Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Per una rilettura della proprietà risolubile attraverso il prisma delle situazioni giuridiche condizionate (di Michele Raggi, Dottorando – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)


Il presente lavoro mira ad approfondire la proprietà risolubile, ossia la situazione proprietaria di chi ha alienato sotto condizione sospensiva o di chi ha acquistato sotto condizione risolutiva. 

La categoria, portavoce dell’agire del tempo nel contratto sottoposto a condizione, è stata oggetto di interesse marginale sia in Italia sia negli ordinamenti esteri. La proprietà risolubile viene delineata dallo spiegarsi dell’incertezza dell’evento condizionale nelle posizioni giuridiche dei contraenti sub condicione.

Nell’analisi condotta la proprietà risolubile riemerge a seguito della demistificazione del dogma della retroattività della condizione. Attraverso una lettura disincantata della disciplina della condizione, che consente di abbandonare l’idea della retroattività come finzione, emerge come la spiegazione retroattiva della condizione sia significativamente erosa dalle deroghe presenti nel sistema e, comunque, finisca per essere irrilevante.

Un nodo centrale della riflessione è costituito dal tentativo di inserire la proprietà risolubile nel sistema dei diritti reali, attraverso il confronto con la proprietà temporanea. La conclusione è che la proprietà risolubile non intacca il principio del numerus clausus, in quanto il suo contenuto è conformato direttamente dallo stato di pendenza della condizione, dalla conseguente disciplina codicistica e, solo mediatamente, dall’autonomia privata.

Gli esiti della ricerca hanno portato a chiarire, a differenza di quanto affermato nella tesi di recente dottrina, che la valorizzazione della portata conformatrice della condizione non importa la qualificazione della proprietà risolubile come proprietà destinata ex art. 2645-ter cod. civ.

In chiusura, è stata analizzata un’applicazione pratica della categoria rispetto alla vendita con riserva di proprietà di cui all’art. 1523 ss. cod. civ.

The "resolvable property" through the conditional situations

This paper deals with the “resolvable property”, which is the property right of the contractual party who has transfer under a suspensive condition or who has acquired under a resolvable condition.

This category of property, which reveals the impact of the time on the conditional contract, has been marginally studied both in Italy and in foreign systems. The uncertainty of the occurrence of the conditional event on the positions of the contractors outlines the resolvable property.

The paper leads to the resolvable property following the demystification of the dogma of the retroactivity of the condition. The Italian law system’s exceptions weaken the retroactive explanation of the condition which, in any case, ends up being irrelevant, if we analyze the discipline of the condition by ruling out the idea of retroactivity as a fiction.

The central issue of the work is the admissibility check of the resolvable property among the real rights’ Italian system, by comparing the category with temporary property. The resolvable property does not affect the numerus clausus principle since its content is shaped directly by the pendency of the condition, by the consequent application of legal regime governing the conditioned contract and, only mediately, by the contractual parties’ autonomy.

Anyway, the importance given to the condition’s impact does not imply the recognition of the resolvable property as a destined property under the Article 2645-ter of the Italian Civil Code.

Finally, the essay analyses a practical application of the category by its comparison with the sale under the Article 1523 of the Italian Civil Code.

SOMMARIO:

1. Introduzione. - 2. Pendenza e incertezza: l’incidenza del tempo sulle situazioni giuridiche condizionate. - 3. Precisazioni sull’accezione di retroattività. - 3.1. Alcune eccezioni alla regola della retroattività condizionale. - 3.2. L’irrilevanza della retroattività: l’art. 1357 cod. civ. quale autonomo fondamento del regime circolatorio delle situazioni condizionate. - 4. La riemersione della proprietà risolubile. - 4.1. La proprietà risolubile e quella temporanea nel sistema delle situazioni di appartenenza. - 4.2. Sull'assimilazione della proprietà risolubile alla proprietà destinata. - - 5. Configurabilità della proprietà risolubile nella vendita con riserva di proprietà. - NOTE


1. Introduzione.

È stato detto che l’istituto della condizione costituisce «l’unica ipotesi, di cui il legislatore abbia dettato una disciplina sufficientemente chiara ed esauriente»[1]. Eppure, è proprio la condizione a suscitare, ancor’oggi, questioni interpretative variegate, intersecanti diversi settori della civilistica[2]. Il suo carattere poliedrico, consistente nell’attitudine a declinare gli schemi tipici secondo i più svariati interessi dei contraenti, ne ha dettato la fortuna nei regolamenti contrattuali [3].

Angolatura d’osservazione privilegiata è il problema della configurabilità della proprietà risolubile, isolatamente oggetto di interesse dottrinale [4]. La categoria, che non sembra essere stata esaminata in ordinamenti diversi da quello italiano [5], individua una specificazione strutturale e funzionale della proprietà [6] e si riferisce alla posizione sia dell’alienante sub condicione sospensiva sia dell’acquirente sub condicione. In entrambi i casi, i contraenti risultano titolari di una situazione soggettiva precaria in quanto suscettibile di estinguersi in occasione dell’avveramento della condizione.

Svariate sono le ragioni che suggeriscono l’opportunità di una rilettura della proprietà risolubile: le molteplici questioni interpretative sollevate dalla condizione, ormai maggioritariamente qualificata come elemento “multifunzionale” [7]; l’idoneità della condizione a incidere sulle situazioni giuridiche dei contraenti; gli scogli interpretativi riguardanti le dinamiche traslative occasionatesi durante la pendenza condizionale e, non da ultimo, l’urgenza metodologica di accostarsi alla disciplina negoziale della condizione in modo neutrale, evitando “incrostazioni” assiomatiche che la dottrina ha progressivamente sedimentato, ad esempio, in materia di retroattività [8].

Fil rouge della presente indagine è la riflessione in ordine alla conformazione ingenerata dall’elemento condizionale sulle situazioni giuridiche soggettive [9]. L’elaborazione della proprietà risolubile è, infatti, il frutto dell’osservazione dell’incidenza dell’incertezza e della precarietà, predicati della pendenza condizionale, sulle posizioni dei contraenti sub condicione.

La proprietà risolubile ri-emerge all’esito di una rivisitazione del dogma della retroattività, condotta in modo aderente al sistema e alle sue deroghe, nell’imprescindibile tentativo di collocare la figura entro lo schema tradizionale delle situazioni di appartenenza.


2. Pendenza e incertezza: l’incidenza del tempo sulle situazioni giuridiche condizionate.

Lo iato temporale che si frappone tra la manifestazione negoziale condizionata e la realizzazione dell’evento o il suo mancato avveramento delinea lo stato di pendenza[10], tratto essenziale del negozio condizionato, che ne influenza i diversi aspetti tipologici e funzionali.

La pendenza è un concetto che rimanda a una molteplicità di significati: il pendere designa genericamente ciò che è in corso di compimento e crea un’attesa e perciò può riferirsi a un evento certo o incerto [11]. Come osservato, tuttavia, «è più spiccatamente attesa l’attesa di un fatto incerto che non quello di un fatto certo» [12]. Differentemente dal negozio sottoposto a termine, in quello sub condicione l’attesa che consegue alla pendenza è specificamente qualificata dal predicato dell’incertezza. Trattasi di una modalità di incisione del tempo sui diritti soggettivi differente rispetto a quella che si rinviene nella proprietà temporanea alla quale è estraneo l’elemento dell’incertezza [13].

Connaturato alla fattispecie è l’intendimento dei contraenti di differire la realizzazione dell’interesse presupposto al regolamento negoziale a un momento successivo alla costituzione del rapporto. Il negozio condizionato risulta quindi imperfetto perché l’incertezza temporale rende incompleto l’assetto di interessi predisposto dai contraenti, differendo la realizzazione del relativo programma.

Cionondimeno, anche rispetto al negozio sub condicione, rimane ferma la valenza del principio di vincolatività del rapporto ex art. 1372 cod. civ. «che si sostanzia appunto nella soggezione delle parti agli effetti che deriveranno dal negozio, in qualunque momento essi abbiano a seguire» [14].

Più precisamente, l’interesse al differimento permea un contratto valido che, per quanto incompleto, è comunque idoneo a modificare doppiamente, nel tempo, la realtà giuridica [15]: gli effetti “immediati” preludono a una modificazione ulteriore del panorama giuridico che si atteggia diversamente a seconda che la condizione sia sospensiva o risolutiva [16].

La dichiarazione di volontà condizionata è, dunque, «espressione di una volontà attuale non meno di quella che dà vita al negozio puro e semplice, anche se, rispetto a questa, fornita di meno vigore, o addirittura paralizzata, perché incapace di produrre il rapporto conseguenziale (tipico) o, quanto meno, di produrlo in modo stabile e definitivo» [17]. La volontà negoziale condizionata è sussistente nel mondo giuridico nel momento in cui viene espressa, indipendentemente dall’avveramento o meno dell’evento: il mancato avveramento della condizione sospensiva o l’avveramento della condizione risolutiva non importa che ci si trovi innanzi a una non volontà negoziale [18]. Di condizionale e ipotetico nella dichiarazione condizionata non c’è che la forma dell’espressione, l’habitus esterno del corpo grammaticale e sintattico dei termini impiegati [19]. Come efficacemente chiosato, il contenuto attuale della dichiarazione in forma condizionata del “voglio se” diventa «“voglio che” l’evento x sia decisivo per la produzione dell’effetto y» [20]. La sostanza della determinazione volitiva è sempre attuale e univoca dal momento che due volontà antitetiche (volere e non volere) non possono coesistere nella stessa manifestazione volitiva [21].

La precarietà caratterizza le situazioni condizionate, in virtù della loro sottoposizione alla futura modificazione della realtà giuridica [22]. Il diaframma fra momento della prestazione del consenso e momento dell’at­tuazione degli effetti negoziali delinea un rapporto di subordinazione tra il vincolo negoziale e l’evento e connota le relative situazioni giuridiche come precarie [23].

La certezza, connotato imprescindibile del diritto [24], assume, nell’ambito dell’odierna riflessione, un’ac­cezione specifica e singolare di “stabilità” e “prevedibilità” degli sviluppi delle determinazioni del­l’au­tonomia privata. In questo senso si contrappone all’incertezza, quintessenza dell’evento dedotto nella clausola condizionale [25]. L’incertezza importa, strutturalmente, inattualità, da intendersi, come accennato, quale incompletezza dell’assetto programmatico delle parti [26].

Nel negozio sub condicione si realizza una commistione di differenti dimensioni cronologiche, determinata dalla compresenza della futurità dell’evento, dell’attualità della determinazione negoziale e della dimensione passata derivante – secondo la tradizionale spiegazione – dall’agire retroattivo del meccanismo condizionale: l’elemento temporale, parametro ordinante la realtà fenomenica nonché connotato essenziale di ogni valutazione giuridica [27], permea, in modo peculiare, l’analisi delle situazioni giuridiche condizionate.


3. Precisazioni sull’accezione di retroattività.

La retroattività della condizione trova tradizionalmente il suo fondamento nell’art. 1360 cod. civ., co. 1, a norma del quale gli effetti dell’avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto, salvo che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto o della risoluzione debbano essere riportati a un momento diverso.

La retroattività è «modalità dell’efficacia giuridica della dichiarazione condizionale» [28], la cui definizione coinvolge aspetti cardinali della scienza civilistica quali il tempo, il fatto giuridico e i relativi effetti [29]. L’obiettivo di chiarirne il contenuto e la portata è certamente arduo se si guarda alla stringata enunciazione di principio dell’art. 1360 cod. civ., il quale si limita ad affermare al primo comma che «gli effetti dell’avve­ramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto». A ciò si aggiunga che la retroattività, rientrando nel novero dei «concetti generici […] pieghevoli ed elastici» [30], consente difficilmente una riconduzione a principi direttivi e ordinanti.

In passato, il «problema» [31] sotteso alla spiegazione retroattiva degli effetti condizionali riguardava l’esigenza di «salvare l’intento delle parti, il quale fosse di chiedere all’ordinamento giuridico la produzione degli effetti dichiarati come dal momento della manifestazione, per l’ipotesi che l’evento venga a verificarsi» [32]. Così, la tradizionale giustificazione della retroattività ha sempre visto nell’intenzione del legislatore il riconoscimento della presunta volontà delle parti di far coincidere, anche nelle fattispecie condizionate, la produzione degli effetti del contratto con il momento della sua stipulazione [33]. Cionondimeno, data l’in­sussistenza di «prove persuasive della normale esistenza di una volontà delle parti diretta alla retroattività» [34], tale ratio appare indimostrata.

La spiegazione gnoseologica del “come se fosse” potrebbe ingenerare l’equivoco di ricondurre la retroattività all’alveo della finzione [35]. Era questo l’avviso della corrente dottrinale prevalente in tempi meno recenti [36]: comportando la retrodatazione dell’effetto rispetto alla causa, la retroattività costituirebbe una deviazione dal principio di causalità giuridica [37]. In ossequio a questa impostazione, l’avveramento della condizione produrrebbe l’effetto di «agire sul passato (retroagire)» [38]: il fatto si considera avvenuto in un momento diverso da quello in cui realmente si è verificato, con la conseguenza di «distruggere la situazione giuridica interimisticamente viva durante la pendenza» [39].

Sennonché, è prevalsa una diversa ricostruzione [40]. Lungi dal ricondurre la retroattività a una figura di fictio iuris, si è correttamente ritenuto che il punto della questione fosse spiegare una modificazione della realtà intervenuta fin dalla stipulazione del negozio sub condicione. Non può dunque leggersi nella retroattività condizionale un espediente rispondente all’esigenza [41] di garantire, secondo la presunta volontà delle parti, la consequenzialità del fatto e dell’effetto.

Pertanto, risulta un equivoco considerare l’operare retroattivo come anteriorità dell’efficacia giuridica rispetto alla produzione del fatto da cui deriva. L’intervento del legislatore, il quale dispone solamente per il futuro e non per il passato [42], non sovverte, stante l’irreversibilità delle situazioni di fatto, la relazione di causalità tra fatto ed effetto «né l’esclusione a posteriori dell’esistenza di ciò che è realmente esistito» [43].

Il meccanismo retroattivo non consiste, dunque, in una modificazione o cancellazione dell’ordine fisico e giuridico [44], bensì nell’instaurarsi di una realtà giuridica aderente e conforme all’assetto di interessi spiegato dal realizzarsi dell’evento condizionale [45]. Non si tratta di fingere già prodotti gli effetti giuridici attuali, bensì di far sorgere degli effetti attuali di contenuto tale da riprodurre il più possibile quella situazione che attualmente vi sarebbe, se il contratto fosse stato efficace fin dalla sua stipulazione [46].

Il parametro temporale della negozialità è solamente quello del presente: nella dimensione negoziale gli obblighi e i diritti non possono sorgere per il passato. Solo apparentemente, quando si parla di retroattività, ci si confronta con una disciplina rivolta al passato, perché essa produce i suoi effetti per il periodo successivo a quello in cui sorge.

Invero, la retroattività è un carattere naturale [47] della condizione, non necessario o essenziale, e comunque mai confliggente con la realtà materiale modificata dalla situazione di pendenza. Del resto, la regola opposta dell’irretroattività, peraltro adottata in alcuni ordinamenti [48], sarebbe confacente al carattere attuale della volontà negoziale sub condicione e all’intenzione dei contraenti, i quali attraverso l’elemento condizionale, «si rimettono sostanzialmente al futuro» [49].


3.1. Alcune eccezioni alla regola della retroattività condizionale.

È utile soffermarsi, seppur parzialmente, sopra due momenti dimostrativi delle eccezioni alla retroattività, relativi al rischio per l’impossibilità sopravvenuta della prestazione durante la pendenza e al mancato decorso della prescrizione delle situazioni giuridiche condizionate.

Con riferimento alla prima, oggetto di osservazione è l’art. 1465 cod. civ., co. 4, a norma del quale l’ac­quirente è in ogni caso liberato dalla sua obbligazione, se il trasferimento era sottoposto a condizione sospensiva e l’impossibilità è sopravvenuta prima del verificarsi della condizione. Il punto è capire in quale rapporto si pone la norma, prevista per la pendenza condizionale nei contratti a effetti traslativi, con l’opposta regola res perit domino ospitata nel medesimo articolo al primo comma, la quale, come noto, esclude in via generale la liberazione dell’acquirente.

Ebbene, se vigesse il dogma della retroattività, l’acquirente del negozio sub condicione dovrebbe considerarsi dominus retroattivamente fin dalla conclusione del contratto e in quanto tale non esonerato dall’ese-cuzione della controprestazione: sennonché, la soluzione è esattamente quella opposta, cioè la liberazione dell’acquirente, si avveri o no la condizione.

La soluzione accolta dalla disposizione si pone in continuità rispetto a quella del codice civile del 1865 (art. 1163, co. 1). La Relazione al codice (n. 664) spiega l’accollo del rischio all’alienante con la mancanza dell’oggetto del contratto e la sua conseguente nullità al momento dell’avveramento della condizione e del momento di produzione di efficacia [50].

Parte della dottrina invoca l’art. 1347 cod. civ. per giustificare che il contratto, per la sopravvenuta mancanza dell’oggetto, non potrebbe avere effetto e dunque nemmeno un effetto retroattivo. Contrariamente, è stato osservato che da tale norma può solo desumersi che quando la prestazione è inizialmente impossibile è sufficiente, ai fini della validità del contratto, che la possibilità sopraggiunga prima dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine, non statuendo la stessa norma che la possibilità della prestazione perduri fino al momento dell’efficacia [51]. Un’interpretazione fedele al dato letterale della disposizione ricava il principio secondo cui la possibilità della prestazione durante la pendenza è sufficiente, ma non necessaria per la validità [52]. Inoltre, l’addurre la nullità del contratto a fondamento dell’esclusione dell’effetto retroattivo si pone in contrasto con la ricostruzione accolta del concetto di retroattività, alla stregua di effetti attuali con contenuti il più possibile aderenti alla situazione che vi sarebbe se il contratto fosse stato efficace ab initio e quindi da un momento in cui l’oggetto era possibile [53].

A questo punto, il significato dell’art. 1465, co. 4, cod. civ., inteso come deroga alla retroattività condizionale, è da ricercarsi confrontando l’ultimo comma con il secondo, che riguarda l’apposizione del termine al contratto con effetti traslativi ed esprime l’opposta regola dell’accollo del rischio all’acquirente, in deroga al principio res perit domino del co. 1. La Relazione al codice civile [54], nel caso del negozio sottoposto a termine iniziale, riconduce la sopportazione del rischio da parte dell’acquirente alla circostanza che l’alienante ha già manifestato il consenso e quindi adempiuto alla sua obbligazione principale consistente nella cooperazione necessaria per la verificazione dell’effetto traslativo, alla quale si contrappone l’obbligo dell’acquirente di pagamento del corrispettivo. La spiegazione sembrerebbe non soddisfacente dal momento che anche nel caso di contratto a condizione sospensiva il contraente presta il consenso e quindi tutta la sua cooperazione al trasferimento, sennonché il dettato codicistico sposa la regola opposta [55]. Oltretutto, l’automatica traslazione del rischio in capo all’acquirente in virtù dalla semplice conclusione del contratto (art. 1376 cod. civ.) è certamente valevole anche nel caso del negozio sub condicione [56].

La ratio risiede, invece, nella circostanza che la scadenza del termine è un avvenimento sicuro e certo fin dalla stipulazione del contratto, differentemente dall’ipotesi condizionale nella quale, escludendo la retroattività, l’acquirente non potrebbe considerarsi proprietario fin dalla conclusione del contratto, data l’incertezza dell’esito finale della determinazione dell’autonomia privata [57]. Viene così corroborata l’esclusione della retroattività condizionale nel caso dell’art. 1465, co. 4, cod. civ. Il fondamento dell’eccezione non ha solamente una derivazione storica, ossia dal diritto romano [58]: siccome la retroattività viene esclusa dal legislatore per quanto riguarda i commoda (cfr. art. 1361, co. 2, cod. civ., in materia di frutti), la stessa operatività ex nunc dovrebbe conseguire anche per gli incommoda, in particolare per la sopportazione del rischio dell’impos­sibilità sopravvenuta [59].

Dalla disamina dei commi 2 e 4 dell’art. 1465 cod. civ. emerge la sensibilità del legislatore rispetto alle peculiarità diacroniche della proprietà risolubile, e la distanza rispetto alla proprietà temporanea di cui al negozio con termine iniziale, non casualmente assoggettata a differente regime. Se, come assodato, il criterio discretivo dell’allocazione del rischio dell’impossibilità sopravvenuta risiede nella proprietà, e non nella stipula del contratto o nella consegna [60], il legislatore ha operato una differenziazione di trattamento tra l’alienante sub condicione, il quale soggiace all’incertezza condizionale, e il dominus temporaneo che al contrario fronteggia, in virtù del termine iniziale, l’ineluttabilità della perdita della propria investitura dominicale.

Prima facie la disciplina emergente dall’art. 1465 cod. civ. parrebbe “anomala” [61] in quanto derogante alla regola dell’efficacia ex tunc della condizione e al contempo frammentaria in virtù dei molteplici regimi condensati nella disposizione codicistica. Quest’ultima, tuttavia, risulta coerentemente interpretabile alla luce della portata caratterizzante dell’incertezza nel fenomeno della pendenza condizionale e rispettosa dell’in­controvertibile distanza rispetto alla certezza di cui al negozio a termine [62].

Chi ritiene che in pendenza di condizione sospensiva nessuna proprietà si sia trasferita all’acquirente, rimanendo questa in capo all’alienante sub condicione, vede nell’ultimo comma dell’art. 1465 cod. civ. un’ap­plicazione della regola generale dell’allocazione del rischio in capo al dominus, disconoscendone la qualificazione come deroga alla retroattività [63]. Per converso, la riemersione della proprietà risolubile, come situazione giuridica “intermedia”, permette di considerare l’attualità della titolarità del diritto sulla cosa al momento del perimento di questa, a prescindere dalla retroattività condizionale. Così argomentando, la regola res perit domino risulterebbe sì applicabile all’alienante sotto condizione sospensiva, essendo quest’ultimo dominus, sia pur in modo risolubile.

Ulteriore passaggio dimostrativo della debolezza del preteso dogma risiede nella mancata decorrenza del termine di prescrizione con riferimento alle situazioni soggettive condizionate [64]. Il problema è stato oggetto di ampia riflessione giurisprudenziale la quale, nell’interpretare il brocardo contra non valentem agere non currit praescriptio, si è assestata sopra una massima poi divenuta consolidata: l’art. 2935 cod. civ., secondo il quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce alle sole cause giuridiche impeditive dell’esercizio del diritto e non anche ai semplici ostacoli di fatto, che può incontrare il suo titolare. Così, tra gli impedimenti giuridici al decorso della prescrizione, dottrina [65] e giurisprudenza [66] hanno individuato l’apposizione della condizione o del termine [67].

È il sistema a suggerire una congrua soluzione esegetica [68]. Dall’art. 1166 cod. civ., letto in modo combinato con l’articolo precedente, si ricava che la pendenza del termine o della condizione rilevano come impedimenti al decorso della prescrizione. L’art. 1166 cod. civ. precisa che nell’usucapione ventennale non ha luogo, riguardo al terzo possessore di un immobile o di un diritto reale sopra un immobile, l’impedimento derivante da termine o condizione. In generale, quindi, il termine ad usucapionem non decorre finché non è scaduto il termine iniziale o non si è verificata la condizione sospensiva, salvo che si tratti di terzo possessore [69]. Se poi si guarda all’art. 1165 cod. civ., che estende all’usucapione, per quanto applicabili, le disposizioni generali in materia di prescrizione, si ricava che gli stessi impedimenti ostano al decorso della prescrizione estintiva.

Ebbene, anche in questo caso la retroattività della condizione è da escludersi. Posto che la pendenza della condizione è impedimento al decorso del dies a quo prescrizionale, l’avveramento della condizione non potrebbe operare retroattivamente nell’accezione sopra chiarita. Se la retroattività importa l’instaurazione di una realtà giuridica il più possibile aderente a quella che si sarebbe instaurata laddove il negozio fosse stato puro, ne consegue che, in caso di avveramento della condizione, il periodo della pendenza dovrebbe computarsi ai fini della prescrizione. Invero, l’enunciazione contrasta con l’esclusione del decorso prescrizionale nel caso di situazioni condizionate, così confermando un’ulteriore deroga al dogma della retroattività.

La soluzione dell’irretroattività è del resto avvalorata se dalla prescrizione estintiva si pone lo sguardo sul rapporto tra il titolo condizionato e le regole del possesso vale titolo ex art. 1153 cod. civ. e dell’usucapione abbreviata ex artt. 1159,1160 e 1162 cod. civ. Richiamando la regola romanistica «si sub condicione emptio facta sit, pendente condicione emptor usu non capit», è stato sostenuto che l’aspettativa di diritto non può costituire un titolo di possesso [70], con conseguente inidoneità alla maturazione dell’usucapione durante la pendenza condizionale. Questo perché «non ha senso attribuire alla retroattività l’effetto di trasformare in possesso vero e proprio una situazione pregressa di semplice detenzione» [71].

Ulteriore conferma della relatività della regola della retroattività condizionale deriva dallo stesso art. 1360 cod. civ. [72], per il quale gli effetti dell’avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto salvo che per volontà delle parti o per la natura del rapporto gli effetti del contratto o la risoluzione debbano essere riportati a un momento diverso [73]. La prima ipotesi ha natura dispositiva ed esprime un momento di valorizzazione dell’autonomia privata alla quale è rimessa la facoltà di limitare o addirittura escludere la portata dispositiva dell’art. 1360 cod. civ. L’autonomia negoziale può atteggiarsi secondo due ordini di limitazioni: la condizione può essere fatta retroagire a un momento diverso da quello della conclusione del negozio oppure può essere esclusa del tutto [74].

Disciplina l’operatività ex nunc anche l’art. 1360, co. 2, cod. civ., in relazione alle prestazioni già eseguite nei contratti a esecuzione continuata o periodica nel caso di avveramento della condizione risolutiva, salvo patto contrario [75].


3.2. L’irrilevanza della retroattività: l’art. 1357 cod. civ. quale autonomo fondamento del regime circolatorio delle situazioni condizionate.

La dimostrata inconsistenza del dogma attraverso la valorizzazione della «gravità» [76] delle relative eccezioni suggerisce un’ulteriore riflessione. Come autorevolmente chiosato, seppur rispetto ad altro ambito, non è del tutto conforme a logica l’inferire la debolezza o la tenuta di un principio dal riscontro quantitativo, consistente o irrisorio, delle relative eccezioni [77].

Non è il numero delle eccezioni a determinare la debolezza di un principio [78]. Le ipotesi codicistiche che predicano l’operatività ex nunc non possono condurre a dimostrare aprioristicamente l’insussistenza o il superamento di un principio, di segno opposto, di efficacia ex tunc.

Ciononostante, nel loro insieme, le deroghe alla retroattività costituiscono un’evidenza difficilmente trascurabile, tant’è che la dottrina più recente segnala che «sul piano applicativo il principio di retroattività appare fortemente eroso» [79].

Dunque, il complesso delle deroghe o, come voluto da alcuni, anomalie, più che scalfire il dogma della retroattività è in grado di confermare il carattere «naturale» [80], e dunque non necessario, dell’atteggiarsi retroattivo della condizione.

Ai fini della decostruzione del dogma, invece, diviene dirimente la dimostrazione dell’irrilevanza della retroattività [81]. Anche quando non è derogata, la retroattività finisce per costituire una mera giustificazione teorica di taluni aspetti già ricavabili dalla disciplina in materia di condizione.

Significativa prova di resistenza della tesi in parola è la disamina delle vicende circolatorie delle situazioni giuridiche condizionate.

Tradizionalmente, la discussione sulla retroattività finisce per coincidere con la disquisizione se il negozio abbia da sempre prodotto effetti ovvero se da sempre sia stato inefficace. Secondo questa impostazione, operando una valutazione a posteriori, parametrata all’avveramento dell’evento, si ritengono efficaci gli atti di disposizione compiuti, in costanza di pendenza, dalla parte priva della legittimazione a disporre e per converso inefficaci le alienazioni realizzate dall’altra parte. Il tutto secondo un giudizio di accertamento che mira a cancellare il pregresso a seconda dell’avveramento o meno dell’evento futuro.

Punctum pruriens del discorso è l’esegesi dell’art. 1357 cod. civ., dal tenore letterale non cristallino [82], il quale, costituendo «il dato normativo che maggiormente qualifica l’operare della condizione» [83], ha attanagliato la dottrina in materia. Secondo il menzionato articolo «chi ha un diritto subordinato a condizione sospensiva o risolutiva può disporne in pendenza di questa, ma gli effetti di ogni atto di disposizione sono subordinati alla stessa condizione».

Anzitutto, non è chiaro a quale delle parti nel negozio condizionato si riferisca la disposizione allorquando, rispetto al criterio di applicazione soggettiva, menziona «chi ha un diritto subordinato a condizione sospensiva o risolutiva».

Voci più risalenti interpretano restrittivamente l’art. 1357 cod. civ. come norma riferita ai soli titolari del diritto precario, cioè all’alienante sotto condizione sospensiva e all’acquirente sotto condizione risolutiva [84]. Di contro, altra voce dottrinale, stante la valorizzazione del «chi ha un diritto subordinato a condizione», restringe l’ambito applicativo al solo acquirente, sia esso sotto condizione sospensiva oppure sotto condizione risolutiva [85].

La dottrina tende ormai ad attribuire alla norma, quanto al profilo soggettivo, una portata ampia, riconoscendo la facoltà di disposizione tanto al titolare precario quanto al contraente titolare dell’aspettativa [86]. Direzione confermata anche dalla giurisprudenza [87].

Un secondo profilo interpretativo riguarda il significato da attribuire al concetto di “subordinazione” di cui al dato letterale.

Un inquadramento tradizionale vi ravvisa una subordinazione sospensiva ex lege dell’acquisto del diritto condizionato, cioè «a dire, atti di disposizione sottoposti ad una condizione legale sospensiva, e quindi forniti di un effetto negoziale, ma non di efficacia giuridica (attuale)» [88]. L’art. 1357 cod. civ. importerebbe un effetto legale indisponibile consistente nell’inserzione automatica della medesima clausola condizionale del contratto sub condicione nel successivo atto di alienazione del diritto precario [89]. Con il che, secondo tale impostazione, gli atti dispositivi ex art. 1357 cod. civ. risulterebbero inefficaci (e non meramente inopponibili) fintanto che perduri la pendenza e quindi non venga definitivamente a sciogliersi la sorte del negozio condizionato. La fattispecie di cui all’art. 1357 cod. civ. e la relativa opponibilità degli effetti condizionali sarebbero poi esemplificative di un caso eccezionale di operatività erga omnes del regolamento contrattuale, in deroga al principio di relatività degli effetti di cui all’art. 1372 cod. civ. [90].

Ancora, v’è chi ha ritenuto la norma una mera e «piana applicazione» del principio nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet e del relativo corollario resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis [91].

La disputa dogmatica può sopirsi considerando che il meccanismo della norma si riferisce alla condizione della situazione soggettiva e non del negozio dispositivo. La situazione trasferita ai successivi acquirenti dalle parti dell’originario negozio sub condicione sarà oggetto di caducazione o di consolidamento retroattivamente solo nel senso che la caducazione o il consolidamento della situazione di questi importerà altresì la caducazione e il consolidamento della situazione da loro alienata ai successivi acquirenti [92]. Finisce per essere irrilevante il ricorso alla dogmatica retroattiva al fine di spiegare la caducazione e il consolidamento degli atti di disposizione delle situazioni giuridiche condizionate.

È la natura limitata e precaria della situazione soggettiva condizionata a indicare le sorti delle successive alienazioni, le quali soggiacciono non a una subordinazione legale bensì alla sola limitazione connaturata all’essenza del diritto o dell’aspettativa oggetto di alienazione. Con una «formula imprecisa» [93] il legislatore ha stabilito che la situazione soggettiva si trasferisce al nuovo acquirente con le stesse caratteristiche: pertanto, solo in questa direzione assume un significato plausibile la subordinazione dell’efficacia dell’atto alla «stessa» condizione.

Così, l’art. 1357 cod. civ. non ha altro significato che quello di norma specificamente dettata per le vicende circolatorie delle situazioni condizionate attraverso atti di disposizione puri e non sottoposti a condizione. Ciò, indistintamente, sia per il diritto precario dell’alienante sotto condizione sospensiva e dell’acquirente sotto condizione risolutiva, sia per l’aspettativa dell’acquirente sotto condizione sospensiva e dell’alienante a condizione risolutiva.

Gli aventi causa dei contraenti il negozio sub condicione sono esposti all’opponibilità delle situazioni condizionate non per la retroattività della condizione, bensì per la peculiare modalità cronologica che rende incerta e precaria la situazione giuridica alienata [94]. Lo conferma la circostanza che l’eventuale esclusione pattizia della retroattività non ha alcuna influenza sulla valutazione della sorte degli atti dispositivi, rimanendo comunque applicabile l’art. 1357 cod. civ. [95]. Né si avrebbe un’«intrinseca alternatività» del medesimo diritto in capo all’una e all’altra parte del negozio condizionato, in base all’avveramento o al mancato avveramento dell’evento [96].

Individuato l’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 1357 cod. civ., vengono confermate l’autonoma giuridicità e l’alienabilità della situazione di aspettativa in capo all’acquirente sotto condizione sospensiva e in capo all’alienante sotto condizione risolutiva [97].

Oggetto di precisazione esegetica dev’essere, altresì, il rapporto tra art. 1357 cod. civ., retroattività, realità della condizione e opponibilità ai terzi, categorie oggetto di enunciazioni teoriche ambigue che hanno talvolta condotto a una sovrapposizione dei relativi concetti [98].

Tradizionalmente la dottrina individua un nesso di derivazione necessaria della retroattività dalla realità della condizione o viceversa, sostanzialmente postulando una connessione tra i due concetti [99]. V’è poi chi ritiene che il principio di cui all’art. 1357 cod. civ. comporti un rafforzamento dei normali effetti della retroattività della condizione: sussisterebbe per questa via un collegamento tra l’art. 1360 cod. civ. e l’art. 1357 cod. civ., data la funzione del secondo di rendere opponibile ai terzi l’effetto meramente retroattivo di cui alla prima [100]. Anche più recentemente si afferma che la spiegazione del regime di caducazione e di consolidamento non possa prescindere dal ricorso al combinato alle due disposizioni [101]. Secondo tale lettura, dall’art. 1360 cod. civ. discenderebbe la retroazione dell’opponibilità di cui all’art. 1357 cod. civ. Dalla «retroattività reale» [102], ritenuta connotazione centrale del fenomeno condizionale, discenderebbe il carattere ultrattivo [103] dell’effetto condizionale, cioè un’efficacia riflessa del contratto sub condicione.

Di contro, le categorie richiedono una sistemazione autonoma, in quanto operanti su piani diversi [104]. L’opponibilità riguarda la risoluzione degli eventuali conflitti tra situazioni soggettive incompatibili e, in quanto tale, non scaturisce direttamente dalla retroattività ex art. 1360 cod. civ., la quale – se ritenuta sussistente – regolerebbe le conseguenze dell’avveramento della condizione [105]. Nemmeno potrebbe riconoscersi un collegamento o un rapporto di specificazione tra l’art. 1360 e l’art. 1357 cod. civ. in quanto, come visto, la disciplina degli atti di disposizione pendente condicione trova autonoma spiegazione.

Un siffatto argomentare non importa il disconoscimento dell’opponibilità erga omnes di cui all’art. 1357 cod. civ. [106]. L’apparente efficacia riflessa del negozio condizionato è espressione del precario atteggiarsi delle situazioni condizionate che, in quanto tali, limitano le successive vicende traslative [107]. La norma non comporta l’espansione del regolamento condizionato originario e non deroga, quindi, alla relatività generale degli effetti contrattuali. L’eventuale alienazione ai sensi dell’art. 1357 cod. civ. determina l’imposizione dell’originaria precarietà nei confronti dei successivi protagonisti delle vicende circolatorie, altresì prescindendo dalla valutazione retroattiva dell’effetto della condizione [108]. Con un’ulteriore precisazione: la limitatezza della situazione durante la pendenza non incide sulla libera disponibilità della stessa a opera delle parti del negozio sub condicione, determinando l’inefficacia ab origine degli atti di disposizione.

La confutazione dell’indisponibilità del diritto condizionato, e, dunque, dell’inefficacia originaria delle relative alienazioni, trova compiuta espressione se si inscrive l’art. 1357 cod. civ. nella dinamica della circolazione dei beni e dei relativi conflitti di titolarità [109].

Si profila, anzitutto, l’interesse del titolare dell’aspettativa a non vedersi pregiudicato dagli atti di disposizione della controparte, interesse da cui deriva la tutela conservativa accordata dall’ordinamento ex artt. 1356 ss. cod. civ. Del pari, si delinea l’interesse speculare del titolare del diritto precario a disporre della propria situazione, che risulta pregiudicato dalla pretesa inefficacia ab initio degli atti compiuti durante la pendenza. L’incertezza programmatica del negozio condizionato colora l’interesse del titolare del diritto precario a conservare il futuro potere di disposizione di un bene che potrebbe – eventualmente – permanere nel suo patrimonio [110]. Si pone, infine, l’esigenza generale di circolazione dei beni che rende incongruo optare per la restrizione del potere di disposizione del titolare del diritto precario [111].

Questo reticolato di contrapposti interessi, che trova sintesi nella portata dell’art. 1357 cod. civ., dimostra che all’interesse “conservativo” del titolare dell’aspettativa si affianca quello – non svalutabile – del titolare del diritto precario. Se è vero che il protrarsi della pendenza condizionale comporta «una tendenziale immobilizzazione» del bene sotto il profilo della sua appetibilità, è parimenti vero che proprio l’opponibilità della condizione depone per una conferma del potere dispositivo della situazione precaria [112]. Di qui l’impossibilità di ritenere tout court inefficaci le alienazioni delle situazioni condizionate durante la pendenza [113].

L’apparente inconciliabilità tra l’opponibilità erga omnes della condizione e la normale inopponibilità del contratto (art. 1372 cod. civ.) può, inoltre, essere ridimensionata: la condizione è opponibile ai terzi non in forza della retroattività e nemmeno come deroga alla relatività del contratto, bensì in quanto idonea a incidere, nei termini illustrati, sulla prima vicenda negoziale e così sulle successive [114].

La “rilevanza esterna” del contratto sub condicione rispetto ai terzi acquirenti si giustifica osservando che la portata dell’art. 1357 cod. civ. si attesta sul piano della situazione soggettiva condizionata e non su quello del relativo negozio [115]. L’avveramento della condizione, anziché caducare l’atto di disposizione, fa venir meno la situazione alienata. L’alienazione, dunque, può essere ritenuta efficace pendente condicione, con l’unica particolarità di riguardare una situazione conformata dalla condizione come precaria, ma che, nell’eventualità dell’avveramento della condizione, è suscettibile di estinguersi [116]. La modificazione sostanziale delle situazioni che riguarda la vicenda condizionale originaria influisce correlativamente sulla tutela accordata all’avente causa successivo ex art. 1357 cod. civ. il quale, sia che acquisti il diritto precario sia che acquisti l’aspettativa, vede conformato l’esercizio dei poteri e delle facoltà a lui spettanti e promananti dalla situazione, attiva o passiva, condizionata. I successivi acquirenti sono così esposti allo scenario della caducazione della situazione – conformata – trasferita [117].

La lettura offerta conduce a dubitare di una recente posizione che afferma «l’illiceità degli atti di disposizione del diritto risolubile che non siano stati consentiti, anche preventivamente, dal titolare dell’aspet­tativa» [118]. L’impostazione, basata sull’equiparazione della proprietà risolubile a quella destinata ex art. 2645-ter cod. civ. [119], esclude la libera alienabilità della proprietà risolubile data la sussistenza di un vincolo di indisponibilità finalizzato a conservare le ragioni del titolare dell’aspettativa condizionale. In questo senso, il titolare del diritto precario sarebbe «limitato nella propria facoltà di disposizione, come lo è il titolare della proprietà destinata, e tale limitazione – desumibile chiaramente dall’art. 1357 cod. civ., su cui si fonda la conformazione del diritto risolubile – ha indubbiamente efficacia “reale”: il proprietario interinale è privo della legittimazione ad alienare il diritto di piena proprietà» [120].

Ebbene, dalla destinazione ex art. 2645-ter cod. civ. non deriva né l’indisponibilità né, segnatamente, l’inalienabilità della proprietà destinata, tutte le volte che l’alienazione a terzi consenta la permanenza della destinazione [121]. Lo stesso dettato normativo, prevedendo la possibilità di trascrivere l’atto di alienazione al fine di renderlo opponibile ai terzi, depone per la piena disponibilità del diritto conferito.

Inoltre, pare incongruo discorrere di «piena proprietà» con riferimento a colui che può vantare niente più che una situazione precaria e limitata. Come si è detto, il proprietario risolubile può disporre niente più che di un diritto risolubile. Ciononostante, la facoltà di disposizione della situazione giuridica a lui imputabile non va soggetta ad alcuna limitazione.

Diviene, altresì, arduo ritenere il proprietario risolubile alla stregua di un non dominus [122], perché sprovvisto della legittimazione del diritto pieno: ne conseguirebbe l’inefficacia di eventuali alienazioni. Non può dunque configurarsi un atto di disposizione – tecnicamente – «incompatibile» con le ragioni del titolare dell’aspettativa. Quest’ultimo risulta adeguatamente tutelato dal corredo rimediale di cui all’art. 1356 cod. civ., che argina il rischio di pregiudizio senza che sia necessario, in via interpretativa, restringere ulteriormente le facoltà del dominus precario in punto di alienabilità del suo diritto.

Il proprietario risolubile può, invece, disporre liberamente [123] della – autonoma – situazione dominicale condizionata, senza il consenso del titolare dell’aspettativa. Il diritto risolubile si trasferisce all’acquirente in tutta la sua limitatezza, con gli obblighi e i limiti tipici del suo contenuto, così gravanti sull’avente causa ex art. 1357 cod. civ.

Per la tesi in parola [124] l’illiceità delle alienazioni ex art. 1357 cod. civ. discenderebbe dalla violazione della prescrizione del dovere di buona fede di cui all’art. 1358 cod. civ., canone di comportamento di entrambe le parti [125] del negozio condizionato durante la fase di pendenza.

Così ragionando, tuttavia, si rischia di ingenerare un rapporto di subordinazione, non emergente dal tenore letterale delle norme, tra l’art. 1357 cod. civ. e il successivo, con il risultato di svuotare il primo di qualsivoglia portata precettiva.

Nemmeno potrebbe affermarsi così agevolmente che in mancanza della previsione di cui all’art. 1357 cod. civ. «nessuno dubiterebbe che il compimento di atti di disposizione sul diritto pendente costituisca violazione, da parte del titolare interinale, del dovere, nascente dall’articolo successivo, di astenersi da ogni comportamento che possa pregiudicare il corretto adempimento dell’impegno traslativo nascente in caso di avveramento della condizione» [126]. Si finirebbe per caricare l’art. 1358 cod. civ. di una portata dispositiva eccessivamente debordante dalla sua effettiva ratio, e conseguentemente per imbrigliare, a danno della libera circolazione, la facoltà dispositiva del proprietario precario.

Per di più, anche l’art. 1356 cod. civ., di ampia portata, legittima elasticamente l’individuazione di un ampio ventaglio di obblighi sia negativi sia attivi [127], di custodia, di manutenzione e conservazione, in capo ai contraenti [128].

L’art. 1358 cod. civ. impone alle parti del negozio sub condicione di astenersi da quanto possa recare pregiudizio alle ragioni altrui e al contempo di assumere un contegno positivo attivandosi per conservarle integre, ma senza che ciò contrasti con la salvaguardia degli interessi di ciascuno dei contraenti  [129]. In caso di violazione dell’obbligo di buona fede opera la tutela obbligatoria tramite risoluzione del contratto per inadempimento e risarcimento del danno, azionabili entro specifiche condizioni dalla parte lesa [130].

Invero, la valutazione secondo buona fede della condotta dei contraenti ex art. 1358 cod. civ. non opera in termini di liceità o illiceità, derivando dalla sua violazione unicamente un obbligo di risarcimento del danno. È sempre necessario vagliare la contrarietà a buona fede del comportamento, valorizzando le concrete circostanze e l’idoneità della condotta a impedire il soddisfacimento dell’interesse altrui [131].


4. La riemersione della proprietà risolubile.

Se la valutazione giuridica è sempre una valutazione prospetticamente permeata dall’elemento cronologico[132], il dogma della retroattività si fonda su un inquadramento falsato della dinamica condizionale, in quanto comporta l’esclusione a posteriori della realtà giuridica antecedente all’avveramento della condizione.

In virtù della spiegazione retroattiva, le situazioni giuridiche soggettive scaturenti dalla pendenza risultano offuscate da una duplice e contrastante valutazione: una anteriore all’avveramento della condizione e una successiva, sovrapposta a posteriori alla prima, in applicazione della retroattività, con esclusione di ogni considerazione delle situazioni interinali [133]. La retroattività comporta così una duplicità prospettica che contrastando con l’univocità causale e temporale delle situazioni di fatto, finisce con l’essere irrealistica: lo stesso soggetto «nello stesso periodo di tempo sarebbe e non sarebbe da considerarsi proprietario della stessa cosa, secondo che si valuti la situazione ex ante (cioè prima dell’avveramento della condizione) o ex post (cioè dopo l’avveramento della medesima)» [134].

Questo inquadramento contrasta la generale irreversibilità delle situazioni di fatto e dei relativi effetti giuridici, nonché della causalità temporale sottesa, che impedisce che diritti e obblighi possano sorgere ora per il passato.

La sostituzione a posteriori di una realtà susseguente all’avveramento con quella previgente condurrebbe agli stessi esiti cui perveniva la teoria della finzione, cioè «distruggere il passato» e così eludere la circostanza che un «contratto è esistito, un vincolo giuridico lo ha prodotto, un vincolo di aspettativa c’è stato, […]» [135].

Evitare il ricorso alla retroattività e l’adozione di una valutazione univoca delle posizioni delle parti del contratto sub condicione consente di riflettere sopra la situazione intermedia dell’alienante sotto condizione sospensiva e dell’acquirente sotto condizione risolutiva, entrambi titolari della proprietà risolubile, situazione soggettiva interinale giuridicamente autonoma [136].


4.1. La proprietà risolubile e quella temporanea nel sistema delle situazioni di appartenenza.

La proprietà risolubile, una volta riemersa, deve essere inscritta nel sistema dei diritti reali.

Va anzitutto osservato che, nonostante la neutralità dell’elemento condizionale, in quanto apponibile sia a un contratto a effetti reali sia a uno a effetti obbligatori [137], differente è l’atteggiarsi della stasi effettuale derivante dall’apposizione della condizione, a seconda della natura degli effetti spiegati dal contratto. Nel caso di contratto a effetti obbligatori, durante il periodo di pendenza non v’è altra conseguenza che quella della mancata insorgenza dell’obbligazione e del correlato diritto di credito. Diversamente, nel contratto a effetti reali, il diritto oggetto di alienazione condizionata, pur permanendo in capo al rispettivo contraente (l’alienante nel negozio a condizione sospensiva, l’acquirente nel caso della condizione risolutiva), subisce la peculiare conformazione derivante dalla sottoposizione del negozio all’incertezza condizionale [138].

Inoltre, l’effetto conformativo è maggiormente apprezzabile con riferimento alle situazioni soggettive reali, essendo il loro contenuto (facoltà di godimento e di disposizione) per natura comprimibile. Di contro, il contenuto dei diritti di credito, ristretto alla sola facoltà di pretesa, non risulta fisiologicamente conformabile.

Prima facie la proprietà risolubile sembra atteggiarsi come un quid minoris rispetto alla “piena” proprietà [139].

Da una parte, infatti, sembrerebbe improprio accomunare la categoria alla proprietà ex art. 832 ss. cod. civ.: ciò importerebbe una vanificazione di tutti i tratti distintivi del diritto risolubile che lo differenziano nettamente dal diritto “pieno”. D’altro canto, un’assimilazione ai diritti reali di godimento sarebbe impropria in quanto, tra le altre ragioni, in caso di avveramento della condizione la ri-espansione a diritto pieno non avviene in forza di un atto di disposizione del titolare dell’aspettativa o di una manifestazione di volontà del proprietario interinale, bensì automaticamente, in virtù dell’essenza degli stessi effetti negoziali. Per di più la proprietà risolubile condivide con il dominio pieno l’imprescrittibilità per non uso [140].

La difficoltà esegetica è stata avvertita da chi si è occupato della tematica. La categoria dovrebbe intendersi in senso «atecnico» [141], quale entità «ibrida» [142], alla stregua di un vincolo di «appartenenza in senso lato», non ascrivibile alle nozioni, in senso tecnico, da un lato di proprietà e dall’altro di diritti reali su cosa altrui.

Al di là dell’imprecisa nozione “mediana” riferita, si può tentare di ricollocare la proprietà risolubile entro gli schemi generali.

Anzitutto, è da escluderne l’atipicità. L’individuazione interpretativa della categoria non determina alcuna aporia nel principio del numerus clausus e di tipicità [143]: si tratta solamente dell’emersione nel sistema di una categoria dominicale “precaria” all’esito della conformazione spiegata dall’elemento condizionale.

Il presupposto è la trasversalità, nell’alveo delle situazioni reali, della nozione di appartenenza, la quale può assumere diverse declinazioni o, meglio, «gradazioni» di intensità [144]. La categoria dell’appartenenza diviene il punto di riferimento delle situazioni reali che, come la proprietà risolubile, tendono a modellarsi sullo schema della proprietà tradizionale [145].

Se, come ormai acquisito, il principio del numero chiuso è posto a presidio dell’autonomia privata al fine di negare ai contraenti la possibilità di creare situazioni reali non previste dalla legge, non è escluso all’in­terprete di rinvenirne nel sistema al di fuori delle ipotesi nominate [146]. Come autorevolmente osservato «possono esistere nel sistema anche diritti reali innominati (non avvertiti dal legislatore storico) e tuttavia tipici, in quanto espressi da strutture normative tipiche» [147]. Così, la categoria della realità e delle situazioni giuridiche a essa riconducibili, in virtù della trasversalità della nozione graduata di appartenenza, non si esaurisce nel novero del catalogo nominato.

La proprietà risolubile, ancorché non menzionata espressamente, mostra la sua essenziale derivazione tipica nella disciplina ex artt. 1353 ss. cod. civ., nonostante sia dei contraenti la scelta di stipulare un negozio sub condicione.

La riflessione sul tema implica il necessario confronto con la proprietà temporanea alla quale, come accennato, è estraneo l’elemento dell’incertezza.

La dottrina è ormai consenziente nel ritenere che la perpetuità della proprietà sia un carattere accidentale, «soltanto naturale» [148]. Tuttavia, l’iter di riconoscimento della proprietà temporanea ha attraversato disparate tappe esegetiche.

Ancor prima dell’entrata in vigore del codice civile del 1942 la proprietà temporanea veniva ammessa, ma finiva sostanzialmente per coincidere con un usufrutto non vitalizio [149]. Si postulava la coesistenza di due proprietà, compresse e simultanee, sulla medesima res, una a termine finale e l’altra a termine iniziale, realizzandosi «un frazionamento del diritto di proprietà con riguardo alla sua efficacia nel tempo» [150].

Così delineata, la nota impostazione di Allara non è andata esente da una critica generalizzata. V’è chi, negata l’ammissibilità della figura, ha evidenziato l’incompatibilità della temporaneità con il concetto stesso di proprietà, essendo la perpetuità momento essenziale della pienezza del dominio [151]. Sennonché, si afferma che «il godimento temporaneo sarebbe sostanzialmente un usufrutto soggetto alle limitazioni inevitabilmente legate alla temporaneità» [152].

All’opposto, l’elaborazione che propende per la configurabilità della proprietà temporanea, svincolandola dall’usufrutto, postula che la temporaneità gradui quantitativamente il dominio senza pregiudicare qualitativamente il diritto di proprietà nel suo contenuto [153]. La pienezza e l’esclusività del dominio, benché risultino circoscritti entro un predeterminato spatium temporis, non subirebbero alcun mutamento, attenendo i limiti e gli obblighi del proprietario ad tempus a situazioni esterne e autonome, insuscettibili di alterare il contenuto del diritto [154]. Tuttavia, questa ricostruzione, che tenta di assimilare la proprietà temporanea a quella perpetua, salvo che per la durata, non pare logicamente sostenibile [155].

Ad ogni buon conto, un dato accomuna le riflessioni susseguitesi sul tema: la proprietà temporanea riesce faticosamente a emergere quale categoria tipologicamente autonoma sia dalla proprietà in senso stretto sia dai diritti “parziari” o “corti”. Allo stato, dunque, in tanto l’idea di una proprietà temporanea sembra trovare fondamento, in quanto l’operazione esegetica si arresti all’individuazione della fattispecie nel reticolato tipico [156].

Criticità maggiori sorgono allorquando si tenti di delineare una configurazione generale di proprietà temporanea, soprattutto passando per l’ostico vaglio preliminare di ammissibilità dell’apposizione del termine al negozio a effetti reali.

Nonostante la generale apponibilità degli elementi accidentali a tutte le categorie negoziali, l’opinione prevalente è critica rispetto alla possibilità dei contratti di alienazione di tollerare un termine finale, per l’incompatibilità rispetto alla realizzazione istantanea e integrale dell’effetto traslativo (art. 1376 cod. civ.) [157]. Differentemente dall’alienazione subordinata a termine iniziale [158], quella cui venga apposto un termine finale sarebbe nulla per impossibilità giuridica dell’oggetto e il termine finale resterebbe apponibile ai soli contratti di durata e di natura obbligatoria [159].

Non sembra, quindi, che la dottrina sia riuscita a dimostrare la sussistenza di una categoria generale di proprietà temporanea, ontologicamente distinta dalle ipotesi nominate e configurabile ex contractu dall’autonomia privata [160].

Tali difficoltà non sembrano sussistere per la proprietà risolubile. Anzitutto per la circostanza che non esiste proprietà risolubile oltre il perimetro di una fattispecie negoziale condizionata. L’interesse precipuo dei contraenti non è quello di alienare una proprietà risolubile, bensì quello di condizionare il negozio. La conformazione delle situazioni soggettive consegue, per l’appunto, alla sola scelta di contrarre sub condicione. Oltretutto, l’apponibilità dell’elemento condizionale al negozio, anche a effetti traslativi, va certamente esente dalle rimostranze sussistenti, invece, per il contratto traslativo a termine [161].

Ancora, l’individuazione della proprietà risolubile non comporta alcun rischio di sconfessare le “consuete” coordinate proprietarie e, nella specie, la perpetuità. La predeterminazione, a mezzo della clausola condizionale, dell’evento da cui dipende la risolubilità del diritto del dominus interinale non è sufficiente a sovrapporre la figura con la proprietà sottoposta a termine. La comunanza con la proprietà risolubile della predeterminazione della causa di cessazione del diritto non impedisce di tener ferma la distinzione tra le due forme di proprietà: in quella risolubile si ravvisa un’instabilità impressa dalla condizione che resta qualitativamente difforme dalla fissazione di un termine di durata del diritto di proprietà [162]. Infatti, il discrimen risiede nella certa cessazione della prima alla scadenza del termine, mentre l’incertezza qualificante l’evento condizionale non consente di risolvere a priori la qualifica della proprietà risolubile come diritto limitato o illimitato nel tempo [163]. La provvisorietà del diritto risolubile esprime un’attuale instabilità superabile solamente in futuro a seconda dell’avveramento o meno dell’evento. Per queste ragioni, rispetto alla proprietà temporanea, diritto necessariamente destinato a cessare, quella risolubile costituisce un’entità proprietaria più prossima a quella nominata ex art. 832 cod. civ. [164].

Con riferimento alla proprietà risolubile, ancorché venga ad attuarsi una «modificazione dei caratteri normali del diritto di proprietà» [165], non si realizza alcuna estensione delle prerogative proprietarie a una situazione di appartenenza aliena dal catalogo tipico. L’autonomia privata non può incidere sull’effetto conformativo condizionale, il quale discende unicamente da un previo riconoscimento legislativo del potere privato di contrarre sub condicione: la condizione è apposta al negozio per poi spiegare il proprio effetto conformativo sulla situazione soggettiva. Così, la proprietà risolubile si sostanzia in una forma di appartenenza riconducibile all’alveo della proprietà nominata, la cui conformazione non promana direttamente dall’auto­nomia contrattuale [166]: i limiti e gli obblighi identificanti il contenuto della proprietà interinale discendono unicamente dalla connotazione legale (ex artt. 1353 ss. cod. civ.) di determinati schemi negoziali, senza facoltà dei contraenti di incidere convenzionalmente sul regime delle situazioni condizionate.

Dunque, non si può addurre alcuna violazione del principio di tipicità dei diritti reali, il quale funge da argine solamente rispetto al dispiegarsi dell’autonomia contrattuale allorquando le parti si determinino a creare diritti reali atipici [167]. Tali principi non verrebbero sconfessati nemmeno laddove si osservi che la condizione, ancorché apposta al negozio, finisce, per il principio di necessaria consequenzialità e congruenza tra il negozio e i suoi effetti [168], per conformare la situazione giuridica stessa.

A differenza del dominio temporaneo, quindi, nessuno scoglio positivo si frappone alla configurazione autonoma della proprietà risolubile. Del resto, anche l’argomento comparatistico riesce a dar conto dell’auto­noma codificazione della proprietà risolubile: all’art. 3:84, 4 del codice civile dei Paesi Bassi (Burgerlijk Wetboek), nel libro dedicato ai diritti reali, la proprietà risolubile viene normata alla stregua di una forma proprietaria condizionata, non degradata a usufrutto [169].

Non si tratta di individuare se sia configurabile una proprietà risolubile di origine convenzionale, quanto di qualificare le modalità di incisione della condizione sulle situazioni reali, ma è evidente che l’operatività dell’autonomia contrattuale si arresta alla scelta di apporre l’elemento condizionale, senza poter influire sulla precarietà delle situazioni soggettive o sull’esclusiva derivazione legale della conformazione [170]. Tale discernimento interpretativo non intacca i principi del numerus clausus e della tipicità, ma contribuisce soltanto a individuare un’ipotesi legale di funzionalizzazione delle situazioni soggettive reali [171], evitando una cristallizzazione dell’interpretazione giuridica.

Lo spunto secondo cui il diritto reale primario «non ha oggi, se mai ha avuto, un significato univoco» è ormai innegabilmente attuale [172]. Ciononostante, non si può individuare nella proprietà risolubile un momento di depotenziamento dell’istituto proprietario ex artt. 832 e ss. cod. civ., secondo la ritenuta “crisi” e perdita di unitarietà del diritto di proprietà, ormai dilagata nelle riflessioni a partire da Salvatore Pugliatti. La categoria, come si sarà inteso, non è la risultante di poteri conformativi privati volti a dissociare le facoltà e le tutele proprietarie in favore di soggetti diversi al fine di soddisfare interessi di natura differente da quello del dominus ex art. 832 cod. civ.

Quanto al contenuto, la proprietà risolubile è gravata da limiti e obblighi che si contrappongono alla pienezza dei poteri e delle facoltà che connotano la piena proprietà. La disciplina della condizione finisce, in altri termini, per integrare il contenuto del diritto reale sub condicione.

Viene anzitutto in rilievo una limitazione della facoltà di godimento: al proprietario risolubile è dato utilizzare il bene con la limitazione imposta dal divieto di distruggere o di deteriorare il bene medesimo. Ne deriva un obbligo di conservazione della res in vista dell’eventuale consegna (nel caso di condizione sospensiva) o restituzione (nel caso di condizione risolutiva) al titolare dell’aspettativa a seguito dell’avveramento della condizione [173]. Quanto al rispetto della destinazione economica del bene al momento dell’apposizione della condizione, pare congrua l’inapplicabilità analogica delle prescrizioni in materia di usufrutto [174]. Dal momento che potrebbero esser apportati interventi volti a una migliore utilizzazione del bene, si ammette che il proprietario interinale possa mutarne la destinazione economica, previa specifica valutazione dell’utilità arrecata dalle innovazioni, anche secondo il parametro dell’obbligo di buona fede ex art. 1358 cod. civ. [175].

Trattandosi di una situazione di appartenenza proprietaria, il titolare della proprietà risolubile può costituire su di essa diritti reali limitati [176].

Ancora, il proprietario risolubile ha l’obbligo di impiegare nel godimento la diligenza del buon padre di famiglia [177], di pagare le imposte e gli altri carichi della proprietà [178], di rimborsare o indennizzare l’altro contraente per gli eventuali miglioramenti e addizioni [179], sopporta il rischio del perimento del bene [180] ed è responsabile civilmente per i danni prodotti dalla cosa.

Va aggiunto che nel caso di mancato avveramento della condizione sospensiva o di avveramento di quella risolutiva non si verifica quanto avviene nel caso della nuda proprietà. La proprietà ri-diviene “piena”, in capo all’alienante, automaticamente ed ex nunc, ri-espandendosi (nel caso della condizione sospensiva) o ri-trasferendosi (nel caso della condizione risolutiva), senza alcun atto di volontà delle parti, in virtù della caducazione dell’effetto conformativo impressa originariamente al negozio sub condicione [181]. Ciò in conseguenza della modalità cronologica cui soggiace il negozio e – ab intrinseco – la situazione soggettiva.

In definitiva, la proprietà risolubile costituisce specificazione funzionale e strutturale della proprietà nominata e, in quanto tale, delinea una proprietà conformata nel contenuto direttamente dall’instaurarsi dello stato di pendenza, dalla conseguente disciplina ex art. 1353 cod. civ. e, solo mediatamente, dall’autonomia privata [182].


4.2. Sull'assimilazione della proprietà risolubile alla proprietà destinata.

Valorizzare la portata conformatrice della condizione non equivale a riconoscere nella proprietà risolubile una proprietà destinata, a differenza di quanto recentemente affermato da una tesi [183]. Secondo questa voce «la proprietà risolubile è una vera e propria proprietà destinata: anch’essa è infatti una proprietà strutturata nell’interesse (non solo del titolare interinale ma anche) di altro soggetto (il titolare dell’aspet-tativa condizionale), e come tale funzionalizzata e conformata».

Il parallelismo abbisogna, tuttavia, di alcune specificazioni.

La comunanza estrinseca dell’effetto conformativo sulla situazione giuridica interessata non può condurre a un’indiscriminata equiparazione dei due termini di analisi. Permane, infatti, una distanza ontologica tra l’atto ex art. 2645-ter cod. civ. e il negozio sub condicione. Se è vero che in entrambi casi, fenomenologicamente, la proprietà è sprovvista della pienezza, è parimenti evidente che la funzionalizzazione opera difformemente. Nella proprietà c.d. destinata nessuna precarietà o subordinazione a un evento incerto è ravvisabile, quanto, piuttosto, una negoziata e specifica funzionalizzazione del bene all’interesse attuale del beneficiario.

Che la proprietà risolubile sia soggetta a vincoli di conservazione e a obblighi in favore del titolare dell’aspettativa non è motivo per discorrere di una destinazione in senso stretto. Non si tratta, a ben vedere, di una funzionalizzazione in senso soggettivo in quanto la “finalizzazione” del diritto risolubile è la risultante della conformazione operata dalla pendenza sulle situazioni giuridiche coinvolte, mancando una destinazione del bene alla realizzazione di interessi altrui.

A difettare è, altresì, una destinazione così come intesa dall’art. 2645-ter cod. civ. volta cioè alla realizzazione di interessi della controparte (nella specie, il titolare dell’aspettativa) meritevoli di tutela. Inoltre, la conformazione che caratterizza la proprietà risolubile promana dall’incertezza tipica della pendenza e non dalla sussistenza di limiti e obblighi a carico del titolare precario, essendo questi ultimi, piuttosto, degli indici sintomatici della prima. Di contro, la funzionalizzazione che connota la proprietà destinata costituisce l’oggetto stesso della destinazione impressa dal conferente sul bene in vista dello scopo meritevole di tutela.

Secondo la tesi richiamata, la proprietà risolubile sarebbe assoggettata a un vincolo destinatorio attuale comportante l’inalienabilità del bene al pari della proprietà destinata, sull’assunto della configurabilità di un vincolo di indisponibilità «in ogni fattispecie di pendenza condizionale» [184] finalizzato alla conservazione delle ragioni altrui in virtù dell’art. 1358 cod. civ. Al contrario, si è già visto che l’atto di destinazione non importa necessariamente ed ex se l’inalienabilità del bene: lo suggerisce lo stesso silenzio dell’art. 2645-ter cod. civ. [185].

Ancora, se il diritto condizionato è esposto programmaticamente all’incertezza, al contrario, la funzionalizzazione del diritto destinato ex art. 2645-ter cod. civ. agli interessi del beneficiario soggiace a una predeterminazione temporale certa e definita, delimitata legalmente fino a novant’anni o per tutta la durata della vita del beneficiario.

Oltretutto, la predeterminazione temporale ex art. 2645-ter cod. civ. importa un’eccezione legale ai “convenienti limiti di tempo” di cui all’art. 1379 cod. civ. solo in quanto la causa destinatoria si sostanzia in particolari interessi meritevoli di tutela. Invece, a voler leggere la destinazione di cui all’art. 2645-ter cod. civ. nell’ambito della proprietà risolubile si incontrerebbe l’obiezione della durata indefinita dell’incertezza condizionale [186]. Sarebbe, così, confliggente con i principi generali discorrere di una destinazione sine die evidentemente lesiva della libera circolazione dei beni nonché dell’autonomia privata e della libertà economica del singolo.

L’incertezza tipica della condizione e la conseguente precarietà del dominus interinale non permettono la configurazione di una situazione giuridica analoga a quella della proprietà destinata, la quale risulta invece permanentemente, entro il limite temporale di novant’anni, direzionata al soddisfacimento dell’altrui interesse [187].

Quanto al regime effettuale, emergono ulteriori profili di divergenza tra i due istituti. Anzitutto, non pare possibile estendere l’effetto segregativo patrimoniale tipico dell’atto di destinazione ex art. 2645-ter cod. civ., che consiste nell’esclusione del bene e dei suoi frutti dall’azione esecutiva dei creditori del destinante per crediti non funzionali al vincolo. Se, come detto, non sussiste nella proprietà risolubile una destinazione in senso tecnico ex art. 2645-ter cod. civ., allora non si può ammettere l’applicabilità estensiva o analogica del predetto effetto segregativo. Estendere alla proprietà risolubile l’effetto della parziale esclusione dal­l’azione esecutiva dei creditori [188] significherebbe operare un discernimento nella platea dei creditori, in deroga ai principi in materia di responsabilità patrimoniale, il tutto per il sol fatto – di carattere fenomenico – che nella proprietà risolubile siano individuabili limitazioni e obblighi di conservazione della situazione giuridica altrui. La dottrina maggioritaria è poi concorde nel ritenere la generale facoltà di tutti i creditori del titolare della proprietà risolubile, senza distinzione temporale rispetto all’insorgenza della pendenza, di espropriare il diritto precario [189].

Parimenti problematica è la riconducibilità della proprietà risolubile alla categoria della c.d. proprietà nell’interesse altrui [190]. Come la proprietà destinata quella risolubile sarebbe «proprietà strutturata nell’in­teresse (non solo del titolare interinale ma anche) di altro soggetto (il titolare dell’aspettativa)». A parte la dubbia configurabilità della categoria [191], la riconduzione della proprietà risolubile nell’alveo della proprietà nell’interesse altrui non regge, ove solo si osservi che, secondo il bilanciamento sotteso al negozio sub condicione [192], il titolare precario nel negozio condizionato non vanta un diritto esclusivamente conformato e direzionato al soddisfacimento delle altrui ragioni.

Anche gli interessi meritevoli di tutela del beneficiario ex art. 2645-ter non possono dirsi sovrapponibili agli interessi lato sensu vantati dal titolare dell’aspettativa. Nel caso dell’art. 2645-ter cod. civ. va accolta l’opinione che subordina il potere privato di conformazione della proprietà alla ricorrenza di interessi del beneficiario che rivestano una particolare rilevanza sociale, intendendo la meritevolezza di tutela dell’art. 2645-ter come un requisito qualitativo di selezione degli interessi rafforzato rispetto al filtro selettivo cui soggiace l’autonomia privata ai sensi dell’art. 1322 cod. civ. La lettura rigorosa della meritevolezza degli interessi si spiega con la necessità che la configurazione di patrimoni destinati e gli incisivi effetti correlati siano sorretti da scopi particolarmente qualificati e socialmente rilevanti [193]. Ciò posto, è evidente la differenza con il negozio condizionato nel quale «la legge non richiede alcuna “pregnanza causale” dell’interesse al cui soddisfacimento è finalizzata la condizione» [194]. Ciò non significa, per converso, che si possa riduttivamente affermare che «i negozi che danno origine alla proprietà risolubile richiedono solamente un interesse meritevole di tutela nella limitata accezione dell’art. 1322 cod. civ., ossia un interesse lecito, serio e apprezzabile, che si accompagna – nell’ambito della causa concreta del negozio – all’interesse egoistico dell’acquirente sotto condizione o a termine iniziale a conseguire il diritto» [195]. Come già illustrato, nel negozio sub condicione (volontaria, non unilaterale) spicca l’interesse di entrambi i contraenti all’acquisizione del dato indispensabile per la definizione o la caducazione dell’assetto programmatico [196].


Il discorso può giungere, in conclusione, alla considerazione delle ipotesi legali nelle quali è ravvisabile una proprietà risolubile, in particolare nella vendita con riserva di proprietà[197].

Gli esiti interpretativi raggiunti sulla proprietà risolubile suggeriscono una lettura della categoria negoziale ex art. 1523 cod. civ. in questi termini. Il mancato pagamento integrale del prezzo viene considerato come condizione risolutiva del contratto. Il compratore, al pari di ogni altro acquirente sub condicione risolutiva, diviene, con la stipulazione della vendita, titolare di una proprietà risolubile, suscettibile di trasformarsi in “piena” nel caso di mancato avveramento dell’evento, nell’eventualità, cioè, del pagamento dell’ultima rata del prezzo. Correlativamente, il venditore è titolare di un’aspettativa al riacquisto della cosa analoga a quella dell’alienante sotto condizione risolutiva. Per questa via, la vendita con riserva di proprietà può essere ricondotta a una sotto-ipotesi di vendita nell’alveo dei negozi tipicamente condizionati [198], con conseguente applicazione per via analogica della disciplina della condizione risolutiva.

La communis opinio ha sempre escluso recisamente che il compratore potesse acquistare la proprietà prima del pagamento dell’ultima rata. Parallelamente, sia nella dottrina più risalente sia in quella più recente, traspare un certo imbarazzo interpretativo reso evidente dalle formule evanescenti impiegate per affermare che il compratore sarebbe «già sostanzialmente padrone» [199], «quasi proprietario» [200] oppure soggetto che «si comporta di massima come proprietario pur non essendo (ancora) titolare del diritto reale» [201]. Correlativamente, l’istituto si ribadisce in tutta la sua complessità allorquando si debba spiegare per quale ragione, stante l’impressione di una situazione sostanzialmente proprietaria del compratore, il venditore continua a mantenere un certo grado di appartenenza rispetto alla res.

Muovendo dal tenore letterale dell’art. 1523 cod. civ., alla luce della rilettura dogmatica della proprietà risolubile, si può ritenere che il compratore acquisterà la piena e definitiva proprietà solo al pagamento dell’ultima rata, restando impregiudicato che prima di quel momento lo stesso compratore possa essere titolare di una situazione giuridica non piena e definitiva [202]. La norma, in altri termini, non prenderebbe posizione circa la qualificazione della situazione giuridica vantata prima del pagamento dell’ultima rata.

È comunemente riconosciuta la funzione economica di garanzia “impropria” [203] veicolata dalla vendita con riserva di proprietà in favore del venditore. Lo schema negoziale conferisce il godimento immediato al compratore senza il versamento dell’intero corrispettivo e al contempo al venditore di uno strumento facile per recuperare il bene in caso di inadempimento della controparte [204]. Il rilievo non consente, quindi, di giustificare la regola di cui all’art. 1523 cod. civ. così come accolta nell’interpretazione comune: l’attribuzione al venditore della piena proprietà fino all’integrale pagamento del prezzo sarebbe «un mezzo eccedente di gran lunga lo scopo di garanzia» e al contempo impedirebbe «una valutazione realistica della situazione giuridica del compratore» [205].

Sono diversi gli indici normativi dai quali emergerebbe l’eccessività del mantenimento di un pieno dominio da parte del venditore rispetto alla mera funzione di garanzia apprestata negozialmente in suo favore: il passaggio immediato del rischio del perimento del bene in capo al compratore al momento della consegna con conseguente persistenza dell’obbligo della controprestazione, in deroga al principio generale res perit domino (art. 1523, seconda parte, cod. civ.); il diritto al godimento implicitamente attribuito al medesimo (art. 1526, co. 1, seconda parte, cod. civ.); la conseguente responsabilità per i danni arrecati dalla circolazione dei veicoli (art. 2054 cod. civ., co. 3 e 4); la parificazione operata rispetto alla vendita immediatamente traslativa per il caso della liquidazione del venditore emergente dalla normativa della crisi d’impresa (cfr. il vigente art. 178 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 e il previgente art. 73 r.d. 16 marzo 1942, n. 267), in virtù della quale il compratore con patto di riservato dominio, ancor prima del pagamento integrale del prezzo, è considerato alla stessa stregua del contraente che abbia già acquistato un diritto reale. Tali riferimenti dicono, infatti, del passaggio in capo al compratore del godimento, dei vantaggi e dei rischi normalmente attribuiti al proprietario della cosa. Essi sono indici sintomatici di una situazione giuridica certamente non equiparabile a un mero diritto personale di godimento e nemmeno a una mera situazione di attesa, quale l’aspettativa condizionale.

Viene così avvalorata la sostanza delle formule, particolarmente evocative, impiegate per indicare la sostanziale “padronanza” del compratore con riserva di proprietà [206].

Di contro, rimane evidente che, al pari di tutte le fattispecie nelle quali sia ravvisabile una proprietà risolubile, anche il godimento vantato dall’acquirente ex art. 1523 cod. civ. si differenzia, per i suoi connotati, dal godimento del titolare della proprietà piena.

È ormai dominante l’incasellamento della figura negoziale entro la vendita a effetti reali differiti [207], categoria che costituisce espressione del tentativo di riconduzione a unità di eterogenee ipotesi speciali di vendita sulla base del carattere comune della posticipazione nel tempo dell’effetto traslativo. Sennonché, l’affer­mazione del differimento viene condotta senza ricorso ai due strumenti tipici, della condizione e del termine, per conseguire tale effetto. Il riferimento alla categoria della vendita con effetti reali differiti, anziché qualificare il fenomeno, si limita a descriverlo [208].

Il differimento, elemento qualificante la fattispecie negoziale in parola imperniata sulla mancanza di immediata coincidenza fra il perfezionamento dell’accordo e il passaggio del pieno dominio, può così assumere la specifica qualificazione di condizionamento risolutivo [209].

Non osta alla configurazione proposta la deduzione dell’adempimento quale evento condizionante, ormai invalsa sia in dottrina sia in giurisprudenza [210]. In generale, la deduzione dell’adempimento alla stregua di evento condizionante consente di utilizzare il diaframma temporale sussistente tra il momento della prestazione del consenso e quello dell’attuazione degli effetti traslativi per raggiungere lo scopo pratico del differimento dell’attuazione del programma negoziale. Più specificamente, anche la condizione risolutiva di inadempimento è ormai ammessa. L’apparente incompatibilità con la disciplina prevista in materia di risoluzione per inadempimento è stata infatti superata insistendo sulla diversa qualificazione dei rispettivi fenomeni [211]. Se, infatti, nel caso della risoluzione per inadempimento l’acquirente fino al momento della proposizione della domanda giudiziale nei suoi confronti si trova nella posizione di chi ha acquistato una proprietà piena e definitiva, al contrario, come dimostrato, l’acquirente di un negozio sub condicione risolutiva è titolare di un diritto precario e risolubile, con conseguente differenziazione dei rispettivi regimi di disciplina.

L’obiezione principale alla ricostruzione della vendita ex art. 1523 ss. cod. civ. entro lo schema della condizione risolutiva riguarda il rischio che il debitore, a seguito di un eventuale ripensamento sull’affare, non adempiendo all’obbligo di pagamento del prezzo, si sottragga al regolamento contrattuale approfittando dell’operare della risolutività condizionale. All’opposto, è stato precisato che l’applicazione del congegno condizionale è limitata al solo trasferimento della proprietà (risolubile), cosicché in caso di inadempimento resta in vigore il regolamento di interessi iniziale, soprattutto mantenendosi ferma l’obbligazione di pagamento del prezzo in capo all’acquirente, la quale verrebbe meno solamente con una domanda di risoluzione per inadempimento [212].

Proprio il disconoscimento del dogma della retroattività consente di rinvenire un profilo di coerenza nella ricostruzione della vendita con riserva di proprietà come vendita (risolutivamente) condizionata. Nella vendita ex art. 1523 ss. cod. civ. il trasferimento della proprietà – piena e definitiva – al compratore avviene ex nunc al momento dell’integrale versamento del prezzo e non ex tunc al momento della stipulazione del contratto. Nessun elemento di difformità emerge nel riconoscere l’apposizione di una condizione in virtù della dimostrata operatività condizionale in modo irretroattivo [213].

L’impossibilità di accogliere la differente lettura della fattispecie ex art. 1523 ss. cod. civ., che individua una situazione proprietaria risolubile nel venditore anziché nel compratore, corrobora ulteriormente gli esiti sin qui raggiunti.

Ove l’alienante venisse considerato proprietario risolubile, bisognerebbe, infatti, coerentemente ammettere il ricorso allo schema della condizione sospensiva, in virtù del quale, come spiegato, è il disponente sub condicione a vantare una situazione dominicale risolubile [214]. Ebbene, una qualificazione in tal senso non collimerebbe con l’anticipazione di taluni effetti dell’assetto negoziale con riserva di proprietà. L’immediata consegna del bene e il conseguente passaggio del periculum rei previsti dall’art. 1523 cod. civ. si pongono in antinomia rispetto all’eventuale configurazione della vendita in parola sub condicione sospensiva, nella quale l’acquirente, oltre a non assumere il rischio del perimento del bene (art. 1465, co. 4, cod. civ.), non può pretendere la consegna del bene se non in forza di una specifica clausola previamente pattuita [215]. L’indi­viduazione della natura delle situazioni giuridiche soggettive non può essere condotta disgiuntamente rispetto alla qualificazione della relativa struttura contrattuale, occorrendo che l’una e l’altra siano allineate.

Gli indici positivi, dunque, suggeriscono di preferire alla condizione sospensiva [216] la riconduzione dell’istituto allo schema risolutivo, nel quale il regolamento è, invece, immediatamente produttivo di effetti [217]: da un lato, il venditore è infatti da subito obbligato a consegnare il bene, mentre, dall’altro, il compratore è fin da subito obbligato a pagare il prezzo a rate.

L’anticipazione dell’effetto traslativo si estrinseca nell’attribuzione immediata del godimento del bene e costituisce tratto essenziale del negozio e della funzione economica da esso spiegata: rilievo, peraltro, avallato dalla stessa Relazione al Codice (par. 674) che riconosce al compratore, già prima dell’effetto definitivamente traslativo, il godimento «del contenuto patrimoniale del diritto di proprietà».

L’impasse in cui incorre il tentativo di una parte della dottrina di definire le posizioni giuridiche dei contraenti ex art. 1523 cod. civ., alla luce dell’esigenza di colorare con rafforzata realità il peculiare rapporto di appartenenza tra il compratore e la res [218], può dunque trovare un superamento nella qualificazione della situazione dell’acquirente come proprietà risolubile [219]. Ne consegue che la situazione giuridica del compratore è connotata da un contenuto di realità più intenso rispetto a quello proprio dell’aspettativa reale [220].

Specularmente trova spiegazione la posizione del venditore, al quale – come detto – non può riconoscersi un effettivo diritto di proprietà fino al pagamento dell’ultima rata, ma solamente un’aspettativa al riacquisto [221]. Ostano, infatti, la mera funzione di garanzia dell’operazione e l’interesse del compratore all’utilizzazione economica del bene acquistato.

Anche nella vendita ex art. 1523 cod. civ. le situazioni giuridiche possono essere lette entro una prospettiva dinamico-funzionalistica. L’istituto risulta imperniato sopra due polarità d’interessi [222] che trovano piena tutela nell’impiego del meccanismo condizionale risolutivo: da un lato, l’esigenza di garantire tutela al­l’aspettativa del venditore e il suo interesse al riacquisto in caso di inadempimento del compratore, limitando così erga omnes la situazione del compratore; dall’altro, l’incomprimibile interesse del compratore, analogo – come illustrato – a quello del titolare del diritto precario, a veder garantita la massima utilizzazione del bene anche nei termini di alienabilità della sua situazione.

Ciò introduce alla tematica della trasferibilità della situazione giuridica del venditore e del compratore ex art. 1523 cod. civ.

Ricorre in dottrina l’affermazione di un vincolo di destinazione inerente al bene che limiterebbe i poteri di disposizione dei contraenti. Nella vendita con riserva di proprietà, le situazioni soggettive reali sarebbero informate da un divieto di alienazione, eventualmente ricavabile oltre che da un generale dovere di correttezza anche dall’art. 1476, n. 2, cod. civ., salvo disporre del bene alla stregua di cosa altrui [223].

A ben vedere, oltre alla ricorrente affermazione dell’inalienabilità uti dominus del bene da parte del compratore, si sostiene che i contraenti possano limitarsi all’esercizio delle rispettive situazioni «al solo fine che risulta compatibile con la fattispecie traslativa – benché dall’effetto differito – instaurata» [224], senza chiarire l’esatto regime intermedio delle situazioni giuridiche precariamente vantate dai contraenti ex art. 1523 cod. civ.

Ravvisata nella vendita con patto di riservato dominio la ricorrenza dello schema risolutivo condizionato, deriva giocoforza l’applicabilità dell’art. 1357 cod. civ., che si palesa come strumento di attuazione dell’equilibrio tra le posizioni contrattuali e di sistemazione della coesistenza di situazioni giuridiche di natura reale sul medesimo bene [225].

Ancora una volta, diviene essenziale il riferimento all’art. 1357 cod. civ., quale norma posta a garanzia della massima utilizzazione economica delle situazioni condizionate patrimoniali, ivi compresa la loro libera circolazione seppur nei limiti del loro effettivo e limitato contenuto. L’esigenza di libera trasferibilità [226] si ripropone tanto per il compratore quanto per il venditore, ovviamente nei limiti di cui al funzionamento del congegno condizionale. L’alienante con riserva di proprietà può trasferire ulteriormente la cosa venduta nella stessa misura concessa all’alienante sotto condizione risolutiva, il quale può trasferire la propria aspettativa ai sensi dell’art. 1357 cod. civ. [227]. Analogamente, anche il compratore con riserva di proprietà, come l’acquirente sotto condizione risolutiva, potrà trasferire liberamente il proprio diritto precario con le limitazioni intrinseche al suo contenuto, il che senza alcuna lesione dell’aspettativa del venditore [228]. Dall’alie­nabilità delle situazioni condizionate anche nella vendita con riserva di proprietà deriva la piena espropriabilità del diritto risolubile del compratore [229]. Tali risultati si saldano poi con la disciplina prevista dall’art. 1524, co. 2, cod. civ., in tema di opponibilità della riserva ai terzi acquirenti, laddove rimane ferma l’ap­plicazione delle regole generali in materia pubblicitaria tanto per i beni mobili registrati (co. 3) e (pur nel silenzio della legge) immobili, quanto per i beni mobili secondo i principi in tema di acquisto a titolo originario.

Ascrivendo la posizione del compratore alla proprietà risolubile, la disciplina della vendita con riserva di proprietà viene integrata da quella in materia di condizione. Così, ad attuare il bilanciamento anzidetto tra la tutela dell’aspettativa del venditore e la posizione “quasi proprietaria” del compratore, interviene, rispetto alla prima, l’applicazione dell’art. 1356, co. 2, cod. civ., seconda parte, in materia di compimento di atti conservativi da parte del venditore, dell’art. 1361, co. 1, cod. civ., riguardante l’efficacia degli atti di amministrazione compiuti dal compratore [230], nonché dell’art. 1358 cod. civ., circa il comportamento secondo buona fede; a tutela della situazione risolubile del compratore interviene l’applicazione dell’art. 1356, co. 2, prima parte, cod. civ., sull’esercizio del diritto da parte del compratore, insieme alla legittimazione all’esercizio delle azioni petitorie e possessorie (sia di reintegrazione, sia di manutenzione, in qualità di possessore) [231].


5. Configurabilità della proprietà risolubile nella vendita con riserva di proprietà.

Il discorso può giungere, in conclusione, alla considerazione delle ipotesi legali nelle quali è ravvisabile una proprietà risolubile, in particolare nella vendita con riserva di proprietà[197].

Gli esiti interpretativi raggiunti sulla proprietà risolubile suggeriscono una lettura della categoria negoziale ex art. 1523 cod. civ. in questi termini. Il mancato pagamento integrale del prezzo viene considerato come condizione risolutiva del contratto. Il compratore, al pari di ogni altro acquirente sub condicione risolutiva, diviene, con la stipulazione della vendita, titolare di una proprietà risolubile, suscettibile di trasformarsi in “piena” nel caso di mancato avveramento dell’evento, nell’eventualità, cioè, del pagamento dell’ultima rata del prezzo. Correlativamente, il venditore è titolare di un’aspettativa al riacquisto della cosa analoga a quella dell’alienante sotto condizione risolutiva. Per questa via, la vendita con riserva di proprietà può essere ricondotta a una sotto-ipotesi di vendita nell’alveo dei negozi tipicamente condizionati [198], con conseguente applicazione per via analogica della disciplina della condizione risolutiva.

La communis opinio ha sempre escluso recisamente che il compratore potesse acquistare la proprietà prima del pagamento dell’ultima rata. Parallelamente, sia nella dottrina più risalente sia in quella più recente, traspare un certo imbarazzo interpretativo reso evidente dalle formule evanescenti impiegate per affermare che il compratore sarebbe «già sostanzialmente padrone» [199], «quasi proprietario» [200] oppure soggetto che «si comporta di massima come proprietario pur non essendo (ancora) titolare del diritto reale» [201]. Correlativamente, l’istituto si ribadisce in tutta la sua complessità allorquando si debba spiegare per quale ragione, stante l’impressione di una situazione sostanzialmente proprietaria del compratore, il venditore continua a mantenere un certo grado di appartenenza rispetto alla res.

Muovendo dal tenore letterale dell’art. 1523 cod. civ., alla luce della rilettura dogmatica della proprietà risolubile, si può ritenere che il compratore acquisterà la piena e definitiva proprietà solo al pagamento dell’ultima rata, restando impregiudicato che prima di quel momento lo stesso compratore possa essere titolare di una situazione giuridica non piena e definitiva [202]. La norma, in altri termini, non prenderebbe posizione circa la qualificazione della situazione giuridica vantata prima del pagamento dell’ultima rata.

È comunemente riconosciuta la funzione economica di garanzia “impropria” [203] veicolata dalla vendita con riserva di proprietà in favore del venditore. Lo schema negoziale conferisce il godimento immediato al compratore senza il versamento dell’intero corrispettivo e al contempo al venditore di uno strumento facile per recuperare il bene in caso di inadempimento della controparte [204]. Il rilievo non consente, quindi, di giustificare la regola di cui all’art. 1523 cod. civ. così come accolta nell’interpretazione comune: l’attribuzione al venditore della piena proprietà fino all’integrale pagamento del prezzo sarebbe «un mezzo eccedente di gran lunga lo scopo di garanzia» e al contempo impedirebbe «una valutazione realistica della situazione giuridica del compratore» [205].

Sono diversi gli indici normativi dai quali emergerebbe l’eccessività del mantenimento di un pieno dominio da parte del venditore rispetto alla mera funzione di garanzia apprestata negozialmente in suo favore: il passaggio immediato del rischio del perimento del bene in capo al compratore al momento della consegna con conseguente persistenza dell’obbligo della controprestazione, in deroga al principio generale res perit domino (art. 1523, seconda parte, cod. civ.); il diritto al godimento implicitamente attribuito al medesimo (art. 1526, co. 1, seconda parte, cod. civ.); la conseguente responsabilità per i danni arrecati dalla circolazione dei veicoli (art. 2054 cod. civ., co. 3 e 4); la parificazione operata rispetto alla vendita immediatamente traslativa per il caso della liquidazione del venditore emergente dalla normativa della crisi d’impresa (cfr. il vigente art. 178 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 e il previgente art. 73 r.d. 16 marzo 1942, n. 267), in virtù della quale il compratore con patto di riservato dominio, ancor prima del pagamento integrale del prezzo, è considerato alla stessa stregua del contraente che abbia già acquistato un diritto reale. Tali riferimenti dicono, infatti, del passaggio in capo al compratore del godimento, dei vantaggi e dei rischi normalmente attribuiti al proprietario della cosa. Essi sono indici sintomatici di una situazione giuridica certamente non equiparabile a un mero diritto personale di godimento e nemmeno a una mera situazione di attesa, quale l’aspettativa condizionale.

Viene così avvalorata la sostanza delle formule, particolarmente evocative, impiegate per indicare la sostanziale “padronanza” del compratore con riserva di proprietà [206].

Di contro, rimane evidente che, al pari di tutte le fattispecie nelle quali sia ravvisabile una proprietà risolubile, anche il godimento vantato dall’acquirente ex art. 1523 cod. civ. si differenzia, per i suoi connotati, dal godimento del titolare della proprietà piena.

È ormai dominante l’incasellamento della figura negoziale entro la vendita a effetti reali differiti [207], categoria che costituisce espressione del tentativo di riconduzione a unità di eterogenee ipotesi speciali di vendita sulla base del carattere comune della posticipazione nel tempo dell’effetto traslativo. Sennonché, l’affer­mazione del differimento viene condotta senza ricorso ai due strumenti tipici, della condizione e del termine, per conseguire tale effetto. Il riferimento alla categoria della vendita con effetti reali differiti, anziché qualificare il fenomeno, si limita a descriverlo [208].

Il differimento, elemento qualificante la fattispecie negoziale in parola imperniata sulla mancanza di immediata coincidenza fra il perfezionamento dell’accordo e il passaggio del pieno dominio, può così assumere la specifica qualificazione di condizionamento risolutivo [209].

Non osta alla configurazione proposta la deduzione dell’adempimento quale evento condizionante, ormai invalsa sia in dottrina sia in giurisprudenza [210]. In generale, la deduzione dell’adempimento alla stregua di evento condizionante consente di utilizzare il diaframma temporale sussistente tra il momento della prestazione del consenso e quello dell’attuazione degli effetti traslativi per raggiungere lo scopo pratico del differimento dell’attuazione del programma negoziale. Più specificamente, anche la condizione risolutiva di inadempimento è ormai ammessa. L’apparente incompatibilità con la disciplina prevista in materia di risoluzione per inadempimento è stata infatti superata insistendo sulla diversa qualificazione dei rispettivi fenomeni [211]. Se, infatti, nel caso della risoluzione per inadempimento l’acquirente fino al momento della proposizione della domanda giudiziale nei suoi confronti si trova nella posizione di chi ha acquistato una proprietà piena e definitiva, al contrario, come dimostrato, l’acquirente di un negozio sub condicione risolutiva è titolare di un diritto precario e risolubile, con conseguente differenziazione dei rispettivi regimi di disciplina.

L’obiezione principale alla ricostruzione della vendita ex art. 1523 ss. cod. civ. entro lo schema della condizione risolutiva riguarda il rischio che il debitore, a seguito di un eventuale ripensamento sull’affare, non adempiendo all’obbligo di pagamento del prezzo, si sottragga al regolamento contrattuale approfittando dell’operare della risolutività condizionale. All’opposto, è stato precisato che l’applicazione del congegno condizionale è limitata al solo trasferimento della proprietà (risolubile), cosicché in caso di inadempimento resta in vigore il regolamento di interessi iniziale, soprattutto mantenendosi ferma l’obbligazione di pagamento del prezzo in capo all’acquirente, la quale verrebbe meno solamente con una domanda di risoluzione per inadempimento [212].

Proprio il disconoscimento del dogma della retroattività consente di rinvenire un profilo di coerenza nella ricostruzione della vendita con riserva di proprietà come vendita (risolutivamente) condizionata. Nella vendita ex art. 1523 ss. cod. civ. il trasferimento della proprietà – piena e definitiva – al compratore avviene ex nunc al momento dell’integrale versamento del prezzo e non ex tunc al momento della stipulazione del contratto. Nessun elemento di difformità emerge nel riconoscere l’apposizione di una condizione in virtù della dimostrata operatività condizionale in modo irretroattivo [213].

L’impossibilità di accogliere la differente lettura della fattispecie ex art. 1523 ss. cod. civ., che individua una situazione proprietaria risolubile nel venditore anziché nel compratore, corrobora ulteriormente gli esiti sin qui raggiunti.

Ove l’alienante venisse considerato proprietario risolubile, bisognerebbe, infatti, coerentemente ammettere il ricorso allo schema della condizione sospensiva, in virtù del quale, come spiegato, è il disponente sub condicione a vantare una situazione dominicale risolubile [214]. Ebbene, una qualificazione in tal senso non collimerebbe con l’anticipazione di taluni effetti dell’assetto negoziale con riserva di proprietà. L’immediata consegna del bene e il conseguente passaggio del periculum rei previsti dall’art. 1523 cod. civ. si pongono in antinomia rispetto all’eventuale configurazione della vendita in parola sub condicione sospensiva, nella quale l’acquirente, oltre a non assumere il rischio del perimento del bene (art. 1465, co. 4, cod. civ.), non può pretendere la consegna del bene se non in forza di una specifica clausola previamente pattuita [215]. L’indi­viduazione della natura delle situazioni giuridiche soggettive non può essere condotta disgiuntamente rispetto alla qualificazione della relativa struttura contrattuale, occorrendo che l’una e l’altra siano allineate.

Gli indici positivi, dunque, suggeriscono di preferire alla condizione sospensiva [216] la riconduzione dell’istituto allo schema risolutivo, nel quale il regolamento è, invece, immediatamente produttivo di effetti [217]: da un lato, il venditore è infatti da subito obbligato a consegnare il bene, mentre, dall’altro, il compratore è fin da subito obbligato a pagare il prezzo a rate.

L’anticipazione dell’effetto traslativo si estrinseca nell’attribuzione immediata del godimento del bene e costituisce tratto essenziale del negozio e della funzione economica da esso spiegata: rilievo, peraltro, avallato dalla stessa Relazione al Codice (par. 674) che riconosce al compratore, già prima dell’effetto definitivamente traslativo, il godimento «del contenuto patrimoniale del diritto di proprietà».

L’impasse in cui incorre il tentativo di una parte della dottrina di definire le posizioni giuridiche dei contraenti ex art. 1523 cod. civ., alla luce dell’esigenza di colorare con rafforzata realità il peculiare rapporto di appartenenza tra il compratore e la res [218], può dunque trovare un superamento nella qualificazione della situazione dell’acquirente come proprietà risolubile [219]. Ne consegue che la situazione giuridica del compratore è connotata da un contenuto di realità più intenso rispetto a quello proprio dell’aspettativa reale [220].

Specularmente trova spiegazione la posizione del venditore, al quale – come detto – non può riconoscersi un effettivo diritto di proprietà fino al pagamento dell’ultima rata, ma solamente un’aspettativa al riacquisto [221]. Ostano, infatti, la mera funzione di garanzia dell’operazione e l’interesse del compratore all’utilizzazione economica del bene acquistato.

Anche nella vendita ex art. 1523 cod. civ. le situazioni giuridiche possono essere lette entro una prospettiva dinamico-funzionalistica. L’istituto risulta imperniato sopra due polarità d’interessi [222] che trovano piena tutela nell’impiego del meccanismo condizionale risolutivo: da un lato, l’esigenza di garantire tutela al­l’aspettativa del venditore e il suo interesse al riacquisto in caso di inadempimento del compratore, limitando così erga omnes la situazione del compratore; dall’altro, l’incomprimibile interesse del compratore, analogo – come illustrato – a quello del titolare del diritto precario, a veder garantita la massima utilizzazione del bene anche nei termini di alienabilità della sua situazione.

Ciò introduce alla tematica della trasferibilità della situazione giuridica del venditore e del compratore ex art. 1523 cod. civ.

Ricorre in dottrina l’affermazione di un vincolo di destinazione inerente al bene che limiterebbe i poteri di disposizione dei contraenti. Nella vendita con riserva di proprietà, le situazioni soggettive reali sarebbero informate da un divieto di alienazione, eventualmente ricavabile oltre che da un generale dovere di correttezza anche dall’art. 1476, n. 2, cod. civ., salvo disporre del bene alla stregua di cosa altrui [223].

A ben vedere, oltre alla ricorrente affermazione dell’inalienabilità uti dominus del bene da parte del compratore, si sostiene che i contraenti possano limitarsi all’esercizio delle rispettive situazioni «al solo fine che risulta compatibile con la fattispecie traslativa – benché dall’effetto differito – instaurata» [224], senza chiarire l’esatto regime intermedio delle situazioni giuridiche precariamente vantate dai contraenti ex art. 1523 cod. civ.

Ravvisata nella vendita con patto di riservato dominio la ricorrenza dello schema risolutivo condizionato, deriva giocoforza l’applicabilità dell’art. 1357 cod. civ., che si palesa come strumento di attuazione dell’equilibrio tra le posizioni contrattuali e di sistemazione della coesistenza di situazioni giuridiche di natura reale sul medesimo bene [225].

Ancora una volta, diviene essenziale il riferimento all’art. 1357 cod. civ., quale norma posta a garanzia della massima utilizzazione economica delle situazioni condizionate patrimoniali, ivi compresa la loro libera circolazione seppur nei limiti del loro effettivo e limitato contenuto. L’esigenza di libera trasferibilità [226] si ripropone tanto per il compratore quanto per il venditore, ovviamente nei limiti di cui al funzionamento del congegno condizionale. L’alienante con riserva di proprietà può trasferire ulteriormente la cosa venduta nella stessa misura concessa all’alienante sotto condizione risolutiva, il quale può trasferire la propria aspettativa ai sensi dell’art. 1357 cod. civ. [227]. Analogamente, anche il compratore con riserva di proprietà, come l’acquirente sotto condizione risolutiva, potrà trasferire liberamente il proprio diritto precario con le limitazioni intrinseche al suo contenuto, il che senza alcuna lesione dell’aspettativa del venditore [228]. Dall’alie­nabilità delle situazioni condizionate anche nella vendita con riserva di proprietà deriva la piena espropriabilità del diritto risolubile del compratore [229]. Tali risultati si saldano poi con la disciplina prevista dall’art. 1524, co. 2, cod. civ., in tema di opponibilità della riserva ai terzi acquirenti, laddove rimane ferma l’ap­plicazione delle regole generali in materia pubblicitaria tanto per i beni mobili registrati (co. 3) e (pur nel silenzio della legge) immobili, quanto per i beni mobili secondo i principi in tema di acquisto a titolo originario.

Ascrivendo la posizione del compratore alla proprietà risolubile, la disciplina della vendita con riserva di proprietà viene integrata da quella in materia di condizione. Così, ad attuare il bilanciamento anzidetto tra la tutela dell’aspettativa del venditore e la posizione “quasi proprietaria” del compratore, interviene, rispetto alla prima, l’applicazione dell’art. 1356, co. 2, cod. civ., seconda parte, in materia di compimento di atti conservativi da parte del venditore, dell’art. 1361, co. 1, cod. civ., riguardante l’efficacia degli atti di amministrazione compiuti dal compratore [230], nonché dell’art. 1358 cod. civ., circa il comportamento secondo buona fede; a tutela della situazione risolubile del compratore interviene l’applicazione dell’art. 1356, co. 2, prima parte, cod. civ., sull’esercizio del diritto da parte del compratore, insieme alla legittimazione all’esercizio delle azioni petitorie e possessorie (sia di reintegrazione, sia di manutenzione, in qualità di possessore) [231].


NOTE

[1] A. Belfiore, Pendenza negoziale e conflitti di titolarità, in Riv. dir. civ., 1971, I, 182.

[2] M. Indolfi, La condizione secondo la teoria della fattispecie, in La condizione nel contratto. Tra “atto” e “attività”, a cura di F. Alcaro, Cedam, 2008, 2.

[3] Nella presente riflessione non ci si occuperà della condicio iuris, figura peraltro discussa, bensì della sola condizione volontaria. Di quest’ultima si avrà riguardo alla sola configurazione condizionale bilaterale, rispondente all’interesse di entrambi i contraenti. Se, al contrario, l’incompletezza dell’assetto negoziale è funzionale all’interesse di una sola delle parti, si parla di condizione unilaterale. Quanto al discrimine tra condizione unilaterale e bilaterale, la Corte di Cassazione ritiene che possa emergere anche implicitamente (ex plurimis, Cass. 11 febbraio 2013, n. 3741).

[4] A.C. Pelosi, La proprietà risolubile nella teoria del negozio condizionato, Giuffrè, 1975, preceduto dal saggio Id., La pretesa retroattività della condizione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1968, 825 ss.

[5] Se lo studio della proprietà risolubile è prettamente di matrice italiana, la dottrina tedesca si è concentrata sullo studio dell’aspettativa reale, con particolare attinenza alla vendita con riserva di proprietà (rilievi in tal senso in L. Mengoni, Gli acquisti «a non domino», III ed., Giuffrè, 1975, 189 ss., spec. nota 21; G. Cattaneo, Riserva della proprietà e aspettativa reale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1965, passim; sull’argomento cfr. infra, § 5). Anche nel contributo di C. Von Bar, Questioni fondamentali per la comprensione del diritto europeo delle cose, in Riv. dir. civ., 2018, 571 ss., spec. 599 ss., l’indagine non sembra considerare la proprietà risolubile e si arresta solamente alla considerazione delle limitazioni temporali dei diritti reali.

[6] Come meglio illustrato infra, § 4.1.

[7] G. Amadio, La condizione di inadempimento. Contributo alla teoria del negozio condizionato, Cedam, 1996, 149. La dottrina più recente ha dimostrato un rinnovato interesse per l’elemento condizionale transitando dalle riflessioni più risalenti imperniate sui profili strutturali ed effettuali dell’istituto, a uno studio incentrato sulla valorizzazione della condizione come meccanismo selettivo degli interessi componenti il regolamento contrattuale (cfr. R. Lenzi, Condizione, autonomia privata e funzione di autotutela, Giuffrè, 1996, 4; M. Astone, L’aspettativa e le tutele. Contributo allo studio degli effetti preliminari delle situazioni di pendenza, Giuffrè, 2006, 112 ss.). La condizione è vista come momento di «esaltazione» dell’autonomia privata in R. Sacco, La condizione, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Obbligazioni e contratti, 10, t. II, Utet, 2002, 426.

[8] Anche G. Tatarano, Incertezza, autonomia privata e modello condizionale, Jovene, 1976, 3, ha segnalato quanto le valutazioni nell’ambito del contratto condizionale subiscano il rischio di essere falsate da preventivi riferimenti assiomatici. Il tentativo dell’Autore è quello di smarcarsi dal c.d. dogma della fattispecie che avrebbe instillato un inquadramento meccanicistico e asettico della condizione, alla stregua di elemento esterno alla fattispecie e al di fuori di qualsiasi riferimento di natura programmatica dell’atto. Cfr. infra, nota 196.

[9] Per “situazioni giuridiche condizionate” si intende sia la posizione del titolare dell’aspettativa sia quella – complementare – del titolare del diritto risolubile o precario.

[10] Accurata l’esegesi di A. Belfiore, Pendenza, in Enc. dir., XXXII, Giuffrè, 1982, 873 ss. Per una lettura storica della pendenza alla luce delle fonti romanistiche si vedano C. Gioffredi, «Pendere»: per la storia di un dogma, in Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, I, Utet, 1960, 825 ss. e Id., «Pendenza» e «sospensione» dalle fonti romane alla dommatica odierna, in Studi e documenti di storia e diritto, 1956, 113 ss. Sulla pendenza nella condizione R. Lenzi, Della condizione nel contratto, in Comm. Gabrielli, Dei contratti in generale, II, a cura di E. Navarretta e A. Orestano, Utet, 2011, 310 ss.

[11] C. Gioffredi, «Pendere», cit., 855.

[12] Id., «Pendenza» e «sospensione», cit., 147.

[13] Sulla proprietà temporanea si veda infra, § 4.1.

[14] U. Natoli, Condizione, in Commentario del cod. civ., diretto da M. D’Amelio e E. Finzi, Libro IV, Delle obbligazioni, I, Barbera, 1948, 426-427.

[15] M. Costanza, La condizione e gli altri elementi accidentali, in I contratti in generale, II, a cura di E. Gabrielli, Utet, 1999, 931.

[16] D. Carusi, Appunti in tema di condizione, in Rass. dir. civ., 1996, 54 e 55; Id., Condizione e termini, in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, Giuffrè, 2006, 331 ss. L’esistenza del negozio condizionato è confermata dalla produzione di effetti, da taluni detti “preliminari” discendenti ex lege (art. 1356 ss. cod. civ.), che connotano la durata della pendenza condizionale (U. Natoli, Condizione, cit., 427 ss.).

[17] Ivi, 423.

[18] Ivi, 425. Come osservato da D. Barbero, Contributo alla teoria della condizione, Giuffrè, 1937, 11 ss., la manifestazione di volontà condizionata sembra caratterizzata da un’apparente ambiguità, in quanto espressiva alternativamente di una doppia direzione volitiva: «ogni voglio se sembra contenere implicito un non voglio se non… […] Ma, poiché tra voglio e non voglio, non c’è gradazione di mezzo e dove non è l’uno è l’altro, l’assenza di un attuale voglio, rileva la presenza di un attuale non voglio. Infatti è solo un ineffabile neologismo l’uso invalso del “voglio se”; mentre il “se” non sopporta che un “vorrei”».

[19] Ivi, 17

[20] Ivi, 16.

[21] Ibidem. L’aver indugiato su tali profili volontaristici conferma che l’attualità è il predicato caratterizzante la dimensione temporale negoziale: fonte di obbligatorietà è solamente una volontà attuale. Il presente è la dimensione preferenziale della misurazione del tempo giuridico. L. Bagolini, Significati della parola “tempo” in alcuni discorsi giuridici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, 337: «Il tempo è presupposto dal giurista nel senso che l’unica forma reale e concreta del tempo è quella presente: l’“adesso”, l’“ora”, l’“Jetz” costituiscono il tempo nella sua realtà; l’unica posizione reale e concreta del pendolo è quella presente, le posizioni passate non ci sono più, le posizioni future non ci sono ancora».

[22] A. Belfiore, Pendenza, cit., 874. Per alcune precisazioni sul carattere dell’incertezza vedasi D. Carusi, Appunti, cit., 62 ss., laddove quest’ultima va determinata con riferimento all’interesse dei contraenti prescindendo dalla natura intrinseca dell’evento. Sotto diversa prospettiva, al fine di risolvere il grave problema dell’ammissibilità della condizione di inadempimento, l’incertezza è oggetto d’approfondita analisi di G. Amadio, op. cit., 82 ss.

[23] G. Amadio, op. cit., 120 ss.; V. Confortini, Clausola condizionale, in Clausole negoziali. Profili teorici e applicativi di clausole tipiche e atipiche, I, a cura di M. Confortini, Utet, 2017, 95 ss.; D. Carusi, Appunti, cit., 62. Per le diverse configurazioni giuridiche che può assumere il concetto di subordinazione, per l’individuazione delle peculiarità della subordinazione condizionale nonché per il distinguo rispetto alle categorie di presupposizione e presupposto cfr. D. Barbero, Condizione, in Noviss. Dig., III, Utet, 1959, 1098.

[24] N. Bobbio, La certezza del diritto è un mito?, in Riv. int. filosofia del diritto, 1951, 146 ss.

[25] S. Maiorca, Condizione, in Dig. disc. priv. (sez. civ.), III, Utet, 1988, 276, nota 6. L’incertezza identifica una situazione di cui non sono noti gli sviluppi e dev’essere intesa in senso assoluto (M. Costanza, op. cit., 932 e 933). L’evento è in se stesso identificato, attenendo l’imprevedibilità alla sola sua verificazione. L’evento condizionale, infatti, è sempre oggetto della valutazione e della programmazione dei contraenti. Anzi, proprio la programmazione condizionale rende evidente il difetto di attualità dello stesso interesse negoziale dei contraenti i quali «anziché programmare indiscriminatamente un certo assetto di interessi, preferiscono attendere l’acquisizione di un ulteriore dato con riferimento al quale selezionano l’effetto medesimo» (R. Lenzi, Condizione, cit., 115-116).

[26] La prospettiva è ben messa in evidenza da G. Tatarano, La condizione, in Condizione e modus, Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del Notariato, a cura di G. Tatarano e C. Romano, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009, 21 ss. La lettura funzionalistica costituisce congruo canone interpretativo dei riferimenti (menzionati nelle note precedenti), generalmente invalsi nella dottrina più risalente, al negozio condizionato come inattuale perché imperfetto strutturalmente (si pensi al Natoli, op. cit., 423, il quale si riferiva a una volontà attuale anche se, rispetto a quella presupposta al negozio puro e semplice, «fornita di minor vigore, o addirittura paralizzata»).

[27] A. Falzea, Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Giuffrè, 1965, 484; V.M. Trimarchi, Termine (diritto civile), in Noviss. Dig., XIX, Utet, 1977, 96 ss.; A. Di Majo, Termine (dir. priv.), in Enc. dir., XXIX, Giuffrè, 1979, 187.

[28] A. Falzea, Condizione. I) Diritto Civile, in Enc. giur., VII, Treccani, 1988, 9.

[29] Il problema della retroattività è stato recentemente considerato da M. Grandi, La modernità del dogma retrospettivo nel sistema dei contratti, in Riv. dir. civ., 2012, 835 ss., contributo principalmente impostato sulla disamina della retroattività nei fenomeni risolutori. Si veda anche Id., Retroattività della condizione: il problema e le prospettive, in I contratti, 2011, 289 ss., per un’indagine sulla retroattività seguendo una direzione trasversale tra gli aspetti pubblicitari, la circolazione giuridica, la condizione di inadempimento e la risoluzione per inadempimento.

[30] B. Dusi, Cenni intorno alla retroattività della condizione, in Studi giuridici dedicati a F. Schupfer, III, F.lli Bocca, 1898, 515.

[31] D. Barbero, Contributo, cit., 32.

[32] Ivi, 32 e 33.

[33] Fin dal Code Napoléon si rinviene, quale giustificazione del principio di retroattività della condizione, l’argomento della corrispondenza all’interesse delle parti, le quali se sapessero della certa realizzazione dell’evento stipulerebbero un negozio puro e non condizionato. Tale spiegazione della retroattività permane ancora nella dottrina recente, cfr., inter alia, R. Sacco, op. cit., 429.

[34] A.C. Pelosi, op. cit., 22. Il riferimento alla presunta volontà delle parti è rinvenibile nella Relazione al codice civile (n. 621) nella quale, peraltro, si precisa che, proprio perché fondata sulla presunta volontà dei contraenti, dev’esser loro sempre riconosciuta la facoltà di derogarvi (come del resto codificato nell’art. 1360, co. 1, seconda parte, cod. civ.). Fin d’ora si può osservare che il richiamo sembra confermare il carattere non necessario della retroattività della condizione. Come correttamente precisato, «non si può far discendere la costruzione di un fenomeno giuridico argomentando da un dato che non è necessario, per legge, alla integrazione della fattispecie» (U. La Porta, Il trasferimento delle aspettative. Contributo allo studio delle situazioni soggettive attive, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, 330-331).

[35] Sulla finzione vedasi S. Pugliatti, Finzione, in Enc. dir., XVII, Giuffrè, 1968, 658 ss.: «Col termine finzione si allude al risultato di un processo mentale che, in quanto immaginato o inventato, non corrisponde puntualmente ad una specifica realtà». Ricostruisce il problema muovendo la riflessione da una prospettiva extra-giuridica e gnoseologica A. La Torre, La finzione nel diritto, in Riv. dir. civ., 2000, 315 ss. Sulle diverse accezioni della finzione giuridica nella teoria generale del diritto vedasi R. Guastini, Finzione giuridica (nella teoria generale), in Dig. disc. priv. (sez. civ.), VIII, Utet, 1992, 354 ss.

[36] F. Messineo, Il contratto in genere, in Tratt. Cicu-Messineo, XXI, t. I, Giuffrè, 1968, 190 e Id., Manuale di diritto civile e commerciale, I, Giuffrè, 1952, 436 e 437.

[37] Ivi, 436.

[38] Ivi, 571.

[39] L. Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, II, rist. II ed., Giuffrè, 1948, 170: «Distruggere il passato? Raffigurata in tal modo si deve ricorrere a un artifizio: a quella che si vuol chiamare una finzione». Lo stesso autore, tuttavia, propugna una rilettura, anzi un rifiuto, della – al tempo – predominante c.d. teoria della finzione. La finzione di avveramento ex art. 1359 cod. civ., che costituisce una vera e propria fictio iuris, esula dal discorso sui rapporti tra finzione e retroattività. Trattasi, infatti, della fittizia instaurazione di un ordine reale corrispondente all’avveramento della condizione (o al mancato avveramento della stessa) a causa del comportamento non conforme a buona fede e imputabile alla parte che abbia determinato un’alterazione del naturale percorso attuativo (o impeditivo) dell’evento. Sull’istituto, ex plurimis, P. Trimarchi, Finzione di avveramento e finzione e di non avveramento della condizione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1966, 809 ss.; L. Bruscuglia, Pendenza della condizione e comportamento secondo buona fede, Giuffrè, 1975, 49 ss. e 107 ss.; F. Peccenini, La finzione di avveramento della condizione, Cedam, 1994; A. Bellizzi di San Lorenzo, Note sulla finzione di avveramento della condizione, in giustiziacivile.com, 2023.

[40] D. Barbero, Condizione, cit., 1106.

[41] Nel senso correttamente avanzato da La Torre, op. cit., 321, il quale vede nella fictio una “necessità” dell’ordinamento giuridico rispondente, cioè, all’«esigenza di non applicare la regula iuris a casi in cui essa produrrebbe conseguenze inique; o per la inversa esigenza di estenderla a casi che, in modo altrettanto ingiusto, dovrebbero restarne fuori».

[42] A.C. Pelosi, op. cit., 16.

[43] Ivi, 15. Parimenti critico nei confronti nella riconducibilità della retroattività alla fictio iuris è M. Allara, La teoria delle vicende del rapporto giuridico, Giappichelli, 1950, 225 e Id., Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, rist., Giappichelli, 1999, 115 ss.

[44] A. Falzea, Condizione, cit., 9.

[45] Secondo D. Barbero, Contributo, cit., il fenomeno della retroattività sarebbe tutto interno all’ordine giuridico, divenendo così ultroneo il riferirsi al concetto di finzione. La mancata corrispondenza, nell’ordine giuridico, alla realtà fenomenica è discrasia da ricondursi solamente al piano giuridico: «Appunto il legislatore, mentre dispone e comanda non finge mai o, almeno, finge nello schietto senso latino, cioè crea: crea la realtà giuridica» (Ivi, 36); «[…] nell’ordine giuridico non esistono finzioni, ma esistono solo realtà giuridiche, che possono non coincidere con la realtà naturalistica o storica» (Ivi, 35). E ancora: «Non esistono finzioni nel diritto, e non si può nemmeno prospettarne il concetto se non paragonando indebitamente, e quindi erroneamente, la realtà giuridica (formale) con quella naturale. Fra queste due categorie può benissimo non esserci e spesso non c’è, coincidenza […] Non occorre quindi, ed è erroneo, rifarsi al concetto di “finzione” per capire e spiegare il contenuto della situazione giuridica formale quando sia diverso da una situazione naturale che le sia corsa parallela» (D. Barbero, Condizione, cit., 1106). Tale lettura trova il favore di G. Tatarano, Retroattività (dir. priv.), in Enc. dir., XL, Giuffrè, 1989, 83.

[46] D. Barbero, Contributo, cit., 37; A.C. Pelosi, op. cit., 16.

[47] Sul carattere non necessario della retroattività si vedano A. Falzea, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Giuffrè, 1941, 171 ss. e 237 ss.; U. Natoli, op. cit., 471; U. La Porta, op. cit., 332; L. Barassi, op. cit., 165: «E così si può affermare che la retroattività non è affatto una conseguenza, o meglio un carattere logicamente indefettibile della condizione».

[48] D. Carusi, Condizione, cit., 341. La regola della retroattività condizionale non è stata unanimemente accolta in tutti gli ordinamenti giuridici stranieri. Omologa alla soluzione adottata dall’ordinamento italiano era, fino al 2016, quella dell’ordinamento francese risultante dall’abrogato art. 1197 Code civil. Il vigente art. 1304-6, primo comma, Code civil L’obligation devient pure et simple à compter de l’accomplissement de la condition suspensive»), invece, prevede l’irretroattività dell’avveramento della condizione sospensiva. Regola, questa, derogabile a tenore del comma successivo («Toutefois, les parties peuvent prévoir que l’accomplissement de la condition rétroagira au jour du contrat […]»), il quale, infatti, è espressivo della facoltà delle parti di prevedere la retroattività condizionale. Nel caso della condizione risolutiva, invece, la regola è quella retroattiva (art. 1304-7 Code civil, primo comma), ancorché derogabile pattiziamente (secondo comma). L’ordinamento portoghese (art. 276 Código civil português) è allineato con quello italiano. Altri, come quello austriaco (parr. 696 ss., 897 ss. ABGB), non prendono posizione sul punto; altri ancora, quello svizzero (artt. 151 e 154 della legge federale di completamento al codice civile svizzero), quello cubano (art. 53, nn. 2 e 4 Código civil cubano), propendono per la regola opposta dell’efficacia ex nunc. Ancora, la soluzione dell’irretroattività è quella proposta da G. Gandolfi (a cura di), Codice europeo dei contratti, Giuffrè, 2002, 930, (cfr. artt. 49 e 50 del Libro I, Titolo VI, Sezione 2, Effetti dovuti ad elementi accidentali).

[49] L. Barassi, op. cit., 165.

[50] U. Natoli, op. cit., 473.

[51] A.C. Pelosi, op. cit., 60. Ulteriore argomento per disconoscere la necessità della persistenza della possibilità della prestazione fino all’avveramento della condizione è il riferimento all’art. 1465, co. 2. Nel caso di termine iniziale, il rischio del perimento della cosa grava in capo all’acquirente il quale è tenuto alla controprestazione e il contratto è valido ed efficace nonostante l’oggetto della prestazione sia ormai perito, proprio nel momento in cui l’efficacia deve sopravvenire.

[52] Ivi, 61.

[53] Ivi, 62: «Quando si afferma che il contratto non può retroagir perché non può agir […] non si fa più di un giuoco di parole». Contra S. Pagliantini, Art. 1465 – Contratto con effetti traslativi o costitutivi, in Comm. Gabrielli, Dei contratti – Vol. IV: Artt. 1425-1469 bis e leggi collegate, a cura di E. Navarretta e A. Orestano, Utet, 2011, 598.

[54] Relazione al Re n. 664. Ratio accolta anche da parte della dottrina più risalente, cfr. F. Messineo, Dottrina generale del contratto, III ed., Giuffrè, 1948, 499.

[55] A.C. Pelosi, op. cit., 63; F. Delfini, Dell’impossibilità sopravvenuta, Art. 1465, in Comm. Schlesinger, Giuffrè, 2003, 125. Contra C.M. Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Giuffrè, 1995, 378.

[56] F. Macario, Le sopravvenienze, in I rimedi, Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, Giuffrè, 2022, 854.

[57] A riprova di quanto illustrato in apertura, si vede come l’incertezza dell’evento informa la vicenda della pendenza secondo molteplici aspetti, ora rispetto al passaggio del periculum rei.

[58] Dig. 18, 6, 8.

[59] A.C. Pelosi, op. cit., 66. La chiave interpretativa “funzionale” della condizione riesce a spiegare la differenza di trattamento tra i due commi dell’art. 1465 cod. civ.: l’allocazione del rischio non può incombere sulla parte, l’acquirente sub condicione, che non possiede nella propria disponibilità tutti i dati per la formulazione del programma negoziale (G. Tatarano, Incertezza, cit., 75). In linea anche Macario, op. cit., 859 e C.M. Bianca, op. cit., 378. Secondo una prospettiva più “strutturalista” S. Pagliantini, op. cit., 597, quando afferma che il legislatore ha preferito ricorrere al criterio della «perfezione del contratto».

[60] F. Delfini, op. cit., 153.

[61] Così G. Tatarano, Incertezza, cit., 75 parla dell’ultimo comma dell’art. 1465 cod. civ. come fattispecie anomala. F. Delfini, op. cit., 124 ss. considera tale deroga una «disarmonia» della disciplina dell’art. 1465 cod. civ. che non risulta omogenea, di tal che non sarebbe ricavabile dalla stessa un unitario e coerente principio. Parla di deroga «particolarmente grave» G. Mirabelli, Della condizione nel contratto, in Commentario cod. civ., Utet, 1980, 194. Avverte l’«anomalia» anche V. Roppo, Il contratto, in Tratt. Iudica-Zatti, Giuffrè, 2001, 1012. D. Carusi, Condizione, cit., 346 in modo lapidario ritiene il comma in esame un’«importantissima deviazione dall’ordine di idee della retroattività della condizione». Analogamente, segnala il «contrasto» tra l’art. 1465, co. 4 e l’art. 1360 cod. civ., R. Lenzi, Della condizione, cit., 346.

[62] Secondo V. Roppo, op. cit., 1012, l’acquisto sottoposto a termine è più stabilizzato e vicino alla perfezione, rispetto all’acquisto sottoposto a condizione: «nel primo caso l’impossibilità dell’acquisto mette in discussione il rapporto perché colpisce una vicenda sostanzialmente chiusa, nel secondo caso lo mette in discussione perché colpisce una vicenda ancora aperta». A. Scacchi, La proprietà temporanea, Giuffrè, 2005, 134. Consapevole di tale differenza tipologica è A.C. Pelosi, Aspettativa di diritto, in Dig. disc. priv. (sez. civ.), I, Utet, 1987, 468, il quale osserva che la certezza del diritto futuro spettante all’acquirente nel negozio a termine iniziale giustifica l’attribuzione di poteri maggiori e correlativamente «l’imposizione all’altra parte di vincoli più intensi rispetto all’ipotesi del trasferimento condizionale».

[63] S. Pagliantini, op. cit., 598. Analogamente A. Scacchi, op. cit., 134, ritiene l’alienante sub condicione ancora pieno proprietario della cosa, di tal che la regola dell’ultimo comma dell’art 1465 cod. civ. altro non sarebbe che una applicazione della regola generale res perit domino. Dello stesso avviso è C. Pinellini, Il trattamento del contratto condizionato, in Arch. Giur. “Filippo Serafini”, 1986, 289 ss. il quale fermamente ritiene la retroattività condizionale quale «ineliminabile premessa logico-esplicativa» del comma 4 art. 1465 cod. civ. Lo dimostrerebbe l’argomento logico per il quale, escludendo la retroattività della condizione, non potrebbe parlarsi di impossibilità sopravvenuta, producendosi gli effetti negoziali non dal momento della conclusione del contratto bensì solo al momento della realizzazione dell’evento, quindi, dopo il perimento dell’oggetto e non prima. Da A.C. Pelosi, op. cit., 76-77 proviene l’obiezione secondo la quale anche nell’ultimo comma dell’art. 1465 cod. civ. l’impossibilità può considerarsi sopravvenuta rispetto alla conclusione del negozio, con il che non vi sarebbe bisogno di ricorrere alla retroattività per considerare sopravvenuta l’impossibilità della prestazione occorsa durante la pendenza.

[64] Ovviamente, il discorso che si sta per condurre è valevole per i soli diritti di credito, essendo la proprietà di per sé imprescrittibile.

[65] D. Barbero, Condizione, cit., 1108, il quale parla di impotenza del titolare del credito sotto condizione sospensiva a reagire alla pendenza, cosicché «non può vederselo prescrivere sotto gli occhi durante la pendenza della condizione». Secondo l’Autore trattasi di impedimentum iuris che trova qualificazione giuridica nella legge con la peculiarità che la clausola condizionale, stabilita contrattualmente, impedisce di ritenere il diritto di credito costituito; non sorge così l’azione diretta a farlo valere. Per la ragione opposta sarebbe invece soggetto a prescrizione il credito condizionato risolutivamente.

[66] Per una rassegna della giurisprudenza sul tema A. Guarneri, L’exordium praescriptionis, in Riv. dir. civ., 2013, I, 1136.

[67] Secondo una voce di segno opposto anche i diritti condizionati sarebbero prescrittibili sull’assunto che gli stessi potrebbero essere, a loro modo, fatti valere. Così, P. Perlingieri, Rapporto preliminare e servitù su “edificio da costruire”, 1966, 155 ss. secondo il quale «manca una norma esplicita che regoli la prescrizione in tema di negozio condizionato». Inoltre, secondo questa lettura, il silentium legis costituirebbe ulteriore argomento a favore della prescrittibilità delle situazioni condizionate. Valorizza il silenzio della legge palesando incertezze sulla ricostruzione tradizionale dell’imprescrittibilità dei diritti condizionati anche G. Panza, Prescrizione, in Dig. disc. priv. (sez. civ.), XIV, Utet, 1996, 230.

[68] A.C. Pelosi, op. cit., 80 ss.

[69] Controversa è l’identificazione della nozione di terzo possessore nell’art. 1166 cod. civ. In giurisprudenza è considerato terzo colui che possiede in virtù di un titolo autonomo, rispetto al vero titolare, o senza alcun titolo, giacché in tema di possesso sine titulo vige il principio che terzo è chiunque non ripeta il possesso dal titolare, per non essere intervenuto con il medesimo alcun rapporto, neanche nullo o viziato (Cass., 19 gennaio 1963, n. 76 e in dottrina A. Montel, Il possesso, in Trattato Vassalli, Utet, 1962, 504). Secondo altri (F. De Martino, Possesso, artt. 1140-1172, in Comm. Scialoja-Branca, Zanichelli, 1984, 103), invece, è terzo colui che rimane estraneo al negozio pur essendo in possesso della cosa.

[70] L. Mengoni, Gli acquisti «a non domino», cit., 186-187. Sul punto anche M. Grandi, Retroattività, cit., 294 ss.

[71] L. Mengoni, op. cit., 187.

[72] Anche U. Natoli, op. cit., 477 desume la “normalità” della retroattività condizionale dalle limitazioni legali ex art. 1360 cod. civ. G. Tatarano, Retroattività, cit., 91 osserva che l’enunciazione della retroattività in termini di “principio” (art. 1360 cod. civ.) si accompagna a «grosse» deroghe allo stesso: è stato segnalato che «il legislatore al contempo fissa “il principio” ma fa salve le controindicazioni che possono venire dall’autonomia privata e dalla natura del rapporto; pone le “eccezioni”, ma fa anche qui salve le controindicazioni che possono venire dall’autonomia privata» (Ivi, 92). Anche G. Mirabelli, op. cit., 191, date le limitazioni di cui all’art. 1360 cod. civ., assegna alla retroattività una portata meramente dispositiva. Allo stesso modo, L. Barassi, op. cit., 167.

[73] D. Barbero, Condizione, cit., 1106.

[74] U. Natoli, op. cit., 477 ss. Questione non secondaria riguarda la natura reale o obbligatoria delle pattuizioni derogatorie dell’operatività ex tunc di cui all’art. 1360 cod. civ. sia nel caso della fissazione di un momento diverso di efficacia sia nella variante della totale esclusione dell’efficacia ex tunc. Sul punto cfr. M. Costanza, op. cit., 992 ss.

[75] La retroattività, ancorché non essenziale, può costituire oggetto di previsione pattizia delle parti, specie in materia di frutti art. 1361, co. 2, cod. civ., con efficacia obbligatoria (A.C. Pelosi, op. cit., 141 nota 96).

[76] Ivi, 140. Per le altre deroghe codicistiche al dogma della retroattività si rimanda a Ivi, 23 ss. quanto alla disciplina dei frutti percepiti che spettano a chi risulta titolare del bene in seguito all’avveramento della condizione (art. 1361, co. 2, cod. civ.). Quanto agli atti di amministrazione del bene, anteriori all’avveramento, che rimangono validi anche se il successivo avveramento della condizione attribuisce il diritto stesso all’altra parte (art. 1361, co. 1, cod. civ.), si veda Ivi, 35 ss.

[77] C. Castronovo, L’obbligazione nel prisma della (nuova) responsabilità patrimoniale, in Europa e diritto privato, 2022, 727, il quale, rispetto al preteso superamento del dogma della responsabilità ex art. 2740 cod. civ. recentemente affermato da alcuni autori, osserva con fermezza: «è fin troppo evidente che la limitatezza e specificità delle fattispecie eccezionali non sono in grado di scalfire la generalità della regola, non possono significarne il rovesciamento: che la regola, come pure si afferma, sia diventata la sua derogabilità salvo che la legge preveda diversamente. Questa è una sortita del discorso, e l’affermazione criticata vale solo dal punto di vista topico, nel senso che più si accumulano le eccezioni, più facile diventa aggiungerne altre».

[78] È stato osservato che le diffuse eccezioni «non sono altro che concessioni all’autonomia privata esprimenti un preciso “ambito di derogabilità” della regola – e di per sé la derogabilità di una regola non infirma né la regola, né la sua eventuale sua eccezionalità – […] complessivamente, non si può dire che le “eccezioni” della regola in questione possano ricomporre una opposta regola» (S. Maiorca, op. cit., 321). In questo senso anche A. Falzea, Condizione, cit., 10, a dire del quale, essendo la retroattività posta in modo esplicito dall’art. 1360 cod. civ. ed essendo arbitrario ogni tentativo di superarla, «le limitazioni che lo stesso codice civile pone alla regola della retroattività – come avviene per il regime dei frutti e della risoluzione nelle obbligazioni a prestazione periodica o continuata – o i temperamenti che vi introduce – consentendo, ma limitatamente ai contratti, l’adozione del criterio della irretroattività – valgono soltanto a provare che la ratio della condizionalità deve comporsi con altre rationes, alle quali deve cedere qualche parte della propria pretesa a una rigida consequenzialità normativa».

[79] R. Lenzi, Della condizione, cit., 347. Non stupisce che lo stesso Autore giunga ad affermare che «l’effettivo ambito applicativo dell’art. 1360, 1° co., cod. civ. conserva incerti confini».

[80] G. Tatarano, Retroattività, cit., 92 il quale nel tentativo di tratteggiare l’eccezionalità delle ipotesi richiamate rispetto al “principio” della retroattività, richiama il concetto di norma “completiva”. L’operatività ex tunc della condizione alla stregua di principio generale si esplicherebbe solamente quando l’autonomia privata, nelle ipotesi previste dall’art. 1360, co. 1 e 2, nulla abbia disposto circa l’operatività ex nunc. Sembra di capire che l’Autore aderisca alla relatività del principio di retroattività, ciò limitatamente alle ipotesi di “completamento” del vuoto lasciato dall’autonomia privata negli spazi eccezionali previsti codicisticamente dalla suddetta norma.

[81] A.C. Pelosi, op. cit., 101 ss.

[82] U. La Porta, op. cit., 327.

[83] G. Amadio, op. cit., 173.

[84] U. Natoli, op. cit., 465. Così anche G. Tatarano, La condizione, cit., 98 ss. che riconosce il solo titolare del diritto precario quale unica parte propriamente titolare del potere di disposizione.

[85] R. Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Comm. Scialoja-Branca, Zanichelli, 1970, 197.

[86] A.C. Pelosi, op. cit., 108; V. Roppo, op. cit., 628; U. La Porta, op. cit., 323; S. Maiorca, op. cit., 310; G. Mirabelli, op. cit.,182.

[87] In giurisprudenza cfr. Cass., 29 aprile 1992, n. 5147, in Giust. civ., 1992, I, 1707. Più recentemente Trib. Venezia – Sez. Spec. Impresa, 9 marzo 2020, in AIDA, 2020, 1, 719.

[88] S. Maiorca, op. cit., 310, laddove la subordinazione «alla stessa condizione» ex art. 1357 cod. civ. sarebbe da qualificarsi alla stregua di una condicio iuris. Così anche P. Rescigno, Condizione (dir. vig.), in Enc. dir., VIII, Giuffrè, 1961, 782 ss. e 797.

[89] R. Lenzi, Della condizione, cit., 325. Propende per la subordinazione legale allo stesso evento del contratto originario, purché risulti espressamente dalla seconda alienazione, anche D. Barbero, Condizione, cit., 1104.

[90] S. Maiorca, op. cit., 318.

[91] L. Barassi, op. cit., 170. D. Carusi, Condizione, cit., 333, il quale riconduce l’art. 1357 cod. civ. a un’applicazione del principio di retroattività e al contempo del brocardo nemo plus iuris. Più recentemente convengono in tal senso anche M. Faccioli, Il dovere di comportamento secondo buona fede in pendenza della condizione contrattuale, Cedam, 2006, 169, e G. Petrelli, Pendenza della condizione e tutela dei creditori, in Riv. not., 2017, 899, nota 40. Il riferimento a tali principi, pur avendo il pregio di prescindere dal ricorso alla retroattività, sarebbe idoneo a spiegare solamente il modo di caducarsi degli atti di disposizione compiuti da chi perde il diritto in virtù dell’avveramento della condizione, ma non consente di giustificare altresì il loro consolidamento (A.C. Pelosi, op. cit., 102 ss.).

[92] Ivi, 104.

[93] U. Natoli, op. cit., 465. Oltre alla circolabilità inter vivos, le situazioni giuridiche condizionate sono altresì trasmissibili mortis causa (cfr. Carusi, op. ult. cit., 334).

[94] R. Sacco, op. cit., 429; U. La Porta, op. cit., 327; Pelosi, op. cit., 147.

[95] In questi esatti termini U. Natoli, op. cit., 479.

[96] Come vorrebbe, invece, S. Maiorca, op. cit., 309.

[97] Sull’aspettativa vedasi R. Scognamiglio, Aspettativa di diritto, in Enc. dir., III, Giuffrè, 1958, 226 ss.; R. Nicolò, Aspettativa (dir. civ.), in Enc. giur., III, Treccani, 1988; A.C. Pelosi, Aspettativa di diritto, in Dig. disc. priv. (sez. civ.), I, Utet, 1987, 465 ss.; La Porta, Il trasferimento delle aspettative, cit., 13 ss.; M. Astone, L’aspettativa e le tutele, cit. Autorevoli voci hanno negato l’autonoma rilevanza e trasmissibilità dell’aspettativa sull’assunto che la medesima costituisca una mera situazione interinale, priva di un’investitura immediata di un potere, su una cosa o verso un soggetto (R. Scognamiglio, op. cit.). Disconosciuta la valenza autonoma del concetto di aspettativa, si rinviene nell’art. 1357 cod. civ. una norma legittimante solamente un negozio a consenso anticipato avente a oggetto il diritto finale. La svalutazione dell’aspettativa è stata fomentata dal ricorso alla spiegazione retroattiva ai fini della valutazione a posteriori della legittimazione del titolare della situazione d’attesa a disporre anticipatamente del diritto finale, stante il condizionamento dell’alienazione ex art. 1357 cod. civ. e non della situazione sottesa. Adottando questa impostazione l’aspettativa non risulterebbe liberamente trasferibile durante la pendenza, in quanto il dante causa, al momento dell’alienazione, non sarebbe ancora legittimato alla disposizione del diritto finale. Così, l’atto di disposizione compiuto sarebbe alienazione condizionata – solamente – del diritto finale. Al contrario, la lettura più recente dell’art. 1357 cod. civ. conferma la piena disponibilità del­l’aspettativa alla stregua di ogni situazione a contenuto patrimoniale (cfr. in particolare U. La Porta, op. cit., 324; R. Lenzi, Della condizione, cit., 323). Emerge così un concetto di aspettativa quale situazione d’attesa giuridicamente autonoma, la cui attualità e diretta imputabilità al proprio titolare rendono possibile la sua alienazione. Il relativo atto dispositivo risulta immediatamente idoneo a produrre l’investitura dell’avente causa nella situazione interinale alla stregua di un negozio puro, non condizionato (cfr. U. La Porta, op. cit., 326-327). La rilevanza erga omnes dell’aspettativa si riconnette alla tutela reale della stessa, consistente nel poter il titolare dell’aspettativa pretendere dal terzo acquirente (cessionario del diritto risolubile) l’osservanza dei limiti e degli obblighi che hanno la funzione di far sì che l’avveramento possa operare utilmente in suo favore (A.C. Pelosi, op. cit., 414). Deriva, inoltre, l’inapplicabilità dell’art. 1478 cod. civ. in materia di vendita di cosa altrui al trasferimento dell’aspettativa, rispetto al diritto “finale”, in quanto la norma si riferisce all’acquisto della proprietà a prescindere dalla titolarità di un’eventuale situazione preliminare (Ivi, 112).

[98] Così G. Amadio, op. cit., 371.

[99] L. Barassi, op. cit., 170; G. Mirabelli, op. cit., 191; P. Rescigno, op. cit., 782.

[100] U. Natoli, op. cit., 465. La norma integrerebbe «l’insufficienza della retroattività della condizione a far sì che, a qualunque momento retroagisca la condizione, gli atti di disposizione compiuti durante la pendenza non possano portare pregiudizio all’aspettativa del soggetto attivo» (Ivi, 478).

[101] V. Roppo, op. cit., 628 mette in evidenza il collegamento tra l’art. 1357 e l’art. 1360 cod. civ., norma quest’ultima «sulla retroattività – anche reale – della condizione». C. Pinellini, op. cit., 322 e 329. Ancora in M. Costanza, op. cit., 990 la connessione tra retroattività e realità assume un collegamento necessitato, quasi che la prima, senza la seconda, non possa trovare un autonomo fondamento: «La retroattività, cioè, è dipendente dalla “realità”».

[102] Così S. Maiorca, op. cit., 310, 318 e 319, definita invece da G. Amadio, op. cit., 371 «formula vischiosa».

[103] S. Maiorca, op. cit., 310 e 318 nota 158.

[104] R. Lenzi, Della condizione, cit., 346.

[105] G. Tatarano, La condizione, cit., 80.

[106] L’idoneità ex art. 1357 cod. civ. a incidere erga omnes nei confronti degli acquisti dei terzi è intesa come indice del carattere conformativo e funzionalizzante della condizione anche nelle vicende circolatorie: G. Petrelli, Pendenza, cit., 893. Vedi, però, infra, § 4.2.

[107] G. Amadio, op. cit., 396-397.

[108] Sotto la vigenza del codice del 1865 il conflitto tra titolare dell’aspettativa e i successivi acquirenti del diritto precario veniva risolto rifacendosi all’art. 1170 sulla retroattività, attribuendo, cioè, un effetto retroattivo al verificarsi della condizione e “fingendo” la priorità d’acquisto del diritto da parte del primo. Dunque, la previgente codificazione non prendeva posizione in merito all’efficacia e alla liceità degli atti di disposizione compiuti in pendenza della condizione dal titolare del diritto (A. Belfiore, Pendenza, cit., 188). L’introduzione dell’art. 1357 cod. civ. sta evidentemente a significare che è possibile rinvenire la ratio dell’opponibilità erga omnes prescindendo dalla (pregressa) spiegazione retroattiva, pena una svalutazione della disposizione.

[109] Ci si riferisce all’articolato contributo di A. Belfiore, Pendenza negoziale e conflitti di titolarità, cit., passim, il più pregnante in dottrina quanto alla prospettiva funzionalistica delle dinamiche circolatorie ex art. 1357 cod. civ.

[110] G. Tatarano, La condizione, cit., 83.

[111] A. Belfiore, op. cit., 200 ss.

[112] Ivi, 199 ss.

[113] Ivi, 185.

[114] G. Amadio, op. cit., 387.

[115] La tesi dell’eccezionalità dell’art. 1357 cod. civ. diviene altresì debole se si osserva che per ogni contratto è possibile distinguere tra i due piani, quello della relatività intesa come efficacia diretta del contratto tra le parti (art. 1372 cod. civ.), e quello della c.d. rilevanza esterna verso i terzi (tra gli altri, C.M. Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Giuffrè, 2000, 572 e 573).

[116] Oltretutto, se tali atti fossero fin dal loro sorgere inefficaci non si vedrebbe per quale ragione il legislatore abbia dovuto introdurre una norma nella disciplina della condizione per validare la legittimazione a disporre delle situazioni condizionate (A. Belfiore, op. cit., 183 nota 9).

[117] G. Amadio, op. cit., 386. Analogamente A. Belfiore, op. cit., 184, secondo il quale la situazione giuridica condizionata si trasmette ai successivi acquirenti con gli stessi requisiti e le medesime tutele che accedevano alla stessa al momento della stipulazione originaria. La trascrizione della clausola condizionale (sospensiva o risolutiva) ex artt. 2655 cod. civ., 2659 cod. civ. e 2660 n. 6 cod. civ. rimane lo strumento attraverso il quale garantire la concreta operatività del meccanismo ex art. 1357 cod. civ. (G. Tatarano, La condizione, cit., 83). Sulla trascrizione del negozio condizionato si rimanda a R. Triola, La trascrizione del negozio condizionato, in Vita not., 1975, 665 ss.; G. Gabrielli, Pubblicità degli atti condizionati, in Riv. dir. civ., 1991, I, 25 ss.; M. Grandi, La retroattività, cit. Oltretutto la previsione della trascrivibilità immediata dei negozi sub condicione conferma ulteriormente la sua esistenza come negozio perfetto e la conseguente irrilevanza del dogma retroattivo. Nei casi di inapplicabilità del regime ex art. 1357 cod. civ. (ad esempio, nella fattispecie ex art. 1153 cod. civ. oppure in occasione della prioritaria trascrizione del terzo acquirente) la tutela in favore del dante causa sarà di natura obbligatoria e, dunque, risarcitoria (U. Natoli, op. cit., 472; M. Faccioli, op. cit., 184; C. Pinellini, op. cit., 330).

[118] G. Petrelli, Pendenza, cit., 900, il quale riferisce le uniche voci dottrinali in questa direzione, ossia E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Utet, 1950, 541, secondo il quale il titolare del diritto precario è tenuto «ad astenersi da atti di disposizione giuridica o di trasformazione economica incompatibili con il venire in essere del rapporto condizionato o di quello che nasce dalla risoluzione», e M. Faccioli, op. cit., 186 ss. e 192 ss.

[119] Sulla dubbia tenuta del parallelismo cfr. infra, § 4.2.

[120] G. Petrelli, Proprietà fiduciaria, art. 2645-ter e condizione, in Rass. dir. civ., 2016, 557-558.

[121] R. Dicillo, Atti e vincoli di destinazione, in Dig. disc. priv. (sez. civ.), Agg., III., Utet, 2007, 167; M. Bianca, Vincoli di destinazione del patrimonio, in Enc. giur., Agg., XV Treccani, 2007, 7; Id., L’atto di destinazione: problemi applicativi, in Riv. not., 2006, 1189; M. Comporti, Divieti di disposizione e vincoli di destinazione, in Studi in onore di Pietro Rescigno, V, Giuffrè, 1998, 862; E. Russo, Il negozio di destinazione di beni immobili o di mobili registrati (art. 2645 ter c.c.), in Vita not., 2006, 1249.

[122] G. Petrelli, Proprietà, cit., 558.

[123] Né potrebbe configurarsi un implicito divieto di alienazione ex art. 1379 cod. civ.: A.C. Pelosi, op. cit., 105. Peraltro, le peculiarità che assistono il divieto di cui all’art. 1379 cod. civ., nonché la riconosciuta inopponibilità ai terzi, lo renderebbero inapplicabile alla fattispecie negoziale condizionata.

[124] G. Petrelli, Pendenza, cit., 900.

[125] Nonostante il tenore letterale dell’art. 1358 cod. civ. imponga il rispetto dell’obbligo di buona fede a colui che si è obbligato o ha alienato sotto condizione sospensiva e a colui che ha acquistato sotto condizione risolutiva, l’interpretazione prevalente ritiene debba estendersi a entrambe la parti (L. Bruscuglia, op. cit., 31, 55; G. Mirabelli, op. cit., 246; D. Carresi, Il contratto, in Tratt. Cicu-Messineo, t. II, Giuffrè, 1987, 605).

[126] Così in M. Faccioli, op. cit., 188 e 189.

[127] R. Lenzi, Della condizione, cit., 328 ss. Una siffatta interpretazione, volta a scorgere anche un obbligo di agire attivamente per la conservazione della situazione della controparte, è del resto in linea con il significato della Relazione al codice civile sul punto (n. 620).

[128] Per un ampio catalogo delle svariate iniziative esperibili cfr. A. Falzea, La condizione, cit., 210 e 211; M. Astone, op. cit., 151 ss., 165 ss. Gli obblighi scaturenti dall’art. 1356 cod. civ. potrebbero qualificarsi come obblighi di protezione, in quanto accedono al rapporto condizionato e gravano sia sul titolare del diritto precario sia sul titolare dell’aspettativa, a garantire, in costanza dell’incertezza condizionale, l’integrità delle rispettive sfere giuridiche (cfr. L. Mengoni, Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi» (Studio critico), Giuffrè, 1954, 368, spec. nota 12).

[129] G. Lazzaro, Comportamento delle parti in pendenza di condizione, in Giust. civ., 1969, I, 1, 1723.

[130] D. Carusi, op. cit., 96; M. Astone, op. cit., 159 ss.; R. Lenzi, op. ult. cit., 331 ss., V. Putortì, Pendenza della condizione e tutela del contraente fedele, in Rass. dir. civ., 2011, 158 ss.

[131] L. Bigliazzi Geri, Buona fede, in Dig. disc. priv. (sez. civ.), I, Utet, 1987, 185. Emerge così l’ascrivibilità dell’art. 1358 cod. civ. al novero delle regole di comportamento, essendo tale disposizione congegnata per disciplinare, al contrario delle regole di validità, le conseguenze di comportamenti materiali scorretti. Per la distinzione tra le due categorie si vedano G. D’Amico, “Regole di validità” e principio di correttezza nella formazione del contratto, Edizioni Scientifiche Italiane, 1996 e ID., Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ., I, 2002, 38 ss., nonché A. Albanese, Contratto mercato e responsabilità, Giuffrè, 2008, 181 ss.; cfr. anche A. Renda, Obblighi informativi e responsabilità precontrattuale da contratto valido, in Jus. Rivista di scienze giuridiche, 2020, 109 ss. Del resto, anche all’art. 1357 cod. civ. è estraneo un giudizio sulla legittimità o illegittimità degli atti dispositivi compiuti pendente condicione in quanto tali (L. Bruscuglia, op. cit., 106-107 in nota). L’obbligo di buona fede di cui all’art. 1358 cod. civ., vietando ogni contegno lesivo delle ragioni dei contraenti del negozio sub condicione, viene espressamente qualificato come “obbligo secondario di omissione”, species degli obblighi integrativi strumentali, da L. Mengoni, op. ult. cit., 370, a conferma, altresì, dell’afferenza della disposizione alle regole di comportamento.

[132] A. Falzea, Efficacia, cit., 485.

[133] A.C. Pelosi, op. cit., 42.

[134] Ivi, 143.

[135] «… e nessun miracolo potrà cancellarli» (L. Barassi, op. cit., 171). Oltretutto, come autorevolmente osservato, la retroattività è una valutazione normativa e come tale non influisce sulle situazioni di fatto (L. Mengoni, Gli acquisti, cit., 187).

[136] La prospettiva di coloro (M. Faccioli, op. cit., 163 e S. Maiorca, op. cit., 274) che adducono l’afferenza della condizione al negozio e non al diritto è chiaramente viziata da quell’eccesso di “meccanicismo” che per diverso tempo ha oscurato l’effettiva portata funzionale e conformativa della condizione di cui si è detto, relegando l’istituto a un ruolo accessorio del negozio. Si veda però la peculiare impostazione di G. Amadio, op. cit., 390 il quale ritiene il negozio risolubile, pendente condicione, come fattispecie a ciclo formativo non esaurito, parlando di una «proprietà in divenire». Salvo poi concludere, riferendosi a Pelosi, che un «determinato schema di qualificazione della condotta (id est: mancata titolarità del diritto pieno) può anche intendersi come riferibilità allo stesso di uno schema diverso (titolarità del diritto risolubile) […] al di là di questo, il contributo di conoscenza fornito dalla teorica del diritto risolubile non può essere seriamente contestato» (Ivi, 395).

[137] C.M. Bianca, Il contratto, cit., 539.

[138] Approfondisce la diversa modalità di incisione G. Tatarano, La condizione, cit., 80 ss., osservando che nelle situazioni di tipo obbligatorio la condizione incide sul piano dell’esecuzione del regolamento; diversamente, in quelle traslative, essa indica che al momento della conclusione del contratto le parti non dispongono di tutti elementi per decidere immediatamente dell’effetto reale e consente, perciò, di selezionare i rispettivi interessi in funzione dell’acquisizione del dato mancante.

[139] G. Amadio, op. cit., 400: lo schema proprietario «non potrà dirsi operante “in modo pieno ed esclusivo”, durante la pendenza, nei confronti di nessuna delle due parti del negozio condizionato».

[140] A.C. Pelosi, op. cit., 449.

[141] Ivi, 448 ss.

[142] Ibidem.

[143] Per il mantenimento della distinzione tra il numerus clausus (Typenzwang) e la tipicità (Typenfixierung) dei diritti reali, vedasi M. Comporti, Diritti reali in generale, in Tratt. Cicu-Messineo, Giuffrè, 1980, 217 ss., laddove il primo attiene all’esclusività della fonte, mentre il secondo alla determinazione del contenuto, cioè del “tipo” della situazione reale. Per la valenza ancora attuale dei principi si veda A. Natucci, Numerus clausus e analisi economica del diritto, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2011, 319 ss. e E. Baffi, The Efficiency Function of the Numerus Clausus Principle of Property Rights in Land, in The Italian Law Journal, 2023, 33 ss.

[144] L’appartenenza è la qualificazione distintiva della titolarità soggettiva di tutti i diritti reali, e si contrappone alla spettanza, predicato dei diritti di credito. L’appartenenza è riscontrabile in diverse gradazioni di intensità, dal grado massimo nella proprietà a quello minimo nei diritti reali di godimento (D. Barbero, Sistema del diritto privato, a cura di A. Liserre e G. Floridia, Utet, 1988, 447 ss.; Id., L’usufrutto e i diritti affini, Giuffrè, 1952, 22). Così anche S. Rodotà, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata, Il Mulino, 1981, 255. In senso contrario, l’appartenenza sarebbe un attributo del solo diritto di proprietà secondo L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F.D. Busnelli, U. Natoli, Diritto civile, 2, Diritti reali, Utet, 1988, 38 ss. Distingue l’appartenenza dalla spettanza secondo un criterio temporale, P. Perlingieri, Introduzione alla problematica della «proprietà», Jovene, 1971, 106 ss., a mente del quale la prima si riferirebbe all’attualità della situazione soggettiva, mentre la seconda a una mera potenzialità di acquisto della titolarità definitiva. Propendono, invece, per una nozione di appartenenza quale imputabilità presupposta a tutte le situazioni soggettive, rischiando, tuttavia, di rendere più liquido il confine tra situazioni patrimoniali reali e personali, M. Giorgianni, Contributo alla teoria dei diritti reali di godimento su cosa altrui, Giuffrè, 1940, 163 ss.; L. Barassi, Proprietà e comproprietà, Giuffrè, 1951, 7; S. Pugliatti, La proprietà nel nuovo diritto, Giuffrè, 1964, 132; M. Costantino, La proprietà in generale, in Trattato Rescigno, 7, 1, Utet, 2005, 258. Su questa linea anche V. Confortini, Primato del credito. Responsabilità patrimoniale ed espropriazione privata nell’economia del debito, Jovene, 2021, 33 ss., che, sull’adesione alle teorie patrimonialistiche “pure”, discorre del diritto di credito come forma di appartenenza di un’utilità economica corrispondente, cioè, a una «porzione ideale del patrimonio del debitore». La tesi trova specifica confutazione in C. Castronovo, op. cit., 718 ss., attraverso la convinta ri-affermazione dell’incommensurabilità tra la dimensione relazionale del rapporto obbligatorio e l’appartenenza di matrice reale. Più enfaticamente, è stato osservato che l’edulcorazione del confine tra diritti reali e di credito costituirebbe «una tragedia per il ragionamento giuridico essendo la presa in carico della multiforme varietà delle cose e dei beni, essenziale ai fini di una qualunque adesione a criteri di giustizia» (A. Gambaro, La proprietà. Beni, proprietà, possesso, in Tratt. Iudica-Zatti, II ed., Giuffrè, 2017, 149 ss.).

[145] S. Rodotà, Proprietà (diritto vigente), in Noviss. Dig., XIV, Utet, 1966, 145, sia pur senza specifico riferimento alla proprietà risolubile.

[146] L. Mengoni, Gli acquisti «a non domino», cit., 190.

[147] Ibidem. Analogamente, A. Albanese, La vendita con riserva della proprietà, in Trattato dei contratti, diretto da V. Roppo, Giuffrè, 2014, 481 e G. Cattaneo, Riserva della proprietà e aspettativa reale, cit., 965.

[148] U. Natoli, La proprietà. Appunti delle lezioni, Giuffrè, 1976, 204 e 207. A. Gambaro, op. cit., 228: «Qualunque cosa si voglia indicare con l’elemento della perpetuità, infatti, è certo che nessun proprietario lo è». A parte l’icastico assunto, lo stesso Autore precisa che la perpetuità esprime la connessione della durata sine die del diritto con il bene che ne costituisce oggetto, indicando, dunque, un’attitudine del diritto a sopravvivere alle vicende della vita del dominus, in caso di trasferimento inter vivos o di trasmissione mortis causa. Così intesa, la perpetuità sarebbe solamente una regola di chiusura del sistema, tesa a garantire la descritta caratterizzazione dell’istituto proprietario, nonché a differenziarlo rispetto agli altri diritti reali (id est, l’usufrutto). Il valore descrittivo assegnato a una siffatta nozione di perpetuità, tuttavia, non predica la necessaria inderogabilità della stessa, e si pone su un diverso piano rispetto a quello del vaglio di cittadinanza di proprietà limitate nel tempo (cfr. infra, nota 156). Contra F. De Martino, Proprietà, Artt. 810-1172, in Comm. Scialoja-Branca, Zanichelli, 1976, 150-151.

[149] M. Allara, Le nozioni fondamentali del diritto civile, V ed., Giappichelli, 1958, 597, che inquadra l’usufrutto come «complesso di rapporti giuridici patrimoniali costituito da un rapporto reale (proprietà temporanea) e da una pluralità di obbligazioni propter rem» (Ivi, 720).

[150] M. Allara, La proprietà temporanea, in Il Circolo giuridico, 1930, 69 ss.

[151] S. Pugliatti, Istituzioni di diritto civile, V, Giuffrè, 1938, 12-13.

[152] F. Santoro-Passarelli, Proprietà, in Enc. del Novecento, V, Treccani, 1981, 660. Di talché, come coerentemente osservato da R. Caterina, Usufrutto e proprietà temporanea, in Riv. dir. civ., 1999, 717, la divergenza di tali Autori rispetto alla teoria di Allara, da loro divisata, è solo nominalistica in quanto gli stessi incorrono, come Allara, nell’assimilare la proprietà temporanea all’usu­frutto.

[153] In altri termini: tempus non deminuit jus. L. Barassi, Proprietà e comproprietà, Giuffrè, 1951, 91; U. Natoli, La proprietà, cit., 203 ss.; L. Bigliazzi Geri, Usufrutto, uso e abitazione, in Tratt. Cicu-Messineo, Giuffrè, 1979, 30; A. De Cupis, Pienezza e perpetuità della proprietà, in Riv. dir. civ., 1982, I, 165 ss.

[154] A. Palermo, L’usufrutto, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, VII, Utet, 1984, 101.

[155] L’assurdità, anche economica, di ritrarre nel sistema una proprietà temporanea che si ponga negli stessi modi e con la stessa ampiezza di quella “perpetua” è stata chiosata, in modo condivisibile, da R. Caterina, I diritti sulle cose limitati nel tempo, Giuffrè, 2000, 334.

[156] Come correttamente precisato da A. Natucci, La tipicità dei diritti reali, Cedam, 1988, 254. Tra le ipotesi tipiche di proprietà temporanea si individuano la proprietà superficiaria a tempo determinato e il legato a termine iniziale, in capo all’erede, o finale, in capo al legatario (Cfr. U. Natoli, La proprietà, cit., 219 ss. e 229 ss.). Secondo A. Gambaro, op. cit., 230, la presenza di figure legali di proprietà temporanee create da negozio giuridico dovrebbe far propendere per l’insussistenza di un generale divieto di istituire forme proprietarie ad tempus.

[157] C.M. Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, Giuffrè, 1999, 157 ss. Tuttavia, avverso tali obiezioni si può precisare che il principio del consenso traslativo opera senza depotenziamenti, pur se risulti apposto un termine o una condizione. Il principio consensualistico, infatti, non statuisce l’immediatezza dell’effetto traslativo, quanto il fatto che esso si produca direttamente, cioè senza necessità di ulteriori atti rispetto al contratto (P. Sirena, Il principio del consenso traslativo, in M. Costanza, Effetti, Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, III, Giuffrè, 2023, 44).

[158] Se fortemente discussa è l’ammissibilità di una vendita a termine finale, la dottrina è, invece, consenziente sulla possibilità, avallata dalla previsione di cui all’art. 1465, co. 2 cod. civ., di apporre un termine iniziale al contratto traslativo della proprietà, (cfr. C.M. Bianca, op. ult. cit., 156; P. Sirena, op. cit., 43, nota 86; V.M. Trimarchi, Termine, cit., 105 ss., 108; E. Russo, Termine (dir.civ.) I) In generale, in Enc. giur., XXXI, Treccani, 1994, 13). Anche tra il compimento del negozio giuridico e il sopraggiungere del termine si individua una situazione di pendenza (M. Astone, op. cit., 127) con il relativo insorgere di un’aspettativa, la quale, tuttavia, per la certezza dell’evento dedotto nel termine, è un quid pluris rispetto all’aspettativa condizionale (D. Barbero, Sistema, cit., 278 e A.C. Pelosi, Aspettativa, cit., 468). Stante la certezza dell’attribuzione del diritto alla scadenza del termine, dovrà ammettersi a fortiori la tutela giuridica apprestata dalla legge per l’aspettativa condizionale (Ibidem).

[159] C.M. Bianca, La proprietà, cit., 157; D. Carresi, op. cit., 600; E. Russo, op. ult. cit., 10; A. Spatuzzi, La temporaneità del dominio, tra dato sistematico ed esigenze qualificatorie, in I contratti, 2018, 849. Contra, N. Di Prisco, La proprietà temporanea, Editoriale Scientifica, 1979, 138; A. Scacchi, op. cit., 79 ss.; seppur cautamente, D. Carusi, op. cit., 277, il quale, peraltro, ponendo al vaglio la configurabilità della proprietà temporanea, sostiene che «l’ammissione – con la disciplina della condizione – di una “proprietà risolubile” comport[a] implicitamente, ed in via generale, la disponibilità del sistema anche nei confronti di una proprietà “risolvenda”».

[160] Recentemente, a favore della proprietà temporanea A. Bellorini, La proprietà e il tempo. Esercizio di insubordinazione, Cacucci, 2022. Guardando alle dinamiche circolatorie già vagliate con riferimento alla circolazione dei diritti sub condicione (cfr. supra, § 3.2) anche chi propende per l’ammissibilità della proprietà temporanea sottolinea l’esigenza di affrontare con cautela e chiarezza nel coordinamento tra perpetuità e temporaneità delle situazioni dominicali (U. Mattei, I diritti reali, 1, La proprietà, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Utet, 2001, 242; cenni in tal senso anche in D. Barbero, Sistema, cit., 456). Ciò per impedire che l’introduzione nel mercato di un dominio temporaneo, anche in virtù dell’intenso sfruttamento di un bene nel breve periodo, possa incidere sulla spendibilità dei beni stessi e aumentare i costi transattivi. Tali riserve, peraltro di natura squisitamente economica, potrebbero sciogliersi osservando che la circolazione dei diritti temporanei verrebbe regolata dai medesimi principi previsti per quelli sub condicione. Infatti, viene riconosciuta (A. Di Majo, op. cit., 197) al negozio a termine l’appli­cabilità dell’art. 1357 cod. civ. Anche alla circolazione dei diritti a termine finale, dunque, si estende il fondamento normativo sul quale si basa l’opponibilità ai terzi della conformazione delle situazioni condizionate. A ciò si aggiunge la generale trascrivibilità dei negozi a termine – anche finale – giusta l’art. 2659 cod. civ. (U. Natoli, Trascrizione, in Commentario cod. civ., Utet, 1971, 27 ss.).

[161] A.C. Pelosi, op. cit., 450 in nota 52; A. Di Majo, op. cit., 194 in nota 29; O. T. Scozzafava, La proprietà, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno e coordinato da A. Zoppini, La proprietà e il possesso, vol. II, t. II, Giuffrè, 2009, 70.

[162] Il distinguo è tracciato esattamente da U. Natoli, La proprietà, cit., 218 e 219. Sul punto anche C. Varrone, Il trasferimento della proprietà a scopo di garanzia, Jovene, 1968, 205 ss. L’instabilità accomuna anche la c.d. proprietà in garanzia, la quale è ritenuta, dai fautori della sua ammissibilità, esposta all’eventualità della definitiva attribuzione in favore del creditore, in caso di inadempimento del debitore, oppure alla retrocessione a quest’ultimo in caso di adempimento dell’obbligazione garantita. Sul punto cfr. F. Anelli, L’alienazione in funzione di garanzia, Giuffrè, 1996, 327 ss., 334 ss., 383 ss., il quale ribadisce la meritevolezza di una riflessione volta a mettere in luce la vicinanza delle situazioni soggettive del negozio traslativo in funzione di garanzia con quelle del negozio sub condicione o della vendita con riserva di proprietà. Come nel caso della proprietà risolubile, in quella dell’alienazione in garanzia sussiste una «connotazione programmatica del trasferimento» nelle forme di una funzionalizzazione allo scopo di garanzia. Sennonché, nel caso della proprietà oggetto di alienazione in funzione di garanzia lo sforzo esegetico pare assai maggiore: gli interpreti sono chiamati a interrogarsi sull’ammissibilità della causa sottesa e dell’eventuale effetto conformativo sulla proprietà, frutto di una determinazione certamente atipica. Di contro, la conformazione proprietaria operata dalla condizione e le implicazioni negoziali correlate trovano sicuro appiglio codicistico nel modello negoziale ex artt. 1353 ss. cod. civ.

[163] N. Di Prisco, op. cit., 99; A. Natucci, op. cit., 247. Così inquadrata, la temporaneità non è riscontrabile nelle posizioni del fiduciario e del mandatario senza rappresentanza, nelle quali la transitorietà deriva dalla strumentalità delle situazioni in capo a tali soggetti. In queste ipotesi, infatti, la situazione di appartenenza «episodica» si accompagna all’insorgenza di obblighi in capo al mandatario o al fiduciario, dettati dalla finalità cui la proprietà è destinata, che non incidono, come nel caso della proprietà temporanea, direttamente sulla struttura e sul contenuto del diritto (specificamente per tale discrimine, U. Natoli, op. cit., 214 ss.).

[164] A.C. Pelosi, op. cit., 445.

[165] A. Belfiore, op. cit., 210 in nota: il diritto reale sub condicione (o sottoposto a termine) «è sì atipico, epperò non già nel senso che non risulta previsto e disciplinato nel nostro codice, ma soltanto perché sprovvisto di una propria nomenclatura legislativa».

[166] Sul tema della conformazione di matrice negoziale si veda, invece, F. Mezzanotte, La conformazione negoziale delle situazioni di appartenenza, Jovene, 2015.

[167] Contra M. Costanza, Il contratto atipico, Giuffrè, 1981, 169 ss., per una posizione favorevole all’ammissibilità della costituzione di diritti reali atipici attraverso una valorizzazione dell’art. 1322 cod. civ. (con il solo limite dell’ordine pubblico, della illiceità e della meritevolezza dell’interesse perseguito) e un correlato depotenziamento del numerus clausus.

[168] N. Di Prisco, op. cit., 144 ss. È questo un ulteriore comune dato tra la proprietà risolubile e quella temporanea. Analogamente alla condizione, la modalità cronologica impressa con il termine è destinata a incidere il contenuto della situazione soggettiva e a non rimanere un elemento operante ab extrinseco (A. Di Majo, Termine, cit., 194). Anche secondo F. Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. Cicu-Messineo, Giuffrè, 1988, 129, il termine finale opererebbe sul piano del contratto non come atto ma come rapporto, inerente al complesso delle situazioni soggettive, determinandone la cessazione. Tuttavia, occorre precisare che, dopo aver dimostrato che la conformazione spiegata dall’elemento condizionale sul diritto oggetto di negoziazione va esente dalle problematiche interpretative invece sussistenti per il termine, le condivisibili considerazioni di Di Prisco svolte sulla proprietà temporanea («il termine del negozio è termine del diritto») sembrano più fondatamente valevoli per la proprietà risolubile. L’insensibilità del diritto rispetto al termine apposto al negozio sembra, invece, emergere in A. Bellorini, La proprietà e il tempo, cit., 57 ss., il quale ha recentemente tratteggiato la proprietà temporanea come titolarità temporanea di un diritto intrinsecamente perpetuo, scindendo qualitativamente la titolarità dal contenuto della situazione soggettiva.

[169] Riferimenti anche in R. Caterina, op. ult. cit., 339 in nota 15. Per una traduzione inglese della disposizione richiamata, si veda P.P.C. Haanappel, E. Mackaay (translated by), Nieuw Nederlands Burgerlijk Wetboek Het Vermogensrecht, Kluwer Law and Taxation, 1997, 49: «Where delivery is made in the performance of a conditional obligation, the right so acquired is subject to the same condition as the obligation» (corsivo aggiunto). V’è chi (E. Bilotti, Proprietà temporanea, usufrutto e tipicità delle situazioni di appartenenza, in Riv. not., 2013, I, 1312-1313 in nota) sostiene che ai fini dell’ammissibilità della proprietà temporanea sia necessaria, oltre a una chiarificazione interpretativa, quella operata dai fautori della figura, anche una presa di posizione del legislatore, sgombrando ogni equivoco di assimilazione della proprietà temporanea a un usufrutto non vitalizio. Si potrebbe ipotizzare la medesima obiezione nei confronti della proprietà risolubile, paventando un’esigenza di tipizzazione. Sennonché, proprio il riferimento al codice civile olandese dimostra che la proprietà risolubile altro non è che la specificazione della proprietà conformata dall’ap­posizione della condizione al negozio, di tal che l’esplicitazione normativa nulla aggiungerebbe all’individuazione della categoria a partire dalla riflessione sull’atteggiarsi della disciplina ex artt. 1353 ss. cod. civ. rispetto alle situazioni di appartenenza negoziate condizionatamente. Parzialmente similare alla disposizione olandese citata, nella formulazione e nella ratio, è il riferimento al Draft Common Frame of Reference, VIII, 2:203 (“Transfer subject to condition”): «(1) Where the parties agreed on a transfer subject to a resolutive condition, ownership is re-transferred immediately upon the fulfilment of that condition, subject to the limits of the re-transferor’s right or authority to dispose at that time. A retroactive proprietary effect of the re-transfer cannot be achieved by party agreement. (2) Where the contract or other juridical act entitling to the transfer of ownership is subject to a suspensive condition, ownership passes when the condition is fulfilled».

[170] Il concetto di conformazione del diritto di proprietà, consistente nei vincoli e nei limiti derivanti dallo stesso ordinamento giuridico (ultima parte dell’art. 832 cod. civ.), è ormai acquisito alla dottrina (ex multis, cfr. A. Gambaro, La proprietà, cit., 253 ss.).

[171] Funzionalizzazione dello schema legale della proprietà che può essere imposto solo dalla legge (S. Pugliatti, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile. Metodo, Teoria, Pratica, Giuffrè, 1951, 276).

[172] S. Pugliatti, La proprietà nel nuovo diritto, cit., 309; sulla pluralità degli statuti proprietari cfr. spec. 145 ss.

[173] A.C. Pelosi, op. cit., 379. R. Caterina, op. ult. cit., 59 ss., 109 ss.

[174] A.C. Pelosi, op. cit., 382 ss.

[175] Ivi, 384 ss. Impedire aprioristicamente il mutamento della destinazione significherebbe attuare il rischio, già scongiurato, di un sacrificio dell’interesse di una delle parti del negozio oltre che quello più generale all’accrescimento della ricchezza. A differenza del proprietario futuro, il quale sa che dovrà sopportare le conseguenze delle scelte del dominus ad tempus, non sarebbe ragionevole per il proprietario risolubile vedersi paralizzata la gestione di un bene in nome di una semplice eventualità (così R. Caterina, op. ult. cit., 107).

[176] A.C. Pelosi, op. cit., 416 ss.

[177] L’obbligo di diligenza del titolare della proprietà risolubile si atteggia diversamente da quello previsto in materia di usufrutto all’art. 1001, co. 2, cod. civ., derivando il primo dalla specifica previsione dell’obbligo di buona fede da parte dell’art. 1358 cod. civ. (Ivi, 388 ss.).

[178] Ivi, 394 ss.

[179] In particolare, Ivi, 401, secondo il quale, in applicazione dei principi generali ex art. 2041 cod. civ. e della disciplina in materia di usufrutto, il proprietario risolubile avrebbe diritto, per i miglioramenti, al rimborso della minor somma tra l’importo della spesa e l’aumento di valore del bene (art. 985 cod. civ.). Sempre per analogia sarebbe applicabile, per le addizioni, l’art. 986 cod. civ. (ivi comprese quelle che alterino la destinazione economica della cosa, cfr. supra, nota 175).

[180] Cfr. supra, § 3.1.

[181] Analogamente, A.C. Pelosi, op. cit., 449. Si può intravedere una somiglianza con i fautori della proprietà temporanea rispetto a quanto si verifica allo scadere del termine finale, cioè l’estinzione (rectius, «esaurimento del contenuto del diritto stesso»: M. Allara, La proprietà temporanea, cit., 75) del dominio attuale, ad tempus, e il suo riacquisto automatico in capo all’alienante (A. Natucci, op. cit., 251).

[182] Più distante si pone l’elaborazione dogmatica avanzata da A.C. Pelosi, op. cit., 430, il quale, contestualmente a un faticoso abbandono dello schema proprietario, finisce per abdicare a incasellare sia la proprietà risolubile sia quella temporanea nel reticolato tipico, relegandola a una sorta di limbo tra la proprietà e gli altri diritti reali. Sennonché, l’individuazione da parte di Pelosi di un tertium genus, nel quale far refluire i diritti “corti”, non contribuisce alla chiarezza complessiva del sistema (così anche A. De Cupis, op. cit., 169). D’altro canto, va osservato che la tendenza a una «ipostatizzazione di una generale nozione di proprietà comprensiva di tutti i diritti reali non qualificabili come diritti su cosa altrui», denunciata da A.C. Pelosi (Ivi, 434), potrebbe risiedere, come evidenziato da R. Caterina, op. ult. cit., 333 ss., nella rigida dicotomia, insita nel sistema, tra proprietà e iura in re aliena di derivazione romano-pandettistica. Secondo l’Autore, un sistema dei diritti reali siffatto, imperniato sopra tale tradizionale bipartizione, sarebbe stato d’ostacolo a una compiuta riflessione sui “diritti corti” e sulla proprietà risolubile. Ciononostante, si è puntualizzato che «la sensazione che si preannunci un cambiamento epocale pare francamente eccessiva» (Ivi, 340) e che si tratti non tanto di un superamento della tradizionale tassonomia in seno ai diritti reali quanto di un mutamento nella sensibilità di concettualizzazione e, come nel caso della proprietà risolubile, di «affrontare figure non necessariamente nuove» (Ibidem). Del resto, «non si può negare aprioristicamente la possibilità di nuove interpretazioni, che attribuendo alle norme e agli istituti esistenti un contenuto differente da quello prima accolto dalla dottrina e giurisprudenza, adattino il sistema alle mutate esigenze della vita pratica» (G. Cattaneo, op. cit., 953).

[183] G. Petrelli, Pendenza della condizione e tutela dei creditori, cit. e Id., Proprietà fiduciaria, art. 2645-ter e condizione, cit.

[184] G. Petrelli, Pendenza, cit., 898.

[185] Cfr. supra, nota 121.

[186] Salvo che le parti abbiano circoscritto l’avveramento della condizione entro un termine.

[187] Ciò esclude la possibilità di estendere analogicamente la durata massima prevista per l’art. 2645-ter cod. civ. come ipotizzato da G. Petrelli, Proprietà, cit., 550.

[188] Come sostenuto da G. Petrelli, Pendenza, cit., 912-913.

[189] M. Faccioli, op. cit.,177; A. Belfiore, op. cit., 201 ss.; D. Carresi, op. cit., 612; A.C. Pelosi, op. cit., 121 e 424 ss. L’autonomia delle situazioni giuridiche “intermedie” nella pendenza, risultante dall’irrilevanza della retroattività, conferma l’assenza di una limitazione cronologica in seno alla responsabilità patrimoniale. Infatti, anche i creditori del titolare interinale possono aggredire, in costanza della pendenza, il diritto risolubile. Diversamente, l’agire retroattivo della condizione imporrebbe di statuire solamente ex post sulla facoltà dei creditori della pendenza di espropriare o meno la situazione condizionata, a seconda dell’avveramento o meno della condizione, ingenerando, così, un discrimen temporale nella compagine creditoria.

[190] G. Petrelli, Proprietà, cit., 539: «La proprietà destinata o fiduciaria rientra nel più ampio genus delle proprietà nell’interesse altrui: categoria, quest’ultima, nell’ambito della quale si collocano altri due importanti istituti: la proprietà temporanea, e la proprietà condizionata o risolubile».

[191] Vedasi A. Renda, Donation-based crowdfunding, raccolte fondi oblative e donazioni “di scopo”, Giuffrè, 2021, 101-102, in nota 55, dove ci si domanda se effettivamente sia ancora un diritto soggettivo la situazione nella quale le facoltà sono a esercizio vincolato al soddisfacimento esclusivo di un interesse altrui. Da qui il richiamo a G.L. Pellizzi, La società persona giuridica: dove è realtà e dove è vuota formula (esperienza delle banche), in Riv. dir. civ., 1981, 488: «da che mondo è mondo, la titolarità d’un diritto è riconosciuta al titolare dell’interesse che quel diritto protegge: altrimenti bisognerebbe sovvertire […] non solo la teoria dei soggetti, bensì’ quella stessa del diritto soggettivo».

[192] Cfr. supra, § 3.2.

[193] A. De Donato, L’interpretazione dell’art. 2645-ter. Prime riflessioni della dottrina e della giurisprudenza, in Dal Trust all’atto di destinazione patrimoniale. Il lungo cammino di un’idea, a cura di M. Bianca, A. De Donato, Quaderni Fondazione Italiana Notariato, 2013, n. 2; G. D’Amico, La proprietà «destinata», in Riv. dir. civ., 2014, 541 ss.; A. Renda, op. cit., 487 ss. Contra G. Petrelli, Proprietà, cit., 549.

[194] Ivi, 548.

[195] Ibidem.

[196] Con riguardo alla natura polifunzionale della condizione cfr., del resto, proprio G. Petrelli, La condizione “elemento essenziale” del negozio giuridico. Teoria generale e profili applicativi, Giuffrè, 2000, 71 ss. dove, sottolineando l’inesistenza di un unico paradigma di interessi tutelati, viene illustrato un articolato catalogo di situazioni e modalità di condizionamento del negozio a seconda del diverso atteggiarsi degli interessi dei contraenti. Per il rapporto tra motivi e interessi si veda la teoria di A. Falzea, La condizione, cit., 80 ss., nonché P. Rescigno, op. cit., 765 e 766. La concezione tradizionale e meccanicistica del duplice piano di interessi di A. Falzea, Condizione, cit., 2, vede la compresenza di un interesse interno corrispondente al programma negoziale e uno esterno equivalente a quello interno ma di segno negativo e qualificato come “controprogramma”, consistente, cioè, in una volontà contraria alla negoziazione in caso di mancato avveramento dell’evento. La tesi di Falzea, caratterizzata da «un’esasperazione della logica della fattispecie» (G. Amadio, La monografia sulla condizione e la teorica degli elementi dell’atto giuridico, in Riv. dir. civ., 2017, 1039) è stata ormai rivisitata, in favore di una prospettiva funzionale tesa a valorizzare la duttilità e dunque la multifunzionalità dell’elemento condizionale (G. Amadio, La condizione, cit., 296 ss.). È stato detto che «l’impostazione fondata sul duplice piano di interessi di segno opposto, appiattisce la descrizione del rapporto tra meccanismo condizionale e interesse delle parti» (G. Amadio, La monografia, cit., 1038). Attesa la coesistenza della programmazione di un assetto di interessi con la valutazione delle circostanze incidenti su quell’assetto, la condizione garantisce non solo la realizzazione concreta del regolamento ma anche la valorizzazione di interessi ulteriori ma collegati a quelli disciplinati dalla regola negoziale (G. Amadio, La condizione, cit., 174 ss.).

[197] Le fattispecie legali di proprietà risolubile sono rinvenibili anche nella posizione dell’istituito sotto vincolo fedecommissario (nei limiti in cui ha cittadinanza il fedecommesso successivamente alla riforma di cui alla L. 19 maggio 1975, n. 151) e in quella dell’acquirente della vendita con patto di riscatto (A.C. Pelosi, op. cit., 277 ss.). Proprio con riferimento alla vendita con patto di riscatto, in giurisprudenza (App. Napoli, sez. III, 19-11-2009, n. 3432), pur non abbandonandosi la retroattività condizionale, è stato affermato che «deve ritenersi pienamente ammissibile la c.d. proprietà risolubile, da distinguersi da quella temporanea proprio perché viene meno retroattivamente. In particolare si ha proprietà risolubile quando il diritto può venir meno per un accadimento dedotto in contratto tra le parti ovvero previsto dalla stessa legge […]».

[198] A.C. Pelosi, op. cit., 216; M. Costanza, La condizione, cit., 931 ss. e 941; P. Rescigno, op. cit., 784.

[199] G. Cattaneo, op. cit., 977.

[200] Ivi, 994.

[201] R. Calvo, Situazioni di appartenenza e garanzia nella riserva di proprietà, in Riv. dir. civ., 2015, 875. La parvenza che l’acquirente sia titolare di una situazione mediana e sfornita di pienezza è avvertita anche da A. Luminoso, La vendita, in Tratt. Cicu-Messineo, Giuffrè, 2014, 698 e da A. Caprioli, La vendita di immobili con riserva della proprietà, in Not., 2022, 131, ove si postula il riconoscimento in capo all’acquirente con patto di riservato dominio di un potere sulla cosa che «pur non assurgendo ancora al livello del diritto di proprietà, presenta certamente le caratteristiche dell’inerenza e dell’assolutezza tipiche del diritto reale di godimento». Orizzonte interpretativo, questo, condiviso anche da M. Comporti, Diritti reali. I) Diritto Civile, in Enc. giur., VII, Treccani, 1989, 7, il quale, discostandosi dalla qualificazione in termini di aspettativa reale o di diritto pieno di proprietà, si riferisce alla situazione dell’acquirente ex art. 1523 cod. civ. come un «tipo particolare di proprietà, a contenuto ridotto, con possibilità di perdita della situazione per il mancato pagamento delle rate del prezzo» e dunque ascrivibile a «tipi particolari di proprietà ridimensionati nel loro contenuto».

[202] A.C. Pelosi, op. cit., 197.

[203] Ivi, 194, 247. C.M. Bianca, La vendita e la permuta, I, II. ed., Utet, 1993, 588-589 e 594; A. Albanese, La vendita, cit., 501.

[204] F. Naddeo, Artt. 1523-1526, in Comm. Gabrielli, Dei singoli contratti, I, 1, a cura di D. Valentino, Utet, 2011, 469 e 470; R. Calvo, op. cit., 863 ss. Viene segnalata la complessiva versatilità dello strumento negoziale, tra gli altri, da A. Torroni, La vendita a rate con patto di riservato dominio. Alla riscoperta di un istituto antico ma sorprendentemente efficiente, in Riv. not., 2018, 760 ss.

[205] A.C. Pelosi, op. cit., 194.

[206] G. Cattaneo, op. cit., 977; R. Calvo, op. cit., 875.

[207] B.G. Carpino, Vendita con riserva di proprietà, in Tratt. Rescigno, 11, Utet, 1984, 318; P. Greco, G. Cottino, Della vendita, Artt. 1470-1547, in Comm. Scialoja-Branca, II ed., Zanichelli, 1981, 363; G. Gazzara, La vendita obbligatoria, Giuffrè, 1957, 216.

[208] A.C. Pelosi, op. cit., 202 e in nota 30.

[209] Accolta questa configurazione strutturale della vendita con riserva di proprietà, occorre precisare la differenza corrente con il rent to buy (di cui al d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla l. 11 novembre 2014, n. 164). Quest’ultimo si caratterizza per una struttura contrattuale bifasica nella quale il contratto di concessione di godimento dell’immobile si accompagna al successivo ed eventuale contratto di compravendita del bene in esecuzione dell’esercizio dell’opzione di acquisto in favore del conduttore. Il modello si differenzia, dunque, dallo schema unitario della vendita ex art. 1523 cod. civ., dal momento che viene scisso il godimento del bene con imputazione dei canoni di locazione dall’anticipo del prezzo che è invece proprio della vendita (M. Bianca, La vendita con riserva di proprietà quale alternativa al rent to buy, in Riv. dir. civ., 2015, 841 ss.). Analogamente alla vendita con riserva di proprietà, tuttavia, il trasferimento della situazione reale è convenzionalmente dilazionato rispetto alla consegna e al pagamento del prezzo. In entrambi i casi viene veicolata una funzione di garanzia per il tramite della realità delle situazioni soggettive coinvolte la quale, unitamente alla diluizione della controprestazione, definisce lo scopo pratico di finanziamento perseguito dall’operazione (G. Buset, Contratto, programma traslativo di scambio e godimento interinale, in Riv. dir. civ., 2019, 392). Tali analogie di funzione economica, tuttavia, si affiancano a vistose difformità di ordine giuridico. L’immissione nell’immediato godimento assume una distinta portata: il compratore ex art. 1523 cod. civ. con la stipulazione della vendita diventa titolare di una situazione giuridica reale con conseguenti oneri e rischi, mentre il godimento immediato nel rent to buy è quello del locatario e dunque corrisponde a una mera detenzione. Ancora, nel riservato dominio le rate pagate dal compratore sono il prezzo d’acquisto mentre nel rent to buy i canoni sono almeno in parte il corrispettivo del godimento del bene, fatta salva la facoltà di imputare parte dei canoni a corrispettivo in caso di acquisto del bene (A. Torroni, op. cit., 658 ss.). L’effetto traslativo nella vendita si realizza indipendentemente da una diversa e successiva manifestazione di volontà. Di contro, nel rent to buy l’acquisto è solo eventuale e subordinato alla manifestazione di una nuova volontà contrattuale (M. Bianca, op. ult. cit., 854 ss.). In sostanza, al netto delle ulteriori questioni in punto di regime cui soggiace il rent to buy (per le quali si rimanda ai contributi citati), il differimento del completamento del programma negoziale assume connotati diversi rispetto alla vendita con riserva di proprietà, a conferma che la posticipazione nel rent to buy non assume le fattezze dell’incertezza condizionale.

[210] Cass., 8 maggio 1990, n. 8051, in Rep. giur. it., 1990. Occorre poi ricordare come la giurisprudenza (Cass., 31 luglio 2018, n. 20226) ricorra alla condizione di adempimento nel caso di sentenza di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo rispetto al pagamento del prezzo da parte del promissario acquirente, il quale pagamento oltre a essere prestazione essenziale del compratore funge da condizione sospensiva dell’effetto traslativo. Data l’ampiezza della tematica si rinvia in particolare a G. Amadio, La condizione, cit., passim; R. Lenzi, Condizione, cit., spec. 48 ss.; G. Tatarano, La condizione, cit., 178 ss.; G. Petrelli, La condizione, cit., 431 ss. Con necessaria sintesi si può rammentare che il fatto condizionante costituito dall’adem­pimento conserva i connotati dell’incertezza atteso che non è dato sapere anticipatamente il suo concretarsi o meno. A essere dedotto come evento condizionante non è l’assunzione dell’obbligazione bensì il fatto materiale dell’adempimento dell’obbligazione. La valutazione dell’incertezza inerisce non alla fase di formulazione del programma negoziale, dato che il rapporto di scambio sorge completo, quanto alla sua fase esecutiva. Come osservato (G. Tatarano, op. ult. cit., 25), «qualsiasi comportamento che non sia contemporaneo al programma presenta sempre un profilo d’incertezza»; del pari, l’adempimento, ancorché dovuto, è volontario. Il comportamento esecutivo oggetto di prestazione è poi accidentale in quanto è successivo all’insorgenza dell’obbligo di pagamento del prezzo e non fa parte degli elementi essenziali. È poi fatto salvo il requisito dell’estrinsecità, dal momento che l’adempimento dedotto in condizione è diretto a soddisfare un interesse che si pone su un piano esterno, a incidere cioè sulla produzione di effetti negoziali e non in quello interno relativo al contenuto del programma contrattuale degli interessi, già in sé perfetto e valido.

[211] Per un esame più approfondito dell’ammissibilità della condizione risolutiva di inadempimento, delle obiezioni avanzate e del relativo superamento, A.C. Pelosi, op. cit. 217 ss. e 226 ss.; G. Amadio, op. cit., 377 ss.; G. Petrelli, op. ult. cit., 442 ss.

[212] A.C. Pelosi, op. cit., 220 ss. Va tuttavia precisato che lo stesso Autore ritiene che non possa trattarsi di vera e propria condizione, di tal che deriva l’applicazione solamente per via analogica e non diretta della disciplina condizionale. Secondo l’Autore (Ivi, 242), infatti, si sarebbe in presenza di una peculiare ipotesi di applicazione della condizione risolutiva che difetterebbe del requisito dell’estrinsecità. Diversamente dalla vera e propria clausola condizionale, che conferisce rilevanza a interessi “esterni” al negozio, qui, invece, la clausola di riserva, pur deducendo un evento (l’adempimento) futuro e incerto, inciderebbe «sulla realizzazione definitiva degli interessi negoziali». Tuttavia, tra i due istituti, vendita sotto condizione risolutiva e vendita con riserva della proprietà, permangono indubbie affinità strutturali e funzionali (Ivi, 225 ss.).

[213] Si deve segnalare, inoltre, che il parallelismo proposto non intacca il coordinamento con la disciplina della risoluzione per inadempimento posta dall’art. 1525 cod. civ. Stante quanto precisato, il mancato pagamento dell’ultima rata di prezzo incide solamente sull’effetto traslativo: verificatosi l’evento condizionale risolutivo, la proprietà risolubile del compratore si estingue ipso iure impedendo il definitivo trasferimento della proprietà al compratore. Ai fini dello scioglimento del contratto, come atto, rimane necessaria la proposizione di una domanda di risoluzione per inadempimento, l’eventuale sentenza di accoglimento della quale opera con efficacia costitutiva rispetto ai soli effetti obbligatori del contratto, mentre assume natura dichiarativa con riferimento all’accertamento del mancato pagamento dell’ultima rata di prezzo (così A.C. Pelosi, op. cit., 274 e R. Calvo, op. cit., 867).

[214] Cfr. supra, § 1.

[215] Puntualizzano l’inapplicabilità dello schema condizionale sospensivo alla vendita con riserva della proprietà anche L. Mengoni, Gli acquisti «a non domino», cit., 188 ss. e A. Albanese, La vendita, cit., 476.

[216] Nemmeno un accostamento al leasing traslativo consentirebbe di considerare come proprietario risolubile il venditore con riserva di proprietà, in luogo del compratore. La posizione dell’alienante ex art. 1523 cod. civ. si distingue nettamente dalla posizione del concedente nel leasing traslativo, il quale non può dirsi titolare di una proprietà risolubile nel significato qui accolto. La cessazione della situazione dominicale in capo al lessor è l’effetto dell’esercizio dell’opzione di acquisto da parte del lessee e non, come avviene nella vendita con riserva di proprietà, del pagamento dell’ultima rata di prezzo secondo l’automatismo tipico della subordinazione condizionale. Dunque, anche nel leasing traslativo, analogamente a quanto osservato nel rent to buy (cfr. supra, nota 209), la posticipazione del completamento del programma si connota diversamente dal differimento apportato nel negozio sub condicione dall’incertezza condizionale.

[217] All’opposto, l’inquadramento alla stregua di vendita con effetti obbligatori andrebbe incontro all’obiezione che l’effetto traslativo costituisce il risultato di un’attività doverosa del compratore (l’obbligazione di pagamento del prezzo), senza che sia necessario alcun atto ulteriore da parte del venditore (A. Albanese, La vendita, cit., 474).

[218] Si veda quanto richiamato in apertura del presente paragrafo, cfr. supra, note nn. 199 ss., spec. 208.

[219] M. Comporti, Contributo allo studio del diritto reale, Giuffrè, 1977, 374: «E così, l’acquirente nella vendita a rate sembra realizzare l’acquisto di un tipo peculiare di proprietà, con contenuto ridotto rispetto a quello tradizionale, con possibilità di perdita di tale situazione per mancato pagamento delle rate del prezzo» (corsivo aggiunto).

[220] La quale, come si sta per spiegare, stante l’adozione del modello condizionale risolutivo, è semmai ravvisabile in capo al venditore. L’inquadramento della posizione dell’acquirente in termini di aspettativa reale risale a G. Cattaneo, Riserva della proprietà, cit., 980 ss. Sul punto anche L. Mengoni, Gli acquisti, cit., 188 ss., il quale, previo riconoscimento della natura di aspettativa reale alla posizione del compratore, già prima che si produca l’effetto traslativo, qualifica come possesso e non come semplice detenzione la corrispondente situazione di fatto, ritenendola come tale idonea a determinare l’acquisto a non domino della proprietà. Nella disamina mengoniana, tuttavia, non si ravvisa alcun cenno alla qualificazione della posizione giuridica del venditore. Definisce, più genericamente, le posizioni del venditore e del compratore in termini di «duplice situazione reale con fondamento ed obiettivi diversi da quelli perseguiti dai tradizionali diritti reali tendenti allo sfruttamento del bene», F. Bocchini, La vendita di cose mobili, Artt. 1510-1536, in Comm. Schlesinger-Busnelli, II ed., Giuffrè, 2004, 674. Di situazione giuridica soggettiva reale dell’acquirente discorre anche S. Gatti, Le situazioni soggettive attive del compratore nella vendita con riserva di proprietà, in Riv. dir. comm., 1965, I, 478 ss.

[221] Cattaneo, op. cit., 977 ss.; Pelosi, op. cit., 231.

[222] Ivi, 249 ss.

[223] F. Bocchini, op. cit., 673; A. Albanese, op. cit., 482; F. Alcaro, Vendita con riserva di proprietà, in Tratt. dei contratti Rescigno-Gabrielli, 7, I contratti di vendita, II, a cura di D. Valentino, Utet, 2007, 757; F. Naddeo, op. cit., 482.

[224] F. Alcaro, op. cit., 757.

[225] A.C. Pelosi, op. cit., 227.

[226] R. Calvo, op. cit., 873, propende per l’efficacia dell’alienazione del compratore e la trasferibilità della sua posizione indipendentemente dal consenso del proprietario. Anche A. Caprioli, La vendita di immobili, cit., 131 spec. nota 48 e G. Cattaneo, op. cit., 989 sostengono la libera trasferibilità delle situazioni delle quali acquirente e alienante sono attualmente titolari prima dell’integrale pagamento del prezzo. Dello stesso avviso è M. Comporti, Diritti reali, cit., 7.

[227] Nei termini sopra precisati, cfr. supra, § 3.2.

[228] Nell’eventualità in cui, stante la rilevanza di un intuitus personae, venga imposto un divieto contrattuale, a carico dell’acqui­rente, di trasferire a terzi il proprio diritto sulla cosa, allo stesso è da riconoscersi efficacia obbligatoria (art 1379 cod. civ.), ancora una volta, in conformità alla libera circolazione della ricchezza (A.C. Pelosi, op. cit., 255 ss.).

[229] Rimane valevole, anche nel caso di vendita ex art. 1523 cod. civ., il principio per il quale l’alienabilità di un diritto importa la sua espropriabilità (A.C. Pelosi, op. cit., 264). La situazione reale interinale e risolubile del compratore sotto riserva di proprietà conserva la propria idoneità a essere aggredita dai creditori. L’art. 1524 cod. civ. non disconosce, infatti, la natura espropriabile del diritto del compratore da parte dei suoi creditori, ma semplicemente detta le condizioni di opponibilità della riserva di proprietà. Questo significa che, come rilevato da A. Albanese, op. cit., 485 ss., la disposizione in parola, lungi dall’incidere sulla disciplina della garanzia patrimoniale, spiega la propria rilevanza sul piano probatorio imponendo limitazioni al venditore e inasprendo il regime previsto per l’opposizione all’esecuzione del terzo. Il venditore ex art. 1523 cod. civ., infatti, può dimostrare la propria titolarità solamente mediante un documento scritto, incorporante il patto di riservato dominio, con data certa anteriore al pignoramento.

[230] Per tutti A.C. Pelosi, op. cit., 269.

[231] A. Albanese, op. cit., 484.