Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

L'ABF, gli obblighi informativi concernenti la prescrizione dei BFP e la decisione di non decidere aspettando il TAR Lazio: nota a Collegio ABF di Torino n. 6541 del 26 giugno 2023 (di Alessia Jane Thom, Dottoranda – Università degli Studi di Palermo)


Il Collegio dell’Arbitro Bancario Finanziario di Torino, con la decisione del 26 giugno 2023, n. 6541 ha affrontato il tema delle richieste risarcitorie da mancato rimborso dei Buoni fruttiferi postali, caduti in prescrizione.
L’ABF dichiara il ricorso inammissibile, per difetto di definitività del provvedimento dell’AGCM (PS 11287 – 18.10.2022) che qualifica quale pratica commerciale scorretta l’omissione, da parte del professionista, di obblighi informativi a beneficio dei sottoscrittori, circa l’approssimarsi del termine di prescrizione. L’A. esamina criticamente gli snodi argomentativi sviluppati dall’Arbitro e in particolare il profilo attinente alla questione di competenza ratione materiae.

The ABF decides not to decide: the Postal Interest Bonds affair and the uncertainty as to whether disclosure requirements are in place

With its decision no. 6541 of 26 June 2023, the Turin Banking and Financial Arbitration Board (ABF) dealt with the issue of claims for compensation for failure to repay postal savings bonds, which were time-barred.
The ABF declared the appeal inadmissible, due to the lack of finality of the AGCM's decision (PS 11287 - 18.10.2022) qualifying as an unfair commercial practice the professional's failure to provide subscribers with information about the approaching statute of limitations. The author critically examines the arguments developed by the Arbitrator, and particularly the profile pertaining to the issue of competence ratione materiae.

COMMENTO

Sommario:

1. Il caso: Collegio di Torino, n. 6541 del 26 giugno 2023 - 2. Le questioni: preliminarmente sulle eccezioni di incompetenza - 2.1. Il rinvio alla decisione dell’Agcm - 2.2. Alcune incongruenze nella decisione del Collegio di Coordinamento - 2.3. (Segue) Sulla inammissibilità “per pregiudizialità” - 2.4. Le contraddizioni della decisione torinese - NOTE


1. Il caso: Collegio di Torino, n. 6541 del 26 giugno 2023

Con la pronuncia del 26 giugno 2023 il Collegio di Torino dell’ABF ha deciso sulla richiesta di rimborso e risarcimento del danno avanzata da un sottoscrittore di BFP caduti in prescrizione a causa della pratica scorretta di Poste Italiane s.p.a., consistente nella mancata tempestiva informazione circa l’imminenza della prescrizione stessa, così come del resto statuito dall’Agcm, con provvedimento di condanna del 18.10.2022. Come ampiamente prevedibile, il discusso provvedimento dell’Agcm di condanna di Poste Italiane per pratiche commerciali scorrette inerenti Buoni fruttiferi postali ha costituito l’innesco di un contenzioso risarcitorio promosso dalla platea dei sottoscrittori dei titoli. E, benché sia ad oggi pendente il giudizio del Tar Lazio in merito alla legittimità proprio della decisione di condanna, adottata dall’Authority, gli stessi Collegi ABF – ivi compreso il Collegio di Torino, con la decisione in commento – si trovano a dover fronteggiare quella che rischia di essere una marea montante di ricorsi. Questi i fatti. Un sottoscrittore di n. 5 Buoni fruttiferi postali, stante il loro mancato rimborso da parte di Poste, a cagione della eccepita intervenuta prescrizione, ha proposto ricorso all’ABF chiedendo non solo il rimborso del capitale portato dai titoli e i relativi accessori, ma lamentando altresì la violazione di obblighi informativi da parte di Poste e, per l’effetto, ne ha chiesto la condanna al risarcimento del danno per non avere essa, in sede di sottoscrizione, consegnato il Foglio informativo recante la descrizione delle caratteristiche degli investimenti; quindi, nel corso del rapporto, l’intermediario non avrebbe reso edotto il cliente/sottoscrittore circa la imminenza del termine prescrizionale del titolo, incorrendo in una pratica commerciale scorretta, così come accertato e statuito dall’Autorità antimonopolistica. [1] L’intermediario, per parte sua, ha invece eccepito l’incompetenza sotto il profilo tanto temporale quanto materiale. Risolte le questioni preliminari di rito, l’Arbitro entra nel merito del richiamo, operato dal ricorrente, al provvedimento dell’Agcm; tuttavia, rifacendosi a quanto già deciso dal Collegio di Coordinamento dello stesso ABF, [2] il Collegio torinese propende per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, stante che [continua ..]


2. Le questioni: preliminarmente sulle eccezioni di incompetenza

In apertura occorre brevemente soffermarsi sulle eccezioni preliminari opposte dall’intermediario, vertenti sulla esclusione della competenza dell’ABF tanto ratione materiae quanto ratione temporis. La prima, con cui il resistente lamenta che, qualificato il titolo come contratto di raccolta del risparmio, questo esuli dalla competenza materiale dell’Arbitro, viene dal Collegio agevolmente rigettata, sulla scorta della propria consolidata giurisprudenza [3] secondo cui i Buoni fruttiferi postali, in quanto strumenti incedibili, non pensati per la negoziazione sui mercati, non rientrano nella definizione di “strumenti finanziari” e, conseguentemente, di prodotti finanziari suscettibili di collocamento, essendo pertanto esclusi dalla applicazione del T.U.F. [4] e dalla competenza dell’ACF. Essi rientrano per converso nelle attività di “bancoposta” ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144 e dunque pacificamente di competenza dell’Arbitro Bancario. Quanto invece alla sollevata eccezione di incompetenza ratione temporis il Collegio ricorda come la competenza temporale dell’Arbitro sia dettata dalla Sezione 1, par. 4, delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari. [5] Questa esclude le controversie relative a operazioni o comportamenti anteriori al sesto anno precedente alla data di proposizione del ricorso – salva applicazione della disciplina generale sulla prescrizione – in ragione evidentemente di obiettivi di migliore funzionalità dell’organismo e della conseguente esigenza di non impegnarne l’attività nella soluzione di controversie troppo risalenti nel tempo. [6] Nel caso di specie, la causa petendi verte su due ordini di violazioni imputate all’intermediario, rispettivamente in fase di sottoscrizione, ed in prossimità della estinzione del rapporto. Sulla base del principio generale per cui ha rilevanza la data in cui la violazione della regola di condotta si è consumata, [7] il Collegio opera così un distinguo tra violazioni attinenti alla fase genetica del rapporto, escluse, appunto ratione temporis, dalla competenza dell’Arbitro; e violazioni occorse in itinere, nel corso cioè dello svolgimento del rapporto [continua ..]


2.1. Il rinvio alla decisione dell’Agcm

Il tema centrale all’attenzione dell’ABF ha dunque ad oggetto la possibile rilevanza, nel giudizio dinanzi all’Arbitro, del provvedimento con cui l’Agcm ha accertato la scorrettezza della pratica tenuta da Poste. [10] Come noto, l’Autorità, avendo ritenuto applicabile lo statuto speciale consumeristico anche ai sottoscrittori di BFP, ha poi qualificato come pratica commerciale scorretta ex artt. 21 e 22 cod. cons. l’omissione, in fase di collocamento, di informazioni chiare e trasparenti relative alle conseguenze giuridiche dello spirare dei termini di scadenza dei titoli e della successiva prescrizione dei diritti da essi scaturenti. E, ancora, ritenuta in contrasto con l’art. 20, comma 2 cod. cons., l’omessa informazione, durante la vita del rapporto facente capo a ciascun titolo sottoscritto dai risparmiatori, circa la prossimità della prescrizione del relativo diritto di credito, tanto più avendo ricevuto Poste un numero elevato di reclami ed essendo dunque “a conoscenza della numerosità di consumatori che, ignari delle condizioni di disciplina dei titoli in parola” rischiassero di incorrere nella predetta prescrizione. [11] Invero, la decisione dell’Agcm si presta in sé a taluni rilievi critici, ai quali non può qui che semplicemente accennarsi. Il provvedimento dell’Autorità riconosce la sussistenza di un obbligo individualizzato di informazione sulla imminente prescrizione dei titoli che graverebbe su Poste, in ragion della peculiare sua posizione e dell’affidamento che ispira nella platea di consumo specie se di questa stessa si apprezzino le caratteristiche del componente medio. [12] Invero, per quanto ancora sub iudice, il provvedimento amministrativo presenta criticità proprio in ordine alla affermata individuazione di un generico conflitto con la c.d. grand general clause estratta dall’art. 20 cod. cons., per una condotta che, in disparte da ogni altra considerazione, importa il deflettere dal tratto one to many, che è proprio della disciplina delle pratiche commerciali scorrette, il cui parametro di riferimento è l’idealtipo astratto del consumatore medio, non già il singolo consumatore il cui comportamento economico sia stato effettivamente influenzato il quale invece, al contrario, non rileva (o [continua ..]


2.2. Alcune incongruenze nella decisione del Collegio di Coordinamento

Ritornando ai potenziali risvolti della decisione dell’Agcm dinanzi all’Arbitro bancario e finanziario, va detto che, già prima del Collegio di Torino, era stato lo stesso Collegio di Coordinamento ad affrontare la questione, con la decisione n. 2460 del 14 marzo 2023. Questo, positivamente pronunciandosi circa la competenza – soprattutto temporale – dell’Arbitro, ha in effetti ritenuto precluso l’esame di merito della questione, sulla base però di una motivazione non priva di punti critici. E infatti, viene richiamata la recente pronuncia con cui la Corte di legittimità [18] ha reputato estensibile, anche oltre il suo terreno elettivo (ossia le antitrust damages claims), lo schema della prova privilegiata riferita a decisioni delle Authorities, precisamente affermando che pure in materia di clausole vessatorie – rectius, di accertamenti dell’Autorità indipendente sulla vessatorietà di clausole inserite nei contratti con i consumatori – debbano trovare riscontro le medesime motivazioni che giustificano l’esito dello speciale rilievo probatorio dell’accertamento amministrativo in sede antitrust. [19] Tuttavia, mentre la Suprema Corte postula appunto l’estensione oltre perimetro di un costrutto teorico – la prova privilegiata – e delle motivazioni che lo sorreggono, l’Arbitro fa invece riferimento diretto al disposto dell’art. 7 D.Lgs. n. 3/2017, che impone di ritenere “definitivamente accertata” la violazione di cui al provvedimento inoppugnabile dell’Autorità, per escludere che se ne possano dare gli estremi nel caso sottoposto alla sua cognizione, stante appunto la carenza del tratto di definitività dell’accertamento amministrativo. [20] Qui risiede però un evidente punto critico. La pronuncia della Suprema Corte non menziona, infatti, l’articolo 7 del D.Lgs. n. 3/2017 né, d’altra parte, avrebbe potuto farlo, giacché si tratta di una disposizione di carattere eccezionale – in quanto sensibile deviazione rispetto ai principi generali in materia di prova e di giudicato [21] – che non può dunque trovare applicazione oltre l’orizzonte normativo delle pretese risarcitorie da violazione del diritto concorrenziale; essa si limita viceversa a ritenere che i [continua ..]


2.3. (Segue) Sulla inammissibilità “per pregiudizialità”

La sospensione necessaria per pregiudizialità costituisce uno strumento cui il giudice deve obbligatoriamente ricorrere nel processo civile ogni qualvolta egli stesso o altro giudice debba risolvere una controversia dalla cui definizione dipenda la decisione della causa: trattasi di casi-limite in cui sorge la necessità di evitare il rischio di un contrasto giuridico fra giudicati, dovendosi sospendere la causa pregiudicata in attesa della risoluzione di un’altra, pregiudiziale, da cui la prima appunto dipende. [37] Ed invero, nella questione oggetto di cognizione dell’Arbitro, non può dirsi integrata tale pregiudizialità [38] stante sia la parziale diversità soggettiva delle due controversie, davanti al Tar Lazio e all’Arbitro, che impedisce giuridicamente la configurabilità di un contrasto fra giudicati, sia la diversa natura e finalità perseguita dal public enforcement, di cura dell’interesse pubblico ad un assetto concorrenziale dei mercati, [39] rispetto al private enforcement, di tutela giurisdizionale del diritto soggettivo del privato, leso da specifiche condotte anticoncorrenziali. Il Collegio di Coordinamento richiama l’operatività dell’art. 295 c.p.c. proprio innalzando l’accertamento definitivo dell’Autorità a questione pregiudiziale da porsi a fondamento della propria decisione stante la “natura decisiva o, comunque, rilevante della definizione della controversia”, [40] cadendo già in una prima contraddizione allorché, ritenuta applicabile la sospensione necessaria, precisa subito che la questione pregiudiziale possa essere anche meramente “rilevante” ai fini della decisione il che già, di per sé, giustificherebbe al più una sospensione facoltativa alla stregua del Codice di rito. Inoltre, l’applicazione dell’art. 295 c.p.c. è rimodulata conformemente alle linee di funzionalità dell’ABF che, non contemplando la sospensione, ha concluso per l’inammissibilità in quanto non preclude la possibilità di riproposizione del ricorso, opzione ispirata al pur meritevole pragmatismo di assicurare maggior coerenza decisionale nei diversi settori del­l’ordi­na­mento. Sul punto sono possibili almeno due rilievi. Preliminarmente, la devianza rispetto al paradigma di [continua ..]


2.4. Le contraddizioni della decisione torinese

Il Collegio torinese infine, mutuata la ratio decidendi del Collegio di coordinamento, dimostra di cadere nel medesimo equivoco di fondo quanto ai presupposti argomentativi e alla decisione da assumere, optando acriticamente per l’inammissibilità del ricorso. Dopo aver riproposto la particolare rilevanza probatoria degli accertamenti dell’Agcm, salvo però estenderne il dictum anche nella materia de qua oltre che nel settore degli illeciti antitrust, ed avere esplicitato senza lasciare ulteriore margine di interpretazione che «il valore probatorio delle decisioni dell’Autorità nei giudizi civili di risarcimento del danno è regolato dall’art. 7, co. 1, D.Lgs. n. 3/2017» decide nel senso della inammissibilità, salvo riproponibilità. Così, pur non facendo diretta applicazione dell’art. 295 c.p.c., forse consapevole dei limiti giuridici del richiamo, [46] sostanzialmente mette capo al medesimo risultato. Dà in altri termini per sussistente una pregiudizialità che invece tecnicamente non sussiste, in quanto è bensì la definitività del provvedimento di accertamento amministrativo a spiegare effetti probatori sul piano del giudizio civile o di quello ADR, ma non anche la sua carenza. Non sussistono, in altri termini, i margini per la sospensione necessaria di cui all’art. 295 c.p.c. dovendosi piuttosto trattare la domanda alla stregua di una stand alone action seppur con le conseguenze del caso in punto di prove e decisioni susseguenti. [47] Ma il Collegio di Torino va ancora oltre, ritagliandosi uno spazio di manovra ulteriore per decidere eventualmente in contrasto con quanto definitivamente statuito dal Giudice amministrativo, innescando un vero e proprio cortocircuito. Infatti, ammette in chiusura che quand’anche la decisione dell’Autorità divenisse definitiva, ciononostante potrebbe non derivarne alcun vincolo per l’Arbitro, affermando che – attesa la diversa natura del giudizio – resta da definire entro quali limiti e in che misura possa dirsi vincolata l’autonomia di giudizio, vertendosi in materie non ricomprese nell’art. 7, [48] quasi a voler far rientrare l’errore in cui è caduto il Coordinamento. Questo il cortocircuito: dapprima in applicazione (pretesa) [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2024