Con la sentenza n. 161 del 2023 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità dell’art. 6, terzo comma della legge n. 40 del 2004, sollevate dal Tribunale ordinario di Roma, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma della Cost. e all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Nella pronuncia, i giudici costituzionali hanno affermato la permanenza del divieto di revoca del consenso, prestato dall’uomo, all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), dopo la intervenuta fecondazione dell’ovulo, anche laddove sia trascorso un certo lasso di tempo dalla prestazione del consenso.
Pertanto, al fine di salvaguardare l’integrità psicofisica della donna e la dignità dell’embrione crioconservato, il consenso dell’uomo non può essere revocato dopo la fecondazione dell’ovulo, neanche laddove, nelle more, la coppia si sia separata.
With sentence no. 161 of 2023, the Constitutional Court declared the questions of legitimacy of the art.6, third paragraph, of L. 40/ 2004 to be unfounded.
The question raised by the ordinary Court of Rome, in reference to articles. 2, 3 and 117, first paragraph, of the Constitution and art. 8 of the European Convention on Human Rights.
In their ruling, the constitutional judges affirmed the permanence of the prohibition on revoking the consent given by the man to the application of medically assisted procreation (PMA) techniques after the fertilization of the female ovum, even where a certain period of time has passed of time from the provision of consent.
Therefore, in order to safeguard the psychophysical integrity of the woman and the dignity of the cryopreserved embryo, the man’s consent cannot be revoked after the fertilization of the female ovum, not even where, pending, the couple has separated.
È infondata la q.l.c. dell’art. 6, comma 3, l. 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui non consente all’uomo di revocare il proprio consenso alla procreazione medicalmente assistita (p.m.a.) dopo la fecondazione dell’ovulo, pur se l’impianto dell’embrione così formato avvenga – per scelta della sola donna – anche dopo un significativo periodo di tempo, in quanto – prestando il consenso informato alla p.m.a. – egli ha assunto consapevolmente la responsabilità al riguardo, che concerne anche l’acquisizione dello status filiale da parte del (possibile) nascituro, ingenerando il legittimo affidamento della donna, esposta alle gravi ripercussioni, fisiche ed emotive, della pratica in questione, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 Cedu.
Corte cost., sent. 24 luglio 2023, n. 161
1. Premessa - 2. Il caso - 3. Lo scarto temporale tra il momento fecondativo e quello dell’impianto: l’affievolirsi del divieto di crioconservazione e le ulteriori mutazioni dell’impianto originario della legge - 4. La decisione della Consulta - 5. Brevi profili comparatistici - 6. Conclusioni - NOTE
La Consulta, con la sent. n. 161/2023, viene chiamata dal Tribunale ordinario di Roma ad affrontare la questione relativa alla irrevocabilità, dopo la fecondazione dell’ovulo, del consenso prestato dall’uomo all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
La decisione de quo si muove sulla scia delle mutevoli vicende che hanno coinvolto, negli anni, la l. n. 40/2004, il cui vissuto è contrassegnato da ripetuti e marcati interventi della Consulta, che ne hanno mutato in buona parte l’impianto originale [1].
È stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, ultimo periodo, della l. 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui prevede che il consenso al trattamento possa essere revocato solo fino al momento della fecondazione dell’ovulo [2]. Nella pronuncia i giudici costituzionali hanno inoltre dichiarato inammissibili le questioni di legittimità della medesima norma sollevate in riferimento agli artt. 13, commi 1 e 32, comma 2, Cost.
Il Tribunale ordinario di Roma ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del predetto art. 6, comma 3, ultimo periodo, della l. n. 40/2004, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, comma 1 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in quanto il divieto di revoca del consenso sopra citato limiterebbe il diritto di autodeterminazione del singolo, sia in ordine alla scelta di procreare, sia in ordine alla scelta di interrompere il trattamento di procreazione medicalmente assistita.
Nel corso del giudizio instaurato dinanzi al Tribunale di Roma, la ricorrente ha agito nei confronti della struttura sanitaria presso cui aveva intrapreso, nel settembre 2017, il percorso di procreazione medicalmente assistita, prestando il consenso, insieme al marito, alla fecondazione e alla crioconservazione [3] dell’unico embrione formatosi, chiedendo al giudice la condanna della struttura al decongelamento dell’embrione e al suo impianto.
La ricorrente evidenziava come l’impianto non era stato eseguito immediatamente dopo la fecondazione dell’embrione in vitro, a causa delle condizioni cliniche della donna, le quali avevano richiesto una serie di interventi farmacologici e clinici, durati nel tempo.
L’impianto era stato poi portato a termine, in quanto il marito, nel gennaio del 2018, si allontanava dalla casa familiare, con successiva separazione consensuale tra i coniugi nell’anno seguente.
Nel febbraio del 2020, la ricorrente si era ciononostante rivolta alla struttura sanitaria al fine di procedere al decongelamento e al successivo impianto dell’embrione, ma la procedura non veniva portata a termine, avendo il marito, dopo avere domandato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, revocato formalmente il proprio consenso alla procreazione e alla applicazione delle tecniche di PMA.
La donna si rivolgeva quindi al Tribunale di Roma, ritenendo illegittima detta revoca del consenso, sostenendo che il diritto “di essere madre è un diritto assoluto, fondamentale della persona, garantito dalla Costituzione agli artt. 2, 31, c. 2, e 32”.
Costituendosi in giudizio, il marito e la struttura sanitaria chiedevano il rigetto del ricorso, preliminarmente prospettando dubbi di legittimità costituzionale della norma denunciata.
Il Tribunale di prime curie adiva così la Corte costituzionale dubitando della legittimità dell’art. 6, comma 3, della l. n. 40/2004 che, nel disciplinare il consenso informato in materia di PMA, al denunciato sesto comma dispone che tale volontà possa «essere revocata da ciascuno dei soggetti solo fino al momento della fecondazione dell’ovulo»; a seguito di tale fecondazione, invece la norma prescrive l’assoluta irrevocabilità del consenso prestato all’applicazione delle tecniche di PMA [4].
In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente sosteneva che la disciplina dell’irrevocabilità del consenso sarebbe stata prevista dal legislatore in un contesto normativo in cui l’impianto sarebbe dovuto avvenire «sostanzialmente nell’immediatezza della formazione dell’embrione».
A parere del giudice rimettente, la norma censurata pregiudicherebbe il diritto di scelta, in ordine all’assunzione del ruolo genitoriale nel caso in cui, in considerazione del decorso del tempo, l’impianto venga chiesto in presenza di una situazione diversa da quella esistente al momento della manifestazione della volontà; quindi, posto che l’art. 5, c. 1, della l. n. 40/2004 permette di accedere alla PMA «solo a coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi», nell’ipotesi in cui venga meno il progetto di coppia prima del trasferimento dell’impianto, dovrebbe ritenersi sempre possibile la revoca del consenso.
Sulla base di queste considerazioni, il giudice rimettente ha ritenuto che l’art. 6, comma 3, ultimo periodo, della l. n. 40/2004, attribuendo alla fecondazione dell’ovulo un’efficacia preclusiva assoluta della possibilità di revocare il consenso, possa ledere il diritto di autodeterminazione dell’uomo, in ordine alla decisione di non diventare genitore, riconosciuto dall’art. 2 Cost. e dall’art. 8 CEDU, con conseguente violazione anche dell’art. 117, comma 1, Cost.; ha ritenuto, altresì, violati gli artt. 3 e 13, comma 1, Cost., poiché, consentendo che la donna chieda l’impianto malgrado il sopravvenuto dissenso dell’uomo, la suddetta disciplina irragionevolmente lo costringerebbe a diventare genitore contro la sua volontà.
Secondo il rimettente, il vulnus all’art. 3 Cost. sarebbe apprezzabile anche sotto il profilo della disparità di trattamento, segnatamente perché l’irrevocabilità della volontà sacrificherebbe soltanto la libertà individuale dell’uomo, potendo invece la donna sempre rifiutare il trasferimento in utero dell’embrione formatosi a seguito della fecondazione, che non potrebbe esserle imposto in quanto lesivo della sua integrità psicofisica.
Da ultimo, il rimettente affermava che la norma sospettata si sarebbe posta in contrasto con l’art. 32, comma 2, Cost., giacché assoggetterebbe l’uomo a un trattamento sanitario obbligatorio.
Sia nell’ordinanza di rimessione che nella decisione della Corte, si parte da un fondamentale assunto di base, che è il presupposto logico-scientifico di tutta la vicenda: il venir meno, o quanto meno l’affievolimento, del sostanziale divieto di crioconservazione dell’embrione, previsto nell’impianto originario della legge.
La norma sull’irrevocabilità del consenso si troverebbe, oggi, di conseguenza, ad operare in un contesto in cui il trasferimento in utero dell’embrione può intervenire anche a distanza di anni e, quindi, in una situazione profondamente mutata quanto alla persistente sussistenza dei presupposti previsti dalla stessa l. n. 40/2004 per accedere alla PMA.
È, infatti, preliminarmente opportuno evidenziare, per meglio inquadrare i contorni della vicenda e la decisione assunta dalla Consulta, come la l. n. 40 presupponeva, nel suo impianto originario, un lasso di tempo molto breve tra la fecondazione dell’ovulo e l’impianto dell’embrione, e, pertanto, tra il momento in cui il consenso diveniva irrevocabile e quello in cui se ne realizzava l’oggetto.
La crioconservazione si poneva, dunque, come l’eccezione, mentre la regola, contenuta nel comma 2 dell’art. 14 della stessa legge, era costituita dall’impianto nell’utero della donna degli embrioni, formati in numero massimo di tre, ex art. 14, comma 2, in un momento tendenzialmente contestuale alla fecondazione e alla correlata prestazione del consenso previsto dall’art. 6, comma 3.
Tuttavia, nel corso degli anni, il quadro originario previsto dal legislatore del 2004 è notevolmente variato, ad opera dei copiosi interventi giurisprudenziali che hanno tentato, peraltro non sempre riuscendoci, di adattare la legge ai mutamenti scientifici e sociali che si susseguono ed evolvono nel tempo in materia di PMA.
Il primo netto scardinamento all’originario sistema basato sulla pressoché contestualità tra la fecondazione dell’ovulo e il suo impianto in utero è pervenuto dalla decisiva sentenza della Corte cost. n. 151/2009 [5].
Come si è precisato, l’originaria formulazione della legge, poneva come regola generale il divieto di congelamento degli embrioni (art. 14, comma 1), superabile esclusivamente nella ipotesi in cui l’impianto nell’utero, da realizzare comunque «non appena possibile», fosse precluso per grave, documentata e imprevedibile causa di forza maggiore relativa alla salute della donna (art. 14, comma 3).
La sent. n. 151/2009 ha mutato, anzitutto, la regola del numero massimo dei tre embrioni da formare e all’unico contemporaneo impianto degli stessi (previsto nel comma 2 dell’art. 14); detta regola, impedendo al medico una valutazione discrezionale di tipo medico– scientifico, con particolare riferimento alla scelta del numero di embrioni da generare e, poi, da impiantare, comportava, in definitiva, un rischio per la salute della donna, il quale deve essere ritenuto valore costituzionalmente preminente [6].
Il precipitato logico giuridico, nonché scientifico, del venire meno di tale limite è stato la necessità “della tecnica di congelamento, con riguardo agli embrioni prodotti, ma non impiantati per scelta medica” e, quindi, «una deroga al principio generale di divieto di crioconservazione» di cui all’art. 14, comma 1”.
Ne è derivato, di conseguenza, anche la declaratoria di incostituzionalità del successivo comma 3 dello stesso articolo, nella parte in cui non prevedeva che il trasferimento degli embrioni nell’utero dovesse essere comunque “effettuato senza pregiudizio della salute della donna” e, quindi, contestualmente.
La seconda ulteriore e netta sferzata all’originario divieto di crioconservazione degli embrioni è derivato dalla sent. n. 96/2015 Corte cost. [7], con la quale è stato consentito l’accesso alle tecniche di PMA anche alle coppie non sterili, ma portatrici di malattie geneticamente trasmissibili al nascituro, previa individuazione degli embrioni cui non risulti tramandata la malattia del genitore.
Detto mutamento ha, di fatto introdotto, un’ulteriore ipotesi di crioconservazione, finalizzata alla diagnosi preimpianto [8]- [9]: l’esito dell’indagine genetica in laboratorio sull’embrione richiede, di norma, l’attesa di tempi incompatibili con la sopravvivenza dell’embrione stesso, del quale si rende, pertanto, necessario nel frattempo il congelamento.
Come afferma, infatti, la Corte nella sentenza in commento “il divieto di crioconservazione ha subìto, di fatto, una ulteriore deroga, perché i tempi e i modi della diagnosi preimpianto risultano, allo stato delle conoscenze scientifiche, incompatibili con il breve arco temporale in cui è possibile impiantare gli embrioni senza congelarli”.
Alla luce di siffatti mutamenti, oggi si può senz’altro affermare la legittimità di un intervallo temporale, anche consistente, tra il momento della fecondazione dell’ovulo e quello dell’impianto nell’utero della donna, tempus durante il quale le vicende della coppia possono mutare e portare anche a una non più attuale condivisione del “progetto genitoriale”, come accade nel caso oggetto della presente decisione, nel quale la coppia si è, nel frattempo, separata.
Come evidenziato dalla Corte nella sentenza in commento, in definitiva, a seguito dei suddetti interventi, rivolti a dare corretto rilievo al diritto alla salute psicofisica della donna, «il rapporto regola-eccezione relativo al divieto di crioconservazione originariamente impostato dalla legge n. 40/2004 si è, nei fatti, rovesciato: la prassi è divenuta quindi la crioconservazione – e con essa anche “a possibilità di creare embrioni non portati a nascita” (sent. n. 84/2016) e l’eccezione l’uso di tecniche di impianto “a fresco”».
La Corte costituzionale ha respinto la questione di legittimità cosi come sopra formulata, ritenendo che la norma censurata sia costituzionalmente legittima.
Preliminarmente, la Consulta prende atto dell’impossibilità di soddisfare tutti i confliggenti interessi coinvolti nella fattispecie in esame, quali la tutela della salute psicofisica della donna e la sua libertà di autodeterminazione a diventare madre; la libertà di autodeterminazione dell’uomo a non divenire padre; la dignità dell’embrione; i diritti del nato a seguito della PMA, cercando, pertanto, di trovare, un bilanciamento tra essi in un’ottica di ragionevolezza costituzionalmente orientata.
Quanto alla questione relativa alla violazione del principio di eguaglianza, sotto il profilo della disparità di trattamento tra uomo e donna, posto che l’irrevocabilità del consenso sacrificherebbe soltanto la libertà individuale dell’uomo, potendo, invece, la donna sempre rifiutare il trasferimento in utero dell’embrione, essa è ritenuta non fondata.
In altri termini, si potrebbe pesare che, mentre la donna non può essere obbligata a subire l’impianto in utero, potendo sempre rifiutarlo, nonostante il consenso in precedenza prestato, l’uomo, laddove non fosse ammesso a revocare il consenso, si potrebbe vedere costretto a diventare genitore contro la sua volontà, con lesione del principio di eguaglianza e del diritto all’autodeterminazione, ossia di scelta in ordine all’assunzione del ruolo genitoriale.
Sul punto, la Corte conferma che la norma censurata non può mai portare alla imposizione dell’impianto contro la volontà della donna. Ciò in quanto, l’impianto si traduce, per ella, in un vero e proprio trattamento sanitario, estremamente invasivo, poste le evidenti conseguenze che esso produce nel suo corpo [10]. Detto trattamento presuppone, quindi, in ogni caso, un valido ed attuale consenso, coerentemente con quanto previsto dall’art. 1, commi 1 e 5, l. 22 dicembre 2017, n. 219, oltre che dall’art. 5 della Convenzione di Oviedo del Consiglio d’Europa.
In relazione alla libertà di autodeterminazione, in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., dell’uomo e alla censura secondo cui l’irrevocabilità del consenso prevista dal censurato art. 6, comma 3, ultimo periodo, lo costringerebbe «a diventare genitore contro la sua volontà», viene respinto il rilievo partendo dal presupposto che egli, in ordine alla decisione di divenire genitore, effettua una scelta consapevole, in un contesto in cui è reso edotto del possibile ricorso alla crioconservazione, “come introdotta dalla giurisprudenza costituzionale, e anche a questa eventualità presta, quindi, il suo consenso”.
L’uomo, pertanto, viene, in definitiva, portato a conoscenza di tutte le conseguenze del vincolo derivante dal suo prestando consenso e acquista la consapevolezza anche del possibile scarto temporale tra la fecondazione dell’ovulo e l’impianto in utero; egli è, quindi, nelle condizioni di conoscere che le iniziali condizioni di accesso alla PMA possano mutare o venire meno, compreso il progetto genitoriale della coppia, e, ciononostante, decidere se prestare o meno il suo consenso.
Pertanto, se è vero che la disciplina dell’irrevocabilità del consenso si configura come “un punto di non ritorno”, che può risultare freddamente indifferente alle vicende della coppia, è anche vero, secondo la Consulta, che la centralità che lo stesso consenso assume nella PMA, “fa sì che l’uomo sia in ogni caso consapevole della possibilità di diventare padre”.
Viene poi evidenziato come il consenso manifestato dall’uomo alla PMA coinvolge non solo la sfera individuale dell’uomo, ma altri due interessi costituzionalmente rilevanti, quelli della donna e quelli della dignità dell’embrione.
Quanto alla donna, ella, al fine di realizzare il comune progetto genitoriale viene, innanzitutto, sottoposta a impegnativi trattamenti farmacologici, clinici e a successivi interventi medici [11], relativamente ai quali non è possibile escludere l’insorgenza di successive patologie.
In definitiva, per la Consulta, va tenuta in enorme conto, nel bilanciamento degli interessi coinvolti, la tutela della salute psichico – fisica della donna, espressa, in ambito di PMA, “con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze, e che ha un punto di svolta nel momento in cui si vengono a formare uno o più embrioni”.
Ne consegue il sorgere in lei una legittima aspettativa di maternità, che deriva proprio dall’affidamento determinato dal consenso dell’uomo al comune progetto genitoriale.
Ecco che l’irrevocabilità di tale consenso appare quindi funzionale a salvaguardare l’integrità psicofisica della donna e, in tale bilanciamento, esso è considerato del tutto ragionevole dai giudici costituzionali [12].
Inoltre, la Consulta ritiene preminente, rispetto alla liberta autodeterminazione dell’uomo, un altro interesse, costituito dalla “dignità dell’embrione”, in quanto esso “ha in sé il principio della vita”. Vita da intendersi quale vita umana, in quanto «la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano [13].
In quest’ottica, il consenso alla PMA (che ha un calibro diverso rispetto al “consenso informato” al trattamento medico), è un atto “finalisticamente orientato a fondare lo stato di figlio”.
Sotto questo aspetto, esso esprime un’assunzione di responsabilità, che si traduce nell’attribuzione al nascituro dello stato di figlio indipendentemente dalle successive vicende della relazione della coppia.
Sul punto, relativamente allo status dei figli nati a seguito di tecniche di procreazione medicalmente assistita, la Corte ne approfitta per ribadire, richiamando l’art. 8 della l. n. 40, l’assoluto e imprescindibile status di figli nati dal matrimonio.
Inoltre, citando l’art. 9 delle predetta legge, che prevede il divieto di disconoscimento della paternità in caso di PMA eterologa [14], nonché il divieto di anonimato della madre, si evidenzia, come ulteriore assunto, la centralità (foriera della sua irrevocabilità) di una siffatta assunzione di responsabilità, che l’uomo viene a creare nel momento in cui presta il consenso nell’ambito della procreazione medicalmente assistita.
È certamente vero, peraltro, che la tutela dell’embrione non è comunque assoluta, ma va anche considerato che sinora la giurisprudenza costituzionale l’ha limitata solo nella direzione della «necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione» [15] e con quella «del diritto alla salute della donna» [16].
Ne deriva, in definitiva, che, nel bilanciamento degli interessi coinvolti, guardando, da un lato, alla tutela della salute fisica e psichica della madre, nonché alla dignità dell’embrione crioconservato (che potrebbe attecchire nell’utero materno), risulta “non irragionevole la compressione, in ordine alla prospettiva di una paternità, della libertà di autodeterminazione dell’uomo”, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.
Tale bilanciamento non può, inoltre, essere impedito dal rilievo mosso dal giudice rimettente relativo all’interesse del figlio nato dalla PMA a una stabile relazione con il padre, che si potrebbe ritenere ostacolata dalla sopravvenuta separazione dei genitori.
La Corte, sul punto, evidenzia come sia da distinguere la dissolubilità del legame tra i genitori, dalla indissolubilità del vincolo di filiazione, che è comunque assicurata, nella l. n. 40/2004, dai ricordati artt. 8 e 9. E, in ogni caso, conclude il giudice delle leggi, “la considerazione dell’ulteriore interesse del minore a un contesto familiare non conflittuale non può essere enfatizzata al punto da far ritenere che essa integri una condizione esistenziale talmente determinante da far preferire la non vita” (par. 12.4) [17].
In altri ordinamenti europei, la questione relativa alla possibile revocabilità del consenso dopo l’avvenuta fecondazione dell’ovulo viene risolta in maniera differente. Dette diverse soluzioni sono citate incidentalmente anche nella sentenza in commento ed è utile profilare, brevemente, il quadro esistente.
La revoca del consenso da parte dell’uomo è espressamente consentita (e quindi non può generare un affidamento della donna) nella legge inglese, in quella francese e in quella austriaca, fino al momento dell’impianto dell’embrione in utero. Viene, quindi, in detti ordinamenti, “spostato in avanti” il momento in cui viene considerato prevalente l’interesse alla tutela dell’embrione e del legittimo affidamento della donna [18].
Per contro, recentemente, in altri due ordinamenti stranieri si siano affermati, in via giurisprudenziale, gli stessi principi sostenuti dalla Consulta con la sentenza in commento.
La Corte suprema israeliana ha ritenuto legittima la irrevocabilità del consenso da parte dell’uomo, consentendo, pertanto, l’impianto in utero dell’embrione, tutelando il legittimo affidamento della donna, statuendo che: «[it] is difficult to assume that she would have agreed to undergo these treatments in the knowledge that her husband could change his mind at any time that he wished» [19].
In questo senso si è anche mossa la Corte Costituzionale della Colombia [20], che, in una vicenda analoga a quella del caso sottoposto alla decisione in commento, ha assimilato la figura del padre che ha prestato il consenso alla PMA a quella di un donatore anonimo.
In definitiva, la Corte Costituzionale dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della l. n. 40/2004, nella parte in cui impedisce all’uomo di revocare il consenso prestato alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, dopo la fecondazione dell’ovulo, ritenendo che la norma mantiene la sua ragionevolezza anche nel nuovo contesto che si è venuto a creare ad opera degli interventi della giurisprudenza che si sono succeduti nel tempo e cha hanno mutato alcuni aspetti salienti della l. n. 40/2004.
Sebbene, infatti, il contesto normativo in cui si muove il consenso prestato dall’uomo alle tecniche di procreazione medicalmente assistita sia stato, in parte, modificato (a seguito delle decisioni che hanno consentito l’accesso alla PMA anche alle coppie non sterili ma portatrici di malattie genetiche, consentendo così la tecnica della diagnosi preimpianto, nonché ammettendo la produzione di un numero di embrioni in numero superiore a tre e lasciando al medico una valutazione discrezionale in ordine al numero di embrioni da produrre al fine di meglio tutelare il diritto alla salute della donna), con l’importante conseguenza che, oggi, la tecnica della crioconservazione degli embrioni non è più da considerarsi eccezionale e, di conseguenza, può sussistere uno scarto temporale, anche significativo, tra la prestazione del consenso da parte della coppia e il momento in cui l’embrione viene impiantato in utero, secondo la Consulta, non viene meno la coerenza e ragionevolezza della irrevocabilità del consenso, previsto dall’art. 6 della legge censurata.
Ciò in quanto, nel bilanciamento degli interessi coinvolti, tra il diritto alla autodeterminazione dell’uomo e la salute della donna, il legittimo affidamento di ella ad una futura gravidanza e il diritto alla vita dell’embrione, sono questi ultimi a dovere essere considerati prevalenti.
La Corte è ben consapevole della complessità della scelta, che coinvolge interessi confliggenti, evidenziando come, nel nostro ordinamento, “la ricerca, nel rispetto della dignità umana, di un ragionevole punto di equilibrio, eventualmente anche diverso da quello attuale, fra le diverse esigenze in gioco in questioni che toccano temi eticamente sensibili non può che spettare primariamente alla valutazione del legislatore”, ferma restando la sindacabilità della Corte sulle scelte legislative, al fine di verificare la sussistenza di un bilanciamento non irragionevole.
È, da ultimo, da rilevare, come, quella analizzata nella presente decisione non è certamente l’ultima delle questioni che coinvolgeranno ulteriori delicati casi di confine tra l’etica, il diritto e la scienza, così come è già avvenuto nelle diverse vicende (alcune soltanto delle quali richiamate nel presente contributo), che, negli anni, hanno coinvolto la materia della PMA; ciò, a maggior ragione, in assenza di una auspicata organica e novellata disciplina normativa, che si adatti all’evoluzione della società e della scienza.
È da ritenersi che tutti i precipitati logici, sociali e giuridici che derivano dalla casistica che la giurisprudenza si trova ad affrontare negli anni, sono la conseguenza della precisa scelta dell’essere umano di andare oltre il concepimento “naturale” e di seguire gli sviluppi e i preziosi contributi della scienza, al fine di favorire la procreazione, senza che si possa negare che, andando “contro” il decorso naturale della evoluzione, le questioni che ne nascono a livello giuridico e sociale sono una inevitabile e quasi necessaria conseguenza, che solo il legislatore può armonizzare.
[1] Tra i cospicui contributi dottrinali seguiti all’approvazione della l. n. 40/2004 si possono menzionare: Casini-Casini-Di Pietro, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita», Torino, 2004; C. Casini, La legge sulla fecondazione artificiale. Un primo passo nella giusta direzione, Siena, 2004; Villani, La procreazione assistita. La nuova legge 19 febbraio 2004, n. 40, Torino, 2004; Santosuosso, La procreazione medicalmente assistita. Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Milano, 2004; Ferrando, La nuova legge in materia di procreazione medicalmente assistita: perplessità e critiche, in Corr. giur., 2004, 810 ss.; Dogliotti, La legge sulla procreazione assistita: problemi vecchi e nuovi, in Famiglia e diritto, 2004, 117 ss.; Lipari, Legge sulla procreazione assistita e tecnica legislativa, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, 516 ss.; Oppo, Procreazione assistita e sorte del nascituro, in Riv. dir. civ., 2005, I, 99 ss.; Id., Diritto di famiglia e procreazione assistita, ibidem, 329 ss.; Rescigno, Note in margine alla legge sulla procreazione assistita, in Corr. giur., 2002, 981 ss.; ora in Danno da procreazione, Milano, 2006, 139 ss.; Gazzoni, Osservazioni non solo giuridiche sulla tutela del concepito e sulla fecondazione artificiale, in Dir. fam. e pers., 2005, 168 ss.; Stanzione-Sciancalepore (a cura di), Procreazione assistita. Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Milano, 2004; Giustiniani (a cura di), Sulla procreazione assistita, Napoli, 2005; Casonato-Frosini (a cura di), La fecondazione assistita nel diritto comparato, Torino, 2006; Fortino (a cura di), La procreazione medicalmente assistita, Torino, 2005; Ruscello, La nuova legge sulla procreazione medicalmente assistita, in questa Rivista, 2004, 628 ss.; Sesta, voce Procreazione medicalmente assistita, in Enc. giur. Treccani, XXIV, Roma, 2004; Id., Dalla libertà ai divieti: quale futuro per la legge sulla procreazione medicalmente assistita?, in Corr. giur., 2004,1405; Dosi, Procreazione assistita, finalmente una legge: ma quanti limiti!, in Dir. e giust., 2003, 46, 12; Della Bella, Procreazione medicalmente assistita: prime note sulla legge della discordia, in Resp. civ. e prev., 2004, 1244; Benagiano, Legge 40/2004: le critiche di un conservatore, in Bioetica, 2004, 220; Balestra, La legge sulla procreazione medicalmente assistita alla luce dell’esperienza francese, in Familia, 2004, 1097; D’avack, La legge sulla procreazione medicalmente assistita: un’occasione mancata per bilanciare valori ed interessi contrapposti in uno stato laico, in Dir. fam. e pers., 2004, II, 793 ss.; Veronesi, Il corpo e la Costituzione, Milano, 2007, 151 ss.; Id., La legge sulla procreazione assistita alla prova dei giudici e della Corte costituzionale, in Quad. cost., 2004, 523.
La Corte costituzionale, con la sent. n. 45/2005, ha, poi, dichiarato inammissibile il referendum abrogativo dell’intera legge, ritenendola costituzionalmente necessaria.
Sulle problematiche nascenti da una legge non sempre in linea con l’evoluzione della società, vedi anche gli interessanti contributi di: S. Agosta, Procreazione medicalmente assistita e dignità dell’embrione, Roma, 2020, il quale tratta con interessante esaustività anche il rapporto tra giurisprudenza, non solo nazionale, e mancati interventi del legislatore in tale ambito; A. Ruggeri, Attività di garanzia e attività di indirizzo politico, a salvaguardia dei diritti fondamentali, in Consulta on line, 2015/II, 399 ss.; L. Chieffi, La procreazione assistita nel paradigma costituzionale, Torino, 2018; F.D. Busnelli, Cosa resta della legge 40? Il paradosso della soggettività del concepito, in Riv. dir. civ., 2011, 4, 10459 ss.; E. Dolcini, La lunga marcia della fecondazione assistita. La legge 40/2004 tra Corte costituzionale, Corte EDU, e giudice ordinario, in Riv. it. dir. proc. pen., 2, 2011; dello stesso autore, La legge sulla procreazione medicalmente assistita dieci anni dopo: la metamorfosi continua, in Riv. it. proc. pen., 2014, 1669; P. Brunese, La legge n. 40 del 2004 in materia di procreazione medicalmente assistita. Una legge mal riuscita, Napoli, 2022; F. Angelini, Profili costituzionali della procreazione medicalmente assistita e della surrogazione di maternità. La legge n. 40 del 2004 e la sua applicazione fra volontà ed esigenze di giustizia, Napoli, 2020; A. Vesto, La maternità tra regole, divieti e plurigenitorialità. Fecondazione assistita, maternità surrogata, parto anonimo, Torino, 2018.
[2] La norma prevede che «la volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura, secondo modalità definite con decreto dei Ministri della giustizia e della salute (...). La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell’ovulo».
[3] La criopreservazione (o crioconservazione) dei gameti e dei tessuti umani è una tecnica che ha il ruolo di mantenere inalterata la struttura e la funzione delle cellule, per un loro utilizzo nel tempo, mediante tecniche di congelamento che fanno uso di sostanze speciali (cosiddetti “crioprotettori”) per evitare al materiale biologico i danni legati alle basse temperature, consentendo di mantenerne la vitalità per un periodo di tempo potenzialmente infinito.
[4] Il Tribunale ordinario di Santa Maria Capua Vetere, in una situazione analoga, con le ordinanze del 27 gennaio 2021 e 11 ottobre 2020, sulla scorta dell’ordinanza della Cass. n. 30294/2017, ha consentito alla donna l’impianto dell’embrione. La sentenza 27 gennaio 2021 ha stabilito che “in ambito sanitario, il consenso costituisce una manifestazione di volontà sempre revocabile. Tuttavia, il legislatore può dettare una disciplina peculiare, che si giustifica per la tutela di rilevanti interessi pubblicistici, quale il diritto alla vita dell’embrione, che potrà essere sacrificato solo a fronte del rischio di lesione di diritti di pari rango”. Per un commento v. Perrino Stefania Pia, in GiustiziaCivile.com, 2021.
[5] Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151, Corte cost., 8 maggio 2009, n.151, in Famiglia e diritto, 2009, 761, con nota di M. Dogliotti, La Corte costituzionale interviene sulla produzione e sul trasferimento degli embrioni a tutela della salute della donna; in Corr. giur., 2009, 1213, con nota di G. Ferrando, Diritto alla salute della donna e tutela degli embrioni: la consulta fissa nuovi equilibri; in Nuove leggi civ. comm., 2009, 475 con nota di R. Villani, Procreazione assistita e Corte costituzionale: presupposti e conseguenze (dirette ed indirette) del recente intervento della consulta sulla disciplina della legge n. 40/04; in Fam. pers. succ., 2009, 683, con nota di F.R. Fantetti, Illegittimità costituzionale della legge sulla procreazione medicalmente assistita; Busnelli, Cosa resta della legge 40? Il paradosso della soggettività del concepito, in Riv. dir. civ., 2011, 4, 10459 ss..; Chinni, La procreazione medicalmente assistita tra detto e non detto. Brevi riflessioni sul processo costituzionale alla L. n. 40/2004, in Giur. It., 2010, 2, 281 ss..; d’Avack, La Consulta orienta la legge sulla P.M.A. versa la tutela dei diritti della madre, in Dir. famiglia, 2009, 3, 1021 ss..; Manetti, Procreazione medicalmente assistita: una political question disinnescata, in Giur. cost., 2009, 3, 1688 ss..; Razzano, L’essere umano allo stato embrionale e i contrappesi alla sua tutela. In margine alla sentenza della Corte costituzionale n. 151/2009 e all’ordinanza del Tribunale di Bologna del 25 giugno 2009, in Giur. It., 2010, 2, 281 ss..; Tripodina, La Corte costituzionale, la legge sulla procreazione medicalmente assistita e la ‘‘Costituzione che vale piu` la pena di difendere’’?, in Giur. Cost., 2009, 3, 1696 ss..; Trucco, Procreazione assistita: la Consulta, questa volta, decide (almeno in parte) di decidere, in Giur. It., 2010, 2, 281 ss.
[6] Afferma la Corte che il limite numerico di tre embrioni genera «la necessità della moltiplicazione dei cicli di fecondazione» potendo anche favorire “ l’aumento dei rischi di insorgenza di patologie che a tale iperstimolazione sono collegate; per altro verso, producendo, in quelle ipotesi in cui maggiori siano le possibilità di attecchimento, un pregiudizio di diverso tipo alla salute della donna e del feto, in presenza di gravidanze plurime, avuto riguardo al divieto di riduzione embrionaria selettiva di tali gravidanze».
[7] Corte cost., 14 maggio 2015, n. 96 (la decisione parte dalle ordinanze di rimessione del Trib. Roma del 15 gennaio e del 28 febbraio 2014), in Foro It., 2015, I, 2250 ss.. con nota di Casaburi, La Corte costituzionale allarga (con qualche ambiguità) l’accesso alla procreazione medicalmente assistita; per i tanti commenti cfr., ex plurimis, M. Giacomini, Il sì alla diagnosi preimpianto: un punto di arrivo o un punto di partenza? in Forum di Quaderni Costituzionali, 28 giugno 2015; M.P. Iadicicco, Finalmente una decisione del giudice delle leggi sulla diagnosi genetica preimpianto, in attesa del doveroso intervento del legislatore, in Giur. Cost., 3, 2015, 789-805.; E. Malfatti, La Corte si pronuncia nuovamente sulla procreazione medicalmente assistita: una dichiarazione di incostituzionalità annunciata ma forse non “scontata” né (del tutto) condivisibile, in Giur. cost., II, 2015, 533 ss.; C. Tripodina, Le parole non dette. In lode alla sentenza 96/2015 in materia di fecondazione assistita e diagnosi preimpianto per coppie fertili portatrici di malattia genetica, in Costituzionalismo.it, 2, 2015; F. Viganò, La sentenza della Consulta sul divieto di accesso alla fecondazione assistita per coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili (e una chiusa finale sulla questione della diretta applicazione della CEDU), in Diritto Penale Contemporaneo, 2015; Pellizzone, L’accesso delle coppie fertili alla diagnosi genetica preimpianto dopo la sentenza 96 del 2015: le condizioni poste dalla Corte costituzionale, in www.
forumcostituzionale.it, 2015, 11.
Sul dibattito antecedente la decisione, sia consentito il rinvio a S. La Rosa, Diagnosi preimpianto anche per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche, in Famiglia e diritto 5/2010, 488 ss., che analizza la decisione del Trib. Salerno del 9 gennaio 2010, il quale innovando sul punto, tutelando il diritto alla salute della donna, il diritto all’informazione nel trattamento sanitario e il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, autorizzava una coppia fertile, affetta da una grave patologia geneticamente trasmissibile, a ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, al fine di potere effettuare la diagnosi genetica preimpianto e il trasferimento in utero dei soli embrioni risultanti da essa sani. È stato, in questo modo, già allora, ampliata la portata della l. 40/2004, applicabile alle coppie, non affette da sterilità o infertilità, che presentassero un rischio qualificato di trasmissione di malattie gravi e inguaribili; per una nota critica a detta sentenza v. anche C. Tripodina, Sul come scansare la briglia delle leggi. Ovvero, la legge sulla procreazione assistita secondo il giudice di Salerno, in Costituzionalismo.it, 1, 2010.
[8] La diagnosi genetica preimpianto (DGP) consiste in una metodologia, complementare alle tecniche di diagnosi prenatale, la quale, attraverso il prelievo di una o più cellule dall’embrione generato in vitro da coppie a elevato rischio riproduttivo, prima del suo impianto in utero, permette di identificare la presenza di malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche in embrioni in fasi molto precoci di sviluppo. Si tratta di un accertamento diagnostico, divenuto possibile solo successivamente alla praticabilità della procreazione medicalmente assistita (PMA), consistente o in una mera analisi di tipo osservazionale, non invasiva, ossia nell’esame al microscopio (esame morfologico) dell’embrione, al fine di evidenziarne eventuali malformazioni visibili (indagine sempre necessaria per valutare se l’embrione ha raggiunto la condizione atta all’impianto in utero) o in una diagnosi preimpianto genetica – più invasiva nei confronti dell’embrione, comportando la perforazione della membrana che lo avvolge – consistente nel prelievo di alcune cellule (blastomeri) dall’embrione, le quali vengono analizzate al fine di identificare eventuali patologie genetiche.
In altra sede (sia nuovamente consentito il rinvio a S. La Rosa, Diagnosi preimpianto anche per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche,) si è evidenziato come, nel sistema americano, le cliniche che praticano la PMA ammettono il ricorso alle indagini genetiche non solo per diagnosticare la presenza di gravi malattie che potrebbero svilupparsi nei primi anni di vita del bambino (malattia di Tay-Sachs, fibrosi cistica, talassemia), ma anche (e ciò va al di là di quanto sia già consentito in gran parte dell’esperienza europea, salvi alcuni paesi) per conoscere se l’embrione presenti il rischio di sviluppare in età adulta forme tumorali o di ammalarsi di sindromi neurodegenerative, quali il morbo di Alzheimer. Tuttavia, l’aspetto più “inquietante” dell’esperienza americana è dato dalla sempre più diffusa pratica a chiedere, e ottenere, per ragioni non strettamente mediche, ma di mera preferenza genitoriale, la DGP per la selezione del sesso del nascituro.
[9] Sul dibattito, dottrinale e giurisprudenziale, che ha preceduto l’ammissibilità della diagnosi genetica preimpianto, sia consentito il rinvio a S. La Rosa, La diagnosi genetica preimpianto: un problema aperto, in Famiglia e diritto, 8-9/2011, 839 ss.; Corte cost., ord. 9 novembre 2006, n. 369, in questa Rivista, 2007, 545, con nota di A. Figone, La Corte costituzionale interviene in tema di diagnosi preimpianto sull’embrione; in Giur. it., 2007, 1617, con nota di L. Trucco, La procreazione medicalmente assistita al vaglio della Corte costituzionale Trib. Cagliari 22-24 settembre 2007, in questa Rivista, 2007, 12, 148 con nota di M. Dogliotti, Diagnosi preimpianto, accertamento dello stato di salute dell’embrione e diritti della persona; in Corr. giur., 2008, 390, con nota di G. Ferrando, Il tribunale di Cagliari dice sì alla diagnosi preimpianto, in Fam. pers. succ., 2008, 7, 604, con nota di A. Gorgoni, Il diritto alla diagnosi preimpianto dell’embrione; in Fam. pers succ., 2008, 419, con nota di S. Della Bella, La svolta: il Tribunale di Cagliari e il Tribunale di Firenze ammettono la diagnosi preimpianto; in Corr. merito, 2008, 313, con nota di G. Casaburi, Procreazione assistita: il Tribunale di Cagliari dà luce verde alla diagnosi preimpianto; in Nuova giur. civ. comm., 2008, 260, con nota di E. Palmerini, Procreazione assistita e diagnosi genetica: la soluzione della liceità limitata. Trib. Firenze, ord. 17-19 dicembre 2007, in questa Rivista, 2008, 718, con nota di F. Astiggiano, Evoluzione delle problematiche relative all’analisi preimpianto dell’embrione e nuove linee guida ministeriali; in Foro it., 2008, 627; in Giur. merito, 2008, 997; in Dir. fam. pers., 2008, 720. Tar Lazio, sez. III quater, 21 gennaio 2008, n. 398, in questa Rivista, 2008, 499, con nota di A. Figone, “Illegittimo il divieto di indagini preimpianto sull’embrione?”; in Nuova giur. civ. comm., 2008, 495, con nota di S. Penasa, “Tanto tuonò che piovve: l’illegittimità parziale delle Linee Guida e la questione di costituzionalità della l. n. 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita”; M. D’Amico, Il concepito e il diritto a nascere sani: profili costituzionali alla luce della decisione della Corte di Cassazione (n. 16754 del 2012), in Bioetica, 2015, I, 23 ss.; M. Giacomini, Il sì alla diagnosi preimpianto: un punto di arrivo o un punto di partenza?, cit.; M. P. Iadicicco, Finalmente una decisione del giudice delle leggi sulla diagnosi genetica preimpianto, in attesa del doveroso intervento del legislatore, cit.; C. Tripodina, Le parole non dette. In lode alla sentenza 96/2015 in materia di fecondazione assistita e diagnosi preimpianto per coppie fertili portatrici di malattia genetica, cit.
[10] Sul punto, cfr. la concorde dottrina, ex multis: Chieffi, La procreazione assistita nel paradigma costituzionale, Torino, 2018, 79; Ferrando, Separazione dei coniugi, impianto degli embrioni in vitro, dissenso del marito, in Nuova giur. Comm., 2021, 3,649 ss.; Liberali, Problematiche costituzionali nelle scelte procreative, cit.; Iadicicco, Corpo e procreazione medicalmente assistita. I nodi ancora irrisolti della disciplina italiana, in www.questionegiustizia.it, 2016, 2, 238 ss..; Scarpa, Crisi della coppia e revoca della volontà di accesso alla procreazione medicalmente assistita (nota a Trib. S. M. Capua Vetere, 11 ottobre 2020), in www.giustiziainsieme.it, 2021, 6; Trib. Perugia, 28 novembre 2020 (ordinanza), in Giur. It., 2021, 12, 2610 con nota di Orestano, Procreazione assistita, crisi della coppia e revoca del consenso all’impianto dell’embrione.
[11] ”La donna viene sottoposta, nell’ipotesi decisamente ricorrente che è quella della fecondazione in vitro, al prelievo dell’ovocita, che necessariamente (a differenza di quanto accade per l’uomo) consiste in un trattamento sanitario particolarmente invasivo, tanto da essere normalmente praticato in anestesia generale” (par. 12.1)
[12] Sul punto, la Corte effettua anche un rinvio alle linee guida del d.m. 1° luglio 2015 (ove si prevede che “la donna ha sempre il diritto ad ottenere il trasferimento degli embrioni crioconservati”), che l’irrevocabilità di detto consenso appare “funzionale a salvaguardare l’integrità psicofisica della donna – coinvolta, come si è visto, in misura ben maggiore rispetto all’uomo – dalle ripercussioni negative che su di lei produrrebbe l’interruzione del percorso intrapreso, quando questo è ormai giunto alla fecondazione” (par.12.1).
[13] Corte di giustizia dell’Unione europea, grande sezione, in causa C-34/10, sentenza 18 ottobre 2011, Brustle contro Greenpeace e V.
[14] L’excursus giurisprudenziale in materia di disconoscimento di paternità del figlio nato da fecondazione eterologa ha inizio con una sentenza del tribunale di Roma del 30 aprile 1956 (in Giur. it. 1957, I, 2, 218), la prima in materia di procreazione artificiale, la quale afferma che, data l’inesistenza di una specifica norma volta ad escludere l’azione di disconoscimento di paternità del figlio procreato a seguito d’inseminazione artificiale eterologa consentita dal marito, l’azione deve essere ammessa sulla base dell’art. 235 cod. civ., in quanto è idonea a costituire un vero e proprio rapporto giuridico di filiazione solo la diretta derivazione genetica e non anche il semplice consenso (consensus non facit filios). In questo senso si esprime, successivamente, il Trib. Cremona con sentenza del 17 febbraio 1994 (in Giur. it. 1994, I, 2, 995). In dottrina v. i commenti favorevoli di G. Ponzanelli, La “forza” e la “purezza” degli status: disconoscimento di paternità e inseminazione eterologa, in questa Rivista, 1994, 186 e, in senso critico, quelli di G. Ferrando, Il “caso Cremona”: autonomia e responsabilità nella procreazione, in Giur. it. 1994, I, 2, 996; M. Dogliotti, Inseminazione eterologa e azione di disconoscimento: una sentenza da dimenticare, in questa Rivista, 1994, 182; M. Gorgoni, Fecondazione artificiale eterologa e rapporti parentali, in Giust. civ. 1994, I, 1691 e M. Soldano, Disconoscimento di paternità in caso di inseminazione artificiale eterologa consentita dal marito, ivi, 1697) e la App. Brescia del 10 maggio1995 (in Giur. it. 1997, I, 2, 48).
Successivamente, il Trib. Napoli, ord. 2 aprile 1997 (in Foro it. 1997, I, 2677) solleva davanti al giudice delle leggi la questione di legittimità costituzionale dell’art. 235 cod. civ. nella parte in cui non preclude l’azione di disconoscimento della paternità al padre che abbia consentito all’inseminazione eterologa della moglie.
La Corte cost., con sent. 26 settembre 1998, n. 347 (in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 51, con nota di E. Palmerini; in Giur. it. 1999, 461, con note di L. Balestra, Inseminazione eterologa e status del nato e di Uccella, Consenso revocato, dopo la nascita del figlio, all’inseminazione eterologa e azione di disconoscimento: ciò che suggerisce la Corte costituzionale e di Cossu, Direttive costituzionali e sistema della filiazione: inseminazione eterologa, consenso del marito e disconoscimento di paternità, in Giur.it., 1999,681; in Dir. fam.e pers., 1999, 11 con note di L. D’Avack-Morosini-Ciani), ha giudicato inammissibile la questione di costituzionalità sollevata dal Trib. Napoli, ma è stata seguita dall’importante pronuncia della Cass. 16 marzo 1999, n. 2315 (in Fam. dir., 1999, 237, con nota di M. Sesta, Fecondazione assistita. La Cassazione anticipa il legislatore; in Guida al diritto, 1999, 12, 48 con nota di A. Finocchiaro, La Cassazione non può svolgere una supplenza nelle funzioni riservate al legislatore; in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 523, con nota di E. Palmerini), con la quale la Corte ha affermato che il marito, dopo aver validamente concordato o comunque manifestato il proprio preventivo consenso alla fecondazione assistita della moglie con seme di donatore ignoto, non ha azione per il disconoscimento della paternità del bambino concepito attraverso tale tipo di fecondazione artificiale.
La l. n. 40/2004, nel suo impianto originario, consentiva di sottoporsi esclusivamente alle tecniche procreative di tipo omologo, vietando espressamente (art. 4, comma 3) il ricorso a quelle di tipo eterologo in cui si utilizzano gameti di donatori terzi, esterni alla coppia.
Tuttavia, anche in tale contesto, la Corte costituzionale è intervenuta con una decisiva decisione, ammettendo la fecondazione eterologa nel caso in cui sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili (sent. n. 162/2014).
Tra i cospicui commenti a questa sentenza v. E. La Rosa, Il divieto “irragionevole” di fecondazione eterologa e la legittimità dell’intervento punitivo in materie eticamente sensibili, in Giur. it., 2014, 2830 ss.; G. D’amico, La sentenza sulla fecondazione «eterologa»: il peccato di Ulisse, in Quaderni Costituzionali, 2014, 3, 663 ss.; V. Tigano, La dichiarazione di illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa: i nuovi confini del diritto a procreare in un contesto di perdurante garantismo per i futuri interessi del nascituro, in Diritto Penale Contemporaneo, 13 giugno 2014; M. D’amico, L’incostituzionalità del divieto assoluto della c.d. fecondazione eterologa, in BioLaw Journal, 2, 2014, 34 ss.
Riguardo alla fecondazione eterologa, v. la nota sentenza della Corte EDU, 1° aprile 2010, S.H. e altri c. Austria, la quale ha precorso e influenzato la successiva giurisprudenza di merito italiana (v. Trib. Firenze, ord. 1-13 settembre 2010, Trib. Catania, ord. 21 ottobre 2010), per il comento delle tre decisioni, sia consentito il rinvio a S. La Rosa, Il divieto di fecondazione eterologa va al vaglio della corte costituzionale, in Corr. Giur.,1210, 1633 ss.).
Su ulteriori commenti alla sentenza EDU v., B. Liberali, La decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e il giudice comune italiano: la non manifesta infondatezza della questione; I. Pellizzone, Fecondazione eterologa e Corte europea: riflessioni in tema di interpretazione convenzionalmente conforme e obbligo del giudice di sollevare la questione di legittimità costituzionale.
[15] Sent. Corte cost. n. 151/2009, cit.
[16] Sent. Corte cost. n. 96/2015, cit.
[17] Per ciò che concerne la censura relativa all’art. 117, comma 1, Cost., in riferimento all’art. 8 CEDU in merito al rispetto della vita privata, ossia alla libertà dell’individuo tanto di avere un figlio quanto di non averlo, la Corte richiama il caso Evans contro Regno Unito, nel quale la Corte EDU ha affermato che gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento nel risolvere il “dilemma” della revocabilità o meno del consenso.
Non avendo il legislatore nazionale ecceduto il margine di apprezzamento riconosciuto allo Stato italiano, la Corte stabilisce che anche sotto questo profilo l’art. 6 della legge 40 censurato non posa essere ritenuto in contrasto con la Carta costituzionale italiana e non sussista, pertanto, alcuna violazione dell’art 8 CEDU.
[18] La Corte EDU, sentenza Evans contro Regno Unito, ha, quindi, in quel caso, concluso che non sussistessero motivi per ritenere che la soluzione adottata dal legislatore inglese avesse superato il margine di apprezzamento concesso dall’art. 8 CEDU. Non ha nascosto però di provare «great sympathy for the applicant, who clearly desires a genetically related child above all else».
[19] Corte Suprema di Israele, sentenza 12 settembre 1996, Nahmani contro Nahmani, opinione di maggioranza, Justice Ts. E. Tal.
[20] Sent. 13 ottobre 2022, T-357/22.