Il Collegio dell’Arbitro Bancario Finanziario di Torino, con la decisione del 26 giugno 2023, n. 6541 ha affrontato il tema delle richieste risarcitorie da mancato rimborso dei Buoni fruttiferi postali, caduti in prescrizione.
L’ABF dichiara il ricorso inammissibile, per difetto di definitività del provvedimento dell’AGCM (PS 11287 – 18.10.2022) che qualifica quale pratica commerciale scorretta l’omissione, da parte del professionista, di obblighi informativi a beneficio dei sottoscrittori, circa l’approssimarsi del termine di prescrizione. L’A. esamina criticamente gli snodi argomentativi sviluppati dall’Arbitro e in particolare il profilo attinente alla questione di competenza ratione materiae.
With its decision no. 6541 of 26 June 2023, the Turin Banking and Financial Arbitration Board (ABF) dealt with the issue of claims for compensation for failure to repay postal savings bonds, which were time-barred.
The ABF declared the appeal inadmissible, due to the lack of finality of the AGCM's decision (PS 11287 - 18.10.2022) qualifying as an unfair commercial practice the professional's failure to provide subscribers with information about the approaching statute of limitations. The author critically examines the arguments developed by the Arbitrator, and particularly the profile pertaining to the issue of competence ratione materiae.
Sommario:
1. Il caso: Collegio di Torino, n. 6541 del 26 giugno 2023 - 2. Le questioni: preliminarmente sulle eccezioni di incompetenza - 2.1. Il rinvio alla decisione dell’Agcm - 2.2. Alcune incongruenze nella decisione del Collegio di Coordinamento - 2.3. (Segue) Sulla inammissibilità “per pregiudizialità” - 2.4. Le contraddizioni della decisione torinese - NOTE
Con la pronuncia del 26 giugno 2023 il Collegio di Torino dell’ABF ha deciso sulla richiesta di rimborso e risarcimento del danno avanzata da un sottoscrittore di BFP caduti in prescrizione a causa della pratica scorretta di Poste Italiane s.p.a., consistente nella mancata tempestiva informazione circa l’imminenza della prescrizione stessa, così come del resto statuito dall’Agcm, con provvedimento di condanna del 18.10.2022. Come ampiamente prevedibile, il discusso provvedimento dell’Agcm di condanna di Poste Italiane per pratiche commerciali scorrette inerenti Buoni fruttiferi postali ha costituito l’innesco di un contenzioso risarcitorio promosso dalla platea dei sottoscrittori dei titoli. E, benché sia ad oggi pendente il giudizio del Tar Lazio in merito alla legittimità proprio della decisione di condanna, adottata dall’Authority, gli stessi Collegi ABF – ivi compreso il Collegio di Torino, con la decisione in commento – si trovano a dover fronteggiare quella che rischia di essere una marea montante di ricorsi. Questi i fatti. Un sottoscrittore di n. 5 Buoni fruttiferi postali, stante il loro mancato rimborso da parte di Poste, a cagione della eccepita intervenuta prescrizione, ha proposto ricorso all’ABF chiedendo non solo il rimborso del capitale portato dai titoli e i relativi accessori, ma lamentando altresì la violazione di obblighi informativi da parte di Poste e, per l’effetto, ne ha chiesto la condanna al risarcimento del danno per non avere essa, in sede di sottoscrizione, consegnato il Foglio informativo recante la descrizione delle caratteristiche degli investimenti; quindi, nel corso del rapporto, l’intermediario non avrebbe reso edotto il cliente/sottoscrittore circa la imminenza del termine prescrizionale del titolo, incorrendo in una pratica commerciale scorretta, così come accertato e statuito dall’Autorità antimonopolistica. [1] L’intermediario, per parte sua, ha invece eccepito l’incompetenza sotto il profilo tanto temporale quanto materiale. Risolte le questioni preliminari di rito, l’Arbitro entra nel merito del richiamo, operato dal ricorrente, al provvedimento dell’Agcm; tuttavia, rifacendosi a quanto già deciso dal Collegio di Coordinamento dello stesso ABF, [2] il Collegio torinese propende per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, stante che la pendenza del gravame al Tar Lazio non consente di dire definitivo il provvedimento dell’Autorità amministrativa. La decisione, tuttavia, sostanzialmente di non liquet, seppur comprensibile in punto di esigenze “di uniformità di giudizio”, non manca di sollevare talune perplessità in ordine al corredo motivazionale. Ed invero, detto della sicura esclusione di uno spazio applicativo per l’art. 7 D.Lgs. n. 3/2017, che l’ABF radica nondimeno sulla carenza del presupposto di definitività della decisione amministrativa, ma che deriva in realtà, innanzitutto, dalla non pertinenza ratione materiae di quel dispositivo normativo eccezionale, non vertendosi su pretesa risarcitoria da violazione antitrust; va aggiunto che l’Arbitro avrebbe forse comunque potuto pronunciarsi sulla legittimità o meno della condotta omissiva impugnata dall’intermediario e consistente, appunto, nella mancata informazione – se del caso individualizzata – rivolta alla clientela circa l’imminente spirare dei termini di prescrizione del diritto. In altri termini, condivisibile essendo che una decisione definitiva dell’Autorità antimonopolistica presenti specifico risalto probatorio – seppure non ex art. 7 D.Lgs. n. 3/20117 – anche al di là dello stretto perimetro delle antitrust damage claims, non persuade pienamente che, carente il requisito di definitività, si segua il sentiero del non liquet, qui segnatamente pronunciando l’inammissibilità del ricorso.
In apertura occorre brevemente soffermarsi sulle eccezioni preliminari opposte dall’intermediario, vertenti sulla esclusione della competenza dell’ABF tanto ratione materiae quanto ratione temporis. La prima, con cui il resistente lamenta che, qualificato il titolo come contratto di raccolta del risparmio, questo esuli dalla competenza materiale dell’Arbitro, viene dal Collegio agevolmente rigettata, sulla scorta della propria consolidata giurisprudenza [3] secondo cui i Buoni fruttiferi postali, in quanto strumenti incedibili, non pensati per la negoziazione sui mercati, non rientrano nella definizione di “strumenti finanziari” e, conseguentemente, di prodotti finanziari suscettibili di collocamento, essendo pertanto esclusi dalla applicazione del T.U.F. [4] e dalla competenza dell’ACF. Essi rientrano per converso nelle attività di “bancoposta” ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144 e dunque pacificamente di competenza dell’Arbitro Bancario. Quanto invece alla sollevata eccezione di incompetenza ratione temporis il Collegio ricorda come la competenza temporale dell’Arbitro sia dettata dalla Sezione 1, par. 4, delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari. [5] Questa esclude le controversie relative a operazioni o comportamenti anteriori al sesto anno precedente alla data di proposizione del ricorso – salva applicazione della disciplina generale sulla prescrizione – in ragione evidentemente di obiettivi di migliore funzionalità dell’organismo e della conseguente esigenza di non impegnarne l’attività nella soluzione di controversie troppo risalenti nel tempo. [6] Nel caso di specie, la causa petendi verte su due ordini di violazioni imputate all’intermediario, rispettivamente in fase di sottoscrizione, ed in prossimità della estinzione del rapporto. Sulla base del principio generale per cui ha rilevanza la data in cui la violazione della regola di condotta si è consumata, [7] il Collegio opera così un distinguo tra violazioni attinenti alla fase genetica del rapporto, escluse, appunto ratione temporis, dalla competenza dell’Arbitro; e violazioni occorse in itinere, nel corso cioè dello svolgimento del rapporto medesimo. Da qui, l’intervenuta prescrizione, il 31 dicembre 2017, del diritto al risarcimento del danno da omessa consegna del Foglio Informativo, in quanto violazione riconducibile alla fase genetica del rapporto, coincidendo il dies a quo dell’ordinario termine decennale con la data di scadenza dei titoli (sottoscritti nel 2001), intervenuta il 31 dicembre 2007; [8] peraltro, l’ammissibilità dell’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno rappresenta una conquista recente nell’orientamento dell’ABF, superando l’opposta tesi secondo cui non decorre il termine di prescrizione allorché sia inadempiuto segnatamente l’obbligo di consegna del Foglio informativo. [9] Parimenti, con riguardo alla domanda risarcitoria, se da un lato è ormai decorso il decennio di prescrizione del diritto sorto in conseguenza delle violazioni in sede di sottoscrizione del titolo (2001) ovvero in prossimità della sua scadenza (2007), diversa considerazione merita il danno causalmente connesso all’omessa informazione in itinere al cliente in prossimità dello spirare del termine prescrizionale, la cui doverosità il ricorrente pretende far discendere direttamente dalla buona fede. La materia del contendere all’esame dell’organo decidente viene dunque riperimetrata dal Collegio in relazione alle sole condotte poste in essere in prossimità di estinzione del rapporto escludendo la rilevanza di tutte quelle riguardanti la fase genetica, ormai lontana nel tempo. Tuttavia, nonostante il provvedimento dell’Agcm, richiamato dal privato a sostegno della propria pretesa, accerti l’infrazione compiuta dal professionista per il periodo compreso fra il 2018 e il 2022, l’ABF ne estende la portata anche al 2017, per analogia di condotte e contiguità temporale; una estensione che si direbbe dettata dal pragmatismo e dalla volontà di offrire una soluzione uniforme per questioni sostanzialmente identiche, ma che tanto più fa allora risaltare l’opzione della pronuncia di inammissibilità del ricorso stesso nelle more che il provvedimento amministrativo divenga definitivo.
Il tema centrale all’attenzione dell’ABF ha dunque ad oggetto la possibile rilevanza, nel giudizio dinanzi all’Arbitro, del provvedimento con cui l’Agcm ha accertato la scorrettezza della pratica tenuta da Poste. [10] Come noto, l’Autorità, avendo ritenuto applicabile lo statuto speciale consumeristico anche ai sottoscrittori di BFP, ha poi qualificato come pratica commerciale scorretta ex artt. 21 e 22 cod. cons. l’omissione, in fase di collocamento, di informazioni chiare e trasparenti relative alle conseguenze giuridiche dello spirare dei termini di scadenza dei titoli e della successiva prescrizione dei diritti da essi scaturenti. E, ancora, ritenuta in contrasto con l’art. 20, comma 2 cod. cons., l’omessa informazione, durante la vita del rapporto facente capo a ciascun titolo sottoscritto dai risparmiatori, circa la prossimità della prescrizione del relativo diritto di credito, tanto più avendo ricevuto Poste un numero elevato di reclami ed essendo dunque “a conoscenza della numerosità di consumatori che, ignari delle condizioni di disciplina dei titoli in parola” rischiassero di incorrere nella predetta prescrizione. [11] Invero, la decisione dell’Agcm si presta in sé a taluni rilievi critici, ai quali non può qui che semplicemente accennarsi. Il provvedimento dell’Autorità riconosce la sussistenza di un obbligo individualizzato di informazione sulla imminente prescrizione dei titoli che graverebbe su Poste, in ragion della peculiare sua posizione e dell’affidamento che ispira nella platea di consumo specie se di questa stessa si apprezzino le caratteristiche del componente medio. [12] Invero, per quanto ancora sub iudice, il provvedimento amministrativo presenta criticità proprio in ordine alla affermata individuazione di un generico conflitto con la c.d. grand general clause estratta dall’art. 20 cod. cons., per una condotta che, in disparte da ogni altra considerazione, importa il deflettere dal tratto one to many, che è proprio della disciplina delle pratiche commerciali scorrette, il cui parametro di riferimento è l’idealtipo astratto del consumatore medio, non già il singolo consumatore il cui comportamento economico sia stato effettivamente influenzato il quale invece, al contrario, non rileva (o quantomeno non dovrebbe rilevare) affatto ai fini della configurabilità dell’an della scorrettezza, che prescinde dal numero di consumatori in concreto investiti dalla pratica commerciale scorretta coerentemente con la considerazione che di essa ha consolidato la giurisprudenza amministrativa, alla stregua di un illecito di pericolo. [13] Se di illecito di pericolo si tratta, rilevando la potenziale attitudine della condotta a falsare il comportamento economico di una platea indeterminata di consumatori secondo un giudizio prognostico ex ante ed in astratto, appare ancor più dissonante la torsione del congegno repressivo delle PCS realizzata dall’Autorità garante in direzione di una inedita dimensione individualizzata. Non più dunque la tutela della concorrenza per il tramite della strumentale tutela del processo decisionale del consumatore medio, ma una nuova tutela del singolo consumatore, qui sottoscrittore del singolo titolo caduto in prescrizione in conseguenza della pretesa scorrettezza. Ma quello di consumatore medio è termine astratto, che individua l’intera categoria di riferimento, non coincidente con il singolo sottoscrittore di Buoni fruttiferi postali al quale l’Autorità garante ha inteso riconoscere il diritto soggettivo a ricevere un’informazione personalizzata, imponendo per converso all’intermediario un obbligo di facere, appunto, individualizzato. Un siffatto obbligo si concretizzerebbe nella imposizione a carico di Poste, di un servizio aggiuntivo di assistenza in favore dei sottoscrittori lungo l’intero arco temporale di svolgimento del rapporto; non, beninteso, che sia precluso alla contrattazione individuale di pervenire alla pattuizione di obblighi e servizi aggiuntivi del genere di quelli considerati, con un costo che si riverberi sul prezzo convenuto; altra cosa è, però, l’imposizione autoritaria in sede di public enforcement di siffatti obblighi individualizzati a beneficio di ciascuno dei membri della vasta platea di sottoscrittori, che si rende foriera di costi eccessivi a carico dell’impresa. Il discusso provvedimento dell’Agcm dunque, insinuandosi nella prospettiva di market regulation normativamente generalizzata delle pratiche commerciali scorrette, colora gli obblighi informativi di una pretesa individualizzazione di talché non è più sufficiente un’informazione spersonalizzata e rivolta genericamente a tutti i sottoscrittori – che pure l’intermediario aveva posto in essere tramite strumenti di comunicazione, appunto, one to many [14] – ma si rende necessaria un’informativa “tailored”: a ciascun titolo una sua scadenza e a ciascuna scadenza una comunicazione personalizzata. Ben si comprende come un singolare obbligo aggiuntivo [15] giacché non espressamente imposto da alcuna norma bensì desunto dalla buona fede e dalla clausola generale di diligenza professionale ex art. 20, co. 2 cod. cons., [16] incida sensibilmente sull’equilibrio economico complessivo del regolamento contrattuale di ciascun titolo. Ciò detto, appare il caso di ribadire che, se da un lato la decisione dell’Agcm non è ancora definitiva, attendendosi il verdetto del Giudice amministrativo, [17] dall’altro essa comunque non rientrerebbe ratione materiae nel perimetro di operatività dell’art. 7 D.Lgs. n. 3/2017. Ed in questo frangente di ordinaria precarietà del provvedimento amministrativo in materia di PCS sub judice, del quale però nessuna norma postula il requisito della definitività al fine di farne discendere ulteriori effetti anche processuali, l’Arbitro Bancario e Finanziario in luogo di spiegare i propri poteri interpretativi realizzando massimamente la legittimazione di fonte specialistica che lo caratterizza, ha optato per la prudenziale decisione di inammissibilità del ricorso, astenendosi dal prender posizione sul profilo di merito come sarebbe stato invece auspicabile.
Ritornando ai potenziali risvolti della decisione dell’Agcm dinanzi all’Arbitro bancario e finanziario, va detto che, già prima del Collegio di Torino, era stato lo stesso Collegio di Coordinamento ad affrontare la questione, con la decisione n. 2460 del 14 marzo 2023. Questo, positivamente pronunciandosi circa la competenza – soprattutto temporale – dell’Arbitro, ha in effetti ritenuto precluso l’esame di merito della questione, sulla base però di una motivazione non priva di punti critici. E infatti, viene richiamata la recente pronuncia con cui la Corte di legittimità [18] ha reputato estensibile, anche oltre il suo terreno elettivo (ossia le antitrust damages claims), lo schema della prova privilegiata riferita a decisioni delle Authorities, precisamente affermando che pure in materia di clausole vessatorie – rectius, di accertamenti dell’Autorità indipendente sulla vessatorietà di clausole inserite nei contratti con i consumatori – debbano trovare riscontro le medesime motivazioni che giustificano l’esito dello speciale rilievo probatorio dell’accertamento amministrativo in sede antitrust. [19] Tuttavia, mentre la Suprema Corte postula appunto l’estensione oltre perimetro di un costrutto teorico – la prova privilegiata – e delle motivazioni che lo sorreggono, l’Arbitro fa invece riferimento diretto al disposto dell’art. 7 D.Lgs. n. 3/2017, che impone di ritenere “definitivamente accertata” la violazione di cui al provvedimento inoppugnabile dell’Autorità, per escludere che se ne possano dare gli estremi nel caso sottoposto alla sua cognizione, stante appunto la carenza del tratto di definitività dell’accertamento amministrativo. [20] Qui risiede però un evidente punto critico. La pronuncia della Suprema Corte non menziona, infatti, l’articolo 7 del D.Lgs. n. 3/2017 né, d’altra parte, avrebbe potuto farlo, giacché si tratta di una disposizione di carattere eccezionale – in quanto sensibile deviazione rispetto ai principi generali in materia di prova e di giudicato [21] – che non può dunque trovare applicazione oltre l’orizzonte normativo delle pretese risarcitorie da violazione del diritto concorrenziale; essa si limita viceversa a ritenere che i principi generali valevoli in quella materia, segnatamente lo schema pretorio della prova privilegiata, possano/debbano valere anche in tema di clausole vessatorie. Ma, appunto, di mera efficacia probatoria ancorché privilegiata si tratta, idonea al più a fondare una presunzione legale relativa e non certo una pregiudizialità che, sinché l’accertamento non diventi inoppugnabile, preclude ogni ulteriore decisione. Anche se, invero, la stessa Cassazione cade in contraddizione laddove, postulata l’efficacia presuntiva, dimostra implicitamente di rinviare comunque al meccanismo dell’art. 7, nel momento in cui ripone in capo al giudice – chiamato ad occuparsi dello stesso regolamento contrattuale oggetto di accertamento della vessatorietà da parte dell’Agcm – un obbligo rafforzato di motivazione e puntuale confutazione allorché intenda prendere da esso le distanze. Obbligo motivazionale rinforzato che, com’è noto, la prova presuntiva non conosce, pertenendo piuttosto alle ipotesi normativamente circoscritte di binding effect che vincola l’accertamento giudiziale con una efficacia ritenuta oggi in prevalenza assimilabile ad un “iper-vincolo”. [22] Alla giurisprudenza interna si deve la costruzione della categoria della prova privilegiata, anticipando lo stesso legislatore europeo [23] sul punto della valenza probatoria da attribuire alle decisioni delle autorità antimonopolistiche nei separati giudizi di danno, preso atto della (opportunità di riconoscere la loro) “elevata attitudine a provare” [24] la natura anticoncorrenziale. L’intenzione iniziale non è di sottrarre l’oggetto del provvedimento alla valutazione del giudice, [25] ma di attribuirvi espressamente un maggior peso specifico come dimostrato anche dall’affermarsi di orientamenti volti a rimpinguare ulteriormente tale efficacia probatoria tramite una parallela erosione degli spazi lasciati alla prova contraria. [26] Viene dunque a plasmarsi la nozione di prova privilegiata il cui significato sostanziale è stato, e continua ad essere, oggetto di una evoluzione pretoria che discorre – quasi in un crescendo rossiniano – dapprima di presunzione semplice [27] ex art. 2729 c.c. dell’accertamento dell’Agcm quale elemento su cui si fonda il ragionamento inferenziale che consente al giudice, prendendo le mosse da un fatto noto, di ritenere provato un fatto ignoto in esito ad un giudizio di probabilità-normalità della connessione fra accadimenti. [28] È infatti ragionevole, rectius verosimile e corrispondente all’id quod plerumque accidit, che l’accertamento ad elevato contenuto tecnico dell’Agcm nell’ambito del procedimento istruttorio nel quale gode di forti poteri inquisitori, corrisponda al vero; salva sempre la prova contraria. [29] La presunzione gode nel nostro ordinamento della dignità di mezzo di prova “completo”, [30] e cioè strumento rappresentativo del fatto costitutivo della pretesa, [31] idoneo a fondare anche in via esclusiva la decisione del giudice. Il Codice distingue la presunzione semplice dalla presunzione legale, strumenti identici quanto a struttura, divergendo solo in relazione alla fonte da cui discende la notorietà del fatto base: nell’un caso affermata giudizialmente in base alle acquisizioni probatorie o ai fatti allegati e incontestati dalla controparte; nell’altro caso da una previsione normativa puntuale che individua il factum probans dal quale il giudice potrà inferire in via deduttiva la prova del fatto rilevante. Ebbene, proprio sul fondamento legale del factum probans è intervenuta di recente la Cassazione allargandone le maglie oltre il consueto perimetro della previsione puntuale di legge. Il riferimento è in particolare ad una decisione dell’aprile 2020 [32] in materia di violazione degli obblighi informativi da parte dell’intermediario finanziario in conseguenza della quale il cliente abbia sofferto un danno di cui ha chiesto giudizialmente ristoro: in quell’occasione la Corte ha qualificato alla stregua di una presunzione legale la sussistenza del nesso causale fra la violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario e il danno da investimento rivelatosi svantaggioso, rinvenendo la fonte non già in una norma puntuale bensì estraendola dalla funzione assegnata dal sistema normativo all’obbligo informativo violato. Nel medesimo solco argomentativo si colloca il successivo intervento della Cassazione del 2021 [33] nella discussa vicenda della vessatorietà delle clausole di indicizzazione al franco svizzero inserite dalla banca nei contratti di mutuo stipulati con i consumatori: la Corte ha esteso ulteriormente l’ordito della presunzione, bensì legale ma sui generis giacché desumibile appunto da “esigenze di sistema”, per attribuire un’efficacia probatoria privilegiata – già riconosciuta agli illeciti antitrust in via pretoria e successivamente positivizzata nell’art. 7 D.Lgs. 3/2017 – anche agli accertamenti dell’Autorità garante in materia di clausole vessatorie, per medesimezza delle “ragioni ispiratrici” del costrutto della prova privilegiata. Tali ragioni ispiratrici, che alimentano l’orientamento per cui è imprescindibile il riconoscimento di un qualche utile effetto probatorio alle decisioni dell’Agcm, sono da rinvenire in ultima istanza nella sempre più sentita necessità di assicurare da un lato una maggiore consequenzialità fra public e private enforcement, [34] e dall’altro, l’effettività della tutela dei diritti individuali azionati davanti al giudice civile, in settori in cui le asimmetrie informative, la esiguità dei danni in prospettiva individualizzata, la difficoltà probatoria e l’intrinseca debolezza unilaterale rendono strutturalmente complessa la garanzia di tale effettività. [35] In particolare è proprio l’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti individuali che, in più occasioni, si è dimostrata elemento dirimente i nodi interpretativi derivanti dalle propalazioni del principio di autonomia procedurale sovente confliggenti con gli obiettivi imposti dal diritto unionale. [36] Ma il Collegio di Coordinamento va oltre. Da un lato amplia il raggio d’azione di quelle medesime ragioni ispiratrici dell’estensione, oltreché alle clausole vessatorie, altresì alle pratiche commerciali la cui scorrettezza sia stata oggetto di accertamento amministrativo; dall’altro, come anticipato, esplicita un rimando all’art. 7, attribuendone surrettiziamente la paternità alla sentenza del 2021 che, a rigore, un simile richiamo non realizza, ancorché parrebbe sottenderlo là dove impone al giudice un obbligo di motivazione rafforzata, onere tipicamente collaterale al binding effect del dispositivo in questione, ma appunto non anche alle presunzioni. L’impressione è di trovarsi in presenza di una serie di scatole cinesi in cui il problema centrale – della configurabilità o meno di siffatti obblighi in itinere personalizzati – si dissolve sino a perdersi di vista. Infatti, il Collegio di Torino dichiara l’inammissibilità su indicazione del Coordinamento il quale a sua volta, per giustificare una sorta di pregiudizialità, rimanda alla Cassazione la cui statuizione però si limita al piano probatorio. Invece, il richiamo all’art. 7 del Coordinamento, benché possa ritenersi concretizzazione di quanto già latente nella sentenza del 2021 ma da questa omesso – d’altronde necessariamente attesa l’eccezionalità dello strumento – ha la funzione pragmatica nelle intenzioni dell’Arbitro, tramite un auto-vincolo, di permettere l’accesso allo strumento della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. nell’attesa che l’accertamento del Garante acquisti la tanto anelata definitività.
La sospensione necessaria per pregiudizialità costituisce uno strumento cui il giudice deve obbligatoriamente ricorrere nel processo civile ogni qualvolta egli stesso o altro giudice debba risolvere una controversia dalla cui definizione dipenda la decisione della causa: trattasi di casi-limite in cui sorge la necessità di evitare il rischio di un contrasto giuridico fra giudicati, dovendosi sospendere la causa pregiudicata in attesa della risoluzione di un’altra, pregiudiziale, da cui la prima appunto dipende. [37] Ed invero, nella questione oggetto di cognizione dell’Arbitro, non può dirsi integrata tale pregiudizialità [38] stante sia la parziale diversità soggettiva delle due controversie, davanti al Tar Lazio e all’Arbitro, che impedisce giuridicamente la configurabilità di un contrasto fra giudicati, sia la diversa natura e finalità perseguita dal public enforcement, di cura dell’interesse pubblico ad un assetto concorrenziale dei mercati, [39] rispetto al private enforcement, di tutela giurisdizionale del diritto soggettivo del privato, leso da specifiche condotte anticoncorrenziali. Il Collegio di Coordinamento richiama l’operatività dell’art. 295 c.p.c. proprio innalzando l’accertamento definitivo dell’Autorità a questione pregiudiziale da porsi a fondamento della propria decisione stante la “natura decisiva o, comunque, rilevante della definizione della controversia”, [40] cadendo già in una prima contraddizione allorché, ritenuta applicabile la sospensione necessaria, precisa subito che la questione pregiudiziale possa essere anche meramente “rilevante” ai fini della decisione il che già, di per sé, giustificherebbe al più una sospensione facoltativa alla stregua del Codice di rito. Inoltre, l’applicazione dell’art. 295 c.p.c. è rimodulata conformemente alle linee di funzionalità dell’ABF che, non contemplando la sospensione, ha concluso per l’inammissibilità in quanto non preclude la possibilità di riproposizione del ricorso, opzione ispirata al pur meritevole pragmatismo di assicurare maggior coerenza decisionale nei diversi settori dell’ordinamento. Sul punto sono possibili almeno due rilievi. Preliminarmente, la devianza rispetto al paradigma di funzionamento dell’Arbitro ispirato alla massima celerità ed efficienza, cui si impronta l’intera procedura, che conclude per la soluzione in re ipsa inefficiente, in quanto antieconomica, traducendosi di fatto in un incentivo alla duplicazione del contenzioso. Ancora, emerge una eterogenesi dei fini della inammissibilità piegata a scopi di pregiudizialità ad essa tradizionalmente estranei. Questa strumentalizzazione di situazioni (latamente) di litispendenza-connessione ricorre con frequenza nei contenziosi internazionali in cui similmente è rinvenibile una sorte di eterogenesi della sospensione ex artt. 29 ss. del Regolamento UE 1215/2012 sui conflitti di giurisdizione fra gli Stati membri, che disciplina il potere o dovere, a seconda dei casi, del giudice di sospendere la controversia dinnanzi a sé ove la “medesima causa” – che richiederebbe a rigore una coincidenza tanto soggettiva, quanto di petitum e di causa petendi [41] – o causa connessa penda davanti ad un altro giudice dell’Unione: la sospensione viene intesa dalla giurisprudenza sovranazionale in modo duttile, adattabile alle esigenze ritenute prevalenti. [42] Da canto le ragioni pratiche e le esigenze di uniformità, però, la pretesa necessità di sospendere declamata dall’Arbitro in realtà non trova alcun fondamento giustificativo, né giuridico né logico. E ciò perché la Cassazione non postula alcuna applicazione estensiva o analogica dell’art. 7, per cui non vi sarebbe comunque alcuna statuizione idonea ad essere considerata “definitivamente accertata” e anzi, sancisce proprio la presenza, ancorché solo quoad effectum, di una presunzione legale che in quanto relativa ammette prova contraria, in quel caso della non vessatorietà delle clausole nel singolo contratto; nel caso all’attenzione dell’Arbitro, invece, della conformità della pratica alla diligenza professionale e della sua non idoneità a falsare il comportamento economico del cliente/ricorrente. Ed infatti sono altri gli strumenti che l’ordinamento predispone per garantire le pur sempre meritevoli ragioni di uniformità e non contraddizione, di matrice giurisprudenziale, a partire dal raccordo tramite la prova privilegiata, e anche legislativa: in più d’una occasione la legge infatti disciplina la sospensione facoltativa del procedimento davanti ad un giudice allorché questi ritenga ciò conveniente od opportuno nell’attesa della definizione di un’altra questione che vede margini di interferenza o sovrapposizione con la materia oggetto della propria cognizione. Proprio prendendo le mosse dalle diverse finalità cui rispondono i due binari dell’antitrust enforcement, la legge, in altre sedi, attribuisce al giudice civile la facoltà, e non anche l’obbligo, di sospendere il procedimento giurisdizionale instaurato sia tramite l’azione rappresentativa di nuova introduzione nel Codice del consumo, [43] artt. 140-ter ss., e segnatamente l’art. 140-septies, comma 7, sia con l’azione di classe inserita nell’art. 840-bis ss. c.p.c., che ha generalizzato il raggio d’azione sostituendo la previgente disciplina di cui all’art. 140-bis cod. cons.: l’art. 840-ter, al terzo comma, consente al giudice di sospendere il giudizio collettivo dinnanzi a sé quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere sia in corso un’istruttoria davanti ad un’autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al giudice amministrativo, con espressa salvezza delle disposizioni del D.Lgs. n. 3/2017. Peraltro, in senso contrario alla sospensione necessaria, pare invalicabile [44] l’argomento sistematico e letterale dello stesso D.Lgs. n. 3/2017 che, pur prevedendo all’art. 7 un meccanismo che senza dubbio è dato accostare almeno descrittivamente alla questione pregiudiziale, nella stessa sede l’art. 4, comma 8, costituente lex specialis, esclude la sospensione necessaria delle controversie stand alone in favore di una prudenziale sospensione discrezionalmente rimessa al giudice. All’evidenza, dunque, la sospensione configurata dal legislatore quale raccordo processuale fra il public enforcement e il private enforcement è soltanto facoltativa, in quanto rispondente ad esigenze di opportunità e uniformità logica dell’ordinamento oltreché di agevolazione e strategia probatoria, ma non di stretta necessarietà. [45] Stando così le cose, allora, neanche la scelta di sospendere (rectius, dichiarare l’inammissibilità) si mostra coerente con le regole del rito: le contraddizioni insite nella decisione del Collegio di Coordinamento impongono una scelta ermeneutica di fondo tra l’ammettere la vincolatività dell’accertamento amministrativo contenuto in una decisione definitiva in una materia diversa dal perimetro operativo dell’art. 7, che consente di ritenere provato il factum probandum e per questa via giustificare la sospensione, sebbene permangano frizioni con la pretesa necessarietà della stessa, in realtà assente; ovvero, maggiormente in aderenza con il dato positivo, in mancanza tanto di decisione definitiva quanto a rigore di ogni pregiudizialità, non potendo ritenersi operante il meccanismo dell’art. 295 c.p.c., il Collegio di Coordinamento avrebbe dovuto decidere nel merito la tanto dibattuta e ancora irrisolta questione della configurabilità di doveri informativi in itinere e personalizzati.
Il Collegio torinese infine, mutuata la ratio decidendi del Collegio di coordinamento, dimostra di cadere nel medesimo equivoco di fondo quanto ai presupposti argomentativi e alla decisione da assumere, optando acriticamente per l’inammissibilità del ricorso. Dopo aver riproposto la particolare rilevanza probatoria degli accertamenti dell’Agcm, salvo però estenderne il dictum anche nella materia de qua oltre che nel settore degli illeciti antitrust, ed avere esplicitato senza lasciare ulteriore margine di interpretazione che «il valore probatorio delle decisioni dell’Autorità nei giudizi civili di risarcimento del danno è regolato dall’art. 7, co. 1, D.Lgs. n. 3/2017» decide nel senso della inammissibilità, salvo riproponibilità. Così, pur non facendo diretta applicazione dell’art. 295 c.p.c., forse consapevole dei limiti giuridici del richiamo, [46] sostanzialmente mette capo al medesimo risultato. Dà in altri termini per sussistente una pregiudizialità che invece tecnicamente non sussiste, in quanto è bensì la definitività del provvedimento di accertamento amministrativo a spiegare effetti probatori sul piano del giudizio civile o di quello ADR, ma non anche la sua carenza. Non sussistono, in altri termini, i margini per la sospensione necessaria di cui all’art. 295 c.p.c. dovendosi piuttosto trattare la domanda alla stregua di una stand alone action seppur con le conseguenze del caso in punto di prove e decisioni susseguenti. [47] Ma il Collegio di Torino va ancora oltre, ritagliandosi uno spazio di manovra ulteriore per decidere eventualmente in contrasto con quanto definitivamente statuito dal Giudice amministrativo, innescando un vero e proprio cortocircuito. Infatti, ammette in chiusura che quand’anche la decisione dell’Autorità divenisse definitiva, ciononostante potrebbe non derivarne alcun vincolo per l’Arbitro, affermando che – attesa la diversa natura del giudizio – resta da definire entro quali limiti e in che misura possa dirsi vincolata l’autonomia di giudizio, vertendosi in materie non ricomprese nell’art. 7, [48] quasi a voler far rientrare l’errore in cui è caduto il Coordinamento. Questo il cortocircuito: dapprima in applicazione (pretesa) dell’art. 7, il provvedimento definitivo vincola il giudizio dinnanzi all’Arbitro, e lo vincola a tal punto da rendere financo necessario il ricorso alla sospensione ex art. 295 c.p.c. in attesa della definitività del medesimo; di seguito, però, ammette la sussistenza di margini di interpretazione anche in contrasto con l’accertamento dell’Agcm riconoscendo, non proprio fra le righe, la possibilità di un disallineamento rispetto all’accertamento amministrativo attesa appunto “la diversa natura” di questo dal giudizio civile o stragiudiziale di danno. Pur apprezzabile il pragmatismo di addivenire a decisioni improntate a uniformità logica, l’argomentare dell’Arbitro si presta ad un bivio interpretativo in cui in realtà nessuna strada va del tutto esente da criticità. Secondo una prima ricostruzione volta a ricondurre la decisione a coerenza, per quanto il dato testuale lo consenta, l’inciso può leggersi quale volontà di rimarcare l’alterità fra il vincolo che scaturisce dall’art. 7 e l’efficacia meramente presuntiva, di presunzione legale relativa appunto, dell’accertamento dell’Autorità. Tuttavia, accogliendo questa interpretazione in cui si manifesta una invero corretta presa di distanze dalla vincolatività ex art. 7, non si comprende però perché quella stessa norma venga richiamata: l’unica spiegazione potrebbe desumersi dalla volontà di giustificare, con evidenti forzature, la sospensione ex art. 295 c.p.c., pur non potendo ritenersi necessaria, ma soltanto opportuna giacché ispirata alla pragmatica volontà di assicurare coerenza fra i diversi plessi ordinamentali. È possibile però addivenire ad una lettura alternativa della decisione, per così dire “in malam partem”, scorgendo nell’inciso finale – che di fatto nega la vincolatività per l’Arbitro tanto della decisione amministrativa quanto dell’esito del vaglio giurisdizionale – la volontà di degradare l’accertamento dell’Autorità ad una prova semplice, senza alcun rilievo particolare, stante proprio la separatezza dei binari, per natura e finalità. [49] Una simile soluzione però vanifica sia la premessa, di perseguimento della coerenza fra public e private enforcement cui tende la primigenia elaborazione del congegno della prova privilegiata e la sua costante tensione espansiva, sia la stessa decisione di sospendere nell’attesa della definitività, per “esigenze di uniformità”. La dequotazione a prova semplice, prova fra le prove liberamente valutabile dal giudice ex art. 116 c.p.c., si presterebbe infatti ad una eccessiva instabilità e potenziale eterogeneità nel decisionismo dei giudici in materie lato sensu afferenti al diritto della concorrenza, frustrando in ultima istanza le esigenze di deterrenza nei confronti delle scorrettezze delle imprese; alle stesse obiezioni del resto si esporrebbe l’opzione ermeneutica della presunzione hominis, che rimette al giudice ampia discrezionalità nella individuazione del factum probans. [50] Ed ancora, a voler ritenere l’accertamento amministrativo alla stregua di una semplice prova o presunzione hominis, che non vincola il giudice, ancor più incomprensibile appare la scelta della inammissibilità quale rimodulazione della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. della quale, si è visto, mancherebbero i presupposti. Pertanto, delle due, l’una: o il giudice/Arbitro è vincolato all’accertamento definitivo dell’Agcm, ovvero non lo è. Nel primo senso, sarebbe in contrasto con la logica aristotelica l’argomentare conclusivo dell’ABF che, prima vincolatosi, lascia spazio a decisioni confliggenti; nel secondo caso, potrebbero recuperarsi margini di coerenza ritenendo che, benché non di vincolo si tratti, un certo valore probatorio – di presunzione legale scaturente da valutazioni di sistema – debba comunque ammettersi, rendendo di conseguenza meramente opportuna la sospensione (inammissibilità con riproponibilità) in attesa della stabilità dell’accertamento del Garante. In conclusione, l’incongruenza insita nella decisione dell’Arbitro che, nel solco del Coordinamento, si astiene dal prendere qualsivoglia posizione sul merito della sussistenza, o meno, dei tanto discussi doveri informativi in itinere ed individualizzati, appare ancor meno giustificabile prendendo le mosse proprio dalla funzione assolta dall’ABF – ferma la sua dibattuta natura – di organo altamente specializzato posto a presidio della risoluzione stragiudiziale delle controversie insorgenti fra gli intermediari del credito e i privati, con sfumature secondo qualche dottrina quasi regolatorie, [51] volto al perseguimento di finalità pubbliche afferenti alla vigilanza bancaria, tramite l’effetto persuasivo e di deterrenza che fa leva sul valore anche di sanzione reputazionale delle decisioni onde indirizzare in chiave conformativa, e non solo reattiva, l’attività degli intermediari del settore. Ispirandosi il suo funzionamento a questi obiettivi, è oltremodo criticabile il dissimulato non liquet dell’Arbitro bancario e finanziario.
[1] Coll. Torino, dec. n. 6541/2023, richiamando la decisione dell’AGCM, provv. 18 ottobre 2022 – PS 11287.
[2] ABF, Collegio di Coord., 14 marzo 2023, n. 2460. L’orientamento parrebbe in via di consolidamento: cfr. Coll. Roma, dec. n. 658 del 16/01/2020, Coll. Roma, dec. n. 24372 del 6.11.2019; Coll. Roma, dec. n. 26741 del 20.12.2019.
[3] In questo senso si è reiteratamente pronunciato L’ABF, in sede di perimetrazione della propria competenza ratione materiae, cfr. Coll. Coord. n. 4656 del 21.03.2022, Coll. Bari dec. 3203 del 23.02.2022, Coll. Napoli dec. n. 4220 del 18.02.2021; Coll. Coord., dec. n. 5673/13; Coll. Roma, n. 1846/2011; Coll. Napoli, n. 1868/2012 e n. 2454/2012; Coll. Milano, n. 719/2011, n. 315/2011.
[4] Che chiarisce in sede definitoria, ex art. 1, lett. u), che i prodotti finanziari sono “gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria; non costituiscono prodotti finanziari i depositi bancari o postali non rappresentati da strumenti finanziari”.
[5] L’articolato regola il procedimento davanti ALL’ABF, approvato dal governatore della Banca d’Italia e pubblicato in G.U. Serie Generale n. 215 del 29/08/2020.
[6] Pur essendo assai vasta la letteratura sull’Arbitro bancario finanziario e le finalità ad esso demandate si rinvia per tutti a F. AULETTA, Arbitro Bancario Finanziario e “sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie”, in Società, 2011, 83 ss.; E. BRUSCHETTA, Le controversie bancarie e finanziarie, in Contratti, 2010, 422 ss.; E. CAPOBIANCO, Mediazione obbligatoria e Arbitro Bancario Finanziario, in Judicium.it, 2011; F. CAPRIGLIONE, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari. La prospettiva dell’ADR, in Banca borsa tit. cred., 2010, I, 261 ss.; I. A. CAGGIANO, L’arbitro bancario finanziario, esempio virtuoso di degiurisdizionalizzazione, in Nuova giur. comm., 2015, 439 ss.
[7] Cfr. Coll. Coord., dec. n. 4656 del 21 marzo 2022, a composizione di un contrasto insorto fra un indirizzo maggioritario, propenso a negare la competenza temporale, reputando determinante il verificarsi della condotta causativa del danno, consistente nella mancata consegna del Foglio Informativo (così Collegio di Milano, decisione n. 1140 del 17.01.2022, n. 1557 del 25.1.2022; Collegio di Palermo, decisioni n. 24711 del 6.12.2021, n. 22524 del 2.11.2021, n. 17188 del 19.7.2021; Collegio di Torino, n. 964 del 13.1.2022) e un diverso orientamento proposto dall’ordinanza del Collegio di Roma, n. 633/2021, secondo cui il dies a quo della prescrizione dovrebbe coincidere con la realizzazione di tutti gli elementi della fattispecie da cui sorgerebbe il diritto (al rimborso o al risarcimento), la percezione dei quali in capo all’investitore si avrebbe solo con l’eccezione di prescrizione, opposta dall’intermediario.
[8] La scadenza è fissata all’ultimo giorno del sesto anno solare successivo alla sottoscrizione, ai sensi del Decreto ministeriale 13 giugno 1986 (G.U. 28 giugno 1986, n. 148) temporalmente applicabile ai titoli oggetto della controversia. L’individuazione del dies a quo è stata anch’essa di recente oggetto di chiarificazione da parte del Collegio di coordinamento, con decisione n. 8056 del 21 marzo 2019 in accoglimento della tesi del Collegio rimettente per cui “la lettera della norma che fissa il termine di scadenza dei titoli, non facendo alcun riferimento al giorno di emissione ovvero alla data di emissione, bensì esclusivamente all’anno di emissione, porta ad individuare siffatto termine alla scadenza dell’anno solare di emissione dei Buoni”.
[9] Come da ultimo riconosciuto dal Collegio di Coord., n. 17814 del 18 luglio 2019, che ha pronunciato il seguente principio di diritto: “La mancata consegna al sottoscrittore al momento dell’acquisto dei Buoni del Foglio Informativo non impedisce all’intermediario di eccepire, allorché ne venga richiesto il pagamento, l’intervenuta prescrizione”.
[10] Si tratta di Agcm, PS 11287 del 18.10.2022, con cui l’Autorità Garante ha accertato la scorrettezza delle condotte tenute da Poste italiane e ne ha inibito la prosecuzione, reputandole ingannevoli, ex artt. 21 e 22 cod. cons., oltre che contrarie alla diligenza professionale di cui all’art. 20, comma 2, cod. cons.
[11] AGCM provv. PS 11287, § 4.
[12] La decisione dell’AGCM così recita al § 66: “Il grado di diligenza professionale che è ragionevole attendersi da un professionista come Poste non può non tener conto, inoltre, della tipologia di risparmiatori interessati (sulla base delle segnalazioni pervenute i BFP appaiono di interesse soprattutto per piccoli risparmiatori, per risparmiatori anziani, con un più basso livello di istruzione finanziaria, poco propensi al rischio), delle superiori istanze di tutela del risparmio, nonché della natura del settore di attività del professionista (caratterizzato da una particolare complessità dei servizi e prodotti offerti e da una rilevante asimmetria informativa tra professionista e consumatore).” In senso contrario, tuttavia, deve segnalarsi l’indirizzo interpretativo secondo cui sarebbe necessaria una più vigorosa responsabilizzazione individuale del consumatore; la tesi è propugnata, fra gli altri, da D. MAFFEIS, Il cliente deve essere consapevole delle variabili che conformano la rischiosità dello specifico investimento, Le Società, 12, 2021, 1413; ID., Disciplina degli obblighi meramente informativi dell’intermediario finanziario, ibid., 2020, 1387; G. LIACE, L’investitore irrazionale, in Banca, borsa, tit. cred., 2020, I, 966 e ss. Cfr. anche A. SACCOMANNI, Le nozioni di consumatore e di consumatore medio nella direttiva 2005/29/CE, in Le pratiche commerciali sleali, in E. Minervini, L. Rossi Carleo (a cura di), Le pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, Milano, Giuffrè, 2007, spec. 141 e ss.; C. PONCIBÒ, Il consumatore medio, in Contratto e impresa, 2007, 734 e ss.; A. GENOVESE, Ruolo dei divieti di pratiche commerciali scorrette e dei divieti antitrust nella protezione (diretta e indiretta della libertà di scelta) del consumatore, in Aida, 2008, 297 e ss.
[13] In questi termini si è ormai consolidata la giurisprudenza amministrativa allorché richieda, per ritenersi integrato l’illecito, che la scorrettezza della pratica commerciale sia desumibile in esito ad una valutazione ex ante della potenzialità diffusiva degli effetti di distorsione della concorrenza; cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 16 gennaio 2024, n. 525; Cons. Stato, sez. IV, 27 febbraio 2020, n. 1428; Cons. Stato sez. VI, 15 luglio 2019 n. 4976; Cons. Stato, Sez. VI, 23 maggio 2019 n. 3347; Cons. Stato, sez. VI, 10 dicembre 2014, n. 6050. In dottrina si è fatto notare che, non rilevando il numero di consumatori in concreto influenzati dalla scorrettezza ma soltanto l’attitudine ex ante ed in astratto a incidere su una platea indefinita di destinatari, l’indagine si risolve di fatto sul versante della violazione della diligenza professionale, valendo semmai da aggravante l’aver in concreto influenzato un elevato numero di consumatori, cfr. V. MELI, “Diligenza professionale”, “consumatore medio” e regola di “de minimis” nella prassi DELL’AGCM e nella giurisprudenza amministrativa, in V. Meli, P. Marano (a cura di), La tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette nei mercati del credito e delle assicurazioni, 2011, Torino, Giappichelli, 1-40, ma spec. 39-40.
[14] Come emerge dal provvedimento sanzionatorio, PS 11287, al § 33, in cui l’Autorità garante passa in rassegna le iniziative assunte da Poste per aumentare il grado di trasparenza informativa e garantire un sistema alerting individuale dell’approssimarsi del termine di prescrizione: fra queste, la pubblicazione di avvisi relativi alla prescrizione e alle sue conseguenze in tutti gli Uffici postali, nel sito web di Poste italiane, l’apposita realizzazione di video tutorial in cui si evidenziassero le conseguenze della prescrizione, o l’inserimento di avvisi ad hoc nel modulo cartaceo del BFP. Iniziative tutte reputate insufficienti dall’Autorità.
[15] AGCM Provv. PS 11287 al § 67: “il rispetto della normativa di settore non vale ad esonerare il professionista dal porre in essere quei comportamenti ed accorgimenti ulteriori che, pur non espressamente previsti, discendono comunque dall’applicazione del più generale principio di correttezza e buona fede a cui si ispira tutta la disciplina a tutela del consumatore.”
[16] Come noto, non si registra uniformità di vedute, specie in letteratura, in ordine al significato da dare alla diligenza professionale nel quadro della disciplina sulle PCS, così come, più in generale, sulla esistenza e i termini, in essa, di una clausola generale: si rinvia, per tutti, a G. DE CRISTOFARO, voce Pratiche commerciali scorrette, in Enc. Dir., 2007, 1079; in senso contrario, in favore della natura propriamente di clausola generale, cfr. M. LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Contr. e impr., 2009, 74 ss.
[17] Che sconta notoriamente sensibili limiti in punto di sindacato di sola legittimità, ancor più circoscritto dal contenuto altamente tecnico-discrezionale; per tutti, cfr. L. TORCHIA, Il diritto antitrust di fronte al giudice amministrativo, in Merc. conc. regole, 2013, 501 ss.; B. GILIBERTI, Consulenza tecnica, pienezza del sindacato e “full jurisdiction”. Brevi considerazioni a Consiglio di Stato sez. V, 17 ottobre 2013, n. 5043, in Dir. proc. amm., 2015, 2, 745; A.A. ROMANO, L’attuazione delle regole di concorrenza fra private e public enforcement: contro il vincolo del giudice civile alle decisioni delle Autorità indipendenti, in Il giusto processo civile, 3/2022, 665 ss., spec. 689-693.
[18] Cass. civ., Sez. I, Sent. 31 agosto 2021, n. 23655, in Giur. it., 2022, 4, 824 ss. con nota di D. FORESTA, La possibile nullità della clausola di doppia indicizzazione dei mutui fondiari Barclays; in Giur. it., 2022, 3, 579 con nota di P. GALLO, I mutui indicizzati al franco svizzero al vaglio della Cassazione.
[19] Il diverso trattamento che veniva riservato alla sorte probatoria degli accertamenti dell’Agcm in materia di illeciti antitrust rispetto al campo delle clausole vessatorie e PCS è tradizionalmente giustificato alla stregua del diverso grado di specializzazione, o discrezionalità tecnica, sotteso ai concetti tecnici e indeterminati la cui concretizzazione è imprescindibile ai fini dell’accertamento degli illeciti concorrenziali sub artt. 2 e 3 l. 287/1990 (e artt. 101 e 102 TFUE), ma non anche per le clausole vessatorie né per le PCS; basti pensare all’individuazione del mercato rilevante, geografico o del prodotto, che richiede complesse indagini peritali. L’accertamento in ordine alla vessatorietà delle clausole, invece, rientra a pieno titolo nelle competenze giuridiche proprie e nelle capacità tecniche richieste al (e pretese dal) giudice civile, così come la scorrettezza delle pratiche commerciali.
[20] Così, il Collegio di coordinamento sul richiamo testuale dell’art. 7 D.Lgs. n. 3/2017: «La regola è ritenuta applicabile non soltanto agli illeciti anti-trust, ma, in generale, ai provvedimenti DELL’AGCM nelle materie di sua competenza, “tenuto conto delle ragioni ispiratrici che prendono le mosse dalla funzione stessa assolta nel sistema dalla pubblica tutela erogata attraverso gli strumenti di public enforcement” (cfr. Cass., n. 23655/21)».
[21] A.A. ROMANO, L’attuazione delle regole di concorrenza, op. cit., spec. 685-692 in cui l’A., sull’art. 7 D.Lgs. n. 3/2017, nel prospettare un paragone con l’art. 651 c.p.p. che non suscita i medesimi dibattiti teorici proprio in quanto il vincolo deriva sempre da un organo giurisdizionale, evidenzia l’alterità fra l’organo da cui deriva il provvedimento vincolante, e i suoi scopi, strumenti e rimedi, rispetto al procedimento da esso avvinto. L’eccezionalità è vieppiù confermata allorché si tenga a mente la regola, e cioè la reciproca autonomia fra i diversi ordini di giurisdizione, autonomia qui soppressa, ovvero ancora l’insindacabilità in sede di legittimità dell’interpretazione dei concetti giuridici indeterminati di cui si serve L’AGCM, vagliati solo nei limiti (di legittimità) della giustizia amministrativa e quindi, ai massimi livelli, dal Consiglio di Stato, sottraendosi “alla guardiania nomofilattica della Cassazione”. Su tali basi l’A. esclude l’applicazione analogica della disciplina de qua in procedimenti che, sebbene in settori contigui, non abbiano petitum risarcitorio, fra questi le azioni di accertamento della nullità dei contratti a valle di un’intesa sanzionata.
[22] Vedi E. CAMILLERI, L’azione rappresentativa e il raccordo imperfetto con il diritto privato regolatorio. Il rilievo delle decisioni delle Authorithies tra libero apprezzamento e presunzioni giurisprudenziali: spunti dall’arrêt Repsol, in NLCC, 2, 2024. La dottrina dibatte sul valore precipuo da assegnare all’art. 7, per taluno financo superiore al giudicato ex art. 2909 c.c., tendente alla prova legale, v. A.A. ROMANO, L’attuazione delle regole di concorrenza, op. cit., spec. 680 propende per la tesi dell’efficacia di giudicato; ma anche P. FABBIO, L’efficacia dei provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel processo civile, con particolare riguardo alle materie delle pratiche scorrette e della pubblicità ingannevole e comparativa, in Conc. e merc., 2013, 193 e ss., spec. 200; in senso critico cfr. M. NEGRI, L’efficacia delle decisioni amministrative nel processo civile, in NLCC, 2018, 476 ss., spec. 487-489; ID., Il processo di merito in materia antitrust, in Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, (a cura di) L.F. Pace, Milano, 2020, ma spec. 451; G. PARODI, L’accertamento definitivo dell’illecito antitrust nella nuova disciplina del private enforcement: su alcune questioni di rilievo costituzionale, in Contr. e impr., 2021, spec. 2641; M. DE CRISTOFARO, Onere probatorio e disciplina delle prove quale presidio di efficienza del private antitrust enforcement, in AIDA, 2015, 100 ss., spec. 117 ss.
[23] Con la direttiva 2014/104/UE, dir. enforcement; per un commento alla normativa cfr. V. MELI, Introduzione al D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, di attuazione della dir. 2014/ 104/UE sul risarcimento dei danni per violazione della normativa antitrust, in NLCC, 119 ss.; G. ALPA, Illecito e danno antitrust. Un dialogo tra le Corti nazionali e la Corte di Giustizia dell’Unione europea, in Contr. e impr., n. 6, 2015, 1227. Un presidio del tipo di quello consacrato nell’art. 9 dir., recepito nell’art. 7 era già stato fortemente auspicato dalla dottrina, cfr. P. FABBIO, L’efficacia dei provvedimenti dell’Autorità, op. cit., che illustra le opzioni interpretative, dalla irrilevanza alla efficacia persuasiva, dalla prova privilegiata alla vincolatività; spec. 208-209 predilige la tesi dell’efficacia vincolante e promuove de iure condendo una “disciplina legislativa dei rimedi civili in materia di antitrust e di pcs con la previsione esplicita di un’efficacia vincolante dei provvedimenti dell’Agcm, che accertano in via definitiva l’infrazione e siano divenuti inoppugnabili”, auspicio solo parzialmente accolto, stante l’esclusione delle pratiche commerciali scorrette.
[24] Cass., sez. I, 13 febbraio 2009, n. 3640, Il Foro it., Vol. 133, n. 6, 1901 ss. Più di recente, Cass., Sez. 1, n. 18176 del 05/07/2019; Sez. 1, n. 13846 del 22/05/2019; Sez. 1, n. 12551 del 22/05/2013; Sez. 3, n. 7039 del 09/05/2012; Sez. 3, n. 17362 del 18/08/2011; Cass. 28 maggio 2014, n.11904, con nota di R. PARDOLESI, Danno antitrust e (svuotamento) dell’onere probatorio a carico del consumatore, in For. It., 1994, 1729 e ss.
[25] Come già avversato dalla dottrina che rimarca l’intrinseco primato qualitativo delle valutazioni del giudice cui non potrebbero legittimamente sostituirsi gli accertamenti di organi amministrativi tramite indiretti vincoli alla giurisdizione: sulla indebita commistione di diversi poteri dello Stato, PASQUARELLI, Da prova privilegiata a prova vincolante: il valore probatorio del provvedimento DELL’AGCM a seguito della Dir. 2014/104/UE, in Dir. ind., 2016, 252 ss. ma spec. 261 accusa la surrettizia trasformazione del giudizio amministrativo in una sorta di fase “pre-processuale” della successiva azione follow on; cfr. anche RORDORDF, Il ruolo del giudice e quello dell’Agcm, in Società, 2014, 784 ss.
[26] Cass. 10 maggio 2011, n. 10211, in Foro it., I, 2675 con nota di PALMIERI: secondo questo orientamento, opinabilmente restrittivo del diritto di difesa dell’impresa, questa avrebbe potuto offrire soltanto la contro-prova di circostanze ulteriori che non fossero state già espresso oggetto di accertamento dell’Autorità, e non anche contestare i medesimi fatti accertati e riversati nel provvedimento. Cfr. inoltre S. PATTI, Note in tema di presunzioni semplici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 891.
[27] Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305, con note di G. AFFERNI e M. CARPAGNANO, in Danno e resp., 2007, I, 755 ss. e S. BASTIANON, in Corr. giur., 2007, I, 641 ss.
[28] Viene definitiva come la «supposizione della verità di un fatto (ignoto) per conseguenza indiretta e probabile di un altro fatto (noto)» da L. RAMPONI, La teoria generale delle presunzioni in diritto civile, Torino 1890, 6; cfr. anche M. TARUFFO, Certezza e probabilità nelle presunzioni, Il Foro It., 1974, 97, p.83 ss.; v. A. DE CUPIS, Sulla distinzione tra presunzioni legali assolute e finzioni, in Giur. comm., 1982, II, 227; A. LA TORRE, La finzione nel diritto, in Riv. dir. civ., 2000, I, 316, 322.
[29] Il contenuto tecnico scientifico degli accertamenti dell’Autorità antimonopolistica ha consentito l’accostamento al ruolo del giudice in punto di valutazione di prove ad alto contenuto peritale: cfr. E. SALOMONE, Sulla motivazione con riferimento alla consulenza tecnica d’ufficio, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2002, 1026; V. ANSANELLI, Problemi di corretta utilizzazione della «prova scientifica», in Riv. trim. dir. proc. civ. 2002, 1337; CARRATTA, Prova scientifica e ragionamento presuntivo, in Riv dir proc. 2022, 24. Per il significato precipuo di “prova scientifica” un’autorevole proposta ritiene di escludere dal novero tutte le scienze, umane o sociali, in quanto non verificabili empiricamente né ripetibili tramite esperimenti, cfr. M. TARUFFO, La prova scientifica nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 59, 4, 1079 ss.
[30] Lo strumento probatorio delle presunzioni ha dimostrato la sua centralità sin dal diritto romano quale mezzo per acquisire al processo la prova di fatti ignoti, cfr. V. ANDRIOLI, voce Presunzioni (Dir. rom., civ. e proc. civ.), in Noviss. Dig. it., XIII, Torino 1966, 76; G. DONATUTI, Le preaesumptiones iuris in diritto romano (loro origine), in Ann. Perugia, XLII, 1931; R. SACCO, Presunzione, natura costitutiva o impeditiva del fatto, onere della prova, in Riv. dir. civ., 1957, I, 420; G.A. MICHELI, L’onere della prova, Padova 1966, 199; A. CONIGLIO, Le presunzioni nel processo civile, Palermo, 1920, 204; F. CARNELUTTI, Sistema di diritto processuale, I, Padova, 1936; L.P. COMOGLIO, Le prove civili, Torino, 2004; S. PATTI, Probatio e praesumptio: attualità di un’antica contrapposizione, in Riv. dir. civ., 2001, I; F. DANOVI, Le presunzioni nel sistema delle fonti di prova e nei rapporti con la prova contraria, in Foro pad., 2006, I; G. FABBRINI, Presunzioni, in Dig. civ., XIV, Torino, 1996.
[31] S. PATTI, Le prove, in Tratt. Dir. priv., Iudica e Zatti, II ed., Milano, 2021, 164; M. TARUFFO, Il regime probatorio: i principi generali, in Contr. e impr., 2014, I, 1.
[32] Cass. 17 aprile 2020, n. 7905, ha ritenuto di poter desumere dal sistema normativo complessivamente inteso la presunzione legale relativa di sussistenza del nesso causale fra la condotta dell’intermediario, che sia provata essere contraria agli obblighi impostigli ex lege e il danno sofferto dal cliente; al punto 4.7 “La presunzione di sussistenza del nesso causale così delineata, pur suscettibile di prova contraria, scaturisce dalla funzione assegnata dal sistema normativo all’obbligo informativo gravante sull’intermediario, che è preordinato al riequilibrio dell’asimmetria strutturale del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta di investimento realmente consapevole. A tale presunzione, anche se non espressamente prevista dalla legge, deve riconoscersi natura legale ex artt. 2727 e 2728 c.c., come si è detto juris tantum, in quanto essa discende complessivamente dal sistema normativo e in particolare dalla funzione specifica degli obblighi accollati dalla legge all’intermediario finanziario.” Decisione in linea con un percorso interpretativo già avviato dalla Corte, v. Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2018, n. 4727 (ord.), in Giur. it., 2019, 293, con nota di G. CARDARELLI, Viraggio in chiave oggettiva per la responsabilità degli intermediari finanziari, spec. 295-300,
[33] Cass. civ., Sez. I, Sent. 31 agosto 2021, n. 23655, al 2.6.7: “Gli stessi principi così enunciati con riferimento agli illeciti anti-trust, mutatis mutandis, valgono anche in materia di clausole vessatorie o abusive e dei relativi accertamenti e valutazioni da parte dell’Autorità Garante, tenuto conto delle ragioni ispiratrici che prendono le mosse dalla funzione stessa assolta nel sistema dalla pubblica tutela erogata attraverso gli strumenti di public enforcement, tanto più che a fronte dell’attività amministrativa dell’Autorità Garante l’imprenditore gode del diritto alla difesa al contraddittorio e all’impugnazione in sede giurisdizionale.”
[34] M. LIBERTINI, Il ruolo necessariamente complementare di “public” e “private enforcement” in materia antitrust, in Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione dei mercati, (a cura di) Maugeri e Zoppini, Bologna, 2009, 171 ss.; A.A. ROMANO, L’attuazione delle regole di concorrenza, op. cit., spec. 686, come d’altronde il legislatore stesso, nel Considerando n. 34 dir. 2014/104/UE e nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 3/2017, 11. Si rileva odiernamente uno spostamento dell’asse della complementarità che collima, in misura sempre crescente, con la collettivizzazione delle tutele quale strumenti del diritto privato regolatorio: cfr. H.W. MICKLITZ, The visible hand of European Regulatory Private Law. The Transformation of European Private Law from Autonomy to functionalism in competition and regulation, in Yearbook of European Law, 28, 1, 2009, 3 ss.; ID. The Transformation of Enforcement in European Private Law: Preliminary Considerations, in European Review of Private Law, 2015, 491 ss.
[35] Vedi E. CAMILLERI, L’azione rappresentativa e il raccordo imperfetto con il diritto privato regolatorio, op. cit. L’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti dei singoli ha assunto oggi un ruolo preminente di guida delle decisioni dei giudici, ancor più in presenza di accertamenti probatori complessi e squilibri di forza fra le parti: proprio le difficoltà probatorie hanno infatti ispirato la categoria delle presunzioni giurisprudenziali, da taluno avversate quali precostituzione dell’esito del giudizio per mezzo di un’arbitraria allocazione degli oneri (cfr. M. TARUFFO, L’onere come figura processuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 425); in generale sulle presunzioni giurisprudenziali, v. M. TARUFFO, Presunzioni, inversioni, prova del fatto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, 736 ss.; G. BIANCHI, La prova civile. Onere e ammissibilità della prova nel codice civile, Padova, 2009, 206; E. BENIGNI, Presunzioni giurisprudenziali e riparto dell’onere probatorio, Torino, 2014, 173 ss.; in materia di responsabilità medica, M. FACCIOLI, “Presunzioni giurisprudenziali” e responsabilità sanitaria, in Contr. e impr., 2014, 79 ss.; in materia di licenziamenti illegittimi, A. VALLEBONA, L’onere della prova nel diritto del lavoro, Cedam, Padova, 1988; l’effettività indirizza anche la materia della tutela dei dati personali, cfr. S. PAGLIANTINI, L’interferenza ascosa tra GDPR e diritto dei consumatori: appunti per una tassonomia, in Giur. it., 2023, 2212 e ss. ma spec. 2215 e D. D’ALBERTI, Tutele ‘‘multilivello’’ e l’effettività dei rimedi per gli utenti online, in Nuova Giur. Comm., 2021, I, 1079 e ss. in commento alle sentenze del Consiglio di Stato 29 marzo 2021, nn. 2630 e 2631
[36] Emblematica la vicenda decisa dalla Corte di giustizia il 17 maggio 2022, cause riunite C-693/19 e C-831/19, della cedevolezza del giudicato implicito nel procedimento per decreto ingiuntivo sull’altare della tutela del consumatore ritenuta assiologicamente superiore, v. i commenti di C. RASIA, Giudicato, tutela del consumatore, ruolo del giudice in sede monitoria ed esecutiva, in Riv. trim. dir. proc., 2023, 65 e ss.; S. VINCRE, La Corte di Giustizia e le Sezioni Unite della Cassazione sulle nullità consumeristiche, in Riv. dir. proc., 4, 2023, 1487. I principi del Giudice europeo sono poi stati recepiti dalla Suprema Corte, Cass., Sez. Un., 6 aprile 2023, n. 9479, in Giur. it. 2023, 1053 ss., con note di C. CONSOLO, Istruttoria monitoria “ricarburata” e, residualmente, opposizione tardiva consumeristica “rimaneggiata” (specie) su invito del g.e.; di A. CARRATTA, Le Sezioni Unite della Cassazione tra nomofilachia e nomopoiesi. A proposito della sentenza 9479 del 2023, in Riv. esec. forz., 2023, 2, 357, che a 360 ritiene «pienamente condivisibile dal punto di vista dell’effettività della tutela del consumatore, alla luce della considerazione che il giudicato in tanto può ritenersi anche sostanzialmente corretto (in relazione alla tutela del consumatore, parte processualmente debole) in quanto l’accertamento sull’eventuale abusività delle clausole contrattuali sia stato effettivamente compiuto dall’organo giurisdizionale che ha emesso la decisione.»
[37] Sull’art. 295 c.p.c., si v. S. MENCHINI, voce Sospensione del processo civile di cognizione, in Enc. dir., XLIII, Milano 1990, 6 ss.: la necessarietà richiesta ai fini della sospensione postula una pregiudizialità in senso stretto, il cui significato ha lungamente impegnato la dottrina, cfr. S. SATTA, Accertamento incidentale, in Enc. Dir., I, Milano, 1958; M. TARUFFO, Collateral estoppel e giudicato sulle questioni, in Riv. Dir. Priv., 1972, II; L. MONTESANO, Questioni e cause pregiudiziali nella cognizione ordinaria, in Riv. Dir. Priv., 1988; ID., La sospensione per dipendenza di cause civili e l’efficacia dell’accertamento contenuto nelle sentenze, in Riv. Dir. Priv., 1983; S. RECCHIONI, Pregiudizialità processuale e dipendenza sostanziale nella cognizione ordinaria, Padova, 1999.
In giurisprudenza si è consolidato l’orientamento secondo il quale solo la pregiudizialità in senso tecnico-giuridico è idonea a giustificare la sospensione, i.e. una pregiudizialità-dipendenza configurabile in presenza di un vincolo di consequenzialità tra due questioni, una delle quali costituisca un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’altra. Ex multis, Cass. civ., Sez. I, sent. n. 12999, 15/05/2019: “La sospensione necessaria del giudizio, ex art. 295 c.p.c., ha lo scopo di evitare il conflitto di giudicati, sicché può trovare applicazione solo quando in altro giudizio debba essere decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico, non anche qualora oggetto dell’altra controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, soccorrendo in tal caso la previsione dell’art. 336, comma 2, c.p.c. sul cd. effetto espansivo esterno della riforma o della cassazione di una sentenza sugli atti e i provvedimenti (comprese le sentenze) dipendenti dalla sentenza riformata o cassata.”
[38] Le questioni pregiudiziali sono quelle che “potrebbero formare oggetto d’un giudizio autonomo e dar luogo in questo a cosa giudicata” secondo la definizione di CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1935, 353, 373.
[39] La finalità del public enforcement si è evoluta, in uno con la concezione della natura dell’Agcm, non più quale funzione di sola adjudication – reazione repressiva ex post al verificarsi della violazione del diritto della concorrenza – ma sempre più quale funzione di competition advocacy esercitata dall’organo amministrativo preposto alla cura di un interesse pubblico, di cui vengono accentuati i poteri ex ante, pro-attivi, che plasmano in capo all’Autorità “una vera e propria funzione regolatoria”: in questi termini M. RAMAJOLI, La tutela antitrust nel XXI secolo, in Riv. reg. merc., 2, 2020, 221 e ss., ma spec. 223.
[40] P. 7 della decisione del Collegio di Coord n. 2460., 14 marzo 2023.
[41] Coincidenza soggettiva sempre più fumosa come dimostra una recente decisione di sospendere il processo italiano pendente fra più parti di cui solo alcune, e solo per alcune delle domande, erano parti di una controversia pendente all’estero, del Tribunale di Torino, sez. II civ., ord. 12 aprile 2023, con nota di P. MAZZA, Pregiudizialità-dipendenza e continenza secondo l’art. 7, comma 3°, l. n. 218/1995, in Riv. dir. proc., 4, 2023, 1691 ss. Diversamente in altre occasioni, i giudici nazionali, ritenendo prevalenti altre esigenze, si sono dimostrati più rigidi: cfr. Tribunale Milano Sez. spec. in materia di imprese, 4 giugno 2013, in Danno e resp., 3, 2014, 310 ss., con nota di V. MOSCA, Recenti sviluppi nelle azioni civili antitrust stand-alone: il caso Viaggiare c. Ryanair in cui il giudice ha rigettato l’eccezione del vettore aereo di sospensione per litispendenza internazionale attesoché “seppur aventi petita e causae petendi simili al procedimento italiano, non si svolgevano tra le stesse parti”, coinvolgendo diversi soggetto di diritto, ancorché del medesimo gruppo societario.
[42] Nelle ipotesi considerate dal Regolamento, le cause sono ritenute connesse qualora presentino un collegamento così stretto da rendere opportuna un’unica trattazione e decisione per evitare il rischio di giungere a decisioni incompatibili derivante da una trattazione separata. Per la duttilità della nozione di litispendenza, ex art. 7 l. 218/1995 – propria anche del diritto internazionale, cfr. A. MILLS, The Identities of Private International Law: lessons from the U.S. and EU revolutions, in Duke Journal of Comparative & International Law, 2013, 23, 445-475, spec. 472 – non sovrapponibile quanto a presupposti alla disciplina municipale ex art. 39 c.p.c., v. A. DI BLASE, voce Litispendenza internazionale, in Enc. giur., Agg., XIX, Roma, 1995, 2 ss.; ID., Art. 7, in NLCC, 1996, 950; R. LUZZATTO, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato: legge 31 maggio 1995 n. 218. Commentario, in Riv. dir. int. priv. proc., 1995, 946; nella giurisprudenza euro-unitaria, cfr. C. Giust. CE, 8 dicembre 1987, C-144/86, e C. Giust. CE, 6 dicembre 1994, C-406/92, in Giur. it. 1995, I, 1, cc. 929 ss., con nota di A. PESCE, Materie speciali, litispendenza e connessione di causa nella interpretazione della Corte di giustizia della CE; e nazionale, Cass., 21 agosto 2018, n. 20841, in Giur. it. 2019, 830 ss., con nota di C. SCALVINI, Litispendenza comunitaria: nozione di lis alibi pendens e di identità di cause; in Danno e resp. 2019, 537 ss., con nota di P. MERLI, Tempo di forum shopping? La Cassazione “sconta” il danno risarcibile dall’identità oggettiva delle cause litispendenti.
[43] In argomento v., per tutti, G. DE CRISTOFARO, Le «azioni rappresentative» di cui agli artt. 140– ter ss. c.cons.: ambito di applicazione, legittimazione ad agire e rapporti con la disciplina generale delle azioni di classe di cui agli artt. 840– bis ss. c.p.c., in NLCC, 1, 2024, 1 ss.; E. CAMILLERI, L’azione rappresentativa e il raccordo imperfetto, ibid., 2.
[44] Così argomenta A.A. ROMANO, L’attuazione delle regole di concorrenza, op. cit., spec. 682.
[45] Ciò appare del resto coerente anche con il funzionamento del generale dispositivo previsto dal Codice di rito che, all’art. 337, ammette la sospensione facoltativamente disposta dal giudice allorché l’autorità di una sentenza sia invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso, se tale sentenza è impugnata; mutatis mutandis per quanto oggetto di disamina, l’autorità dell’accertamento dell’AGCM – autorità che l’Arbitro, ma non la Cassazione, fa derivare dall’applicazione dell’art. 7 cit. – può giustificare una sospensione, ma pur sempre discrezionale. La dottrina aveva già proposto un inquadramento della questione nell’alveo della sospensione facoltativa del giudizio di danno in seguito alla proposizione del gravame contro la decisione sanzionatoria della Commissione europea, M. NEGRI, Procedimenti paralleli in materia antitrust: (ir)ragionevoli corollari processuali del vincolo dei giudici nazionali alle decisioni della Commissione CE, in Int’l Lis, n. 3-4, 1° novembre 2009, 133; ID., L’efficacia delle decisioni, op. cit., spec. 512.
[46] Cfr. in senso critico F. RUSSO, Tra AGCM e ABF il Collegio Coordinamento sceglie il non liquet, in Riv. dir. banc., II, 2023, 1-22, spec. 19-20, in cui sottolinea l’impossibilità di assimilare i provvedimenti nelle materie ex art. 7, per cui è prevista l’efficacia (secondo la tesi prevalente) pro iudicato, ai provvedimenti in materia di clausole vessatorie cui, diversamente, si riconosce solo efficacia probatoria: attendere l’inoppugnabilità ha senso solo dal punto di vista strategico dell’agevolazione dell’onere, non anche come misura necessaria per evitare contrasti interni all’ordinamento giuridico.
[47] Al giudice ordinario sarebbe stato precluso un simile argomentare in quanto, diversamente dal funzionamento DELL’ADR ispirato all’autodisciplina, ove si fosse rifiutato di decidere una controversia per ragioni non vincolanti e di mera opportunità sarebbe incorso in responsabilità per diniego di giustizia ex art. 2, l. 117/1988.
[48] A 6, in chiusura della dec. 6541/2023 del Collegio di Torino: “Dal punto di vista, tuttavia, della qualificazione e dell’interpretazione resta da definire – attesa la diversa natura del giudizio – entro quali limiti e in che misura possa dirsi vincolata l’autonomia del giudizio che si svolge in una qualunque altra sede di carattere giurisdizionale, o anche dinanzi a questo Arbitro, rispetto all’accertamento svolto dall’Autorità e alle conclusioni in tale circostanza raggiunte dalla stessa in materia di clausole vessatorie o, come nella specie, di scorrettezza delle pratiche commerciali.”
[49] Soluzione invero non unanimemente avversata in dottrina: A.A. ROMANO, L’attuazione delle regole di concorrenza, op. cit., spec. 698-706 ritiene al contrario che l’opzione della prova valutabile insieme ad altre prove, adottata dal legislatore limitatamente alla efficacia delle decisioni di autorità antimonopolistiche straniere (art. 7 cit., al comma secondo), possa piuttosto rappresentare la soluzione che assopisce le più incisive critiche al binding effect, restituendo al giudice la propria autonomia costituzionalmente garantita.
[50] Tanto più considerando la sindacabilità in sede di legittimità del governo che il giudice abbia fatto dei requisiti normativi di gravità, precisione e concordanza, costituenti le linee di demarcazione ex art. 2729 delle presunzioni semplici: cfr. A. D’ANGELO, Il controllo della Cassazione sui requisiti delle presunzioni semplici, in Foro it., 1973, I, 149 ss.; W. BIGIAVI, Il controllo di logicità da parte della Corte di cassazione, in Foro it., 1940, IV, 33 ss.
[51] P. SIRENA, I sistemi di ADR nel settore bancario e finanziario, in NGCC, 2018, II, 1370 ss. (e cfr. anche ID., Il ruolo dell’Arbitro
Bancario Finanziario nella regolazione del mercato creditizio, in Oss. dir. civ. e comm., 2017, 3 ss.) spec. 1372, attribuisce all’Arbitro una funzione che va ben oltre il mero ausilio alla giurisdizione civile in chiave deflativa, non potendo costui sostituirsi al giudice per ovvie ragioni di ordine costituzionale, non assicurando peraltro il medesimo standard di garanzie della rule of law. L’organismo tuttavia permette di veicolare e indirizzare le condotte degli intermediari nel settore bancario (come l’ACF nel settore vigilato dalla CONSOB) con sanzioni dal forte impatto reputazionale, anche tramite la raccolta di un elevato numero di reclami che, intercettando le preferenze dei privati per celerità e costi, consente una maggior raccolta di informazioni al Regolatore, oltre alla erogazione di sanzioni che ingenerano meccanismi di deterrenza e di incentivo a condotte virtuose. A tale stregua si è parlato del consumatore quale attore partecipe nella regolazione: WAGNER, Private Law Enforcement Through ADR: Wonder drug or snake oil?, in Common Market L.R., vol. 51, 2014, 165 ss.; HODGES, The Consumer as Co-Regulator, in The Images of the Consumer in EU Law. Legislation, Free Movement and Competition Law, ed. Leczykiewicz and Weatherhill, Oxford-Portland, 2016, 245 ss. V. inoltre per il valore delle decisioni dell’Arbitro, G. GUIZZI, L’Arbitro Bancario Finanziario nell’ambito dei sistemi di ADR: brevi note intorno al valore delle decisioni dell’ABF, in Società, 2011, 1221; D. DALFINO, L’Abf e i principi del processo civile: contestazione, “contumacia”, onere della prova, in Il Processo, I, 2019, 27 ss.