Il saggio analizza il recente fenomeno del peer-to-peer lending, evidenziandone alcune criticità rispetto al problema dei confini con le tradizionali riserve di attività, della ricostruzione del rapporto tra utenti e tra utenti e piattaforma, dei pericoli connessi all'inadeguatezza dell'attuale quadro normativo.
The essay analyzes the recent phenomenon of peer-to-peer lending, highlighting some of its critical issues with respect to the problem of boundaries with activity reserved, the reconstruction of the relationship between users and between users and platform, and the dangers associated with the inadequacy of the current regulatory framework.
Sommario:
1. Il prestito tra privati su piattaforma e la sua dimensione problematica. - 2. I caratteri dell’operazione. - 3. La struttura dell’operazione. - 4. P2p lending e attività riservate. - 5. Il p2p lending in uno spazio non regolato. - NOTE
Nonostante il prestito tra privati su piattaforma sia un fenomeno recente e dalle proporzioni tutto sommato contenute sia per gli importi erogati sia per le dimensioni del relativo mercato[1] (forse anche per questo poco indagato dalla dottrina e non ancora giunto al vaglio del giudice ordinario[2]), la sua marginalità non lo rende meno insidioso dal punto di vista dei rischi generati né meno interessante nella prospettiva dell’indagine civilistica [3].
Per un verso, e in generale, deve ritenersi tramontata l’idea che scambi di piccolo importo possano dirsi per ciò solo neutri dal punto di vista della portata dell’indebitamento e dei pregiudizi ai consumatori. Non a caso, la appena varata Direttiva 2023/2225/UE (CCD II) relativa ai contratti di credito ai consumatori [4], con il dichiarato scopo di garantire un livello elevato di protezione dei debitori, maggiore trasparenza e maggiore fiducia [5], amplia il suo ambito applicativo ricomprendendovi anche contratti di credito per un importo totale inferiore a 200 euro nonché le operazioni di “buy now pay later”, nuovi strumenti di finanziamento digitali che consentono ai consumatori di effettuare acquisti e di saldarli col tempo senza interessi e senza e spese [6], cui già Banca di Italia aveva riservato attenzione, avvertendo che proprio il basso importo dei beni acquistati, in uno con la facilità di accesso al servizio, potrebbe incoraggiare scelte non del tutto consapevoli esponendo gli utenti al rischio di sovraindebitamento [7]. La digitalizzazione ha invero contribuito a modificare significativamente il mercato, sia sul versante dell’offerta che su quello della domanda, con la comparsa di nuovi prodotti e l’evoluzione del comportamento e delle preferenze del consumatore, sicché sono adesso le modalità di accesso al credito, sempre meno costose e (all’apparenza) meno intermediate a fare da moltiplicatore dei rischi.
Per altro verso, il prestito tra privati su piattaforma (d’ora in poi anche peer to peer lending o p2p [8]) rappresenta un angolo di osservazione particolarmente efficace di una serie di questioni che poi si coagulano tutte attorno al grande problema del se, ed eventualmente come e quanto, l’impiego di un algoritmo nel confezionamento del prodotto e nella determinazione delle prestazioni interferiscano con la dialettica debito credito che fisiologicamente si instaura a valle di un contratto di credito.
Per articolare brevemente questo discorso, è indispensabile descrivere anche solo per punti la dinamica concreta dell’operazione, che, nei suoi tratti essenziali, è una forma di finanziamento alternativa a quelle tradizionali connotata da due elementi: su entrambi i lati del mercato operano soggetti privati (è un privato colui che presta, che, in surplus, impiega denaro in vista di un rendimento; è un privato colui che prende, che in deficit., reperisce fondi in cambio di una remunerazione); si tratta di prestito tra privati che nasce, vive e muore tutto su una piattaforma digitale (lending marketplace) la quale agisce in qualità di mandataria con rappresentanza di entrambe le parti in virtù di un contratto quadro che la stessa predispone.
Sebbene nulla escluda in astratto che la piattaforma si limiti ad assumere un ruolo defilato, di mera facilitazione dell’incontro fra domanda e offerta di credito, l’esperienza concreta e l’esame della prassi rivelano che un simile schema è pressoché assente nella realtà, almeno in quella italiana [9]. I modelli di business generalmente adottati assegnano infatti alla piattaforma un ruolo egemone durante tutto l’arco della vita del credito, affidandole una complessa e articolata serie di attività che, complessivamente considerate, inducono a ritenere che il peer to peer lending, lungi dal mettere capo a una forma di credito disintermediato, come di primo acchito sembrerebbe, dia luogo piuttosto a un nuovo modello di intermediazione, non meno pervasivo, e forse di più, rispetto a quelli tradizionali.
La piattaforma, dopo aver verificato la sussistenza dei criteri di partecipazione in capo agli utenti e consentito l’accesso con pseudonimo ad un’area riservata che abilita all’operatività, compie la valutazione preliminare del merito creditizio dei richiedenti e su tale base li classifica pubblicandone la richiesta. Appena la richiesta di finanziamento diviene visibile, la platea di potenziali finanziatori iscritti può decidere se aderirvi, sulla scorta delle condizioni determinate dalla piattaforma (rischio di credito, durata, tasso di interesse, ammontare, eventuali garanzie) oppure, più frequentemente, l’abbinamento è determinato da un algoritmo proprietario che ripartisce i fondi messi a disposizione dal singolo finanziatore fra più richiedenti appartenenti alla medesima classe di credito a partire dalle preferenze espresse in termini di rischio e rendimento atteso, secondo il meccanismo del cosiddetto autobid. Ciascun prestito è dunque finanziato da quote di limitato importo offerte da differenti prestatori. La suddivisione dell’importo investito tra una molteplicità di prenditori è volta a mitigare il rischio; allo stesso fine è in genere fissato un importo massimo finanziabile da ogni lender per ogni operazione. Una volta avvenuto l’abbinamento tra le offerte e la richiesta, è eseguito l’ordine di trasferimento delle somme dal conto di pagamento dei prestatori al conto di pagamento del richiedente: tutte le movimentazioni di denaro si appoggiano a un conto di pagamento nominativo attivato e gestito dalla piattaforma.
Il rischio di credito rimane in capo al finanziatore, il quale, nell’eventualità di mancata restituzione o anche semplice ritardo nel pagamento delle rate, non ha azione nei confronti del lending marketplace. Anche l’azione diretta nei confronti del debitore è però di fatto inibita dal momento che, giovandosi di clausole di espressa rinuncia ad azioni individuali, la piattaforma prende in carico tutta la eventuale fase patologica del rapporto, fino al recupero del credito.
Sempre più spesso, inoltre, è consentita ai creditori/investitori la possibilità di avvalersi della automatica riallocazione delle somme che affluiscono sul proprio conto allo scadere delle rate nonché di liquidare anticipatamente l’investimento originario cedendo il credito ad altri utenti, dando per questa via vita ad un mercato secondario di prodotti finanziari organizzato pur sempre dalla piattaforma [10].
Si tratta dunque di una complessa e articolata attività svolta rendendo una serie di servizi abitualmente erogati da soggetti differenti – ciascuno destinatario di discipline ispirate a principi di specializzazione settoriale [11] – e anche per questo a fatica collocabile de plano entro un unico plesso normativo [12].
La dottrina che si è occupata del tema e l’abf, che in materia ha reso qualche pronuncia, forniscono una descrizione dell’operazione in termini di struttura contrattuale a doppio livello articolata in un contratto quadro che prenditore e prestatore, ognuno per sé, stipulano con la piattaforma secondo le cadenze proprie della contrattazione per adesione e a valle un contratto di mutuo tra pari[13]. Un inedito triangolo contrattuale[14] dunque, che avrebbe come obliqui i due contratti quadro che ciascun utente conclude con la piattaforma e per base il rapporto negoziale intercorrente fra utenti [15].
È questa («i singoli prestiti danno vita a contratti di prestito tra prestatore e richiedente» [16]) la fisionomia dell’operazione restituita dalla lettura dei testi contrattuali redatti dai maggiori operatori del settore facilmente reperibili online [17], che programmaticamente enunciano l’estraneità della piattaforma rispetto alla vicenda debito credito insistendo sulla piena e assoluta titolarità dell’utente delle somme giacenti sui conti di pagamento, patrimonio distinto a ogni effetto da quello della piattaforma; soprattutto, ribadendo che la piattaforma «non esercita l’attività di raccolta di risparmio tra il pubblico – che è riservata alle banche – e pertanto non ha un obbligo di rimborso delle somme ricevute dagli utenti» [18]. Argomenti funzionali alla professione di terzietà della piattaforma rispetto ai rapporti tra prestatore e richiedente, che ha una prima conseguenza di immediata percezione: il rapporto di mutuo sfugge al perimetro applicativo di qualsivoglia disciplina di protezione per difetto dei presupposti soggettivi, dal momento che il finanziatore è creditore non professionista e la piattaforma è professionista non creditore; con la ulteriore conseguenza che, se dal lato passivo c’è un consumatore, di certo non potrà giovarsi delle cautele che generalmente gli sono dedicate dalla disciplina del credito ai consumatori.
È pero, più in generale, l’idea che ci si trovi davvero davanti a un contratto di mutuo e, ancor prima, di un contratto tout court, a suscitare perplessità perché si scontra con alcune eccentricità difficilmente riducibili [19].
Anzitutto, il rapporto tra privati è caratterizzato da una parità davvero sui generis, tutta nel segno dello peseudonimato: le «parti» si muovono sulla piattaforma con un nickname e la loro identità è nota solo al gestore (che si impegna a non fornirla agli altri utenti), sicché nessun creditore sa chi sia il suo debitore e viceversa.
È in secondo luogo un rapporto interamente eteroregolato ed eterogestito siccome retto da (almeno [20]) due contratti quadro standard [21] a predisposizione aliena [22] sui quali la volontà delle parti non ha nessun margine di incidenza [23].
Pseudonimato, standardizzazione e unilaterale predisposizione verrebbero dunque a caratterizzare una relazione che si sottrae al rassicurante perimetro del mutuo codicistico – mettendo fuori gioco perfino l’idea che prestatore e finanziato siano legati da un contratto – anche da altro profilo. Con la conclusione del contratto quadro il prestatore e il richiedente si assicurano, ciascuno per sé, la cooperazione della piattaforma per l’esecuzione di future operazioni (di finanziamento per il richiedente, di in vestimento per il prestatore). I singoli «ordini» da un lato, i trasferimenti dei fondi da e verso il conto di pagamento del richiedente dall’altro, sono atti specificativi di quel generale dovere di cooperazione che sorge in capo alla piattaforma sia nei confronti dei prestatori sia nei confronti dei richiedenti in virtù del mandato conferito a monte. Il creditore non consegna né promette al debitore una somma di denaro; piuttosto, versa alla piattaforma e ottiene la restituzione dalla piattaforma. Il debitore non restituisce al suo creditore; piuttosto, consente che l’importo corrispondente alla rata in scadenza sia trasferito, ad opera della piattaforma, dal proprio conto di pagamento a quello dei prestatori. In nessuna delle fasi dell’operazione si instaura una autentica relazione tra gli utenti, il cui unico interlocutore è e rimane la piattaforma.
Infine, e soprattutto, la suddivisione di ogni finanziamento «in un numero predeterminato di parti, omogenee, standardizzate e rappresentative dei medesimi diritti … che hanno identiche caratteristiche oggettive» [24], imprime alla struttura dell’operazione una curvatura tale per cui a circolare (dentro la piattaforma) siano in realtà frazioni dell’unitaria operazione di credito «fungibilmente abbinate ad altrettanto parcellizzate offerte di prestito» [25]. La combinazione algoritmicamente determinata tra prenditori anonimi di «quote» derivanti dall’automatico frazionamento di somme rese disponili da finanziatori altrettanto anonimi, in esecuzione di contratti quadro standard predisposti da un terzo che agisce quale mandatario di tutti soggetti coinvolti, non consente di rintracciare, neanche alla lontana, i tratti di un accordo fra chi prende a prestito il denaro e chi lo presta (per investirlo).
Nessun triangolo, dunque, e semmai un fascio di rapporti bilaterali sempre intercorrenti fra utente – creditore o debitore che sia – e piattaforma.
Riguardata l’operazione dal punto di vista squisitamente economico, la piattaforma svolge un’attività che non è molto diversa dalla «raccolta del risparmio» e di «esercizio del credito», espressioni «volutamente e giustamente atecniche» che evocano la sequenza «denaro (acquisizione o concessione della disponibilità di) – tempo – denaro (restituzione del), così essendo il danaro, la moneta, l’inizio e il termine dell’operazione»[26]. Assumendo una prospettiva di analisi funzionale, anche la distinzione tra le fattispecie implicanti attività di acquisizione di fondi con obbligo di rimborso e quelle in cui detto obbligo è escluso risulta più sfuggente e di sicuro va condotta tenendo in secondo piano la configurazione giuridica che l’operazione assume siccome ideata, confezionata e offerta dalla piattaforma, dovendosi invece privilegiare la complessiva struttura finanziaria concretamente posta in essere, al di là di ogni (autoreferenziale) qualificazione formale[27].
Se, nella prospettiva di analisi indicata, certo spinta ma forse plausibile, le piattaforme erogano il credito e raccolgono il risparmio senza essere banche, rischiano di muoversi ai confini delle tradizionali riserve stabilite dalla legge e probabilmente oltre i margini della legalità [28].
Il pericolo di una sistematica violazione della riserva di raccolta del risparmio presso il pubblico ha mosso Banca d’Italia a fornire alcune precisazioni in tema di raccolta non bancaria del risparmio [29], volte a chiarire che l’operatività dei gestori dei portali online che prestano o raccolgono fondi è consentita purché si svolga nel rispetto delle norme che regolano le attività riservate dalla legge a particolari categorie di soggetti (attività bancaria, raccolta del risparmio presso il pubblico, concessione di credito nei confronti del pubblico, mediazione creditizia, prestazione dei servizi di pagamento) [30].
Ribadito in linea di principio il generale divieto di raccolta del risparmio tra il pubblico, Banca d’Italia consente tuttavia alcune deroghe all’art. 11 TUB, precisando, quanto ai gestori, che non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione dei servizi di pagamento dai gestori medesimi, se autorizzati a operare come istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica o intermediari finanziari di cui all’art. 106 TUB autorizzati a prestare servizi di pagamento ai sensi dell’art. 114-novies, comma 4, TUB. Quanto ai prenditori, non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico l’acquisizione di fondi effettuata sulla base di trattative personalizzate con i singoli finanziatori, che ricorrono «allorché i prenditori e i finanziatori sono in grado di incidere con la propria volontà sulla determinazione delle clausole del contratto tra loro stipulato e il gestore del portale si limita a svolgere un’attività di supporto allo svolgimento delle trattative precedenti alla formazione del contratto». Per non incorrere nell’esercizio abusivo della raccolta del risparmio, i prenditori dovranno avvalersi esclusivamente di piattaforme che assicurino il carattere personalizzato delle trattative e siano in grado di dimostrare il rispetto di tale condizione anche attraverso un’adeguata informativa pubblica. Condizione, questa, che si considera rispettata ove il gestore predisponga un regolamento contrattuale standard che costituisca «solo una base di partenza delle trattative, che devono essere in ogni caso svolte autonomamente dai contraenti, eventualmente avvalendosi di strumenti informatici forniti dal gestore» [31].
Nessuna delle indicazioni adesso richiamate intercetta la reale operatività del fenomeno. Si è già segnalato, e non occorre indugiare oltre, come il grado di incidenza della volontà di prenditori e finanziatori sulla configurazione del prodotto sia prossimo allo zero e quanto penetrante, se non del tutto decisiva, l’intermediazione della piattaforma. Niente di più lontano, insomma, da quella «attività di supporto allo svolgimento delle trattative precedenti alla formazione del contratto» che sola eviterebbero la violazione della riserva.
Con riguardo al velato suggerimento di assumere le vesti di istituti di pagamento, proprio le indicazioni provenienti dalla Autorità di Vigilanza hanno fin qui indotto la maggior parte dei lending marketplace operante in Italia a prescegliere lo status regolamentare di istituti di pagamento, cui è riservata (con banche ed istituti di moneta elettronica) la prestazione dei servizi di pagamento ex art. 114-sexies TUB nel rispetto della riserva di raccolta del risparmio [32]. È evidente tuttavia che la prestazione dei servizi di pagamento non solo non esaurisce il fascio delle attività svolte dalla piattaforma ma a ben vedere non ne rappresenta neanche il core [33], atteggiandosi come meramente strumentale all’attività di allocazione, mentre l’assoggettamento alla relativa disciplina anche in punto di doveri informativi e obblighi di condotta, lascia fuori altri più rilevanti segmenti dell’operazione che «restano non regolati da disposizioni settoriali ed esenti da controlli delle autorità» [34].
Il peer to peer lending occupa uno spazio attualmente non regolato.
Pur manifestando – almeno quando fondato sui sofisticati modelli di business fin qui descritti – evidenti affinità con la «gestione individuale di portafogli di prestiti» anche nella forma dell’«autoinvestimento», risulta espressamente escluso dal recente regolamento sul crowdfunding [35], il quale tuttavia non pare affrontare problemi radicalmente diversi da quelli posti dal p2c lending, sicché, ferma l’opportunità di una specificazione delle regole quando entrino in gioco i consumatori e un adattamento delle norme a tutela degli «investitori non sofisticati», avrebbe potuto rappresentare una utile occasione per disciplinare il fenomeno, tanto più ove l’assimilazione si fosse incaricata di ridurre i tratti che separano allo stato crowdlendig alle imprese e rapporti p2p quanto, per esempio, a necessità di un progetto, anonimato, discrezionalità del gestore.
D’altro canto, nel corso dei lavori preparatori che hanno condotto all’adozione della nuova direttiva di credito ai consumatori si era avvistato il problema [36] ma il Consiglio dell’Unione europea ha poi approvato un orientamento generale con il quale, tra l’altro, si pronunciava sulla inopportunità di includere i «servizi di prestito tramite crowdfunding diretto tra pari in un atto relativo alla protezione dei consumatori (riguardante le relazioni B2C)», proponendo «che tale tipo di prestito sia preso in considerazione in un atto separato» [37]. L’art. 46, § 2, del testo definitivo della nuova direttiva affida in effetti alla Commissione il compito di valutare, entro il 20 novembre 2025, la necessità di tutelare i consumatori che sottoscrivono prestiti e investono attraverso piattaforme di crowdfunding, quali definite all’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), del regolamento (UE) 2020/1503, qualora tali piattaforme non agiscano in qualità di creditori o intermediari del credito ma facilitino la concessione di un credito fra consumatori.
Certo, rimane – per quanto attiene ai rapporti tra utente e piattaforma – la rete di protezione delle discipline orizzontali, anzitutto pratiche commerciali e clausole vessatorie [38] (destinata ad arretrare, come si è detto, rispetto al contratto a valle, che non è concluso tra un professionista e un consumatore, pur essendo predisposto da un professionista ad uso di non professionisti e pur potendo contenere clausole vessatorie diverse e ulteriori rispetto a quelle contenute nel contratto quadro); ma è troppo poco rispetto ai rischi specifici generati da questo tipo di operazioni, legati all’assenza di tutele disponibili per i privati ma anche connessi alla necessità che gli operatori si muovano nel mercato senza violarne le regole.
La scelta – tanto europea quanto italiana – di non provvedere ad un corpo normativo dedicato a questo tipo di attività dipende, probabilmente, dalle dimensioni tutto sommato ridotte del relativo mercato, tali da non generare particolari allarmi e certamente dal timore di onerare eccessivamente le società che gestiscono le piattaforme compromettendone le possibilità di crescita [39].
Non è escluso tuttavia che la scarsa attenzione del legislatore sia anche il portato di un qualche fraintendimento, della mancata presa d’atto delle profonde evoluzioni che hanno radicalmente fatto virare gli inoffensivi schemi originari – autenticamente ispirati a disintermediazione e compartecipazione, bene compendiati nella locuzione social lending – verso forme assai sofisticate di produzione e scambio di prodotti finanziari in ambienti non regolati che invocano adesso una sistemazione.
* Contributo destinato agli Studi in onore di Rosalba Alessi.
[1] Fenomeno comunque in crescita in Italia: alla data del 30 giugno 2021 risultavano operative sul mercato italiano 28 piattaforme di lending, 6 delle quali dedicate esclusivamente al Peer to consumer lending: cfr. il 6° report italiano sul crowdinvesting, a cura del Politecnico di Milano, del luglio 2021, reperibile su https://www.osservatoriefi.it/efi/wp-content/uploads/2021/08/reportcrowd2021-1.pdf.
[2] Nell’ampio e variegato mondo del crowdfunding, il segmento lending è per molti versi ancora in cerca di identità: cfr. Consumer Risks in Fintech New Manifestations of Consumer Risks and Emerging Regulatory Approaches, Policy research paper, World Bank, aprile, 2021. Cfr. pure D.M. Ahern, Regulatory Arbitrage in a FinTech World: Devising an Optimal EU Regulatory Response to Crowdlending, European Banking Institute Working Paper, 2018, n. 24 (https://ssrn.com/abstract=3163728).
[3] Sia consentito rinviare a L. Modica, Peer to Consumer Lending, in ODCC, 2022, 81 ss.
[4] Direttiva (UE) 2023/2225 del parlamento europeo e del consiglio del 18 ottobre 2023 relativa ai contratti di credito ai consumatori, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il 30 ottobre 2023 e che abroga la direttiva 2008/48/CE.
[5] Cfr. il considerando 15, seppure con una significativa riduzione degli obblighi generalmente imposti agli intermediari in tema di annunci pubblicitari, informazioni precontrattuali e informazioni contrattuali, al fine di evitare oneri inutili per i creditori, tenendo conto delle specificità del mercato e delle particolari caratteristiche di tali contratti di credito. Con riferimento ai contratti di credito per un importo totale del credito inferiore a 200 euro, l’art. 2, § 8, della Direttiva consente agli Stati membri di non applicare l’articolo 8, paragrafo 3, lettere d), e) ed f), l’articolo 10, paragrafo 5, l’articolo 11, paragrafo 4, l’articolo 21, paragrafo 3.
[6] V. anche il 16° Considerando della direttiva: «I sistemi “Compra ora, paga dopo” in virtù dei quali il creditore accorda un credito al consumatore al fine esclusivo di acquistare merci o servizi da un fornitore o prestatore, che sono nuovi strumenti di finanziamento digitali che consentono ai consumatori di effettuare acquisti e di saldarli col tempo, sono spesso senza interessi e senza altre spese e dovrebbero pertanto essere inclusi nell’ambito di applicazione della presente direttiva».
[7] Comunicazione della Banca d’Italia in materia di Buy Now Pay Later (BNPL) del 28 ottobre 2022.
[8] Dà conto della varietà terminologica che connota tanto la prassi quanto la letteratura, economica e giuridica, A. Sciarrone Alibrandi, Lending marketplace e piattaforme digitali. Questioni di fondo, in A. Sciarrone Alibrandi, G. Borello, R. Ferretti, F. Lenoci, E. Macchiavello, F. Mattassoglio, F. Panisi, Marketplace lending. Verso nuove forme di intermediazione finanziaria?, Consob, Quaderno FinTech, n. 5, luglio 2019, 11, privilegiando infine, fra le molte denominazioni in uso (social lending, peer-to-peer lending, directlending, crowd-lending, loanbased crowdfunding, lending-based crowdfunding, debt-based crowdfunding, FinTech credit) quella di Marketplace lending, siccome prescindente da qualsiasi connotazione soggettiva di borrower e lender e dunque meglio in grado di fotografare la variabilità dei modelli di business.
[9] Per i diversi modelli di business cfr. la tripartizione operata da E. Kirby e S. Worner, Crowd-funding: An Infant Industry Growing Fast, OICV-IOSCO Staff Working Paper, 2014, 3, https://www.iosco.org/research/pdf/swp/Crowd-funding-An-Infant-Industry-Growing-Fast. pdf. Cfr. anche EBA, Opinion of the European Banking Authority on lending-based crowdfunding, EBA/Op/2015/03, 26 febbraio 2015; FSB e CGFS, FinTech credit Market structure, business models and financial stability implications, 22 maggio 2017, p. 11 ss., reperibile su https://www.bis.org/publ/cgfs_fsb1.htm.
[10] Sulla eventuale applicazione, in questa ipotesi, della disciplina recata dalla direttiva 2014/65/UE (MiFID II) cfr. G. Ferrarini, Regulating FinTech: crowdfunding and beyond, European Economy, 2017, p. 2 ss. Per una descrizione delle variegate modalità operative delle piattaforme di peer to peer lending cfr. E. Bani, Le piattaforme di Peer to peer lending: la nuova frontiera dell’intermediazione creditizia, in Fintech, a cura di M.T. Paracampo, Torino, 2019, p. 168 ss.; J. Paoloni, Peer to peer lending e innovazione finanziaria, in Fintech: diritti, concorrenza, regole. Le operazioni di finanziamento tecnologico, a cura di G. Finocchiaro e V. Falce, Bologna, 2019, p. 410 ss.
[11] A. Sciarrone Alibrandi, Conclusioni, in Marketplace lending. Verso nuove forme di intermediazione finanziaria?, cit., p. 245.
[12] È ricorrente allora l’ascrizione del p2p lending alle dinamiche della sharing economy, dalla quale mutuerebbe uno dei tratti caratteristici, quella frammentazione della catena del valore per cui servizi tradizionalmente offerti al consumatore da un solo soggetto professionale si disarticolano in più segmenti forniti da soggetti diversi, non tutti necessariamente professionali: cfr. R. Ferretti, Oltre le riserve di attività. Altre discipline potenzialmente applicabili alle piattaforme, in Marketplace lending. Verso nuove forme di intermediazione finanziaria?, cit., p. 185; U. Minneci, L’informazione ai fruitori di servizi, in Diritto del Fintech, a cura di M. Cian e C. Sandei, Padova, 2020, p. 87. Quella appena descritta non è naturalmente l’unica dinamica possibile, ben potendosi delineare in astratto assetti nei quali la piattaforma si limiti a intermediare offerta e domanda di credito favorendo l’instaurarsi di una relazione diretta tra utenti, mettendo loro a disposizione un luogo di incontro virtuale per la conduzione di trattative personalizzate e la conclusione di un contratto di finanziamento autenticamente tra pari. In questi casi si può convenire con l’idea che il peer to peer metta capo ad una piena disintermediazione che non interseca il problema della compatibilità con le riserve di attività bancaria. Le discipline nazionali adottate da alcuni degli Stati membri sembrano assumere ad oggetto lo schema di libera negoziazione, pressoché assente invece sul mercato italiano. Limitando i riferimenti alle esperienze nelle quali le regole sono esplicitamente estese ai consumatori, può richiamarsi l’esempio dell’ordinamento francese, ove un intero capitolo del Code monetarie e financier, nell’ambito della disciplina degli «altri prestatori di servizi», è riservato agli intermédiaries en financement partecipatif, il cui proprium sta nel «mettre en relation, au moyen d’un site internet, les porteurs d’un projet déterminé et les personnes finançant ce projet» e nel quale comunque l’operazione è necessariamente connessa a finanziamenti di progetti educativi (Art. L548-1, modificato dalla ordonnance n. 2021-1735 del 22 dicembre 2021). Nel Regno Unito il Financial Services and Markets Act qualifica come «a specified kind of activity» la facilitazione dell’incontro tra prestatori e mutuatari attraverso un sistema elettronico, che, fra l’altro, «taking steps to procure the payment of a debt» e «exercising or enforcing rights» sulla base di un preciso mandato (Sezione 36H). Alle Plataformas de financiación partecipativa anche la Spagna ha destinato una disciplina piuttosto analitica con la Ley 5 del 27 aprile 2015 de fomento de la financiación empresarial (cfr. in particolare l’art. 51).
[13] Nel senso che «tra prestatori e soggetti finanziati si conclude un contratto, riconducibile al mutuo di cui all’art. 1813 ss. c.c.», Abf Milano, dec. n. 22804 del 15 dicembre 2020. Il riferimento al contratto di mutuo ricorre anche in G. Balp, P2P lending e Invoice trading, in Diritto del Fintech, cit., p. 304; E. Capobianco, Il «peer to peer lending», in FinTech, a cura di F. Fimmanò e G. Falcone, Napoli, 2019, p. 236 ss.; E.M. Mastropaolo, Il social lending: aspetti di diritto sostanziale e di regolamentazione dell’attività, ivi, p. 279 (che parla di mutuo di scopo); E. Macchiavello, Una nuova frontiera del settore finanziario solidale: Microfinanza e Peer-to-peer lending, in Banca Impresa, società, 2013, p. 314; F. Fiordiponti, Peer to peer lending, in Fchub – 11/06/2017, p. 3; F. Lenoci, Il marketplace lending in Italia: volumi e caratteristiche strutturali delle piattaforme, in Marketplace lending, cit., p. 117. Di «rapporto di credito-debito» cui è collegato un servizio di intermediazione discorre F. Morello, The failure of assimilation. Peer-to-peer consumer credit and European private law, in A contract law for the age of digital platforms?, a cura di E. Bargelli e V. Calderai, Pisa, 2021, p. 69.
[14] L’immagine è di C. Busch, H. Schulte-Nölke, A. Wiewiórowska-Domagalska e F. Zoll, The Rise of the Platform Economy: A New Challenge for EU Consumer Law, in Journal of European Consumer and Market Law, 2016, p. 7, ove pure un interessante accostamento tra ruolo della piattaforma e ruolo dell’organizzatore in seno alla disciplina europea dei pacchetti turistici, entro la quale l’organizzatore – diverso dal venditore – che combina pacchetti turistici e li offre in vendita risponde dell’esecuzione dei servizi turistici indipendentemente dal fatto che tali servizi debbano essere prestati dall’organizzatore o da altri (cfr. art. 42, comma 1, cod. tur.).
[15] Cfr. in argomento le riflessioni di C. Camardi, Contratti digitali e mercati delle piattaforme. Un promemoria per il civilista, in Jus civile, 2021, 4, p. 893 ss. Un articolato panorama delle forme che può assumere il rapporto fra piattaforma e utenti a seconda che il «servizio sottostante» sia offerto dalla prima o dai secondi è in A. Quarta e G. Smorto, Diritto privato dei mercati digitali, Firenze, 2020, p. 105 ss. Per le sempre più frequenti incursioni dello schema p2p nelle aree del mercato assicurativo e del settore dei servizi finanziari cfr. F. Morello, Transparency at any cost? Consumer protection in peer-to-peer finance, di prossima pubblicazione su European Journal of Privacy Law and Technologies e letto in anteprima per la cortesia dell’A.; M.L. Rego e J.C. Carvalho, Insurance in Today’s Sharing Economy: New Challenges Ahead or a Return to the Origins of Insurance?, in InsurTech: A Legal and Regulatory View, a cura di P. Marano e K. Noussia, Springer, 2020, p. 27 ss. V. anche E. Piras, L’assicurazione «peer to peer», in Giustiziacivile.com, 2019, 4, p. 10 ss.; G. Rossi, La nuova frontiera dell’economia condivisa: l’esempio del contratto assicurativo basato sul modello «Peer to Peer», in Contratto e impresa, 2018, 4, p. 1251 ss.
[16] Contratto Smartika richiedente, premessa (ma si tratta di affermazione comune a tutti gli operatori del settore).
[17] La ricostruzione dell’operazione è effettuata sulla base delle condizioni generali di contratto rese disponibili online da alcuni dei maggiori fornitori di servizi di crowdfunding ai consumatori nel mercato italiano: Smartika, Prestiamoci, Soisy, MotusQuo.
[18] Contratto Smartika richiedente, art. 9, punto 3; analogamente, contratto prestatore Prestiamoci, art. 1, punto 1.3.
[19] L. Modica, op. cit., p. 85 ss.
[20] Poiché in genere l’importo prestato è la somma di più quote rese disponibili da più finanziatori, ciascuno dei quali ha concluso con la piattaforma un proprio contratto quadro, in realtà ogni operazione di prestito si perfeziona a valle di una molteplicità di contratti bilaterali.
[21] Carattere, questo, che non viene certo meno per la possibilità attribuita al finanziatore di scegliere il tasso di interesse nell’ambito di un range prefissato o la durata, fra due o tre opzioni consentite. Cfr. sul punto la Comunicazione Consob n. DEM/10101143 del 10-12-2010. V. anche P. Palka, Terms of service are not contract. Beyond contract law in the regulation of online platforms, in European contract law in the digital age, a cura di S. Grundmann, H. Collins, F. Gómez, J. Rutgers, P. Sirena, Cambridge, 2018, p. 135 ss.
[22] Il contratto quadro, infatti, è unilateralmente predisposto (non, come abitualmente accade, ad opera della parte forte di un rapporto asimmetrico bensì) da un terzo che a quel rapporto sarebbe (e si proclama) estraneo; con conseguente problematica sporgenza dallo schema bipolare su cui poggia l’attuale quadro normativo dell’UE e le discipline che ne sono attuazione, la cui effettiva applicazione ai nuovi modelli aziendali-economici risulta «tutt’altro che piena e completa e spesso […] anche difficile da accertare» (così il Parere del Comitato europeo delle regioni, Un quadro europeo per le risposte normative all’economia collaborativa (2020/C 79/08).
[23] Per la notazione secondo cui le piattaforme sembrano assumere le sembianze di nuovi intermediari più che di contesti di piena ed effettiva disintermediazione, cfr. E. Macchiavello e A. Sciarrone Alibrandi, Marketplace Lending as a New Means of Raising Capital in the Internal Market: True Disintermediation or Reintermediation?, https://ssrn.com/abstract=3903292, p. 5 ss.; G.P. La Sala, op. cit., p. 16. Rileva, rispetto ai testi contrattuali in uso, lo «stridente contrasto tra la dizione che vuole i contratti conclusi discrezionalmente ed in autonomia tra i clienti e quella secondo cui la selezione dei contraenti avviene automaticamente ad opera della piattaforma, A. Laudonio, Le altre facce del crowdfunding, in Dir. banca merc. fin., 2017, p. 319, nt. 103.
[24] P. La Sala, Intermediazione, disintermediazione, nuova intermediazione: i problemi regolatori, in Diritto del Fintech, cura di M. Cian e C. Sandei, Padova, 2020, pp. 19-20.
[25] Ibidem, p. 20.
[26] P. Ferro Luzzi, Lezioni di diritto bancario, I, Parte generale, Torino, 2012, p. 102.
[27] V. in proposito Tar Lazio 12 dicembre 2009, in Riv. trim. dir. ec., 2010, 2, p. 45 ss., con nota di S. Mezzacapo, I prestiti «peer-to-peer» tra privati. La raccolta del risparmio e la prestazione dei servizi di pagamento alla luce della direttiva 2007/64/ce, relativa alla vicenda che ha interessato la cancellazione della società Zopa dall’elenco generale degli intermediari finanziari di cui all’art. 106 TUB per violazione della riserva di raccolta di risparmio.
[28] “Ai margini” secondo P. La Sala, op. cit., p. 20. V. anche quanto detto supra, nota 13.
[29] Sezione IX della Delibera n. 584/2016 di Banca d’Italia Provvedimento recante disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche.
[30] Analogamente, sebbene solo a fini dell’ottenimento di agevolazioni fiscali, la legge di bilancio 2018 (art. 1, comma 43, legge del 27 dicembre 2017, n. 205) prende in considerazione i prestiti effettuati attraverso piattaforme di peer-to-peer lending ove queste siano gestite da intermediari finanziari ex art. 106 TUB o da istituti di pagamento.
[31] cfr. in proposito E.M. Mastropaolo, Il social lending: aspetti di diritto sostanziale e di regolamentazione dell’attività, in Fintech, cit., p. 272 ss.
[32] Il che, per inciso, ha consentito all’ABF di inserire l’attività svolta dalla piattaforma – siccome essenzialmente qualificabile in termini di servizio di pagamento, seppur accompagnata da taluni servizi accessori – nel novero delle «operazioni e servizi bancari e finanziari» radicando per questa via la propria competenza per materia ai sensi della Sez. I, par. 4, Disposizioni ABF. Cfr. in proposito ABF Roma, dec. n. 9218/2021; ABF Milano, dec. nn. 22802 e 22804/2020).
[33] Nello stesso senso G. Balp, P2P lending e Invoice trading, cit., p. 316. Secondo E. Macchiavello, Le piattaforme di markeplace, cit., p. 151, lo scarto fra le attività svolte dalle piattaforme di P2p lending e gli Istituti di pagamento determina significative aree di non tracciabilità dei crediti erogati dal momento che le piattaforme autorizzate come IP non sono tenute alla segnalazione presso i sistemi di rilevazione centralizzata dei rischi creditizi, con ricadute in punto di valutazione del merito creditizio dei richiedenti che siano anche crowd-borrower.
[34] E. Macchiavello, Peer-to-peer lending ed informazione: la tutela dell’utente online tra innovazione finanziaria, disintermediazione e limiti cognitivi, in Dir. banca merc. fin., 2015, p. 266. Cfr. in proposito F. Vella e G. Giordano, De-localizzazione e a-territorialità, in Diritto del Fintech, cit., p. 46 ss.
[35] Regolamento (UE) 2020/1503 del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 ottobre 2020 relativo ai fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese che modifica il regolamento (UE) 2017/1129 e la direttiva (UE) 2019/1937, art. 2, comma 1, lett. a) e c).
[36] L. Modica, op. cit., p. 96 ss.
[37] Bruxelles, 9 giugno 2022 (10053/22).
[38] Cfr. E. Capobianco, op. cit., p. 237 e, in generale sui problemi connessi ad una applicazione efficiente della disciplina delle clausole vessatorie agli scambi su piattaforma, H.W. Micklitz, P. Pałka, I. Panagis, The empire strikes back: digital control of unfair terms of online services, in Journal of consumer policy, 2017, 3, p. 367 ss. I testi dei contratti quadro fanno peraltro registrare un alto numero di clausole di deroga al foro del consumatore (V. per esempio art. 23 n. 1 contratto Smartika richiedente e art. 13, punto 3, del contratto MotusQuo) o di rinuncia al diritto di recesso nel caso di avvio di immediata operatività prima dei 14 giorni dalla conclusione del contratto.
[39] M. Bofondi, Il lending-based crowdfunding: opportunità e rischi, Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers), n. 375, marzo 2017, p. 20.