Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

La revoca del consenso nell'ambito della PMA: il bilanciamento tra la salute della donna e l'autodeterminazione dell'uomo (di Stefania La Rosa, Magistrato)


Con la sentenza n. 161 del 2023 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità dell’art. 6, terzo comma della legge n. 40 del 2004, sollevate dal Tribunale ordinario di Roma, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma della Cost. e all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Nella pronuncia, i giudici costituzionali hanno affermato la permanenza del divieto di revoca del consenso, prestato dall’uomo, all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), dopo la intervenuta fecondazione dell’ovulo, anche laddove sia trascorso un certo lasso di tempo dalla prestazione del consenso.
Pertanto, al fine di salvaguardare l’integrità psicofisica della donna e la dignità dell’embrione crioconservato, il consenso dell’uomo non può essere revocato dopo la fecondazione dell’ovulo, neanche laddove, nelle more, la coppia si sia separata.

The withdrawal of consent in medically assisted procreation: the balance between women's health and men’s self-determination

With sentence no. 161 of 2023, the Constitutional Court declared the questions of legitimacy of the art.6, third paragraph, of L. 40/ 2004 to be unfounded.

The question raised by the ordinary Court of Rome, in reference to articles. 2, 3 and 117, first paragraph, of the Constitution and art. 8 of the European Convention on Human Rights.

In their ruling, the constitutional judges affirmed the permanence of the prohibition on revoking the consent given by the man to the application of medically assisted procreation (PMA) techniques after the fertilization of the female ovum, even where a certain period of time has passed of time from the provision of consent.

Therefore, in order to safeguard the psychophysical integrity of the woman and the dignity of the cryopreserved embryo, the man’s consent cannot be revoked after the fertilization of the female ovum, not even where, pending, the couple has separated.

È infondata la q.l.c. dell’art. 6, comma 3, l. 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui non consente al­l’uomo di revocare il proprio consenso alla procreazione medicalmente assistita (p.m.a.) dopo la fecondazione dell’ovulo, pur se l’impianto dell’embrione così formato avvenga – per scelta della sola donna – anche dopo un significativo periodo di tempo, in quanto – prestando il consenso informato alla p.m.a. – egli ha assunto consapevolmente la responsabilità al riguardo, che concerne anche l’acquisi­zione dello status filiale da parte del (possibile) nascituro, ingenerando il legittimo affidamento della donna, esposta alle gravi ripercussioni, fisiche ed emotive, della pratica in questione, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 Cedu.

 

Corte cost., sent. 24 luglio 2023, n. 161

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il caso - 3. Lo scarto temporale tra il momento fecondativo e quello dell’impianto: l’affievolirsi del divieto di crioconservazione e le ulteriori mutazioni dell’impianto originario della legge - 4. La decisione della Consulta - 5. Brevi profili comparatistici - 6. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

La Consulta, con la sent. n. 161/2023, viene chiamata dal Tribunale ordinario di Roma ad affrontare la questione relativa alla irrevocabilità, dopo la fecondazione dell’ovulo, del consenso prestato dall’uomo all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. La decisione de quo si muove sulla scia delle mutevoli vicende che hanno coinvolto, negli anni, la l. n. 40/2004, il cui vissuto è contrassegnato da ripetuti e marcati interventi della Consulta, che ne hanno mutato in buona parte l’impianto originale [1]. È stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, ultimo periodo, della l. 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui prevede che il consenso al trattamento possa essere revocato solo fino al momento della fecondazione dell’ovulo [2]. Nella pronuncia i giudici costituzionali hanno inoltre dichiarato inammissibili le questioni di legittimità della medesima norma sollevate in riferimento agli artt. 13, commi 1 e 32, comma 2, Cost.


2. Il caso

Il Tribunale ordinario di Roma ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del predetto art. 6, comma 3, ultimo periodo, della l. n. 40/2004, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, comma 1 Cost., quest’ul­timo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in quanto il divieto di revoca del consenso sopra citato limiterebbe il diritto di autodeterminazione del singolo, sia in ordine alla scelta di procreare, sia in ordine alla scelta di interrompere il trattamento di procreazione medicalmente assistita. Nel corso del giudizio instaurato dinanzi al Tribunale di Roma, la ricorrente ha agito nei confronti della struttura sanitaria presso cui aveva intrapreso, nel settembre 2017, il percorso di procreazione medicalmente assistita, prestando il consenso, insieme al marito, alla fecondazione e alla crioconservazione [3] dell’unico embrione formatosi, chiedendo al giudice la condanna della struttura al decongelamento dell’embrione e al suo impianto. La ricorrente evidenziava come l’impianto non era stato eseguito immediatamente dopo la fecondazione dell’embrione in vitro, a causa delle condizioni cliniche della donna, le quali avevano richiesto una serie di interventi farmacologici e clinici, durati nel tempo. L’impianto era stato poi portato a termine, in quanto il marito, nel gennaio del 2018, si allontanava dalla casa familiare, con successiva separazione consensuale tra i coniugi nell’anno seguente. Nel febbraio del 2020, la ricorrente si era ciononostante rivolta alla struttura sanitaria al fine di procedere al decongelamento e al successivo impianto dell’embrione, ma la procedura non veniva portata a termine, avendo il marito, dopo avere domandato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, revocato formalmente il proprio consenso alla procreazione e alla applicazione delle tecniche di PMA. La donna si rivolgeva quindi al Tribunale di Roma, ritenendo illegittima detta revoca del consenso, sostenendo che il diritto “di essere madre è un diritto assoluto, fondamentale della persona, garantito dalla Costituzione agli artt. 2, 31, c. 2, e 32”. Costituendosi in giudizio, il marito e la struttura sanitaria chiedevano il rigetto del ricorso, preliminarmente prospettando dubbi di legittimità costituzionale della norma denunciata. Il Tribunale di prime curie adiva così la Corte costituzionale dubitando della [continua ..]


3. Lo scarto temporale tra il momento fecondativo e quello dell’impianto: l’affievolirsi del divieto di crioconservazione e le ulteriori mutazioni dell’impianto originario della legge

Sia nell’ordinanza di rimessione che nella decisione della Corte, si parte da un fondamentale assunto di base, che è il presupposto logico-scientifico di tutta la vicenda: il venir meno, o quanto meno l’affievoli­mento, del sostanziale divieto di crioconservazione dell’embrione, previsto nell’impianto originario della legge. La norma sull’irrevocabilità del consenso si troverebbe, oggi, di conseguenza, ad operare in un contesto in cui il trasferimento in utero dell’embrione può intervenire anche a distanza di anni e, quindi, in una situazione profondamente mutata quanto alla persistente sussistenza dei presupposti previsti dalla stessa l. n. 40/2004 per accedere alla PMA. È, infatti, preliminarmente opportuno evidenziare, per meglio inquadrare i contorni della vicenda e la decisione assunta dalla Consulta, come la l. n. 40 presupponeva, nel suo impianto originario, un lasso di tempo molto breve tra la fecondazione dell’ovulo e l’impianto dell’embrione, e, pertanto, tra il momento in cui il consenso diveniva irrevocabile e quello in cui se ne realizzava l’oggetto. La crioconservazione si poneva, dunque, come l’eccezione, mentre la regola, contenuta nel comma 2 del­l’art. 14 della stessa legge, era costituita dall’impianto nell’utero della donna degli embrioni, formati in numero massimo di tre, ex art. 14, comma 2, in un momento tendenzialmente contestuale alla fecondazione e alla correlata prestazione del consenso previsto dall’art. 6, comma 3. Tuttavia, nel corso degli anni, il quadro originario previsto dal legislatore del 2004 è notevolmente variato, ad opera dei copiosi interventi giurisprudenziali che hanno tentato, peraltro non sempre riuscendoci, di adattare la legge ai mutamenti scientifici e sociali che si susseguono ed evolvono nel tempo in materia di PMA. Il primo netto scardinamento all’originario sistema basato sulla pressoché contestualità tra la fecondazione dell’ovulo e il suo impianto in utero è pervenuto dalla decisiva sentenza della Corte cost. n. 151/2009 [5]. Come si è precisato, l’originaria formulazione della legge, poneva come regola generale il divieto di congelamento degli embrioni (art. 14, comma 1), superabile esclusivamente nella ipotesi in cui l’impianto nel­l’utero, da realizzare comunque «non appena possibile», [continua ..]


4. La decisione della Consulta

La Corte costituzionale ha respinto la questione di legittimità cosi come sopra formulata, ritenendo che la norma censurata sia costituzionalmente legittima. Preliminarmente, la Consulta prende atto dell’impossibilità di soddisfare tutti i confliggenti interessi coinvolti nella fattispecie in esame, quali la tutela della salute psicofisica della donna e la sua libertà di autodeterminazione a diventare madre; la libertà di autodeterminazione dell’uomo a non divenire padre; la dignità dell’embrione; i diritti del nato a seguito della PMA, cercando, pertanto, di trovare, un bilanciamento tra essi in un’ottica di ragionevolezza costituzionalmente orientata. Quanto alla questione relativa alla violazione del principio di eguaglianza, sotto il profilo della disparità di trattamento tra uomo e donna, posto che l’irrevocabilità del consenso sacrificherebbe soltanto la libertà individuale dell’uomo, potendo, invece, la donna sempre rifiutare il trasferimento in utero dell’embrione, essa è ritenuta non fondata. In altri termini, si potrebbe pesare che, mentre la donna non può essere obbligata a subire l’impianto in utero, potendo sempre rifiutarlo, nonostante il consenso in precedenza prestato, l’uomo, laddove non fosse ammesso a revocare il consenso, si potrebbe vedere costretto a diventare genitore contro la sua volontà, con lesione del principio di eguaglianza e del diritto all’autodeterminazione, ossia di scelta in ordine all’assunzio­ne del ruolo genitoriale. Sul punto, la Corte conferma che la norma censurata non può mai portare alla imposizione dell’impianto contro la volontà della donna. Ciò in quanto, l’impianto si traduce, per ella, in un vero e proprio trattamento sanitario, estremamente invasivo, poste le evidenti conseguenze che esso produce nel suo corpo [10]. Detto trattamento presuppone, quindi, in ogni caso, un valido ed attuale consenso, coerentemente con quanto previsto dall’art. 1, commi 1 e 5, l. 22 dicembre 2017, n. 219, oltre che dall’art. 5 della Convenzione di Oviedo del Consiglio d’Europa. In relazione alla libertà di autodeterminazione, in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., dell’uomo e alla censura secondo cui l’irrevocabilità del consenso prevista dal censurato art. 6, comma 3, ultimo periodo, lo [continua ..]


5. Brevi profili comparatistici

In altri ordinamenti europei, la questione relativa alla possibile revocabilità del consenso dopo l’avve­nuta fecondazione dell’ovulo viene risolta in maniera differente. Dette diverse soluzioni sono citate incidentalmente anche nella sentenza in commento ed è utile profilare, brevemente, il quadro esistente. La revoca del consenso da parte dell’uomo è espressamente consentita (e quindi non può generare un affidamento della donna) nella legge inglese, in quella francese e in quella austriaca, fino al momento dell’impian­to dell’embrione in utero. Viene, quindi, in detti ordinamenti, “spostato in avanti” il momento in cui viene considerato prevalente l’interesse alla tutela dell’embrione e del legittimo affidamento della donna [18]. Per contro, recentemente, in altri due ordinamenti stranieri si siano affermati, in via giurisprudenziale, gli stessi principi sostenuti dalla Consulta con la sentenza in commento. La Corte suprema israeliana ha ritenuto legittima la irrevocabilità del consenso da parte dell’uomo, consentendo, pertanto, l’impianto in utero dell’embrione, tutelando il legittimo affidamento della donna, statuendo che: «[it] is difficult to assume that she would have agreed to undergo these treatments in the knowledge that her husband could change his mind at any time that he wished» [19]. In questo senso si è anche mossa la Corte Costituzionale della Colombia [20], che, in una vicenda analoga a quella del caso sottoposto alla decisione in commento, ha assimilato la figura del padre che ha prestato il consenso alla PMA a quella di un donatore anonimo.


6. Conclusioni

In definitiva, la Corte Costituzionale dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale del­l’art. 6 della l. n. 40/2004, nella parte in cui impedisce all’uomo di revocare il consenso prestato alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, dopo la fecondazione dell’ovulo, ritenendo che la norma mantiene la sua ragionevolezza anche nel nuovo contesto che si è venuto a creare ad opera degli interventi della giurisprudenza che si sono succeduti nel tempo e cha hanno mutato alcuni aspetti salienti della l. n. 40/2004. Sebbene, infatti, il contesto normativo in cui si muove il consenso prestato dall’uomo alle tecniche di procreazione medicalmente assistita sia stato, in parte, modificato (a seguito delle decisioni che hanno consentito l’accesso alla PMA anche alle coppie non sterili ma portatrici di malattie genetiche, consentendo così la tecnica della diagnosi preimpianto, nonché ammettendo la produzione di un numero di embrioni in numero superiore a tre e lasciando al medico una valutazione discrezionale in ordine al numero di embrioni da produrre al fine di meglio tutelare il diritto alla salute della donna), con l’importante conseguenza che, oggi, la tecnica della crioconservazione degli embrioni non è più da considerarsi eccezionale e, di conseguenza, può sussistere uno scarto temporale, anche significativo, tra la prestazione del consenso da parte della coppia e il momento in cui l’embrione viene impiantato in utero, secondo la Consulta, non viene meno la coerenza e ragionevolezza della irrevocabilità del consenso, previsto dall’art. 6 della legge censurata. Ciò in quanto, nel bilanciamento degli interessi coinvolti, tra il diritto alla autodeterminazione dell’uomo e la salute della donna, il legittimo affidamento di ella ad una futura gravidanza e il diritto alla vita dell’em­brione, sono questi ultimi a dovere essere considerati prevalenti. La Corte è ben consapevole della complessità della scelta, che coinvolge interessi confliggenti, evidenziando come, nel nostro ordinamento, “la ricerca, nel rispetto della dignità umana, di un ragionevole punto di equilibrio, eventualmente anche diverso da quello attuale, fra le diverse esigenze in gioco in questioni che toccano temi eticamente sensibili non può che spettare primariamente alla valutazione del legislatore”, [continua ..]


NOTE