Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

La sanabilità della nullità: ipotesi particolari (di Giorgia Vulpiani, Ricercatrice di Diritto privato – Università degli Studi di Macerata)


Il saggio affronta la questione della sanabilità della nullità attraverso l’analisi di diverse fattispecie in cui si riscontrano meccanismi di sanatoria dell’atto. Nell’ambito dell’indagine si sottopone a vaglio critico l’interpretazione restrittiva dell’art. 1423 c.c., aderendo ad una lettura in chiave assiologico-sistematica della norma. La ricaduta applicativa di tale impostazione viene in rilievo, in modo particolare, in quelle ipotesi in cui manchi una espressa previsione normativa nel senso della sanabilità.

Validation of void contracts: particular hypothesis

The essay focuses on the issue of the validation of nullity through the analysis of various cases in which there are mechanisms for the validation of the act. The investigation critically examines the restrictive interpretation of Article 1423 of the Civil Code, in adherence to an axiological-systematic interpretation of the rule. The application of this approach is particularly relevant in those cases where there is no express legal provision in the sense of validation.

SOMMARIO:

1. La sanabilità del contratto nullo e l’art. 1423 c.c. - 2. Sanabilità e recupero degli effetti del contratto nullo nel codice civile: conferma ed esecuzione volontaria delle disposizioni testamentarie e delle donazioni nulle. - 3. Contratto di lavoro nullo e pubblicità sanante. - 4. La questione della sanabilità nelle nullità di protezione. - 5. La sanabilità nel codice dei beni culturali. - 6. La sanabilità delle nullità urbanistiche. - 7. Edilizia residenziale pubblica e affrancazione. - 8. Considerazioni conclusive. - NOTE


1. La sanabilità del contratto nullo e l’art. 1423 c.c.

Il contratto nullo, salvo espressa disposizione legislativa, è considerato tradizionalmente insanabile. In considerazione dell’odierno atteggiarsi della nullità, tuttavia, è stata posta in dubbio la tenuta dell’insa­nabilità del contratto come tratto tipico della nullità[1]. Il mutamento dell’assetto delle patologie negoziali, avvenuto a seguito dell’importante evoluzione legislativa in tema, impone, infatti, una lettura funzionale della nullità tesa alla valorizzazione e valutazione degli interessi coinvolti. Si pensi alla nullità di protezione che, differentemente dalla nullità tradizionale, è volta alla tutela di un interesse particolare, con il conseguente regime processuale che condiziona l’invalidazione alla volontà del soggetto tutelato. L’interesse particolare non implica, però, l’esclusione del rilievo d’ufficio, essendo la tutela del soggetto debole espressione di un interesse generale, così come precisato dalle Sezioni Unite nn. 26242 e 26243 del 2014 in tema [2]. Nelle note pronunce, in particolare, la Cassazione ha distinto tra rilievo – sempre ammissibile e necessario – e dichiarazione – condizionata all’interesse concreto della parte tutelata. Qui si inserisce, peraltro, la questione relativa alla possibilità o meno di ammettere la sanabilità del contratto nel caso in cui il soggetto legittimato, in seguito al rilievo d’ufficio, non voglia procedere nel senso della dichiarazione di nullità. Si pensi, ancora, alla lettura in chiave funzionale del requisito della forma nei contratti del mercato finanziario e alle conseguenze in tema di validità-invalidità-impugnabilità [3]; profili che si riverberano sul problema della sanabilità del negozio. Nel contesto attuale, la nullità del contratto non può, dunque, essere concepita come un istituto statico, ma come un sistema dinamico, relativo, che può adattarsi, senza essere frustrato, alla complessità del diritto vivente. Primo riferimento normativo da cui muovere è l’art. 1423 c.c. che nel predicare l’impossibilità di convalidare la nullità, fa salva l’espressa previsione normativa. Da una rapida lettura della norma si ricava, dunque, che l’inammissibilità della convalida costituisca la regola, [continua ..]


2. Sanabilità e recupero degli effetti del contratto nullo nel codice civile: conferma ed esecuzione volontaria delle disposizioni testamentarie e delle donazioni nulle.

La prima ipotesi su cui soffermarsi riguarda la conferma e l’esecuzione volontaria delle disposizioni testamentarie e delle donazioni nulle[11]. Genericamente infatti, in tema di riserva di cui all’art. 1423 c.c., si fa riferimento agli artt. 590 e 799 c.c. L’art. 590 c.c. stabilisce come la nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non possa essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, abbia, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione – e si parla in questo caso di conferma espressa [12] – o dato ad essa volontaria esecuzione – trattandosi in quest’ipotesi di conferma tacita [13]. Quanto alla natura giuridica della conferma, un primo orientamento afferma che l’art. 590 c.c. integri uno dei casi in cui sarebbe ammessa la convalida del negozio nullo ai sensi dell’art. 1423 c.c. [14]. Tesi disattesa da altra dottrina, secondo la quale la conferma e la volontaria esecuzione delle disposizioni nulle non hanno alcuna efficacia sanante, ma precludono semplicemente la possibilità di agire in giudizio per far valere la causa di invalidità [15], con la conseguenza che il testamento non verrebbe sanato, ma si produrrebbe soltanto una preclusione all’azione di nullità da parte di coloro che hanno confermato o eseguito le disposizioni invalide, restando il testamento impugnabile da parte degli altri eventuali interessati a far valere la nullità. Un’ulteriore ricostruzione fa rientrare la conferma tra le ipotesi di adempimento di una obbligazione naturale, ravvisabile nel dovere morale e sociale di rispettare ed attuare le ultime volontà del de cuius [16]. Diversa tesi ricostruisce la conferma come un negozio giuridico autonomo rispetto al testamento che costituirebbe la fonte e la causa giustificativa della conseguente attribuzione patrimoniale dal confermante nei confronti del chiamato. Si produrrebbe, così, una doppia vicenda attributiva: una mortis causa che realizza la successione dal de cuius all’erede o avente causa confermante; la seconda inter vivos, che realizza un’attribuzione da questi soggetti al beneficiario della disposizione nulla come conseguenza della conferma [17]. Il meccanismo di cui all’art. 590 c.c. incontra, però, diversi limiti. Si pensi al testamento la cui nullità derivi da mancanza di [continua ..]


3. Contratto di lavoro nullo e pubblicità sanante.

L’art. 2126 c.c. plasma il regime della nullità generale in funzione protettiva del prestatore di lavoro, al fine di garantire allo stesso la titolarità dei diritti nascenti dal contratto invalido e dal rapporto che ne scaturisce per effetto della sua esecuzione. La norma stabilisce, infatti, che la nullità (o l’annullamento) del contratto di lavoro non produca effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa. Il principio generale secondo cui la nullità del contratto fa sorgere l’obbligo della restituzione delle prestazioni ricevute viene, pertanto, qui accantonato. Ed in effetti il lavoratore, se, da un lato, potrebbe restituire la retribuzione ricevuta, dall’altro, non potrebbe avere indietro le energie ed il tempo utilizzato per la prestazione lavorativa e, dunque, la nullità darebbe il via ad un ingiustificato arricchimento del datore di lavoro. L’art. 2126, tuttavia, non equipara il contratto invalido a quello valido, ma disciplina unicamente gli effetti già realizzatisi di un rapporto di fatto svoltosi tra le parti [38]. Il rapporto di lavoro ha, quindi, un’efficacia limitata al periodo in cui esso ha avuto attuazione, al fine di evitare che la pronuncia di nullità possa incidere sulla prestazione lavorativa già svolta. Il lavoratore ha pertanto diritto non solo alla retribuzione, ma anche allo stesso trattamento che gli sarebbe spettato in caso di contratto valido e ciò anche in considerazione di quanto previsto dall’art. 36 Cost. Si pensi al trattamento di fine rapporto [39], all’indennità sostitutiva del preavviso [40], all’indennità per causa di morte e ad ogni altro emolumento previsto dalla contrattazione collettiva, compreso il trattamento previdenziale ed il risarcimento dei danni per la mancata contribuzione previdenziale [41]. Nel caso di cui all’art. 2126 c.c. non può, dunque, parlarsi di sanabilità del contratto nullo, poiché il contratto invalido non diviene valido. La norma prevede, infatti, un particolare meccanismo per cui il contratto invalido produce effetti con riferimento a quanto dovuto al lavoratore per la prestazione svolta, in virtù della peculiarità degli interessi che vengono in rilievo. Parimenti, non si può di [continua ..]


4. La questione della sanabilità nelle nullità di protezione.

Il problema della sanabilità si pone in modo particolare con riguardo alle nullità di protezione, caratterizzate dalla riserva della legittimazione all’azione alla parte tutelata dalla norma e la – apparentemente dissonante – rilevabilità ex officio, con dichiarazione parametrata all’interesse concreto del contraente protetto. Profilo di particolare importanza riguarda proprio il rapporto tra rilevazione/dichiarazione della nullità di protezione e convalida. Innanzitutto, va ricordata la soluzione delle note Sezioni Unite del 2014 [44], secondo le quali la nullità è sempre rilevabile d’ufficio, ma, in caso si tratti di nullità di protezione, il giudice può dichiararla solo nell’interesse della parte tutelata. Se, infatti, il giudice rileva la nullità di una singola clausola e la indica alla parte tutelata, questa conserva la facoltà di non avvalersene, potendo chiedere che la causa sia decisa nel merito, perché, ad esempio, rientra nel suo interesse conservare il rapporto contrattuale o la clausola stessa. In questo caso, dunque, il giudice, indicata la nullità alla parte debole, non potrà anche dichiararla, nemmeno in via incidentale. In tale contesto, particolare importanza rivestono le questioni dell’individuazione dell’oggetto del giudizio e dei limiti del giudicato. Quanto al primo profilo, nelle citate sentenze delle Sezioni Unite si afferma che «nelle azioni di impugnativa negoziale l’oggetto del giudizio è costituito dal negozio, nella sua duplice accezione di fatto storico e di fattispecie programmatica, e con esso dal rapporto giuridico sostanziale che ne scaturisce», dal quale il giudizio non può prescindere, in funzione di un definitivo accertamento dell’idoneità della convenzione contrattuale a produrre tanto l’effetto negoziale suo proprio, quanto i suoi effetti finali. A sostegno di tale impostazione, si precisa che il riferimento alla struttura negoziale originaria (negozio/fatto storico) e alla fattispecie programmatica in esso contenuta è conseguenza del potere di indagine del giudice su qualsivoglia ragione, morfologica e funzionale, di nullità contrattuale. Il riferimento al rapporto negoziale sarebbe, inoltre, conseguenza naturale del tipo di azione esperita dall’attore: nelle domande di risoluzione e adempimento, [continua ..]


5. La sanabilità nel codice dei beni culturali.

Un particolare meccanismo di sanatoria del contratto nullo è previsto con riguardo ai contratti di alienazione che hanno ad oggetto dei beni culturali[54]. Perché l’alienazione dei beni culturali sia valida è necessario che vengano rispettate le previsioni contenute nel d.lgs. n. 42 del 2004 [55], a pena di nullità del contratto. L’art. 164 prevede, infatti, la nullità delle alienazioni e delle convenzioni poste in essere in contrasto con quanto prescritto dal c.b.c.: l’autorizzazione preventiva alla commercializzazione ex artt. 55 e 56 da parte del Ministero (per i beni culturali immobili appartenenti al demanio culturale e non rientranti tra quelli elencati nell’art. 54, 1 co.); l’obbligo di denuncia al Ministero (per gli altri beni culturali), nel termine perentorio di trenta giorni dalla data dell’atto, del trasferimento della proprietà o della destinazione di beni culturali di cui all’art. 59 [56]. Tale norma prescrive che gli atti che trasferiscono, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di beni culturali devono essere denunciati [57], nel termine di trenta giorni, al Ministero. Obbligati a tale denuncia sono, oltre all’alienante, anche l’acquirente (nel caso in cui il trasferimento sia avvenuto nell’ambito di procedure di vendita forzata o fallimentare ovvero in forza di sentenza che produca gli effetti di un contratto di alienazione non concluso) e l’erede o il legatario in caso di successione a causa di morte [58]. Gli artt. 60 ss. prevedono, poi, una prelazione – la c.d. prelazione artistica – del Ministero, delle Regioni o altri enti pubblici interessati per l’acquisto dei beni di interesse storico o culturale alienati o conferiti in società [59]. Tale prelazione deve essere esercitata dall’ente interessato nel termine di sessanta giorni dalla ricezione della denuncia di cui all’art. 59 c.b.c. e, nei casi in cui questa sia stata omessa o presentata tardivamente o incompleta, il termine è di centottanta giorni dalla denuncia tardiva. Si tratta di una prelazione peculiare, in quanto interviene a contratto già concluso, mentre – com’è noto – negli altri casi di prelazione l’alienante comunica l’intenzione di trasferire il bene prima dell’effettivo compimento dell’atto. Il diritto di prelazione si [continua ..]


6. La sanabilità delle nullità urbanistiche.

Altra ipotesi di sanatoria può riscontrarsi nel campo delle nullità urbanistiche. Il legislatore, al fine di contenere gli abusi edilizi, sanziona con la nullità il contratto di alienazione di immobili privo di determinati requisiti ex artt. 17 e 40 della legge n. 47 del 1985 [68] e art. 46 d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. dell’edilizia) [69]. Più in particolare, l’art. 46 dispone che gli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove non risultino, per dichiarazione del­l’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria [70]. La disposizione, ai sensi del comma quinto del medesimo articolo, si applica anche agli interventi edilizi realizzati mediante SCIA, qualora nell’atto non siano indicati gli estremi della stessa. Il legislatore ha, però, previsto la possibilità di confermare i contratti nulli attraverso un successivo atto integrativo che contenga tutte le formalità necessarie. Il quarto comma dell’art. 46 T.U. edilizia stabilisce, infatti, che, se la mancata indicazione nell’atto dei documenti necessari ai fini della validità del negozio posto in essere non è dovuta all’effettiva inesistenza della documentazione richiesta, l’atto nullo può essere confermato mediante un atto successivo che abbia la stessa forma del precedente e contenga l’omessa documentazione, a cura anche di una sola delle parti contraenti. Ne consegue, pertanto, che non è necessario che entrambi i contraenti pongano in essere un atto di conferma, ma basta che si attivi una sola delle parti del contratto invalido. La norma ha destato diversi dubbi, tanto che parte della dottrina ha contestato l’uso improprio del termine nullità, affermando che dovrebbe parlarsi più correttamente di contratto inefficace in senso stretto, sottoposto a condizione legale sospensiva potestativa [71]. Altra dottrina ha anche escluso che la conferma de qua possa rientrare in una delle ipotesi espressamente previste di cui all’art. 1423 c.c., in quanto essa assumerebbe la natura di un atto integrativo idoneo a completare un precedente atto irregolare [72]. La conferma di cui [continua ..]


7. Edilizia residenziale pubblica e affrancazione.

L’edilizia residenziale pubblica si concretizza in quel settore dell’edilizia in cui un intervento pubblico mira a fornire alloggi per determinate categorie di soggetti[78]. Si divide in diversi rami, ciascuno con la propria disciplina: l’edilizia convenzionata, in cui gli alloggi sono costruiti da soggetti privati a seguito di convenzione stipulata con il Comune; l’edilizia agevolata, in cui gli alloggi sono costruiti da privati con contributo statale; l’edilizia sovvenzionata, in cui gli alloggi sono costruiti direttamente da enti pubblici. Concentrando l’attenzione sulla disciplina dell’edilizia convenzionata, occorre far riferimento a due tipologie di convenzione: a) le convenzioni P.E.E.P. di cui all’art. 35 legge n. 865 del 1971 [79]; b) le convenzioni c.d. Bucalossi, prima disciplinate dagli artt. 7 e 8 della legge n. 10 del 1977 e attualmente dagli artt. 17 e 18 del d.p.r. 30 giugno 2001, n. 380 (T.U. dell’Edilizia) [80]. Tali convenzioni hanno lo scopo di attuare un intervento di agevolazione e di contenimento dei prezzi per l’accesso all’abitazione, con la previsione del c.d. prezzo massimo di cessione. Il settore è stato interessato da diversi interventi normativi, tra i quali riveste particolare rilievo, ai fini del nostro discorso, l’introduzione dei commi 49-bis, 49-ter e 49-quater all’art. 31 della legge n. 448 del 1998 [81] che prevedono la possibilità di rimuovere i vincoli di prezzo, attraverso il pagamento di un corrispettivo, sia nell’ambito delle convenzioni PEEP che nell’ambito delle convenzioni Bucalossi, consentendo tale facoltà a tutte le persone fisiche che vi hanno interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile. Il comma 49-bis prevede, infatti, che «I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà o per la cessione del diritto di superficie possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, stipulati a richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse, [continua ..]


8. Considerazioni conclusive.

Tirando le fila del discorso, dall’analisi appena condotta risulta evidente come una lettura assiologico-funzionale dell’art. 1423 c.c. sia quella più adeguata ad assicurare una tutela effettiva degli interessi che di volta in volta vengono in rilievo, in quanto la nullità non sempre si pone come rimedio più efficace per la tutela degli interessi del caso concreto. Si pensi alla distinzione tra rilievo e dichiarazione della nullità di protezione, alla giurisprudenza in tema di registrazione sanante del contratto di locazione, alle sopra enucleate ipotesi legislative di sanabilità del contratto nullo. In tali fattispecie si prevede la sanabilità di quegli atti in cui l’invalidità dipenda esclusivamente dall’assenza di un documento o da un adempimento “formale” che non incida sull’essenza del negozio stesso, attraverso il successivo compimento di quanto richiesto. Sembra enuclearsi, pertanto, una medesima ratio estensibile a tutti quei casi in cui la violazione di una mera formalità documentale, che non abbia però determinato pregiudizi sostanziali, possa essere superata con un successivo adempimento. Dunque, ove l’interesse finale della norma non risulti frustrato e non vengano pregiudicati i diritti dei soggetti tutelati, potrebbe ipotizzarsi una sanatoria dell’atto attraverso l’adempimento successivo di quanto prescritto dal legislatore. Questa logica sarebbe applicabile, come visto, nel caso dei contratti aventi ad oggetto l’acquisto di immobili da costruire, con la presentazione successiva della fideiussione – ove non siano stati pregiudicati i diritti dei promissari acquirenti –, e, nel caso dell’edilizia sovvenzionata, con l’ipotizzato svincolo ex post dalla prelazione, atteso che resterebbe comunque soddisfatto l’interesse di natura economica sotteso alla norma che prevede la possibilità di affrancazione ex ante.


NOTE