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Utilità fondiaria nella servitù di parcheggio e tipicità dei diritti reali (di Carmelo Giuseppe Antillo, Dottorando – Università degli Studi di Messina.)


Con la sentenza n. 3925 del 13 febbraio 2024 la Corte di Cassazione si è pronunciata a Sezioni Unite in tema di tipicità dei diritti reali e costituzione negoziale della servitù di parcheggio. In particolare, la Suprema Corte ha risolto il contrasto giurisprudenziale in materia riconoscendo, una volta per tutte, l’utilità fondiaria del diritto di parcheggiare un’autovettura sul fondo altrui ed affermando la validità delle pattuizioni aventi ad oggetto la costituzione della servitù di parcheggio, a condizione che sussistano in concreto tutti i requisiti essenziali del diritto reale di servitù. La decisione si basa sul principio di tipicità dei diritti reali, che comporta l’inderogabilità degli elementi strutturali delle situazioni reali tipizzate dalla legge e che, nel caso delle servitù volontarie, deve essere inteso in senso strutturale e non contenutistico. Secondo la Cassazione, infatti, nell’ambito della configurazione della servitù di parcheggio assume particolare rilevanza la c.d. “localizzazione” dell’esercizio della servitù, un corollario del carattere di specialità del diritto di servitù, che non può mai risolversi in un rapporto di generico asservimento tra due fondi, ma deve necessariamente consistere in una utilità specifica da sottrarre al fondo servente a vantaggio del fondo dominante. Inoltre, la recente pronuncia delle Sezioni Unite consente di svolgere alcune riflessioni in merito al principio di tipicità e numero chiuso dei diritti reali, nel segno del superamento di antichi dogmi della tradizione e di un più generale ripensamento della prospettiva da cui guardare ai margini di ammissibilità della conformazione negoziale del contenuto della proprietà.

Land utility in parking easement and typicality of real rights

In its ruling No. 3925 of Feb. 13, 2024, the Supreme Court of Cassation issued a joint-section ruling on the typicality of real rights and the negotiated constitution of a parking easement. Specifically, the Supreme Court resolved the jurisprudential contrast on the subject by recognizing, once and for all, the land utility of the right to park a car on someone else's land and affirming the validity of agreements having as their object the constitution of a parking easement, provided that all the essential requirements of the real right of easement exist in practice. The decision is based on the principle of typicality of real rights, which entails the non-derogability of the structural elements of the real situations typified by the law and which, in the case of voluntary easements, must be understood in a structural sense and not in a content sense. According to the Supreme Court, in fact, in the context of the configuration of the parking easement, the so-called "localization" of the exercise of the easement assumes particular relevance, as a corollary of the specialty character of the right of easement, which can never be resolved in a relationship of generic servitude between two funds but must necessarily consist of a specific utility to be taken away from the servant fund for the benefit of the dominant fund. Moreover, the recent pronouncement of the United Sections allows for some reflections on the principle of typicality and closed number of real rights, in the sign of overcoming old dogmas of tradition and a more general rethinking of the perspective from which to look at the margins of admissibility of the negotiated conformation of the content of property.

SOMMARIO:

1. Una recente pronuncia delle Sezioni Unite sulla c.d. servitù di parcheggio: il contrasto giurisprudenziale - 2. Autonomia privata e servitù volontarie - 3. Numero chiuso e tipicità dei diritti reali - 4. Regole di struttura e regole di esercizio nel diritto di servitù. - 5. La regola di specialità e il contenuto della servitù - 6. La “localizzazione” e l’incidenza di una regola di esercizio sul contenuto della servitù di parcheggio - 7. Segue: precisazioni sulla nozione di “localizzazione” - 8. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Una recente pronuncia delle Sezioni Unite sulla c.d. servitù di parcheggio: il contrasto giurisprudenziale

Con la sentenza n. 3925 del 13 febbraio 2024 la Corte di Cassazione si è pronunciata a Sezioni Unite in tema di tipicità dei diritti reali e costituzione negoziale della servitù di parcheggio [1]. Secondo la Suprema Corte «lo schema previsto dall’art. 1027 c.c. non preclude la costituzione, mediante convenzione, di servitù avente ad oggetto il parcheggio di un veicolo sul fondo altrui». Ma ciò solo a condizione che, «in base all’esame del titolo e ad una verifica in concreto della situazione di fatto, tale facoltà risulti essere stata attribuita come vantaggio in favore di altro fondo per la sua migliore utilizzazione e sempre che sussistano i requisiti del diritto reale e in particolare la localizzazione». Le Sezioni Unite sono state investite della questione al fine di risolvere il contrasto giurisprudenziale in materia [2]. Com’è noto, nel repertorio della Suprema Corte sul tema è possibile rintracciare due diversi orientamenti. L’indirizzo più risalente nega la configurabilità di servitù aventi ad oggetto il diritto di parcheggiare autovetture su un fondo altrui. Si ritiene che tali convenzioni siano carenti del requisito necessario della predialità, in virtù del quale la servitù non può mai risolversi in una maggiore commoditas del godimento personale del proprietario, ma deve consistere nel riferimento diretto dell’utilitas al fondo dominante. Secondo tale opinione, benché il diritto di parcheggio costituisca un peso posto a carico del fondo servente, esso non può mai essere inteso come un vantaggio per il fondo dominante, in quanto l’utilità è necessariamente riferita alla persona del beneficiario e/o di altri soggetti specifici. Da questa impostazione discende l’impossibilità di qualificare il diritto di parcheggio in termini di servitù, ma si ritiene che la connotazione personalistica della situazione giuridica costituita possa consentirne la sussunzione, a seconda delle circostanze, nel diritto reale d’uso o in un diritto personale di godimento [3]. L’orientamento più recente, in maggiore sintonia con le indicazioni della dottrina, tende, invece, ad ammettere, sia pure a determinate condizioni, la costituzione per contratto di servitù di parcheggio [4]. Il nuovo indirizzo, ora definitivamente consolidato dalle Sezioni Unite, si basa su una diversa e meno rigida interpretazione del concetto di utilità fondiaria, in forza della quale non può escludersi, di per sé, che il diritto di parcheggio assuma la veste giuridica della servitù, quando tale facoltà sia concepita dai contraenti come vantaggio a favore del fondo dominante, in funzione di una sua migliore utilizzazione. A sostegno di tale dilatazione della nozione di utilità fondiaria le Sezioni Unite adducono vari argomenti. In primo luogo, la Cassazione evidenzia l’«indubbia affinità tra il transitare o il parcheggiare un’auto­vet­tura all’interno di un fondo di proprietà altrui», in considerazione del fatto che «in entrambi i casi i proprietari di fondi confinanti, in base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 cc, possono dar luogo sia ad un rapporto di natura reale (attraverso l’imposizione di un peso sul fondo servente per l’utilità del fondo dominante e quindi in una relazione di asservimento del primo al secondo, che si configura come qualitas fundi), sia alla pattuizione di un obbligo e di un corrispettivo diritto previsto a vantaggio e per la comodità della persona o delle persone specificamente indicate nell’atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria» [5]. Il secondo argomento utilizzato dalle Sezioni Unite è di ordine sistematico, e consiste nell’introduzione, ad opera dell’art. 18 della l. n. 765 del 1967 (c.d. legge “ponte”), dell’art. 41-sexies della legge urbanistica (l. n. 1150 del 1942), a norma del quale «nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione». Dalla disposizione appena richiamata la Corte ricava l’utilità fondiaria del parcheggio, in quanto esso costituisce una condizione di edificabilità [6]. In ultimo, la Corte invoca a favore della propria ricostruzione la sentenza n. 167 del 1999 della Corte costituzionale, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1052, comma 2, c.c., «nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo di cui al primo comma possa essere concesso dall’autorità giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità – di cui alla legislazione relativa ai portatori di handicap – degli edifici destinati ad uso abitativo» [7]. Invero, tale pronuncia ha ampliato notevolmente il significato del concetto di utilità fondiaria in funzione della tutela dei diritti fondamentali dei portatori di handicap, nella misura in cui si è affermato che il requisito della predialità non è «certo incompatibile con una nozione di utilitas che abbia riguardo – specie per gli edifici di civile abitazione – alle condizioni di vita dell’uomo in un determinato contesto storico e sociale, purché detta utilitas sia inerente al bene così da potersi trasmettere ad ogni successivo proprietario del fondo dominante». Sulla base di tali argomenti la Cassazione statuisce che il diritto di parcheggiare sul fondo altrui può essere legittimamente configurato sia come diritto personale di godimento che come diritto reale di servitù, con tutte le differenze che ne derivano in ordine alla disciplina applicabile. Ne consegue che il concreto inquadramento della situazione giuridica nello schema della servitù prediale dipende dall’interpretazione del titolo costitutivo, da effettuarsi secondo le regole sull’interpretazione del contratto (artt. 1362 ss. c.c.) e volta a verificare se le parti abbiano inteso imporre un peso sul fondo servente per una maggiore utilità del fondo dominante ovvero abbiano voluto attribuire un vantaggio a persone specifiche [8].


2. Autonomia privata e servitù volontarie

La decisione della Suprema Corte vuole sicuramente valorizzazione il principio di autonomia negoziale, che, come è noto, anche ai sensi dell’art. 1322 c.c. conferisce ai privati ampia libertà in ordine agli strumenti giuridici mediante i quali programmare la realizzazione dei propri interessi [9]. Ciononostante, secondo le Sezioni Unite la costituzione della servitù di parcheggio non dipende esclusivamente dall’intenzione delle parti, ma è subordinata, in ogni caso, alla sussistenza di tutti i requisiti caratterizzanti lo schema tipico del diritto di servitù. Sulla scia del proprio costante orientamento la Cassazione afferma che l’autonomia privata incontra un significativo limite nel principio del numero chiuso dei diritti reali, che preclude la creazione di fonte negoziale di diritti reali atipici ed impone il rispetto degli elementi strutturali di ciascuna figura legalmente prevista [10]. La Corte precisa, tuttavia, che nell’ambito delle servitù volontarie tale principio è da intendersi in senso strutturale, e non contenutistico, in quanto i privati possono determinare liberamente il contenuto del diritto purché ne rispettino la struttura tipica. In particolare, con riferimento al caso di specie «l’autonomia contrattuale è libera di prevedere una utilitas – destinata a vantaggio non già di una o più persone, ma di un fondo – che si traduca nel diritto di parcheggio di autovetture secondo lo schema appunto della servitù prediale e quindi nell’osservanza di tutti i requisiti del ius in re aliena, quali l’altruità della cosa, l’assolutezza, l’im­me­diatezza (non necessità dell’altrui collaborazione, ai sensi dell’art. 1064 cod. civ.), l’inerenza al fondo servente (diritto opponibile a tutti coloro che vantino diritti sul fondo servente potenzialmente in conflitto con la servitù), l’inerenza al fondo dominante (l’utilizzo del parcheggio deve essere, nel contempo, godimento della proprietà del fondo dominante, secondo la sua destinazione), la specificità dell’utilità riservata, la localizzazione intesa quale individuazione del luogo di esercizio della servitù affinché non si incorra nella indeterminatezza dell’oggetto e nello svuotamento di fatto del diritto di proprietà» [11]. Proprio quest’ultimo elemento garantirebbe il rispetto del principio in base al quale il diritto di servitù (id est il peso in cui si sostanzia il rapporto di asservimento di un fondo all’altro) non può comportare il totale esaurimento delle utilità connesse al fondo servente [12].


3. Numero chiuso e tipicità dei diritti reali

Dalla lettura della sentenza si evince chiaramente che il tema delle condizioni di ammissibilità della servitù di parcheggio involge il rapporto intercorrente tra il principio di autonomia contrattuale e quello di numero chiuso e tipicità dei diritti reali, che costituisce un argomento ricorrente nelle recenti decisioni della Cassazione ed importa un limite non indifferente per l’autonomia privata, poiché introduce il divieto assoluto di conformazione convenzionale del diritto di proprietà [13]. La tradizionale distinzione tra numerus clausus (Typenzwang) e tipicità (Typenfixierung) si deve al diverso significato che si è soliti attribuire ai due concetti, considerati dalla dottrina e dalla giurisprudenza come aspetti complementari del medesimo principio. Ed invero, il profilo del numero chiuso inerisce alla fonte del diritto reale, laddove il profilo della tipicità riguarda il contenuto della situazione giuridica [14]. Pertanto, in virtù di tale principio ai privati sarebbe preclusa sia la facoltà di costituire per contratto diritti reali atipici, che la possibilità di modificare pattiziamente gli elementi caratterizzanti la struttura tipica degli iura in re aliena espressamente previsti dalla legge [15]. Occorre rilevare che, mentre l’autonomia negoziale riceve esplicito riconoscimento all’art. 1322 c.c., secondo la dottrina prevalente nell’ordinamento giuridico italiano «il principio del numerus clausus è classificabile tra i principi inespressi in mancanza di un testo legislativo sicuro che ne sancisca il fondamento» [16]. Nonostante le perplessità sollevate da autorevoli studiosi [17], la giurisprudenza si è sempre mostrata monolitica nell’affermare la sussistenza del principio del numerus clausus, e la pronuncia della Cassazione si innesta nel solco di tale orientamento nella misura in cui statuisce che, non essendo permessa la creazione contrattuale di diritti reali atipici, le parti possono costituire convenzionalmente servitù di parcheggio solo a condizione che la relativa situazione giuridica sia suscettibile di essere ricondotta nel tipo della servitù prediale. La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite riguarda più il profilo della tipicità che quello del numero chiuso, dal momento che non si tratta di ammettere la costituzione di un nuovo diritto reale, ma di verificare la compatibilità della fattispecie concreta (servitù di parcheggio) con lo schema legale della servitù. È opportuno ribadire, al riguardo, che nel caso delle servitù volontarie la tipicità va riferita alla struttura del diritto, e non al suo contenuto [18]. In tale settore, infatti, il peso imposto sul fondo servente per la maggiore utilità del fondo dominante può assumere le connotazioni più varie, e l’autonomia contrattuale incontra il solo limite del rispetto della struttura legalmente tipizzata del diritto reale [19]. Da questo punto di vista, la servitù prediale presenta uno schema particolarmente duttile, che la distingue dagli altri diritti reali di godimento e fa di essa la «figura da sempre affidataria del ruolo di allentare le tensioni indotte nel sistema dal numero chiuso dei diritti reali» [20].


4. Regole di struttura e regole di esercizio nel diritto di servitù.

È necessario, a questo punto, spostare l’attenzione sul piano degli elementi caratterizzanti la struttura tipica del diritto di servitù, in modo da chiarire fino a che punto l’autonomia privata possa dilatarne le maglie attraverso la conformazione convenzionale della fattispecie [21]. Parte della dottrina ha messo in rilievo che per ogni diritto reale la legge predispone una disciplina complessa, nell’ambito della quale è possibile distinguere regole di struttura da regole di esercizio [22]. Le norme del primo tipo sono cogenti e delineano il nucleo essenziale della situazione giuridica; quelle inerenti al secondo profilo hanno natura tendenzialmente dispositiva, e sono, pertanto, liberamente derogabili dalle parti. La Suprema Corte dimostra di aderire alla predetta distinzione, nella misura in cui stabilisce che i requisiti strutturali del diritto di servitù rappresentano un limite invalicabile per l’autonomia contrattuale dei privati. È noto che al diritto di servitù appartengono, in primo luogo, i caratteri comuni a tutti gli iura in re aliena, quali immediatezza, assolutezza ed inerenza. Inoltre, la fattispecie è governata da alcuni principi risalenti alla tradizione romanistica e recepiti dal codice civile del 1942, come traspare già dalla definizione del contenuto del diritto fornita dall’art. 1027 c.c., secondo cui «la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario». Si tratta, nello specifico, dei seguenti principi: a) realitas (o predialità), in virtù del quale sia il peso che l’utilità devono costituire una qualitas, rispettivamente, del fondo servente e del fondo dominante; b) nemini res sua servit, che postula l’ap­partenenza del fondo servente e del fondo dominante a proprietari diversi; c) servitus in faciendo consistere nequit, in base al quale il peso imposto sul fondo servente non può mai consistere in un facere e che trova riscontro nelle regole previste agli artt. 1030 e 1069 c.c.; d) praedia vicina esse debent, che richiede la sussistenza di una contiguità topografica tra i due fondi tale da consentire l’effettivo asservimento dell’uno all’altro. Il contenuto della servitù deve assumere, poi, determinate caratteristiche; quali: a) l’unilateralità, secondo cui la subordinazione di un fondo all’altro è necessariamente unidirezionale ed incompatibile con qualsivoglia vantaggio per il fondo servente e/o peso a carico del fondo dominante; b) inseparabilità, consistente nella natura ambulatoria del diritto di servitù, che è destinato a circolare unitamente ai fondi cui accede; c) indivisibilità, per la quale sia il peso che l’utilità ineriscono ad ogni parte, rispettivamente, del fondo servente e del fondo dominante; d) specialità, in forza della quale la soggezione del fondo servente al fondo dominante deve assumere un contenuto specifico e non può mai consistere in un godimento generico. Le regole appena esaminate concorrono a delineare la cornice all’interno della quale il contenuto della servitù può essere liberamente determinato dai privati [23]. Ad essi la legge riconosce ampia autonomia in materia, come si evince dall’art. 1063 c.c., secondo cui «l’estensione e l’esercizio delle servitù sono regolati dal titolo e in mancanza, dalle disposizioni seguenti» [24]. La natura dispositiva di tale apparato normativo è pressoché incontroversa, e nel potere delle parti di configurare discrezionalmente l’oggetto ed il modo delle servitù volontarie si coglie la atipicità (del contenuto) delle servitù prediali [25]. D’altro canto, gli artt. 1064 ss. c.c. svolgono anche una funzione suppletiva di eventuali lacune del regolamento negoziale, in applicazione del meccanismo di integrazione contrattuale di cui all’art. 1374 c.c. [26].


5. La regola di specialità e il contenuto della servitù

Tra le regole di struttura del diritto di servitù merita particolare attenzione quella della specialità, secondo cui il diritto di servitù comporta la sottrazione al fondo servente di un’utilità specifica e sufficientemente determinata a vantaggio del fondo dominante, al fine di evitare che il rapporto di asservimento tra i due immobili precluda al proprietario del fondo servente qualsiasi possibilità di utilizzo dell’area. Dal carattere della specialità, infatti, la dottrina e la giurisprudenza ricavano il principio, richiamato anche dalla sentenza delle Sezioni Unite, in base al quale il diritto di servitù non può mai consistere in un peso tale da provocare il totale assorbimento delle utilità connesse al fondo servente, dal momento che un simile gravame avrebbe come effetto quello di svuotare di contenuto il concorrente diritto di proprietà [27]. Tale limitazione si fonda, innanzitutto, sul dato letterale dell’art. 1027 c.c., a norma del quale la servitù consiste pur sempre in un «peso», che per sua natura non può concretarsi nella abdicazione complessiva delle facoltà promananti dal fondo servente a beneficio del fondo dominante. Lo schema della servitù, inoltre, essendo espressione di un «principio di collaborazione fondiaria» [28], presuppone il godimento condiviso e simultaneo del fondo servente, sebbene a diverso titolo [29]. In questa direzione sembra deporre, per altro verso, anche la necessità di salvaguardare interessi generali di ordine pubblico economico, quale è indubbiamente l’interesse alla circolazione giuridica dei beni. A differenza di quanto accade nel caso dei diritti reali destinati ad estinguersi con la morte del loro titolare (usufrutto, uso e abitazione) e nei diritti personali di godimento, che non sono opponibili ai terzi, la completa elisione delle facoltà inerenti ad un fondo, unita alla natura reale e potenzialmente perpetua del diritto di servitù, provocherebbe uno svuotamento perenne del contenuto della proprietà del fondo servente, intaccandone l’intera capacità produttiva ed estromettendolo dal mercato senza limiti di tempo [30].


6. La “localizzazione” e l’incidenza di una regola di esercizio sul contenuto della servitù di parcheggio

Nell’ambito degli elementi essenziali del diritto di servitù, al cui rispetto è subordinata la costituzione contrattuale di servitù di parcheggio, la Cassazione annovera anche il requisito della “localizzazione”, «intesa quale individuazione del luogo di esercizio della servitù» [31]. Ad una prima lettura, la scelta di ricondurre la localizzazione alla struttura tipica del diritto di servitù potrebbe destare qualche perplessità, poiché la specificazione della porzione del fondo servente in cui il proprietario del fondo dominante ha il diritto di parcheggiare l’autovettura sembra attenere più al piano dell’esercizio del diritto che al nucleo essenziale della fattispecie. Nella prospettiva della Cassazione la necessità di individuare in modo preciso il luogo di esercizio della servitù si spiega con l’esigenza di soddisfare il principio di specialità, che impone la specificità dell’utilità riservata al fondo dominante, al fine di evitare il sostanziale svuotamento della proprietà del fondo servente. È in quest’ottica, pertanto, che va inquadrata la statuizione con cui la Corte ha affermato che non è «concepibile una servitù di parcheggio che si estenda, a mera discrezione del titolare del fondo dominante, in qualsiasi momento e indistintamente su qualsiasi punto del fondo servente, che finirebbe in tal modo per essere svuotato di ogni possibilità di sfruttamento, finanche mediante accesso al sottosuolo» [32]. Si può notare, dunque, che la Cassazione ha ricostruito la fisionomia della servitù di parcheggio avvalendosi, tra l’altro, di una norma riguardante l’esercizio del diritto, avvalorando, in questo modo, l’opinione che propone di sostituire la distinzione tra regole di struttura e regole di esercizio con quella tra profilo statico e profilo dinamico delle situazioni reali [33].


7. Segue: precisazioni sulla nozione di “localizzazione”

L’importanza attribuita dalle Sezioni Unite al requisito della localizzazione nella fattispecie della servitù di parcheggio consente di svolgere alcune considerazioni sul significato da assegnare a tale elemento e sulle eventuali conseguenze della sua assenza all’interno del regolamento negoziale, al fine di accertare quale sia la sorte del contratto nell’ipotesi in cui manchi la precisa indicazione del luogo di esercizio del diritto. Al riguardo, occorre rammentare la distinzione che intercorre tra la nozione di «oggetto del diritto di servitù», che deve soddisfare il principio di specialità e costituisce il contenuto atipico delle servitù volontarie, e quella di «oggetto del contratto costitutivo di servitù», che risponde, invece, al principio di determinatezza o determinabilità codificato all’art. 1346 c.c. La migliore dottrina osserva che il carattere della specialità – che nella fattispecie in esame è integrato dal requisito della localizzazione – nulla ha a che vedere con la determinatezza dell’oggetto del contratto costitutivo di servitù, poiché si tratta di regole aventi scopi eterogenei, se non proprio antitetici [34]. Più precisamente, se la specialità dell’oggetto della servitù è preordinata ad evitare la totale soppressione delle utilità del fondo servente, la determinatezza dell’oggetto del contratto si ricollega al bisogno che le parti individuino precisamente il punto di riferimento oggettivo degli effetti del negozio. Mentre la violazione del principio di specialità importa una forzatura dello schema tipico della servitù prediale ed integra, perciò, un esercizio non consentito dell’autonomia contrattuale, l’invalidità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto deriva da un esercizio non sufficiente di quest’ultima [35]. Pertanto, si verserà nella prima ipotesi nel caso in cui le parti abbiano dichiaratamente esteso l’esercizio della servitù di parcheggio a tutta la superficie del fondo servente; qualora, invece, i contraenti si siano limitati a pattuire il contenuto della servitù senza specificarne il luogo di esercizio, viene in rilievo il profilo della determinatezza del regolamento negoziale. Appurato che tali regole afferiscono ad ambiti diversi, è ragionevole pensare che altrettanto differenti debbano essere le conseguenze della loro infrazione, che si verifica, rispettivamente, ogni qualvolta i paciscenti abbiano «preteso troppo» ovvero non abbiano «detto abbastanza» [36]. Nel primo caso, posto che il requisito della specialità va riferito esclusivamente al contenuto del diritto di servitù, la sua eventuale mancanza non è idonea a determinare la nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto. La soluzione da adottare in siffatta ipotesi non può che essere orientata verso altri rimedi, come la riqualificazione della fattispecie o, qualora ne ricorrano tutti i presupposti, la conversione del contratto [37]. D’altro canto, sembra che neppure l’assenza di qualsiasi precisazione in merito alla localizzazione della servitù possa condurre alla nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto, poiché tale requisito attiene pur sempre al piano dell’esercizio del diritto, e la lacuna del titolo costitutivo potrebbe essere colmata ricorrendo all’istituto dell’integrazione contrattuale con funzione suppletiva [38]. In particolare, ove il contratto non contenga la specifica individuazione del luogo in cui il la servitù deve essere esercitata, a tale carenza potrebbe porsi rimedio attraverso l’applicazione sussidiaria delle norme in tema di esercizio della servitù, e segnatamente delle disposizioni di cui agli artt. 1064 e 1065 c.c., che sanciscono il principio del «minimo mezzo», in virtù del quale «nel dubbio circa l’estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente» [39]. In definitiva, l’integrazione del contratto consentirebbe di localizzare in via suppletiva l’esercizio della situazione giuridica, assicurando, allo stesso tempo, la determinatezza dell’oggetto del contratto ed il rispetto del principio di specialità del contenuto della servitù.


8. Considerazioni conclusive

 La sentenza delle Sezioni Unite consolida in via definitiva l’orientamento che riconosce l’utilità fondiaria del diritto di parcheggiare sul fondo altrui. La decisione è pienamente condivisibile in quanto ammette l’astratta configurabilità di tale servitù a condizione che dal titolo negoziale emerga la volontà delle parti di riferire l’utilitas al fondo dominante e che la situazione giuridica costituita sia dotata di tutti i requisiti caratterizzanti lo schema legale della servitù prediale. Una soluzione diversa potrebbe prospettarsi con riferimento all’importanza da assegnare al requisito della localizzazione. Del resto, la scelta della Corte di ricomprendere tale elemento tra i caratteri essenziali della servitù è conseguenza dell’assunto secondo cui il parcheggio costituirebbe una facoltà che potenzialmente assorbe tutte le utilità del fondo servente. Non sembra, tuttavia, che il diritto di parcheggiare sul fondo altrui consista in un peso tale da provocare, di per sé, la totale elisione delle facoltà connesse all’area asservita. Invero, deve osservarsi che a disposizione del proprietario del fondo servente residuano diverse utilità, come, ad esempio, lo sfruttamento del sottosuolo e dello spazio sovrastante il suolo (ivi compresi i relativi diritti edificatori, che, a determinate condizioni, possono essere esercitati dallo stesso proprietario su un fondo diverso o trasferiti a terzi a titolo oneroso), il transito, la veduta ed il mantenimento dello stato di fatto e di diritto dei luoghi [40]. Quanto detto conduce ad escludere che il requisito della localizzazione sia sempre indispensabile per la valida costituzione di qualsiasi servitù di parcheggio: a siffatta conclusione dovrà giungersi tutte le volte in cui le circostanze del caso e le concrete modalità di esercizio della servitù siano tali da impedire qualunque utilizzo del fondo servente; qualora, invece, da esso possano comunque ricavarsi altre utilità, non sembra che vi siano ostacoli alla concessione del diritto di parcheggiare per tutta l’estensione dell’area asservita. Il che, peraltro, in talune ipotesi potrebbe costituire la più proficua modalità di fruizione del fondo servente, realizzando contemporaneamente l’interesse dei titolari di entrambi gli immobili. Si tratta, dunque, di una questione di merito rimessa alla valutazione discrezionale dell’interprete, che non sembra potersi risolvere alla luce di una regola valida per la generalità dei casi. Da un diverso angolo visuale, non può sottacersi che un significativo cambio di passo in tema di qualificazione delle fattispecie emergenti nella prassi negoziale consegue al superamento della «preistorica prospettiva del c.d. numero chiuso dei diritti reali» [41]. Probabilmente il tema dei limiti di ammissibilità della conformazione negoziale del diritto di proprietà meriterebbe di essere affrontato domandandosi se la configurabilità di situazioni reali atipiche non dipenda piuttosto da una valutazione comparativa di interessi, da effettuarsi caso per caso. Del resto, la legislazione vigente dimostra ampiamente di assegnare alla rilevanza degli interessi perseguiti dai privati un ruolo assolutamente centrale nell’ambito dei negozi di destinazione di beni ad uno scopo, i quali notoriamente realizzano forme di proprietà vincolata e/o temporanea che da sempre mettono in crisi il dogma del numerus clausus [42]. Pertanto, anziché insistere su posizioni rigide, perseverando nell’affermazione di una regola tralatizia, che ha ormai esaurito la sua funzione originaria e che attualmente non esprime altro se non il generale interesse alla sicura e spedita circolazione dei beni, risulterebbe assai più proficuo soffermarsi sulle connotazioni del criterio selettivo in virtù del quale legittimare la conformazione contrattuale della situazione proprietaria. Il parametro da utilizzare a tal fine potrebbe essere quel «giudizio relazionale» che la dottrina maggioritaria ha ipotizzato con riferimento alla nozione di meritevolezza di cui all’art. 2645 ter c.c., e che consiste nella comparazione delle esigenze del traffico giuridico con l’interesse all’atto di conformazione [43]. Anche aderendo a tale ricostruzione, però, rimane ferma la necessità di predisporre meccanismi pubblicitari che siano in grado di assolvere le «finalità comunicazionali» connesse alla tutela dell’affidamento dei terzi, le quali, ad oggi, costituiscono l’unico serio fondamento del principio del numerus clausus [44], che andrebbe quanto meno reinterpretato e ridimensionato, in modo da consentire l’estensione dei margini di esplicazione dell’autonomia privata secondo la gerarchia dei valori che attualmente informano l’ordinamento giuridico ed in funzione della realizzazione di interessi meritevoli di tutela.


NOTE

[1] La sentenza, già massimata in Banca dati DeJure, può essere consultata su www.cortedicassazione.it.

[2] Il Primo Presidente della Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite su istanza di parte con decreto n. 26011 del 30 marzo 2023, che può essere consultato su www.cortedicassazione.it; in commento a tale provvedimento v. M. CIRLA, La servitù può avere ad oggetto il diritto di parcheggio? Riflessioni in attesa delle Sezioni Unite, in Immobili & proprietà, 2023, 12, 683; P. BASSO, La servitù di parcheggio è configurabile? La parola alle Sezioni Unite, in Persona & Danno, 30 maggio 2023.

[3] In questi termini Cass. 11 gennaio 1999, n. 190; Cass. 28 aprile 2004, n. 8137; Cass. 22 settembre 2009, n. 20409, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 3, 279, con nota di F. ESPOSITO, Considerazioni sull’ammissibilità della servitù di parcheggio; Cass. 21 gennaio 2009, n. 1551; Cass. 13 settembre 2012, n. 15334, in Riv. not., 2012, 5, 1134, con nota di G. MUSOLINO, Il parcheggio fra servitù prediale, servitù irregolare e servitù personale (diritto di uso); Cass. 7 marzo 2013, n. 5769; Cass. 6 novembre 2014, n. 23708, in Riv. not., 2014, 1202, con nota di G. MUSOLINO, La (impossibilità di costituire una) servitù prediale di parcheggioivi, 2017, 2, 334; in Giur. it., 2015, 5, 1088, con nota di C. SGOBBO, La servitù di parcheggio: questione ancora aperta?; in Corr. giur., 2015, 11, 1363, con nota di M. PIAZZA, Costituzione e/o riconoscimento di una servitù di parcheggio: una decisione discutibile della Cassazione; in Foro it., 2014, I, 3416, con nota di C. BONA, Per la servitù di parcheggioivi, 2015, I, 499, e di F. MEZZANOTTE, Sull’impossibilità della servitù di parcheggio (e sui limiti dell’autonomia privata nel diritto dei beni)ivi, 2015, I, 1298, in cui la Suprema Corte giunge ad affermare che la mancanza della realitas comporta la nullità del titolo costitutivo della servitù per impossibilità dell’oggetto; in commento a quest’ultima sentenza v. anche A. TESTA, La nullità degli atti costitutivi di servitù di parcheggio, in Immobili & proprietà, 2015, 4, 229.

[4] Così Cass. 6 luglio 2017, n. 16698; Cass. 18 marzo 2019, n. 7561, in Riv. not., 2019, 3, 548, con nota di N. A. TOSCANO, La servitù di parcheggio esiste: una nuova conferma della Corte di Cassazione, in attesa del probabile intervento delle Sezioni Unite; in Nuova giur. civ. comm., 2019, 5, 945, con nota di R. CASINI, Sulla configurabilità della servitù di parcheggio; Cass. 14 maggio 2019, n. 12798; Cass. 9 gennaio 2020, n. 193; Cass. 30 ottobre 2020, n. 24121; Cass. 18 gennaio 2023, n. 1486; Cass. 16 marzo 2023, n. 7620.

[5] Cass. sez. un., 13 febbraio 2024, n. 3925, § 4.1.

[6] Desta qualche perplessità, tuttavia, il riferimento fatto dalla Cassazione alla propria giurisprudenza in tema di costituzione del diritto reale di uso sui parcheggi alienati separatamente dalle relative unità abitative, poiché attualmente il secondo comma della medesima disposizione (introdotto dall’art. 12 della l. n. 246 del 2005) stabilisce che «gli spazi per parcheggi realizzati in forza del primo comma non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta né da diritti d’uso a favore dei proprietari di altre unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse». Per un riepilogo della questione alla luce dell’evoluzione normativa v. M. RUOTOLO – A. RUOTOLO, Il regime di circolazione dei parcheggi “ponte” dopo la legge di semplificazione del 2005 (L’art. 12, comma 9 della legge 28 novembre 2005, n. 246), Studio n. 19-2006/C del CNN, in Studi e materiali, 2006, 2, 1243.

[7] La sentenza è stata pubblicata in Rass. dir. civ., 1999, 3, 687, con nota di P. PERLINGIERI, Principio personalista, funzione sociale della proprietà e servitù coattiva di passaggio; in Riv. not., 1999, 4, 973, con nota di F. GAZZONI, Disabili e tutela reale; in Giur. cost., 1999, 3, 1622, con nota di P. VITUCCI, Il passaggio coattivo e le persone handicappate; in Corriere giur., 2000, 2, 177, con nota di A. PALMIERI, Accesso all’abitazione e tutela dei disabili: nuovi orizzonti per l’art. 1052 c.c.; in Nuove leggi civ. comm., 2000, 1/2, 150, con nota di M. ROBERTI, La servitù coattiva per fondo non intercluso: nuove prospettive degli interessi generali; in Nuova giur. civ. comm., 1999, 1, 822, con nota di B. CAVALLO, Servitù coattiva di passaggio a favore di un fondo non intercluso ed esigenze dei portatori di handicap.

[8] In tema di interpretazione del contratto risultano ancora di grande attualità le indicazioni di A. FALZEA, Comportamento, in ID., Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, II. Dogmatica giuridica, Milano, 1997, 706 ss., circa la necessità, prescritta dalla legge di valutare il “comportamento complessivo” anche posteriore alla conclusione del contratto.

[9] La letteratura in tema di autonomia contrattuale è sterminata: v., ex plurimis, U. BRECCIA, Art. 1322 – Autonomia contrattuale, in E. NAVARRETTA, A. ORESTANO (a cura di), Dei contratti in generale, vol. I: Artt. 1321-1349 c.c., in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2011, 59 ss.

[10] La vigenza del principio del numerus clausus dei diritti reali è stata riaffermata, da ultimo, da Cass., sez. un., 17 dicembre 2020, n. 28972, in Giur. it., 2021, 3, 549, con nota di R. CALVO, Comunione e uso esclusivo tra autonomia e tipicità; tra i numerosi commenti alla sentenza v. G. PETRELLI, Condominio negli edifici, “usi esclusivi” e “usi individuali”, in Riv. Not., 2021, 2, 215; F. MEZZANOTTE, L’“uso esclusivo” e il “numerus clausus dei diritti reali” secondo le sezioni unite, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 2, 547; A. CIATTI CÀIMI, Il diritto di uso esclusivo nel condominio (dopo la decisione delle Sezioni unite della Cassazione), Studio n. 30-2021/C del CNN, in Studi e materiali, 2021, 1, 57; E. CATERINI, Uso esclusivo, tipicità dei diritti reali e autonomia negoziale, in Rass. dir. civ., 2022, 2, 515; E. DEL PRATO, Uso esclusivo permanente in favore di un condomino e tipicità dei diritti reali, in Nuova giur. civ. comm., 2021, 2, 427; G. LIBERATI BUCCIANTI, Sull’invalidità della clausola costitutiva di un diritto reale atipico, in Riv. dir. civ., 2021, 4, 781; D.M. LOCATELLO, La controversa natura del diritto di uso esclusivo di parti condominiali: problemi e prospettive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 4, 1249.

Tra le pronunce più recenti v. Cass. 14 gennaio 2022, n. 1140; Cass. 17 settembre 2021, n. 25195, entrambe in Riv. not., 2023, 1, 115, con nota di G. MUSOLINO, Le servitù irregolari e i rapporti obbligatori atipici; Cass. sez. un., 9 giugno 2021, n. 16080, in Riv. not., 2021, 6, 1113, con nota di M. RINALDO, Gli strumenti di micropianificazione urbanistica negoziale e la loro natura. Il genus eterogeneo dei diritti edificatori e la species primigenia della cessione di cubatura; in Nuova giur. civ. comm., 2021, 6, 1312, con nota di A. L. COGGI, La discussa qualificazione giuridica del contratto di cessione di cubatura all’attenzione delle Sezioni Unite; in Contratti, 2021, 5, 505, con nota di F. FELIS, Cessione di cubatura e diritti edificatori.

[11] Cass. sez. un., 13 febbraio 2024, n. 3925, § 4.5.

[12] La Cassazione afferma che «la servitù può sì essere modellata in funzione delle più svariate utilizzazioni, pur riguardate dall’angolo visuale dell’obbiettivo rapporto di servizio tra i fondi e non dell’utilità del proprietario del fondo dominante, ma non può mai tradursi in un diritto di godimento generale del fondo servente, il che determinerebbe lo svuotamento della proprietà di esso, ancora una volta, nel suo nucleo fondamentale; insomma, la costituzione della servitù, concretandosi in un rapporto di assoggettamento tra due fondi, importa una restrizione delle facoltà di godimento del fondo servente, ma tale restrizione, se pur commisurata al contenuto ed al tipo della servitù, non può, tuttavia, risolversi nella totale elisione delle facoltà di godimento del fondo servente» (Cass. sez. un., 13 febbraio 2024, n. 3925, § 4.5).

[13] Per un inquadramento generale del principio di tipicità e numero chiuso dei diritti reali v., ex plurimis, A. NATUCCI, La tipicità dei diritti reali, Padova, 1988; ID., Numerus clausus e analisi economica del diritto, in Nuova giur. civ. comm., 2011, 7-8, 319; F. ROMANO, Diritto e obbligo nella teoria del diritto reale, Napoli, 1967, 62 ss.; A. BURDESE, Ancora sulla natura e tipicità dei diritti reali, in Riv. dir. civ., 1983, 2, 226; E. CATERINI, Il principio di legalità nei rapporti reali, Napoli, 1998; F. MEZZANOTTE, La conformazione negoziale delle situazioni di appartenenza, Napoli, 2015; M. COSTANZA, “Numerus clausus” dei diritti reali, in Studi in onore di Cesare Grassetti, Milano, 1980; ID., Il contratto atipico, Milano, 1981, 119 ss.; A. BELFIORE, Interpretazione e dommatica nella teoria dei diritti reali, Milano, 1979, 447 ss.; M. COMPORTI, Contributo allo studio del diritto reale, in Quaderni di studi senesi, raccolti da D. Maffei, Milano, 1977, 287 ss.; ID., Diritti reali in generale, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Shlesinger, Milano, 2011; G. ALPA, M. BESSONE-A. FUSARO, Tipicità e numero chiuso dei diritti reali. Posizioni della dottrina, orientamenti giurisprudenziali, 09/02/2004, in www.altalex.com; U. MORELLO, Multiproprietà e autonomia privata, Milano, 1984, 71 ss.; ID., Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, in A. GAMBARO, U. MORELLO (a cura di), Proprietà e possesso, in Tratt. diritti reali, vol. I, diretto da A. Gambaro, U. Morello, Milano, 2008, 67 ss.; A. GAMBARO, Note sul principio di tipicità dei diritti reali, in L. CABELLA PISU, C. NANNI (a cura di), Clausole e principi generali nell’argomentazione giurisprudenziale degli anni novanta, Padova, 1998, 223 ss.; E. MOSCATI, Il problema del numero chiuso dei diritti reali, in P. CORRIAS (a cura di), Liber Amicorum per Angelo LuminosoContratto e Mercato, I, Milano, 2013, 441 ss.; P. VITUCCI, Utilità e interesse nelle servitù prediali. La costituzione convenzionale di servitù, Milano, 1974, 25 ss.

[14] In dottrina v., tra tutti, F. ROMANO, Diritto e obbligo nella teoria del diritto reale, cit., 73; M. COMPORTI, Diritti reali in generale, op. cit., 225-227; D. MESSINETTI, Oggettività giuridica delle cose incorporali, Milano, 1970, 128; in giurisprudenza v. la già citata Cass. sez. un., 17 dicembre 2020, n. 28792, § 6.9.

[15] Il principio del numerus clausus dei diritti reali è nato nell’esperienza della codificazione napoleonica del 1804, ambito in cui svolgeva una rilevante funzione politica, in quanto costituiva lo strumento giuridico affidatario del compito di realizzare l’affrancazione delle terre dai secolari vincoli feudali, che avevano condizionato gli assetti sociali durante l’anciene régime (v., ex multis, A. BELFIORE, op. et loc. cit.; M. COSTANZA, Il contratto atipicoop. cit., 119 ss.; U. MORELLO, Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, op. cit., 69 ss.; A. GAMBARO, I diritti reali come categoria ordinante, in Tratt. diritti reali, I, Milano, 2008, 14; M. COMPORTI, Diritti reali in generaleop. cit., 217 ss.; P. VITUCCI, op. ult. cit., 26 ss.; F. MEZZANOTTE, «Liberté contractuelle» e «droits réels» (a proposito di un recente dialogo tra formanti nell’ordinamento francese), in Riv. dir. civ., 2013, 4, 857, e spec. 859).

La attuale vigenza del numerus clausus, non più riconducibile alla sua funzione originaria, viene giustificata dalla dottrina prevalente sulla base di esigenze di ordine pubblico economico, quali la tutela dei terzi nei rapporti di scambio e la circolazione giuridica dei beni (in tal senso M. COMPORTI, Diritti reali in generale, op. cit., 217; E. BILOTTI, Proprietà temporanea, usufrutto e tipicità delle situazioni di appartenenza, in Riv. not., 2013, 6, 1277, e spec. 1313; U. MORELLO, Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, op. cit., 68, il quale specifica che in tal caso viene in rilievo il c.d. «ordine pubblico di direzione economica»).

[16] Così A. GAMBARO, La proprietà. Beni, proprietà, possesso, in G. IUDICA, P. ZATTI (a cura di), Tratt. dir. priv., II ed., Milano, 2017, 150; contra G. ORLANDO, I diritti edificatori. Contributo allo studio delle modifiche «oggettive» della proprietà per atti d’au­tonomia, Napoli, 2022, 99, secondo il quale «nel nostro ordinamento la tipicità dei diritti reali è un principio esplicito, quantomeno nella forma che viene ad assumere nella riserva di legge prevista all’art. 42, 2° comma, della Costituzione, che impone, appunto, una legge in ordine ai «modi di acquisto, di godimento, e [a] i limiti della proprietà»».

In mancanza di un chiaro riconoscimento da parte del diritto positivo, i sostenitori del principio del numerus clausus ne hanno fondato la vigenza su una pluralità di argomenti normativi: per una recente ricostruzione del panorama dottrinale in materia v. M.L. CHIARELLA, Diritti reali di godimento, in Tratt. dir. civ. Cons. Naz. Notariato, diretto da P. PERLINGERI, Napoli, 2020, 34 ss.

Gli orientamenti dottrinali sono stati recepiti, in gran parte, dalla giurisprudenza: v. la già citata Cass., sez. un., 17 dicembre 2020, n. 28972, § 6.9, con cui la Suprema Corte, dopo aver tratteggiato la differenza tra il profilo del numero chiuso e quello della tipicità dei diritti reali, ha riaffermato la sussistenza del principio sulla base di svariati argomenti, quali: a) il principio di relatività degli effetti del contratto (art. 1372, comma 2, c.c.); b) la riserva di legge riguardante i limiti imponibili al diritto di proprietà (art. 42, comma 2, Cost.); c) la sedes codicistica dell’autonomia privata (art. 1322 c.c.); d) la diffidenza dell’ordinamento – testimoniata dalla disciplina del divieto di alienazione di cui all’art. 1379 c.c. – nei confronti delle limitazioni di fonte contrattuale alla circolazione dei beni; e) l’interesse generale alla certezza dei traffici giuridici; f) il principio di tassatività degli atti soggetti a trascrizione (art. 2643 c.c.).

[17] Tra tutti v. P. VITUCCI, op. ult. cit., 36, secondo cui «intorno al numerus clausus s’è fatto davvero molto rumore per nulla, o per assai poco»; del medesimo principio si è parlato anche in termini di «pregiudizio» (R. NICOLÓ, voce Diritto civile, in Enc. dir., vol. XII, Milano, 1964, 908; D. MESSINETTI, Oggettività giuridica delle cose incorporali, op. cit., 124).

[18] B. BIONDI, cit., 22-23.

[19] Pertanto, è senz’altro da condividere il rilievo delle Sezioni Unite secondo cui «la tipicità delle servitù volontarie [è] di carattere strutturale, non contenutistico, ed è sul piano della conformazione che si deve verificare la possibilità di costituire la servitù di parcheggio» (Cass. sez. un., 13 febbraio 2024, n. 3925, § 3).

Per un approfondimento del tema v., tra gli altri, M. COMPORTI, voce Servitù (dir. priv.), in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 274 ss. (e spec. 303), il quale evidenzia che «le parti possono disciplinare il contenuto della servitù, creando tipi di regolamento nell’ambito delle servitù volontarie […]. Tale regolamento secondo autonomia dei diritti reali sembra essere lecito e consentito fino a che non venga compromesso il contenuto essenziale e fondamentale di ciascuna situazione, in modo tale, cioè, da non privare il titolo della situazione stessa dei poteri e facoltà caratterizzanti quel determinato “tipo” di diritto reale […]. In definitiva, il contenuto essenziale di ogni situazione reale sembra costituire il limite al regolamento dell’autonomia privata, in base al criterio dell’ordine pubblico, che determina l’invalicabile confine delle pattuizioni dei privati».

Osserva P. VITUCCI, op. ult. cit., 46-47, che «se pure v’è un principio in forza del quale il contenuto di ciascun diritto reale è sempre identico a sé stesso, questo principio certamente non opera nel campo delle servitù. Ed è facile rendersene conto: qualunque cosa voglia pensarsi della vecchia polemica sulla tipicità od atipicità di esse, in diritto romano e negli ordinamenti moderni, non può contestarsi che la servitù è oggi configurata come uno stampo, nel quale «si può colare a scelta degli interessati un contenuto molto vario, di cui la legge si limita a fissare i tratti generici»».

[20] A. FUSARO, Dalle obbligazioni propter rem alle servitù prediali, in Rass. dir. civ., 2016, 3, 808, (e spec. 847).

[21] La letteratura giuridica sui caratteri delle servitù prediali è amplissima: tra tutti, v. B. BIONDI, cit., 81 ss.; G. GROSSO-G. DEIANA, Le servitù prediali, vol. I, in Tratt. dir. civ. italiano, diretto da F. Vassalli, III ed. riveduta, Torino, 1963, 14 ss. e 205 ss.; G. BRANCA, cit., 12 ss.; A. NATUCCI, Le servitù, in P. GALLO-ID. (A cura di), Beni proprietà e diritti reali, tomo II, in Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, vol. VII, Torino, 2001, 81 ss.; R. TRIOLA, Le servitù. Artt. 1027-1099, in Il codice civile. Commentario, fondato da P. Shlesinger e continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2008, 15 ss.

[22] In tema v., tra gli altri, M. COMPORTI, Diritti reali in generale, op. cit., 148 ss.; F. ROMANO, cit., 62; A. NATUCCI, La tipicità dei diritti reali, op. cit., 239 ss., secondo il quale «attraverso la possibilità di regolamentazione dei diritti reali rimessa alla competenza dei privati s’intende più precisamente la portata del principio di tipicità».

[23] B. BIONDI, cit., 154; A. NATUCCI, Le servitùop. cit., 115 ss.

[24] Sul punto v. M. COMPORTI, voce Servitù (dir. priv.)op. cit., 310 ss.

[25] In tema v. G. BRANCA, cit., 332; R. TRIOLA, cit., p. 23; P. VITUCCI, op. ult. cit., 41 ss., il quale osserva che, a differenza degli altri diritti reali, il cui contenuto è determinato in modo più o meno cogente dalla legge, la atipicità di contenuto che caratterizza le servitù volontarie importa, allo stesso tempo, la possibilità e la necessità di una puntuale definizione del diritto, a pena di nullità per indeterminabilità dell’oggetto del relativo negozio costitutivo (contratto o disposizione testamentaria) ovvero di insussistenza dei presupposti dell’acquisto per usucapione e destinazione del padre di famiglia.

[26] A. NATUCCI, Le servitùop. cit., 121.

Sul tema dell’integrazione contrattuale in generale v., per tutti, S. RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, pubblicato nel 1969, ristampa integrata, Milano, 2004; A. FEDERICO, Profili dell’integrazione del contratto, Milano, 2008.

[27] P. VITUCCI, op. ult. cit., 76 ss.; B. BIONDI, cit., 83 ss. e 134-135; G. GROSSO, G. DEIANA, cit., 72 ss.; il principio è stato ribadito, da ultimo, da Cass. sez. un., 17 dicembre 2020, n. 28972, § 6.8.

[28] G. BRANCA, cit., 3.

[29] P. VITUCCI, op. ult. cit., 77-78.

[30] A. NATUCCI, Le servitùop. cit., 115 e nt. 14.

[31] Cass. sez. un., 13 febbraio 2024, n. 3925, § 4.5.

[32] Cass. sez. un., 13 febbraio 2024, n. 3925, § 8.

Ferma restando la coerenza della ricostruzione delle Sezioni Unite, qualche dubbio potrebbe sollevarsi – come si vedrà più avanti – sul merito della valutazione, e cioè sulla circostanza che il diritto di parcheggio costituisca un’attività effettivamente incompatibile con qualsiasi uso del fondo servente.

[33] In questo senso A. NATUCCI, La tipicità dei diritti realiop. cit., 232 ss., secondo cui una stessa norma può concorre a definire la struttura o attenere all’esercizio del diritto a seconda che la fattispecie sia considerata da un punto di vista statico ovvero dinamico. Di conseguenza, il margine di esplicazione dell’autonomia negoziale nell’ambito della conformazione delle situazioni reali tipiche dipenderebbe unicamente dalle prescrizioni del dato positivo, e l’unica distinzione a tal fine rilevante sarebbe quella tra norme derogabili e norme inderogabili.

[34] Per un’accurata disamina della questione v. P. VITUCCI, op. ult. cit., 85 ss., il quale evidenzia, in via preliminare, che la regola di specialità «va intesa anzitutto nel senso del divieto di una servitù «generale», […] incide direttamente sulla struttura del diritto reale, e non solleva altro che di riflesso problemi attinenti alla validità del titolo costitutivo».

[35] In questo senso v. P. VITUCCI, op. ult. cit., 86 ss., secondo cui «il problema della determinabilità dell’oggetto non ha alcuna interferenza teorica con la regola in esame; anzi, questa risponde ad esigenze assai diverse, per non dire diametralmente opposte a quelle soddisfatte invece in via generale dal principio legislativo dell’art. 1346 cod. civ. Tale principio è dettato per riservare all’au­to­no­mia privata e sottrarre ad altre fonti una serie di scelte relative al contenuto d’una regola contrattuale, mentre la regola della specialità delle servitù si esplica attraverso l’imposizione d’un limite all’atto di autonomia e – con modalità diverse – agli altri atti o fatti costitutivi del diritto su cosa altrui, e mira a non far intaccare una certa sfera di poteri del proprietario. Quel principio è violato quando le parti non hanno detto abbastanza, questa regola quando hanno preteso troppo».

La distinzione tra estensione del peso e determinatezza del contenuto della servitù è presente anche in G. GROSSO-G. DEIANA, cit., 74-75. Di contro, la sovrapposizione tra oggetto del diritto di servitù e oggetto del relativo contratto costitutivo emerge in B. BIONDI, cit., 135.

[36] P. VITUCCI, op. ult. cit., 87.

[37] Sul punto v. B. BIONDI, cit., 154 e P. VITUCCI, op. ult. cit., 87, secondo cui non «è sicuro che la sanzione sia sostanzialmente identica nei due casi: dalla convenzione in contrasto con la regola della specialità potrebbero derivare in via interpretativa o di conversione effetti minori e diversi da quelli che i paciscenti avevano designato col nomen iuris della servitù, mentre non si saprebbero pensare effetti giuridici che residuino ad un contratto nullo per indeterminatezza dell’oggetto. Concretamente, infine, i due problemi si collocano in un rapporto assai chiaro di subordinazione logica e pratica, nel senso che intanto si dirà violata la regola della specialità, in quanto con essa venga in contrasto un atto costitutivo di servitù che non possa dirsi inefficace sotto altro e più facile aspetto: e tale sarebbe il contratto nullo ai sensi dell’art. 1346».

Interpretato in questi termini è condivisibile il passo della sentenza delle Sezioni Unite in cui si afferma che la sussistenza dei requisiti di specialità e localizzazione è necessaria «affinché non si incorra nella indeterminatezza dell’oggetto», oltre che «nello svuotamento di fatto del diritto di proprietà» (Cass. sez. un., 13 febbraio 2024, n. 3925, § 4.5).

Vi è da precisare che l’operatività del meccanismo della conversione del contratto presuppone la nullità del negozio da convertire (sui presupposti di applicazione dell’art. 1424 c.c. v., per tutti, L. BIGLIAZZI GERI, voce Conversione dell’atto giuridico, in Enc. dir., X, Milano, 1962, 528, e spec. 535 ss.). Tale soluzione, pertanto, è percorribile solo ove si ritenga che il negozio sia affetto da una causa di invalidità diversa dall’indeterminatezza dell’oggetto. Si è osservato, in proposito, che «la nullità si ha soltanto in conseguenza della violazione di una norma che impedisca la costituzione di un certo diritto, tanto in forma reale che obbligatoria (norma – assolutamente – imperativa)» (A. NATUCCI, Le servitùop. cit., 116, nt. 18); ma v. anche M. COMPORTI, voce Servitù (dir. priv.), op. cit., 303, il quale – muovendo dalla constatazione secondo cui nell’ambito degli iura in re aliena «l’autonomia privata viene ad incontrare limiti derivanti dall’ordine pubblico» – sostiene che siano nulle le clausole contrattuali eccedenti i limiti di conformazione dei diritti reali tipici.

[38] Sono del tutto condivisibili le osservazioni di G. GROSSO, G. DEIANA, cit., 448-449, secondo cui «il contratto dovrà […] contenere l’indicazione del tipo di servitù che si vuol costituire. In pratica non accadrà mai che le parti si limitino a dichiarare di voler gravare un dato fondo d’una servitù a vantaggio di un altro fondo senza indicare il genere di servitù a cui intendono riferirsi. Se ciò dovesse accadere (ma l’ipotesi è puramente accademica), il contratto sarebbe nullo per indeterminatezza del contenuto. […]. Con maggiore frequenza potrà accadere che le parti nell’enunciare il genere di servitù che intendono costituire trascurino d’indicare quelle che comunemente si chiamano modalità di esercizio della servitù. […] In tali casi […], pur trovandoci di fronte ad una certa qual indeterminatezza del contenuto del diritto, il contratto si dovrà considerare valido e spetterà al giudice stabilire di volta in volta quale sia il più preciso contenuto della servitù che le parti hanno inteso costituire».

[39] Sul criterio del «minimo mezzo» e suoi presupposti della sua applicabilità v. B. BIONDI, cit., 417 ss.; G. BRANCA, cit., 350 ss.; G. GROSSO-G. DEIANA, cit., 240 ss.; A. NATUCCI, Le servitùop. cit., 122 ss.; R. TRIOLA, cit., 465 ss.; Cass. 11 giugno 2018, n. 15046; Cass. 23 marzo 2017, n. 7564; Cass. 12 gennaio 2015, n. 216 Cass. 11 giugno 2010, n. 14088, in Riv. not., 2011, 4, 850, con nota di G. MUSOLINO, Il contenuto delle servitù prediali: l’oggetto e il modo.

[40] In questo senso v., tra gli altri, G. PETRELLI, cit., 243-244, il quale osserva che «sulle aree gravate da servitù di parcheggio continuano a spettare agli altri condomini [– id est ai proprietari del fondo servente –] tutte le residue e non trascurabili potenziali utilità ritraibili dall’area comune [– id est il fondo servente –] (utilizzi del sottosuolo e dello spazio sovrastante il suolo; possibile passaggio sulle aree; godimento della veduta; diritto a impedire all’usuario [– id est al proprietario del fondo dominante –] di eseguire opere che alterino le caratteristiche e la destinazione dell’area; ecc.): in definitiva, facoltà non minori di quelle spettanti, ad esempio, al proprietario di una strada gravata da servitù di passaggio».

[41] N. LIPARI, Le categorie del diritto civile, Milano, 2013, 124.

[42] Un riferimento esplicito alla meritevolezza degli interessi perseguiti attraverso l’atto di conformazione si trova all’art. 2645 ter c.c., che a tale giudizio subordina la trascrivibilità degli atti di destinazione di beni immobili e mobili registrati.

La connessione tra interessi meritevoli di tutela e conformazione proprietaria emerge anche nell’ambito di altri istituti, quali: a) la sostituzione fedecommissaria, che oggi è ammessa solo con finalità assistenziali; b) il fondo patrimoniale, che legittima la scissione tra titolarità e destinazione dei beni nell’interesse della famiglia; c) la fondazione, che per dottrina e giurisprudenza costante deve necessariamente perseguire scopi di interesse collettivo.

Una ulteriore conferma della stretta relazione tra destinazione patrimoniale e meritevolezza degli interessi può trarsi dalla l. 22 giugno 2016, n. 112 (c.d. legge sul “dopo di noi”), che incentiva la costituzione di vincoli di destinazione ex art. 2645 ter, fondi speciali disciplinati da contratti di affidamento fiduciario e trusts nell’interesse di persone affette da disabilità grave.

[43] In tema v., tra gli altri, G. D’AMICO, La proprietà «destinata», in Riv. dir. civ., 2014, 3, 525, (e spec. 540 ss.); G. GABRIELLI, Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari, in Riv. dir. civ., 2007, 3, 321 (e spec. 327 ss.); A. FEDERICO, L’interesse alla trascrizione e la pubblicità dell’atto di destinazione, in Giust. civ., 2015, 3, 515, oggi in Scritti in onore di Gaetano Silvestri, vol. II, Torino, 2016, 957 (e spec. 970); G. PETRELLI, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. dir. civ., 2006, 2, 161, (e spec. 178 ss.).

[44] In tal senso v. A. GAMBARO, La proprietà. Beni, proprietà, possesso, in G. IUDICA, P. ZATTI (a cura di), Tratt. dir. priv., II ed., Milano, 2017, 153; ID., La proprietà. Beni, proprietà, comunioneivi, 72.; U. MORELLO, Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, in A. GAMBARO, ID. (a cura di), Proprietà e possessoTratt. diritti reali, diretto da A. GAMBARO-ID., I, Milano, 2008, 111; per uno sviluppo di tale impostazione anche in chiave comparatistica v. F. MEZZANOTTE, «Liberté contractuelle» e «droits réels» (a proposito di un recente dialogo tra formanti nell’ordinamento francese), in Riv. dir. civ., 2013, 4, 857 (e spec. 869 ss.).

Al riguardo v. anche M. BIANCA, Atto negoziale di destinazione e separazione, in Riv. dir. civ., 2007, 2, 197 (e spec. 220-221), la quale osserva che «in generale il sistema attuale sembra caratterizzarsi per un ampliamento delle sfere prima sottratte alla competenza dei privati, ma a condizione che siano apprestati adeguati strumenti di pubblicità per i terzi».

Fascicolo 2 - 2024