Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Tutela della scelta e proporzionalità del contratto (di Giovanni Fappiano, Dottorando – Università degli Studi di Brescia)


Al di fuori delle ipotesi tassative in cui l’equilibrio e la proporzionalità nel diritto dei contratti assumono un valore da tutelare, l’atteggiamento dell’ordinamento è di tendenziale irrilevanza per la congruità dello scambio, a meno che lo squilibrio economico, quale indice normativo di rilevanza giuridica, svolga la funzione di indizio rilevatore dell’alterazione della libertà di scelta e dell’apprezzamento soggettivo circa il rispettivo incremento delle utilità marginali che discende dal sinallagma. In questo quadro sistematico è possibile leggere in maniera conforme al piano legislativo anche le più recenti pronunce giurisprudenziali (come la pronuncia delle Sezioni Unite del 23 febbraio 2023, n. 5657) che, in merito al problema del disequilibrio economico del contratto, fanno applicazione dei principi e delle clausole generali dell’ordinamento non già come strumento di redistribuzione degli interessi privati, ma come parametro di giudizio dell’uso distorto dell’autonomia privata ai danni del fisiologico esplicarsi della volontà di una delle parti.

Protection of choice and proportionality of the contract

Proportionality between contractual performances is not always regarded by the legal system as a value to be protected. More generally, private law does not attribute legal relevance to the symmetry of exchange. In many normative cases in which private law takes into consideration the economic value of performance, the intent of the legislature has been to offer indices of legal relevance of the alteration of freedom of choice and subjective appreciation about the respective increase in marginal utility that derives from the sinallagma. The most recent case law rulings (such as the Supreme Court’s ruling of Feb. 23, 2023, No. 5657) also seem to be in line with this assumption and the legislative plan. Regarding the problem of economic imbalance in the contract, the Supreme Court applies the general principles and clauses of the legal system not as a tool for the redistribution of private interests, but as a parameter for judging the distorted use of private autonomy to the detriment of the physiological expression of consent.

COMMENTO

Sommario:

1. Contratto «giusto» e principio di proporzionalità - 2. I risvolti rimediali - 3. La rilettura costituzionalmente orientata dei rapporti contrattuali - 4. L’incidenza dei principi e delle clausole generali nei più recenti orientamenti giurisprudenziali - 5. Una «giustizia contrattuale» concreta a garanzia del fisiologico esplicarsi del consenso - NOTE


1. Contratto «giusto» e principio di proporzionalità

Per quanto la garanzia dell’equilibrio tra le prestazioni, ricorrentemente legata alla tematica della ‘giustizia contrattuale’ [1], trovi riscontri univoci già nelle fonti del diritto romano [2], decisiva importanza nella sua formazione storica è attribuita all’età postclassica, quando, sotto l’influenza della cultura cristiana, è emersa la dottrina del iustum pretium, accompagnata da una prima disciplina sulla rescissione [3]. L’influenza dei valori del cristianesimo, nell’età medievale, aveva infatti segnato significativamente il processo di individuazione della portata precettiva dell’atto di autonomia privata. Anche attraverso l’istituto dell’aequitas canonica, che aveva permesso al giudice ecclesiastico di correggere le ‘ingiustizie’ del diritto comune, il contratto si modellava a strumento di attuazione dell’equo contemperamento degli interessi, concretizzando una ‘giustizia contrattuale’ di natura ‘distributiva’ la cui assenza avrebbe comportato riflessi negativi sulla stessa validità ed efficacia dell’atto [4]. Una siffatta ricostruzione logico-giuridica fu superata dagli ideali liberali, che influenzarono il processo di codificazione civile. L’affermazione del dogma della volontà creatrice, comportando la coerente esigenza che «qui dit contractuel, dit juste» [5], portò all’esclusione del paradosso giuridico correlato all’idea secondo cui le parti potessero prestare il consenso ad un accordo produttivo di perdite e di svantaggi. Toccava, a tal stregua, proprio e solo alle parti assicurare una giustizia nei loro rapporti, con conseguente sottrazione di ogni ingerenza legislativa o giudiziale. Non può essere per questo motivo considerato irrilevante il fatto che l’art. 1101 cod. civ. del 1865 qualificava come «oneroso» il contratto «nel quale ciascuno dei contraenti intende, mediante equivalente, procurarsi un vantaggio». L’espressione «intende», rimarcando un’accezione ‘soggettiva’ dell’equilibrio contrattuale, chiariva che la valutazione dell’adeguatezza delle prestazioni era lasciata all’individuale apprezzamento delle parti [6]. La codificazione del 1942, pur essendo ancora fortemente influenzata dai principi dell’economia [continua ..]


2. I risvolti rimediali

A favore di questa conclusione depone una più attenta valutazione dei risvolti rimediali delle specifiche ipotesi legislative che attribuiscono rilevanza giuridica a meccanismi di adeguatezza e proporzionalità per i rapporti privatistici [13]. La tecnica normativa non sembra infatti essere sempre volta a garantire un’indiscriminata equivalenza tra i valori delle prestazioni [14], considerando principalmente che nell’aspetto fisiologico della contrattazione sono le parti a scegliere ed elaborare l’assetto di interessi più adeguato alle loro esigenze. Se i contraenti hanno raggiunto una data mediazione sugli interessi confliggenti vorrà dire che entrambi hanno ritenuto che l’adempimento della propria prestazione comporti una perdita di un’utilità soggettiva minore (e non già equivalente) rispetto a quella che si guadagna ricevendo la controprestazione [15]. La somma dei vantaggi e delle perdite non può essere pari a zero, perché per ciascuna parte il valore della controprestazione apporta una utilità maggiore a quella che si perde eseguendo la propria. Anche quando la disciplina normativa imponga all’interprete di valutare l’equilibrio tra i valori economici delle prestazioni non è da escludersi, in realtà, che tale circostanza assuma la valenza di indice di rilevanza giuridica di un diverso fenomeno, piuttosto che la ratio principale dell’istituto. Al di fuori delle ipotesi tassative, il legislatore non guarda al sinallagma per il suo valore quantitativo, quanto al suo fine, quello di soddisfare la volontà dei contraenti di incrementare le rispettive utilità soggettive. Sono diversi gli istituti che pur ‘toccando’ il profilo del contenuto economico si preoccupano di offrire, in realtà, uno strumento a tutela di tale libertà di scelta. La tecnica legislativa, in tali circostanze, si avvale dello squilibrio economico come indice normativo di un’alterazione del computo differenziale delle utilità soggettive. Lo dimostra, in richiamo ad un esempio più pratico, la disciplina dell’eccessiva onerosità di cui all’art. 1467 cod. civ. Se la norma richiede che l’onerosità sia eccessiva e che essa sia dipesa da circostanze imprevedibili e straordinarie per poter chiedere la risoluzione vuol dire, interpretandola a contrariis, che il [continua ..]


3. La rilettura costituzionalmente orientata dei rapporti contrattuali

Questa particolare lettura degli istituti che si occupano del disequilibrio originario e sopravvenuto tra i valori economici delle prestazioni contrattuali mostra come il codice vigente, il cui impianto si riallaccia alla codificazione ottocentesca, riflette in gran parte i principi dell’economia liberale, ma con alcuni temperamenti, di cui si rende necessario un approfondimento. I principi liberali sono emersi come una reazione ad un sistema economico teso a restringere la circolazione della ricchezza a favore solo di particolari categorie di soggetti. La massima espressione di tali principi trova oggi riscontro sicuramente nell’art. 1322 cod. civ., secondo cui le parti sono libere di determinare il contenuto del contratto e, quindi, anche il valore economico da assegnare alle prestazioni. Sia pure entro i limiti previsti dalla legge, tale libertà rappresenta la regola. Per la concezione liberale classica, l’autonomia privata assurgeva a vero e proprio dogma; un’espressione, cioè, della libertà individuale nei confronti di ogni ingerenza dello Stato negli assetti sostanziali convenuti [35]. I ‘limiti esterni’ positivizzati avevano solo il fine di garantire l’uguaglianza formale delle parti negoziatrici [36]. Successivamente al periodo del dirigismo politico [37], con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, le riflessioni del dibattito si sono raccolte intorno ad una lettura costituzionalmente orientata del diritto privato e dell’autonomia negoziale, anche ponendola in relazione alle norme della Carta che garantiscono i diritti inviolabili dell’uomo [38]. Tale lettura ha permesso di apprezzare l’autonomia privata come espressione della libertà d’iniziativa economica di cui all’art. 41, comma 1, Cost.: i privati possono regolamentare i propri interessi mediante lo strumento contrattuale nei limiti dell’utilità sociale [39]. Ancora oggi, tuttavia, le riflessioni sul rapporto tra l’autonomia privata e l’ordinamento non paiono sopite [40]. A ben vedere il principio dell’autonomia contrattuale non è espressamente garantito dalla Costituzione, né il tentativo di radicare una garanzia implicita dell’autonomia privata nei diritti inviolabili dell’uomo ha avuto seguito dal punto di vista esegetico [41]. Nell’ambito dei rapporti patrimoniali, [continua ..]


4. L’incidenza dei principi e delle clausole generali nei più recenti orientamenti giurisprudenziali

È in questo quadro sistematico che è possibile comprendere il riferimento al disequilibrio economico tra le prestazioni operato dai diversi istituti giuridici. Al di fuori delle ipotesi tassative in cui l’equilibrio assume un valore da tutelare, l’atteggiamento dell’ordinamento mostra una tendenziale irrilevanza per il procedimento di costruzione del rapporto di reciproca convenienza tra le prestazioni, a meno che lo squilibrio economico, quale indice di rilevanza giuridica, svolga – unitamente a diverse circostanze positivizzate – la funzione di indizio rivelatore di una alterazione della libertà di scelta e dell’apprezzamento soggettivo circa le rispettive utilità marginali che derivano dallo scambio. Le scelte di politica legislativa dimostrano che l’attuale sistema politico-economico, nella generalità dei casi, non si preoccupa di tutelare l’equilibrio economico del contratto. Il legislatore, semmai, utilizza il disequilibrio dei valori tra le prestazioni come ‘campanello d’allarme’ dell’insussistenza dei presupposti che condizionano la consensualità dello scambio e, cioè, della mancanza di quelle condizioni naturali in presenza delle quali le decisioni dei privati possono considerarsi effettivamente libere e consapevoli. In tali circostanze ciò che il legislatore ha voluto tutelare è la libertà economica di scegliere consapevolmente i valori da attribuire alle prestazioni contro stati soggettivi eccezionali, sopravvenienze o comportamenti abusivi che sono in grado di alterare la consapevolezza delle decisioni. Laddove il disequilibrio non sia il frutto di una scelta libera e consapevole, quanto piuttosto di una patologia di quella stessa volontà, il diritto è chiamato a porvi rimedio. E tale indirizzo espresso in via generale dalla politica legislativa sembrerebbe essere accolto, sia pur implicitamente, dalla giurisprudenza. Ad esempio, il diritto applicato [67], accogliendo la teoria dei ‘vizi incompleti’ [68] basata sulla differenziazione delle regole di validità rispetto a quelle di condotta [69], ha consentito un’applicazione generalizzata del rimedio risarcitorio, pur a fronte della validità del contratto, per quei danni provocati dall’altrui scorrettezza in contrahendo tale da indurre una delle parti alla conclusione di un contratto [continua ..]


5. Una «giustizia contrattuale» concreta a garanzia del fisiologico esplicarsi del consenso

In tale quadro ordinamentale, ben si comprende come qualsivoglia tentativo di giustificare un controllo del contenuto del contratto sulla base della sola proporzionalità delle prestazioni non solo risulta privo di una consolidata esperienza che permetta di definire in astratto un assetto ‘giusto’, ma rischia anche di apparire ingiustificato. L’armonia crescente tra la giurisprudenza e la tendenza legislativa degli ultimi anni mostra un impianto sistematico solido, rivolto alla ricerca di rimedi sempre più efficaci per garantire un contesto circostanziale a tutela della libera scelta, quale presupposto necessario per un assetto di interessi ‘adeguato’ alle volontà effettive delle parti. Se è ancora possibile sostenere l’esistenza di una ‘giustizia contrattuale’, essa non andrebbe ricostruita sulla base di valori meta-giuridici, ma valorizzando il dato positivo e i rimedi effettivi che prendono forma dalla necessità di reagire ad un’ingiustizia concreta, quella di un disequilibrio dei valori delle prestazioni determinato dall’insussistenza dei presupposti naturali che condizionano la consensualità dello scambio. In questa prospettiva, si giustificano anche i più attuali orientamenti giurisprudenziali ove principi e clausole generali non mirano ad assicurare un astratto parallelismo tra le prestazioni (il cui bilanciamento non può che essere rimesso alla piena disponibilità delle parti), ma a garantire che l’operazione economica non diventi, in concreto, uno strumento contrario al dovere di non prevaricazione del consenso, quale specificazione del più alto principio di solidarietà sociale tutelato dal dettato costituzionale. È certo che anche forme di protezionismo e garantismo eccessive della volontà limitano la circolazione della ricchezza. Il legislatore, dunque, che si trova ad elaborare strumenti volti a tutelare la libera volontà e l’interprete che invece è chiamato ad applicare quei rimedi, anche facendo uso dei principi generali, sono posti nella difficile posizione di distinguere un disequilibrio economico ascrivibile ad una manifestazione fisiologica del consenso, rispetto a quello che appare, invece, patologico, perché espressione di status o di posizioni personali di debolezza o, più in generale, perché frutto di una volontà alterata da [continua ..]


NOTE