Il saggio indaga la fattispecie del pagamento al creditore apparente, in relazione al tema delle frodi informatiche, oramai sempre più diffuse nell'odierna prassi negoziale. Dopo alcune considerazioni preliminari sul destinatario del pagamento e sulla nozione di apparentia iuris, il saggio si sofferma sui presupposti applicativi dell’art. 1189, primo comma, cod. civ. e sul pagamento al rappresentante apparente del creditore. L’attenzione viene fermata, infine, sulle frodi informatiche, avuto riguardo, in particolare, al fenomeno del così detto «man in the middle».
The essay examines the case of payment to the apparent creditor, in relation to the topic of cyber frauds, which are increasingly common in current negotiation practice. After some preliminary considerations about the receiver of the payment and about the notion of apparentia iuris, the essay focuses on the applicative conditions of the article 1189, first paragraph, of the Civil Code and on payment to the apparent representative of the creditor. The attention is finally focused on cyber frauds, having regard, in particular, to the phenomenon of the so-called «man in the middle».
1. Considerazioni introduttive - 2. Alcune osservazioni preliminari sul destinatario del pagamento - 3. Cenni sull’apparenza giuridica - 4. Il pagamento al creditore apparente - 5. I presupposti applicativi dell’art. 1189, comma 1, cod. civ. Le così dette «circostanze univoche» - 6. La «buona fede» del solvens - 7. Il pagamento al rappresentante apparente; in particolare, la posizione della giurisprudenza - 8. Le frodi informatiche - 9. Il fenomeno del così detto «man in the middle» - 10. Considerazioni conclusive - NOTE
L’esigenza di indagare la fattispecie del pagamento al creditore apparente, in relazione al tema delle frodi informatiche, si rannoda al (sempre più) frequente impiego, nell’odierna prassi negoziale, specie nel contesto del commercio elettronico, di evoluti strumenti di pagamento informatici, com’è a dirsi, a titolo di esempio, per le comuni carte di credito e di debito oppure per i bonifici bancarî.
L’incessante diffusione degli scambî commerciali sul web e dei servizî di pagamento on line, ha favorito, infatti, la proliferazione, nell’attuale pratica degli affari, delle così dette «frodi informatiche», sicché si rivela opportuno esaminare, sotto il profilo civilistico, quali conseguenze giuridiche possano prospettarsi nell’eventualità in cui il debitore esegua la prestazione in favore di un soggetto che, attraverso sofisticate tecniche di sottrazione dell’identità digitale, si sia presentato quale legittimo destinatario del pagamento.
Nelle correnti pratiche commerciali, invero, accade, oramai con significativa ricorrenza, che il debitore di un’obbligazione pecuniaria esegua il pagamento, in dipendenza di una frode informatica, a vantaggio di un creditore soltanto “apparente”; nel qual caso, si porrà, intuitivamente, l’interrogativo, se il debitore possa ritenersi liberato dall’obbligazione, ai sensi dell’art. 1189, comma 1, cod. civ., oppure se sia tenuto a effettuare il pagamento, altresì, in favore del “vero” creditore.
Le frequenti occasioni di contenzioso, suscitate dalla sempre maggiore diffusione delle truffe digitali, forniscono, pertanto, l’occasione per una riflessione su un istituto di carattere generale, quale è il pagamento al creditore apparente, che sembra destinato a trovare oggi una spiccata applicazione pratica e a prestarsi a soluzioni eterogenee, tagliate sulle diverse fattispecie concrete.
L’indagine della figura del creditore apparente, inserita nella cornice delle frodi informatiche, non può che essere preceduta da alcune considerazioni preliminari circa il destinatario del pagamento, che, come è noto, raffigura il soggetto legittimato a ricevere il pagamento, ovverosia il titolare del potere di accettare la prestazione, con effetto estintivo del rapporto obbligatorio [1].
Ebbene, l’art. 1188, comma 1, cod. civ. consegna la regola secondo la quale il pagamento deve essere effettuato al creditore o al suo rappresentante oppure alla persona indicata dal creditore o autorizzata dalla legge o dal giudice a riceverlo [2].
La legittimazione a ricevere il pagamento, pertanto, coincide, di regola, con la titolarità del credito, sicché il debitore, di norma, è tenuto a eseguire la prestazione direttamente al creditore; non di meno, vi sono alcune ipotesi nell’àmbito delle quali la legittimazione a ricevere il pagamento è dissociata dalla titolarità del credito, o per volontà del creditore, il quale abbia incaricato un suo rappresentante o indicato – come legittimato a ricevere il pagamento – un soggetto diverso, oppure per volontà della legge o per decisione del giudice [3].
Quanto al rappresentante [4], il relativo potere viene conferito mediante procura, con la precisazione che, secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte di Cassazione, l’art. 1392 cod. civ. – in base al quale la procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere – trova sì applicazione, in forza del rinvio contenuto nell’art. 1324 cod. civ., rispetto agli atti unilaterali negoziali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, epperò non già rispetto agli atti giuridici «in senso stretto» o «meri atti giuridici», quale è la ricezione della prestazione, il cui compimento non soggiace a criterî di validità formale [5], sicché la rappresentanza a ricevere l’adempimento, con effetto liberatorio per il solvens, ai sensi dell’art. 1188, comma 1, cod. civ., può risultare anche da una condotta concludente, a sua volta dimostrabile con ogni mezzo, incluse le presunzioni [6].
A differenza del rappresentante, il quale è legittimato a esigere il pagamento in nome e per conto del creditore, la «persona indicata dal creditore» (o indicatario di pagamento, o adiectus solutionis causa) [7] è autorizzata esclusivamente a ricevere la prestazione, e non anche a pretendere l’adempimento, in quanto rimane sostanzialmente estranea al rapporto obbligatorio; infatti, diversamente da quanto accade nel contesto della rappresentanza, in cui il creditore affida a un suo rappresentante la riscossione del credito, mediante l’indicazione di pagamento [8], il creditore si limita a dichiarare al debitore colui che è legittimato a ricevere il pagamento, con la conseguenza che il debitore, una volta eseguita la prestazione nei confronti dell’indicatario, è liberato dall’obbligazione [9].
L’indicazione di pagamento, peraltro, va tenuta distinta, a sua volta, dalla delegazione attiva di pagamento [10], per il solo effetto della quale si determina una modificazione soggettiva nel lato attivo del rapporto obbligatorio, in quanto, suo tramite, il creditore (delegante) incarica il debitore (delegato) di eseguire la prestazione in favore di un terzo (delegatario), il quale non riceve il pagamento nell’interesse del creditore (delegante), bensì nell’interesse proprio [11].
L’ultimo inciso del comma 1 dell’art. 1188 cod. civ. contempla, infine, i destinatarî del pagamento su base legale o giudiziale; vale a dire, coloro i quali sono autorizzati a ricevere il pagamento in forza di una disposizione normativa o di un provvedimento giudiziale [12].
Tanto premesso, il capoverso dell’art. 1188 cod. civ. disciplina, invece, l’eventualità in cui il debitore esegua la prestazione nelle mani di un soggetto che non rientri in alcuna delle categorie contemplate dal primo alinea del medesimo articolo, stabilendo che il pagamento effettuato in favore di chi non fosse legittimato a riceverlo libera il debitore soltanto se il creditore lo abbia ratificato o, comunque, ne abbia approfittato [13].
L’efficacia liberatoria del pagamento a soggetto non legittimato presuppone, quindi, alternativamente, la ratifica o l’approfittamento da parte del creditore [14]; in assenza di anche uno solo di codesti elementi, il pagamento soggettivamente irregolare non acquisterà efficacia liberatoria, bensì originerà un’ipotesi di indebito soggettivo ex latere accipientis, con la conseguenza che il solvens potrà pretendere, nei confronti dell’accipiens, la restituzione di quanto indebitamente pagato [15].
Al cospetto della figura del creditore apparente, diviene imprescindibile il richiamo alla nozione di apparenza giuridica, o apparentia iuris, la quale è stata eloquentemente descritta da un interprete come «situazione di fatto che manifesta come reale una situazione giuridica non reale» [16].
Si è in presenza di apparenza giuridica, invero, quando vi sia uno scostamento tra lo stato di fatto, idoneo a suscitare nei terzi il legittimo affidamento nella situazione apparente, e lo stato di diritto sottostante [17].
Al qual riguardo, si è puntualmente soggiunto che, onde l’apparenza possa assumere rilevanza per il diritto positivo, la situazione “manifestata” debba consistere, appunto, in una situazione giuridica [18].
Orbene, il Codificatore del 1942 ha attribuito rilevanza applicativa all’apparentia iuris soltanto rispetto a talune, circoscritte, ipotesi, nell’àmbito delle quali possono annoverarsi, a titolo di esempio: il pagamento al creditore apparente (art. 1189, comma 1, cod. civ.); l’acquisto dall’erede apparente (art. 534, secondo e comma 3, cod. civ.) [19]; l’acquisto dal titolare apparente, in materia di simulazione (art. 1415, comma 1, cod. civ.) [20].
La ratio sottesa alle varie fattispecie di apparenza giuridica va ravvisata nell’esigenza di tutelare, da un lato, l’interesse del terzo che in buona fede abbia riposto il proprio affidamento sulla situazione apparente [21] e, dall’altro lato, la speditezza e la certezza dei traffici giuridici [22], le quali sarebbero evidentemente pregiudicate se si richiedesse un pregnante accertamento della realtà in àmbiti quali, appunto, l’adempimento dell’obbligazione o la proprietà acquistata a titolo ereditario [23].
Nell’àlveo dell’apparentia iuris, peraltro, si è soliti distinguere l’apparenza «pura», od «oggettiva», la cui manifestazione non è riconducibile alla condotta colposa di alcun soggetto, e l’apparenza «colposa», la cui insorgenza è determinata, invece, dalla negligenza di uno o più soggetti [24].
Nell’apparenza così detta «pura», in altri termini, rileva in chiave oggettiva il solo dato materiale del manifestarsi di una situazione di fatto non corrispondente a diritto; nell’apparenza così detta «colposa», invece, è necessario verificare l’esistenza di una condotta negligente imputabile a taluno dei soggetti coinvolti [25].
Fattispecie tipica di apparenza giuridica «pura», od «oggettiva», è stata rinvenuta, dalla prevalenza degli interpreti, proprio nell’art. 1189, comma 1, cod. civ., il quale definisce «creditore apparente» colui che appaia legittimato a ricevere il pagamento «in base a circostanze univoche» [26]. Di contro, l’accezione «colposa» dell’apparenza viene spesso evocata, soprattutto dalla più recente giurisprudenza, in modo piuttosto ambiguo, con riguardo alla differente fattispecie del pagamento al rappresentante apparente del creditore, sicché, in detta ipotesi, come si illustrerà meglio nel prosieguo [27], si tende a richiedere che il solvens, il quale invochi il principio dell’apparenza, fornisca la prova non solo di aver confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma anche che il suo erroneo convincimento sia stato determinato da un comportamento colposo del creditore.
Il carattere oggettivo dell’apparenza, come si è accennato, emerge soprattutto nella norma affidata al comma 1 dell’art. 1189 cod. civ., la quale stabilisce: «Il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede» [28].
L’antecedente storico dell’art. 1189 cod. civ. è rinvenibile nell’art. 1242 cod. civ. 1865, il quale, impiegando espressioni sensibilmente differenti, disponeva: «Il pagamento fatto in buona fede a chi si trova nel possesso del credito, è valido, ancorché il possessore ne abbia in appresso sofferta l’evizione» [29].
La Relazione del Guardasigilli Grandi al Codice civile del 1942 illustra in modo eloquente il cambiamento di prospettiva esibito dall’art. 1189 cod. civ. vigente, il quale designa come creditore apparente non più «chi si trova nel possesso del credito», bensì «colui che appare legittimato a ricevere la solutio in base a circostanze univoche» [30].
Mediante codesta «formula elastica», il Codificatore del 1942 ha voluto quindi abbandonare «l’impropria dizione dell’art. 1242 del codice anteriore, che considerava creditore apparente chi era nel possesso del credito», in favore di una previsione che attribuisce tale qualifica a «chi si trova in una situazione di fatto implicante esercizio effettivo del diritto, tale da suscitare affidamento di una reale appartenenza del diritto stesso», con la precisazione che «l’affidamento non deve derivare da apprezzamenti soggettivi e cioè dal modo come il debitore ha potuto intendere il contegno di colui al quale ha pagato; deve aversi riguardo invece alla valutazione che di detto contegno avrebbe potuto ragionevolmente farsi in base a considerazioni obiettive» [31].
Ebbene, la norma racchiusa nell’art. 1189, comma 1, cod. civ. contempla una peculiare ipotesi in cui si verifica una scissione tra l’estinzione dell’obbligazione e la realizzazione del diritto di credito [32], in quanto all’efficacia liberatoria del pagamento non si accompagna, eccezionalmente, il soddisfacimento dell’interesse del creditore [33]. Scissione, quest’ultima, che, a ben vedere, non è punto sconosciuta all’ordinamento giuridico, sol che si consideri che la stessa si determina, altresì, a titolo di esempio, quando l’obbligazione si estingua in virtù di uno dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi dell’adempimento non satisfattorî, quali la novazione, la remissione del debito o l’impossibilità sopravvenuta della prestazione.
La ratio della norma in esame, chiaramente ispirata al favor debitoris, è stata rinvenuta nella tutela dell’affidamento del debitore e, correlativamente, nell’esigenza di evitare inutili impaccî alla circolazione della ricchezza e ai traffici giuridici; impaccî che inevitabilmente si verificherebbero, ove al debitore si richiedessero controlli estremamente rigorosi sulla legittimazione dell’accipiens, che lo esporrebbero, tra l’altro, al rischio di ritardo nell’adempimento [34].
A ben vedere, infatti, la disposizione normativa in esame consente di mantenere, entro i confini della normale diligenza imposta al debitore dall’art. 1176 cod. civ. [35], l’impegno che deve adibire il solvens nell’accertamento della legittimazione a ricevere dell’accipiens; in assenza della norma calata nell’art. 1189, comma 1, cod. civ., invero, il debitore che non avesse certezze circa la sussistenza della legittimazione a ricevere il pagamento in capo all’accipiens dovrebbe scegliere se attendere a eseguire la prestazione, esponendosi così alle conseguenze del ritardo, oppure adempiere egualmente, subendo, però, in tal caso, il rischio di dover rinnovare il pagamento al creditore effettivo [36].
Il disposto dell’art. 1189, comma 1, cod. civ. non si può spiegare, invece, in termini di auto-responsabilità o di sanzione per il “vero” creditore, il cui contegno non assume alcun rilievo autonomo nella fattispecie normativa in esame, potendo, tutt’al più, rafforzare il giudizio di sussistenza dei presupposti ivi contemplati [37].
È stato osservato, peraltro, che la preferenza accordata alla posizione del debitore, rispetto all’ordinario è sito non liberatorio, che si avrebbe in applicazione dell’art. 1188 cod. civ., possa spiegarsi anche alla luce di una condotta del creditore effettivo non rispettosa del dovere di cooperazione nella vicenda esecutiva del rapporto obbligatorio, discendente dal più ampio dovere di comportarsi secondo correttezza ex art. 1175 cod. civ. [38].
Merita di essere rilevato, altresì, come, a differenza di quanto accade nel contesto del capoverso dell’art. 1188 cod. civ., in cui l’estinzione dell’obbligazione e la realizzazione dell’interesse del creditore si raggiungono grazie a un quid pluris, successivo all’esecuzione della prestazione, costituito da un atto (la ratifica) o un fatto (l’approfittamento) immediatamente riferibile al creditore, nell’àmbito dell’art. 1189, comma 1, cod. civ., invece, il medesimo risultato (liberazione del debitore e soddisfacimento del creditore) consegue a un diverso meccanismo, più articolato e complesso, che determina una differente scansione temporale della vicenda estintiva del rapporto obbligatorio, rispetto alle due parti in questione: in via immediata, per il debitore; in un momento successivo, per il creditore [39]. Il debitore, infatti, in presenza delle condizioni contemplate dall’art. 1189, comma 1, cod. civ. [40], si libererà dall’obbligazione con l’esecuzione della prestazione all’apparente legittimato a riceverla, in conformità quindi allo schema ordinario dell’esatto adempimento, là dove il creditore otterrà, invece, il soddisfacimento del proprio interesse soltanto rivolgendosi all’accipiens, il quale è tenuto alla restituzione, nei confronti del creditore medesimo, di quanto abbia indebitamente ricevuto, giusta la previsione racchiusa nel comma 2 dell’art. 1189 cod. civ. [41].
Giova porre l’accento, infine, sull’affinità dell’art. 1189, comma 1, cod. civ. con altre disposizioni normative, compendiate nel Codice civile, implicanti la liberazione del debitore che abbia eseguito la prestazione in favore di un soggetto non legittimato a riceverla, le quali, seppure con le loro peculiarità, possono contribuire a individuare i criterî alla cui presenza sia possibile ritenere applicabile la tutela in esame [42].
Nell’àmbito di codeste disposizioni, meritano di essere richiamati, a titolo di esempio: l’art. 534, comma 2, cod. civ., che dispone la salvezza dei diritti acquistati per effetto di convenzioni a titolo oneroso da terzi che provino di aver contrattato in buona fede con l’erede apparente [43]; l’art. 1264 cod. civ., in base al quale, sebbene la cessione del credito [44] abbia effetto, nei confronti del debitore ceduto, quando egli l’abbia accettata o quando gli sia stata notificata, il debitore che abbia pagato al cedente prima della notificazione non è tuttavia liberato, se il cessionario prova che il solvens fosse a conoscenza dell’avvenuta cessione [45]; l’art. 2559 cod. civ., giusta il quale, nonostante la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta abbia efficacia, per i terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese, il debitore ceduto è tuttavia liberato, se paga in buona fede all’alienante [46]; l’art. 1836, comma 1, cod. civ., il quale dispone la liberazione della banca che, senza dolo o colpa grave, adempia la prestazione nei confronti del possessore del libretto di deposito pagabile al portatore, anche se il possessore medesimo non sia l’effettivo depositante [47]; l’art. 1889, comma 2, cod. civ., che, similmente, in tema di polizze assicurative all’ordine o al portatore, prevede la liberazione dell’assicuratore che, senza dolo o colpa grave, adempia la prestazione nei confronti del giratario o del portatore della polizza, anche se questi non sia l’assicurato [48]; l’art. 1992, comma 2, cod. civ., il quale, analogamente, in tema di titoli di credito, dispone la liberazione del debitore che, senza dolo o colpa grave, adempia la prestazione in favore del possessore del titolo, anche se lo stesso non sia il titolare del diritto [49].
In tutte le fattispecie dianzi richiamate, è dato rinvenire alcuni tratti comuni: l’efficacia liberatoria del pagamento eseguito a chi appare, ma in realtà non è, legittimato a riceverlo; una situazione di apparenza oggettiva, sostenuta da elementi riconoscibili; uno stato soggettivo del solvens, che contribuisce alla creazione della situazione apparente (la buona fede, l’assenza di dolo o di colpa grave). Elementi, questi ultimi, che vengono ricavati, in linea di principio, dall’art. 1189, comma 1, cod. civ., potendosi quindi affermare, in definitiva, che codesta norma racchiuda la regola di diritto comune che prescrive le condizioni generali per l’efficacia liberatoria del pagamento effettuato nelle mani di un destinatario apparente [50].
Il comma 1 dell’art. 1189 cod. civ. individua i presupposti, di natura oggettiva e soggettiva, alla presenza dei quali il pagamento al creditore apparente può acquistare efficacia liberatoria per il debitore; vale a dire, da un lato, la sussistenza di «circostanze univoche» che inducano il solvens a ritenere che l’accipiens sia legittimato a ricevere il pagamento, e, dall’altro lato, la prova, fornita dal solvens, di avere agito in «buona fede» [51].
Quanto al presupposto oggettivo, l’apparente legittimazione del ricevente deve risultare da «circostanze univoche», ovverosia da circostanze oggettive idonee a determinare, appunto, in un soggetto di ordinaria diligenza, il ragionevole convincimento dell’esistenza della legittimazione a ricevere il pagamento in capo all’accipiens, a prescindere da qualsivoglia valutazione circa l’apprezzamento soggettivo che il solvens abbia potuto compiere [52].
In altri termini, ai fini dell’applicabilità dell’art. 1189, comma 1, cod. civ., si rivela necessaria, anzitutto, la sussistenza di circostanze obiettivamente capaci di far apparire come reale una situazione che reale non è, univocamente orientate a far sembrare l’accipiens come il “vero” creditore [53], divenendo, invece, irrilevanti le valutazioni soggettive compiute dal solvens nel caso concreto [54].
La tutela in esame quindi può essere accordata, in definitiva, soltanto in presenza di una raffigurazione della realtà che avrebbe potuto crearsi nella mente di qualunque soggetto si fosse trovato nella medesima situazione [55], e purché la convinzione del debitore di pagare al “vero” creditore sia maturata non già sulla base di apprezzamenti soggettivi sul contegno dell’accipiens, bensì in virtù di circostanze oggettivamente univoche, tali da escludere profili di negligenza nel controllo del debitore [56].
Orbene, l’individuazione degli elementi costitutivi dell’apparenza e delle «circostanze univoche» è rimessa al prudente apprezzamento dell’interprete, non essendo presenti, nella norma in esame, né criterî di selezione di tali elementi né indicazioni esemplificative [57].
Al qual riguardo, è stato affermato che le «circostanze univoche» possano essere desunte, a titolo di esempio, dalla condotta tenuta dall’accipiens nella vicenda esecutiva [58] oppure dalla mancata collaborazione del creditore, il quale, sempre a titolo esemplificativo, in violazione del dovere di comportarsi secondo correttezza ex art. 1175 cod. civ., non abbia indicato al debitore l’attuale titolare del diritto di credito o, comunque, il soggetto legittimato a ricevere la prestazione [59].
Alla luce di quanto esposto, risulta intuitivamente molto difficoltoso stabilire, a priori, se una data situazione possa integrare «circostanza univoca», rilevante ai sensi dell’art. 1189, comma 1, cod. civ.; problema, questo, che meriterà dunque una soluzione tagliata sul caso concreto.
La presenza di «circostanze univoche» non può determinare, di per sé sola, l’efficacia liberatoria del pagamento effettuato nei confronti del creditore apparente, dovendo essere integrata, di necessità, come si è già accennato, dall’elemento soggettivo della «buona fede» in capo al solvens [60].
Ai sensi dell’art. 1189, comma 1, cod. civ., invero, il debitore, per poter essere liberato dall’obbligazione, deve aver eseguito il pagamento al legittimato apparente non solo sulla base di «circostanze univoche», ma, altresì, in «buona fede» [61]; vale a dire, nella piena convinzione – fondata su un’ignoranza o su un errore scusabili [62], ingenerati dalla situazione di apparenza – di aver agito secondo diritto [63].
Può quindi affermarsi che la «buona fede», nel contesto dell’art. 1189 cod. civ., vada intesa come l’incolpevole convinzione che l’accipiens sia il “vero” creditore o, comunque, il legittimo destinatario del pagamento [64]. Definizione, quest’ultima, che, a ben vedere, pare possa essere ricavata, in via generale, dall’art. 1147, comma 1, cod. civ., la cui norma, come è noto, definisce possessore di buona fede «chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto» [65].
È sì vero che la «buona fede», nella fattispecie in esame, rileva soprattutto nella sua accezione “soggettiva”, riferendosi a uno stato psicologico del debitore, consistente nell’effettiva ignoranza della realtà [66]; epperò, non si è mancato di osservare come possa assumere importanza, per le finalità in questione, anche la «buona fede» “in senso oggettivo”, concepita come modalità di comportamento improntata al dovere di correttezza, cui sono tenute a ispirarsi entrambe le parti del rapporto obbligatorio [67].
Secondo l’opinione preferibile, inoltre, il presupposto soggettivo della «buona fede» deve sussistere nel momento in cui il solvens esegua il pagamento, essendo irrilevante che lo stesso venga eventualmente a sapere, in un momento successivo, che l’accipiens non fosse il soggetto legittimato a ricevere la prestazione (mala fides superveniens non nocet) [68].
È affermazione sicura, peraltro, come si è già ricordato, che l’ignoranza, o l’errore, circa l’effettiva titolarità della legittimazione a ricevere il pagamento, debba essere “ragionevole” o, comunque, “scusabile” [69]; vale a dire, debba basarsi su una condotta diligente del debitore, non potendosi dubitare dell’applicabilità, anche alla fattispecie in esame, del dovere di diligenza nell’adempimento, scolpito nell’art. 1176 cod. civ., che impone, appunto, al debitore anche un diligente accertamento della legittimazione a ricevere dell’accipiens [70].
In altri termini, affinché il debitore possa beneficiare della tutela prevista dall’art. 1189 cod. civ., occorre che egli abbia posto in essere una condotta adeguata alla cura degli interessi del creditore e che abbia diligentemente verificato la sussistenza della legittimazione a ricevere la prestazione in capo all’accipiens [71].
Va escluso, di contro, che possa avere efficacia liberatoria il pagamento connotato da un comportamento negligente del debitore, il quale abbia omesso di utilizzare l’avvertenza e la cautela ordinariamente richieste per sindacare la legittimazione a ricevere della persona, nelle cui mani si accinga a adempiere [72].
La «buona fede» rilevante ai sensi dell’art. 1189, comma 1, cod. civ. non può ritenersi sussistente, a fortiori, in caso di conoscenza, da parte del solvens, del difetto di legittimazione a ricevere dell’accipiens, atteso che la conoscenza della situazione effettiva opera come elemento che sterilizza l’efficacia liberatoria del pagamento [73].
È stato anche osservato, in proposito, che nella valutazione della diligenza impiegata dal debitore incida, inevitabilmente, altresì, la condotta in concreto tenuta dal creditore, vigendo una inversa proporzionalità tra la misura della scusabilità dell’errore e la condotta imputabile all’effettivo titolare del credito; a ben vedere, infatti, ove il creditore ponga in essere una condotta, commissiva od omissiva, idonea a ingenerare nel debitore l’errore circa l’effettiva titolarità della legittimazione a ricevere il pagamento, sarà minore il grado di diligenza richiesto al debitore medesimo in fase di adempimento [74].
La condotta colposa del creditore, in altri termini, non è elemento imprescindibile ai fini della liberazione del debitore, che abbia adempiuto in «buona fede» a un terzo non legittimato, epperò non può che rilevare in sede di accertamento della responsabilità del debitore ex artt. 1176 e 1218 cod. civ., giacché, qualora il creditore abbia tenuto un comportamento idoneo a creare l’apparente legittimazione a ricevere da parte di un terzo, si amplieranno i margini di scusabilità dell’errore del debitore e si ridurrà il grado di diligenza allo stesso richiesta, a ragione del dovere di cooperazione gravante sul creditore medesimo (cfr. artt. 1175-1375 cod. civ.) [75].
Tra le circostanze capaci di incidere sul quantum di diligenza esigibile al debitore, può essere annoverata anche la pubblicità [76], atteso che il principio dell’apparenza pare non possa essere invocato in presenza di forme di pubblicità legale [77], ove si accerti, a titolo di esempio, che il difetto di legittimazione a ricevere dell’accipiens avrebbe potuto essere verificato, senza eccessiva difficoltà, mediante la consultazione del registro delle imprese (artt. 2188 ss. cod. civ.) [78].
Di contro, tra le circostanze capaci di giustificare l’applicazione della tutela prevista dall’art. 1189, comma 1, cod. civ., ben può essere richiamata l’esibizione, da parte dell’accipiens, di un documento attestante la legittimazione a ricevere la prestazione, com’è a dirsi, a titolo di esempio, nell’ipotesi del diritto incorporato in un titolo di credito [79].
La lettera dell’art. 1189, comma 1, cod. civ. consente di desumere, infine, che l’onere di provare la sussistenza della «buona fede» sia posto a carico del debitore [80]. Al qual riguardo, si afferma che la «buona fede» non è presunta, non applicandosi, alla fattispecie in esame, la regola sancita dal primo inciso dell’art. 1147, comma 3, cod. civ.; non di meno, la prova della «buona fede» potrà essere fornita, dal solvens, mediante il ricorso a presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 cod. proc. civ. [81].
È sorta la questione, oramai da lunga data, se l’applicazione dell’art. 1189 cod. civ. possa essere estesa, oppure no, anche all’ipotesi in cui il pagamento sia effettuato in favore del rappresentante apparente del creditore, ovverosia in favore di colui il quale, secondo la percezione del debitore, appaia dotato del potere di agire in nome e per conto dell’effettivo titolare del credito [82].
Orbene, secondo un orientamento giurisprudenziale piuttosto risalente [83], condiviso da parte minoritaria della dottrina [84], l’art. 1189 cod. civ. non potrebbe applicarsi alla fattispecie del pagamento al rappresentante apparente del creditore, che, pertanto, rimarrebbe disciplinata dalla norma racchiusa nell’art. 1188, comma 2, cod. civ., in virtù della quale, come si è già accennato [85], il pagamento a soggetto non legittimato a riceverlo libera il debitore soltanto se intervengano la ratifica o l’approfittamento del creditore. A codesta soluzione si addiverrebbe, secondo l’orientamento in esame, sul rilievo che: dai Lavori preparatorî e dalla Relazione al Codice civile del 1942 si ricaverebbe che la legittimazione a ricevere il pagamento si identifichi con la titolarità del credito; la rubrica legis e il tenore letterale dell’art. 1189 cod. civ. si riferirebbero soltanto al «creditore apparente» e non anche al “rappresentante apparente” del creditore; la norma affidata all’art. 1189, comma 1, cod. civ., stabilendo l’efficacia liberatoria del pagamento al creditore apparente, avrebbe natura eccezionale rispetto a quanto stabilito dall’art. 1188, comma 1, cod. civ. e, di conseguenza, non potrebbe applicarsi, neppure in via analogica, al pagamento effettuato nelle mani del rappresentante apparente del creditore; il solvens non potrebbe mai invocare la propria «buona fede», in quanto sarebbe sempre in grado di accertare agevolmente se l’accipiens sia legittimato, oppure no, a ricevere il pagamento in forza di un potere di rappresentanza effettivamente conferitogli, domandandogli la giustificazione dei poteri rappresentativi, in conformità a quanto previsto dall’art. 1393 cod. civ. [86].
Secondo un differente orientamento giurisprudenziale [87], di segno opposto a quello appena evocato e condiviso dalla prevalente dottrina [88], l’art. 1189 cod. civ. potrebbe trovare applicazione non solo nell’ipotesi, tipica, del pagamento al creditore apparente, ma anche in quella, non legislativamente disciplinata, del pagamento al rappresentante apparente del creditore. Invero, in virtù di tale interpretazione, che appare sicuramente preferibile rispetto a quella dianzi esposta: i Lavori preparatorî al Codice civile del 1942 avrebbero valore meramente orientativo e sarebbero utili a rendere chiara la portata di un testo ambiguo, non già di un testo «univoco, sensato, tecnicamente e sistematicamente corretto», come sarebbe da intendere quello recato dall’art. 1189 cod. civ. [89]; in presenza di un contrasto tra la rubrica legis dell’articolo in esame, che fa riferimento al «creditore apparente», e il contenuto del suo comma 1, che si riferisce, più genericamente, a «chi appare legittimato» a ricevere il pagamento, dovrebbe attribuirsi prevalenza interpretativa al suo contenuto, atteso che la locuzione “chi appare legittimato” ricomprenderebbe non solo il creditore, ma anche il suo rappresentante apparente [90]; l’art. 1189 cod. civ., attestando l’efficacia liberatoria del pagamento al creditore apparente, non sarebbe punto norma eccezionale, bensì espressione di un principio generale, quale la tutela della buona fede, che ispira l’intera disciplina delle obbligazioni e dei contratti (cfr. artt. 1175, 1337, 1366, 1376 e 1460 cod. civ.) [91], sicché potrebbe applicarsi, se non in linea diretta, quanto meno in via analogica, anche all’ipotesi del pagamento al rappresentante apparente, ai sensi dell’art. 12, comma 2, Disp. prel. cod. civ.; la richiesta di giustificazione dei poteri di rappresentanza costituirebbe, a norma dell’art. 1393 cod. civ., una facoltà e non già un obbligo [92].
Occorre porre l’accento, poi, su una terza interpretazione, che sembra essersi oramai consolidata nella più recente giurisprudenza [93], in virtù della quale il pagamento eseguito in favore del rappresentante apparente del creditore libererebbe il debitore soltanto qualora il solvens riesca a provare, oltre alla sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 1189 cod. civ., che la situazione di apparente legittimazione a ricevere sia stata creata da un comportamento colposo del creditore.
È ricorrente, invero, nella giurisprudenza di merito e di legittimità, l’affermazione secondo la quale l’art. 1189 cod. civ., che riconosce efficacia liberatoria al pagamento effettuato dal debitore in «buona fede» «a chi appare legittimato a riceverlo», si applica, per identità di ratio, sia all’ipotesi del pagamento eseguito al creditore apparente, sia a quella in cui il pagamento venga effettuato a persona che appaia autorizzata a riceverlo per conto del creditore effettivo, il quale abbia determinato, o concorso a determinare, l’errore del solvens, facendo sorgere in quest’ultimo in «buona fede» una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’accipiens [94].
Onde sia giustificata l’applicazione dell’art. 1189 cod. civ. anche all’ipotesi del pagamento al rappresentante apparente del creditore, la giurisprudenza prevalente ricorre oggi alla soluzione dell’apparenza «colposa», richiedendo, appunto, che la situazione di apparenza sia stata causata colposamente dal creditore effettivo (o falso rappresentato) e che il debitore sia tenuto a fornire la prova di tale ulteriore elemento.
Una rapida riflessione, peraltro, convince di come codesto orientamento, tendendo a ricostruire la fattispecie del pagamento al falsus procurator del creditore quale ipotesi di apparenza «colposa» non possa punto essere condiviso [95].
A tacer d’altro, invero, tale soluzione sembrerebbe creare una regola pretorile, di diritto vivente, dal dubbio fondamento normativo, che inopinatamente richiederebbe – al solo fine di ricondurre il pagamento al rappresentante apparente sotto l’egida dell’art. 1189 cod. civ. – l’accertamento di un presupposto extra-testuale e ulteriore (ovverosia la condotta colposa del creditore), rispetto ai presupposti espressamente e tassativamente previsti dalla disposizione normativa in esame [96].
Come si è già ricordato [97], infatti, ai sensi dell’art. 1189, comma 1, cod. civ., l’efficacia liberatoria del pagamento al creditore apparente presuppone, unicamente, da un lato, la sussistenza di «circostanze univoche» che inducano il solvens a ritenere che l’accipiens sia legittimato a ricevere il pagamento e, dall’altro lato, la prova, fornita dal solvens, di avere agito in «buona fede», senza che vi sia riferimento alcuno alla condotta, per di più colposa, del “vero” creditore, la quale, ove sussistente, potrà determinare, tutt’al più, un ampliamento dei margini di scusabilità dell’errore del debitore e una riduzione del grado di diligenza allo stesso richiesta [98].
Merita di essere condivisa, pertanto, la posizione di un interprete, ad avviso del quale «la soluzione “della terza via”», cui è pervenuta la giurisprudenza più recente, «trova certo ragione in uno sforzo di mediazione e contemperamento tra interessi divergenti ma, come spesso occorre, non è forse quella sistematicamente più corretta», sicché sarebbe stato «più ragionevole» ipotizzare l’applicazione dell’art. 1189 cod. civ. a ogni situazione di apparenza, enfatizzando, eventualmente, il controllo, sull’effettiva sussistenza delle «circostanze univoche» [99]; solo in tal modo «si sarebbe guadagnato, senza cortocircuiti sistematici, quel necessario contemperamento tra interessi contrapposti del creditore e del debitore», che sta alla base dell’orientamento giurisprudenziale in esame, il quale, per un verso, è favorevole all’estensione, dell’art. 1189 cod. civ., all’ipotesi del pagamento al rappresentante apparente, ma, per altro verso, è «preoccupato di controllarne gli effetti» [100].
Può anche essere soggiunto, al riguardo, che, ove non si voglia ammettere l’applicazione diretta, della disciplina in esame, all’ipotesi del pagamento al rappresentante apparente del creditore, non potrà di certo negarsene l’applicazione pel tramite dello strumento dell’analogia legis, racchiuso nell’art. 12, comma 2, Disp. prel. cod. civ., non dovendo essere qualificata come norma eccezionale quella recata dall’art. 1189, comma 1, cod. civ.
Nella cornice giurisprudenziale testé tratteggiata, suscitano perplessità ancor più acute, infine, quelle pronunzie [101] che sembrerebbero orientate a estendere, anche alla fattispecie espressamente regolata dall’art. 1189 cod. civ., del pagamento al «creditore apparente», la soluzione, già di per sé criticabile, dell’apparenza «colposa», concepita con riferimento alla diversa ipotesi, non regolamentata, del pagamento al rappresentante apparente del creditore [102].
Non è infrequente, invero, l’affermazione del principio giurisprudenziale secondo il quale il pagamento effettuato al rappresentante apparente, al pari di quello eseguito al creditore apparente, libera il debitore di «buona fede» ai sensi dell’art. 1189 cod. civ., a condizione che il debitore medesimo, il quale invochi il principio dell’apparenza giuridica, fornisca la prova non solo di aver confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma anche che il suo erroneo convincimento sia stato determinato da un comportamento colposo del creditore, che abbia fatto sorgere nel solvens in «buona fede» una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’accipiens [103].
Nell’attuale prassi negoziale, specie nel contesto del commercio elettronico, gli scambî commerciali si svolgono principalmente sul web e coinvolgono i più evoluti strumenti di pagamento informatici, quali, a titolo di esempio, le carte di credito e di debito o i bonifici bancarî.
Agli innegabili vantaggî discendenti da codesta prassi, essenzialmente riconducibili a una più agevole circolazione della ricchezza e a una maggiore speditezza dei traffici giuridici, si accompagnano, non di meno, inevitabili rischî, nel cui àmbito non può che essere annoverata la diffusione delle frodi, così dette, informatiche [104].
Varie e molteplici si rivelano essere le tecniche pel tramite delle quali possa consumarsi una frode informatica; la più conosciuta e diffusa è senza dubbio oggi quella del «phising», che consiste nell’invio di messaggi (tramite e-mail o altri mezzi di comunicazione), recanti il logo contraffatto di istituti di credito o di altri enti, invitando il destinatario a fornire dati personali riservati, quali password, codici di accesso o coordinate bancarie, e motivando la richiesta con asserite ragioni di carattere tecnico [105].
Recentemente, in giurisprudenza [106], è stata ritenuta ancor più sofisticata, rispetto al «phising», la tecnica del «third man in the middle» o «man in the middle» [107], la quale si sostanzia in un attacco informatico in cui un soggetto viola la sicurezza di un sistema e diventa, così, in grado di leggere, inserire o modificare i messaggi scambiati tra due parti comunicanti, senza che nessuna di loro se ne accorga o, sospettato l’attacco, sia in grado di sapere se il collegamento sia stato realmente compromesso [108].
Nell’àmbito delle frodi informatiche, oltre al «phising» e al «man in the middle», merita di essere richiamata, a mero titolo esemplificativo, anche la «Business e-mail compromise fraud» (o, in forma abbreviata, «Bec fraud»), la quale sfrutta la manipolazione e la compromissione dell’e-mail di lavoro di un’azienda; suo tramite, infatti, i truffatori impiegano indirizzi e-mail somiglianti a quelli di un’azienda oppure, in certi casi, gli accounts di posta elettronica effettivi (ottenuti, a titolo di esempio, tramite e-mail di «phishing» o acquistati sul dark web), per inviare messaggi in cui si fingono rappresentanti o dipendenti dell’azienda medesima, allo scopo di convincere il destinatario del messaggio a compiere un’azione dannosa, come un pagamento a favore di un fornitore o la condivisione di informazioni riservate, quali dati bancarî o numeri di carte di pagamento.
Orbene, nel variegato contesto delle frodi informatiche, le quali possono assumere, a seconda del caso concreto, le più disparate fisionomie [109], ben può accadere, per quanto attiene alle finalità in esame, che il debitore di un’obbligazione pecuniaria, proprio in dipendenza di una frode informatica, perpetrata da un hacker, esegua il pagamento a vantaggio di un creditore soltanto “apparente”; nel qual caso, occorrerà accertare, caso per caso, se possa verificarsi, oppure no, l’effetto liberatorio previsto dall’art. 1189, comma 1, cod. civ.
A ben vedere, il tema delle truffe digitali si presta a essere esaminato in relazione non soltanto alla fattispecie del pagamento al creditore apparente, ma anche a quella del pagamento al “rappresentante apparente” del creditore [110].
Efficacemente, invero, è stata richiamata, al riguardo, la distinzione, proposta dall’art. 30-bis del d.lgs. n. 141/2010 in materia di contratti di credito al consumo, tra furto d’identità con «impersonificazione totale» e furto d’identità con «impersonificazione parziale» [111]. In base all’art. 30-bis del d.lgs. n. 141/2010, la «impersonificazione totale» è definita come l’«occultamento totale della propria identità mediante l’utilizzo indebito di dati relativi all’identità e al reddito di un altro soggetto», mentre la «impersonificazione parziale» si identifica con l’«occultamento parziale della propria identità mediante l’impiego, in forma combinata, di dati relativi alla propria persona e l’utilizzo indebito di dati relativi ad un altro soggetto». La prima ipotesi ricorre, dunque, quando l’hacker, occultando totalmente la propria identità, si sia impossessato del profilo digitale di un altro soggetto; la seconda, invece, allorquando l’hacker, utilizzando i proprî dati identificativi in combinazione con quelli di un altro soggetto, abbia fatto apparire all’esterno una relazione tra gli stessi, che però in realtà è inesistente [112]. Quanto alla prima ipotesi, si pensi, a titolo di esempio, al furto di identità da parte di un soggetto che si sostituisca sul web a un’altra persona fisica, la quale sia effettivamente titolare di un diritto di credito; nel qual caso, il pagamento effettuato dal debitore in favore dell’hacker potrebbe qualificarsi, al ricorrere dei presupposti previsti dall’art. 1189 cod. civ., alla stregua di pagamento al creditore apparente, configurandosi, per il debitore, una totale coincidenza tra il soggetto titolare del rapporto obbligatorio (creditore effettivo) e il soggetto al quale abbia destinato il pagamento illegittimo (creditore apparente-hacker) [113]. Quanto alla seconda ipotesi, si pensi, invece, sempre a titolo esemplificativo, all’utilizzo, da parte di un soggetto, di segnî distintivi e di riferimenti univoci di una determinata persona, fisica o giuridica, al solo fine di ingenerare nel debitore il convincimento di relazionarsi con un soggetto appartenente all’organizzazione del creditore [114]; nel qual caso, potrà porsi l’interrogativo, già in precedenza illustrato, circa l’applicabilità dell’art. 1189 cod. civ. all’ipotesi del pagamento al rappresentante apparente del creditore.
In relazione alla disciplina affidata all’art. 1189 cod. civ., ha suscitato spiccato interesse, soprattutto nella giurisprudenza di merito [115], a ragione della sua ricorrenza applicativa, il fenomeno del così detto «man in the middle» [116].
Si tratta, come si è anticipato, di un tipo di attacco informatico nel quale un soggetto, violando la sicurezza di un sistema, diviene in grado di leggere, inserire o modificare i messaggi scambiati tra due parti comunicanti, senza che nessuna di loro se ne accorga o, sospettato l’attacco, sia in grado di sapere se il collegamento sia stato realmente compromesso [117].
Il «man in the middle» (letteralmente: “uomo nel mezzo”) identifica la vittima, tipicamente un’impresa che è solita comunicare ai clienti i proprî dati bancarî via e-mail per ottenere i pagamenti, ed escogita un metodo per individuarne il traffico internet e decifrarlo, in modo tale da porsi nella condizione di monitorare le conversazioni tra l’impresa e la clientela; successivamente, quando il credito vantato dall’impresa nei confronti del cliente sia divenuto esigibile, l’hacker, fingendo di essere il creditore (l’impresa), invia un messaggio al debitore (il cliente) dalla casella di posta elettronica violata o da altra casella con indirizzo simile, e gli domanda di effettuare il pagamento su un conto corrente aperto appositamente [118].
Ebbene, codesto fenomeno, sicuramente riconducibile al novero delle frodi informatiche, può essere esaminato alla luce della disciplina racchiusa nell’art. 1189 cod. civ., atteso che, non di rado, può orientare il debitore a effettuare il pagamento, dallo stesso dovuto, in favore di un soggetto soltanto apparentemente legittimato a riceverlo [119].
Una peculiare fattispecie, emersa in contenzioso nell’àmbito di un giudizio di merito, ha fornito l’occasione al Tribunale di Milano di pronunziarsi proprio sul rapporto tra il fenomeno del «man in the middle» e la disciplina in esame, vale a dire del pagamento al creditore (e al rappresentante) apparente [120].
La questione, così prospettata al Tribunale di Milano, è connessa alla vicenda estintiva di un rapporto di credito intercorrente fra due società commerciali, nel cui contesto erano state inviate alla società debitrice, da un indirizzo e-mail fittizio, in apparenza riconducibile alla società creditrice, alcune indicazioni circa le modalità di pagamento delle somme dovute, nonché gli estremi del conto corrente bancario estero, sul quale effettuare il versamento; sicché, la società debitrice provvedeva a eseguire il pagamento in piena conformità alle indicazioni ricevute e alla fattura recante timbro e sottoscrizione apparentemente riconducibili alla società creditrice, ma in realtà appartenenti a un hacker [121].
Il Tribunale di Milano, chiamato a pronunziarsi sulla questione, ha attribuito efficacia liberatoria al pagamento eseguito dal solvens sul conto corrente indicatogli dal «man in the middle», ai sensi dell’art. 1189 cod. civ. [122].
Il Tribunale, in particolare, ha ravvisato, nel caso sottoposto al suo esame, un’ipotesi di pagamento liberatorio nei confronti del rappresentante apparente del creditore, conformandosi così al più recente orientamento della Corte di Cassazione [123], giusta il quale il pagamento effettuato al rappresentante apparente, al pari di quello eseguito al creditore apparente, libera il debitore di «buona fede» ai sensi dell’art. 1189 cod. civ., a condizione che il debitore medesimo, che invochi il principio dell’apparenza giuridica, fornisca la prova non solo di aver confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma anche che il suo erroneo convincimento sia stato determinato da un comportamento colposo del creditore, che abbia fatto sorgere nel solvens in «buona fede» una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’accipiens [124].
Innanzitutto, le «circostanze univoche», che avrebbero indotto il solvens a ritenere che l’accipiens fosse legittimato a ricevere il pagamento, sono state rintracciate, dal Tribunale di Milano [125]: nella circostanza che il codice “IBAN” in favore del quale è stato effettuato il bonifico bancario era stato comunicato al debitore attraverso una e-mail che, sebbene non recasse, nel dominio, la ragione sociale della società creditrice, era già stata proficuamente utilizzata nel corso del rapporto commerciale, in modo alternato con altra e-mail ufficiale, impiegata dalla società creditrice medesima; nella confezione e nell’invio di documenti falsi [126], identici a quelli veri, ivi compresa la fattura di pagamento, presentata come sostitutiva di una precedente fattura emessa dal vero creditore, accompagnata dalla illustrazione di specifiche motivazioni tecniche, idonee a giustificare la richiesta di pagamento in favore di un conto corrente estero, diverso dall’usuale conto corrente nazionale di titolarità del creditore-venditore; nella natura internazionale della compravendita, idonea, in quanto tale, a far sembrare sensata la richiesta di pagamento in favore di un conto corrente straniero [127].
La «buona fede» del solvens, invece, è stata ritenuta sussistente, dal Tribunale [128], soprattutto in considerazione del fatto che la società debitrice, al fine di eseguire il pagamento, non avesse ritenuto sufficiente la comunicazione a mezzo e-mail di un diverso codice “IBAN”, ma avesse richiesto, e ottenuto, l’invio di una nuova fattura, recante al suo interno l’indicazione delle nuove coordinate bancarie [129].
L’ulteriore elemento extra-testuale, della condotta colposa del creditore, ritenuto necessario, dalla giurisprudenza oggi prevalente [130], nel senso meglio sopra precisato [131], ai fini dell’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente del creditore, è stato individuato, infine, dal Tribunale di Milano [132], nella culpa in vigilando, della società creditrice, su un proprio dipendente “infedele” o sui proprî sistemi informatici, a seconda che l’indirizzo e-mail fittizio – impiegato per inviare al debitore le indicazioni circa le modalità di pagamento delle somme dovute, gli estremi del conto corrente bancario su cui effettuare il versamento e la fattura – fosse stato utilizzato da un soggetto “interno” all’organizzazione aziendale del creditore oppure da un soggetto “esterno”, che si sia introdotto nei sistemi informatici del creditore medesimo [133]. Ad avviso del Tribunale [134], in altri termini, la società creditrice avrebbe determinato, o concorso a determinare, l’errore del solvens, facendo sorgere nello stesso una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’accipiens, sia nel caso in cui l’accipiens fosse stato un soggetto intraneus all’organizzazione imprenditoriale del creditore, sia nel caso in cui i sistemi informatici del creditore medesimo avessero subìto un attacco hacker, tramite la tecnica del «man in the middle», dovendosi ravvisare, appunto, in entrambi i casi, la culpa in vigilando del creditore effettivo [135].
La conclusione alla quale è pervenuto, nella pronunzia dianzi richiamata, il Tribunale di Milano [136] non appare convincente.
Non può essere condivisa, anzitutto, l’affermazione secondo la quale il pagamento effettuato al rappresentante apparente, al pari di quello eseguito al creditore apparente, avrebbe efficacia liberatoria soltanto allorquando il debitore riesca a dimostrare non solo che sussistano i presupposti divisati dall’art. 1189 cod. civ., ma anche che il suo erroneo convincimento sia stato determinato da una condotta colposa del creditore; la quale, a ben vedere, anche nelle ipotesi riconducibili al fenomeno del «man in the middle», non potrebbe erigersi a elemento costitutivo della fattispecie scolpita nell’art. 1189 cod. civ., potendo rilevare, tutt’al più, nella valutazione della «buona fede» del solvens, come circostanza idonea a ingenerare nel debitore la convinzione di comportarsi secondo diritto e a ridurre il grado di diligenza allo stesso richiesta [137].
L’art. 1189 cod. civ. contempla, invero, come si è già accennato [138], una fattispecie di apparenza «pura», e non già «colposa», sicché verrebbe irragionevolmente misconosciuto il dato testuale normativo, là dove si ritenesse necessaria, ai fini della sua applicazione, anche la sussistenza di una condotta negligente, colposa, imputabile al creditore, essendo di per sé sufficiente, al predetto fine, che la situazione di apparente legittimazione a ricevere il pagamento sia accompagnata dalla convinzione, da parte del solvens, fondata su un errore scusabile, di aver agito secondo diritto.
Non è dato comprendere, in definitiva, come la condotta colposa del creditore, non essendo stata contemplata, dal legislatore, tra i presupposti applicativi della disciplina del pagamento al creditore apparente, possa esservi ricondotta, a posteriori, per via giurisprudenziale.
A ben vedere, peraltro, quella condotta non potrebbe neppure essere considerata un espediente al solo fine di estendere l’applicazione della disciplina in esame anche all’ipotesi del pagamento al rappresentante apparente del creditore, dovendosi ritenere che codesta ipotesi sia pur sempre regolata, se non in via diretta, quanto meno per via analogica, dall’art. 1189 cod. civ., il quale, appunto, non menziona, tra i suoi presupposti applicativi, la condotta colposa del creditore.
Con peculiare riferimento al fenomeno del così detto «man in the middle», poi, anche a voler condividere, solo per ipotesi, l’assunto del Tribunale di Milano, per cui sarebbe necessaria, ai fini dell’applicazione dell’art. 1189 cod. civ., la condotta colposa del creditore, non potrebbe mancarsi di rilevare come il Tribunale sia comunque pervenuto a una conclusione “affrettata” o, quanto meno, poco ragionevole, avendo ravvisato una generica culpa in vigilando in capo al creditore, per il solo fatto che lo stesso non avesse adeguatamente controllato i proprî sistemi informatici o non si fosse accorto dell’ingerenza di soggetti terzi nel rapporto contrattuale [139], senza aver condotto alcun approfondimento circa il grado di diligenza richiesta al creditore medesimo [140].
Si avverte, pertanto, la sensazione, condivisa da alcuni interpreti [141], che il Tribunale di Milano abbia qualificato come colposa la condotta del creditore effettivo, al solo fine di giustificare l’applicazione dell’art. 1189 cod. civ. alla fattispecie sottoposta al suo scrutinio, non potendosi ritenere, infatti, che un attacco informatico, ancorché escogitato mediante la tecnica del «man in the middle», risulti tout court imprevedibile e inevitabile, sol che si consideri la ricorrenza di frodi informatiche di siffatto genere e la possibilità per il creditore di contrastarle mediante l’adozione di adeguate precauzioni, dovendosi piuttosto valutare, in concreto, la diligenza del creditore nella sorveglianza dei proprî sistemi informatici [142].
In conclusione, sebbene abbia fornito l’occasione per una riflessione circa il rapporto tra le frodi informatiche – e, più in particolare, il fenomeno, non infrequente, del così detto «man in the middle» – e la disciplina racchiusa nell’art. 1189 cod. civ., la pronunzia del Tribunale di Milano non è giunta a conclusioni soddisfacenti, anche a ragione del fatto che non ha menomamente operato un bilanciamento tra gli interessi in gioco, non avendo inopinatamente esitato a sacrificare l’interesse del creditore, a beneficio dell’estinzione del rapporto obbligatorio; bilanciamento, quest’ultimo, al quale si auspica possano ispirarsi, invece, le successive pronunzie che interverranno in subiecta materia, accettando il rischio che, talvolta, l’interesse del creditore possa essere reputato prevalente rispetto alla liberazione del debitore.
Merita di essere richiamata, da ultimo, la soluzione accolta in altra, recente, pronunzia del Tribunale di Milano, la quale, sempre in un caso di «man in the middle» – dopo aver (ri-)affermato, in maniera poco convincente, l’efficacia liberatoria del pagamento al creditore apparente a norma dell’art. 1189 cod. civ., a condizione che il solvens provi di aver confidato senza sua colpa nell’apparente titolarità del credito in capo all’accipiens e che tale ragionevole presunzione sia stata determinata da un comportamento colposo del creditore –, ha rivolto lo sguardo ai rimedî potenzialmente esperibili, in tale evenienza, dal creditore effettivo [143]. Il Tribunale [144] ha opportunamente posto in luce, al riguardo, come il creditore possa avanzare, in detta ipotesi, un’azione restitutoria contro l’accipiens a norma dell’art. 1189, comma 2, cod. civ. [145]; inoltre, ed eventualmente, un’azione risarcitoria contro l’istituto di credito presso cui sia stato riscosso il pagamento, qualora sia ravvisabile una sua responsabilità per aver eseguito un bonifico, nonostante la discrasia tra il titolare del conto corrente indicato dal codice “IBAN” e il nominativo del beneficiario [146].
L’incessante diffusione, nell’odierna prassi negoziale, di (sempre più) sofisticate tecniche di intromissione, da parte di soggetti terzi, nei sistemi informatici altrui rischia, non di rado, di scalfire, nel senso finora descritto, anche i rapporti tra debitore e creditore, e affida quindi all’interprete il còmpito di valutare, caso per caso, la possibile applicazione, in una prospettiva più moderna, della disciplina contemplata dall’art. 1189 cod. civ., laddove il debitore, a titolo di esempio, abbia eseguito la prestazione, a cagione di una frode informatica, in favore di un hacker, il quale abbia assunte le sembianze del vero creditore o, comunque, del suo rappresentante apparente.
Còmpito, quello menzionato, che non è punto agevole, come testimoniato dalle frequenti occasioni di contenzioso, che hanno costretto la giurisprudenza a ricercare possibili soluzioni alle pressanti questioni interpretative recentemente suscitate dall’art. 1189 cod. civ. in relazione al tema delle frodi informatiche.
A ben vedere, le pronunzie giurisprudenziali intervenute sul tema hanno sì contribuito a fornire importanti spunti di riflessione su questioni ancóra irrisolte; a nessuna di quelle, tuttavia, pare potersi riconoscere il pregio di aver prospettato rassicuranti soluzioni “definitive”, capaci di rendere superflue ulteriori interpretazioni.
Invero, nella maggior parte dei casi in cui il debitore, a séguito di un attacco informatico, abbia effettuato il pagamento su un conto corrente comunicatogli dall’hacker, diverso da quello del creditore effettivo, la giurisprudenza si è mostrata propensa ad affermare, con una certa avventatezza, l’efficacia liberatoria del pagamento ex art. 1189 cod. civ., a discapito delle ragioni del creditore insoddisfatto, pur senza aver condotto una scrupolosa indagine di tutti gli elementi desumibili dal caso concreto.
Si rivela auspicabile, quindi, nella cornice testé tratteggiata, un intervento legislativo vòlto a introdurre una disciplina chiara, puntuale e organica di tutte le possibili ipotesi di frode informatica, nonché a prevedere criterî, univoci e circostanziati, che possano agevolmente orientare l’interprete nella scelta se ritenere applicabile, oppure no, nelle ipotesi più discusse, la disciplina del pagamento al creditore apparente.
Potrebbe rivelarsi utile, in tale prospettiva, a titolo di esempio, l’introduzione di parametri selettivi, o di indicazioni esemplificative, da cui poter desumere la sussistenza delle «circostanze univoche» e la «buona fede» del solvens, rilevanti ai sensi dell’art. 1189 cod. civ.
In alternativa, sarebbe parimenti auspicabile il progressivo consolidamento di un orientamento giurisprudenziale univoco, che, anziché ricercare presupposti extra-testuali – come la condotta colposa del creditore – al solo fine di giustificare l’applicazione dell’art. 1189 cod. civ. ai casi, non espressamente regolati, di «man in the middle» e di pagamento al rappresentante apparente del creditore, individui criterî ermeneutici ben circoscritti e definiti, che consentano di prevenire o, quanto meno, di limitare il folto contenzioso sviluppatosi in subiecta materia.
[1] In generale, sul destinatario del pagamento, si vedano, almeno: R. Nicolò, voce Adempimento, in Enc. dir., vol. I, Milano, s. d., ma 1958, 560 ss.; A. Di Majo, Dell’adempimento in generale. Artt. 1177-1200, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1994, 233 ss.; C.A. Cannata, L’adempimento delle obbligazioni, in Tratt. dir. priv., dir da P. Rescigno, vol. IX, t. 1, Torino, 1999, II ed., 108 ss.; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, in Diritto civile, dir. da N. Lipari-P. Rescigno, coord. da A. Zoppini, vol. III, Obbligazioni, t. 1, Il rapporto obbligatorio, Milano, 2009, 161 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, in Cod. civ. Comm., fondato e già diretto da P. Schlesinger e continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2018, II ed., 23 ss.
[2] Al riguardo, si vedano, almeno: R. Nicolò, voce Adempimento, cit., 560 ss.; A. Di Majo, Dell’adempimento in generale. Artt. 1177-1200, cit., 233 ss.; C.A. Cannata, L’adempimento delle obbligazioni, cit., 108 ss.; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 161 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 24 ss.
[3] Sul punto, v., per tutti, G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 161 ss., il quale rammenta come, di là della previsione contemplata dall’art. 1188, comma 1, cod. civ., siano presenti nell’ordinamento giuridico anche altre ipotesi in cui il creditore difetta della legittimazione a ricevere la prestazione, com’è a dirsi, a titolo di esempio, nel caso di incapacità del creditore (art. 1190 cod. civ.) o di suo fallimento (art. 44 l. fall.) [oggi, liquidazione giudiziale (art. 144 del d.lgs. n. 14/2019)].
Sul punto, si veda anche M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 120 ss.
[4] Per un approfondimento sul rappresentante del creditore, si legga, almeno, M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 49 ss., ivi, numerosi richiami, la quale puntualizza che «l’esistenza di un procuratore all’incasso non impedisce al dominus di ricevere la prestazione personalmente e di esigerla».
Riguardo alla rappresentanza, in termini generali, è imprescindibile il richiamo a: W. d’Avanzo, voce Rappresentanza (diritto civile), in Noviss. Dig. it., vol. XIV, Torino, s. d., ma 1967, 801 ss.; V. De Lorenzi, voce Procura, in Dig. Disc. priv., Sez. civ., vol. XV, Torino, s. d., ma 1997, 318 ss.; M. Graziadei-R. Sacco, voce Sostituzione e rappresentanza, in Dig. Disc. priv., Sez. civ., vol. XVIII, Torino, s. d., ma 1998, 616 ss.
[5] In generale, sulla forma dei negozî, si leggano, almeno: N. Irti, Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano, 1985, passim; P. Perlingieri, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli, 1987, passim.
In tema, v., inoltre, F. Addis, La forma, in Diritto civile. Norme, questioni, concetti, a cura di G. Amadio-F. Macario, vol. I, Parte generale. Le obbligazioni. Il contratto. Il fatto illecito e le altre fonti dell’obbligazione, Bologna, 2014, 618 ss.
Si rivela di perdurante interesse, infine, il contributo di G. Bonilini, La forma del mutuo dissenso, nota a Cass. civ., 7 marzo 1997, n. 2040, in Contratti, 1997, 546 ss.
[6] Si esprime, in questi termini, Cass. civ., 9 ottobre 2015, n. 20345, in Banca dati De Jure.
In senso conforme, cfr. Cass. civ., 15 maggio 2018, n. 11737, in Banca dati De Jure.
In generale, sulle presunzioni, v., almeno, S. Patti, Note in tema di presunzioni semplici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 891 ss.
[7] Riguardo all’indicatario di pagamento, si veda, per tutti, M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 68 ss.
[8] Secondo M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 72 ss., l’indicazione di pagamento «è una dichiarazione effettuata dal creditore al debitore, anche in modo implicito e senza vincoli formali (ad esempio attraverso la previsione di un conto corrente postale o bancario sul quale eseguire il versamento della somma di denaro dovuta), con la quale il primo individua una persona che riceva la prestazione per lui», e, strutturalmente, si configura «come un atto unilaterale recettizio, rivolto dal creditore al debitore, a contenuto partecipativo (la comunicazione degli estremi del soggetto avente la legittimazione a ricevere per lui, utili per realizzare il pagamento nelle sue mani)».
[9] Sul punto, si veda C. Nobili, Le obbligazioni, Milano, 2019, III ed., 43.
Sulle differenze tra rappresentanza e indicazione di pagamento, v.: R. Nicolò, voce Adempimento, cit., 561; A. Di Majo, Dell’adempimento in generale. Artt. 1177-1200, cit., 247 ss.; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 163 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 68 ss., la quale precisa che, a séguito dell’indicazione di pagamento, viene attribuita, al solvens, la facoltà alternativa di pagare nelle mani dell’indicatario, anzichè solo in quelle del creditore (il quale non potrebbe rifiutare la prestazione), con piena efficacia liberatoria.
In giurisprudenza, si veda Cass. civ., 23 giugno 1997, n. 5579, in Banca dati De Jure, secondo la quale, l’incaricato a ricevere il pagamento, ai sensi dell’art. 1188, comma 1, cod. civ., è persona diversa sia dal rappresentante sia dal mandatario del creditore, trattandosi di soggetto cui viene conferito esclusivamente il (limitato) potere di ricevere la prestazione e i relativi atti allo stesso inscindibilmente connessi, così che quello scaturente dalla indicazione operata dal creditore non può ritenersi un potere rappresentativo in senso tecnico.
Nel senso che gravi sul debitore, in caso di contestazioni, l’onere di provare che il creditore gli avesse indicato il terzo quale adiectus solutionis causa, v. Cass. civ., 13 gennaio 2012, n. 390, in Banca dati De Jure.
[10] Come è noto, il Codice civile disciplina soltanto la delegazione passiva (art. 1268 cod. civ.); si ritiene, tuttavia, che le parti, nell’esercizio dell’autonomia privata, possano ricorrere, altresì, alla delegazione attiva (o di credito). Sul punto, nella manualistica, v., almeno, A. Torrente-P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, 2021, XXV ed. a cura di F. Anelli-C. Granelli, 419 ss.
Riguardo al concetto di autonomia privata, si legga N. Irti, Per una concezione normativa dell’autonomia privata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 555 ss., ad avviso del quale, «a ben vedere, il discorrere, che si fa da giuristi e politici, di un allargare o restringere, proteggere o limitare, l’autonomia privata, è un discorrere illogico e improprio. Non c’è un’autonomia originaria e naturale, che il diritto manipoli e lavori, ma soltanto l’autonomia definita dalla legge in un dato momento storico. Essa è, ed è soltanto, autonomia normativa, storica della stessa mutevole storicità delle norme che, di tempo in tempo, la definiscono e determinano. L’autonomia privata designa soltanto una classe tipica di fattispecie, prevista da norme, che dispongono gli effetti secondo il contenuto deciso dalle parti. Una tecnica normativa di costruzione di fattispecie ed effetti».
Sull’autonomia privata come autonomia negoziale, si veda, inoltre, P. Perlingieri, Stagioni del diritto civile. A colloquio con Rino Sica e Pasquale Stanzione, Napoli, 2021, 125 ss.
Sul tema, è imprescindibile anche il richiamo a G. Perlingieri, Il diritto civile tra principi e regole. Autonomia negoziale, Napoli, 2015, passim.
Sull’autonomia testamentaria, v., almeno: A. Trabucchi, L’autonomia testamentaria e le disposizioni negative, in Riv. dir. civ., 1970, I, 39 ss.; N. Lipari, Autonomia privata e testamento, Milano, 1970, passim; G. Bonilini, Autonomia testamentaria e legato. I legati così detti atipici, Milano, 1990, (ristampa, Napoli, 2018), passim; G. Bonilini, Autonomia negoziale e diritto ereditario, in Riv. not., 2000, 789 ss.; P. Rescigno, Autonomia privata e limiti inderogabili nel diritto familiare e successorio, in Familia, 2004, I, 437 ss.; F.P. Patti, La volontà testamentaria nei conflitti ereditari, Napoli, 2022, 1 ss.
In tema, v., inoltre, N. Lipari, I rapporti familiari tra autonomia e autorità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 927 ss.
[11] In tal senso, v. C. Nobili, Le obbligazioni, cit., 43.
Sulle differenze tra l’indicazione di pagamento e la delegazione di pagamento, v., altresì, A. Di Majo, Dell’adempimento in generale. Artt. 1177-1200, cit., 255 ss.
[12] Sul punto, v., almeno: G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 164 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 86 ss., ad avviso della quale appartiene alla prima categoria, a titolo di esempio, l’esecutore testamentario (art. 703 cod. civ.), mentre è riconducibile alla seconda, sempre a titolo esemplificativo, il sequestratario nominato dal giudice ex art. 1216, comma 2, cod. civ.
[13] Sulla fattispecie contemplata dal comma 2 dell’art. 1188 cod. civ. si vedano: R. Nicolò, voce Adempimento, cit., 561, ad avviso del quale: «La disposizione del cpv. dell’art. 1188 trova la sua ragione, per una ipotesi, nei princìpi generali della ratifica (il creditore, approvando l’agire di colui che ha ricevuto il pagamento, fa propri gli effetti dell’agire medesimo, sanando con effetto ex tunc il difetto originario di legittimazione), e, per l’altra, nei princìpi dell’arricchimento, che trovano ragione di essere applicati una volta che risulti essersi la utilità, derivante dall’attività solutoria del debitore, egualmente prodotta a vantaggio del creditore (utilis versio)»; A. Di Majo, Dell’adempimento in generale. Artt. 1177-1200, cit., 266 ss.; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 165 ss., secondo il quale «per approfittamento deve intendersi sia la circostanza che il pagamento è comunque pervenuto nel patrimonio del creditore sia quella che, sebbene indirizzato al non legittimato, il creditore abbia ritratto dall’adempimento un risultato favorevole o un incremento patrimoniale (si pensi al pagamento effettuato dal debitore al creditore del proprio creditore il quale consegue l’utilità economica della liberazione da un proprio debito)»; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 88 ss., ad avviso della quale la ratifica si prospetta «quale atto unilaterale del creditore, che potrà essere dedotto implicitamente da comportamento concludente, non necessitando di una forma particolare, a carattere recettizio».
[14] In tal senso, v.: G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 165 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 88 ss.
In giurisprudenza, cfr. Cass. civ., 5 giugno 2007, n. 13113, in Banca dati De Jure, secondo la quale la prova che il creditore abbia ratificato il pagamento, oppure ne abbia approfittato, deve essere fornita dal solvens, il quale invochi la liberazione dal debito.
[15] In questi termini, si veda A. Torrente-P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, cit., 430.
[16] Così, A. Falzea, voce Apparenza, in Enc. dir., vol. II, Milano, s. d., ma 1958, 685 ss., ad avviso del quale «si parla, appunto, di apparenza giuridica, di apparenza del diritto, di apparenza della situazione giuridica, o, infine, con espressione appositamente modellata, di apparentia iuris», quando l’apparenza è «relativa ad una situazione giuridica e più particolarmente a un diritto soggettivo».
Secondo l’Autore, «una situazione giuridica appare esistente mentre in realtà esistente non è e questo suo apparire e non essere mette in gioco interessi umani di rilievo che la legge non può ignorare».
«Si può osservare», prosegue l’Autore, «partendo dalla immediata suggestione etimologica del termine, che l’apparenza è un apparire, l’apparire dell’irreale come reale – dove è chiaro che l’apparire, in quanto denominatore universale dei fenomeni, è una categoria molto più ampia dell’apparenza, potendosi dare, per esempio, oltre l’apparire dell’irreale come reale, l’apparire del reale come reale, l’apparire dell’irreale come irreale, e anche un apparire neutro, indifferente ad ogni realtà o irrealtà. Ma per entrare senz’altro nel giro dei concetti utili alla presente esposizione, è soprattutto importante dire che l’apparenza non è un apparire opaco, un puro fatto che rivela soltanto se stesso, giacché un fenomeno che si limita a rivelare se stesso non può mai essere apparente: esso si dà per quello che è; solo quando un fenomeno oltre se stesso fa apparire un altro fenomeno, e lo fa apparire come reale mentre è irreale, sorge l’apparenza. Questo ci mette sull’avviso che l’apparenza ha una struttura complessa. Essa è – diciamo per ora vagamente – un quid relazionale: il suo apparire è piuttosto un trasparire, l’apparire di un fenomeno attraverso un altro fenomeno».
«L’apparenza come situazione di fatto che manifesta e fa apparire reale una situazione giuridica non reale», peraltro, conclude l’Autore, «non può ricorrere se non quando si abbia una situazione capace di spiegare forza segnalatrice di realtà. Non possono pertanto dare luogo ad ipotesi di apparenza quei fatti che sono caratterizzati da una struttura opaca e che perciò non sono in grado di segnalare alcunché, al di fuori della propria esistenza».
In generale, sull’apparenza giuridica, si legga, inoltre, G. Stolfi, L’apparenza del diritto, Modena, 1934, passim.
V., altresì: N. Imarisio, L’apparenza del diritto. Profili pratici ed applicazioni giurisprudenziali, Milano, 2015, passim; F. Venosta, Dichiarazioni inviate o pervenute in fotocopia, principio di apparenza e conclusione del contratto, in Giust. civ., 2016, 79 ss.
[17] Al riguardo, si veda A. Falzea, voce Apparenza, cit., 682 ss.
Sul punto, v., inoltre, L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, nota a Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, in Contratti, 2021, 645.
[18] Al riguardo, si veda A. Falzea, voce Apparenza, cit., 691 ss., il quale precisa: «Mentre la situazione manifestante può essere costituita da un qualsiasi fatto, la situazione manifestata – che appare, ma non è reale – è costituita di necessità da una situazione giuridica: normalmente dalla titolarità di un diritto soggettivo. Ciò non significa che il falso rinvio, operato dalla situazione generatrice di apparenza, non possa riguardare un’altra situazione di fatto: si tratterà però di un fatto giuridico, che viene in considerazione esclusivamente per gli effetti che produce, sicché in definitiva si farà capo sempre ad una situazione giuridica. In ciò peraltro sta una delle fondamentali ragioni della rilevanza per il diritto del fenomeno dell’apparenza, perché la realtà giuridica sfugge di norma alla possibilità di un sicuro accertamento e richiede comunque indagini lunghe e complesse. Difatti i casi di apparenza che la legge prevede e disciplina sono quelli in cui questo accertamento presenta maggiori difficoltà. Poiché a sua volta la titolarità dei diritti soggettivi influisce direttamente sulla legittimazione del soggetto, la situazione giuridica che in virtù dell’apparenza sembra esistente è una situazione di legittimazione. Il collegamento tra apparenza e legittimazione – che vale a delimitare rigorosamente lo àmbito entro il quale opera il fenomeno – è indicato dalla stessa legge, la quale definisce creditore apparente colui che “appare legittimato” a ricevere il pagamento in base a circostanze univoche (art. 1189 cod. civ.), mentre altre volte parla di “titolare apparente” (così negli artt. 1415 e 1416 cod. civ.). Si tratterà, ovviamente, di legittimazione apparente – lo sottolinea testualmente l’art. 1189 cod. civ. – come apparente è la titolarità del relativo diritto soggettivo: titolarità e legittimazione che circostanze di fatto fanno apparire esistenti mentre non esistono nella realtà giuridica».
In proposito, cfr. anche L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 646.
[19] Per un efficace esame di sintesi della disciplina dell’erede apparente, si veda G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2022, XI ed., 145 ss. V., inoltre, E. Bargelli, L’erede apparente, in Tratt. dir. delle successioni e donazioni, dir. da G. Bonilini, vol. I, La successione ereditaria, Milano, s. d., ma 2009, 1473 ss., ivi, numerosi richiami.
[20] Si veda L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 646.
In tema, v., inoltre, S.T. Barbaro, Il creditore apparente, Napoli, 2023, 11 ss., ivi numerosi richiami dottrinali, la quale ricomprende, tra le fattispecie di apparenza del diritto, anche l’ipotesi, di derivazione giurisprudenziale, della conclusione dell’affare con il rappresentante apparente.
[21] In tal senso, si veda A. Falzea, voce Apparenza, cit., 685, secondo il quale, nell’apparenza, «la tutela del terzo è resa necessaria dalla mancanza di un documento o titolo formale, e deve poggiare perciò necessariamente su una situazione di buona fede specificamente giustificata da una situazione di fatto oggettivamente capace di trarre in inganno qualsiasi terzo. Questa è appunto la ragione giustificatrice della sua utilità. Il suo àmbito di applicazione risulta indubbiamente più ristretto, ma entro questo àmbito si spiega un autonomo istituto giuridico, e il termine apparenza non perde ogni significato proprio, come avviene quando sta a designare, senza nessuna essenziale necessità, il modo di operare del formalismo rispetto ai terzi».
Riguardo all’affidamento, si legga, inoltre, R. Sacco, voce Affidamento, in Enc. dir., vol. I, Milano, s. d., ma 1957, 662, per il quale «si giunse così alla formulazione di un principio generale (cosiddetto principio dell’apparenza) secondo cui: tutte le volte che un soggetto crea per fatto proprio un’apparenza giuridica a sé sfavorevole non può opporre il vero stato di fatto e di diritto, difforme dall’apparenza, al terzo che abbia confidato (variante: che abbia confidato senza propria colpa) nell’apparenza ingannevole».
[22] In questi termini, v. A. Falzea, voce Apparenza, cit., 682 ss., ad avviso del quale: «L’esigenza di rendere più spedite le varie forme di circolazione giuridica dei beni con l’estendersi del commercio e dei traffici e con l’intensificarsi del ritmo dei rapporti economici, ha imposto nei tempi moderni una rafforzata tutela dei terzi e, per converso, una minore garanzia dei diritti preesistenti e delle situazioni giuridiche precostituite».
[23] Sul punto, si veda S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 11.
[24] Così, L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 646.
[25] Si esprimono, in questi termini, L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 646.
Sul tema, v. anche S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 16, la quale precisa che, nell’apparenza «pura», «è sufficiente che l’errore sia causato dalla situazione di fatto che manifesta la situazione irreale», là dove, nell’apparenza «colposa», «è necessario che l’errore nel quale incorre il soggetto sia provocato da un comportamento doloso o colposo del reale titolare del diritto».
[26] Nel senso che l’apparentia iuris disciplinata dall’art. 1189, comma 1, cod. civ. vada intesa nella sua accezione «pura» od «oggettiva», v. A. Falzea, voce Apparenza, cit., 693, secondo il quale «il carattere oggettivo dell’apparenza è messo in forte rilievo soprattutto nell’art. 1189 c.c.», in cui «risulta evidente anzitutto la struttura dell’apparenza», atteso che «vi è un fenomeno manifestato (apparire legittimato a ricevere il pagamento), un fenomeno manifestante (le circostanze univoche) e un legame puramente oggettivo (in base a) per cui il secondo fenomeno manifesta il primo alla stregua delle normali regole e connessioni dell’esperienza».
Nello stesso senso, si vedano: C.A. Cannata, L’adempimento delle obbligazioni, cit., 113; L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 645, per i quali, «la buona fede del debitore sarebbe da valutarsi con esclusivo riferimento alla diligenza di quest’ultimo, in ossequio ad un principio di “responsabilità” – o “autoresponsabilità” – dell’apparente creditore».
[27] Sul punto, v., infra, par. 7.
[28] Sull’argomento, si vedano, almeno: A. Falzea, voce Apparenza, cit., 693; R. Nicolò, voce Adempimento, cit., 561; M. Giorgianni, voce Creditore apparente, in Noviss. Dig. it., vol. IV, Torino, s. d., ma 1959, 1156 ss.; M. Colombatto, voce Creditore apparente, in Dig. disc. priv., Sez. civ., vol. V, Torino, s. d., ma 1989, 36 ss.; A. Di Majo, Dell’adempimento in generale. Artt. 1177-1200, cit., 272 ss.; F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, in Contr. impr., 1999, 676 ss.; C.A. Cannata, L’adempimento delle obbligazioni, cit., 113 ss.; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 167 ss.; C. Adriano, Pagamento al creditore apparente, in Trattato delle obbligazioni, dir. da L. Garofalo-M. Talamanca, La struttura e l’adempimento, t. V, La liberazione del debitore, a cura di M. Talamanca-M. Maggiolo, Padova, 2010, 355 ss.; E. Damiani, Commento all’art. 1189 cod. civ. Pagamento al creditore apparente, in Comm. Cod. civ., dir. da E. Gabrielli, Delle obbligazioni, a cura di V. Cuffaro, vol. I, Artt. 1173-1217, Torino, 2012, 468 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 101 ss.
[29] Al riguardo, v., almeno: M. Giorgianni, voce Creditore apparente, cit., 1156, il quale, puntualmente, precisa che «il riferimento al “possesso del credito” ed alla “evizione” era connesso alla origine della norma, sorta probabilmente per regolare l’ipotesi del pagamento fatto a colui che si trovava nel possesso dei documenti del credito, a titolo di successione mortis causa (erede o legatario apparente), ovvero in virtù di una cessione invalida»; A. Di Majo, Dell’adempimento in generale. Artt. 1177-1200, cit., 272 ss., il quale rammenta: «Sconosciuta al Diritto romano, la regola che sancisce l’efficacia liberatoria del pagamento al creditore “apparente” trae il suo riconoscimento dai giuristi del secolo XVII e, dopo avere incontrato l’autorevole avallo del Pothier, è recepita nel code civil (art. 1240). Essa trascorre telle quelle nel nostro codice abrogato del 1865 (art. 1242)».
Anche M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 108 ss., ricorda che la formula dell’art. 1242 cod. civ. 1865 ricalcava quella dell’art. 1240 del Codice civile francese.
[30] Si veda la Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Codice civile del 1942, n. 563, 118, consultabile sul sito www.consiglionazionaleforense.it.
Sul punto, v. anche: A. Di Majo, Dell’adempimento in generale. Artt. 1177-1200, cit., 273 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 110.
[31] Si esprime, in questi termini, la Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Codice civile del 1942, n. 563, 118, cit.
V., inoltre: A. Di Majo, Dell’adempimento in generale. Artt. 1177-1200, cit., 273 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 110.
Per alcuni spunti comparatistici, si legga M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 110 ss., la quale rammenta, fra l’altro, che la medesima opzione, impiegata dall’art. 1189 cod. civ., è stata seguita, di recente, anche dal legislatore francese, il quale, con la Riforma del 2016, «ha ritenuto preferibile modificare il precedente dettato e sancire la validità del pagamento eseguito in buona fede “à un créancier apparent” (art. 1342-3) senz’altro aggiungere».
[32] Nel senso che, nell’ipotesi del pagamento al creditore apparente, prevista dall’art. 1189, comma 1, cod. civ., si verifichi «una scissione tra il momento dell’attuazione dell’obbligo del creditore e quello della realizzazione del diritto del creditore», si veda R. Nicolò, voce Adempimento, cit., 561.
V., inoltre: M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 103; C. Nobili, Le obbligazioni, cit., 44.
[33] Sul punto, v. F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 676.
[34] Al riguardo, si vedano: R. Nicolò, voce Adempimento, cit., 561, secondo il quale, la validità del pagamento al creditore apparente «trova fondamento nella necessità di procurare la liberazione al debitore che abbia attuato il contenuto dell’obbligo, rivolgendo la sua attività verso chi appariva all’esterno in possesso dei requisiti normalmente idonei a giustificare la legittimazione a ricevere la prestazione del debitore»; L. Bigliazzi Geri, Osservazioni in tema di buona fede e diligenza nel pagamento al creditore apparente, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1968, 1314; F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 676; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 170; C. Nobili, Le obbligazioni, cit., 45.
V., inoltre, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, nota a Trib. Milano, 4 aprile 2022, n. 2950, in Resp. civ. prev., 2023, 271 ss.
Secondo M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 106 ss., il legislatore avrebbe optato «per un riassestamento dell’equilibrio tra le parti del vinculum iuris a vantaggio del debitore, in funzione della preminente esigenza non solo (e non tanto) di tutelare il legittimo affidamento del soggetto passivo», «quanto piuttosto di non gravare irragionevolmente la posizione della parte passiva che nella vicenda esecutiva ha tenuto un comportamento ineccepibile. Tale giudizio discende dalla considerazione delle circostanze oggettive in cui il pagamento si è svolto, dell’esattezza della prestazione eseguita in base ai parametri contenutistici, temporali, spaziali rilevanti, e della conformità dello sforzo debitorio al canone di diligenza scolpito all’art. 1176 c.c.».
[35] Per un approfondimento del contenuto della diligenza nell’adempimento, sia sufficiente il richiamo a G. Sicchiero, Dell’adempimento. Artt. 1176 -1179, in Cod. civ. Comm., fondato e già diretto da P. Schlesinger e continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2016, 4 ss.
[36] In questi termini, v. P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 271.
Sul punto, v. anche: G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 170; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 106; C. Nobili, Le obbligazioni, cit., 45.
[37] Così, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 271 ss.
[38] Al riguardo, si veda M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 106.
[39] Sul punto, v. M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 102 ss.
[40] Sulle quali, si soffermerà l’attenzione nel prosieguo; v., infra, parr. 5 e 6.
[41] Sul punto, v., almeno, M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 103, la quale precisa che, per il creditore, «la realizzazione del programma obbligatorio è rimessa non al tempo e all’atto di adempimento del solvens, bensì alla restituzione della prestazione da chi l’ha ricevuta senza esservi legittimato a farlo: soggetto sul quale, pertanto, devia la pretesa creditoria».
[42] Al riguardo, si vedano: M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 112 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 18 ss.
[43] Si confronti M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 113, la quale rammenta: «la regola non opera rispetto a beni immobili o beni mobili registrati se l’acquisto a titolo di erede e l’acquisto dall’erede apparente non siano stati trascritti prima della trascrizione dell’acquisto da parte dell’erede o del legatario veri o prima della trascrizione della domanda giudiziale contro l’erede apparente. L’erede apparente, pertanto, si presenta nel traffico giuridico quale putativo titolare del diritto di credito intestato al de cuius, sicché ove riceva la prestazione dal solvens in buona fede, nel concorso delle altre condizioni dell’art. 1189, si determinano i presupposti per la liberazione di quest’ultimo».
La stessa richiama, altresì, l’art. 69 del Regolamento UE n. 650/2012, i cui parr. 3 e 4, in tema di effetti del certificato successorio europeo, dispongono: «Chiunque, agendo sulla base delle informazioni attestate in un certificato, esegua pagamenti o consegni beni a una persona indicata nel certificato come legittimata a ricevere pagamenti o beni, è considerato aver agito con una persona legittimata a ricevere pagamenti o beni, a meno che sappia che il contenuto del certificato non corrisponde al vero o che il fatto di non saperlo derivi da colpa grave. Se una persona menzionata nel certificato come legittimata a disporre di beni ereditari dispone di tali beni a favore di un’altra persona, si considera che quest’ultima, ove agisca sulla base delle informazioni attestate nel certificato, abbia acquistato da una persona avente il potere di disporre dei beni in questione, a meno che sappia che il contenuto del certificato non corrisponde al vero o che il fatto di non saperlo derivi da negligenza grave».
Sulla disciplina dell’erede apparente, si veda, almeno, G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 145 ss.
[44] In generale, sulla cessione del credito, v., almeno: P. Perlingieri, Della cessione dei crediti. Artt. 1260 – 1267, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja-G. Branca, Bologna-Roma, 1982 (ristampa, Napoli, 2010), passim; U. Stefini, La cessione del credito, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo, già dir. da L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger-V. Roppo-F. Anelli, vol. XI, Le obbligazioni, Milano, 2020, passim.
Sul tema, si vedano anche A. Natale, La circolazione del credito nelle procedure concorsuali, Milano, 2018, passim; A. Natale, Le vicende traslative del credito, Milano, 2020, passim, ivi, numerosi richiami dottrinali e giurisprudenziali.
[45] Sul punto, v., almeno: M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 115; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 19 ss.
[46] Si vedano: M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 115; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 27 ss.
[47] Cfr. M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 114.
[48] In questi termini, v. M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 114.
[49] Si confronti M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 114, la quale richiama, inoltre, l’art. 46 del R.D. n. 1169/1933 e gli artt. 38 e 45 del r.d. n. 1736/1933.
[50] Sul punto, v. M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 115 ss.
[51] Al riguardo, si vedano: R. Nicolò, voce Adempimento, cit., 561; A. Falzea, voce Apparenza, cit., 693 ss.; M. Giorgianni, voce Creditore apparente, cit., 1156; A. Di Majo, Dell’adempimento in generale. Artt. 1177-1200, cit., 272 ss.; F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 676 ss.; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 167 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 117 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 17 ss.
[52] Si esprimono, in tal senso: R. Nicolò, voce Adempimento, cit., 561; A. Falzea, voce Apparenza, cit., 693 ss.; M. Giorgianni, voce Creditore apparente, cit., 1156; A. Di Majo, Dell’adempimento in generale. Artt. 1177-1200, cit., 272 ss.; F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 679; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 167 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 137 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 17 ss.
[53] Si vedano, ancóra: R. Nicolò, voce Adempimento, cit., 561; A. Falzea, voce Apparenza, cit., 693 ss.; M. Giorgianni, voce Creditore apparente, cit., 1156; A. Di Majo, Dell’adempimento in generale. Artt. 1177-1200, cit., 272 ss.; F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 679; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 167 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 137 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 17 ss.
[54] Sul punto, v. F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 679 ss., il quale precisa: «Argomentare diversamente, a valutare l’idoneità dell’apparenza prendendo come parametro di riferimento la valutazione soggettiva del solvens, significherebbe, oltre che andare contro il tenore letterale della norma, dilatarne a dismisura la sua applicazione in quanto ogni errore, afferendo ad un fatto intellettivo, può essere ricondotto alle personali e soggettive valutazioni del debitore». L’Autore precisa, inoltre, che «per circostanze univoche debba intendersi l’obiettiva situazione di apparenza da cui il solvens trae il proprio convincimento sull’altrui legittimazione».
Si veda, però, anche S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 52 ss., secondo la quale: «L’apprezzamento delle circostanze che manifestano una situazione inesistente è, per sua natura, dotato di una carica soggettiva che ne inibisce una oggettivizzazione, giacché non possono non venire in rilievo peculiarità attinenti, principalmente, alle qualità soggettive delle parti e agli interessi coinvolti nel singolo rapporto obbligatorio. Lo ha avvertito lo stesso legislatore, regolamentando specifiche ipotesi di pagamento al creditore apparente in maniera tale da apprestare tutela al solvens che rivesta qualità tali da rendere maggiormente meritevole di tutela il suo interesse alla liberazione», come sarebbe a dirsi, a titolo di esempio, in relazione all’art. 2559 cod. civ., in tema di crediti relativi all’azienda ceduta. Invero, «in assenza di detta previsione e aderendo alla ricostruzione che subordina l’applicazione della tutela ex art. 1189 c.c. alla presenza di circostanze oggettive idonee a indurre in errore l’uomo medio, probabilmente l’interprete negherebbe tutela al solvens che abbia pagato al cedente/creditore originario, essendo la preventiva pubblicità una circostanza oggettivamente in grado di escludere la situazione di apparenza».
[55] In questi termini, cfr. S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 51 ss.
[56] Si veda G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 168.
[57] In tal senso, v. M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 137, la quale rimarca: «L’univocità (delle circostanze) è connotato che, a seconda delle peculiarità del caso concreto, emerge da indizi positivi, rilevanti e chiari, che unitariamente considerati asseverano la verosimiglianza della situazione apparente. In altre evenienze può risultare in negativo come assenza di evidenze che contrastino la conclamata inferenza di legittimazione a ricevere dell’accipiente. Lo scrutinio si fonda sugli elementi esteriori della fattispecie, in quanto tali oggettivi, che, in modo preciso, concorde, inequivoco significano la sussistenza della legittimazione a ricevere nell’accipiente (putativo)».
[58] Sul punto, si veda M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 138, ivi, numerose esemplificazioni.
[59] In tal senso, v. M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 145 ss., ad avviso della quale, nella prassi applicativa, circostanze univoche, atte a fondare una situazione di apparente legittimazione a ricevere il pagamento, sono state rinvenute, a titolo di esempio: nei legami familiari e affettivi esistenti tra il vero creditore e l’accipiens; nella ripetuta prassi di pagamenti, effettuati dal solvens, nelle mani di un soggetto apparentemente incaricato dal creditore a riscuoterli, tutti andati a buon fine, e nell’assenza di rilievi mossi dal creditore in ordine alla loro regolarità; in consolidati rapporti commerciali, nell’arco dei quali l’accipiente ha agito quale incaricato del vero creditore; etc.
[60] Al riguardo, si vedano, almeno: A. Falzea, voce Apparenza, cit., 693; M. Giorgianni, voce Creditore apparente, cit., 1156 ss.; F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 683 ss.; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 168; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 149 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 56 ss.
V., inoltre, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 270 ss.
[61] Per alcune considerazioni generali circa il concetto di buona fede, si vedano, almeno: P. Rescigno, L’abuso del diritto (Una significativa rimeditazione delle Sezioni Unite), in Corr. giur., 2008, 745 ss.; F. Benatti, La clausola generale di buona fede, in Banca, borsa, titoli di credito, 2009, 241 ss.; M. Orlandi, Contro l’abuso del diritto, in Riv. dir. civ. 2010, 157 ss.; G. Vettori, L’abuso del diritto. Distingue frequenter, in Obbl. e contr., 2010, 166 ss.; A. Gentili, L’abuso del diritto come argomento, in Riv. dir. civ., 2012, 297 ss.; R. Sacco, voce Abuso del diritto, in Dig. Disc. priv., Sez. civ., Agg., vol. VII, Torino, s. d., ma 2012, 1 ss.; G. Alpa, Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario e sui suoi riflessi negli ordinamenti degli Stati Membri, in Contr. e impr., 2015, 245 ss.; G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, passim; G. Perlingieri, Ragionevolezza e bilanciamento nell’interpretazione recente della Corte costituzionale, in Riv. dir. civ., 2018, 716 ss.; L. Balestra, Rilevanza, utilità (e abuso) dell’abuso del diritto, Riv. dir. civ., 2017, 541 ss.; N. Lipari, Ancora sull’abuso del diritto. Riflessioni sulla creatività della giurisprudenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 1 ss.; N. Cipriani, Buona fede e interpretazione, in Princìpi, clausole generali, argomentazione e fonti del diritto, a cura di F. Ricci, Milano, 2018, 407 ss.; L. Ghidoni, Atti emulativi e abuso del diritto: l’occasione per l’affermazione di un principio?, in Studium iuris, 2014, 676 ss.
[62] Sul punto, v.: M. Giorgianni, voce Creditore apparente, cit., 1156, ad avviso del quale, la «buona fede», prevista dall’art. 1189, comma 1, cod. civ., «non riguarda la semplice ignoranza, ovverosia la concreta credenza che l’accipiens sia veramente legittimato a ricevere il pagamento, ma riguarda invece l’ignoranza incolpevole, fondata cioè su di un errore scusabile»; F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 680, il quale sottolinea «come per errore scusabile debba intendersi l’errore comune (è noto il brocardo error communis facit ius) riferibile ad una collettività astratta di soggetti, i quali, pur facendo ricorso ai normali criteri di diligenza e prudenza (o a quella diversa richiesta dal tipo di attività prestata, art. 1176, comma 2, cod. civ.) nell’accertare la realtà di una determinata situazione giuridica, sono stati tratti in inganno in quanto tale realtà non era obiettivamente riconoscibile. Il giudizio sulla scusabilità va dunque condotto in base all’id quod plerumque accidit, essendo invece irrilevanti le motivazioni soggettive che in una determinata circostanza hanno spinto il debitore a confidare nella situazione di apparenza, ritenendo legittimato chi legittimato non è. L’errore di percezione della realtà deve pertanto essere riconducibile a tutta la categoria dei debitori che potenzialmente avrebbero potuto trovarsi nella situazione virtuale»; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 168, ad avviso del quale: «La sola apparenza quale situazione di fatto, ossia la divergenza tra l’apparire e l’essere, non ha di per sé forza legittimante e deve essere integrata dall’elemento soggettivo ossia dalla rappresentazione che di essa si faccia il debitore in buona fede che esegue il pagamento nell’erronea convinzione che lo stato di fatto rispecchi la realtà giuridica. Il fenomeno dell’apparenza è quindi collegato necessariamente a quello dell’errore scusabile»; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 150 ss., secondo la quale, lo stato psicologico in esame, a confronto con la realtà, può essere qualificato «alla stregua di errore, inteso come falsa rappresentazione o ignoranza circa l’effettiva titolarità della legittimazione a ricevere nella fattispecie concreta in capo all’uno o ad altro soggetto».
Sul punto, v., altresì, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 270.
Riguardo all’errore, in generale, si legga, almeno, G. Perlingieri, Riccardo Fubini e «la dottrina dell’errore in diritto civile italiano», in Rass. dir. civ., 2022, 1673 ss.
[63] In tal senso, v.: A. Falzea, voce Apparenza, cit., 693; M. Giorgianni, voce Creditore apparente, cit., 1156 ss.; F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 683 ss.; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 168; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 150 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 56 ss.
Cfr., inoltre, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 270 ss.
[64] In questi termini, v. P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 270.
Sul punto, v., inoltre: M. Giorgianni, voce Creditore apparente, cit., 1156; F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 683 ss.; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 168; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 150 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 56 ss.
In giurisprudenza, si veda, almeno, Cass. civ., 4 giugno 2013, n. 14028, in One Legale.
[65] In tal senso, si confronti, almeno, F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 683, per il quale, la definizione, fornita dall’art. 1147 cod. civ., seppure sia formulata unicamente in tema di possesso, può valere «per tutte le ipotesi in cui si fa riferimento alla buona fede, essendo applicazione di un principio generale».
[66] Al riguardo, si veda S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 56 ss.
V., inoltre, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 270.
[67] Si esprime, in questi termini, S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 56 ss., ad avviso della quale: «la buona fede oggettiva, coincidente con il dovere di correttezza, integra una clausola generale idonea ad arricchire il contenuto del rapporto obbligatorio, così da determinare la condotta in concreto esigibile ai soggetti coinvolti e garantire la soddisfazione degli interessi di cui gli stessi sono portatori; la buona fede oggettiva – espressione del principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 cost. – consente di conformare le condotte delle parti ai valori dell’ordinamento (ma anche – come si vedrà – alle tendenze legislative affermatesi in un determinato contesto storico) e a delimitarne i confini, partecipando in via diretta alla definizione del contenuto del rapporto obbligatorio».
Sulla distinzione, tra buona fede “soggettiva” e buona fede “oggettiva”, v., diffusamente, A. Nicolussi, Le obbligazioni, Padova, 2021, 43 ss.
[68] Al riguardo, si veda, almeno, F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 683, il quale precisa: «l’atto in grado di danneggiare il vero creditore è quello solutorio, ed è quindi a quel momento che bisogna far riferimento per valutare lo stato psicologico del debitore».
[69] Si vedano: M. Giorgianni, voce Creditore apparente, cit., 1156; F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 680; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 168; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 150 ss.
V., altresì, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 270.
In giurisprudenza, v.: Cass. civ., 25 gennaio 2018, n. 1869, in One Legale; Cass. civ., 21 settembre 2021, n. 25509, in One Legale.
[70] In tal senso, si vedano: M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 151 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 62 ss., la quale precisa: «È il dovere di diligenza, inteso quale “criterio di responsabilità”, che consente di valutare la conformità del comportamento del debitore a quello dovuto, nel senso che consente di decidere circa l’imputabilità all’obbligato della causa che ha condotto all’inadempimento e di conseguenza la responsabilità del debitore nei confronti del creditore effettivo. L’elemento discriminante a tal fine è l’avere o meno il debitore adottato la diligenza del “buon padre di famiglia”».
[71] Cfr. S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 71.
[72] Sul punto, v. M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 153.
In giurisprudenza, v.: Cass. civ., 4 marzo 1993, n. 2645, in One Legale; Cass. civ., 11 febbraio 1998, n. 1386, in One Legale.
[73] Si confronti, in proposito, M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 153 ss., ad avviso della quale: «l’apparenza arriva fin dove non v’è conoscenza della realtà, elemento, quest’ultimo, che non può coesistere con la buona fede».
[74] In questi termini, v. S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 70, secondo la quale, le due figure di buona fede (“oggettiva” e “soggettiva”) entrerebbero in correlazione.
[75] Così, S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 72 ss., ad avviso della quale sono idonei a fondare il convincimento del debitore, di agire secondo diritto, e a giustificare, quindi, l’applicazione della tutela in esame, a titolo di esempio, tutti quegli atti di “tolleranza”, compiuti dal creditore precedentemente all’adempimento, capaci di ingenerare nel debitore la convinzione che un determinato soggetto sia legittimato a ricevere la prestazione oggetto dell’obbligazione.
[76] Al riguardo, v., diffusamente, S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 83 ss.
[77] Sul punto, si veda A. Falzea, voce Apparenza, cit., 690.
[78] In questi termini, si veda G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 168.
[79] Per un approfondimento, si rinvia a S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 96 ss.
[80] Sul punto, v., almeno: M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 156 ss.
V., inoltre, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 271.
[81] Si esprime, in questi termini, M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 158.
Nello stesso senso, si veda anche P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 271.
Sulle presunzioni, v., per tutti, S. Patti, Note in tema di presunzioni semplici, cit., 891 ss.
[82] Sulla questione, si vedano, almeno: A. Falzea, voce Apparenza, cit., 700; R. Nicolò, voce Adempimento, cit., 561 ss.; M. Giorgianni, voce Creditore apparente, cit., 1157; F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 684 ss.; G. Bozzi, Comportamento del debitore e attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 171; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 132 ss.; A. D’Adda, Pagamento al creditore apparente ed al rappresentante apparente: un orientamento giurisprudenziale sempre ambiguo, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 1356 ss.; L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 646 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 30 ss.
V., inoltre: G. Leandri, Il pagamento nelle mani del falsus procurator del creditore, in Persona e mercato, 2018, 4 ss.; P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 272 ss.
[83] Al riguardo, si vedano: Cass. civ., 25 febbraio 1953, n. 457, in Riv. dir. comm., 1953, II, 118 ss., con nota di L. Mengoni, Ancora in tema di pagamento al falsus procurator; Cass. civ., 9 maggio 1955, n. 1326, in Foro it., 1955, I, 1322 ss.; Cass. civ., 26 settembre 1955, n. 2633, in Giust. civ., 1955, I, 1612 ss.
[84] Si vedano, in particolare: M. Stolfi, Sul pagamento al falsus procurator, nota ad App. Milano, 22 luglio 1958, in Banca, borsa, titoli di credito, 1959, 64 ss.; L. Mengoni, Ancora in tema di pagamento al falsus procurator, nota a Cass. civ., 25 febbraio 1953, n. 457, in Riv. dir. comm., 1953, II, 118 ss.
[85] V., supra, par. 2.
[86] In giurisprudenza, si vedano: Cass. civ., 25 febbraio 1953, n. 457, cit.; Cass. civ., 9 maggio 1955, n. 1326, cit.; Cass. civ., 26 settembre 1955, n. 2633, cit.
Per la dottrina, v.: M. Stolfi, Sul pagamento al falsus procurator, cit., 64 ss.; L. Mengoni, Ancora in tema di pagamento al falsus procurator, cit., 118 ss.
[87] Sul punto, si confrontino: Cass. civ., 19 maggio 1947, n. 762, in Giur. compl. Cass. civ., 1947, III, 644 ss.; Cass. civ., 9 agosto 1968, n. 2839, in Giust. civ. rep., 1968, voce Obbligazioni e contratti, 379 ss.; Cass. civ., 16 gennaio 1979, n. 309, in Giust. civ. rep., 1979, voce Obbligazioni e contratti, 266 ss.; Cass. civ., 24 settembre 1986, n. 5741, in One Legale; Cass. civ., 4 dicembre 1992, n. 12921, in One Legale; Cass. civ., 19 febbraio 1993, n. 2020, in One Legale; Cass. civ., 18 maggio 2012, n. 7916, in One Legale; Cass. civ., 5 aprile 2016, n. 6563, in One Legale; Cass. civ., 21 giugno 2022, n. 19930, in One Legale.
[88] Al riguardo, si vedano: R. Nicolò, voce Adempimento, cit., 561; M. Giorgianni, voce Creditore apparente, cit., 1157; F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 686 ss.; C.A. Cannata, L’adempimento delle obbligazioni, cit., 116 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 125 ss.; A. D’Adda, Pagamento al creditore apparente ed al rappresentante apparente: un orientamento giurisprudenziale sempre ambiguo, cit., 1356 ss.; L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 646 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 32 ss.
V., inoltre: G. Leandri, Il pagamento nelle mani del falsus procurator del creditore, cit., 4 ss.; P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 273.
[89] In questi termini, si veda C.A. Cannata, L’adempimento delle obbligazioni, cit., 116.
[90] In tal senso, si veda, espressamente, M. Giorgianni, voce Creditore apparente, cit., 1157, ad avviso del quale: «Nell’insanabile contrasto tra le due formule, a noi sembra che debba darsi prevalenza a quella adoperata nel contenuto della disposizione, la quale attribuisce alla norma un significato che la lega sistematicamente al precedente art. 1188. Se, invero, il pagamento – che di solito deve essere effettuato al titolare del diritto, ovverosia al creditore – può e anzi deve, in certi casi, essere effettuato ad una persona diversa, la quale è semplicemente “legittimata a riceverlo”, ci sembra giusto che alla “apparenza” della titolarità del credito non possa attribuirsi diverso trattamento rispetto alla “apparenza” della, più generale, legittimazione a ricevere l’adempimento. Il fondamento della disciplina del pagamento fatto all’”apparente” creditore – ovverosia la tutela del solvens di buona fede – impone che la medesima disciplina venga estesa a tutte le ipotesi in cui il pagamento venga effettuato all’apparente legittimato a ricevere».
[91] Cfr., sul punto, F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 688.
[92] Si veda F. Camilletti, Il pagamento al creditore apparente, cit., 688.
V., inoltre, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 273.
[93] In tal senso, si vedano, in luogo di tante: Cass. civ., 22 maggio 1990, n. 4595, in One Legale; Cass. civ., 3 settembre 2005, n. 17742, in One Legale; Cass. civ., 9 agosto 2007, n. 17484, in One Legale; Cass. civ., 13 settembre 2012, n. 15339, in One Legale; Cass. civ., 4 giugno 2013, n. 14028, in One Legale; Cass. civ., 11 settembre 2013, n. 29847, in One Legale; Cass. civ., 25 gennaio 2018, n. 1869, in One Legale; Cass. civ., 19 aprile 2018, n. 9758, in One Legale; Cass. civ., 15 giugno 2020, n. 11442, in One Legale; Cass. civ., 21 settembre 2021, n. 25509, in One Legale.
Per la giurisprudenza di merito, si vedano, almeno: Trib. Bari, 30 gennaio 2018, n. 498, in One Legale; Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, in Contratti, 2021, 641 ss., con nota di L. Castelli, C. Bosco, P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit.; Trib. Marsala, 30 luglio 2021, n. 587, in One Legale.
[94] Si esprimono, in questi termini, fra le altre: Cass. civ., 22 maggio 1990, n. 4595, cit.; Cass. civ., 9 agosto 2007, n. 17484, cit.; Cass. civ., 13 settembre 2012, n. 15339, cit.; Cass. civ., 25 gennaio 2018, n. 1869, cit.
[95] Per una critica al più recente orientamento giurisprudenziale, da ultimo evocato, si vedano: M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 133 ss.; A. D’Adda, Pagamento al creditore apparente ed al rappresentante apparente: un orientamento giurisprudenziale sempre ambiguo, cit., 1359 ss.; L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 650 ss.; P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 276 ss.
[96] In tal senso, si vedano: M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 133 ss.; A. D’Adda, Pagamento al creditore apparente ed al rappresentante apparente: un orientamento giurisprudenziale sempre ambiguo, cit., 1359 ss.; L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 650 ss.; P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 276 ss.
[97] V., supra, parr. 5 e 6.
[98] Sul punto, si veda, per tutti, S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 72 ss.
[99] Così, A. D’Adda, Pagamento al creditore apparente ed al rappresentante apparente: un orientamento giurisprudenziale sempre ambiguo, cit., 1360.
[100] Si esprime, in questi termini, A. D’Adda, Pagamento al creditore apparente ed al rappresentante apparente: un orientamento giurisprudenziale sempre ambiguo, cit., 1360.
[101] Si vedano: Cass. civ., 3 settembre 2005, n. 17742, cit.; Cass. civ., 4 giugno 2013, n. 14028, cit.; Cass. civ., 11 settembre 2013, n. 29847, cit.; Cass. civ., 19 aprile 2018, n. 9758, cit.; Cass. civ., 15 giugno 2020, n. 11442, cit.; Cass. civ., 21 settembre 2021, n. 25509, cit.
Per la giurisprudenza di merito, si vedano, almeno: Trib. Bari, 30 gennaio 2018, n. 498, cit.; Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, cit.
[102] Sul punto, si legga, almeno, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 278.
[103] In questi termini, v.: Cass. civ., 3 settembre 2005, n. 17742, cit.; Cass. civ., 4 giugno 2013, n. 14028, cit.; Cass. civ., 11 settembre 2013, n. 29847, cit.; Cass. civ., 19 aprile 2018, n. 9758, cit.; Cass. civ., 15 giugno 2020, n. 11442, cit.; Cass. civ., 21 settembre 2021, n. 25509, cit.
Nella giurisprudenza di merito, v.: Trib. Bari, 30 gennaio 2018, n. 498, cit.; Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, cit.
[104] Merita di essere ricordato, in via incidentale e senza pretesa di completezza, come le frodi informatiche abbiano ricevuto attenzione anche da parte del legislatore penale, il quale ne ha espressamente sancito la punibilità all’interno del Codice penale (art. 640-ter cod. pen.).
[105] Al riguardo, si vedano, almeno, L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 648.
Allorquando i messaggi non soltanto rechino la corretta denominazione dell’istituto di credito, ma si inseriscano, altresì, nella conversazione contenente messaggi genuini e autentici, effettivamente provenienti dall’istituto di credito medesimo, si è in presenza del fenomeno conosciuto con il nome di «spoofing»: sul punto, cfr., almeno, Arbitrato Bancario Finanziario, Collegio di Roma, Decisione n. 24970/2021 del 10 dicembre 2021, reperibile sul sito www.arbitratobancariofinanziario.it.
[106] In questi termini, v. L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 648.
V., inoltre, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 280.
Sul tema, si legga, altresì, S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 113 ss.
[107] V., più a fondo, infra, par. 9.
Sul tema, si legga, altresì, S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 113 ss.
[108] Cfr. Trib. Milano, 4 dicembre 2014, in One Legale, la cui pronunzia opera una distinzione tra «phishing», «man in the middle» e «man in the browser», definendo, quest’ultimo fenomeno, come un virus che si insinua nel programma che si utilizza per accedere a internet e che intercetta i dati mentre vengono digitati.
[109] Si legga, in argomento, R. Frau, Home banking, phishing e responsabilità civile della banca, nota a Cass. civ., 12 aprile 2018, n. 9158, in Resp. civ. prev., 2019, 622 ss., ivi, numerosi richiami.
[110] Su codesta distinzione, v., più a fondo, supra, par. 7.
[111] La riflessione, suggerita da L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 648 ss., è stata ripresa, altresì, da S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 116 ss.
[112] Così, S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 116.
[113] Si esprime, in questi termini, S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 117.
[114] Sul punto, si veda S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 117.
[115] Si vedano, in particolare: Trib. Milano, 4 dicembre 2014, cit.; Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, cit.; Trib. Milano, 4 aprile 2022, n. 2950, in One Legale.
[116] Sul tema, si leggano: L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 647 ss.; P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 280 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 113 ss.
[117] Tale fenomeno viene definito dall’”Allegato A” al Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 12 novembre 2014, n. 513, in base al quale: «Third in the middle: in crittografia è un tipo di attacco (noto anche come man in the middle, MIM) nel quale il soggetto “attaccante” (colui che tenta di violare la sicurezza del sistema) è in grado di leggere, inserire o modificare a piacere i messaggi scambiati tra le due parti comunicanti senza che nessuna delle due sia in grado di sapere se il collegamento che le unisce reciprocamente sia stato effettivamente compromesso. L’attaccante è così in grado di osservare, intercettare e replicare verso la destinazione prestabilita il transito dei messaggi tra le due parti comunicanti»; sul punto, v. S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 113, nota 176.
In tal senso, si vedano anche: L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 648; P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 280.
[118] Si esprime, in questi termini, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 280.
[119] Sul tema, si leggano: L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 647 ss.; P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 280 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 113 ss.
[120] Si veda Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, cit.
[121] Così, L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 644 ss.
[122] Cfr. Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, cit.
Per un approfondimento del contenuto di tale decisione, si leggano: L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 649 ss.; P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 280 ss.; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 113 ss. V., inoltre, A. Pentimalli-I. Bellini, Frodi informatiche e pagamento al creditore apparente, debitore liberato dall’obbligazione di pagamento, in ntplusdiritto.ilsole24ore.com.
[123] In questi termini, v.: Cass. civ., 3 settembre 2005, n. 17742, cit.; Cass. civ., 4 giugno 2013, n. 14028, cit.; Cass. civ., 11 settembre 2013, n. 29847, cit.; Cass. civ., 19 aprile 2018, n. 9758, cit.; Cass. civ., 15 giugno 2020, n. 11442, cit.; Cass. civ., 21 settembre 2021, n. 25509, cit.
[124] Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, cit.
[125] Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, cit.
[126] In argomento, è imprescindibile il richiamo a M. Orlandi, Il falso digitale, Milano, 2003, passim.
[127] In questi termini, si veda S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 114 ss.
V., inoltre, L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 649 ss.
[128] Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, cit.
[129] Sul punto, si veda S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 115.
V., altresì, L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 649 ss.
[130] In tal senso, v.: Cass. civ., 3 settembre 2005, n. 17742, cit.; Cass. civ., 4 giugno 2013, n. 14028, cit.; Cass. civ., 11 settembre 2013, n. 29847, cit.; Cass. civ., 19 aprile 2018, n. 9758, cit.; Cass. civ., 15 giugno 2020, n. 11442, cit.; Cass. civ., 21 settembre 2021, n. 25509, cit.
[131] V., supra, par. 7.
[132] Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, cit.
[133] Al riguardo, si vedano: L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 650; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 115.
[134] Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, cit.
[135] Sul punto, v.: L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 650; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 115.
[136] Trib. Milano, 7 maggio 2021, n. 18950, cit.
[137] Nello stesso senso, v. S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 120.
[138] V., supra, par. 3.
[139] Sul punto, v. anche S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 118.
[140] Si vedano, al riguardo, L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 650.
[141] Si vedano: L. Castelli-C. Bosco-P. De Negri, Il punto sull’efficacia liberatoria del pagamento al rappresentante apparente, cit., 650 ss.; P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 281; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 118.
[142] Sul punto, si veda, in particolare, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 281, il quale, puntualmente, rammenta che, nel contesto di tale verifica, si dovrà considerare la natura professionale o consumeristica della vittima dell’accatto, potendosi esigere una diligenza maggiore nel primo caso (cfr. art. 1176, comma 2, cod. civ.).
[143] Cfr. Trib. Milano, 4 aprile 2022, n. 2950, cit.
[144] Trib. Milano, 4 aprile 2022, n. 2950, cit.
[145] Sulla discussa natura dell’azione prevista dall’art. 1189, comma 2, cod. civ., si vedano, almeno: P. Schlesinger, La ratifica del pagamento effettuato al non creditore, in Riv. dir. civ., 1959, 36 ss.; A. Albanese, Profili dell’adempimento non dovuto nei rapporti trilateri: indebito soggettivo, pagamento al creditore apparente, adempimento del terzo e surrogazione legale, in Contr. e impr., 2006, 459 ss.; M.C. Venuti, I soggetti del pagamento. Artt. 1188-1192, cit., 165 ss., ivi, numerosi richiami; S.T. Barbaro, Il creditore apparente, cit., 121 ss.
Sull’argomento, si veda, di recente, altresì, U. Carnevali, Pagamento con assegno circolare e provvista abusivamente addebitata a terzi, in Contratti, 2023, 339 ss.
[146] Al riguardo, si veda, in particolare, P. Bussi, Il pagamento al creditore apparente: rimedi discutibili alla forza d’inerzia di un orientamento criticabile, cit., 281 ss., il quale svolge una riflessione anche sulla disciplina racchiusa nel D. Lgs. n. 11/2010, sui servizî di pagamento.