Il saggio indaga la fattispecie del pagamento al creditore apparente, in relazione al tema delle frodi informatiche, oramai sempre più diffuse nell'odierna prassi negoziale. Dopo alcune considerazioni preliminari sul destinatario del pagamento e sulla nozione di apparentia iuris, il saggio si sofferma sui presupposti applicativi dell’art. 1189, primo comma, cod. civ. e sul pagamento al rappresentante apparente del creditore. L’attenzione viene fermata, infine, sulle frodi informatiche, avuto riguardo, in particolare, al fenomeno del così detto «man in the middle».
The essay examines the case of payment to the apparent creditor, in relation to the topic of cyber frauds, which are increasingly common in current negotiation practice. After some preliminary considerations about the receiver of the payment and about the notion of apparentia iuris, the essay focuses on the applicative conditions of the article 1189, first paragraph, of the Civil Code and on payment to the apparent representative of the creditor. The attention is finally focused on cyber frauds, having regard, in particular, to the phenomenon of the so-called «man in the middle».
1. Considerazioni introduttive - 2. Alcune osservazioni preliminari sul destinatario del pagamento - 3. Cenni sull’apparenza giuridica - 4. Il pagamento al creditore apparente - 5. I presupposti applicativi dell’art. 1189, comma 1, cod. civ. Le così dette «circostanze univoche» - 6. La «buona fede» del solvens - 7. Il pagamento al rappresentante apparente; in particolare, la posizione della giurisprudenza - 8. Le frodi informatiche - 9. Il fenomeno del così detto «man in the middle» - 10. Considerazioni conclusive - NOTE
L’esigenza di indagare la fattispecie del pagamento al creditore apparente, in relazione al tema delle frodi informatiche, si rannoda al (sempre più) frequente impiego, nell’odierna prassi negoziale, specie nel contesto del commercio elettronico, di evoluti strumenti di pagamento informatici, com’è a dirsi, a titolo di esempio, per le comuni carte di credito e di debito oppure per i bonifici bancarî. L’incessante diffusione degli scambî commerciali sul web e dei servizî di pagamento on line, ha favorito, infatti, la proliferazione, nell’attuale pratica degli affari, delle così dette «frodi informatiche», sicché si rivela opportuno esaminare, sotto il profilo civilistico, quali conseguenze giuridiche possano prospettarsi nell’eventualità in cui il debitore esegua la prestazione in favore di un soggetto che, attraverso sofisticate tecniche di sottrazione dell’identità digitale, si sia presentato quale legittimo destinatario del pagamento. Nelle correnti pratiche commerciali, invero, accade, oramai con significativa ricorrenza, che il debitore di un’obbligazione pecuniaria esegua il pagamento, in dipendenza di una frode informatica, a vantaggio di un creditore soltanto “apparente”; nel qual caso, si porrà, intuitivamente, l’interrogativo, se il debitore possa ritenersi liberato dall’obbligazione, ai sensi dell’art. 1189, comma 1, cod. civ., oppure se sia tenuto a effettuare il pagamento, altresì, in favore del “vero” creditore. Le frequenti occasioni di contenzioso, suscitate dalla sempre maggiore diffusione delle truffe digitali, forniscono, pertanto, l’occasione per una riflessione su un istituto di carattere generale, quale è il pagamento al creditore apparente, che sembra destinato a trovare oggi una spiccata applicazione pratica e a prestarsi a soluzioni eterogenee, tagliate sulle diverse fattispecie concrete.
L’indagine della figura del creditore apparente, inserita nella cornice delle frodi informatiche, non può che essere preceduta da alcune considerazioni preliminari circa il destinatario del pagamento, che, come è noto, raffigura il soggetto legittimato a ricevere il pagamento, ovverosia il titolare del potere di accettare la prestazione, con effetto estintivo del rapporto obbligatorio [1]. Ebbene, l’art. 1188, comma 1, cod. civ. consegna la regola secondo la quale il pagamento deve essere effettuato al creditore o al suo rappresentante oppure alla persona indicata dal creditore o autorizzata dalla legge o dal giudice a riceverlo [2]. La legittimazione a ricevere il pagamento, pertanto, coincide, di regola, con la titolarità del credito, sicché il debitore, di norma, è tenuto a eseguire la prestazione direttamente al creditore; non di meno, vi sono alcune ipotesi nell’àmbito delle quali la legittimazione a ricevere il pagamento è dissociata dalla titolarità del credito, o per volontà del creditore, il quale abbia incaricato un suo rappresentante o indicato – come legittimato a ricevere il pagamento – un soggetto diverso, oppure per volontà della legge o per decisione del giudice [3]. Quanto al rappresentante [4], il relativo potere viene conferito mediante procura, con la precisazione che, secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte di Cassazione, l’art. 1392 cod. civ. – in base al quale la procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere – trova sì applicazione, in forza del rinvio contenuto nell’art. 1324 cod. civ., rispetto agli atti unilaterali negoziali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, epperò non già rispetto agli atti giuridici «in senso stretto» o «meri atti giuridici», quale è la ricezione della prestazione, il cui compimento non soggiace a criterî di validità formale [5], sicché la rappresentanza a ricevere l’adempimento, con effetto liberatorio per il solvens, ai sensi dell’art. 1188, comma 1, cod. civ., può risultare anche da una condotta concludente, a sua volta dimostrabile con ogni mezzo, incluse le presunzioni [6]. A differenza del rappresentante, il quale è legittimato a esigere il pagamento [continua ..]
Al cospetto della figura del creditore apparente, diviene imprescindibile il richiamo alla nozione di apparenza giuridica, o apparentia iuris, la quale è stata eloquentemente descritta da un interprete come «situazione di fatto che manifesta come reale una situazione giuridica non reale» [16]. Si è in presenza di apparenza giuridica, invero, quando vi sia uno scostamento tra lo stato di fatto, idoneo a suscitare nei terzi il legittimo affidamento nella situazione apparente, e lo stato di diritto sottostante [17]. Al qual riguardo, si è puntualmente soggiunto che, onde l’apparenza possa assumere rilevanza per il diritto positivo, la situazione “manifestata” debba consistere, appunto, in una situazione giuridica [18]. Orbene, il Codificatore del 1942 ha attribuito rilevanza applicativa all’apparentia iuris soltanto rispetto a talune, circoscritte, ipotesi, nell’àmbito delle quali possono annoverarsi, a titolo di esempio: il pagamento al creditore apparente (art. 1189, comma 1, cod. civ.); l’acquisto dall’erede apparente (art. 534, secondo e comma 3, cod. civ.) [19]; l’acquisto dal titolare apparente, in materia di simulazione (art. 1415, comma 1, cod. civ.) [20]. La ratio sottesa alle varie fattispecie di apparenza giuridica va ravvisata nell’esigenza di tutelare, da un lato, l’interesse del terzo che in buona fede abbia riposto il proprio affidamento sulla situazione apparente [21] e, dall’altro lato, la speditezza e la certezza dei traffici giuridici [22], le quali sarebbero evidentemente pregiudicate se si richiedesse un pregnante accertamento della realtà in àmbiti quali, appunto, l’adempimento dell’obbligazione o la proprietà acquistata a titolo ereditario [23]. Nell’àlveo dell’apparentia iuris, peraltro, si è soliti distinguere l’apparenza «pura», od «oggettiva», la cui manifestazione non è riconducibile alla condotta colposa di alcun soggetto, e l’apparenza «colposa», la cui insorgenza è determinata, invece, dalla negligenza di uno o più soggetti [24]. Nell’apparenza così detta «pura», in altri termini, rileva in chiave oggettiva il solo dato materiale del manifestarsi di una situazione di fatto non corrispondente a diritto; [continua ..]
Il carattere oggettivo dell’apparenza, come si è accennato, emerge soprattutto nella norma affidata al comma 1 dell’art. 1189 cod. civ., la quale stabilisce: «Il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede» [28]. L’antecedente storico dell’art. 1189 cod. civ. è rinvenibile nell’art. 1242 cod. civ. 1865, il quale, impiegando espressioni sensibilmente differenti, disponeva: «Il pagamento fatto in buona fede a chi si trova nel possesso del credito, è valido, ancorché il possessore ne abbia in appresso sofferta l’evizione» [29]. La Relazione del Guardasigilli Grandi al Codice civile del 1942 illustra in modo eloquente il cambiamento di prospettiva esibito dall’art. 1189 cod. civ. vigente, il quale designa come creditore apparente non più «chi si trova nel possesso del credito», bensì «colui che appare legittimato a ricevere la solutio in base a circostanze univoche» [30]. Mediante codesta «formula elastica», il Codificatore del 1942 ha voluto quindi abbandonare «l’impropria dizione dell’art. 1242 del codice anteriore, che considerava creditore apparente chi era nel possesso del credito», in favore di una previsione che attribuisce tale qualifica a «chi si trova in una situazione di fatto implicante esercizio effettivo del diritto, tale da suscitare affidamento di una reale appartenenza del diritto stesso», con la precisazione che «l’affidamento non deve derivare da apprezzamenti soggettivi e cioè dal modo come il debitore ha potuto intendere il contegno di colui al quale ha pagato; deve aversi riguardo invece alla valutazione che di detto contegno avrebbe potuto ragionevolmente farsi in base a considerazioni obiettive» [31]. Ebbene, la norma racchiusa nell’art. 1189, comma 1, cod. civ. contempla una peculiare ipotesi in cui si verifica una scissione tra l’estinzione dell’obbligazione e la realizzazione del diritto di credito [32], in quanto all’efficacia liberatoria del pagamento non si accompagna, eccezionalmente, il soddisfacimento dell’interesse del creditore [33]. Scissione, quest’ultima, che, a ben vedere, non è punto sconosciuta all’ordinamento giuridico, [continua ..]
Il comma 1 dell’art. 1189 cod. civ. individua i presupposti, di natura oggettiva e soggettiva, alla presenza dei quali il pagamento al creditore apparente può acquistare efficacia liberatoria per il debitore; vale a dire, da un lato, la sussistenza di «circostanze univoche» che inducano il solvens a ritenere che l’accipiens sia legittimato a ricevere il pagamento, e, dall’altro lato, la prova, fornita dal solvens, di avere agito in «buona fede» [51]. Quanto al presupposto oggettivo, l’apparente legittimazione del ricevente deve risultare da «circostanze univoche», ovverosia da circostanze oggettive idonee a determinare, appunto, in un soggetto di ordinaria diligenza, il ragionevole convincimento dell’esistenza della legittimazione a ricevere il pagamento in capo all’accipiens, a prescindere da qualsivoglia valutazione circa l’apprezzamento soggettivo che il solvens abbia potuto compiere [52]. In altri termini, ai fini dell’applicabilità dell’art. 1189, comma 1, cod. civ., si rivela necessaria, anzitutto, la sussistenza di circostanze obiettivamente capaci di far apparire come reale una situazione che reale non è, univocamente orientate a far sembrare l’accipiens come il “vero” creditore [53], divenendo, invece, irrilevanti le valutazioni soggettive compiute dal solvens nel caso concreto [54]. La tutela in esame quindi può essere accordata, in definitiva, soltanto in presenza di una raffigurazione della realtà che avrebbe potuto crearsi nella mente di qualunque soggetto si fosse trovato nella medesima situazione [55], e purché la convinzione del debitore di pagare al “vero” creditore sia maturata non già sulla base di apprezzamenti soggettivi sul contegno dell’accipiens, bensì in virtù di circostanze oggettivamente univoche, tali da escludere profili di negligenza nel controllo del debitore [56]. Orbene, l’individuazione degli elementi costitutivi dell’apparenza e delle «circostanze univoche» è rimessa al prudente apprezzamento dell’interprete, non essendo presenti, nella norma in esame, né criterî di selezione di tali elementi né indicazioni esemplificative [57]. Al qual riguardo, è stato affermato che le «circostanze univoche» possano essere desunte, [continua ..]
La presenza di «circostanze univoche» non può determinare, di per sé sola, l’efficacia liberatoria del pagamento effettuato nei confronti del creditore apparente, dovendo essere integrata, di necessità, come si è già accennato, dall’elemento soggettivo della «buona fede» in capo al solvens [60]. Ai sensi dell’art. 1189, comma 1, cod. civ., invero, il debitore, per poter essere liberato dall’obbligazione, deve aver eseguito il pagamento al legittimato apparente non solo sulla base di «circostanze univoche», ma, altresì, in «buona fede» [61]; vale a dire, nella piena convinzione – fondata su un’ignoranza o su un errore scusabili [62], ingenerati dalla situazione di apparenza – di aver agito secondo diritto [63]. Può quindi affermarsi che la «buona fede», nel contesto dell’art. 1189 cod. civ., vada intesa come l’incolpevole convinzione che l’accipiens sia il “vero” creditore o, comunque, il legittimo destinatario del pagamento [64]. Definizione, quest’ultima, che, a ben vedere, pare possa essere ricavata, in via generale, dall’art. 1147, comma 1, cod. civ., la cui norma, come è noto, definisce possessore di buona fede «chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto» [65]. È sì vero che la «buona fede», nella fattispecie in esame, rileva soprattutto nella sua accezione “soggettiva”, riferendosi a uno stato psicologico del debitore, consistente nell’effettiva ignoranza della realtà [66]; epperò, non si è mancato di osservare come possa assumere importanza, per le finalità in questione, anche la «buona fede» “in senso oggettivo”, concepita come modalità di comportamento improntata al dovere di correttezza, cui sono tenute a ispirarsi entrambe le parti del rapporto obbligatorio [67]. Secondo l’opinione preferibile, inoltre, il presupposto soggettivo della «buona fede» deve sussistere nel momento in cui il solvens esegua il pagamento, essendo irrilevante che lo stesso venga eventualmente a sapere, in un momento successivo, che l’accipiens non fosse il soggetto legittimato a ricevere la prestazione (mala fides superveniens non nocet) [68]. È affermazione sicura, [continua ..]
È sorta la questione, oramai da lunga data, se l’applicazione dell’art. 1189 cod. civ. possa essere estesa, oppure no, anche all’ipotesi in cui il pagamento sia effettuato in favore del rappresentante apparente del creditore, ovverosia in favore di colui il quale, secondo la percezione del debitore, appaia dotato del potere di agire in nome e per conto dell’effettivo titolare del credito [82]. Orbene, secondo un orientamento giurisprudenziale piuttosto risalente [83], condiviso da parte minoritaria della dottrina [84], l’art. 1189 cod. civ. non potrebbe applicarsi alla fattispecie del pagamento al rappresentante apparente del creditore, che, pertanto, rimarrebbe disciplinata dalla norma racchiusa nell’art. 1188, comma 2, cod. civ., in virtù della quale, come si è già accennato [85], il pagamento a soggetto non legittimato a riceverlo libera il debitore soltanto se intervengano la ratifica o l’approfittamento del creditore. A codesta soluzione si addiverrebbe, secondo l’orientamento in esame, sul rilievo che: dai Lavori preparatorî e dalla Relazione al Codice civile del 1942 si ricaverebbe che la legittimazione a ricevere il pagamento si identifichi con la titolarità del credito; la rubrica legis e il tenore letterale dell’art. 1189 cod. civ. si riferirebbero soltanto al «creditore apparente» e non anche al “rappresentante apparente” del creditore; la norma affidata all’art. 1189, comma 1, cod. civ., stabilendo l’efficacia liberatoria del pagamento al creditore apparente, avrebbe natura eccezionale rispetto a quanto stabilito dall’art. 1188, comma 1, cod. civ. e, di conseguenza, non potrebbe applicarsi, neppure in via analogica, al pagamento effettuato nelle mani del rappresentante apparente del creditore; il solvens non potrebbe mai invocare la propria «buona fede», in quanto sarebbe sempre in grado di accertare agevolmente se l’accipiens sia legittimato, oppure no, a ricevere il pagamento in forza di un potere di rappresentanza effettivamente conferitogli, domandandogli la giustificazione dei poteri rappresentativi, in conformità a quanto previsto dall’art. 1393 cod. civ. [86]. Secondo un differente orientamento giurisprudenziale [87], di segno opposto a quello appena evocato e condiviso dalla prevalente dottrina [88], l’art. 1189 cod. civ. [continua ..]
Nell’attuale prassi negoziale, specie nel contesto del commercio elettronico, gli scambî commerciali si svolgono principalmente sul web e coinvolgono i più evoluti strumenti di pagamento informatici, quali, a titolo di esempio, le carte di credito e di debito o i bonifici bancarî. Agli innegabili vantaggî discendenti da codesta prassi, essenzialmente riconducibili a una più agevole circolazione della ricchezza e a una maggiore speditezza dei traffici giuridici, si accompagnano, non di meno, inevitabili rischî, nel cui àmbito non può che essere annoverata la diffusione delle frodi, così dette, informatiche [104]. Varie e molteplici si rivelano essere le tecniche pel tramite delle quali possa consumarsi una frode informatica; la più conosciuta e diffusa è senza dubbio oggi quella del «phising», che consiste nell’invio di messaggi (tramite e-mail o altri mezzi di comunicazione), recanti il logo contraffatto di istituti di credito o di altri enti, invitando il destinatario a fornire dati personali riservati, quali password, codici di accesso o coordinate bancarie, e motivando la richiesta con asserite ragioni di carattere tecnico [105]. Recentemente, in giurisprudenza [106], è stata ritenuta ancor più sofisticata, rispetto al «phising», la tecnica del «third man in the middle» o «man in the middle» [107], la quale si sostanzia in un attacco informatico in cui un soggetto viola la sicurezza di un sistema e diventa, così, in grado di leggere, inserire o modificare i messaggi scambiati tra due parti comunicanti, senza che nessuna di loro se ne accorga o, sospettato l’attacco, sia in grado di sapere se il collegamento sia stato realmente compromesso [108]. Nell’àmbito delle frodi informatiche, oltre al «phising» e al «man in the middle», merita di essere richiamata, a mero titolo esemplificativo, anche la «Business e-mail compromise fraud» (o, in forma abbreviata, «Bec fraud»), la quale sfrutta la manipolazione e la compromissione dell’e-mail di lavoro di un’azienda; suo tramite, infatti, i truffatori impiegano indirizzi e-mail somiglianti a quelli di un’azienda oppure, in certi casi, gli accounts di posta elettronica effettivi (ottenuti, a titolo di esempio, tramite e-mail di «phishing» [continua ..]
In relazione alla disciplina affidata all’art. 1189 cod. civ., ha suscitato spiccato interesse, soprattutto nella giurisprudenza di merito [115], a ragione della sua ricorrenza applicativa, il fenomeno del così detto «man in the middle» [116]. Si tratta, come si è anticipato, di un tipo di attacco informatico nel quale un soggetto, violando la sicurezza di un sistema, diviene in grado di leggere, inserire o modificare i messaggi scambiati tra due parti comunicanti, senza che nessuna di loro se ne accorga o, sospettato l’attacco, sia in grado di sapere se il collegamento sia stato realmente compromesso [117]. Il «man in the middle» (letteralmente: “uomo nel mezzo”) identifica la vittima, tipicamente un’impresa che è solita comunicare ai clienti i proprî dati bancarî via e-mail per ottenere i pagamenti, ed escogita un metodo per individuarne il traffico internet e decifrarlo, in modo tale da porsi nella condizione di monitorare le conversazioni tra l’impresa e la clientela; successivamente, quando il credito vantato dall’impresa nei confronti del cliente sia divenuto esigibile, l’hacker, fingendo di essere il creditore (l’impresa), invia un messaggio al debitore (il cliente) dalla casella di posta elettronica violata o da altra casella con indirizzo simile, e gli domanda di effettuare il pagamento su un conto corrente aperto appositamente [118]. Ebbene, codesto fenomeno, sicuramente riconducibile al novero delle frodi informatiche, può essere esaminato alla luce della disciplina racchiusa nell’art. 1189 cod. civ., atteso che, non di rado, può orientare il debitore a effettuare il pagamento, dallo stesso dovuto, in favore di un soggetto soltanto apparentemente legittimato a riceverlo [119]. Una peculiare fattispecie, emersa in contenzioso nell’àmbito di un giudizio di merito, ha fornito l’occasione al Tribunale di Milano di pronunziarsi proprio sul rapporto tra il fenomeno del «man in the middle» e la disciplina in esame, vale a dire del pagamento al creditore (e al rappresentante) apparente [120]. La questione, così prospettata al Tribunale di Milano, è connessa alla vicenda estintiva di un rapporto di credito intercorrente fra due società commerciali, nel cui contesto erano state inviate alla società debitrice, da un indirizzo [continua ..]
L’incessante diffusione, nell’odierna prassi negoziale, di (sempre più) sofisticate tecniche di intromissione, da parte di soggetti terzi, nei sistemi informatici altrui rischia, non di rado, di scalfire, nel senso finora descritto, anche i rapporti tra debitore e creditore, e affida quindi all’interprete il còmpito di valutare, caso per caso, la possibile applicazione, in una prospettiva più moderna, della disciplina contemplata dall’art. 1189 cod. civ., laddove il debitore, a titolo di esempio, abbia eseguito la prestazione, a cagione di una frode informatica, in favore di un hacker, il quale abbia assunte le sembianze del vero creditore o, comunque, del suo rappresentante apparente. Còmpito, quello menzionato, che non è punto agevole, come testimoniato dalle frequenti occasioni di contenzioso, che hanno costretto la giurisprudenza a ricercare possibili soluzioni alle pressanti questioni interpretative recentemente suscitate dall’art. 1189 cod. civ. in relazione al tema delle frodi informatiche. A ben vedere, le pronunzie giurisprudenziali intervenute sul tema hanno sì contribuito a fornire importanti spunti di riflessione su questioni ancóra irrisolte; a nessuna di quelle, tuttavia, pare potersi riconoscere il pregio di aver prospettato rassicuranti soluzioni “definitive”, capaci di rendere superflue ulteriori interpretazioni. Invero, nella maggior parte dei casi in cui il debitore, a séguito di un attacco informatico, abbia effettuato il pagamento su un conto corrente comunicatogli dall’hacker, diverso da quello del creditore effettivo, la giurisprudenza si è mostrata propensa ad affermare, con una certa avventatezza, l’efficacia liberatoria del pagamento ex art. 1189 cod. civ., a discapito delle ragioni del creditore insoddisfatto, pur senza aver condotto una scrupolosa indagine di tutti gli elementi desumibili dal caso concreto. Si rivela auspicabile, quindi, nella cornice testé tratteggiata, un intervento legislativo vòlto a introdurre una disciplina chiara, puntuale e organica di tutte le possibili ipotesi di frode informatica, nonché a prevedere criterî, univoci e circostanziati, che possano agevolmente orientare l’interprete nella scelta se ritenere applicabile, oppure no, nelle ipotesi più discusse, la disciplina del pagamento al creditore apparente. Potrebbe rivelarsi utile, in tale [continua ..]