Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Il ricongiungimento familiare tra partner stranieri nel diritto dell´immigrazione (di Luisa Pascucci, Professoressa associata di Diritto privato – Università degli Studi di Brescia)


Il contributo indaga se, ed entro quali limiti, sia riconosciuto il ricongiungimento familiare fra partner stranieri non coniugati e, cioè, oltre la cerchia dei «familiari» stricto iure ammessi all’esercizio del diritto dall’art. 29 d.lgs. 286/1998 (t.u.imm.). In particolare, ci si sofferma sui rapporti tra la legislazione sull’immigrazione e la sopravvenuta legge 76/2016 a tutela delle unioni civili e delle convivenze formalizzate, trovando l’interprete innanzi a sé un quadro normativo tutt’altro che completo e coordinato, compresi autentici vuoti di tutela. È, invero, solo alla stregua di interpretazioni estensive e costituzionalmente orientate che il diritto al ricongiungimento familiare può ricevere tutela (convivenze more uxorio) o piena tutela (unioni registrate di diritto straniero) tra partner extra-europei.

 

Family reunification between foreign partners in italian immigration law

The contribution examines the extent to which family reunification between foreign unmarried partners is recognised, that is, it addresses the question of whether such recognition extends beyond the traditional notion of «family members» stricto iure, as set out in Article 29 of Legislative Decree n. 286/1998 («Consolidated Text on Immigration and provisions on the legal condition of foreigners»). In particular, the relationship between migration law and the aforementioned Law 76/2016 on the regulation of civil partnerships between same-sex people and of de facto living together of two same, or opposite, sex persons is analysed, as the interpreter is faced with a regulatory framework that is far from complete and coordinated, including serious voids in terms of protection. Indeed, it is only on the basis of a broad and constitutional interpretive framework that the right to family reunification can be protected (de facto cohabitations) or fully protected (unions registered under foreign law) between non-European partners.

SOMMARIO:

1. La nozione di «familiare» ammesso al ricongiungimento nella tralatizia formulazione dell’art. 29 t.u.imm. - 2. Il ricongiungimento familiare dopo la legge 76/2016: l’insufficienza del dato positivo. - 3. La questione (residua) del ricongiungimento familiare fra partner di unioni registrate di diritto straniero. - 4. Il ricongiungimento tra conviventi more uxorio: un vuoto di tutela da (ri)comporre in via ermeneutica. - 5.NOTE


1. La nozione di «familiare» ammesso al ricongiungimento nella tralatizia formulazione dell’art. 29 t.u.imm.

Il ricongiungimento familiare – una delle principali declinazioni del più ampio diritto all’unità familiare – consente al cittadino extraeuropeo che soggiorni regolarmente in Italia di essere raggiunto dai familiari provenienti da altri Paesi (artt. 28, 29 e 30 D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero», infra t.u.imm.) [1]. Un diritto che, sebbene da annoverare tra i diritti fondamentali dell’uomo [2], stenta a trovare una tutela di carattere assoluto, tanto nella giurisprudenza della Corte costituzionale [3], quanto in quella della Corte europea dei diritti dell’uomo [4] e della Corte di giustizia [5], essendo da bilanciare con il concorrente interesse dello Stato ospitante a controllare i flussi migratori in entrata. Questo in considerazione del fatto che l’ingresso dello straniero nel territorio nazionale coinvolge svariati interessi pubblici (sicurezza, ordine pubblico, sanità), la cui ponderazione spetta al legislatore interno, chiamato a bilanciare il diritto al ricongiungimento familiare con il diritto, preteso di pari dignità e rango, di presidiare le proprie frontiere e di regolamentare, nel­l’eser­ci­zio della propria sovranità, il flusso migratorio in entrata, con l’unico limite che le scelte, pur discrezionali, non risultino manifestamente irragionevoli [6]. Peraltro, con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (1° maggio 1999), è stata riconosciuta alla (allora) Comunità europea una competenza concorrente in materia di immigrazione, essendosi “comunitarizzate” materie (immigrazione, rilascio di visti, concessione di asilo, cooperazione giudiziaria in materia civile) sino ad allora trattate esclusivamente in ambito intergovernativo, ossia interamente rimesse al potere decisionale degli Stati membri. Al Consiglio è stato così attribuito il compito di adottare misure in materia di politica di immigrazione, fatto salvo il diritto degli Stati membri di mantenere o introdurre ex novo norme di diritto interno compatibili con il Trattato medesimo. E sulla base di ciò è stata adottata – in funzione di armonizzazione – la direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare dei cittadini extra U.E. legalmente soggiornanti nel territorio di uno Stato membro del­l’Unione. Una direttiva a lungo osteggiata dagli Stati membri, perché giudicata poco sensibile alle prerogative dagli stessi vantate in materia di immigrazione. E, verosimilmente per questo, recepita con notevole ritardo dall’Italia, con D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 («Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare»), che ha emendato in più punti il D.Lgs. n. 286/1998, già precedentemente modificato con legge 30 luglio 2002, n. 189 (c.d. legge Bossi-Fini), la quale aveva introdotto sensibili limitazioni alla concessione del visto di ingresso per ricongiungimento familiare.

In attuazione della direttiva, il decreto n. 5/2007, oltre a disciplinare ex novo il ricongiungimento familiare del rifugiato (art. 29-bis t.u.imm.), ha semplificato le procedure e mitigato le condizioni per la riunificazione familiare dei cittadini di Paesi terzi legalmente soggiornanti in Italia, espungendo dalla pregressa formulazione (artt. 28, 29, 30 t.u.imm.) tutta una serie di requisiti difficilmente accertabili nella prassi operativa, che la legge Bossi-Fini aveva introdotto nell’intento di contenere le riunificazioni familiari entro i limiti di un ordinato flusso migratorio. In particolare, non è stata più richiesta, per i figli minori con cui ricongiungersi, la condizione di familiari «a carico»; né, per i figli maggiorenni, una «invalidità totale», essendo divenuta sufficiente un’impossibilità di provvedere alle indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute; quanto ai genitori dell’avente diritto al ricongiungimento, è stata eliminata la necessità dell’accertamento dell’esistenza o meno di «altri figli nel Paese d’origine», limitandosi la legge a richiedere la mancanza di un adeguato sostegno familiare nel Paese di provenienza (art. 29 t.u.imm., post modifiche 2007). Ma per quello che più interessa in questa sede, e cioè lo specifico tema del ricongiungimento tra parti di unioni non coniugali, l’attuazione della direttiva europea si arresta qui, posto che il D.Lgs. n. 5/2007 non ha (ac)colto i segnali di apertura con cui la medesima aveva – pur timidamente – inteso allargare la cerchia, se non strettamente dei «familiari» (art. 4, parr. 1 e 2), in ogni caso dei beneficiari di ricongiungimento, riconoscendo agli Stati membri la possibilità di autorizzare, per via legislativa o regolamentare, il ricongiungimento con il «partner non coniugato cittadino di un paese terzo che abbia una relazione stabile duratura debitamente comprovata con il soggiornante» o con il «cittadino di un paese terzo legato al soggiornante da una relazione formalmente registrata», nel quale ultimo caso anche «decide[ndo] … di riservar[gli] …. lo stesso trattamento previsto per i coniugi» (art. 4.3). E, stando al tenore letterale delle disposizioni europee, neutro sotto il profilo del “genere” (non essendo richiesta la diversità di sesso tra i partner), erano da intendersi incluse le coppie non sposate omosessuali, purché ovviamente legate da una relazione stabile duratura provata o da una unione formalmente registrata.

Invero, la disciplina interna di attuazione – pur, come accennato, eliminando alcuni requisiti restrittivi – non ha punto ampliato la cerchia dei familiari ammessi al ricongiungimento ai sensi dell’art. 29 t.u.imm., ricomprendendo unicamente: a) il coniuge; b) i figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso; c) i figli maggiorenni non autosufficienti per ragioni di salute; d) i genitori a carico che non dispongano di adeguato sostegno familiare nel Paese d’origine o di provenienza. Tantomeno l’elenco dei familiari è stato integrato dagli emendamenti successivi, che, anzi, hanno reintrodotto la più parte dei requisiti restrittivi di cui alla legge Bossi-Fini [7], ammettendo al ricongiungimento: a) il coniuge non legalmente separato e di età non inferiore ai diciotto anni [8]; b) i figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso; c) i figli maggiorenni a carico, impossibilitati alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione di uno stato di salute che comporti invalidità totale; d) i genitori a carico che non abbiano altri figli nel Paese di origine ovvero i genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per gravi motivi di salute. Con il che, ad immutato (ad capitum rationem) testo dell’art. 29 t.u.imm., al partner straniero è rimasto inibito l’accesso al ricongiungimento familiare con lo straniero legalmente soggiornante in Italia [9] a lui legato da una relazione stabile duratura debitamente attestata o da una relazione formalmente registrata.

Dal canto suo, la giurisprudenza di legittimità [10] non ha ritenuto di poter procedere ad alcuna interpretazione estensiva della nozione di «familiare» delineata dalla legislazione sull’immigrazione, sulla base del rilievo che alcuna norma costituzionale impone una tale opzione interpretativa. Invero – osserva la S.C. – la Corte costituzionale, chiamata a verificare la compatibilità della ristretta cerchia di familiari di cui agli artt. 29 e 30 t.u.imm. con gli artt. 2, 3 e 29 Cost., ha avuto modo di escludere il contrasto sulla base del rilievo che «“l’inviolabilità del diritto all’unità familiare […] deve ricevere la più ampia tutela con riferimento alla famiglia nucleare, eventualmente in formazione, e quindi in relazione al ricongiungimento dello straniero con il coniuge e i figli minori” mentre negli altri casi il legislatore, che in materia gode di un’ampia discrezionalità limitata solo dal vincolo che le scelte non risultino manifestamente irragionevoli, può bilanciare il diritto dello Stato a regolamentare l’ingresso in Italia e il diritto degli stranieri all’unità familiare, che rispetto al primo assume pari dignità e rango […]» [11].

 

* Il saggio è destinato agli Studi in onore di Michele Sesta, di prossima pubblicazione.

[1] In senso tecnico, è dunque predicabile (recte, esercitabile) nei confronti dei familiari che risiedono all’estero, ai fini del rilascio di un visto di ingresso e conseguentemente di un permesso di soggiorno per motivi familiari (art. 29 e art. 30, comma 1, lett. a, t.u.imm.). Mentre la coesione familiare – ipotesi specificamente disciplinata dall’art. 30, comma 1, lett. c, t.u.imm. – è una particolare species di ricongiungimento familiare effettuato direttamente in Italia, dato che non presuppone la preventiva richiesta da parte del cittadino straniero del nulla osta allo Sportello Unico Immigrazione della Prefettura competente, né la successiva richiesta da parte del familiare di un visto d’ingresso per motivi familiari: la richiamata norma prevede che il permesso di soggiorno per motivi familiari sia rilasciato al familiare straniero già regolarmente soggiornante in Italia, con titolo al soggiorno per motivo diverso da quello per famiglia, in possesso di tutti i requisiti previsti per il ricongiungimento con altro cittadino straniero regolarmente soggiornante sul territorio, nel qual caso il permesso di soggiorno del familiare è convertito in permesso per motivi familiari.

[2] Oltre a potersi genericamente ricondurre nell’alveo delle norme costituzionali a tutela dell’unità familiare (artt. 2, 29, 30, 31 Cost.), detto diritto è altresì positivamente riconosciuto da innumerevoli accordi internazionali, quali l’art. 10 della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989; l’art. 44, n. 2 della Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie firmata a New York il 18 novembre 1990; l’art. 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici firmato a New York il 16 dicembre 1966; l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, a tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare, e il pressoché omologo art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009) ha acquisito il medesimo valore giuridico dei Trattati. Nella giurisprudenza europea, per la qualificazione del diritto al ricongiungimento familiare quale diritto fondamentale dell’uomo: Corte giust., Grande Sez., 27 giugno 2006, c. 540/03, Parlamento europeo c. Consiglio dell’Unione europea, in https://eur-lex.europa.eu, e in Fam. pers. succ., 2006, 957 ss.; nella giurisprudenza costituzionale italiana cfr. Corte cost., 18 luglio 2013, n. 202, in De Jure, anche se è costante l’affermazione per cui il diritto al ricongiungimento familiare assurge a diritto inviolabile dell’uomo solo con riferimento alla famiglia nucleare: fra tante, Corte cost., ord. 26 settembre 2007, n. 335, in Fam. dir., 2008, 117 ss., con nota di L. Pascucci, Il ricongiungimento familiare nell’interpretazione della Corte Costituzionale; Corte cost., ord. 23 dicembre 2005, n. 464, in De Jure; Ead., 8 giugno 2005, n. 224, in Riv. dir. int. priv. proc., 2005, 851; Ead., ord. 9 novembre 2006, n. 368, in De Jure.

[3] Fra tante, Corte cost., 21 novembre 1997, n. 353, in Dir. e giur., 1998, 203; Corte cost., ord. 4 luglio 2001, n. 232, in Giur. cost., 2001, 2066; Corte cost., 14 maggio 2006, n. 158, in D&G, 2006, 22, 36; Corte cost., ord. 26 settembre 2007, n. 335, cit.; Corte cost., 8 luglio 2010, n. 250, in De Jure; Corte cost., 6 luglio 2012, n. 172, in De Jure; Corte cost., 18 luglio 2013, n. 202, cit.

[4] Cfr. Corte EDU, 19 febbraio 1996, ric. n. 23218/94, Gul v. Svizzera; Ead., 21 giugno 1988, ric. n. 10730/84, Berrehab c. Olanda; Ead., 28 maggio 1985, ric. nn. 9214/80, 9473/81, 9474/81, Abdulaziz, Cabales and Balkandali c. Regno Unito: tutte reperibili in www.echr.coe.int; similmente Ead., 11 luglio 2002, ric. n. 56811/00, Amrollahi c. Danimarca; Ead., 24 novembre 2009, ric. n. 1820/08, Omojudi c. Regno Unito; Ead., 22 marzo 2007, ric. n. 1638/03, Maslov c. Austria; Ead., 17 aprile 2003, ric. n. 52853/99, Ylmaz c. Germania: tutte reperibili in www.echr.coe.int; e, più di recente, Corte EDU, Grande Camera, 9 luglio 2021, ric. n. 6697/18, M.A. c. Danimarca, in Giur. it., 2021, 2060 ss.

[5] Cfr., fra tante, Corte giust., Grande Sez., 27 giugno 2006, c. 540/03, Parlamento europeo c. Consiglio dell’Unione europea, cit.

[6] In tal senso Corte cost., ord. 4 luglio 2001, n. 232, cit.; Corte cost., ord. 26 settembre 2007, n. 335, cit.; Corte cost., 16 maggio 2008, n. 148, in Foro it., 2008, I, c. 2774; Corte cost., 18 luglio 2013, n. 202, cit.; Corte EDU, Grande Camera, 9 luglio 2021, ric. n. 6697/18, M.A. c. Danimarca, cit.

[7] Il riferimento è, in particolare, alla modifica del 2008 (D.Lgs. 3 ottobre 2008, n. 160), che ci consegna la norma – osserva P. Morozzo della Rocca, Il diritto all’unità familiare e le sue discipline, in Id. (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza, 5. ed., Santarcangelo di Romagna, 2021, 133 – «nella sua formulazione storicamente più severa». I successivi emendamenti apportati all’art. 29 t.u.imm. con l. n. 94/2009, D.Lgs. n. 18/2014, d.l. n. 13/2017 e d.l. n. 18/2020 non hanno, invece, inciso sulla cerchia dei «familiari» ammessi al ricongiungimento, che, dunque, rimane invariata dal 2008.

[8] Dunque, il matrimonio del minorenne, pur ammesso in Italia ai sensi dell’art. 84 c.c., non dà diritto al ricongiungimento familiare rispetto agli stranieri.

[9] Per quanto riguarda, invece, il ricongiungimento del cittadino di Stato extra U.E. con cittadino italiano o con cittadino U.E. soggiornante in Italia, vige la diversa disciplina – di maggior favore – di cui al D.Lgs. n. 30/2007, attuativo della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, su cui v. cenni in par. 4, e, funditus, L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, Napoli, 2023, 25 ss., 68 ss., 87 ss., 133 ss.

[10] Cass., 17 marzo 2009, n. 6441, in Nuova giur. civ. comm., 2009, pt. I, 829 ss., con nota di L. Pascucci, Coppie di fatto e ricongiungimento familiare: la messa a punto della Cassazione, in Fam. dir., 2009, 454 ss., con nota di M. Acierno, Ricongiungimento familiare per le coppie di fatto: la pronuncia della Cassazione, in Corr. giur., 2010, 91, con nota di B. Nascimbene, Unioni di fatto e matrimonio fra omosessuali. Orientamenti del giudice nazionale e della Corte di Giustizia, in Giur. it., 2009, 2644, con nota di R. De Meo e V. Mancinelli, Convivenza e ricongiungimento familiare, ivi, 2009, 2644, con nota di P. Valore, Identità di sesso e ricongiungimento familiare.

[11] Cass., 17 marzo 2009, n. 6441, cit.


2. Il ricongiungimento familiare dopo la legge 76/2016: l’insufficienza del dato positivo.

L’Italia ha regolamentato le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto omo o eterosessuali con l. 20 maggio 2016, n. 76 («Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze»). La legge, al comma 20 del suo unico articolo, dispone che «al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso». Con il che, già in virtù di questa previsione [1], si potevano estendere al cittadino di Stato terzo parte di un’unione civile omosessuale – quantomeno di diritto italiano – le disposizioni del t.u.imm. sul ricongiungimento familiare tra coniugi (art. 29 e art. 30, comma 1, lett. a) e sul permesso di soggiorno per motivi familiari (art. 30, comma 1, lettere b e c). Per fugare (recte, con pretesa di fugare) qualsivoglia dubbio interpretativo è, in ogni caso, intervenuto il Ministero dell’Interno, con Circolare n. 3511 del 5 agosto 2016, che ha precisato che, data la disposizione del comma 20 di cui all’art. 1 della legge 76/2016, «in virtù delle nuove disposizioni normative, il diritto al ricongiungimento familiare di cui all’art. 29 e seguenti del D.Lgs. n. 286/1998 (T.U. Immigrazione), si estende ai cittadini stranieri dello stesso sesso uniti civilmente. Pertanto, sarà possibile richiedere il nulla osta al ricongiungimento familiare a favore del partner unito civilmente purché maggiorenne e non legalmente separato». Dunque le disposizioni del testo unico sull’immigrazione in materia di ricongiungimento familiare tra coniugi (art. 29) e di rilascio di permesso di soggiorno per motivi familiari al coniuge o comunque al familiare (art. 30) si estendono anche alle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso «costituita» – precisa la Circolare – «in Italia o all’estero». Nella Circolare viene, altresì, esplicitato che la domanda di ricongiungimento deve essere corredata dalla documentazione prevista dall’art. 29, comma 3, t.u.imm., e cioè atta a comprovare la disponibilità di un alloggio e di un reddito rispondenti a determinati parametri; ed aggiunto che la documentazione comprovante l’unione civile, costituita tanto in Italia quanto all’estero, va prodotta alla Rappresentanza Diplomatica o Consolare Italiana competente, per la verifica dell’autenticità della stessa e il conseguente rilascio del visto di ingresso per motivi familiari. Si dispone, infine, che permangono in vigore le disposizioni più favorevoli previste all’art. 29-bis t.u.imm. per i rifugiati e i beneficiari di protezione sussidiaria. Vero è che, nonostante la positiva equiparazione degli uniti civilmente ai coniugi ai sensi del comma 20 della legge 76/2016 e le precisazioni contenute nella Circolare ministeriale, la mancanza di un coordinamento legislativamente (im)posto tra discipline normative o comunque di una “disciplina” attuativa più pregnante di quella (pur utilmente) resa in via amministrativa, con un adeguamento, se del caso, anche testuale delle norme del t.u.imm. alla novella del 2016, lascia residuare – come si dirà nel prosieguo dell’indagine – questioni interpretative di non sempre agevole composizione.

Venendo alle convivenze more uxorio, la legge n. 76/2016 non ha – come noto – carattere generale e omnicomprensivo, avendo sostanzialmente equiparato i conviventi ai coniugi soltanto in relazione a taluni profili, quali – ivi in estrema sintesi – ordinamento penitenziario, malattia e ricovero, abitazione nella casa di comune residenza, accesso agli alloggi dell’edilizia popolare, diritti nell’impresa familiare, risarcimento del danno per morte del convivente di fatto, diritto agli alimenti in caso di cessazione della convivenza per il partner che versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Sì che, stricto iure, le convivenze di fatto (omo o eterosessuali) rimangono attualmente prive di tutela in ordine al ricongiungimento familiare, giacché non testualmente ammesse all’esercizio di detto diritto da alcuna norma espressa o di rinvio contenuta nella legge 76/2016, tantomeno da qualsivoglia clausola generale di equiparazione al matrimonio (operante per le sole unioni civili). Vige, dunque, inalterato il “vecchio” testo di cui al­l’art. 29 t.u.imm., che ammette al ricongiungimento – per quel che riguarda le relazioni affettive – soltanto i coniugi, e va ora esteso, come visto, ai soli uniti civilmente (art. 1, comma 20, l. 76/2016). Sì che si tratterà di ragionare della legittimità ed opportunità di detta scelta legislativa e del diverso regime vigente per modelli familiari.

 

[1] Ordinariamente letta come una «clausola generale di equivalenza» al matrimonio (così è definita nel parere approvato dalla 2a Commissione permanente: cfr. il resoconto sommario n. 351 del 16 novembre 2016), almeno con riguardo ai cosiddetti effetti “pubblicistici” o “indiretti”, quali quelli prevalentemente disciplinati al di fuori del codice civile, le cui disposizioni, invece, valgono per l’unione civile solo se espressamente richiamate dalla l. n. 76/2016: cfr. R. Campione, L’unione civile tra disciplina dell’atto e regolamentazione dei rapporti di carattere personale, in M. Blasi-R. Campione-A. Figone-F. Mecenate-G. Oberto, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, 6.


3. La questione (residua) del ricongiungimento familiare fra partner di unioni registrate di diritto straniero.

Volendo esplicitare la clausola di equiparazione ai coniugi (art. 1, comma 20, l. 76/2016) ai fini che ci occupano, deve dunque ritenersi che, come previsto dagli artt. 29 e 30 t.u.imm. nei riguardi del coniuge (e più in generale dei familiari, primo fra tutti il coniuge), il cittadino di Stato terzo:

  1. I) se non residente in Italia, possa ivi ricongiungersi con il partner omosessuale straniero che soggiorni regolarmente in Italia, o con il cittadino italiano o con il cittadino U.E. residente in Italia[1], a lui legato da unione civile (art. 29 e art. 30, comma 1, lett. a, t.u.imm.); e potrebbe essere – stando alla summenzionata Circolare – un’unione civile di diritto italiano, eventualmente celebrata all’estero presso un consolato italiano allorché la coppia sia formata da un cittadino italiano, quanto un’unione civile costituta all’estero secondo legge straniera. è, in sostanza, la fattispecie “tipica” di ricongiungimento familiare: allo straniero proveniente da Paese terzo[2], se comprovati documentalmente i presupposti per essere ammesso al ricongiungimento con il familiare (tra cui la disponibilità di un alloggio e di un reddito rispondenti a determinati parametri), viene rilasciato un visto di ingresso e, conseguentemente, un permesso di soggiorno per motivi familiari ex 30, comma 1, lett. a, t.u.imm., avente la stessa durata del permesso di soggiorno del soggetto rispetto al quale si esercita il ricongiungimento e rinnovabile con quest’ultimo;
  2. II) se già regolarmente soggiornante, ad altro titolo, da almeno un anno, in Italia, ed ivi contragga unione civile con cittadino italiano o con cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti, potrà ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari che l’art. 30, comma 1, lett. b, t.u.imm. testualmente riserva a chi contragga matrimonio in Italia;

III) se già legalmente soggiornante in Italia, potrà ivi ricongiungersi (recte, esercitare il diritto alla coesione familiare) con lo straniero regolarmente soggiornante o con cittadino italiano o con cittadino di altro Stato U.E. residente in Italia a lui legato da unione civile (contratta in Italia o all’estero), ottenendo all’uopo un permesso di soggiorno per motivi familiari con cui si converte il titolo di soggiorno precedente purché non scaduto da oltre un anno (art. 30, comma 1, lett. c, t.u.imm.).

Tra le principali questioni che si pongono (recte, residuano) all’attenzione dell’interprete in ragione, come si accennava, da un lato, di un coordinamento (quello attuato dalla Circolare) “debole” e non perspicuo in ogni suo punto, dall’altro, e, a monte, delle stesse zone d’ombra della legge 76/2016, v’è quella dell’am­missibilità del ricongiungimento familiare fra partner di unioni civili (recte, unioni non coniugali omosessuali) contratte all’estero (recte, di diritto straniero). Dal canto suo, la menzionata Circolare ha espressamente ammesso al ricongiungimento familiare anche le unioni civili di cittadinanza interamente non europea formalizzatesi all’estero (costituite «in Italia o all’estero»). Tuttavia, il Ministero dell’Interno si è limitato a disporre che l’unito civilmente che invoca il ricongiungimento deve produrre «la documentazione comprovante l’unione civile alla rappresentanza Diplomatica o Consolare Italiana competente per la verifica di autenticità e conseguente rilascio del visto di ingresso per motivi familiari». Come opportunamente rilevato in dottrina, è da presumere che sia onere dei richiedenti il ricongiungimento familiare «dimostrare che la loro relazione assume, nel Paese dove è stata costituita, una rilevanza giuridica equivalente a quella assunta dall’unione civile nell’ordinamento interno» [3], e cioè sia sostanzialmente equivalente al matrimonio. «Onere di certo semplificato ove sia la stessa autorità diplomatica italiana a certificare detta equivalenza, ma è facile prevedere che non sempre partnership confrontabili per la loro rilevanza giuridica nel Paese di costituzione all’unione civile di diritto italiano saranno considerate equivalenti dagli uffici consolari, a causa di differenze più o meno rilevanti» [4]. Con il che, al cospetto di una minoranza di stranieri che riuscirà a provare la sostanziale equivalenza del vincolo affettivo contratto nello Stato terzo all’unione civile di diritto italiano, e per tale via ad essere ammessa al ricongiungimento, è presumibile che la più parte delle coppie di cittadini (entrambi) stranieri legati da una relazione omosessuale pur disciplinata dall’ordinamento giuridico di appartenenza si troverà inibita all’esercizio del ricongiungimento ove il vincolo non sia riconducibile all’istituto dell’unione civile di diritto italiano, e cioè non risulti equiparabile per effetti al matrimonio. Per esempio ove il Paese terzo presso cui si è costituito il vincolo non preveda né il matrimonio né l’unione civile per persone dello stesso sesso, ma ammetta una forma di convivenza registrata (recte, formalizzata) con effetti minori e non assolutamente equivalenti a quelli del matrimonio. In dottrina, in relazione a dette fattispecie (id est, un rapporto affettivo registrato o comunque attestato presso lo stato civile di uno Stato terzo, ma non equiparabile al matrimonio e per l’effetto nemmeno all’unione civile di diritto italiano) è stato proposto di adottare una interpretazione costituzionalmente orientata atta a «ritenere equivalente all’unione civile di diritto italiano anche forme straniere di riconoscimento del rapporto di coppia omosessuale operate dal diritto straniero mediante effetti giuridici di minore consistenza, in quanto, al di là del contenuto, esse costituiscono l’unica forma ammessa che in loco consenta la costituzione di una famiglia same-sex, svolgendo così, sia pure con diversità di contenuto performativo, la medesima funzione fondamentale che caratterizza l’istituto dell’unione civile nel diritto italiano» [5]. Va da sé che ove il ricongiungimento familiare tra stranieri (id est, tra soggetti entrambi stranieri) fosse stato de plano concesso, ex lege 76/2016, anche ai conviventi di fatto (oltre che agli uniti civilmente), ecco allora che le unioni non coniugali omosessuali di diritto straniero che pur non potessero trovare tutela – per non equiparabilità, nello Stato di costituzione, al matrimonio – sub specie di «unione civile» di diritto italiano, o comunque ad essa riconducibile, potrebbero quantomeno ricevere protezione – ai fini del ricongiungimento che ci occupa – sub specie di (id est, riqualificate in) «convivenze di fatto» ai sensi della legge 76/2016 e correlative norme di conflitto. Ma, come vedremo [6], è solo con uno sforzo interpretativo (se non manipolativo) che anche l’istituto della convivenza formalizzata di cui alla legge 76/2016 (tanto etero quanto omosessuale) può valere ai fini del ricongiungimento familiare fra stranieri, id est tra cittadini (entrambi) di Stati terzi, rispetto ai quali – come si dirà – non potrebbero supplire le norme più favorevoli di derivazione unionale a tutela della convivenza.

Problematico è, del pari, il ricongiungimento per le unioni non coniugali eterosessuali di diritto straniero, e cioè forme di unione dagli effetti pur sostanzialmente equipollenti al matrimonio e dunque tecnicamente equiparabili all’unione civile di diritto italiano, se non per il fatto di essere formate da persone non dello stesso sesso, e che allora fuoriescono dal perimetro di tutela della legge 76/2016 (o quantomeno dalle norme di essa dedicate all’unione civile) e dai conseguenti effetti utili, ai sensi del comma 20, quale quello del ricongiungimento familiare. Invero, il D.Lgs. 19 gennaio 2017 n. 7 («Modifiche e riordino delle norme di diritto internazionale privato per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1 comma 28, lettera b), della legge 20 maggio 2016, n. 76»), in vigore dall’11 febbraio 2017, ha lasciato totalmente irrisolta la sorte (id est, gli effetti in Italia) delle unioni civili costituite all’estero tra partner di sesso opposto. Con il che, posto che l’unione civile eterosessuale non è prevista nell’ordinamento né è (stricto iure) riconoscibile quella contratta all’estero, secondo taluni interpreti [7] per risolvere il problema non rimarrebbe che fare ricorso, nel silenzio normativo, all’applicazione analogica dei nuovi artt. 32-ter e ss. l. 218/1995 concernenti l’unione civile same-sex. Sì che l’unione eterosessuale produrrebbe effetti in Italia alla stregua dei criteri di collegamento dettati dal richiamato art. 32-ter, ossia, in linea di principio, ai sensi della legge del Paese di costituzione dell’unione (comma 4), sempre che il vincolo sia valido per requisiti di capacità e forma e, cioè, se contratto all’estero da cittadini (come ai fini che interessano in questo studio) entrambi stranieri, ove la legge nazionale consenta le unioni civili fra persone di sesso diverso (comma 1) e, quanto alla forma, l’unione sia valida ai sensi della legge del luogo di costituzione (o in base agli ulteriori criteri dettati dal comma 3). Salvo ipotizzare – laddove si ritenesse l’unione straniera rigorosamente irriducibile, in ragione della diversità di sesso dei contraenti, al modello italiano di unione civile – una riqualificazione (declassamento) dell’unione eterosessuale in convivenza, con conseguente applicazione, in via analogica, dell’art. 30-bis l. 218/1995 [8]. Vero è che, da un lato, è solo in via interpretativa che – come accennato e come meglio osserveremo – i conviventi di fatto stranieri possono essere ammessi al ricongiungimento familiare. Dall’altro, rimane comunque il fatto che la correlativa norma di conflitto (art. 30-bis l. 218/1995) offre una soluzione soltanto parziale, atteso che si limita a designare la legge applicabile al «contratto di convivenza», che le parti possono stipulare per regolare gli aspetti patrimoniali [9] dell’unione, mentre risultano attualmente sfornite di disciplina di conflitto tutte le questioni non suscettibili di essere regolate su base contrattuale [10].

In conclusione, pare potersi ritenere che il ricongiungimento familiare ai sensi dell’art. 29 t.u.imm. sia da intendersi esteso, come peraltro emerge dalla Circolare, anche ai partner di unioni costituite all’estero secondo il diritto straniero, ma – salvo interpretazioni particolarmente estensive –: a condizione di una loro equiparabilità per effetti al matrimonio (anche) nel Paese di costituzione; e in ogni caso nei limiti di riconoscibilità internazionalprivatistica dettati dall’art. 32-ter l. 218/1995. Nella delineata prospettiva, le unioni omosessuali non riducibili – per minori effetti – al modello di unione civile di diritto italiano o le unioni che esulano totalmente dal perimetro di tutela della legge e (che si ritiene esulino) anche dalle correlative norme di conflitto (quali le unioni eterosessuali) potrebbero ricevere tutela nei limiti di una riqualificazione/degradazione in convivenze more uxorio; ma il condizionale è d’obbligo, date – come accennato e come infra meglio osserveremo – l’irrilevanza, a rigor di legge, della convivenza more uxorio ai fini del ricongiungimento familiare e in ogni caso la insufficienza dei criteri dettati dalle novelle norme di conflitto, di cui pur fare applicazione analogica.

Va infine dato conto – posto che è sempre questione di riconoscimento in Italia di un’unione contratta all’estero, sia pur, nella specie, coniugale – che, nel silenzio normativo, rimane allo stato dibattuta l’ammissibilità del ricongiungimento familiare fra coniugi same-sex, o, ciò che è lo stesso, la riconoscibilità in Italia del matrimonio omosessuale contratto all’estero come situazione legittimante – inter alia – il ricongiungimento familiare [11]. Ora, come noto, a seguito della entrata in vigore della legge Cirinnà, e della relativa disciplina attuativa, è stato testualmente previsto che i matrimoni omosessuali celebrati da cittadini italiani all’estero producano gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana (neo-introdotto art. 32-bis l. 218/1995 e art. 1, comma 28, l. 76/2016). Tuttavia, l’art. 32-bis non interviene sull’efficacia in Italia dei matrimoni omosessuali contratti all’estero da due cittadini stranieri, e la sua formulazione è dubbia anche con riguardo a quelli celebrati fra uno straniero ed un cittadino italiano (c.d. matrimoni misti). Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione, la quale ha applicato il medesimo regime giuridico di cui all’art. 32-bis ai matrimoni misti, con dunque necessaria conversione dell’unione coniugale in unione civile, mentre ha escluso l’applicazione della norma all’ipotesi in cui venga richiesto il riconoscimento di un matrimonio contratto all’estero da due cittadini stranieri, il quale andrà trascritto «come tale, senza operare alcuna conversione», conservando l’efficacia originaria [12]. Di conseguenza, per il matrimonio same-sex contratto all’estero da cittadini entrambi di Stati terzi, il meccanismo di riconoscimento sarà quello generalmente applicabile in base alle norme di diritto internazionale privato, con conseguente operatività dei criteri di collegamento stabiliti negli articoli da 26 a 30 l. 218/1995 o, ove applicabili, dei regolamenti U.E. in materia matrimoniale [13]; il riconoscimento sarà cioè «subordinato – oltre che all’accertamento della validità formale del matrimonio sulla base delle leggi alternativamente richiamate dall’art. 28 della legge n. 218/1995 – al fatto che, fatti salvi gli effetti del rinvio, la legge nazionale di entrambi i coniugi, richiamata dal precedente art. 27, preveda il matrimonio omosessuale» [14]. Ecco allora che dovendosi riconoscere piena efficacia di matrimonio – in base alla legge nazionale dello straniero che lo ammetta – alle unioni coniugali omosessuali contratte all’estero da cittadini entrambi stranieri, ai componenti di dette unioni dovrebbe, per l’effetto, essere consentito, in quanto a tutti gli effetti coniugi, di godere – inter alia – del diritto al ricongiungimento familiare come positivamente riconosciuto ai coniugi (eterosessuali) dall’art. 29 t.u.imm. Peraltro, ove uno dei coniugi sia un cittadino U.E. avvalsosi della libertà di circolazione e soggiorno in altro Stato membro (ma lo stesso varrebbe per il cittadino U.E. che facesse rientro nel suo Stato d’origine dopo aver esercitato la libertà di circolazione) [15] e, cioè, ove il cittadino di Stato terzo abbia contratto matrimonio omosessuale con un cittadino dell’Unione durante il soggiorno in altro Stato membro, la questione si fa più piana, posto che il diritto unionale – recte l’inter­pretazione dello stesso fornita dalla Corte di giustizia – si è in tempi recenti aperto al ricongiungimento fra coniugi dello stesso sesso divenuti tali in uno Stato membro [16]. Invero, nel noto caso Coman, la Corte di Giustizia, rovesciando il suo iniziale approccio, ha per la prima volta preso posizione sulla nozione di «coniuge» ai sensi dell’art. 2, par. 2, lett. a, direttiva 2004/38/CE [17], accogliendone una nozione evolutiva e autonoma, neutra sotto il profilo del genere, idonea a ricomprendere qualunque persona legata al cittadino del­l’Unione da un valido vincolo matrimoniale, a prescindere dal sesso [18]. Di qui, a pena di determinare un trattamento differenziato basato sulla nazionalità, privo di una giustificazione oggettiva e ragionevole, la lettura evolutiva di coniuge fatta propria dalla Corte di Giustizia pur agli specifici fini della direttiva 2004/38/CE dovrebbe essere importata anche nel diritto dell’immigrazione (art. 29, comma 1, lett. a, t.u.imm. e art. 4.1, lett. a, direttiva 2003/86/CE), offrendo così un ulteriore e più certo indice a favore del ricongiungimento familiare fra coniugi omosessuali di cittadinanza interamente extraeuropea.

 

[1] Riguardo al ricongiungimento con il cittadino europeo (compreso il cittadino italiano) va, però, segnalata la sovrapposizione dell’ambito di applicazione dell’art. 30, comma 1, t.u.imm. con la disciplina (di maggior favore) di derivazione europea a tutela della libertà di circolazione e soggiorno dei familiari di cittadini europei (D.Lgs. n. 30/2007), a norma dell’art. 28, comma 2, t.u.imm. e dell’art. 23 D.Lgs. n. 30/2007. Sì che l’art. 30 t.u.imm. conserva, a ben vedere, un (più) utile ambito di applicazione relativamente alle fattispecie di ricongiungimento (e coesione familiare) fra partner entrambi stranieri. V. infra, par. 4.

[2] Le lettere b) e c) dell’art. 30 t.u.imm. – su cui v. immediatamente infra, nel testo – riguardano, invece, i familiari già presenti in Italia, i quali non sono quindi entrati a titolo di ricongiungimento familiare. Anche ad essi, alle condizioni ivi previste, può essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi familiari, c.d. ricongiungimento familiare sur place, che costituisce «una preziosa occasione di consolidamento della regolarità del soggiorno o anche di regolarizzazione»: così P. Morozzo della Rocca, Il diritto all’unità familiare e le sue discipline, cit., 142.

[3] P. Morozzo della Rocca, Il diritto alla coesione familiare prima e dopo la legge n. 76 del 2016, in Giur. it., 2017, 587.

[4] P. Morozzo della Rocca, Immigrazione e modelli familiari, in Enc. dir., I Tematici, IV, Milano, 2022, 634, che pur precisa che «questa operazione ermeneutica trova … limite nella necessità di governo dei fenomeni migratori, richiedendo comunque una ragionevole consistenza dell’istituto straniero oggetto della comparazione».

[5] P. Morozzo della Rocca, Immigrazione e modelli familiari, cit., 634.

[6] V. infra, par. 4.

[7] C. Campiglio, La disciplina delle unioni civili transnazionali e dei matrimoni esteri tra persone dello stesso sesso, in Riv. dir. int. priv. proc., 2017, 39 ss., spec. 66, che osserva: «Il rifiuto di riconoscere status personali validamente costituiti all’estero potrebbe esporre il nostro Paese a censure a livello sovranazionale per violazione del principio comunitario di libera circolazione delle persone e dei relativi status, nonché del principio di non discriminazione in base all’orientamento sessuale»; F. Pesce, Forum: La disciplina internazionalprivatistica italiana delle unioni civili/4, in https://crossborder.live; D. Zannoni, Gli effetti nell’ordinamento italiano delle unioni civili e dei matrimoni “same-sex” conclusi all’estero, in DPCE online, 2020, fasc. 1, 255.

[8] C. Campiglio, La disciplina delle unioni civili transnazionali e dei matrimoni esteri tra persone dello stesso sesso, cit., 66; D. Zannoni, Gli effetti nell’ordinamento italiano delle unioni civili e dei matrimoni “same-sex” conclusi all’estero, cit., 254.

[9] Tuttavia, sull’utilizzo – e pretesa utilità – del «contratto di convivenza» agli specifici fini (pur extrapatrimoniali) che ci occupano, o, più esattamente, al fine di comprovare la convivenza sulla cui base poi richiedere un permesso di soggiorno per motivi familiari, sia consentito rinviare a L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, cit., 87 ss. Si veda, comunque, un accenno alla questione in par. 4, nota 45.

[10] Il rilievo è di D. Zannoni, Gli effetti nell’ordinamento italiano delle unioni civili e dei matrimoni “same-sex” conclusi all’estero, cit., 255.

[11] Potendo ivi limitare a brevi cenni, sia consentito rinviare a L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, cit., 114 ss.

[12] Cass., 14 maggio 2018, n. 11696, in Nuove leg. civ. comm., 2018, 1436 ss., con nota (critica) di V. Caredda, Matrimonio “misto”: efficacia e trascrivibilità, e in Fam. dir., 2019, 136 ss., con nota di M.L. Serra, Sulla trascrizione del matrimonio omosessuale estero e diritti fondamentali della persona.

[13] Cass., 14 maggio 2018, n. 11696, cit.

[14] D. Damascelli, La legge applicabile ai rapporti patrimoniali tra coniugi, uniti civilmente e conviventi di fatto nel diritto internazionale privato italiano e europeo, in Riv. dir. int., 2017, 1103 ss., spec. par. 2.

[15] V. infra, in nota 43.

[16] Per una più approfondita disamina della questione cfr. L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, cit., 126 ss.

[17] Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (su cui v. ancora infra, par. 4).

[18] Corte giust., Grande Sez., 5 giugno 2018, n. 673, Coman e a. c. Inspectoratul General pentru Imigrari e Ministerul Afacerilor Interne, in Fam. dir., 2019, 113, con nota di E. Ambrosini, Matrimoni omosessuali e libera circolazione. Regole europee e interpretazioni evolutive, in Ilfamiliarista.it, 4 luglio 2018, con nota di G. Pizzolante, Matrimonio same-sex quale presupposto giuridico per l’applicazione di norme materiali europee, e in Nuova giur. civ. comm., 2018, 1573, con nota di E. Chiaretto, Libera circolazione dei coniugi dello stesso sesso nell’Unione Europea.


4. Il ricongiungimento tra conviventi more uxorio: un vuoto di tutela da (ri)comporre in via ermeneutica.

Stricto iure, i conviventi di fatto (omo o eterosessuali) non sono ammessi al ricongiungimento familiare, essendo mancata qualsivoglia norma espressa o di rinvio nella legge 76/2016 che (quantomeno formalmente) autorizzi a ciò. Vige, dunque, inalterato il “vecchio” testo di cui all’art. 29 t.u.imm., la cui formulazione restrittiva, anche per come emendata nel 2007 in attuazione della direttiva 2003/86/CE (che pur aveva formalmente aperto ai partenariati) e dai successivi interventi normativi [1], ammette al ricongiungimento soltanto il coniuge, i figli ed i genitori, e nulla concede ai conviventi, inibendo dunque il ricongiungimento del partner straniero con il cittadino di Stato terzo già legalmente soggiornante in Italia. Si mantiene, con ciò, il differente regime tra matrimonio e convivenze di fatto (recte, la totale assenza di tutela per il ricongiungimento fra conviventi). Epperò, al contempo si introduce, con la legge medesima, una differenza di regime tra convivenze di fatto (omo o eterosessuali) e unioni civili (omosessuali), queste ultime soltanto ammesse al ricongiungimento per effetto della clausola di estensione del comma 20. Una esclusione, o, più correttamente, dato il silenzio legislativo, una omissione – cave, più realisticamente deliberata [2], anziché frutto di un mancato coordinamento – che non si spiega agevolmente, ora che (anche) la convivenza di fatto [3] di cui alla legge 76/2016, pur riconducibile all’art. 2 Cost., anziché all’art. 29 Cost., assurge a «famiglia in senso formale, elevandosi … su un piano diverso dal fatto sociale della convivenza e dunque della vita familiare senza qualificazione» [4], sì che anche detto modello familiare dovrebbe rilevare ai fini del riconoscimento del ricongiungimento in quanto – appunto – anche i conviventi assurgono a (nuovi) «familiari» da poter includere nell’elenco di cui all’art. 29 t.u.imm. Come rilevato dal Tar Calabria – in materia di ricongiungimento familiare in ambito militare (normativa interna dell’Arma dei carabinieri) – si deve «dare atto dell’evoluzione del concetto di famiglia comprensivo anche delle unioni di fatto tra individui (anche dello stesso sesso), e della progressiva valorizzazione della convivenza stabile quale fonte di effetti giuridici rilevanti» (par. 6.3 della sentenza), sì che «l’esclusione della convivenza more uxorio – stabile ed accertata secondo la legge 76/2016 – dal novero delle situazioni che legittimano il ricongiungimento familiare, appare irragionevole» (par. 7.1 della sentenza) [5].

Cave, ciò della cui ragionevolezza si dubita non è l’esclusione dei soli conviventi di fatto eterosessuali dal novero dei soggetti ammessi al ricongiungimento familiare, bensì la scelta di escludere i conviventi tout court (tanto eterosessuali quanto omosessuali). La legge 76/2016 non ha, invero, perpetrato alcuna discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale, nella misura in cui non ha comunque ammesso al ricongiungimento tanto i conviventi di fatto omosessuali quanto quelli eterosessuali. Né può dirsi aver discriminato le coppie non coniugate eterosessuali rispetto alle coppie non coniugate dello stesso sesso per aver ammesso al ricongiungimento le sole unioni civili (omosessuali): invero, a fondamento della predetta scelta legislativa, milita il “consueto” argomento per cui i conviventi di fatto eterosessuali possono scegliere, in alternativa, la tutela piena del matrimonio, viceversa inibita alle coppie omosessuali; in altri termini, le coppie eterosessuali, avendo libero accesso all’istituto del matrimonio, ove vogliano inter alia ricongiungersi, possono (recte, debbono) sposarsi. Infatti, posto che, ai sensi della legge 76/2016, l’unione civile omosessuale si atteggia pressoché a tutti gli effetti a matrimonio, mentre le convivenze di fatto (aperte tanto agli eterosessuali quanto agli omosessuali) no, si realizza una tutela quasi perfettamente simmetrica (c.d. a doppio binario) tra coppie omosessuali, che possono scegliere tra unione civile e convivenza di fatto, e coppie eterosessuali, che possono scegliere tra matrimonio e convivenza di fatto.

Ecco allora che la scelta di denegar tutela – agli effetti, inter alia, del ricongiungimento familiare – ai conviventi di fatto, proprio perché tanto eterosessuali quanto omosessuali, non può reputarsi illegittima – id est discriminatoria – sotto il profilo dell’orientamento sessuale, ma semmai inopportuna, o financo irragionevole, nel contesto di valorizzazione del modello pluralistico e, dunque, in ragione della pari dignità assunta – per effetto delle indicazioni provenienti dalla Corte costituzionale [6] e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo [7] – dai nuovi modelli familiari, e dunque in ossequio ad un fondamentale principio di uguaglianza sostanziale che, in relazione a specifiche situazioni, conduce (recte, può condurre) ad un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia non coniugata (tanto eterosessuale, quanto omosessuale) [8], specie laddove siano coinvolti diritti fondamentali della persona. Del resto, pur se appaiono ragionevoli i minori effetti ricollegati a forme di tutela meno intense e più leggere, quale la convivenza di fatto regolamentata, in ragione di quel bisogno di degiuridificazione, di «rivendicazione di libertà e di autonomia», di «rifiuto di burocratizzare il rapporto», di «ricerca di una più autentica spontaneità dei sentimenti» [9] che ha indotto le parti a sottrarsi, per ragioni pratiche ovvero ideologiche, alla vincolatività del matrimonio o comunque (specie quanto alle coppie omosessuali) ad un modello di unione ad esso equipollente, non per questo però le coppie possono essere private di taluni diritti, specie se fondamentali, quale certamente è il diritto al ricongiungimento familiare [10], da ricondurre ai diritti della personalità e che assurge a principale (e pressoché unico) strumento di attuazione e soddisfazione del diritto alla «vita familiare» fra persone provenienti da Paesi diversi (nella specie, l’una legalmente soggiornante in Italia e l’altra residente al­l’e­ste­ro).

È sotto altro profilo che si perpetra, invece, a tutti gli effetti, una discriminazione. Invero, laddove la coppia sia formata da almeno un cittadino U.E. si applica, in luogo del (più restrittivo) testo unico sul­l’im­mi­gra­zione, il regime di maggior favore di cui al D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, disciplina di recepimento della direttiva 2004/38/CE sul ricongiungimento familiare dei cittadini U.E. che abbiano (recte, purché abbiano) esercitato la libertà di circolazione e soggiorno in uno Stato membro diverso da quello di origine, che ha esteso il diritto alla riunificazione familiare a ben altri modelli di convivenza rispetto al “mero” coniugio eterosessuale di cui all’art. 29 t.u.imm. Invero, oltre al ricongiungimento fra partner di una «unione registrata» (art. 2, lett. b, punto 2, D.Lgs. n. 30/2007, conforme all’art. 2.2, lett. b, direttiva 2004/38/CE), l’art. 3, comma 2, lett. b, D.Lgs. n. 30/2007, in attuazione [11] dell’omologa previsione della direttiva (art. 3.2, lett. b), ammette – recte, prescrive che gli Stati membri ospitanti agevolino [12] – il ricongiungimento fra il cittadino U.E. spostatosi tra almeno due Stati membri (nella specie, il cittadino proveniente da un diverso Stato U.E. che soggiorni in Italia) ed il partner straniero a lui legato da una «relazione stabile debitamente attestata con documentazione ufficiale». E la medesima disciplina opera nei confronti del cittadino italiano che, dopo essersi spostato in altro Stato membro, abbia fatto rientro nel suo Paese d’origine e ivi intenda godere del diritto al­l’unità familiare con il partner a lui legato da una relazione stabile, stante la previsione dell’art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 30/2007, che estende le disposizioni del decreto medesimo, se più favorevoli (come senz’altro sono quelle che accolgono una nozione ampia di «familiare», o comunque di «altro familiare» o «avente diritto» all’ingresso e soggiorno in territorio U.E.), ai familiari non aventi la cittadinanza italiana di cittadini italiani che abbiano esercitato il diritto di libera circolazione in ambito europeo [13]. Per il vero, un analogo diritto di ingresso e soggiorno spetta al familiare (compreso il partner, data la più generosa elencazione contenuta nella normativa di derivazione europea) extra U.E. del cittadino italiano che non abbia esercitato la libertà di circolazione in territorio U.E. e, cioè, del cittadino italiano c.d. statico che intenda vivere in Italia con il – come qui rileva – partner straniero a lui legato da una relazione stabile debitamente attestata, posto che l’art. 23, comma 1-bis, D.Lgs. n. 30/2007 (comma introdotto dal d.l. n. 69/2023) dispone che al familiare extra U.E. sia rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di famiglia, della durata di cinque anni, rinnovabile a scadenza e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, con le modalità di cui all’art. 5, comma 8, t.u.imm. [14].

Dunque, una coppia di fatto, tanto etero quanto omosessuale, formata da almeno un cittadino europeo (compreso il cittadino italiano), rispetto ad una coppia formata da cittadini entrambi stranieri (recte, entrambi cittadini di Stati terzi), sarà ammessa a godere del diritto all’unità familiare ai sensi della disciplina di derivazione europea (eventualmente combinata, al cospetto di un cittadino italiano c.d. statico, con le norme del t.u.imm. per quel che concerne le modalità di rilascio e il diverso tipo e regime del titolo di soggiorno) [15]. Più esplicitamente, il cittadino di Stato terzo, se partner di un cittadino U.E. o di un cittadino italiano, vedrà garantito il suo diritto all’unità familiare al seguito del convivente [16], mentre il cittadino di Stato terzo partner di un connazionale o comunque di un cittadino di (altro) Stato extra U.E. si vedrà negata ogni possibilità di ricongiungimento. E pur pare a chi scrive che una differenza di regime tra conviventi a seconda che sia, o meno, coinvolta (e da tutelare e rendere effettiva), in ragione della nazionalità della coppia (coppia con almeno un cittadino U.E.), la libertà di circolazione in territorio U.E., materia di competenza unionale, dovrebbe (o al più potrebbe) investire le concrete modalità di esercizio (il quomodo) del diritto all’unità familiare, giustificando eventualmente un surplus di tutela in termini di condizioni di ingresso e soggiorno di maggior favore (agevolazioni e semplificazioni), non già l’ammissibilità stessa (l’an) di un diritto fondamentale della persona, che, in quanto tale, dovrebbe spettare a prescindere. Del resto, la Corte di giustizia è costante nel­l’affermare che il carattere fondamentale del diritto all’unità familiare impone, per quanto possibile, di interpretare in senso ampio le disposizioni delle direttive europee che riconoscono detto diritto e restrittivamente invece quelle che impongono limiti al suo esercizio [17].

In conclusione, sia per scongiurare derive discriminatorie in ragione della nazionalità della coppia, sia per rimanere fedeli (o, più correttamente, adeguarsi) al pluralismo delle relazioni familiari [18] e correlativa libertà di scelta del modello d’unione cui affidare i propri sentimenti [19], sia per non privare le coppie (a tutti gli effetti formazioni sociali ex art. 2 Cost.) di diritti fondamentali, parrebbe corretto adottare – sulla scia, peraltro, di attenta giurisprudenza amministrativa [20] – una interpretazione correttiva (estensiva) del t.u.imm. (e per il vero, a monte, della stessa legge 76/2016), da (etero) integrare con le norme costituzionali e con le norme convenzionali a tutela dei diritti fondamentali della persona, qual è il diritto al godimento della vita familiare sub specie di diritto all’unità familiare, da riconoscersi – per un fondamentale principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3, comma 2, Cost. e connesso controllo di ragionevolezza [21] – anche ai partner di fatto [22], giacché – come chiarito dalla Corte EDU anche in questa materia [23] – la nozione di «vita privata e familiare» di cui all’art. 8, par. 1, CEDU include ormai non solo le relazioni consacrate nel matrimonio, ma anche le unioni di fatto e, più in generale, ogni legame personale esistente nella prassi i cui membri (omo o eterosessuali) vivano insieme e stabilmente [24]. Del resto, il “crisma” di una relazione non dovrebbe costituire un discrimine costituzionalmente legittimo atto a consentire al legislatore di disporre tutele così differenziate, a fronte di un bene – quale quello del pluralismo dei modelli familiari tutelato dalle norme sovranazionali e interne – che è quello di «un legame affettivo in concreto significativo, la cui riconoscibilità costituisce la condizione di tutela ma non la sua ragione prima» [25]. Riconoscibilità certamente garantita al massimo grado dalla registrazione del matrimonio o dell’unione civile, ma che pur può essere resa evidente anche in altri modi (come da una debita attestazione della convivenza).

Da ultimo, si consideri che la preoccupazione legata al rischio di un flusso di ingresso incontrollato ed al pericolo (pur concreto) di un esercizio pretestuoso e opportunistico del diritto all’unità familiare, al solo fine di regolarizzare la condizione dello straniero già presente sul territorio nazionale (id est, al solo fine di ottenere un visto d’ingresso od un titolo di soggiorno), si può vincere in altro modo che non sia una restrittiva e angusta individuazione – ex ante – della cerchia dei soggetti da ammettere al ricongiungimento, come senz’altro ai sensi delle norme del t.u.imm. volte a contrastare i c.d. negozi familiari di comodo, ossia esclusivamente preordinati a scopi estranei alla «causa familiare» [26] (art. 29, comma 9 [27], e art. 30, comma 1-bis [28], t.u.imm.) e, sempre connesso a ciò, attraverso un effettivo ed individualizzato esame della situazione del richiedente, atto a vagliare elementi concreti dell’effettività del rapporto familiare addotto (art. 5, comma 5, t.u.imm.) [29].

 

[1] V. supra, par. 1, nota 7.

[2] Trattasi, invero, di una precisa opzione – rispetto agli istituti non richiamati – di “non tutela”. Del resto, con specifico riferimento al ricongiungimento familiare, che qui ci occupa, i tentativi (ed input) di modifica dell’art. 29 t.u.imm., volti ad estendere il ricongiungimento anche fra partner di fatto, sono tutti andati deserti. Invero, non solo il legislatore del 2007 non ha punto recepito – come visto – le (pur prudenti) aperture contenute nella direttiva 2003/86/CE a favore del ricongiungimento fra partner di «relazioni stabili durature debitamente comprovate» (oltre che fra partner di «relazioni formalmente registrate»). Ma anche dopo l’entrata in vigore della legge 76/2016, quando i tempi potevano – e possono – ritenersi ormai maturi per una mutata sensibilità e percezione delle categorie di «familiari» da ammettere al ricongiungimento, ogni proposta di integrazione in tal senso (id est, di inclusione dei conviventi di fatto nel catalogo dei «familiari» da ammettere al ricongiungimento) è naufragata. Si pensi, in particolare, alla proposta di legge recante «Modifiche alla disciplina in materia di immigrazione e condizione dello straniero. [...]», presentata alla Camera il 6 agosto 2018, in Atti parl. Cam., XVIII legislatura, doc. n. 1076, ove all’art. 24 si propone di equiparare alle unioni civili le stabili convivenze registrate ai fini del diritto all’unità familiare. Ciò mediante l’aggiunta all’art. 29 t.u.imm. del seguente comma 2-bis: «Ai fini di cui al presente testo unico sono equiparati al coniuge la persona che ha legalmente costituito con il soggiornante un’unione civile non sciolta o un altro tipo di unione legalmente riconosciuta nello Stato di origine con un’altra persona dello stesso sesso, il partner non coniugato che ha una relazione stabile e duratura debitamente comprovata con il soggiornante e lo straniero non coniugato legato al soggiornante da una relazione formalmente registrata».

[3] Con la precisazione che «L’espressione “di fatto” connota semplicemente il modo il cui la fattispecie viene in essere (rebus ipsis et factis, appunto, e non per effetto di un negozio giuridico)», ferme restando le conseguenze che ne derivano in base alla legge: G. Oberto, La famiglia di fatto. Introduzione alla “Riforma Cirinnà”, in Dir. fam. pers., 2019, 711.

[4] P. Morozzo della Rocca, Immigrazione e modelli familiari, cit., 636.

[5] TAR Calabria, 10 maggio 2019, n. 321, in Foro it., 2019, 10, III, c. 561, e in Ilfamiliarista.it, 2019.

[6] Per formazione sociale ex art. 2 Cost. dovendosi, invero, intendere ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico; nella quale nozione è da annoverare anche la stabile convivenza tra due persone, di sesso opposto o dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia: cfr. Corte cost., 15 aprile 2010, n. 138, in Giust. civ., 2010, I, 1294, e in Iustitia, 2010, 311, con nota di M. Costanza

[7] Cfr., fra tante, Corte EDU, 13 giugno 1979, ric. n. 6833/74, Marckx c. Belgio; Ead., Grande Camera, 22 aprile 1997, ric. n. 21830/93, X., Y. e Z. c. Regno Unito; Ead., 1° giugno 2004, ric. n. 45582/99, L. c. Paesi Bassi: tutte reperibili in www.echr.coe.int; v. anche Ead., 23 febbraio 2016, ric. n. 68453/13, Pajic c. Croazia, in Giur. it., 2016, 2336, con nota di C. Sperti, Rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari anche a partner dello stesso sesso. Con specifico riferimento alle coppie omosessuali, Corte Edu, 24 giugno 2010, ric. n. 30141/04, Schalk e Kopf c. Austria, in www.echr.coe.int; Ead., Grande Camera, 7 novembre 2013, ric. nn. 29381/09 e 32684/09, Vallianatos e a. c. Grecia, ibidem; Ead., 21 luglio 2015, ric. nn. 18766/11 e 36030/11, Oliari e altri c. Italia, ibidem; Ead., 30 giugno 2016, ric. n. 51362/09, Taddeucci e McCall c. Italia, in Giur. it., 2017, 584 ss., con nota di P. Morozzo della Rocca, Il diritto alla coesione familiare prima e dopo la legge n. 76 del 2016, cit.; Ead., 14 dicembre 2017, ric. nn. 26431/12, 26742/12, 44057/12 e 60088/12, Orlandi and others vs Italy, in Rivista di Diritti Comparati, 2019, 1 ss., con nota di F. Deana, Diritto alla vita familiare e riconoscimento del matrimonio same-sex in Italia: note critiche alla sentenza Orlandi e altri contro Italia.

[8] Sull’impiego del controllo di ragionevolezza in funzione della tutela di specifiche situazioni, rispetto alle quali può porsi la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia non coniugata (tanto eterosessuale, quanto, come nella specie esaminata dalla Corte, omosessuale): Corte cost., 15 aprile 2010, n. 138, cit.

[9] I virgolettati da E. Roppo, Come tutelare la famiglia di fatto?, in Pol. dir., 1980, 18 ss.

[10] Sul diritto alla vita familiare (anche) dello straniero quale diritto fondamentale dell’uomo, protetto dalla Costituzione e dall’art. 8 CEDU, fra tante, Corte cost., 18 luglio 2013, n. 202, cit.; Ead., 25 luglio 2011, n. 245, in Giust. civ., 2011, I, 1933, e in Foro it., 2012, I, c. 362. V. anche Cass., 6 ottobre 2023, n. 28612, in De Jure.

[11] Attuazione, per il vero, restrittiva, per quel che concerne i mezzi di prova atti ad accertare la relazione di fatto: non potendosene trattare in questa sede, sia consentito rinviare a L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, cit., 38 ss., e ivi ogni ulteriore riferimento bibliografico.

[12] Invero, a differenza di quanto previsto con riguardo ai coniugi nonché ai partner di una unione registrata, il godimento della vita familiare fra partner di una relazione stabile debitamente attestata (art. 3, comma 2, lett. b, D.Lgs. n. 30/2007) è ammesso – conformemente alla direttiva (art. 3.2, lett. b) – non sub specie di diritto pieno ed automatico all’ingresso e soggiorno, bensì nei termini di un diritto all’agevolazione dell’ingresso e del soggiorno.

[13] Ricordiamo, peraltro, che è pacifico nella stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia che, sebbene la direttiva 2004/38/CE si applichi a tutti i cittadini dell’Unione che si spostano in uno Stato membro diverso (c.d. Stato ospitante) da quello di cui hanno la cittadinanza, la stessa possa essere applicata anche ai cittadini dell’Unione che ritornino nel proprio Stato di origine dopo aver esercitato il diritto alla libera circolazione (e dunque soggiornato) in altro Stato dell’Unione, i quali dunque godono degli stessi diritti derivanti dalla direttiva, posto che, diversamente, il cittadino U.E. verrebbe dissuaso dall’esercitare il proprio diritto di circolazione, attesa l’incertezza di poter mantenere, una volta rientrato nello Stato di origine, la vita familiare eventualmente iniziata nello Stato membro ospitante: cfr. Corte giust., 7 luglio 1992, c. 370/90, Singh, in https://eur-lex.europa.eu; Corte giust., 11 luglio 2002, c. 60/00, Carpenter, in https://eur-lex.europa.eu; Corte giust., 14 novembre 2017, c. 165/16, Lounes, in https://eur-lex.europa.eu. Ciò che è ribadito, più di recente, da Corte giust., Grande Sez., 5 giugno 2018, n. 673, Coman, cit.

[14] Si noti, peraltro, che, fino alle sopravvenute modifiche del 2023 (intervenute con d.l. 13 giugno 2023, n. 69), l’originario testo dell’art. 23 del D.Lgs. n. 30/2007 prevedeva che «Le disposizioni del presente decreto legislativo, se più favorevoli, si applicano ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana»; e, cioè, (anche) alle fattispecie meramente interne (id est, che si esauriscono entro un solo Stato membro per mancato esercizio della libertà di circolazione in altro Stato membro) si applicavano le disposizioni, ove più favorevoli, di derivazione europea (ovverosia le stesse disposizioni del decreto).

[15] Va, comunque, precisato che per quanto piano sia – in abstracto – il riconoscimento del diritto all’unità familiare fra partner di una relazione stabile debitamente attestata ove uno dei componenti la coppia sia cittadino U.E., in ogni caso – sul piano applicativo – si pongono problemi di coordinamento della normativa di derivazione europea con la sopravvenuta legge 76/2016. Invero, l’art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 30/2007, in attuazione dell’art. 3.2 della direttiva 2004/38/CE, rimette alla legislazione dello Stato ospitante («conformemente alla sua legislazione nazionale») la scelta se autorizzare o meno l’ingresso ed il soggiorno del partner di fatto (recte, la scelta in ordine alla agevolazione dell’ingresso ed il soggiorno); sì che, dacché è intervenuta la legge 76/2016 a regolamentare le convivenze di fatto, si tratta di indagare se il presupposto della convivenza, da dimostrarsi, ai sensi della normativa di derivazione europea, con «documentazione ufficiale» (art. 3, comma 2, lett. b, D.Lgs. n. 30/2007), sia ora necessariamente da accertare mediante la dichiarazione anagrafica cui l’art. 1, comma 37, l. 76/2016 rinvia, e attorno alla quale ruota non solo il dibattito inerente la sua natura di elemento costitutivo (id est, presupposto della convivenza) o di strumento, pur privilegiato, di prova, ma rispetto alla quale (e, anzi, ai fini della quale) si pone anche l’interrogativo se sia, o meno, necessario il prerequisito di un titolo di soggiorno del partner straniero. Al riguardo si registra un contrasto, ormai radicato, tra le prassi amministrative seguite dai Comuni in ottemperanza alle indicazioni ministeriali sul punto (fra tante, Circolare 21 settembre 2021, n. 78 del Ministero dell’Interno-Dipartimento per gli affari interni e territoriali) e una più estensiva giurisprudenza (specie) di merito. Invero, mentre gli Uffici Anagrafe non ritengono possibile dichiarare la convivenza di fatto – presupposto per l’ammissione all’unità familiare – in mancanza del requisito previsto dall’art. 1, c. 37, l. 76/2016 e, cioè, della iscrizione anagrafica di cui al D.P.R. 223/1989, per la quale ritengono imprescindibile un valido titolo di soggiorno dello straniero, la giurisprudenza è più elasticamente orientata a non richiedere la precondizione della regolarità di soggiorno del partner straniero e a ritenere comprovabile la stabile convivenza con il cittadino europeo od italiano, ai fini dell’iscrizione in anagrafe, con qualunque mezzo idoneo (fra tante, Trib. Modena, 7 febbraio 2020, in Stato civ. it., 2020, 5, 49 ss., con nota di P. Morozzo della Rocca, Può il convivente straniero del cittadino italiano o europeo iscriversi all’anagrafe senza il permesso di soggiorno?; Trib. Milano, ord. 24 aprile 2021, in https://www.meltingpot.org/app/uploads/2021/05/tribunale_milano_ordinanza_24042021.pdf; Trib. Bologna, 3 febbraio 2020, in Dir. imm. e citt., 2022, n. 2, 1; Trib. Mantova, 1° aprile 2022, in Dir. fam. pers., 2022, I, 596; Trib. Venezia, 27 agosto 2021, n. 4354, in https://www.meltingpot.org/app/uploads/2021/09/ord._venezia_27.8.2021.pdf; sulla non necessità di un previo soggiorno regolare, con riferimento al partner de facto ex art. 3, comma 2, lett. b, D.Lgs. n. 30/2007, v. anche Cass., 17 febbraio 2020, n. 3876, in Guida dir., 2020, 12, 30; contra, Trib. Prato, 31 agosto 2022, in Stato civ. it., 2023, 43 ss., con osservazioni di S. Rafanelli, Il convivente di fatto privo di permesso di soggiorno in possesso del contratto di convivenza: l’iscrizione anagrafica non è dovuta e lo dice anche il Tribunale), specialmente mediante «contratto di convivenza», che, oltre ad essere strumento espressamente previsto dalla legge 76/2016 per regolamentare i rapporti (pur, a rigore, patrimoniali) tra conviventi e da redigersi per atto pubblico o scrittura privata autenticata da notaio o avvocato e da registrare all’anagrafe (art. 1, commi 50 ss., l. 76/2016), al contempo, proprio in quanto atto dotato di ufficialità, è strumento idoneo ad integrare la «documentazione ufficiale» richiesta dalla normativa di derivazione europea e dunque atto a consentire il rilascio dell’autorizzazione al soggiorno al partner straniero che sia privo di autonomo titolo (fra tante, Trib. Modena, 7 febbraio 2020, cit.; Trib. Bologna, 3 febbraio 2020, cit.; Trib. Milano, 24 aprile 2021, cit.; Trib. Mantova, 1° aprile 2022, cit.; Trib. Genova, 22 luglio 2022, n. 874, in https://immigrazione.it/giurisprudenza/ambito/31/1; Trib. Catania, 3 febbraio 2021, in www.meltingpot.org; Trib. Benevento, 19 gennaio 2022, r.g. 4387/2021, in www.meltingpot.org; Trib. Foggia, 30 novembre 2022, Trib. Torre Annunziata, 9 dicembre 2022, Trib. Napoli, 27 giugno 2022, Trib. Torre Annunziata, 11 novembre 2022, tutte reperibili in https://www.questionegiustizia.it/articolo/ordinanze-contratto-convivenza; Trib. Milano, 30 giugno 2023, in https://www.primogrado.com/convivenza-tra-cittadino-italiano-e-cittadino-straniero-ai-fini-dell-iscrizione-anagrafica; v. anche Cass., sez. pen., 18 ottobre 2016, n. 44182, in De Jure). Sia consentito rinviare a L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, cit., 87 ss.

[16] Ricordiamo in ogni caso – come già accennato in nt. 42 – che il diritto all’unità familiare tra partner di una relazione stabile debitamente attestata, ai sensi della normativa di derivazione europea (art. 3, comma 2, lett. b, D.Lgs. n. 30/2007), non è comunque un diritto pieno ed automatico, com’è viceversa tra coniugi (art. 2, lett. b, punto 1, D.Lgs. n. 30/2007) o tra partner di una unione registrata in Stato U.E. (art. 2, lett. b, punto 2, D.Lgs. n. 30/2007), bensì condizionato da meccanismi di autorizzazione scevri da ogni automatismo e rimessi sostanzialmente alla discrezionalità dello Stato ospitante, cui il legislatore europeo richiede meramente di «agevolare» l’ingresso e il soggiorno del partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata (art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 30/2007). Sia consentito rinviare a L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, cit., 25 ss.

[17] Nella specie, si trattava proprio della direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare fra cittadini entrambi di Stati extra U.E.: cfr. Corte giust., 4 marzo 2010, c. 578/08, Chakroun c. Minister van Buitenlandse Zaken, su cui A. Adinolfi, Il diritto alla vita familiare nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, in Riv. dir. int., 2011, 1, 14 ss.

[18] Sull’evoluzione della famiglia italiana e della sua disciplina giuridica, attraverso i numerosi passaggi che hanno condotto alle nuove regole delle odierne multiformi e plurali relazioni familiari, cfr. M. Sesta, Mezzo secolo di riforme (1970-2020), in Fam. dir., 2021, 17 ss.; Id., Matrimonio e famiglia a cinquant’anni dalla legge suo divorzio, in Riv. dir. civ., 2020, 1177 ss.; Id., La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di un nuovo modello familiare, in Fam. dir., 2016, 881 ss.; Id., Unione civile e convivenze: dall’unicità alla pluralità dei legami di coppia, in Giur. it., 2016, 1792 ss.; L. Balestra, Diritto di famiglia, prerogative della persona e Carta costituzionale: settant’anni di confronto, in Giust. civ., 2018, 245 ss.; e già Id., L’evoluzione del diritto di famiglia e le molteplici realtà affettive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 1105 ss.

[19] Invero, mentre coppie con almeno un cittadino U.E. avrebbero (recte, hanno) effettiva libertà di scelta in ordine al modello d’unione entro cui ricondurre la propria relazione, potendo in ogni caso beneficiare (sia pur con un diverso grado di intensità della tutela) dei diritti ricollegati alla formalizzazione, nell’una o nell’altra veste, dell’unione, le coppie formate da cittadini entrambi di Stati terzi, per godere del diritto all’unità familiare, dovrebbero (recte, devono) necessariamente scegliere, se eterosessuali, il modello dell’unione coniugale, e, se omosessuali, quello dell’unione civile: l’incentivo alla celebrazione di matrimoni, per le coppie (straniere) eterosessuali, e di unioni civili per le coppie (straniere) omosessuali, sarebbe allora evidente (ancor più che per la celebrazione di unione civile, così come per la celebrazione del matrimonio, e diversamente dalla dichiarazione anagrafica riguardante la stabile convivenza, non sarebbe richiesta la condizione di regolarità del soggiorno).

[20] Cons. St., sez. IV, 17 giugno 2020, n. 3896, in Foro amm. CDS, 2020, 1189 (in una fattispecie di ricongiungimento familiare in ambito militare, ai sensi della normativa interna dell’Arma dei carabinieri). Il Consiglio di Stato, già in suo primo intervento del 2017, aveva accolto – ai precipui fini del diritto dell’immigrazione e nella specie con riguardo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell’art. 30, comma 1, lett. b, t.u.imm. – una nozione nuova ed evolutiva del concetto di famiglia, comprensiva anche delle convivenze more uxorio tra individui (tanto eterosessuali, quanto omosessuali): Cons. St., sez. III, 31 ottobre 2017, n. 5040, in D&G, 6 novembre 2017, con nota di M. Bombi.

[21] Ricordiamo, infatti, che l’ormai costante giurisprudenza della Corte costituzionale è nel senso di accordare, sì, discrezionalità al Parlamento nell’individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni affettive diverse da quella matrimoniale, ma senza per questo denegare la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni con il controllo di ragionevolezza, come infatti più volte occorso per le convivenze more uxorio: cfr. Corte cost., 15 aprile 2010, n. 138, cit.; Ead, 23 settembre 2016, n. 213, in Giur. cost., 2016, 5, 1659; Ead, 7 aprile 1988, n. 404, in Giust. civ., 1988, I, 1654, in Giur. cost., 1988, I, 1789, in Foro it., 1988, I, c. 2515; Ead., 20 dicembre 1989, n. 559, in Giust. civ., 1990, I, 612; Ead., 6 luglio 1994, n. 281, in Fam. dir., 1994, 485 ss. In dottrina, sull’argomento (ivi senza alcuna pretesa di esaustività), G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, passim. Secondo N. Lipari, Dottrina e giurisprudenza quali fonti integrate del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, 1153 ss., ora in Id., Il diritto civile tra legge e giudizio, Milano, 2017, 44, «il principio di ragionevolezza ha soppiantato ogni modo di argomentare in chiave di deduttività ed è diventato il metodo giuridico fondamentale». In argomento v. anche A. Ricci, Il criterio della ragionevolezza nel diritto privato, Padova, 2007, passim. Approfondita indagine sul criterio ermeneutico di ragionevolezza in subiecta materia in A. Alpini, Ragionevolezza e proporzionalità nel processo di erosione del c.d. automatismo espulsivo dello straniero, in G. Perlingieri-A. Fachechi (a cura di), Ragionevolezza e proporzionalità nel diritto contemporaneo, I, Napoli, 2017, 47 ss.; e in G. Carapezza Figlia, Condizione giuridica dello straniero e legalità costituzionale, in Riv. dir. civ., 2018, 950 ss., spec. par. 3.

[22] Naturalmente, in un’ottica di estensione della disciplina del ricongiungimento familiare anche ai conviventi di fatto ai sensi del testo unico dell’immigrazione (id est, tra partner entrambi di Stati terzi), si rende necessario individuare un modello di convivenza che possa risultare concretamente e utilmente “servibile”, posto che – come accennato in nota 45 – l’adempimento costituito dal­l’iscrizione anagrafica di cui alla legge Cirinnà «sembra … comportare, a sua volta, la necessità dell’attualità della residenza di entrambi i conviventi nel territorio comunale dell’ufficio anagrafico dove viene operata la registrazione (…); nonché (e soprattutto) il possesso da parte di entrambi dei documenti di autorizzazione al soggiorno (senza i quali la legge anagrafica non consente la registrazione)» (così P. Morozzo della Rocca, Il ricongiungimento con il familiare residente all’estero: categorie civilistiche e diritto dell’immigrazione, Torino, 2020, 27-28), sicché lo straniero non ancora soggiornante in Italia come potrebbe divenire formalmente parte di tale convivenza? Dovrebbe, cioè, munirsi – per fare ingresso in Italia – di un titolo di soggiorno per motivi diversi ed autonomi (per es., turismo, lavoro, studio) rispetto alla sussistenza del rapporto affettivo che sta alla base della convivenza ancora da costituire tramite la richiesta – recte, finché è richiesta – iscrizione anagrafica alla precondizione della regolarità del soggiorno.

[23] Corte EDU, 23 febbraio 2016, ric. n. 68453/13, Pajic c. Croazia, cit.; Ead., 15 giugno 2016, n. 31039, ric. n. 31039/11, Novruk e altri c. Russia, in https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-161379%22]}.

[24] La Corte EDU, al riguardo, statuisce che «l’esistenza o la non esistenza della vita familiare […] è essenzialmente una questione di fatto che dipende dalla reale esistenza nella prassi di stretti legami personali»: cfr. ad es. Corte EDU, 1° giugno 2004, ric. n. 45582/99, L. c. Paesi Bassi, cit., e Ead., 23 febbraio 2016, ric. n. 68453/13, Pajic c. Croazia, cit. Ciò che rileva a tal fine sono la stabilità e l’intenzione delle parti (tra tante, Corte EDU, Grande Camera, 22 aprile 1997, ric. n. 21830/93, X., Y. e Z. c. Regno Unito, cit., che ha statuito che per stabilire se una relazione rientri nella nozione di vita familiare rilevano fattori quali la convivenza, la durata della relazione, l’impegno reciproco nella cura dei figli, etc.). V. anche Cass., 6 ottobre 2023, n. 28612, cit., che rileva come, nel prisma dell’art. 8 CEDU, «il concetto di relazione familiare si amplia, perché il riferimento non è solo alla famiglia fondata sul matrimonio di cui all’art. 29 Cost., ma a quello più ampio e mobile dato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo; ciò in particolare è rilevante per le famiglie di fatto e per altri legami affettivi che, pur non trovando riconoscimento giuridico, potrebbero comunque fondarsi su un solido rapporto de facto […]», sì che occorre, in linea con la nozione di diritto all’unità familiare indicata dalla giurisprudenza della Corte EDU e fatta propria dalla sentenza n. 202 del 2013 della Corte costituzionale, «una concreta valutazione, condotta caso per caso, su natura ed effettività dei legami personali».

[25] P. Morozzo della Rocca, Cittadinanza europea, libertà di circolazione e famiglie senza matrimonio, in Fam. dir., 2010, 849 ss.

[26] Espressione di P. Morozzo della Rocca, Il diritto all’unità familiare e le sue discipline, cit., 155.

[27] Alla stregua del quale: «la richiesta di ricongiungimento familiare è respinta se è accertato che il matrimonio o l’adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di consentire all’interessato di entrare o soggiornare nel territorio dello Stato». Ed ora da estendersi, ai sensi del comma 20 della legge 76, anche alle parti di un’unione civile.

[28] Ai sensi del quale, con riferimento alla specifica ipotesi di cui all’art. 30, comma 1, lett. b, t.u.imm., e cioè al matrimonio – ma ora compresa l’unione civile – contratto/a dallo straniero già regolarmente soggiornante in Italia con un cittadino italiano o europeo o con altro straniero regolare: «Il permesso di soggiorno … è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio (n.d.r.: o all’unione civile) non è seguita l’effettiva convivenza …».

[29] Oltre a ciò, naturalmente, il diniego del ricongiungimento familiare può trovare giustificazione nel fatto che l’interessato rappresenti un pericolo per l’ordine o la sicurezza pubblica: cfr., tra tanti, artt. 4 e 13 t.u.imm.


5.NOTE

[1] In senso tecnico, è dunque predicabile (recte, esercitabile) nei confronti dei familiari che risiedono all’estero, ai fini del rilascio di un visto di ingresso e conseguentemente di un permesso di soggiorno per motivi familiari (art. 29 e art. 30, comma 1, lett. a, t.u.imm.). Mentre la coesione familiare – ipotesi specificamente disciplinata dall’art. 30, comma 1, lett. c, t.u.imm. – è una particolare species di ricongiungimento familiare effettuato direttamente in Italia, dato che non presuppone la preventiva richiesta da parte del cittadino straniero del nulla osta allo Sportello Unico Immigrazione della Prefettura competente, né la successiva richiesta da parte del familiare di un visto d’ingresso per motivi familiari: la richiamata norma prevede che il permesso di soggiorno per motivi familiari sia rilasciato al familiare straniero già regolarmente soggiornante in Italia, con titolo al soggiorno per motivo diverso da quello per famiglia, in possesso di tutti i requisiti previsti per il ricongiungimento con altro cittadino straniero regolarmente soggiornante sul territorio, nel qual caso il permesso di soggiorno del familiare è convertito in permesso per motivi familiari.

[2] Oltre a potersi genericamente ricondurre nell’alveo delle norme costituzionali a tutela dell’unità familiare (artt. 2, 29, 30, 31 Cost.), detto diritto è altresì positivamente riconosciuto da innumerevoli accordi internazionali, quali l’art. 10 della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989; l’art. 44, n. 2 della Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie firmata a New York il 18 novembre 1990; l’art. 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici firmato a New York il 16 dicembre 1966; l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, a tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare, e il pressoché omologo art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009) ha acquisito il medesimo valore giuridico dei Trattati. Nella giurisprudenza europea, per la qualificazione del diritto al ricongiungimento familiare quale diritto fondamentale dell’uomo: Corte giust., Grande Sez., 27 giugno 2006, c. 540/03, Parlamento europeo c. Consiglio dell’Unione europea, in https://eur-lex.europa.eu, e in Fam. pers. succ., 2006, 957 ss.; nella giurisprudenza costituzionale italiana cfr. Corte cost., 18 luglio 2013, n. 202, in De Jure, anche se è costante l’affermazione per cui il diritto al ricongiungimento familiare assurge a diritto inviolabile dell’uomo solo con riferimento alla famiglia nucleare: fra tante, Corte cost., ord. 26 settembre 2007, n. 335, in Fam. dir., 2008, 117 ss., con nota di L. Pascucci, Il ricongiungimento familiare nell’interpretazione della Corte Costituzionale; Corte cost., ord. 23 dicembre 2005, n. 464, in De Jure; Ead., 8 giugno 2005, n. 224, in Riv. dir. int. priv. proc., 2005, 851; Ead., ord. 9 novembre 2006, n. 368, in De Jure.

[3] Fra tante, Corte cost., 21 novembre 1997, n. 353, in Dir. e giur., 1998, 203; Corte cost., ord. 4 luglio 2001, n. 232, in Giur. cost., 2001, 2066; Corte cost., 14 maggio 2006, n. 158, in D&G, 2006, 22, 36; Corte cost., ord. 26 settembre 2007, n. 335, cit.; Corte cost., 8 luglio 2010, n. 250, in De Jure; Corte cost., 6 luglio 2012, n. 172, in De Jure; Corte cost., 18 luglio 2013, n. 202, cit.

[4] Cfr. Corte EDU, 19 febbraio 1996, ric. n. 23218/94, Gul v. Svizzera; Ead., 21 giugno 1988, ric. n. 10730/84, Berrehab c. Olanda; Ead., 28 maggio 1985, ric. nn. 9214/80, 9473/81, 9474/81, Abdulaziz, Cabales and Balkandali c. Regno Unito: tutte reperibili in www.echr.coe.int; similmente Ead., 11 luglio 2002, ric. n. 56811/00, Amrollahi c. Danimarca; Ead., 24 novembre 2009, ric. n. 1820/08, Omojudi c. Regno Unito; Ead., 22 marzo 2007, ric. n. 1638/03, Maslov c. Austria; Ead., 17 aprile 2003, ric. n. 52853/99, Ylmaz c. Germania: tutte reperibili in www.echr.coe.int; e, più di recente, Corte EDU, Grande Camera, 9 luglio 2021, ric. n. 6697/18, M.A. c. Danimarca, in Giur. it., 2021, 2060 ss.

[5] Cfr., fra tante, Corte giust., Grande Sez., 27 giugno 2006, c. 540/03, Parlamento europeo c. Consiglio dell’Unione europea, cit.

[6] In tal senso Corte cost., ord. 4 luglio 2001, n. 232, cit.; Corte cost., ord. 26 settembre 2007, n. 335, cit.; Corte cost., 16 maggio 2008, n. 148, in Foro it., 2008, I, c. 2774; Corte cost., 18 luglio 2013, n. 202, cit.; Corte EDU, Grande Camera, 9 luglio 2021, ric. n. 6697/18, M.A. c. Danimarca, cit.

[7] Il riferimento è, in particolare, alla modifica del 2008 (D.Lgs. 3 ottobre 2008, n. 160), che ci consegna la norma – osserva P. Morozzo della Rocca, Il diritto all’unità familiare e le sue discipline, in Id. (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza, 5. ed., Santarcangelo di Romagna, 2021, 133 – «nella sua formulazione storicamente più severa». I successivi emendamenti apportati all’art. 29 t.u.imm. con l. n. 94/2009, D.Lgs. n. 18/2014, d.l. n. 13/2017 e d.l. n. 18/2020 non hanno, invece, inciso sulla cerchia dei «familiari» ammessi al ricongiungimento, che, dunque, rimane invariata dal 2008.

[8] Dunque, il matrimonio del minorenne, pur ammesso in Italia ai sensi dell’art. 84 c.c., non dà diritto al ricongiungimento familiare rispetto agli stranieri.

[9] Per quanto riguarda, invece, il ricongiungimento del cittadino di Stato extra U.E. con cittadino italiano o con cittadino U.E. soggiornante in Italia, vige la diversa disciplina – di maggior favore – di cui al D.Lgs. n. 30/2007, attuativo della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, su cui v. cenni in par. 4, e, funditus, L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, Napoli, 2023, 25 ss., 68 ss., 87 ss., 133 ss.

[10] Cass., 17 marzo 2009, n. 6441, in Nuova giur. civ. comm., 2009, pt. I, 829 ss., con nota di L. Pascucci, Coppie di fatto e ricongiungimento familiare: la messa a punto della Cassazione, in Fam. dir., 2009, 454 ss., con nota di M. Acierno, Ricongiungimento familiare per le coppie di fatto: la pronuncia della Cassazione, in Corr. giur., 2010, 91, con nota di B. Nascimbene, Unioni di fatto e matrimonio fra omosessualiOrientamenti del giudice nazionale e della Corte di Giustizia, in Giur. it., 2009, 2644, con nota di R. De Meo e V. Mancinelli, Convivenza e ricongiungimento familiareivi, 2009, 2644, con nota di P. Valore, Identità di sesso e ricongiungimento familiare.

[11] Cass., 17 marzo 2009, n. 6441, cit.

[12] Ordinariamente letta come una «clausola generale di equivalenza» al matrimonio (così è definita nel parere approvato dalla 2a Commissione permanente: cfr. il resoconto sommario n. 351 del 16 novembre 2016), almeno con riguardo ai cosiddetti effetti “pubblicistici” o “indiretti”, quali quelli prevalentemente disciplinati al di fuori del codice civile, le cui disposizioni, invece, valgono per l’unione civile solo se espressamente richiamate dalla l. n. 76/2016: cfr. R. Campione, L’unione civile tra disciplina dell’atto e regolamentazione dei rapporti di carattere personale, in M. Blasi-R. Campione-A. Figone-F. Mecenate-G. Oberto, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, 6.

[13] Riguardo al ricongiungimento con il cittadino europeo (compreso il cittadino italiano) va, però, segnalata la sovrapposizione dell’ambito di applicazione dell’art. 30, comma 1, t.u.imm. con la disciplina (di maggior favore) di derivazione europea a tutela della libertà di circolazione e soggiorno dei familiari di cittadini europei (D.Lgs. n. 30/2007), a norma dell’art. 28, comma 2, t.u.imm. e dell’art. 23 D.Lgs. n. 30/2007. Sì che l’art. 30 t.u.imm. conserva, a ben vedere, un (più) utile ambito di applicazione relativamente alle fattispecie di ricongiungimento (e coesione familiare) fra partner entrambi stranieriV. infra, par. 4.

[14] Le lettere b) e c) dell’art. 30 t.u.imm. – su cui v. immediatamente infra, nel testo – riguardano, invece, i familiari già presenti in Italia, i quali non sono quindi entrati a titolo di ricongiungimento familiare. Anche ad essi, alle condizioni ivi previste, può essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi familiari, c.d. ricongiungimento familiare sur place, che costituisce «una preziosa occasione di consolidamento della regolarità del soggiorno o anche di regolarizzazione»: così P. Morozzo della Rocca, Il diritto all’unità familiare e le sue discipline, cit., 142.

[15] P. Morozzo della Rocca, Il diritto alla coesione familiare prima e dopo la legge n. 76 del 2016, in Giur. it., 2017, 587.

[16] P. Morozzo della Rocca, Immigrazione e modelli familiari, in Enc. dir., I Tematici, IV, Milano, 2022, 634, che pur precisa che «questa operazione ermeneutica trova … limite nella necessità di governo dei fenomeni migratori, richiedendo comunque una ragionevole consistenza dell’istituto straniero oggetto della comparazione».

[17] P. Morozzo della Rocca, Immigrazione e modelli familiari, cit., 634.

[18] V. infra, par. 4.

[19] C. Campiglio, La disciplina delle unioni civili transnazionali e dei matrimoni esteri tra persone dello stesso sesso, in Riv. dir. int. priv. proc., 2017, 39 ss., spec. 66, che osserva: «Il rifiuto di riconoscere status personali validamente costituiti all’estero potrebbe esporre il nostro Paese a censure a livello sovranazionale per violazione del principio comunitario di libera circolazione delle persone e dei relativi status, nonché del principio di non discriminazione in base all’orientamento sessuale»; F. Pesce, Forum: La disciplina internazionalprivatistica italiana delle unioni civili/4, in https://crossborder.live; D. Zannoni, Gli effetti nell’ordinamento italiano delle unioni civili e dei matrimoni “same-sex” conclusi all’estero, in DPCE online, 2020, fasc. 1, 255.

[20] C. Campiglio, La disciplina delle unioni civili transnazionali e dei matrimoni esteri tra persone dello stesso sesso, cit., 66; D. Zannoni, Gli effetti nell’ordinamento italiano delle unioni civili e dei matrimoni “same-sex” conclusi all’estero, cit., 254.

[21] Tuttavia, sull’utilizzo – e pretesa utilità – del «contratto di convivenza» agli specifici fini (pur extrapatrimoniali) che ci occupano, o, più esattamente, al fine di comprovare la convivenza sulla cui base poi richiedere un permesso di soggiorno per motivi familiari, sia consentito rinviare a L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, cit., 87 ss. Si veda, comunque, un accenno alla questione in par. 4, nota 45.

[22] Il rilievo è di D. Zannoni, Gli effetti nell’ordinamento italiano delle unioni civili e dei matrimoni “same-sex” conclusi all’estero, cit., 255.

[23] Potendo ivi limitare a brevi cenni, sia consentito rinviare a L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, cit., 114 ss.

[24] Cass., 14 maggio 2018, n. 11696, in Nuove leg. civ. comm., 2018, 1436 ss., con nota (critica) di V. Caredda, Matrimonio “misto”: efficacia e trascrivibilità, e in Fam. dir., 2019, 136 ss., con nota di M.L. Serra, Sulla trascrizione del matrimonio omosessuale estero e diritti fondamentali della persona.

[25] Cass., 14 maggio 2018, n. 11696, cit.

[26] D. Damascelli, La legge applicabile ai rapporti patrimoniali tra coniugi, uniti civilmente e conviventi di fatto nel diritto internazionale privato italiano e europeo, in Riv. dir. int., 2017, 1103 ss., spec. par. 2.

[27] V. infra, in nota 43.

[28] Per una più approfondita disamina della questione cfr. L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, cit., 126 ss.

[29] Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (su cui v. ancora infra, par. 4).

[30] Corte giust., Grande Sez., 5 giugno 2018, n. 673, Coman e a. c. Inspectoratul General pentru Imigrari e Ministerul Afacerilor Interne, in Fam. dir., 2019, 113, con nota di E. Ambrosini, Matrimoni omosessuali e libera circolazione. Regole europee e interpretazioni evolutive, in Ilfamiliarista.it, 4 luglio 2018, con nota di G. Pizzolante, Matrimonio same-sex quale presupposto giuridico per l’applicazione di norme materiali europee, e in Nuova giur. civ. comm., 2018, 1573, con nota di E. Chiaretto, Libera circolazione dei coniugi dello stesso sesso nell’Unione Europea.

[31] V. supra, par. 1, nota 7.

[32] Trattasi, invero, di una precisa opzione – rispetto agli istituti non richiamati – di “non tutela”. Del resto, con specifico riferimento al ricongiungimento familiare, che qui ci occupa, i tentativi (ed input) di modifica dell’art. 29 t.u.imm., volti ad estendere il ricongiungimento anche fra partner di fatto, sono tutti andati deserti. Invero, non solo il legislatore del 2007 non ha punto recepito – come visto – le (pur prudenti) aperture contenute nella direttiva 2003/86/CE a favore del ricongiungimento fra partner di «relazioni stabili durature debitamente comprovate» (oltre che fra partner di «relazioni formalmente registrate»). Ma anche dopo l’entrata in vigore della legge 76/2016, quando i tempi potevano – e possono – ritenersi ormai maturi per una mutata sensibilità e percezione delle categorie di «familiari» da ammettere al ricongiungimento, ogni proposta di integrazione in tal senso (id est, di inclusione dei conviventi di fatto nel catalogo dei «familiari» da ammettere al ricongiungimento) è naufragata. Si pensi, in particolare, alla proposta di legge recante «Modifiche alla disciplina in materia di immigrazione e condizione dello straniero. [...]», presentata alla Camera il 6 agosto 2018, in Atti parl. Cam., XVIII legislatura, doc. n. 1076, ove all’art. 24 si propone di equiparare alle unioni civili le stabili convivenze registrate ai fini del diritto all’unità familiare. Ciò mediante l’aggiunta all’art. 29 t.u.imm. del seguente comma 2-bis: «Ai fini di cui al presente testo unico sono equiparati al coniuge la persona che ha legalmente costituito con il soggiornante un’unione civile non sciolta o un altro tipo di unione legalmente riconosciuta nello Stato di origine con un’altra persona dello stesso sesso, il partner non coniugato che ha una relazione stabile e duratura debitamente comprovata con il soggiornante e lo straniero non coniugato legato al soggiornante da una relazione formalmente registrata».

[33] Con la precisazione che «L’espressione “di fatto” connota semplicemente il modo il cui la fattispecie viene in essere (rebus ipsis et factis, appunto, e non per effetto di un negozio giuridico)», ferme restando le conseguenze che ne derivano in base alla legge: G. Oberto, La famiglia di fatto. Introduzione alla “Riforma Cirinnà”, in Dir. fam. pers., 2019, 711.

[34] P. Morozzo della Rocca, Immigrazione e modelli familiari, cit., 636.

[35] TAR Calabria, 10 maggio 2019, n. 321, in Foro it., 2019, 10, III, c. 561, e in Ilfamiliarista.it, 2019.

[36] Per formazione sociale ex art. 2 Cost. dovendosi, invero, intendere ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico; nella quale nozione è da annoverare anche la stabile convivenza tra due persone, di sesso opposto o dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia: cfr. Corte cost., 15 aprile 2010, n. 138, in Giust. civ., 2010, I, 1294, e in Iustitia, 2010, 311, con nota di M. Costanza

[37] Cfr., fra tante, Corte EDU, 13 giugno 1979, ric. n. 6833/74, Marckx c. Belgio; Ead., Grande Camera, 22 aprile 1997, ric. n. 21830/93, X., Y. e Z. c. Regno Unito; Ead., 1° giugno 2004, ric. n. 45582/99, L. c. Paesi Bassi: tutte reperibili in www.echr.coe.int; v. anche Ead., 23 febbraio 2016, ric. n. 68453/13, Pajic c. Croazia, in Giur. it., 2016, 2336, con nota di C. Sperti, Rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari anche a partner dello stesso sesso. Con specifico riferimento alle coppie omosessuali, Corte Edu, 24 giugno 2010, ric. n. 30141/04, Schalk e Kopf c. Austria, in www.echr.coe.int; Ead., Grande Camera, 7 novembre 2013, ric. nn. 29381/09 e 32684/09, Vallianatos e a. c. Grecia, ibidem; Ead., 21 luglio 2015, ric. nn. 18766/11 e 36030/11, Oliari e altri c. Italia, ibidem; Ead., 30 giugno 2016, ric. n. 51362/09, Taddeucci e McCall c. Italia, in Giur. it., 2017, 584 ss., con nota di P. Morozzo della Rocca, Il diritto alla coesione familiare prima e dopo la legge n. 76 del 2016, cit.; Ead., 14 dicembre 2017, ric. nn. 26431/12, 26742/12, 44057/12 e 60088/12, Orlandi and others vs Italy, in Rivista di Diritti Comparati, 2019, 1 ss., con nota di F. Deana, Diritto alla vita familiare e riconoscimento del matrimonio same-sex in Italia: note critiche alla sentenza Orlandi e altri contro Italia.

[38] Sull’impiego del controllo di ragionevolezza in funzione della tutela di specifiche situazioni, rispetto alle quali può porsi la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia non coniugata (tanto eterosessuale, quanto, come nella specie esaminata dalla Corte, omosessuale): Corte cost., 15 aprile 2010, n. 138, cit.

[39] I virgolettati da E. Roppo, Come tutelare la famiglia di fatto?, in Pol. dir., 1980, 18 ss.

[40] Sul diritto alla vita familiare (anche) dello straniero quale diritto fondamentale dell’uomo, protetto dalla Costituzione e dall’art. 8 CEDU, fra tante, Corte cost., 18 luglio 2013, n. 202, cit.; Ead., 25 luglio 2011, n. 245, in Giust. civ., 2011, I, 1933, e in Foro it., 2012, I, c. 362. V. anche Cass., 6 ottobre 2023, n. 28612, in De Jure.

[41] Attuazione, per il vero, restrittiva, per quel che concerne i mezzi di prova atti ad accertare la relazione di fatto: non potendosene trattare in questa sede, sia consentito rinviare a L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, cit., 38 ss., e ivi ogni ulteriore riferimento bibliografico.

[42] Invero, a differenza di quanto previsto con riguardo ai coniugi nonché ai partner di una unione registrata, il godimento della vita familiare fra partner di una relazione stabile debitamente attestata (art. 3, comma 2, lett. b, D.Lgs. n. 30/2007) è ammesso – conformemente alla direttiva (art. 3.2, lett. b) – non sub specie di diritto pieno ed automatico all’ingresso e soggiorno, bensì nei termini di un diritto all’agevolazione dell’ingresso e del soggiorno.

[43] Ricordiamo, peraltro, che è pacifico nella stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia che, sebbene la direttiva 2004/38/CE si applichi a tutti i cittadini dell’Unione che si spostano in uno Stato membro diverso (c.d. Stato ospitante) da quello di cui hanno la cittadinanza, la stessa possa essere applicata anche ai cittadini dell’Unione che ritornino nel proprio Stato di origine dopo aver esercitato il diritto alla libera circolazione (e dunque soggiornato) in altro Stato dell’Unione, i quali dunque godono degli stessi diritti derivanti dalla direttiva, posto che, diversamente, il cittadino U.E. verrebbe dissuaso dall’esercitare il proprio diritto di circolazione, attesa l’incertezza di poter mantenere, una volta rientrato nello Stato di origine, la vita familiare eventualmente iniziata nello Stato membro ospitante: cfr. Corte giust., 7 luglio 1992, c. 370/90, Singh, in https://eur-lex.europa.eu; Corte giust., 11 luglio 2002, c. 60/00, Carpenter, in https://eur-lex.europa.eu; Corte giust., 14 novembre 2017, c. 165/16, Lounes, in https://eur-lex.europa.eu. Ciò che è ribadito, più di recente, da Corte giust., Grande Sez., 5 giugno 2018, n. 673, Coman, cit.

[44] Si noti, peraltro, che, fino alle sopravvenute modifiche del 2023 (intervenute con d.l. 13 giugno 2023, n. 69), l’originario testo dell’art. 23 del D.Lgs. n. 30/2007 prevedeva che «Le disposizioni del presente decreto legislativo, se più favorevoli, si applicano ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana»; e, cioè, (anche) alle fattispecie meramente interne (id est, che si esauriscono entro un solo Stato membro per mancato esercizio della libertà di circolazione in altro Stato membro) si applicavano le disposizioni, ove più favorevoli, di derivazione europea (ovverosia le stesse disposizioni del decreto).

[45] Va, comunque, precisato che per quanto piano sia – in abstracto – il riconoscimento del diritto all’unità familiare fra partner di una relazione stabile debitamente attestata ove uno dei componenti la coppia sia cittadino U.E., in ogni caso – sul piano applicativo – si pongono problemi di coordinamento della normativa di derivazione europea con la sopravvenuta legge 76/2016. Invero, l’art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 30/2007, in attuazione dell’art. 3.2 della direttiva 2004/38/CE, rimette alla legislazione dello Stato ospitante («conformemente alla sua legislazione nazionale») la scelta se autorizzare o meno l’ingresso ed il soggiorno del partner di fatto (recte, la scelta in ordine alla agevolazione dell’ingresso ed il soggiorno); sì che, dacché è intervenuta la legge 76/2016 a regolamentare le convivenze di fatto, si tratta di indagare se il presupposto della convivenza, da dimostrarsi, ai sensi della normativa di derivazione europea, con «documentazione ufficiale» (art. 3, comma 2, lett. b, D.Lgs. n. 30/2007), sia ora necessariamente da accertare mediante la dichiarazione anagrafica cui l’art. 1, comma 37, l. 76/2016 rinvia, e attorno alla quale ruota non solo il dibattito inerente la sua natura di elemento costitutivo (id est, presupposto della convivenza) o di strumento, pur privilegiato, di prova, ma rispetto alla quale (e, anzi, ai fini della quale) si pone anche l’interrogativo se sia, o meno, necessario il prerequisito di un titolo di soggiorno del partner straniero. Al riguardo si registra un contrasto, ormai radicato, tra le prassi amministrative seguite dai Comuni in ottemperanza alle indicazioni ministeriali sul punto (fra tante, Circolare 21 settembre 2021, n. 78 del Ministero dell’Interno-Dipartimento per gli affari interni e territoriali) e una più estensiva giurisprudenza (specie) di merito. Invero, mentre gli Uffici Anagrafe non ritengono possibile dichiarare la convivenza di fatto – presupposto per l’ammissione all’unità familiare – in mancanza del requisito previsto dall’art. 1, c. 37, l. 76/2016 e, cioè, della iscrizione anagrafica di cui al D.P.R. 223/1989, per la quale ritengono imprescindibile un valido titolo di soggiorno dello straniero, la giurisprudenza è più elasticamente orientata a non richiedere la precondizione della regolarità di soggiorno del partner straniero e a ritenere comprovabile la stabile convivenza con il cittadino europeo od italiano, ai fini dell’iscrizione in anagrafe, con qualunque mezzo idoneo (fra tante, Trib. Modena, 7 febbraio 2020, in Stato civ. it., 2020, 5, 49 ss., con nota di P. Morozzo della Rocca, Può il convivente straniero del cittadino italiano o europeo iscriversi all’anagrafe senza il permesso di soggiorno?; Trib. Milano, ord. 24 aprile 2021, in https://www.meltingpot.org/app/uploads/2021/05/tribunale_milano_ordinanza_24042021.pdf; Trib. Bologna, 3 febbraio 2020, in Dir. imm. e citt., 2022, n. 2, 1; Trib. Mantova, 1° aprile 2022, in Dir. fam. pers., 2022, I, 596; Trib. Venezia, 27 agosto 2021, n. 4354, in https://www.meltingpot.org/app/uploads/2021/09/ord._venezia_27.8.2021.pdf; sulla non necessità di un previo soggiorno regolare, con riferimento al partner de facto ex art. 3, comma 2, lett. b, D.Lgs. n. 30/2007, v. anche Cass., 17 febbraio 2020, n. 3876, in Guida dir., 2020, 12, 30; contra, Trib. Prato, 31 agosto 2022, in Stato civ. it., 2023, 43 ss., con osservazioni di S. Rafanelli, Il convivente di fatto privo di permesso di soggiorno in possesso del contratto di convivenza: l’iscrizione anagrafica non è dovuta e lo dice anche il Tribunale), specialmente mediante «contratto di convivenza», che, oltre ad essere strumento espressamente previsto dalla legge 76/2016 per regolamentare i rapporti (pur, a rigore, patrimoniali) tra conviventi e da redigersi per atto pubblico o scrittura privata autenticata da notaio o avvocato e da registrare all’anagrafe (art. 1, commi 50 ss., l. 76/2016), al contempo, proprio in quanto atto dotato di ufficialità, è strumento idoneo ad integrare la «documentazione ufficiale» richiesta dalla normativa di derivazione europea e dunque atto a consentire il rilascio dell’autorizzazione al soggiorno al partner straniero che sia privo di autonomo titolo (fra tante, Trib. Modena, 7 febbraio 2020, cit.; Trib. Bologna, 3 febbraio 2020, cit.; Trib. Milano, 24 aprile 2021, cit.; Trib. Mantova, 1° aprile 2022, cit.; Trib. Genova, 22 luglio 2022, n. 874, in https://immigrazione.it/giurisprudenza/ambito/31/1; Trib. Catania, 3 febbraio 2021, in www.meltingpot.org; Trib. Benevento, 19 gennaio 2022, r.g. 4387/2021, in www.meltingpot.org; Trib. Foggia, 30 novembre 2022, Trib. Torre Annunziata, 9 dicembre 2022, Trib. Napoli, 27 giugno 2022, Trib. Torre Annunziata, 11 novembre 2022, tutte reperibili in https://www.questionegiustizia.it/articolo/ordinanze-contratto-convivenza; Trib. Milano, 30 giugno 2023, in https://www.primogrado.com/convivenza-tra-cittadino-italiano-e-cittadino-straniero-ai-fini-dell-iscrizione-anagrafica; v. anche Cass., sez. pen., 18 ottobre 2016, n. 44182, in De Jure). Sia consentito rinviare a L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, cit., 87 ss.

[46] Ricordiamo in ogni caso – come già accennato in nt. 42 – che il diritto all’unità familiare tra partner di una relazione stabile debitamente attestata, ai sensi della normativa di derivazione europea (art. 3, comma 2, lett. b, D.Lgs. n. 30/2007), non è comunque un diritto pieno ed automatico, com’è viceversa tra coniugi (art. 2, lett. b, punto 1, D.Lgs. n. 30/2007) o tra partner di una unione registrata in Stato U.E. (art. 2, lett. b, punto 2, D.Lgs. n. 30/2007), bensì condizionato da meccanismi di autorizzazione scevri da ogni automatismo e rimessi sostanzialmente alla discrezionalità dello Stato ospitante, cui il legislatore europeo richiede meramente di «agevolare» l’ingresso e il soggiorno del partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata (art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 30/2007). Sia consentito rinviare a L. Pascucci, Diritto all’unità familiare dello straniero e “nuovi” modelli di convivenza, cit., 25 ss.

[47] Nella specie, si trattava proprio della direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare fra cittadini entrambi di Stati extra U.E.: cfr. Corte giust., 4 marzo 2010, c. 578/08, Chakroun c. Minister van Buitenlandse Zaken, su cui A. Adinolfi, Il diritto alla vita familiare nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, in Riv. dir. int., 2011, 1, 14 ss.

[48] Sull’evoluzione della famiglia italiana e della sua disciplina giuridica, attraverso i numerosi passaggi che hanno condotto alle nuove regole delle odierne multiformi e plurali relazioni familiari, cfr. M. Sesta, Mezzo secolo di riforme (1970-2020), in Fam. dir., 2021, 17 ss.; Id., Matrimonio e famiglia a cinquant’anni dalla legge suo divorzio, in Riv. dir. civ., 2020, 1177 ss.; Id., La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di un nuovo modello familiare, in Fam. dir., 2016, 881 ss.; Id., Unione civile e convivenze: dall’unicità alla pluralità dei legami di coppia, in Giur. it., 2016, 1792 ss.; L. Balestra, Diritto di famiglia, prerogative della persona e Carta costituzionale: settant’anni di confronto, in Giust. civ., 2018, 245 ss.; e già Id., L’evoluzione del diritto di famiglia e le molteplici realtà affettive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 1105 ss.

[49] Invero, mentre coppie con almeno un cittadino U.E. avrebbero (recte, hanno) effettiva libertà di scelta in ordine al modello d’unione entro cui ricondurre la propria relazione, potendo in ogni caso beneficiare (sia pur con un diverso grado di intensità della tutela) dei diritti ricollegati alla formalizzazione, nell’una o nell’altra veste, dell’unione, le coppie formate da cittadini entrambi di Stati terzi, per godere del diritto all’unità familiare, dovrebbero (recte, devono) necessariamente scegliere, se eterosessuali, il modello dell’unione coniugale, e, se omosessuali, quello dell’unione civile: l’incentivo alla celebrazione di matrimoni, per le coppie (straniere) eterosessuali, e di unioni civili per le coppie (straniere) omosessuali, sarebbe allora evidente (ancor più che per la celebrazione di unione civile, così come per la celebrazione del matrimonio, e diversamente dalla dichiarazione anagrafica riguardante la stabile convivenza, non sarebbe richiesta la condizione di regolarità del soggiorno).

[50] Cons. St., sez. IV, 17 giugno 2020, n. 3896, in Foro amm. CDS, 2020, 1189 (in una fattispecie di ricongiungimento familiare in ambito militare, ai sensi della normativa interna dell’Arma dei carabinieri). Il Consiglio di Stato, già in suo primo intervento del 2017, aveva accolto – ai precipui fini del diritto dell’immigrazione e nella specie con riguardo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell’art. 30, comma 1, lett. b, t.u.imm. – una nozione nuova ed evolutiva del concetto di famiglia, comprensiva anche delle convivenze more uxorio tra individui (tanto eterosessuali, quanto omosessuali): Cons. St., sez. III, 31 ottobre 2017, n. 5040, in D&G, 6 novembre 2017, con nota di M. Bombi.

[51] Ricordiamo, infatti, che l’ormai costante giurisprudenza della Corte costituzionale è nel senso di accordare, sì, discrezionalità al Parlamento nell’individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni affettive diverse da quella matrimoniale, ma senza per questo denegare la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni con il controllo di ragionevolezza, come infatti più volte occorso per le convivenze more uxorio: cfr. Corte cost., 15 aprile 2010, n. 138, cit.; Ead, 23 settembre 2016, n. 213, in Giur. cost., 2016, 5, 1659; Ead, 7 aprile 1988, n. 404, in Giust. civ., 1988, I, 1654, in Giur. cost., 1988, I, 1789, in Foro it., 1988, I, c. 2515; Ead., 20 dicembre 1989, n. 559, in Giust. civ., 1990, I, 612; Ead., 6 luglio 1994, n. 281, in Fam. dir., 1994, 485 ss. In dottrina, sull’argomento (ivi senza alcuna pretesa di esaustività), G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, passim. Secondo N. Lipari, Dottrina e giurisprudenza quali fonti integrate del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, 1153 ss., ora in Id., Il diritto civile tra legge e giudizio, Milano, 2017, 44, «il principio di ragionevolezza ha soppiantato ogni modo di argomentare in chiave di deduttività ed è diventato il metodo giuridico fondamentale». In argomento v. anche A. Ricci, Il criterio della ragionevolezza nel diritto privato, Padova, 2007, passim. Approfondita indagine sul criterio ermeneutico di ragionevolezza in subiecta materia in A. Alpini, Ragionevolezza e proporzionalità nel processo di erosione del c.d. automatismo espulsivo dello straniero, in G. Perlingieri-A. Fachechi (a cura di), Ragionevolezza e proporzionalità nel diritto contemporaneo, I, Napoli, 2017, 47 ss.; e in G. Carapezza Figlia, Condizione giuridica dello straniero e legalità costituzionale, in Riv. dir. civ., 2018, 950 ss., spec. par. 3.

[52] Naturalmente, in un’ottica di estensione della disciplina del ricongiungimento familiare anche ai conviventi di fatto ai sensi del testo unico dell’immigrazione (id est, tra partner entrambi di Stati terzi), si rende necessario individuare un modello di convivenza che possa risultare concretamente e utilmente “servibile”, posto che – come accennato in nota 45 – l’adempimento costituito dal­l’iscrizione anagrafica di cui alla legge Cirinnà «sembra … comportare, a sua volta, la necessità dell’attualità della residenza di entrambi i conviventi nel territorio comunale dell’ufficio anagrafico dove viene operata la registrazione (…); nonché (e soprattutto) il possesso da parte di entrambi dei documenti di autorizzazione al soggiorno (senza i quali la legge anagrafica non consente la registrazione)» (così P. Morozzo della Rocca, Il ricongiungimento con il familiare residente all’estero: categorie civilistiche e diritto dell’immigrazione, Torino, 2020, 27-28), sicché lo straniero non ancora soggiornante in Italia come potrebbe divenire formalmente parte di tale convivenza? Dovrebbe, cioè, munirsi – per fare ingresso in Italia – di un titolo di soggiorno per motivi diversi ed autonomi (per es., turismo, lavoro, studio) rispetto alla sussistenza del rapporto affettivo che sta alla base della convivenza ancora da costituire tramite la richiesta – recte, finché è richiesta – iscrizione anagrafica alla precondizione della regolarità del soggiorno.

[53] Corte EDU, 23 febbraio 2016, ric. n. 68453/13, Pajic c. Croazia, cit.; Ead., 15 giugno 2016, n. 31039, ric. n. 31039/11, Novruk e altri c. Russia, in https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-161379%22]}.

[54] La Corte EDU, al riguardo, statuisce che «l’esistenza o la non esistenza della vita familiare […] è essenzialmente una questione di fatto che dipende dalla reale esistenza nella prassi di stretti legami personali»: cfr. ad es. Corte EDU, 1° giugno 2004, ric. n. 45582/99, L. c. Paesi Bassi, cit., e Ead., 23 febbraio 2016, ric. n. 68453/13, Pajic c. Croazia, cit. Ciò che rileva a tal fine sono la stabilità e l’intenzione delle parti (tra tante, Corte EDU, Grande Camera, 22 aprile 1997, ric. n. 21830/93, X., Y. e Z. c. Regno Unito, cit., che ha statuito che per stabilire se una relazione rientri nella nozione di vita familiare rilevano fattori quali la convivenza, la durata della relazione, l’impegno reciproco nella cura dei figli, etc.). V. anche Cass., 6 ottobre 2023, n. 28612, cit., che rileva come, nel prisma dell’art. 8 CEDU, «il concetto di relazione familiare si amplia, perché il riferimento non è solo alla famiglia fondata sul matrimonio di cui all’art. 29 Cost., ma a quello più ampio e mobile dato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo; ciò in particolare è rilevante per le famiglie di fatto e per altri legami affettivi che, pur non trovando riconoscimento giuridico, potrebbero comunque fondarsi su un solido rapporto de facto […]», sì che occorre, in linea con la nozione di diritto all’unità familiare indicata dalla giurisprudenza della Corte EDU e fatta propria dalla sentenza n. 202 del 2013 della Corte costituzionale, «una concreta valutazione, condotta caso per caso, su natura ed effettività dei legami personali».

[55] P. Morozzo della Rocca, Cittadinanza europea, libertà di circolazione e famiglie senza matrimonio, in Fam. dir., 2010, 849 ss.

[56] Espressione di P. Morozzo della Rocca, Il diritto all’unità familiare e le sue discipline, cit., 155.

[57] Alla stregua del quale: «la richiesta di ricongiungimento familiare è respinta se è accertato che il matrimonio o l’adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di consentire all’interessato di entrare o soggiornare nel territorio dello Stato». Ed ora da estendersi, ai sensi del comma 20 della legge 76, anche alle parti di un’unione civile.

[58] Ai sensi del quale, con riferimento alla specifica ipotesi di cui all’art. 30, comma 1, lett. b, t.u.imm., e cioè al matrimonio – ma ora compresa l’unione civile – contratto/a dallo straniero già regolarmente soggiornante in Italia con un cittadino italiano o europeo o con altro straniero regolare: «Il permesso di soggiorno … è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio (n.d.r.: o all’unione civile) non è seguita l’effettiva convivenza …».

[59] Oltre a ciò, naturalmente, il diniego del ricongiungimento familiare può trovare giustificazione nel fatto che l’interessato rappresenti un pericolo per l’ordine o la sicurezza pubblica: cfr., tra tanti, artt. 4 e 13 t.u.imm.