conseguimento della in natura legittima lesa dal conguaglio disposto dal testatore [...] postula, quindi, l’assolvimento da parte del riservatario dell’onere della rinuncia al legato divisorio, con un atto che deve intervenire previamente o quanto meno contestualmente alla domanda giudiziale» (corsivo agg.). In s. conforme, V. Barba, Legati, cit., 406: «Soltanto dopo che il legittimario abbia rifiutato il legato tacitativo, può agire con l’azione di riduzione. La rinunzia al legato deve essere manifestata prima dell’inizio del giudizio di riduzione o, al più tardi, con la stessa domanda giudiziale di riduzione».
[32] Così Cass. civ., 10 giugno 2003, n. 9262, cit. supra nota 20.
[33] Cass. civ., 18 aprile 2000, n. 4971, in Giur. it., 2001, I, 30; App. Roma 10 febbraio 1995, in Nuova giur. civ. comm., 1996, I, 381, con nota di G.M. Calissoni, Azione di riduzione e rinuncia tacita ad un legato in sostituzione di legittima avente ad oggetto beni immobili; T. Monza, 7 marzo 1985, in Giur. It., 1986, I, 104. In dottr., M. Ferrario, Il legato, cit., 67
[34] In questo senso G. Cattaneo, Imputazione del legittimario, in Dig. disc. priv. (civ.), IX, UTET, 1998, 356; U. Perfetti, Legittimari, cit., 501, con richiamo a Cass. civ., 28 giugno 1968, n. 2202, in Giust. civ., 1969, I, 90, in cui si affermò che la richiesta di imputazione corrisponde ad un’eccezione del convenuto. Contra, F. Messineo, Manuale di diritto civile e commercial, Giuffrè, 1962, 9a ed., VI, 335: essendo l’imputazione una condizione dell’azione, il suo difetto darebbe luogo all’inammissibilità dell’azione di riduzione e, conseguentemente, all’impossibilità per il legittimario di effettuare l’imputazione in corso di causa.
Cfr. V. Carbone, Riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive della legittima, in Dig. disc. priv. (civ.), XII, UTET, 1998, 621, che ritiene che «l’imputazione delle liberalità in conto o sostitutive della legittima [sia] prevista come condizione per l’esercizio dell’azione di riduzione dall’art. 564 c.c.». L’opinione non è condivisibile. Infatti, se il legittimario è stato beneficiato con un legato sostitutivo – e vi ha rinunciato, avendo preferito far valere i suoi diritti di legittimario – egli non potrà ritenersi tenuto all’imputazione ex se di siffatta liberalità (il legato sostitutivo) quale condizione dell’azione di riduzione. L’imputazione, infatti, presuppone la volontà di conseguire il legato sostitutivo, la quale è evidentemente incompatibile con un’altra condizione dell’azione di riduzione, cioè la rinuncia al legato sostitutivo.
[35] V. giur. cit. supra, nota 33.
[36] Cass. civ., 19 ottobre 2012, n. 18068, in CED Cassazione; App. Roma 14 gennaio 1999, in Vita not., 1999, I, 28, con nota di M. Buttita, Ammissibilità dell’azione di riduzione; Cass. civ., 9 luglio 1971, n. 2200, in Giust. civ., 1972, I, 164. In dottrina, G. Marinaro, La successione necessaria, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da G. Perlingieri, Napoli, 2009, 375; U. Perfetti, Legittimari, cit., 493.
[37] Per tutti, C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, Giappichelli, 2017, 11a ed., II, 260: «l’attore può sempre rinunciare agli atti. Tuttavia talvolta la rinuncia non ha efficacia se non è accettata dal convenuto. E questo è il punto fondamentale: una volta instaurato il rapporto processuale, cioè una volta esercitato il diritto di azione, con la notificazione dell’atto di citazione o con il deposito del ricorso, il diritto alla decisione di merito diviene “bilaterale”, e così ormai spetta tanto all’attore quanto al convenuto, almeno dal momento in cui il convenuto si sia costituito in giudizio».
[38] C. Marino, La rinuncia, cit., 473.
[39] C. Marino, ibidem. In contrario, può osservarsi che il legittimario non è sempre ben consapevole della consistenza della massa ereditaria e del valore della propria quota: al contrario, l’azione di riduzione spesso è proposta “al buio”, proprio allo scopo di accertare l’ammontare dell’asse (si pensi, ad esempio, al caso in cui il de cuius abbia disposto numerose donazioni, in forma diretta o anche indiretta, a favore di soggetti diversi dai legittimari).
L’azione di riduzione, tuttavia, non pare adeguata a tutelare l’interesse del legittimario – che assume di essere stato leso nei suoi diritti – ad ottenere un accertamento dell’ammontare dell’asse ereditario. Infatti, la meritevolezza di un siffatto interesse del legittimario (il quale mira, in sostanza, ad una sorta di C.T.U. esplorativa, richiesta attraverso la proposizione dell’azione di riduzione) dev’essere valutata complessivamente, alla luce dell’intero ordinamento giuridico. La soluzione alla questione dell’ammissibilità di tale azione senza previa rinuncia pare preferibilmente negativa. Infatti, la disciplina sostanziale e processuale vigente prevede, in capo al legittimario beneficiario di un legato sostitutivo, l’onere di una scelta netta se conseguire il legato o proporre l’azione di riduzione. Tale azione, infatti, vale da sola come una rinunzia tacita al legato in sostituzione di legittima, né il legittimario può evitare tale effetto, domandando espressamente che il legato in sostituzione gli sia comunque attribuito. Il giudice semmai dichiarerà la compensazione tra un obbligo del legatario conseguente alla rinuncia tacita al legato sostitutivo (con l’obbligo di restituire alla massa l’oggetto del legato) e il diritto del legittimario conseguente all’accoglimento dell’azione di riduzione. Al contrario, l’oggetto del legato in sostituzione – al quale il legittimario ha rinunciato tacitamente – giammai potrà ritenersi attribuito a costui: diversamente, il lascito a titolo particolare riceverebbe il trattamento giuridico non già di un legato sostitutivo (come invece è già stato qualificato dal giudice), bensì di un legato in conto di legittima.
Nella situazione così delineata si verifica perciò un sostanziale diniego di tutela in capo al legittimario che non intende rinunciare al legato sostitutivo, che in questo modo si troverà impedito di fatto dal proporre l’azione di riduzione, la quale comporta automaticamente rinuncia tacita al legato sostitutivo. Per dare soddisfazione al bisogno di tutela del legittimario (il quale è leso, forse, nei suoi diritti) deve comunque ritenersi esperibile da parte di costui un’autonoma azione di accertamento, volta appunto ad accertare l’ammontare dell’asse ereditario.
Deve infatti ritenersi sussistente un interesse giuridicamente tutelato ad ottenere un accertamento giurisdizionale di una situazione giuridica soggettiva di cui il legittimario è titolare. Tale situazione giuridica si sostanzia nel «diritto alla legittima [che] si specifica, nel nostro ordinamento come diritto ad una quota di eredità sufficiente ad assicurare il conseguimento della porzione di beni destinata per legge al legittimario: una quota, vale a dire, il cui contenuto economico dev’essere pari alla parte a questi spettante sulla massa patrimoniale determinata ai sensi dell’art. 556 c.c.» (così S. Delle Monache, Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, Giuffrè, 2008, 35, il quale precisa che l’espressione ha un valore ellittico, giacché i beni possono essere ottenuti solo attraverso l’acquisto di una certa quota ereditaria). Il diritto del legittimario, cioè, è commisurato all’asse ereditario; e la determinazione dell’ammontare dell’asse potrà essere oggetto di un’autonoma domanda di accertamento, sussistendo l’interesse ad agire; siffatta domanda tenderà ad un accertamento giurisdizionale con efficacia di giudicato, che farà stato in qualsiasi ulteriore giudizio fra le parti, i loro eredi e aventi causa (art. 2909 cod. civ.).
Dunque, il legittimario che non intenda rinunciare al legato sostitutivo dovrebbe essere ammesso a proporre un’autonoma azione di accertamento dell’asse ereditario, nell’ammontare indicato dallo stesso legittimario nell’atto di citazione. All’esito di tale accertamento – in una misura eventualmente inferiore a quanto indicato dal legittimario – il beneficiario di un legato in sostituzione di legittima potrà (valutare la convenienza se) proporre separata azione di riduzione delle disposizioni testamentarie e/o della disposizione lesive dei suoi diritti sulla quota sull’asse, così com’è stato determinato nel primo giudizio, con un accertamento che «fa stato» anche nel successivo giudizio di riduzione, proposto tra le stesse parti. La proposizione dell’azione di riduzione – come si è detto – comporterà la rinuncia tacita al legato sostitutivo disposto a favore del legittimario; se però la sua quota di legittima dovesse risultare meno consistente del legato sostitutivo, il legittimario potrà semplicemente astenersi dal proporre l’azione di riduzione.
La soluzione indicata comporta senz’altro un aggravio dal punto di vista dell’economia processuale (due giudizi anziché uno solo, ancorché il secondo giudizio non avrà ad oggetto la ricostituzione dell’asse ereditario), e tuttavia pare l’unica in grado di conciliare una corretta interpretazione sistematica dell’art. 551 cod. civ. – così come ricostruita nel presente contribuito – con le esigenze di tutela del legatario-legittimario che non intenda proporre l’azione di riduzione “al buio”, che importerebbe la perdita del diritto che egli aveva già conseguito in virtù della disposizione a titolo particolare.
[40] Per tutti, C. Consolo, Spiegazioni, cit., I, 562: «la sentenza che nega una o entrambe fra le condizioni dell’azione [e] le sentenze che negano i presupposti processuali [...] sia le prime che le seconde fanno applicazione solo di norme processuali (e non sostanziali) e dunque sono sentenze di puro rito, che non vincolano in alcun modo il giudice di un secondo processo sulla stessa domanda» (corsivo nel testo).
[41] Con una precisazione. La rinunzia agli atti fatta in primo grado, come si è detto, comporta l’estinzione del processo con salvezza del diritto sostanziale. Per la rinunzia in appello bisogna invece distinguere tra la rinunzia agli atti, soggetta al regime anzidetto, e la rinunzia all’impugnazione, fatta dall’appellante, che non necessita dell’accettazione di controparte (Cass. civ., 6 marzo 2018, n. 5250; Cass. civ., 5 aprile 2022, n. 11034; Cass. civ., 24 agosto 2022, n. 25311: «la rinuncia all’impugnazione da parte dell’appellante equivale a rinuncia all’azione e pertanto non necessita, a differenza della rinuncia agli atti, di accettazione da parte dell’appellato»). In questo caso – assimilato dalla giurisprudenza alla rinunzia all’azione, cioè al diritto sostanziale fatto valere – l’effetto della rinunzia è l’estinzione del solo giudizio di impugnazione (anziché dell’intero processo), che comporta il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. La rinuncia al ricorso per cassazione – pur in assenza dei requisiti di cui all’art. 390 u.c. c.p.c. – non è non idonea a determinare l’estinzione del processo, ma denota il definitivo venire meno di ogni interesse alla decisione e comporta, pertanto, l’inammissibilità del ricorso (Cass. civ., 7 giugno 2018, n. 14782).
[42] G. Bonilini, Dei legati, cit., 222, ritiene «Autorevole, ma isolata, … la tesi che ammette la validità della rinunzia sottoposta a condizione … dato il silenzio, a codesto riguardo, del Codice civile, e dato il carattere solo patrimoniale del legato» (L. Barassi, Le successioni per causa di morte, 462), mentre altra parte della dottrina fonda la validità della rinuncia condizionata al legato sull’inapplicabilità dell’art. 520 cod. civ. alla rinuncia al legato (Giu. Azzariti, Le successioni, cit., 525-526; A. Trabucchi, Legato (dir. civ.), in Noviss. dig. it., 1962, 616). Un’altra parte della dottrina esclude la validità della rinuncia condizionata in considerazione del principio dell’osservanza della volontà del testatore (A. Masi, Dei legati, in Commentario al codice civile, diretto da V. Scialoja, G. Branca, Zanichelli, 1979, 16). Si tratta di una via evidentemente incerta.
[43] V. amplius supra, nota 39.
[44] Evidenzia l’inevitabile spreco di attività processuale, in caso di rigetto della domanda per difetto della condizione dell’azione (costituita dalla rinuncia al legato sostitutivo), L. Collura, La rinuncia, cit., 4.
[45] In proposito, si rammenta che le Sezioni Unite erano state investite della questione se – al contrario – l’accettazione del legato potesse considerarsi alla stregua di un elemento della fattispecie acquisitiva del legato.