Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Clausola penale, risarcimento del danno, e autonomia privata (di Andrea Arfani, Dottore di ricerca – Università degli Studi di Parma)


Il contributo analizza l’istituto della clausola penale, dal punto di vista della sua idoneità a valere quale strumento di rafforzamento dell’autonomia privata. Le parti possono inserire in contratto la clausola, per gestire la sopravvenienza legata all’inadempimento di una di esse; l’obiettivo è comprendere se, e in quale modo, sia possibile per esse derogare dall’applicazione della clausola, optando per il risarcimento dell’intero danno, derivante dall’inadempimento.

penalty clause, damage compensation, and private autonomy

The papers focuses on the penalty clause from the perspective of its suitability as a tool to strengthen private autonomy. The parties can include the clause in the contract to manage the contingency related to one party's non-performance; the purpose is to understand whether, and in what way, it is possible for them to derogate from the application of the clause, opting for full damage compensation resulting from the non-performance.

COMMENTO

Sommario:

1. Considerazioni introduttive. - 2. Considerazioni sulla funzione della clausola penale. - 3. I rapporti tra clausola penale e risarcimento del danno. - 4. I rapporti tra la clausola penale e il contratto cui accede. - 5. Mancata attivazione della penale, e risarcimento integrale del danno. - 6. Considerazioni conclusive. - 7. NOTE


1. Considerazioni introduttive.

Le ragioni che inducono a una nuova riflessione intorno alla clausola penale, pur fondate sul grande dibattito, che dottrina e giurisprudenza ha intrattenuto sul tema[1], si devono a una lettura dell’istituto attraverso il filtro dell’autonomia privata. Se la penale è uno strumento a disposizione, anzitutto, dei contraenti, (ma, altresì, del testatore), e, quindi, della loro libertà contrattuale, mi propongo di comprendere se, ed eventualmente in che modo, tale libertà possa, partendo dalla previsione negoziale della clausola, esprimersi in modo ancòra più significativo, riconoscendo ai contraenti il potere di disporne, anche una volta inserita in contratto, e verificatisi i presupposti per la sua attivazione.

Sùbito si rende necessaria una considerazione di principio, che rappresenta la linea direttrice dell’ar­gomentazione successiva: i paciscenti, pur nei limiti dettati dalle norme inderogabili, hanno il potere – e diversamente non potrebbe, né dovrebbe, essere – di adeguare gli strumenti negoziali secondo le proprie esigenze [2]. Se è vero che, a mente dell’art. 1372 cod. civ., il contratto ha forza di legge tra le sue parti, è altrettanto vero che tale legge deriva dalle parti stesse, che ad essa saranno soggette. Ciò, fermi restando – e la precisazione è ovvia – i limiti derivanti dai principî fondamentali e dalle norme cogenti.

In via generale, si può osservare che siffatta massimizzazione della volontà dei privati, anche talvolta al di là di limiti un tempo ritenuti invalicabili, è una tendenza già in atto nel sistema privatistico. La considerazione non è solo, o non tanto, riferita allo spazio lasciato, dalle norme codicistiche, alla scelta da parte dei privati in ordine alla particolare conformazione da attribuire a un dato contratto o istituto [3]. Quello, cui si fa qui riferimento, è un quid più profondo, che coinvolge in modo più incisivo il potere dei privati. È una dimensione in cui l’autonomia negoziale arriva a definire i rapporti tra le parti, per poi ridefinirli, anche prescindendo da, e smentendo, sé stessa [4].

Ecco che i termini della riflessione si arricchiscono di due nuovi fattori, che rappresentano declinazioni di principî fondamentali, arrivando così a circoscrivere il presente àmbito di indagine: se e come l’autonomia privata possa derogare a sé stessa, comportando la scelta di non applicare quanto già stabilito, e come questa possibilità si relazioni con l’affidamento di controparte e con la buona fede contrattuale. E tutto ciò, con particolare riferimento alla clausola penale, che offre gli spunti migliori per siffatta valutazione.

 


2. Considerazioni sulla funzione della clausola penale.

Il corso fisiologico della vita di un contratto consiste, com’è ovvio, nello schema adempimento–esaurimento del rapporto. Tuttavia, tale schema è facilmente suscettibile di essere infranto, in ragione – per quello che qui rileva – dell’inadempimento del debitore. Ciò comporta l’attivazione di rimedî diversi, a seconda delle cause e della natura dell’inadempimento. Infatti, come ogni fatto della vita – e non vi sfugge la vita giuridica –, la rottura del patto comporta la reazione di chi a quel patto era soggetto, e che, come nel caso del contratto, aveva contribuito a creare.

Ordinariamente, la reazione all’inadempimento coincide con la risoluzione del contratto, cui può accompagnarsi la richiesta risarcitoria della parte non inadempiente.

A tal proposito, si pongono due ordini di problemi.

In primo luogo, vi è quello di stabilire se l’inadempimento, per come concretamente verificatosi, integri i presupposti per determinare la risoluzione del contratto, ai sensi degli articoli 1452 e seguenti cod. civ. Parallelamente, ed è l’aspetto che qui interessa maggiormente, si registrano difficoltà interpretative, allorché si tratti di valutare i termini del risarcimento, in ordine alla valutazione dell’attribuibilità dell’inadempimento al suo autore, e alle ricadute patrimoniali nei confronti della controparte, da cui deriva la determinazione del suo credito risarcitorio.

Ciò è fonte di diversi nodi interpretativi, ancor prima che pratici, in ordine alla prova delle ricorrenze tutte – afferenti all’an – del risarcimento, e all’effettivo suo ammontare, vale a dire al quantum. Interesse delle parti è evitare, o, quanto meno, ridurre al minimo, tali incognite, sì da rendere più gestibili le conseguenze dell’inadempimento.

Si apre, da questo punto di vista, l’annosa discussione circa la natura e la funzione della clausola penale. La dottrina è divisa; merita richiamare soltanto i punti essenziali delle varie proposte dommatiche, qui particolarmente rilevanti.

Una prima lettura, già affermata nella dottrina più risalente, vede nella clausola penale una declinazione di «patti che hanno funzioni o scópi diversi, benché tutti si possano assommare nel concetto di patto sanzionatorio avente, cioè, lo scópo di rafforzare o anche creare una sanzione» [5]. Più specificamente, si sottolinea un aspetto di diretto rilievo e prima conferma di quanto proposto in premessa: la penale, nella sua funzione di intervento sul piano sanzionatorio, è atto di autonomia privata [6]. Attraverso di essa, infatti, le parti possono soddisfare un particolare interesse, che, per il momento, individuo per come afferente alla gestione delle evenienze di un contratto [7].

Altra lettura fa risaltare la ricorrenza della funzione giuridica penale o punitiva, dove l’obbligazione risarcitoria è a sé stante, e non necessaria [8]. La prestazione, quindi, può consistere in una pura sanzione, oppure, accanto ad essa, può collocarsi il risarcimento [9]. In quest’ultimo caso, allorché le parti convengano la risarcibilità del danno, ulteriore, ricorre la così detta clausola penale non pura: il creditore ha facoltà di assommare l’importo dovuto a titolo di penale – senza dover fornire prova del danno preteso patìto – a quello dovuto a titolo di risarcimento, da provarsi nella misura in cui superi la penale. Ulteriore funzione, attribuita all’istituto, è quella di disincentivare l’inadempimento dell’obbligazione principale [10].

Dall’altro lato, si individua la così detta clausola penale pura, per la quale si esclude la considerazione del danno, tendendo essa all’esclusivo fine di sanzionare l’inadempimento [11].

Sul presupposto di tale (pur essenziale) classificazione, la dottrina ha proposto ulteriori osservazioni, che rappresentano declinazioni delle due impostazioni generali, poco sopra ripercorse [12].

Coglie nel segno l’osservazione di chi ha rilevato che tali categorizzazioni non abbiano, tra esse, limiti effettivamente invalicabili, potendo la clausola penale soccorrere, invero, a funzioni differenti, a seconda di come si atteggi, nel concreto, la volontà delle parti [13].

 


3. I rapporti tra clausola penale e risarcimento del danno.

Intendo fermare l’attenzione su un aspetto ben preciso dell’istituto della clausola penale, vale a dire quello relativo ai rapporti con il risarcimento del danno, a fronte dell’inadempimento del soggetto obbligato.

Per poter procedere a tale disamina, conviene prendere a riferimento, tra le funzioni ritenute proprie della clausola penale, quella che vi ravvede un atto di liquidazione preventiva e forfetaria del danno, coincidente con la misura concreta del risarcimento [14]. Da questa prospettiva, la penale non riguarderebbe l’an del danno, con la conseguenza che il convenuto dovrebbe poterne provare l’inesistenza, oppure, all’opposto, l’attore provarne l’esistenza; parallelamente, il quantum della lesione rimarrebbe coincidente con il forfait predefinito dalla clausola [15]. Ne deriva, secondo una lettura ampiamente affermata in dottrina, la non ammissibilità della prova del danno, e la connessa non rilevanza del danno in sé [16].

Si è osservato, tuttavia, e correttamente, l’impossibilità di ammettere la presunzione della sussistenza del danno, in quanto si tratterebbe di un artificio costruttivo. Il danno risarcibile non potrebbe considerarsi ricorrente ex se, per il solo fatto dell’inadempimento. La conseguenza, che se ne trae, è quella per cui, se la concreta ed effettiva esistenza del pregiudizio fosse irrilevante per l’operatività della clausola, allora questa non potrebbe svolgere la propria funzione di liquidazione preventiva e forfetaria del danno [17].

Anche gli interpreti, che attribuiscono alla clausola penale la funzione di definizione preventiva e convenzionale del danno, ammettono la non definitività di codesta liquidazione, in quanto la funzione dell’istituto consisterebbe, in modo precipuo, nella semplificazione probatoria ex art. 1382, secondo comma, cod. civ. [18]. Si invertirebbe, in questo caso, l’onere della prova, con la conseguenza che la clausola penale diverrebbe un patto tipico sull’onere probatorio, e, pertanto, un regolamento della prova stessa [19].

Va rilevato, tuttavia, come siffatta ricostruzione sia stata oggetto di critiche, in quanto si è ritenuto che ci si troverebbe ad ammettere che la penale possa essere ridotta, qualora il debitore provi che il danno sia inferiore, rispetto a quello da essa individuato e liquidato, oppure, specularmente, aumentata, allorché il creditore dimostri che l’effettivo danno la superi; in questo caso, tuttavia, si avrebbe contrasto con la previsione, che richiede il patto espresso, per la risarcibilità del danno ulteriore [20].

Ecco allora prospettarsi un’altra lettura, che lega la penale allo scòpo di attribuire, al danno parziale, rilevanza in termini di risarcibilità secondo le norme generali. L’istituto, in questo senso, elimina la posizione di svantaggio del creditore, per il caso in cui il danno, oggettivamente conseguito, sia maggiore dell’importo della penale [21].

Il patto di ulteriore risarcibilità opera autonomamente [22], e la determinazione dell’ammontare dell’intero pregiudizio deve essere intesa quale mezzo per la dimostrazione della sussistenza del danno ulteriore [23].

Il creditore, pertanto, pur optando per la penale, può invocare il risarcimento dell’intero danno, in quanto l’art. 1385, terzo comma, cod. civ., afferma che, qualora l’avente diritto non voglia avvalersi della penale, il risarcimento diviene soggetto alle norme generali [24].

L’autonomia privata assume un’ulteriore accentuazione, quando si consideri che i contraenti possono modulare in modo diverso il funzionamento della clausola penale. Possono, a modo di esempio, circoscrivere la previsione con riferimento a una singola voce di danno (come, a titolo di esempio, il danno emergente), facendo salvo il risarcimento per una voce differente (a modo di esempio, il lucro cessante) [25].

Ancòra, il creditore, anziché attivare la clausola, può domandare l’adempimento della prestazione originariamente dedotta in contratto, là dove, viceversa, il debitore non può liberarsi da essa, offrendo quanto individuato dalla stessa [26].

Occorre specificare che la clausola penale non assurge, in ogni caso, a fonte negoziale di un’obbligazione risarcitoria a sé stante, operando, al contrario, quale limite per detta obbligazione, che rimane conseguenza dell’inadempimento, da parte del debitore, dell’obbligazione principale [27]. Ne deriva, altresì, che, una volta verificatosi l’inadempimento, sorge l’obbligo al pagamento della penale, e che il debitore è tenuto, e legittimato, a provvedervi unicamente quando il creditore ne faccia richiesta [28].

 


4. I rapporti tra la clausola penale e il contratto cui accede.

Anzi s’è osservato che, verificatosi l’inadempimento del debitore, rispetto all’obbligazione dedotta in contratto, si attivi l’obbligazione definita dalla penale, e che il debitore vi sia effettivamente soggetto soltanto quando il creditore ne faccia richiesta[29], pur non valendo quest’ultima quale elemento costitutivo della penale, né quale condizione di efficacia, ma semplicemente quale circostanza che determina l’attualità del­l’adempimento della clausola [30].

Vista la possibilità, per le parti di un contratto, di gestire la sopravvenienza, rappresentata dall’ina­dempimento del soggetto tenuto all’esecuzione della prestazione, mediante la pattuizione di una clausola penale, e visti gli ampî margini di adattamento della stessa ai desiderata dei paciscenti, occorre ora comprendere se e come tale gestione possa estendersi sino alla scelta di non attivare la penale, pur prevista, e di preferire forme diverse di reazione all’inadempimento.

A mio avviso, la risposta al quesito va ricercata nella natura del patto di penale, se sia da qualificarsi, oppure no, quale negozio ontologicamente autonomo, rispetto al contratto cui accede. La risposta a tale domanda consentirà di valutare se la clausola, in ragione della sua eventuale autonomia, possa azionarsi oppure no, a seconda della volontà delle parti. Va da sé che, qualora dovesse ravvisarsi l’essenziale ancillarità della clausola, l’autonomia dei contraenti, circa un’eventuale non attivazione della medesima, si troverebbe ad essere assai ridimensionata, dovendo la clausola muoversi di pari passo con il contratto, risultando da questo necessitata.

Anche sul punto si registrano differenti interpretazioni.

Chi ha negato il carattere autonomo della clausola penale, fa riferimento al dato testuale, per cui l’art. 1383 cod. civ. rinvia alla «prestazione principale», e l’art. 1384 cod. civ. all’«obbligazione principale», inferendone che le vicende dell’obbligazione dedotta in contratto abbiano riflessi su quella accessoria, portata dalla clausola penale [31]. Altra dottrina afferma che quest’ultima presupponga necessariamente un contratto, in quanto non potrebbe configurarsi un negozio che abbia, quale esclusiva funzione, quella di arricchire con una penale un’obbligazione non contrattuale; allo stesso modo, si sostiene che tra la clausola e il contratto ricorra una connessione così forte, che la prima completi il contenuto del secondo, per quanto attiene alle conseguenze dell’inadempimento, e che la ritenuta inidoneità della clausola penale a modificare il contenuto tipico del contratto, non varrebbe a negarne la qualificazione come elemento accidentale, in quanto, in tale novero, rientrerebbero anche gli elementi atti a completare la regolamentazione, derivante dallo schema tipico del contratto [32].

Al contrario, chi sostiene la reciproca autonomia tra le due figure pone l’accento sulla particolare causa della clausola penale. Si fa riferimento, in questo senso, alla circostanza per cui, mediante la penale, le parti di un contratto mirino a uno scópo pratico a sé stante, e diverso, rispetto a quello perseguito con il contratto, e cioè predisporre una sanzione per l’inadempimento. I due obiettivi – quello generale del contratto, e quello specifico della clausola penale – non interferiscono tra loro, garantendo alle due figure reciproca autonomia [33].

Non vale a minare siffatta impostazione, la rilevanza del così detto collegamento necessario, proprio – secondo le tesi anzi ripercorse – della posizione accessoria della clausola penale, rispetto al negozio principale. A ben vedere, la considerazione della causa della clausola penale comporta che presupposto necessario e sufficiente della clausola sia la sussistenza di un’obbligazione, e non tanto di un negozio o contratto principale; parallelamente, la clausola penale può attenere, non soltanto a obbligazioni, che affondano le proprie radici in un contratto, ma anche scaturenti da un atto giuridico in genere [34].

Proseguendo in questa direzione, sovviene nuovamente l’affermato carattere sanzionatorio della clausola penale, che la collocherebbe su un piano differente, rispetto a quello del contratto, sì da impedirne la qualificazione di elemento accessorio, con ciò rispecchiando quanto caratterizza, a livello generale, il rapporto tra la sanzione e il precetto cui si ricolleghi [35].

Ciò, si badi, non impedisce che clausola e contratto siano avvinti da un forte legame, tale da consentire di ritenere la prima quale negozio accessorio al secondo, in quanto la funzione sanzionatoria della clausola penale deve esplicarsi – e diversamente non potrebbe essere – con riferimento a un contratto, che ne rappresenta, pertanto, necessitato presupposto [36].

Ne deriva che l’obbligazione principale, e quella dedotta quale oggetto della penale, sono autonome l’una rispetto all’altra, verificandosi, pertanto, un concorso alternativo tra inadempimento e penale [37]. Più precisamente, si è osservato che a ben vedere, i caratteri anzi rilevati, consentono di attribuire alla clausola penale la natura di negozio autonomo accessorio al negozio principale [38].

Come accennato poco anzi, l’affermata autonomia della clausola penale è di immediato e diretto rilievo per comprendere l’estensione dell’autonomia privata, in ordine alla possibile disapplicazione della clausola stessa.

La scópo cui tendono le parti, per mezzo di essa, come visto, è stato inteso variamente. Tuttavia, a livello generale, è innegabile che esso tenda, in ogni caso, a una reazione avverso l’inadempimento del debitore. Tale obiettivo è evidentemente diverso, rispetto a quello perseguito per mezzo del contratto, che coincide con la causa della fattispecie scelta, per come declinata secondo l’interesse dei paciscenti. Se questo è, quindi, lo sfondo, su cui agiscono le parti, e all’interno del quale esse gestiscono le evenienze del contratto – ivi comprese quelle patologiche, quale è l’inadempimento –, è agevole, da un lato, confermare l’alterità dei piani che interessano clausola e contratto, e, dall’altro lato, e soprattutto, definire con maggiore chiarezza l’estensione del potere delle parti. Esse tendono a realizzare l’assetto di interessi veicolato dal contratto; in previsione dell’inadempimento dell’obbligazione del debitore – e, quindi, con riferimento a un’ipotesi circoscritta, e di segno contrario rispetto all’obiettivo generale –, prevedono un particolare effetto, quello proprio della clausola penale, per come concretamente costruita. L’inserimento di tale ultima previsione, tuttavia, non distoglie le parti, e il creditore in particolare, dalla tensione verso l’originario obiettivo. Ne deriva che rimane una scelta rimessa alla decisione delle parti scegliere quale obiettivo perseguire, nella circostanza in cui si verifichi l’inadempimento del debitore, ed ésiti vano il generale obiettivo contrattuale. In questo caso, le parti possono scegliere se insistere secondo il regolamento contrattuale – e, quindi, azionare per l’intero la clausola penale prevista –, oppure se spostare il focus del loro agire, e definire un nuovo obiettivo, quale reazione all’inadempimento. Ne deriva, per tale seconda ipotesi, la possibilità di disapplicare la clausola penale, e agire per il risarcimento dell’intero danno.

Ciò non potrebbe accadere, allorché si ritenesse la natura essenzialmente accessoria e dipendente della clausola penale, relativamente al contratto. In questo caso, infatti, le parti dovrebbero dare esecuzione a quanto in esso previsto, anche in caso di inadempimento del debitore, e la clausola, contemplata proprio a tal scópo, non potrebbe essere aggirata, pur volendolo entrambe le parti.

 


5. Mancata attivazione della penale, e risarcimento integrale del danno.

A questo punto, si rivela chiara la platea di presupposti e di riferimenti, decisivi per sciogliere la questione principale in esame. Se il creditore possa, oppure no, abdicare all’attivazione della clausola, e dirigere le sue richieste al danno complessivamente ritenutopatìto, è aspetto che non può prescindere, infatti, dalla declinazione attribuita all’istituto, nei suoi caratteri generali, e dalla posizione di ontologica autonomia, con cui si pone nei confronti del contratto cui accede.

Com’è occorso per ogni altro tema, afferente alla clausola penale, anche con riferimento a quello in parola si deve registrare, tra gli interpreti, una difformità di vedute.

Una parte della dottrina ha affermato che il creditore possa domandare il risarcimento del danno in luogo della penale, soltanto qualora sia stata precedentemente prevista la risarcibilità del danno ulteriore [39].

Altra lettura, invece, esclude recisamente siffatta possibilità, a prescindere dalla previsione della risarcibilità del danno eccedente; in questo senso, per effetto della sola previsione della penale in contratto, sarebbe da escludersi la possibilità di ottenere il ristoro dell’intero danno, e ciò al fine di evitare che la clausola divenga strumento di indebita sopraffazione del debitore [40]. La previsione del risarcimento del danno ulteriore eliminerebbe lo svantaggio per il creditore, per il caso in cui il danno effettivo sia maggiore, rispetto all’importo dedotto in penale; tale patto, tuttavia, non inciderebbe né sulla funzione, né sull’efficacia, della clausola [41]. Di qui, la possibilità di ammettere il cumulo tra penale e risarcimento, unicamente per la parte eccedente la prima, con l’applicazione, per tale porzione, della generale disciplina del risarcimento del danno [42].

Si deve registrare, tuttavia, un altro filone interpretativo che si dimostra più sensibile al potere di movimento dell’autonomia privata. Si è osservato che, poiché la clausola penale è definita a vantaggio del creditore, e non può conseguentemente risolversi in suo danno, qualora l’importo da essa portato si riveli inadeguato alla lesione patita, allora, a integrazione della clausola, sarebbe applicabile l’art. 1385, terzo comma, cod. civ., dettato in materia di caparra confirmatoria, che autorizza la parte non inadempiente a chiedere l’esecuzione, oppure la risoluzione, del contratto, con il relativo integrale risarcimento del danno [43].

Reputo di poter aderire alla tesi di chi ammette la possibilità, per il creditore, di ottenere l’integrale risarcimento del danno, in forza dell’ordinario regime normativo, in disapplicazione della clausola penale, per le ragioni che sùbito proporrò.

Il punto di partenza affonda nella già richiamata analogia tra la disciplina della clausola penale e quella dettata in materia di caparra confirmatoria, con particolare riferimento all’art. 1385, terzo comma, cod. civ., in quanto entrambi gli istituti tendono all’obiettivo di avvalersi dell’ordinario risarcimento dei danni. Tale disposizione prevede la possibilità di accedere alla risoluzione, con la relativa domanda risarcitoria, in luogo dell’azione speciale di recesso; allo stesso modo, in presenza di una clausola penale, deve ritenersi che la parte non inadempiente possa decidere di non invocare tale istituto, scegliendo di percorrere la strada portata dal generale regime di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno.

Diversamente a quanto osservato da parte degli interpreti, tale opzione non contrasta con il regime normativo, afferente alla clausola penale, né ne rappresenta indebita deroga, o surrettizio aggiramento. Reputo, infatti, che elemento decisivo sia la scelta della parte, in ordine al rimedio cui fare ricorso nel caso concreto, se alla clausola penale, oppure al regime generale.

Come ha recentemente osservato una pronuncia di legittimità [44], ammettendo tale apertura, non viene tradita la ratio della penale: i contraenti hanno la possibilità di concordare la risarcibilità del danno ulteriore, a fianco della previsione della penale; in questo caso, l’importo dovuto dal debitore non adempiente coincide con la somma risultante dalla sottrazione, dal quantum complessivo del danno, dell’importo stabilito a titolo di penale, e il creditore non è tenuto a provare l’ammontare dell’intero danno [45]. E ciò, ferma restando la necessità di contenere il danno entro il tetto stabilito dalla penale, allorché manchi la pattuizione della risarcibilità del danno ulteriore.

Epperò, il meccanismo proprio della clausola penale trova applicazione, non già per effetto della sola previsione contrattuale, bensì unicamente a séguito della volontà della parte di servirsi di essa. Diversamente, in assenza di tale determinazione, il creditore può ricorrere all’ordinario, e potenzialmente più ampio, risarcimento del danno, dovendo, in tal caso, sottostare al relativo regime probatorio [46].

La giurisprudenza [47] ha specificato che la richiesta di applicazione della penale, prevista in contratto, non possa ritenersi implicitamente contenuta nella domanda di risoluzione, né tantomeno in quella di risarcimento del danno; ciò in ragione dell’indipendenza di siffatte domande da quella di pagamento della penale, che, pertanto, si caratterizza per essere autonoma, rispetto ad esse [48].

In conclusione, mi pare possibile sostenere che la proposizione della domanda di risoluzione del contratto, con annessa richiesta di condanna al risarcimento dei danni, debba essere intesa quale domanda autonoma, che impedisce l’attivazione della clausola penale, e dei limiti quantitativi, da essa portati, in ordine all’ammontare del danno risarcibile. Ne deriva, e ciò è intuitivo, che il creditore dovrà sottostare al generale regime probatorio, relativamente all’an e al quantum del risarcimento richiesto [49].

 


6. Considerazioni conclusive.

La ricostruzione ora proposta, suffragata da recente giurisprudenza, può rappresentare chiaro esempio del potere di intervento e gestione delle sopravvenienze contrattuali, e degli istituti fatti confluire in contratto, da parte dell’autonomia privata[50].

Prima conferma, e fondamentale presupposto, è la necessità che entrambe le parti siano in accordo nel perseguimento di questa strada, anche attraverso la determinazione in negativis della mancata invocazione della clausola penale, sia in via principale da parte del creditore non inadempiente, sia in via di eccezione, ad opera del debitore, resosi inadempiente. Qualora, infatti, uno dei due contraenti manifestasse l’intenzione di accedere alla clausola contrattuale, sarebbe indefettibilmente questa a tenere regime nella gestione delle vicende legate all’inadempimento, e nella tutela dell’avente diritto.

La domanda circa l’interesse, che le parti avrebbero nel perseguire una strada differente, rispetto a quella pattiziamente già definita, dà agio, quanto meno in linea teorica, a una facile risposta.

Il creditore sarebbe mosso dall’intento di ottenere un risarcimento per un importo maggiore, rispetto a quello fissato come tetto dalla clausola penale. Qualora, infatti, il pregiudizio, che egli ritenga di aver subìto dall’inadempimento altrui, superi il quantum portato dalla penale, e definito come limite insuperabile per il ristoro dovutogli, è pienamente giustificata e comprensibile la scelta di ovviare a tale tetto, e di mirare al maggiore ristoro, potenzialmente derivante dall’applicazione dei generali strumenti di rimedio.

Speculare, invece, è l’interesse che potrebbe frenare il debitore dall’eccepire l’attivazione della previsione contrattuale, e accettare di uscire dai relativi binarî già tracciati. Come osservato, scegliendo il ricorso al regime ordinario del risarcimento, il creditore deve soddisfare l’onere probatorio, relativo alla sussistenza e all’ammontare del danno. Ebbene, qualora la parte inadempiente, e richiesta del ristoro, ritenesse deboli le prove a disposizione del creditore, e, quindi, fosse convita che tale onere non verrà soddisfatto, ben potrebbe essere incentivata ad accettare la disapplicazione della clausola, per poter confutare la richiesta altrui, secondo i consueti canoni probatorî.

A ben vedere, la conferma del ruolo e dell’estensione dell’autonomia privata, con riferimento alla clausola penale, affonda qui i proprî presupposti: l’interesse delle parti. Questo è ciò che, nella fase delle trattative e della conclusione del contratto, ha spinto i paciscenti a inserire la previsione in parola, con l’intento di gestire, sin da quel momento, la sopravvenienza – eventuale e futura – rappresentata dall’inadempimento del debitore. In questo modo, secondo quanto anzi rilevato, diviene soddisfatto l’interesse a dare sistemazione alle conseguenze della mancata corretta esecuzione di una delle prestazioni previste.

Tuttavia, lo sviluppo dei rapporti contrattuali, e, soprattutto, degli elementi di fatto ad essi sottesi, possono facilmente alterare il modo con cui le parti si atteggiano al contratto e al suo contenuto, spingendole a desiderare di gestire la situazione in modo differente, rispetto a quanto avessero originariamente preventivato [51].

In un’ipotesi di questo tipo, cómpito dell’ordinamento è attivare ogni soluzione al fine di assecondare i desiderata dei contraenti – nei limiti, com’è ovvio, dei principî generali e delle norme inderogabili. Il contratto è legge per le parti; tuttavia, trattandosi di legge di fonte privata, non può che ritenersi che essa possa, e debba, essere liberamente gestita – finanche disapplicata – da chi l’abbia posta in essere, qualora vi sia per ciò incontro di consensi.

Si tratta, in definitiva, di una scelta libera, dettata da interessi valutati e ponderati dai rispettivi portatori, che, si ritiene, non collidono con principî o regole invalicabili [52]. E, come tale, scelta da assecondare, anche nel riflesso negativo di disapplicazione in parte qua del contratto.

 


7. NOTE

[1] In tema di clausola penale, si vedano, almeno: V.M. Trimarchi, La clausola penale, Milano, 1954; G. Gorla, Il contratto. Problemi fondamentali trattati con il metodo comparativo e casistico, vol. I, Milano, 1955, spec. p. 240 ss.; A. Marini, La clausola penale, Napoli, 1984; A. Zoppini, La penale contrattuale, Milano, 1991; A. Magazzù, voce Clausola penale, in Enc. dir., vol. VII, Milano, 1960, p. 186 ss.; G. De Nova, voce Clausola penale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., vol. II, Torino, 1988, p. 377 ss.; A. Marini, voce Clausola penale, in Enc. giur., vol. VI, Roma, 1988, p. 1 ss.; F. Galgano, Artt. 1382-1384, in F. Galgano-G. Visintini, Degli effetti del contratto. Della rappresentanza. Del contratto per persona da nominare. Artt. 1372-1405, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1993, p. 162 ss.

[2] La bibliografia in tema di autonomia dei privati è sì vasta, che sarebbe tentativo vano quello di elencarne i riferimenti, pur ritenuti principali. Pertanto, rinviando alle singole opere richiamate nel corso del contributo, si indicano di séguito gli studî di fondamentale riferimento per il tema: Santi Romano, voce Autonomia, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1950; Salv. Romano, Autonomia privata, Milano, 1957; L. Ferri, L’autonomia privata, Milano, 1959; E. Betti, voce Autonomia privata, in Noviss. Dig. It., vol. I, Torino, 1957, p. 1559 ss.; L. Ferri, Nozione giuridica di autonomia privata, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1957, p. 129 ss.; G. Bonilini, Autonomia testamentaria e legato. I legati così detti atipici, Milano, 1990.

[3] Sul tema, in generale, v. R. Scognamiglio, Dei contratti in generale. Artt. 1321-1352, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 24 ss.

[4] Sovviene la definizione di autonomia proposta da Betti: «attività e potestà di darsi un ordinamento, di dare cioè assetto ai proprî rapporti e interessi, spiegata dallo stesso ente o soggetto cui spettano». Così, E. Betti, voce Autonomia privata, cit., p. 1559.

[5] G. Gorla, Il contratto, cit., p. 242.

[6] Così, A. Marini, La clausola penale, cit., p. 9.

[7] Scópo del negozio giuridico è consentire ai privati di disporre, per l’avvenire, un regolamento che attui i loro interessi, all’interno della dinamica dei rispettivi rapporti; cfr. E. Betti, voce Autonomia privata, cit., p. 1561.

[8] V.M. Trimarchi, voce Clausola penale, in Noviss. Dig. it., vol. III, Torino, 1959, p. 351.

[9] V.M. Trimarchi, voce Clausola penale, cit., p. 351.

Cass. civ., 21 febbraio 2023, n. 5379, in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre, ha specificato che la clausola penale abbia «una finalità sanzionatoria e risarcitoria del danno, che viene predeterminato pattiziamente col limite della manifesta eccessività».

[10] Cfr. V.M. Trimarchi, voce Clausola penale, cit., p. 352.

In giurisprudenza, recentemente, Cass. civ., 7 novembre 2023, n. 30983, in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre.

[11] Sul punto, v. V.M. Trimarchi, voce Clausola penale, cit., p. 352.

[12] Per una disamina attenta di siffatte impostazioni si rinvia a G. De Nova, voce Clausola penale, cit., p. 377 s.

In particolare, l’A. individua l’effetto tipico dell’istituto nell’attribuzione al creditore della possibilità di ottenere l’importo indicato, prescindendo dalla prova del danno, e nella parallela impossibilità del debitore di liberarsi dal suo obbligo, provando l’inesistenza del medesimo. Sul punto, anche per una lettura contraria, e relativa critica, si vedano: A. Butera, Cod. civ. it.Obbligazioni, vol. I, Torino, 1943, p. 353; M. Ghiron, Della clausola penale e della caparraObbligazioni, vol. I, in Commentario D’Amelio e Finzi, Firenze, 1948, p. 537 ss.; A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 188.

[13] Così, G. Gorla, Il contratto, cit., p. 244, e G. De Nova, voce Clausola penale, cit., p. 379.

[14] Per la disamina di tale impostazione, v. A. Marini, voce Clausola penale, cit., p. 1 s., e P. Rescigno, Manuale di diritto privato, Napoli, 1980, IV ed., p. 607.

[15] A. Marini, voce Clausola penale, cit., p. 2, e G. Gorla, Il contratto, cit., p. 243.

[16] A. Marini, voce Clausola penale, cit., p. 2.

[17] A. Marini, voce Clausola penale, cit., p. 2.

[18] A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 187; A. Butera, Cod. civ. it., cit., p. 353; M. Ghiron, Della clausola penale e della caparra, cit., p. 537.

[19] A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 187.

Da questo punto di vista, la previsione del risarcimento, nella sua parte ulteriore, svolge la funzione di ottenere una liquidazione preventiva del danno. Sul punto, si veda V.M. Trimarchi, voce Clausola penale, cit., p. 352.

[20] A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 187.

[21] A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 193.

[22] Così, già F. Messineo, Dottrina generale del contratto, Milano, 1952, III ed., p. 132, il quale sostiene che, per l’ipotesi in cui sia prevista la risarcibilità del danno ulteriore, la penale agisca quale acconto sul risarcimento, per come complessivamente determinato in un momento successivo.

[23] Il creditore – vale a dire, la parte non inadempiente –, pur in presenza del patto ora menzionato, può decidere di limitare la propria pretesa all’importo dedotto in penale. In questi termini, A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 193.

[24] V.M. Trimarchi, voce Clausola penale, cit., p. 352.

Conviene richiamare, una volta ancòra, la lettura che ravvede l’effetto naturale della clausola penale nella limitazione del risarcimento alla prestazione ivi dedotta, in quanto l’art. 1382, primo comma, cod. civ. si applicherebbe unicamente in assenza della previsione della risarcibilità del danno ulteriore. Così, G. De Nova, voce Clausola penale, cit., p. 377.

[25] G. Bonilini, Regole applicative in tema di clausola penale, in Contratti, 1996, 6, p. 551; G. De Nova, voce Clausola penale, cit., p. 378.

Tale impostazione è riconosciuta già dalla giurisprudenza più risalente; si veda Cass. civ., 4 giugno 1976, n. 2020, in Foro it., 1976, I, c. 2663.

[26] G. De Nova, voce Clausola penale, cit., p. 380, e V.M. Trimarchi, La clausola penale, cit., p. 102.

Già s’è accennato, e meglio lo si approfondirà nel prosieguo, che il creditore ha facoltà di domandare il ristoro integrale, in luogo del pagamento della penale, allorché sia prevista la risarcibilità del danno ulteriore; cfr. G. De Nova, voce Clausola penale, cit., p. 380.

[27] A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 187.

Ciò avviene in forza della ritenuta funzione sanzionatoria dell’inadempimento, propria della clausola penale. Cfr. A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 190.

[28] Con la precisazione per cui la richiesta di adempimento non rappresenta un elemento costitutivo della clausola penale, né una sua condizione di efficacia; più semplicemente, essa individua il momento in cui diviene attuale il dovere di darvi esecuzione. Così, A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 193.

[29] Cfr. A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 193.

[30] A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 193.

[31] G. De Nova, Le clausole penali e la caparra confirmatoria, in Tratt. di dir. priv., dir. da P. Rescigno, vol. X, Obbligazioni e contratti, t. 2, Torino, 1995, II ed., p. 409.

[32] A. Cataudella, Sul contenuto del contratto, Milano, 1964, p. 220. L’A., inoltre, aggiunge che l’inidoneità della penale ad alterare il contenuto tipico del contratto, non rappresenti motivo per negare l’inquadramento di essa nel novero degli elementi accidentali, in quanto tale àmbito ricomprende anche gli elementi atti a completare, senza modificarla, la regolamentazione contrattuale.

In giurisprudenza, v. Cass. civ., 7 novembre 2023, n. 30983, cit.; Comm. trib. reg. Lombardia, 22 marzo 2022, n. 1091, in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre.

[33] In questi termini, A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 189 s.

[34] Queste considerazioni, con diretto riferimento alla clausola penale, in A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 190. Relativamente a un livello più generale, v. A. De Cupis, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, Milano, 1951, p. 225.

[35] A. Marini, voce Clausola penale, cit., p. 4. L’A. precisa che la clausola penale, in quanto rispondente a uno schema negoziale di tipo sanzionatorio, non possa valere quale elemento o componente elementare del complessivo regolamento negoziale precettivo, che, in ogni caso, presuppone, e al quale è collegata.

[36] In questo senso, A. Marini, voce Clausola penale, cit., p. 4, e A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 189 ss.

Altra lettura ha affermato che la penale sarebbe un contratto unilaterale, obbligatorio, con cui le parti colpiscono, per mezzo di una sanzione ad attitudine punitiva, il mancato conformarsi del debitore a una regola di condotta, legale o convenzionale. Così, V.M. Trimarchi, voce Clausola penale, cit., p. 352.

[37] A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 193.

Tra le relative implicazioni, particolarmente significativa è l’esclusione del cumulo tra penale e risarcimento integrale del danno, quale espressione del principio di divieto di ingiustificato arricchimento, con nullità di ogni patto contrario. Sul tema, v.: G. Bonilini, Regole applicative in tema di clausola penale, cit., p. 551; G. De Nova, voce Clausola penale, cit., p. 380; A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 193; T. Bonamini, Divieto di cumulo tra prestazione principale e penale per l’inadempimento e rilevanza dell’interesse del creditore, in Contr. e impr., 2020, 2, p. 605 ss. In senso opposto, si veda V.M. Trimarchi, voce Clausola penale, cit., p. 352.

[38] A. Marini, voce Clausola penale, cit., p. 4.

[39] G. De Nova, voce Clausola penale, cit., p. 380, e G. Mirabelli, Delle obbligazioni. Dei contratti in generale (Artt. 1321-1469), Torino, 1980, III ed. int. riv. e agg., p. 336.

[40] A. Marini, voce Clausola penale, cit., p. 5.

[41] A. Marini, voce Clausola penale, cit., p. 5 s., e A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 193.

[42] A. Marini, voce Clausola penale, cit., p. 6.

[43] V.M. Trimarchi, La clausola penale, cit., p. 72 ss.

  1. inoltre, Cass. civ., 29 novembre 2022, n. 35068, inBanca dati Giuffrè Francis Lefebvre, che rileva come «la caparra confirmatoria, al pari della clausola penale stipulata per il caso di inadempimento, rivelano il comune intento di indurre l’obbligato all’adempimento», potendo, pertanto, entrambe coesistere all’interno di un medesimo contratto.

Non sono mancate le critiche a codesta impostazione. In particolare, si è obiettata l’alterità ontologica della caparra rispetto alla penale, e la sua diversità di funzione. Allo stesso tempo, è stata esclusa la possibilità, per il creditore, a fronte di una clausola penale, di domandare il risarcimento secondo le norme generali, ritenendo con ciò incompatibile la disciplina degli articoli 1382 e seguenti cod. civ. Infine, da un punto di vista sistematico, si è affermato che la circostanza per cui il Codice civile preveda in maniera espressa il patto di risarcibilità del danno ulteriore, potrebbe indurre a ritenere che questo rappresenti l’unico espediente per evitare lo svantaggio, che si troverebbe a subire il creditore, allorché la penale sia di ammontare contenuto. In questo senso, v. A. Magazzù, voce Clausola penale, cit., p. 194 s.

[44] Cass. civ, 25 ottobre 2023, n. 29610, in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre.

[45] In giurisprudenza, recentemente, Cass. civ., 26 luglio 2021, n. 21398, in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre.

[46] Cass. civ, 25 ottobre 2023, n. 29610, cit.

[47] Cass. civ, 25 ottobre 2023, n. 29610, cit.

[48] Cass. civ., 12 settembre 2014, n. 19272, in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre.

Allo stesso modo, il ricorso al regime ordinario di risoluzione e risarcimento è precluso dalla domanda di attivazione della clausola penale, mossa dal convenuto in via di eccezione.

[49] Cass. civ, 25 ottobre 2023, n. 29610, cit.

Altra dottrina, al contrario, ha escluso che il creditore possa abdicare alla penale, per ottenere il risarcimento secondo i canoni generali, obiettando che, se così fosse, si andrebbe a violare il principio di reciproca efficacia dell’accordo, di cui all’art. 1372 cod. civ., e con quello dell’alternatività della funzione sanzionatoria privata, rispetto a quella legale ex art. 1382 cod. civ. Allo stesso tempo, si afferma che l’alternativa tra penale e risarcimento sarebbe da negarsi anche in ragione della salvaguardia della funzione sanzionatoria della clausola, che verrebbe altrimenti frustrata. In questo senso, v. S. Mazzarese, Clausola penale. Artt. 1382-1384, in Il Codice Civile. Commentario, dir. da P. Schlesinger, Milano, 1999, p. 569 s.

[50] D’altronde, si è osservato che l’autonomia inizia laddove l’ordinamento fornisca ai consociati procedimenti, con i quali possano creare regole giuridiche. Così, R. Sacco, voce Autonomia nel diritto privato, in Dig. disc. priv., Sez. civ., vol. I, Torino, 1987, p. 518.

La libertà negoziale tende a dare risalto alla natura e alle esigenze della fattispecie concreta, e, conseguentemente, le parti possono agire per creare rapporti giuridici, a quest’ultima tendenti; cfr. R. Scognamiglio, Dei contratti in generale. Artt. 1321-1352, cit., p. 27.

[51] Si è osservato che la ratio profonda dell’autonomia privata consisterebbe proprio nel consentire il perenne rinnovamento della distribuzione dei beni, agevolandone la circolazione, insieme alla cooperazione tra i consociati, secondo necessità di volta in volta emergenti. Così, E. Betti, voce Autonomia privata, cit., p. 1560.

[52] R. Scognamiglio, Dei contratti in generale. Artt. 1321-1352, cit., p. 37, rileva che il contenuto contrattuale, scelto dalle parti, rappresenti «il criterio e la misura di identificazione degli effetti giuridici».