Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

La tutela dell'acquirente di immobili di provenienza donativa: violazione di un dovere informativo (a)tipico o garanzia per evizione? (di Denise Guarnieri, Dottoranda – Università degli Studi di Verona.)


Il saggio, prendendo le mosse da una recente pronuncia della Corte di Cassazione, affronta l’annoso problema della tutela dell’acquirente di immobile proveniente da donazione. La ricostruzione proposta dalla Suprema Corte spinge l’interprete a domandarsi, in primo luogo, se l’acquirente dal donatario – temendo di perdere il bene per effetto dell’agire in restituzione da parte del legittimario leso ai sensi dell’art. 563 cod. civ. – possa invocare una qualche forma di tutela qualora abbia avuto contezza dell’origine donativa dell’immobile compravenduto soltanto a seguito della stipulazione dell’accordo di vendita. In questo quadro, il contributo mira a comprendere se, nell’ipotesi prospettata, l’acquirente possa invocare la garanzia per evizione nel contratto di compravendita, ovvero, in via alternativa (o, finanche, contestuale), esercitare nei confronti del venditore una pretesa risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale per avere questi omesso di comunicargli la provenienza liberale del bene dedotto in contratto.

The protection of the purchaser of immovable assets with donative origin: breach of an a(typical) duty of information or warranty for eviction?

The paper is inspired by a recent decision of the Italian Supreme Court and analyses the long-standing debate concerning the legal instruments protecting the buyer of goods which the seller has received as a donation. In particular, the essay focuses on the case the purchaser fears to lose the property as a result of the legal action regulated by article 563 of the Italian Civil Code (azione di restituzione) undertaken by the injured forced heir (legittimario) and intends establishing whether any instrument of protection is available as the donative origin of the purchased good is only known after the conclusion of the sale contract. This paper aims to assess whether the buyer can rely on the provisions on warranty for eviction or has an alternative (or, even, concurrent) pre-contractual claim for compensation against the seller who failed to disclose the donative origin of the immovable asset.

COMMENTO

Sommario:

1. Una necessaria premessa all’indagine - 2. Violazione di un dovere informativo precontrattuale (a)tipico? - 3. Se il positivo esperimento della (mera) azione di riduzione integri il vero momento consumativo dell’evizione - 4. Se sia invocabile la disciplina in materia di garanzia per evizione in favore dell’acquirente di immobile proveniente da donazione - 5. Se sussista (in)compatibilità tra responsabilità precontrattuale e garanzia per evizione - 6. Riflessioni conclusive - NOTE


1. Una necessaria premessa all’indagine

Una pronuncia della Corte di Cassazione relativamente recente, la n. 32694 del 2019 [1], si è distinta per aver riconosciuto al promissario acquirente di un immobile proveniente da donazione, discostandosi dall’indirizzo di tendenza sino a quel momento seguito dagli stessi giudici di legittimità, la possibilità di rifiutare la stipula del contratto definitivo, nel caso in cui abbia preso cognizione della (potenziale) instabilità del titolo di acquisto del promittente venditore soltanto una volta concluso il contratto preliminare di compravendita. Più precisamente, nella pronuncia in discorso, i giudici di legittimità si sono preoccupati, in un primo momento, di chiarire come il rifiuto di addivenire alla stipula del contratto definitivo di vendita potesse essere giustificato, sul piano normativo, non tanto invocando l’applicazione analogica del rimedio (speciale) di cui all’art. 1481 cod. civ. [2] al contratto preliminare [3], quanto esperendo l’altro (e generale) rimedio di cui all’art. 1460 cod. civ. [4], contemplato nell’ambito della disciplina dedicata alla risoluzione del contratto per inadempimento. In secondo luogo, la Suprema Corte, ravvisando nella provenienza da donazione una circostanza che, influendo sulla sicurezza dell’acquisto programmato con il preliminare, non può essere taciuta dal promittente venditore [5], sembrerebbe – pur in assenza di un espresso richiamo normativo in siffatti termini – aver ricondotto la fattispecie oggetto del presente studio all’ambito di operatività della responsabilità precontrattuale [6], per violazione, in sede di trattative, di un obbligo di comunicazione (avente ad oggetto una circostanza di rilievo nell’economia dell’affare) in favore della controparte (che si presume, a buona ragione, essere) interessata alla conclusione di un acquisto connotato da stabilità. Al di là della circostanza per cui si voglia condividere ovvero sollevare una critica alla ricostruzione testé tratteggiata, non si può negare che la pronuncia in esame appare di estremo interesse in quanto offre, con riguardo al complesso tema della circolazione della ricchezza donativa, una pluralità di spunti di riflessione, ponendosi, peraltro, da una prospettiva piuttosto insolita e poco esplorata [7]. Anzitutto, la ricostruzione [continua ..]


2. Violazione di un dovere informativo precontrattuale (a)tipico?

 Diverse voci, come in parte accennato, hanno accolto con entusiasmo la ricostruzione che vede il promittente venditore tenuto a comunicare la provenienza da donazione del bene dedotto nel contratto preliminare di compravendita, senza tuttavia preoccuparsi di meglio definire natura e fondamento giuridico di un simile dovere informativo precontrattuale, che, stando così le cose, non potrebbe negarsi sussista altresì in capo al venditore in quanto tale [9]. Non è chiaro, in particolare, se l’asserito contegno informativo debba intendersi dovuto in quanto espressione dell’obbligo comunicativo espressamente codificato dal legislatore all’art. 1338 cod. civ. o sia piuttosto da ricavare in via interpretativa dal generale dovere di comportarsi, nella fase precontrattuale di svolgimento delle trattative e di formazione del contratto, secondo buona fede a norma dell’art. 1337 cod. civ. Un primo accostamento al problema potrebbe, in effetti, suggerire di ricondurre la fattispecie in esame all’ipotesi di cui all’art. 1338 cod. civ., la quale, com’è noto, impone l’obbligo di risarcimento del danno alla parte che, conoscendo o dovendo conoscere una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra. Nonostante il tenore del dato normativo induca a prendere in considerazione le sole cause di invalidità, la tendenza è di estendere l’ambito di operatività della siffatta norma anche a quelle circostanze dirette a rendere «inefficace o inutile» [10] l’accordo raggiunto tra i contraenti. Tanto premesso, si potrebbe ipotizzare di qualificare la provenienza donativa del bene compravenduto in termini di una potenziale causa di (riducibilità del titolo di acquisto e, dunque, di) inefficacia del contratto stipulato tra le parti, che, in quanto già (presumibilmente) conosciuta (o, comunque, conoscibile) dal venditore al momento dello svolgimento delle trattative, debba intendersi formare oggetto di un preciso dovere di informazione [11]. Una simile ricostruzione, oltre ad essere apparsa a taluni autori eccessivamente artificiosa [12], non tiene conto dell’indirizzo dottrinale [13] e, soprattutto, giurisprudenziale [14] propenso ad intravedere nell’art. 1337 cod. civ. il fondamento normativo di un più ampio obbligo [continua ..]


3. Se il positivo esperimento della (mera) azione di riduzione integri il vero momento consumativo dell’evizione

Benché sia pacifico che la provenienza da donazione integra una circostanza in grado di rendere particolarmente insicuro ed instabile l’acquisto del diritto di proprietà in forza di un contratto di vendita, può essere parimenti utile svolgere un’indagine preliminare in ordine agli effetti prodotti dall’azione di riduzione ex art. 555 cod. civ. finalizzata a comprendere quando l’acquirente possa, in concreto, lamentare il rischio di perdita del bene compravenduto a fronte delle disposizioni (perlomeno ad oggi) vigenti, nel nostro ordinamento, in materia di successione necessaria. È appena il caso di ricordare che, in base al combinato disposto di cui agli artt. 563 e 2652 n. 8 cod. civ., il riservatario leso ovvero pretermesso che sia risultato vittorioso in riduzione può pretendere la restituzione, in natura, del bene oggetto della liberalità ridotta da parte di colui che, a sua volta, abbia acquistato il bene dal donatario, qualora quest’ultimo sia stato infruttuosamente escusso, purché non siano decorsi venti anni dalla trascrizione della donazione lesiva [41]. È proprio l’appena ricordata tutela riconosciuta ai legittimari che spinge la dottrina a muoversi verso la ricerca di strumenti di stabilizzazione dell’acquisto che consentano al terzo acquirente di porsi al riparo dal rischio di evizione. Ciò che, piuttosto, si ritiene ora doveroso chiarire, anche ai fini dell’indagine in discorso, è quando il fenomeno evizionale possa dirsi consumato e quando, invece, debba ritenersi, piuttosto, sussistente il mero pericolo che la causa evizionale si concreti nella realtà dei fatti, atteso che differenti sono i rimedi che il legislatore appresta a tutela dell’acquirente, a seconda che si versi nell’uno ovvero nell’altro caso. La dottrina pressoché maggioritaria riconduce il caso oggetto di studio – avente quale protagonista un acquirente che, pur avendo comperato un bene immobile da chi ne era l’effettivo titolare, ne venga successivamente privato in modo definitivo per effetto dell’intervenuta reintegrazione della quota di riserva spettante al legittimario – al fenomeno evizionale che connota la disciplina del contratto tipico di compravendita [42]. Più precisamente, prevale l’idea che il momento consumativo [continua ..]


4. Se sia invocabile la disciplina in materia di garanzia per evizione in favore dell’acquirente di immobile proveniente da donazione

Sebbene si sia chiarito che il momento consumativo dell’evizione va ravvisato nel positivo esperimento dell’azione di restituzione ex art. 563 cod. civ., pare ora interessante chiedersi, guardando al fenomeno più da vicino, quali siano le conseguenze prodotte dalla provenienza liberale (del bene dedotto nel contratto di compravendita) nella prospettiva dell’applicabilità degli strumenti inerenti alla garanzia per evizione. Se è vero che per effetto dell’esperimento dell’azione di riduzione il compratore si vede costretto a sopportare un mero pericolo di perdita del bene compravenduto, acquista senso porsi l’interrogativo se possano trovare applicazione quei rimedi dilatori previsti dal legislatore al fine di assicurare una congrua tutela al­l’ac­quirente nella fase giusto antecedente al momento consumativo dell’evizione, che trovano la loro disciplina negli artt. 1481 e 1482 cod. civ. A proposito di pericolo di evizione, ad una più attenta analisi si potrà notare come esso – a seconda delle differenti circostanze fattuali che vanno a connotare il singolo caso concreto – potrà rivestire i caratteri della eventualità e dell’astrattezza, ovvero, in termini alternativi, quelli della certezza e della concretezza. Con riguardo al primo profilo, si pensi al caso in cui il contratto di compravendita venga concluso prima dell’apertura della successione (quando ancora, cioè, alcun problema di reintegrazione della quota di riserva può porsi nella realtà, attesa l’indisponibilità dell’azione di riduzione sino a che non intervenga la morte del de cuius) ovvero successivamente alla morte del donante, senza che, tuttavia, il legittimario, pur essendo leso o pretermesso, abbia esperito l’azione di riduzione di cui all’art. 555 cod. civ., volendo quest’ultimo rimanere inerte. È evidente che nelle ipotesi appena evocate, il pericolo di evizione non può affatto dirsi concreto ed attuale [69]. A fronte di una simile situazione fattuale, appare interessante chiedersi se possa trovare applicazione il rimedio di cui all’art. 1481 cod. civ., il quale attribuisce al compratore, com’è noto, la facoltà di sospendere il pagamento del prezzo, ogniqualvolta in cui abbia ragione di temere che la cosa possa essere rivendicata da [continua ..]


5. Se sussista (in)compatibilità tra responsabilità precontrattuale e garanzia per evizione

Sino ad ora si è posto in evidenza come il venditore, che non abbia comunicato la circostanza per cui il bene proviene da donazione, sia tenuto, per taluni, a risarcire il danno derivante dalla violazione di un obbligo precontrattuale informativo, per altri, invece, a prestare la garanzia per evizione, ogni volta in cui il terzo acquirente si veda costretto a sopportare la sottrazione (o il pericolo di sottrazione) del bene acquistato. A ben vedere, la difficoltà ravvisata nel ricondurre la casistica in esame all’ambito della responsabilità precontrattuale – di cui si è dato conto supra [97] – potrebbe essere ulteriormente avvalorata traendo argomento dalla circostanza per cui il legislatore parrebbe essersi già premurato di codificare una tutela rimediale ad hoc per l’ipotesi in cui il compratore dovesse subire la perdita (o sopportare il pericolo di perdita) del bene acquistato, per effetto dell’agire di un soggetto terzo evincente che, nel caso di specie, sarebbe rappresentato (appunto) dal legittimario leso ovvero pretermesso, quale attore in restituzione ex art. 563 cod. civ. In altri termini, viene da domandarsi – nonostante la perplessità già manifestata per una simile ricostruzione interpretativa – se possa ancora conservare rilevanza la questione se il compratore, ignaro della provenienza liberale, possa invocare l’operatività del generale rimedio risarcitorio a norma degli artt. 1337-1338 cod. civ. per l’asserita lesione del dovere d’agire secondo buona fede prenegoziale, ora che si è appreso che vi sono degli speciali strumenti di protezione che il legislatore mette a disposizione dell’acquirente, proprio per il caso in cui questi risulti pregiudicato dal fenomeno evizionale. Sebbene le elaborazioni dottrinali appena evocate vengano di regola lette in termini antitetici, risulta in altre parole opportuno chiedersi se l’una ricostruzione non debba necessariamente escludere l’altra: un’ipotesi, questa, che sembra trovare consenso tra i fautori di quella scuola di pensiero, invero alquanto minoritaria in dottrina, propensa a ravvisare proprio nella garanzia per evizione una peculiare specificazione della responsabilità precontrattuale [98]. Più precisamente, secondo tale indirizzo interpretativo, la disciplina della garanzia per [continua ..]


6. Riflessioni conclusive

Giungendo allora al termine dell’analisi sino qui condotta, e senza pretesa di formulare una soluzione esaustiva, si intende riepilogare di seguito i principali profili di attenzione che si presentano all’interprete nel tentativo di dare risposta alla domanda se l’acquirente di bene immobile proveniente da donazione possa lamentare la violazione (da parte del venditore) di un dovere informativo ovvero se, piuttosto, debba invocare la (diversa) disciplina della garanzia per evizione. Anzitutto, alla luce di quanto si è cercato di evidenziare nel corso della presente trattazione, risulta plausibile affermare che il dovere informativo che buona parte della dottrina ravvisa in capo alla parte venditrice, diversamente da quanto da alcuni sostenuto, riveste il carattere non tanto della atipicità [111] quanto, all’opposto, della tipicità: dalla lettura delle disposizioni vigenti in materia di garanzia per evizione (si pensi, in particolare, al disposto di cui all’art. 1482 cod. civ.), lo si è già posto in rilievo, sembra, infatti, potersi desumere la sussistenza di un vero e proprio obbligo comunicativo, avente ad oggetto le potenziali cause evizionali di caducazione dell’acquisto, in capo al venditore. Tuttavia, sebbene si possa anche immaginare di muovere al venditore che abbia omesso di comunicare la provenienza liberale dell’immobile alienato, una valutazione negativa per la negligenza impiegata nella conclusione dell’affare [112], ad un simile comportamento non sembra possa essere attribuita un’autonoma rilevanza allo scopo di assicurare una tutela all’acquirente rimasto ignaro di un’informazione di rilievo per la stabilità del suo acquisto. La disciplina della garanzia per evizione insegna, infatti, che il legislatore ha, manifestamente, voluto sanzionare il venditore (che abbia omesso di comunicare la causa caducante il contratto) per l’obiettiva inesattezza dell’attribuzione traslativa eseguita in favore del compratore, e non, invece, perché abbia mancato di osservare un comportamento (informativo) dovuto nei confronti di chi ha concluso l’ac­quisto. In altri termini, la mancata comunicazione della causa evizionale – ove, nei fatti, non segua la concreta perdita del bene acquistato da parte del compratore (e, dunque, più in generale, ove non si venga a configurare un [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2024