Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Per una rilettura della proprietà risolubile attraverso il prisma delle situazioni giuridiche condizionate (di Michele Raggi, Dottorando – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)


Il presente lavoro mira ad approfondire la proprietà risolubile, ossia la situazione proprietaria di chi ha alienato sotto condizione sospensiva o di chi ha acquistato sotto condizione risolutiva. 

La categoria, portavoce dell’agire del tempo nel contratto sottoposto a condizione, è stata oggetto di interesse marginale sia in Italia sia negli ordinamenti esteri. La proprietà risolubile viene delineata dallo spiegarsi dell’incertezza dell’evento condizionale nelle posizioni giuridiche dei contraenti sub condicione.

Nell’analisi condotta la proprietà risolubile riemerge a seguito della demistificazione del dogma della retroattività della condizione. Attraverso una lettura disincantata della disciplina della condizione, che consente di abbandonare l’idea della retroattività come finzione, emerge come la spiegazione retroattiva della condizione sia significativamente erosa dalle deroghe presenti nel sistema e, comunque, finisca per essere irrilevante.

Un nodo centrale della riflessione è costituito dal tentativo di inserire la proprietà risolubile nel sistema dei diritti reali, attraverso il confronto con la proprietà temporanea. La conclusione è che la proprietà risolubile non intacca il principio del numerus clausus, in quanto il suo contenuto è conformato direttamente dallo stato di pendenza della condizione, dalla conseguente disciplina codicistica e, solo mediatamente, dall’autonomia privata.

Gli esiti della ricerca hanno portato a chiarire, a differenza di quanto affermato nella tesi di recente dottrina, che la valorizzazione della portata conformatrice della condizione non importa la qualificazione della proprietà risolubile come proprietà destinata ex art. 2645-ter cod. civ.

In chiusura, è stata analizzata un’applicazione pratica della categoria rispetto alla vendita con riserva di proprietà di cui all’art. 1523 ss. cod. civ.

The "resolvable property" through the conditional situations

This paper deals with the “resolvable property”, which is the property right of the contractual party who has transfer under a suspensive condition or who has acquired under a resolvable condition.

This category of property, which reveals the impact of the time on the conditional contract, has been marginally studied both in Italy and in foreign systems. The uncertainty of the occurrence of the conditional event on the positions of the contractors outlines the resolvable property.

The paper leads to the resolvable property following the demystification of the dogma of the retroactivity of the condition. The Italian law system’s exceptions weaken the retroactive explanation of the condition which, in any case, ends up being irrelevant, if we analyze the discipline of the condition by ruling out the idea of retroactivity as a fiction.

The central issue of the work is the admissibility check of the resolvable property among the real rights’ Italian system, by comparing the category with temporary property. The resolvable property does not affect the numerus clausus principle since its content is shaped directly by the pendency of the condition, by the consequent application of legal regime governing the conditioned contract and, only mediately, by the contractual parties’ autonomy.

Anyway, the importance given to the condition’s impact does not imply the recognition of the resolvable property as a destined property under the Article 2645-ter of the Italian Civil Code.

Finally, the essay analyses a practical application of the category by its comparison with the sale under the Article 1523 of the Italian Civil Code.

SOMMARIO:

1. Introduzione. - 2. Pendenza e incertezza: l’incidenza del tempo sulle situazioni giuridiche condizionate. - 3. Precisazioni sull’accezione di retroattività. - 3.1. Alcune eccezioni alla regola della retroattività condizionale. - 3.2. L’irrilevanza della retroattività: l’art. 1357 cod. civ. quale autonomo fondamento del regime circolatorio delle situazioni condizionate. - 4. La riemersione della proprietà risolubile. - 4.1. La proprietà risolubile e quella temporanea nel sistema delle situazioni di appartenenza. - 4.2. Sull'assimilazione della proprietà risolubile alla proprietà destinata. - - 5. Configurabilità della proprietà risolubile nella vendita con riserva di proprietà. - NOTE


1. Introduzione.

È stato detto che l’istituto della condizione costituisce «l’unica ipotesi, di cui il legislatore abbia dettato una disciplina sufficientemente chiara ed esauriente»[1]. Eppure, è proprio la condizione a suscitare, ancor’oggi, questioni interpretative variegate, intersecanti diversi settori della civilistica[2]. Il suo carattere poliedrico, consistente nell’attitudine a declinare gli schemi tipici secondo i più svariati interessi dei contraenti, ne ha dettato la fortuna nei regolamenti contrattuali [3]. Angolatura d’osservazione privilegiata è il problema della configurabilità della proprietà risolubile, isolatamente oggetto di interesse dottrinale [4]. La categoria, che non sembra essere stata esaminata in ordinamenti diversi da quello italiano [5], individua una specificazione strutturale e funzionale della proprietà [6] e si riferisce alla posizione sia dell’alienante sub condicione sospensiva sia dell’acquirente sub condicione. In entrambi i casi, i contraenti risultano titolari di una situazione soggettiva precaria in quanto suscettibile di estinguersi in occasione dell’avveramento della condizione. Svariate sono le ragioni che suggeriscono l’opportunità di una rilettura della proprietà risolubile: le molteplici questioni interpretative sollevate dalla condizione, ormai maggioritariamente qualificata come elemento “multifunzionale” [7]; l’idoneità della condizione a incidere sulle situazioni giuridiche dei contraenti; gli scogli interpretativi riguardanti le dinamiche traslative occasionatesi durante la pendenza condizionale e, non da ultimo, l’urgenza metodologica di accostarsi alla disciplina negoziale della condizione in modo neutrale, evitando “incrostazioni” assiomatiche che la dottrina ha progressivamente sedimentato, ad esempio, in materia di retroattività [8]. Fil rouge della presente indagine è la riflessione in ordine alla conformazione ingenerata dall’elemento condizionale sulle situazioni giuridiche soggettive [9]. L’elaborazione della proprietà risolubile è, infatti, il frutto dell’osservazione dell’incidenza dell’incertezza e della precarietà, predicati della pendenza condizionale, sulle posizioni dei contraenti sub condicione. La proprietà risolubile [continua ..]


2. Pendenza e incertezza: l’incidenza del tempo sulle situazioni giuridiche condizionate.

Lo iato temporale che si frappone tra la manifestazione negoziale condizionata e la realizzazione dell’evento o il suo mancato avveramento delinea lo stato di pendenza[10], tratto essenziale del negozio condizionato, che ne influenza i diversi aspetti tipologici e funzionali. La pendenza è un concetto che rimanda a una molteplicità di significati: il pendere designa genericamente ciò che è in corso di compimento e crea un’attesa e perciò può riferirsi a un evento certo o incerto [11]. Come osservato, tuttavia, «è più spiccatamente attesa l’attesa di un fatto incerto che non quello di un fatto certo» [12]. Differentemente dal negozio sottoposto a termine, in quello sub condicione l’attesa che consegue alla pendenza è specificamente qualificata dal predicato dell’incertezza. Trattasi di una modalità di incisione del tempo sui diritti soggettivi differente rispetto a quella che si rinviene nella proprietà temporanea alla quale è estraneo l’elemento dell’incertezza [13]. Connaturato alla fattispecie è l’intendimento dei contraenti di differire la realizzazione dell’interesse presupposto al regolamento negoziale a un momento successivo alla costituzione del rapporto. Il negozio condizionato risulta quindi imperfetto perché l’incertezza temporale rende incompleto l’assetto di interessi predisposto dai contraenti, differendo la realizzazione del relativo programma. Cionondimeno, anche rispetto al negozio sub condicione, rimane ferma la valenza del principio di vincolatività del rapporto ex art. 1372 cod. civ. «che si sostanzia appunto nella soggezione delle parti agli effetti che deriveranno dal negozio, in qualunque momento essi abbiano a seguire» [14]. Più precisamente, l’interesse al differimento permea un contratto valido che, per quanto incompleto, è comunque idoneo a modificare doppiamente, nel tempo, la realtà giuridica [15]: gli effetti “immediati” preludono a una modificazione ulteriore del panorama giuridico che si atteggia diversamente a seconda che la condizione sia sospensiva o risolutiva [16]. La dichiarazione di volontà condizionata è, dunque, «espressione di una volontà attuale non meno di quella che dà vita al negozio puro e semplice, anche se, [continua ..]


3. Precisazioni sull’accezione di retroattività.

La retroattività della condizione trova tradizionalmente il suo fondamento nell’art. 1360 cod. civ., co. 1, a norma del quale gli effetti dell’avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto, salvo che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto o della risoluzione debbano essere riportati a un momento diverso. La retroattività è «modalità dell’efficacia giuridica della dichiarazione condizionale» [28], la cui definizione coinvolge aspetti cardinali della scienza civilistica quali il tempo, il fatto giuridico e i relativi effetti [29]. L’obiettivo di chiarirne il contenuto e la portata è certamente arduo se si guarda alla stringata enunciazione di principio dell’art. 1360 cod. civ., il quale si limita ad affermare al primo comma che «gli effetti dell’avve­ramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto». A ciò si aggiunga che la retroattività, rientrando nel novero dei «concetti generici […] pieghevoli ed elastici» [30], consente difficilmente una riconduzione a principi direttivi e ordinanti. In passato, il «problema» [31] sotteso alla spiegazione retroattiva degli effetti condizionali riguardava l’esigenza di «salvare l’intento delle parti, il quale fosse di chiedere all’ordinamento giuridico la produzione degli effetti dichiarati come dal momento della manifestazione, per l’ipotesi che l’evento venga a verificarsi» [32]. Così, la tradizionale giustificazione della retroattività ha sempre visto nell’intenzione del legislatore il riconoscimento della presunta volontà delle parti di far coincidere, anche nelle fattispecie condizionate, la produzione degli effetti del contratto con il momento della sua stipulazione [33]. Cionondimeno, data l’in­sussistenza di «prove persuasive della normale esistenza di una volontà delle parti diretta alla retroattività» [34], tale ratio appare indimostrata. La spiegazione gnoseologica del “come se fosse” potrebbe ingenerare l’equivoco di ricondurre la retroattività all’alveo della finzione [35]. Era questo l’avviso della corrente dottrinale prevalente in tempi meno [continua ..]


3.1. Alcune eccezioni alla regola della retroattività condizionale.

È utile soffermarsi, seppur parzialmente, sopra due momenti dimostrativi delle eccezioni alla retroattività, relativi al rischio per l’impossibilità sopravvenuta della prestazione durante la pendenza e al mancato decorso della prescrizione delle situazioni giuridiche condizionate. Con riferimento alla prima, oggetto di osservazione è l’art. 1465 cod. civ., co. 4, a norma del quale l’ac­quirente è in ogni caso liberato dalla sua obbligazione, se il trasferimento era sottoposto a condizione sospensiva e l’impossibilità è sopravvenuta prima del verificarsi della condizione. Il punto è capire in quale rapporto si pone la norma, prevista per la pendenza condizionale nei contratti a effetti traslativi, con l’opposta regola res perit domino ospitata nel medesimo articolo al primo comma, la quale, come noto, esclude in via generale la liberazione dell’acquirente. Ebbene, se vigesse il dogma della retroattività, l’acquirente del negozio sub condicione dovrebbe considerarsi dominus retroattivamente fin dalla conclusione del contratto e in quanto tale non esonerato dall’ese-cuzione della controprestazione: sennonché, la soluzione è esattamente quella opposta, cioè la liberazione dell’acquirente, si avveri o no la condizione. La soluzione accolta dalla disposizione si pone in continuità rispetto a quella del codice civile del 1865 (art. 1163, co. 1). La Relazione al codice (n. 664) spiega l’accollo del rischio all’alienante con la mancanza dell’oggetto del contratto e la sua conseguente nullità al momento dell’avveramento della condizione e del momento di produzione di efficacia [50]. Parte della dottrina invoca l’art. 1347 cod. civ. per giustificare che il contratto, per la sopravvenuta mancanza dell’oggetto, non potrebbe avere effetto e dunque nemmeno un effetto retroattivo. Contrariamente, è stato osservato che da tale norma può solo desumersi che quando la prestazione è inizialmente impossibile è sufficiente, ai fini della validità del contratto, che la possibilità sopraggiunga prima dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine, non statuendo la stessa norma che la possibilità della prestazione perduri fino al momento dell’efficacia [51]. Un’interpretazione fedele al dato [continua ..]


3.2. L’irrilevanza della retroattività: l’art. 1357 cod. civ. quale autonomo fondamento del regime circolatorio delle situazioni condizionate.

La dimostrata inconsistenza del dogma attraverso la valorizzazione della «gravità» [76] delle relative eccezioni suggerisce un’ulteriore riflessione. Come autorevolmente chiosato, seppur rispetto ad altro ambito, non è del tutto conforme a logica l’inferire la debolezza o la tenuta di un principio dal riscontro quantitativo, consistente o irrisorio, delle relative eccezioni [77]. Non è il numero delle eccezioni a determinare la debolezza di un principio [78]. Le ipotesi codicistiche che predicano l’operatività ex nunc non possono condurre a dimostrare aprioristicamente l’insussistenza o il superamento di un principio, di segno opposto, di efficacia ex tunc. Ciononostante, nel loro insieme, le deroghe alla retroattività costituiscono un’evidenza difficilmente trascurabile, tant’è che la dottrina più recente segnala che «sul piano applicativo il principio di retroattività appare fortemente eroso» [79]. Dunque, il complesso delle deroghe o, come voluto da alcuni, anomalie, più che scalfire il dogma della retroattività è in grado di confermare il carattere «naturale» [80], e dunque non necessario, dell’atteggiarsi retroattivo della condizione. Ai fini della decostruzione del dogma, invece, diviene dirimente la dimostrazione dell’irrilevanza della retroattività [81]. Anche quando non è derogata, la retroattività finisce per costituire una mera giustificazione teorica di taluni aspetti già ricavabili dalla disciplina in materia di condizione. Significativa prova di resistenza della tesi in parola è la disamina delle vicende circolatorie delle situazioni giuridiche condizionate. Tradizionalmente, la discussione sulla retroattività finisce per coincidere con la disquisizione se il negozio abbia da sempre prodotto effetti ovvero se da sempre sia stato inefficace. Secondo questa impostazione, operando una valutazione a posteriori, parametrata all’avveramento dell’evento, si ritengono efficaci gli atti di disposizione compiuti, in costanza di pendenza, dalla parte priva della legittimazione a disporre e per converso inefficaci le alienazioni realizzate dall’altra parte. Il tutto secondo un giudizio di accertamento che mira a cancellare il pregresso a seconda dell’avveramento o meno dell’evento [continua ..]


4. La riemersione della proprietà risolubile.

Se la valutazione giuridica è sempre una valutazione prospetticamente permeata dall’elemento cronologico[132], il dogma della retroattività si fonda su un inquadramento falsato della dinamica condizionale, in quanto comporta l’esclusione a posteriori della realtà giuridica antecedente all’avveramento della condizione. In virtù della spiegazione retroattiva, le situazioni giuridiche soggettive scaturenti dalla pendenza risultano offuscate da una duplice e contrastante valutazione: una anteriore all’avveramento della condizione e una successiva, sovrapposta a posteriori alla prima, in applicazione della retroattività, con esclusione di ogni considerazione delle situazioni interinali [133]. La retroattività comporta così una duplicità prospettica che contrastando con l’univocità causale e temporale delle situazioni di fatto, finisce con l’essere irrealistica: lo stesso soggetto «nello stesso periodo di tempo sarebbe e non sarebbe da considerarsi proprietario della stessa cosa, secondo che si valuti la situazione ex ante (cioè prima dell’avveramento della condizione) o ex post (cioè dopo l’avveramento della medesima)» [134]. Questo inquadramento contrasta la generale irreversibilità delle situazioni di fatto e dei relativi effetti giuridici, nonché della causalità temporale sottesa, che impedisce che diritti e obblighi possano sorgere ora per il passato. La sostituzione a posteriori di una realtà susseguente all’avveramento con quella previgente condurrebbe agli stessi esiti cui perveniva la teoria della finzione, cioè «distruggere il passato» e così eludere la circostanza che un «contratto è esistito, un vincolo giuridico lo ha prodotto, un vincolo di aspettativa c’è stato, […]» [135]. Evitare il ricorso alla retroattività e l’adozione di una valutazione univoca delle posizioni delle parti del contratto sub condicione consente di riflettere sopra la situazione intermedia dell’alienante sotto condizione sospensiva e dell’acquirente sotto condizione risolutiva, entrambi titolari della proprietà risolubile, situazione soggettiva interinale giuridicamente autonoma [136].


4.1. La proprietà risolubile e quella temporanea nel sistema delle situazioni di appartenenza.

La proprietà risolubile, una volta riemersa, deve essere inscritta nel sistema dei diritti reali. Va anzitutto osservato che, nonostante la neutralità dell’elemento condizionale, in quanto apponibile sia a un contratto a effetti reali sia a uno a effetti obbligatori [137], differente è l’atteggiarsi della stasi effettuale derivante dall’apposizione della condizione, a seconda della natura degli effetti spiegati dal contratto. Nel caso di contratto a effetti obbligatori, durante il periodo di pendenza non v’è altra conseguenza che quella della mancata insorgenza dell’obbligazione e del correlato diritto di credito. Diversamente, nel contratto a effetti reali, il diritto oggetto di alienazione condizionata, pur permanendo in capo al rispettivo contraente (l’alienante nel negozio a condizione sospensiva, l’acquirente nel caso della condizione risolutiva), subisce la peculiare conformazione derivante dalla sottoposizione del negozio all’incertezza condizionale [138]. Inoltre, l’effetto conformativo è maggiormente apprezzabile con riferimento alle situazioni soggettive reali, essendo il loro contenuto (facoltà di godimento e di disposizione) per natura comprimibile. Di contro, il contenuto dei diritti di credito, ristretto alla sola facoltà di pretesa, non risulta fisiologicamente conformabile. Prima facie la proprietà risolubile sembra atteggiarsi come un quid minoris rispetto alla “piena” proprietà [139]. Da una parte, infatti, sembrerebbe improprio accomunare la categoria alla proprietà ex art. 832 ss. cod. civ.: ciò importerebbe una vanificazione di tutti i tratti distintivi del diritto risolubile che lo differenziano nettamente dal diritto “pieno”. D’altro canto, un’assimilazione ai diritti reali di godimento sarebbe impropria in quanto, tra le altre ragioni, in caso di avveramento della condizione la ri-espansione a diritto pieno non avviene in forza di un atto di disposizione del titolare dell’aspettativa o di una manifestazione di volontà del proprietario interinale, bensì automaticamente, in virtù dell’essenza degli stessi effetti negoziali. Per di più la proprietà risolubile condivide con il dominio pieno l’imprescrittibilità per non uso [140]. La difficoltà esegetica è stata avvertita da [continua ..]


4.2. Sull'assimilazione della proprietà risolubile alla proprietà destinata.

Valorizzare la portata conformatrice della condizione non equivale a riconoscere nella proprietà risolubile una proprietà destinata, a differenza di quanto recentemente affermato da una tesi [183]. Secondo questa voce «la proprietà risolubile è una vera e propria proprietà destinata: anch’essa è infatti una proprietà strutturata nell’interesse (non solo del titolare interinale ma anche) di altro soggetto (il titolare dell’aspet-tativa condizionale), e come tale funzionalizzata e conformata». Il parallelismo abbisogna, tuttavia, di alcune specificazioni. La comunanza estrinseca dell’effetto conformativo sulla situazione giuridica interessata non può condurre a un’indiscriminata equiparazione dei due termini di analisi. Permane, infatti, una distanza ontologica tra l’atto ex art. 2645-ter cod. civ. e il negozio sub condicione. Se è vero che in entrambi casi, fenomenologicamente, la proprietà è sprovvista della pienezza, è parimenti evidente che la funzionalizzazione opera difformemente. Nella proprietà c.d. destinata nessuna precarietà o subordinazione a un evento incerto è ravvisabile, quanto, piuttosto, una negoziata e specifica funzionalizzazione del bene all’interesse attuale del beneficiario. Che la proprietà risolubile sia soggetta a vincoli di conservazione e a obblighi in favore del titolare dell’aspettativa non è motivo per discorrere di una destinazione in senso stretto. Non si tratta, a ben vedere, di una funzionalizzazione in senso soggettivo in quanto la “finalizzazione” del diritto risolubile è la risultante della conformazione operata dalla pendenza sulle situazioni giuridiche coinvolte, mancando una destinazione del bene alla realizzazione di interessi altrui. A difettare è, altresì, una destinazione così come intesa dall’art. 2645-ter cod. civ. volta cioè alla realizzazione di interessi della controparte (nella specie, il titolare dell’aspettativa) meritevoli di tutela. Inoltre, la conformazione che caratterizza la proprietà risolubile promana dall’incertezza tipica della pendenza e non dalla sussistenza di limiti e obblighi a carico del titolare precario, essendo questi ultimi, piuttosto, degli indici sintomatici della prima. Di contro, la funzionalizzazione che connota la [continua ..]


Il discorso può giungere, in conclusione, alla considerazione delle ipotesi legali nelle quali è ravvisabile una proprietà risolubile, in particolare nella vendita con riserva di proprietà[197]. Gli esiti interpretativi raggiunti sulla proprietà risolubile suggeriscono una lettura della categoria negoziale ex art. 1523 cod. civ. in questi termini. Il mancato pagamento integrale del prezzo viene considerato come condizione risolutiva del contratto. Il compratore, al pari di ogni altro acquirente sub condicione risolutiva, diviene, con la stipulazione della vendita, titolare di una proprietà risolubile, suscettibile di trasformarsi in “piena” nel caso di mancato avveramento dell’evento, nell’eventualità, cioè, del pagamento dell’ultima rata del prezzo. Correlativamente, il venditore è titolare di un’aspettativa al riacquisto della cosa analoga a quella dell’alienante sotto condizione risolutiva. Per questa via, la vendita con riserva di proprietà può essere ricondotta a una sotto-ipotesi di vendita nell’alveo dei negozi tipicamente condizionati [198], con conseguente applicazione per via analogica della disciplina della condizione risolutiva. La communis opinio ha sempre escluso recisamente che il compratore potesse acquistare la proprietà prima del pagamento dell’ultima rata. Parallelamente, sia nella dottrina più risalente sia in quella più recente, traspare un certo imbarazzo interpretativo reso evidente dalle formule evanescenti impiegate per affermare che il compratore sarebbe «già sostanzialmente padrone» [199], «quasi proprietario» [200] oppure soggetto che «si comporta di massima come proprietario pur non essendo (ancora) titolare del diritto reale» [201]. Correlativamente, l’istituto si ribadisce in tutta la sua complessità allorquando si debba spiegare per quale ragione, stante l’impressione di una situazione sostanzialmente proprietaria del compratore, il venditore continua a mantenere un certo grado di appartenenza rispetto alla res. Muovendo dal tenore letterale dell’art. 1523 cod. civ., alla luce della rilettura dogmatica della proprietà risolubile, si può ritenere che il compratore acquisterà la piena e definitiva proprietà solo al pagamento dell’ultima rata, restando [continua ..]


5. Configurabilità della proprietà risolubile nella vendita con riserva di proprietà.

Il discorso può giungere, in conclusione, alla considerazione delle ipotesi legali nelle quali è ravvisabile una proprietà risolubile, in particolare nella vendita con riserva di proprietà[197]. Gli esiti interpretativi raggiunti sulla proprietà risolubile suggeriscono una lettura della categoria negoziale ex art. 1523 cod. civ. in questi termini. Il mancato pagamento integrale del prezzo viene considerato come condizione risolutiva del contratto. Il compratore, al pari di ogni altro acquirente sub condicione risolutiva, diviene, con la stipulazione della vendita, titolare di una proprietà risolubile, suscettibile di trasformarsi in “piena” nel caso di mancato avveramento dell’evento, nell’eventualità, cioè, del pagamento dell’ultima rata del prezzo. Correlativamente, il venditore è titolare di un’aspettativa al riacquisto della cosa analoga a quella dell’alienante sotto condizione risolutiva. Per questa via, la vendita con riserva di proprietà può essere ricondotta a una sotto-ipotesi di vendita nell’alveo dei negozi tipicamente condizionati [198], con conseguente applicazione per via analogica della disciplina della condizione risolutiva. La communis opinio ha sempre escluso recisamente che il compratore potesse acquistare la proprietà prima del pagamento dell’ultima rata. Parallelamente, sia nella dottrina più risalente sia in quella più recente, traspare un certo imbarazzo interpretativo reso evidente dalle formule evanescenti impiegate per affermare che il compratore sarebbe «già sostanzialmente padrone» [199], «quasi proprietario» [200] oppure soggetto che «si comporta di massima come proprietario pur non essendo (ancora) titolare del diritto reale» [201]. Correlativamente, l’istituto si ribadisce in tutta la sua complessità allorquando si debba spiegare per quale ragione, stante l’impressione di una situazione sostanzialmente proprietaria del compratore, il venditore continua a mantenere un certo grado di appartenenza rispetto alla res. Muovendo dal tenore letterale dell’art. 1523 cod. civ., alla luce della rilettura dogmatica della proprietà risolubile, si può ritenere che il compratore acquisterà la piena e definitiva proprietà solo al pagamento dell’ultima rata, restando [continua ..]


NOTE