È rimessa al vaglio delle Sezioni unite la vexata quaestio della risarcibilità del danno al locatore da anticipata risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore. Il tema, da inquadrarsi nella più ampia problematica della risarcibilità dell’interesse positivo leso dalla risoluzione ex art. 1453 cod. civ. nei contratti di durata, pone all’interprete, una volta che sia stata fornita la prova del danno conseguenza, il problema della individuazione dei parametri del calcolo del risarcimento invocato.
The controversial issue of the compensation of damages to the landlord from early termination of the rental contract due to non-compliance by the tenant is referred to the Joint Sections for consideration. The topic, to be framed in the broader problem of the compensation of the positive interest damaged by the resolution pursuant to art. 1453 c.c. in long-term contracts, it poses to the interpreter, once proof of the resulting damage has been provided, the problem of identifying the parameters of the calculation of the invoked compensation.
CASS. CIV., SEZ. III, ORD. 9 NOVEMBRE 2023, N. 31276
Le Sezioni Unite sono chiamate a decidere se, in relazione alla risoluzione per inadempimento da parte del conduttore del contratto di locazione di immobili, è configurabile (e, in caso positivo, in quali termini) un risarcimento del danno successivo al rilascio della res locata, commisurato ai canoni che il locatore avrebbe potuto percepire fino alla scadenza naturale del contratto.
1. L’ordinanza remissoria ed i termini della questione - 2. La querelle sulla natura del canone di locazione tra corrispettivo del godimento e rendita finanziaria - 3. Segue: considerazioni critiche sulla qualificazione del canone locatizio come rendita finanziaria - 4. Insussistenza di un danno in re ipsa - 5. I parametri per la quantificazione del danno - 6. Conclusioni - NOTE
La questione sottoposta alla Suprema Corte nella sua composizione più autorevole, con l’ordinanza di remissione del 9 novembre 2023, n. 31276, rappresenta l’epilogo di una lunga querelle giurisprudenziale che vede contrapposte due posizioni antitetiche. Secondo un primo orientamento, a seguito della risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore ex art. 1453 cod. civ., il locatore ha diritto unicamente a percepire i canoni che maturano fino alla riconsegna dell’immobile (art. 1591 cod. civ.) [1]. In senso opposto, un secondo e prevalente orientamento, sostiene, invece, che il locatore può pretendere dal conduttore, a seguito dell’inadempimento di quest’ultimo e della conseguente risoluzione del contratto, oltre alla restituzione dell’immobile ed ai canoni maturati fino alla riconsegna, anche il risarcimento del danno relativo alla lesione dell’interesse contrattuale positivo. Danno quantificabile nell’ammontare dei canoni che sarebbero stati dovuti fino alla scadenza naturale del contratto [2] e che, in conseguenza dell’anticipata risoluzione, dovuta all’inadempimento del conduttore, non sono stati incassati. Il punto di divergenza tra le due distinte ricostruzioni, individuato in maniera attenta dalla Sezione remittente, attiene, dunque, alle conseguenze che vanno ricollegate alla valutazione in termini di godimento indiretto della locazione qualora l’inadempimento del conduttore, comportando l’anticipata risoluzione del contratto, finisca per pregiudicare l’interesse economico che il locatore aveva riposto nella regolare esecuzione di esso [3]. Secondo una prima ricostruzione, posto che il canone rappresenta il corrispettivo per la privazione del godimento, non sussiste pregiudizio per il locatore per la mancata percezione dei canoni che, dopo il rilascio, sarebbero maturati fino alla scadenza del contratto, qualora il godimento del cespite oggetto di locazione torni al locatore in seguito al rilascio, all’esito dell’accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento del conduttore. Ai sensi del secondo orientamento, invece, il rilascio dell’immobile non neutralizza il danno rinveniente dal mancato conseguimento del canone fino alla scadenza del rapporto contrattuale, poiché l’interesse protetto dal contratto di locazione, leso dal conduttore a seguito del suo [continua ..]
Il primo punto controverso, essenziale per la soluzione del problema, attiene alla natura del corrispettivo attribuito a titolo di canone locatizio. Com’è noto, l’art. 1571 cod. civ., nel definire il contratto di locazione, dispone che “la locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo”. Il dictum normativo sembrerebbe addurre argomenti a sostegno della ricostruzione offerta dal primo orientamento, ove evidenzia che la natura del corrispettivo pagato/dovuto dal conduttore rappresenta “l’equivalente della privazione della possibilità di esercitare il godimento dello stesso [bene] in via diretta, cioè sia attraverso lo svolgimento su di esso dell’attività di godimento materiale possibile secondo la natura del bene, sia attraverso un atteggiamento di non utilizzazione del bene per il tramite di tale attività di godimento materiale e, quindi, attraverso la sua mera detenzione” [5]. Proprio la qualificazione del canone locatizio nei termini da ultimo riportati rappresenta l’argomento trainante della motivazione di una più recente decisione della Cassazione [6]. Essa, richiamando quasi interamente la sentenza del 2013, evidenzia come, intervenuto il rilascio del bene locato (a causa della risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore), la mancata percezione da parte del locatore dei canoni dovuti fino alla scadenza convenzionale o legale del rapporto, ovvero fino al momento in cui il locatore stesso conceda ad altri il godimento del bene con una nuova locazione, non configura di per sé un danno da perdita subita, né un danno da “mancato guadagno”, non ravvisandosi in tale mancata percezione una diminuzione del patrimonio del creditore – locatore rispetto alla situazione nella quale egli si sarebbe trovato se non si fosse verificato l’inadempimento del conduttore, stante il carattere corrispettivo del canone rispetto alla privazione del godimento. In definitiva, con il rilascio dell’immobile in conseguenza della risoluzione, viene ripristinata la posizione del locatore in ordine al godimento del bene nei termini sopramenzionati. E poiché il canone locatizio compensa il locatore della privazione della facoltà di godimento diretto, in via [continua ..]
Se in astratto è possibile concordare con chi, in generale, sottolinea che nel contratto l’interesse leso dall’inadempimento è quello alla regolare esecuzione dello stesso ed è perciò a tale pregiudizio che va equiparato l’obbligo risarcitorio a carico della parte inadempiente, nel contempo la qualificazione in termini esclusivamente finanziari del fenomeno locatizio non risponde ad una corretta valutazione del profilo causale che caratterizza il contratto di locazione. Come si è detto, i termini dello scambio sinallagmatico sono espressamente individuati dal legislatore nella prestazione, gravante sul locatore, di far godere e/o immettere il conduttore nel godimento del bene e nell’obbligazione gravante sul conduttore di corrispondere il canone: l’aspettativa di guadagno, dunque, non entra nello scambio, incentrato sul canone in funzione e/o quale corrispettivo del godimento. D’altra parte, una conferma indiretta della correttezza di tale qualificazione del canone locatizio, in termini di corrispettivo del godimento e non già di rendita attesa, si trae anche dall’art. 664 cod. proc. civ. La norma prevede, infatti, che, nell’ipotesi in cui venga richiesto un decreto ingiuntivo contestualmente alla convalida di sfratto per morosità, il giudice adito pronuncia separato decreto di ingiunzione per l’ammontare dei canoni scaduti e da scadere fino all’esecuzione dello sfratto. Di qui l’evidente nesso che lega il canone al godimento del bene, e ciò, si noti, a prescindere dalla persistenza del vincolo contrattuale che, in virtù della convalida, si risolve prima dell’esecuzione dello sfratto. Nonostante la sopravvenuta carenza del titolo il canone ha, perciò, una funzione compensativa del godimento, mancato per il locatore e, nel contempo, esercitato dal conduttore. Allorquando, invece, lo sfratto è eseguito il nesso è irrimediabilmente spezzato e, dunque, il canone non è più dovuto. Analogamente dispone l’art. 1591 cod. civ. che, nel disciplinare i danni da mancata restituzione della res locata, obbliga il conduttore inadempiente [13] a versare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, fatto salvo il risarcimento del maggior danno, su cui si dirà.
Se si condivide quanto esposto, il focus della questione, oggetto dell’ordinanza di remissione, deve essere da un lato depurato da interpretazioni della causa del contratto di locazione, non rispettose del dato normativo (art. 1571 cod. civ.), dall’altro spostato sui profili della prova e della quantificazione del danno che, per lo più, subisce il locatore all’esito della invocata ed ottenuta risoluzione anticipata del contratto per le inadempienze del conduttore. Se è pur vero che la restituzione o la riconsegna del bene consentono al locatore di recuperare un godimento diretto del bene o nuove opportunità per un godimento indiretto dello stesso, ciò non esclude che un danno si produca o possa prodursi [14] all’esito della risoluzione anticipata del contratto. Prevede l’art. 1223 cod. civ., infatti, che “il risarcimento del danno per l’inadempimento (e la successiva risoluzione del contratto ex art. 1453 cod. civ.) o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita (danno emergente) dal creditore, come il mancato guadagno (lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”. Sembra difficile, allora, negare che, nonostante l’assenza di una “perdita subita” in ordine al godimento dell’immobile (che viene, infatti, restituito da parte del conduttore inadempiente), sussista un danno da “mancato guadagno”: la posizione in cui si trova il locatore, anche a seguito della restituzione del bene locato, non è equiparabile al vantaggio derivante da una corretta esecuzione del contratto [15]. In definitiva, appare innegabile che il recupero anticipato del godimento del bene locato da parte del locatore non sia di per sé vicenda idonea a “pareggiare i conti” rispetto al caso in cui, fisiologicamente, il rapporto contrattuale avesse avuto naturale conclusione. Il focus di osservazione deve, dunque, spostarsi dal sinallagma canone/godimento alla valutazione dell’esistenza di un danno da inattuazione dell’interesse sotteso al contratto di locazione; interesse che prescinde dal recupero del godimento del bene, e che evidenzia l’opinabilità dell’interpretazione fornita da una parte minoritaria della giurisprudenza, secondo cui “la mancata percezione del canone tanto fino alla scadenza quanto fino alla rilocazione, [continua ..]
Dando per presupposta l’ottemperanza da parte del locatore ai predetti oneri di allegazione e di prova in ordine alla sussistenza del danno conseguenza, l’ordinanza in commento non affronta compiutamente l’ulteriore questione della misura/quantificazione del danno risarcibile. La prima domanda da porsi è se esso possa dirsi coincidente con i canoni che sarebbero maturati fino alla scadenza, come vorrebbe l’orientamento giurisprudenziale più rigoroso secondo cui andrebbe calcolato “parametrando il mancato guadagno all’interesse positivo alla percezione dei canoni di locazione concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore oppure, in mancanza di questa, fino alla scadenza naturale del contratto” [22], sia pure con il temperamento rappresentato dalla detrazione “dell’utile ricavato o ricavabile con l’uso della normale diligenza dall’immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione prematura ed il termine convenzionale del rapporto inadempiuto” [23]. La risposta deve tenere conto di una serie di elementi che concorrono a determinare l’apprezzamento da parte del giudice del merito di tutte le circostanze del caso concreto. Ponendosi nella prospettiva del locatore, è innegabile che solo la predetta misura risarcitoria è idonea a compensare il pregiudizio subito all’esito della condotta inadempiente del conduttore, non potendosi, nella fattispecie, assumere che si tratterebbe di guadagni meramente ipotetici [24]. La circostanza che sia stato il locatore a promuovere la domanda di risoluzione, mentre avrebbe potuto chiedere l’adempimento del contratto, non può certo risolversi in suo danno e, in ogni caso, essa non esclude dal novero dei danni risarcibili anche il mancato guadagno (art. 1453 cod. civ.), se ed in quanto costituisca conseguenza immediata e diretta, ex art. 1223 cod. civ., dell’evento risolutivo. Tale è il mancato “incremento patrimoniale netto che la parte non inadempiente avrebbe conseguito mediante la realizzazione del contratto e che non ha potuto conseguire per l’inadempienza dell’altra parte” [25]. Nel contempo, l’ulteriore circostanza che il conduttore abbia restituito la res locata, poiché rappresenta un fatto di per sé non necessariamente idoneo ad elidere la sussistenza del danno conseguenza, può rappresentare solo [continua ..]
Il Collegio remittente invoca l’intervento delle Sezioni unite chiedendo che esse dicano se “il maggior danno” cui allude l’art. 1591 cod. civ. possa individuarsi, ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., nel mancato guadagno “rappresentato dalla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore” entro il termine di scadenza dell’originario rapporto locatizio. Prima di ipotizzare una possibile soluzione alla diatriba giurisprudenziale, rimessa al vaglio delle Sezioni unite, si ritiene dover effettuare una precisazione essenziale al fine della corretta individuazione della fonte dell’obbligazione risarcitoria. L’ordinanza di remissione tende, infatti, a sovrapporre due norme che, però, svolgono funzioni diverse. Alla luce delle brevi considerazioni svolte in merito alla causa del contratto di locazione e del rapporto sinallagmatico che connatura tale tipo di negozio, si ritiene che il “maggior danno” al quale si riferisce l’art. 1591 cod. civ. non allude alla lesione dell’interesse positivo derivante dalla risoluzione per inadempimento del contratto di locazione, ma fa riferimento all’inadempimento e/o al corretto adempimento dell’obbligazione restitutoria positivizzata dall’art. 1590 cod. civ. e derivante dal rapporto sinallagmatico menzionato. Si sottolinea, infatti, che dal contratto di locazione derivano, in capo al conduttore, due obblighi: il primo attiene al dovere di corrispondere il canone per il godimento dell’immobile; il secondo consiste nella restituzione dell’immobile “nel medesimo stato in cui l’ha ricevuto, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto” (art. 1590 cod. civ.). Si ritiene, allora, che l’art. 1591 cod. civ. si riferisce solo alle conseguenze derivanti dall’inadempimento di tale obbligo restitutorio: il primo periodo riguarda l’evenienza in cui tale dovere restitutorio non venga adempiuto; il secondo attiene ad una restituzione cd. viziata del bene oggetto di locazione. Il “maggior danno” cui si riferisce tale disposizione non riguarda il pregiudizio dell’interesse contrattuale positivo leso dalla mancata esecuzione del contratto fino alla scadenza naturale, ma si riferisce [continua ..]