Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione pongono fine ad un lungo dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia di servitù prediali, ammettendo in astratto la configurabilità della servitù di parcheggio e individuando i criteri interpretativi da utilizzare in concreto per accertare se le parti abbiano inteso dar vita ad un diritto reale o ad un diritto personale di godimento. L’iter argomentativo della Suprema Corte, da un lato, rappresenta un prezioso riferimento nella definizione del concetto di utilitas, che assume sempre più venature personalistiche e sociali, dall’altro costituisce lo spunto per riflettere sul tema dell’usucapibilità della servitù di parcheggio e sull’ambito di applicazione dell’art. 2645-ter c.c.
The United Sections of the Court of Cassation end a long doctrinal and jurisprudential debate about the predial servitude: they state that a servitude of car parking can be created and offer the guidelines to establish if such right is a real or a personal one. The arguments used by the Supreme Court to come up with the decision represent an important landmark to give a correct definition of the concept of utilitas, which nowadays has also taken personalistic and social connotations. It is an occasion to reflect on the usucapion of the servitude of car parking and on the application area of the art. 2645-ter. c.c.
Cass. civ., SS. UU., sent. 13 febbraio 2024, n. 3925
In tema di servitù, lo schema previsto dall’art. 1027 c.c. non preclude la costituzione, mediante convenzione, di servitù avente ad oggetto il parcheggio di un veicolo sul fondo altrui purché, in base all’esame del titolo e ad una verifica in concreto della situazione di fatto, tale facoltà risulti essere stata attribuita come vantaggio in favore di altro fondo per la sua migliore utilizzazione e sempre che sussistano i requisiti del diritto reale e in particolare la localizzazione.
1. Introduzione. La servitų: il dinamismo di un istituto solo in apparenza quiescente. - 2. La vicenda allattenzione delle Sezioni Unite. - 3. La pronuncia. - 4. Considerazioni conclusive. - 5. NOTE
La sentenza delle Sezioni Unite dellaCorte di Cassazione del 13 febbraio 2024, n. 3925 risolve una delle questioni più controverse in materia di servitù dell’ultimo ventennio: il diritto di parcheggio sull’area di proprietà di un terzo va configurato quale diritto reale di servitù o quale diritto personale di godimento?
L’adesione all’uno o all’altro orientamento non ha una valenza meramente teorica, ma ha notevoli ricadute applicative: basti ricordare che soltanto il diritto reale di servitù è suscettibile di circolare insieme con il bene su cui insiste, di acquisto per usucapione [1], di tutela mediante l’azione possessoria e l’azione confessoria.
La pronuncia in esame, nell’ammettere la possibilità di costituire un diritto reale di servitù di parcheggio, testimonia che la servitù, i cui caratteri fondanti ictu oculi sembrano essersi cristallizzati dall’esperienza romana sino ad oggi, è un istituto dal “cuore antico” [2] ma ancora pulsante: alla “fissità” della normativa codicistica, sostanzialmente immune da modifiche, e alla quasi totale impermeabilità ad influenze provenienti da fonti sovranazionali [3], ha fatto da contraltare una “dinamicità” interpretativa della dottrina e delle corti, che, insinuandosi nelle maglie del testo legislativo, da un lato ha consentito di mantenere invariato il lessico tradizionale, dall’altro ha promosso l’adeguamento dell’istituto all’evoluzione sociale, attivando una vivace dialettica tra posizioni “conservatrici” maggiormente aderenti al dato testuale e posizioni “progressiste” inclini ad un approccio ermeneutico teleologico e valoriale [4].
La vicenda che ha costituito l’occasione per la pronuncia in esame trae origine da un’azione di accertamento della nullità di negozio giuridico avente ad oggetto una servitù di parcheggio.
In particolare, il proprietario di un fondo, acquistato il 18 luglio 2011, gravato da servitù di parcheggio temporaneo, transito e manovra di automezzi, agiva in giudizio per fare dichiarare la nullità del contratto costitutivo della predetta servitù, concluso in data 15 febbraio 2011 dai suoi danti causa in favore del fondo di proprietà di un terzo.
L’adito Tribunale rigettava la domanda dell’attore e il successivo gravame era rigettato dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza resa l’11 giugno 2018, n. 1606.
Avverso tale pronuncia la parte soccombente proponeva ricorso per Cassazione.
Con istanza del 23 marzo 2023 il difensore del ricorrente chiedeva alla Prima Presidente della Corte di Cassazione di disporre l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite a fronte del contrasto in giurisprudenza circa la possibilità nel nostro ordinamento di costituire servitù prediali di parcheggio.
La Prima Presidente, ai sensi dell’art. 374 co. 2 c.p.c., disponeva l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
La Suprema Corte, illustrato ed esaminato il rilevato contrasto giurisprudenziale, con la sentenza in esame: riconosce l’astratta configurabilità della servitù di parcheggio sulla base di un’argomentazione sistematica condotta alla luce della legislazione speciale in materia di parcheggi e dell’«espansione»[5] della nozione di utilitas per effetto della sentenza della Corte costituzionale del 10 maggio 1999, n. 167 che ha inciso sul disposto dell’art. 1052 co. 2 c.c.; individua i parametri che devono guidare l’interprete per stabilire se in concreto le parti abbiano costituito un diritto reale di servitù di parcheggio.
3.1. Il contrasto giurisprudenziale.
Vengono rinvenuti, alla base del denunciato contrasto giurisprudenziale, due orientamenti.
Secondo il primo, inaugurato dalla sentenza della Corte di Cassazione del 28 aprile 2004, n. 8137 e rimasto costante per più di un decennio [6], una servitù prediale non può consistere in un diritto di parcheggio in quanto quest’ultimo costituisce una mera commoditas a favore delle persone che accedono al fondo e, risolvendosi in un vantaggio di natura esclusivamente personale, non può in alcun modo integrare gli estremi dell’utilitas [7]; è, in definitiva, del tutto carente il requisito essenziale della realitas, intesa come inerenza dell’utilità al fondo dominante e del peso al fondo servente.
Pertanto, colui che, invocando l’esistenza di una servitù di parcheggio, eserciti in concreto la facoltà di parcheggiare su un fondo altrui non può essere qualificato come possessore perché il suo potere di fatto non corrisponde ad alcun diritto reale e, sul versante della tutela processuale, non potrà valersi dell’azione di reintegrazione del possesso della servitù nei confronti di chi gli abbia precluso l’esercizio di siffatta prerogativa [8].
In ordine alle sorti di un eventuale negozio costitutivo di una servitù di parcheggio, le Sezioni Unite evidenziano, nell’ambito del medesimo filone giurisprudenziale che esclude la configurabilità della servitù di parcheggio, due differenti posizioni: secondo una tesi la convenzione va riqualificata per essere inquadrata nell’ambito dello schema del contratto di locazione o dei contratti affini di affitto o di comodato, restando così – per lo meno – produttiva di effetti obbligatori inter partes [9]; l’altra impostazione giudica il contratto nullo per impossibilità dell’oggetto e tale nullità deducibile per la prima volta anche nel giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 1421 c.c. [10].
Il secondo orientamento, sostenuto dalla giurisprudenza più recente a partire dalla sentenza della Corte di Cassazione del 6 luglio 2017, n. 16698 [11] e in linea con la dottrina dominante [12], è incentrato sul rilievo che non può considerarsi a priori inammissibile la costituzione di una servitù di parcheggio, in quanto la comodità di parcheggiare un veicolo può costituire una utilità inerente al fondo dominante secondo i parametri individuati dall’art. 1028 c.c. Occorrerà, di volta in volta, verificare, sulla base del titolo costitutivo e dello stato di fatto, se le parti abbiano inteso costituire un rapporto obbligatorio oppure un diritto reale.
L’interprete, in definitiva, si trova ad affrontare una quaestio facti, che dovrà risolvere stabilendo se nella fattispecie concreta ricorrano o meno i requisiti dello ius in re aliena e, in particolare, l’altruità della cosa, l’immediatezza, l’inerenza al fondo servente e al fondo dominante, la vicinitas, la specifica individuazione del luogo di esercizio della servitù, il carattere preciso e determinato dell’utilità che deve essere di estensione tale da non svuotare integralmente le facoltà del proprietario del fondo servente, al quale deve residuare la possibilità di utilizzazione dello stesso.
Di recente – segnala la Suprema Corte – il medesimo principio è stato richiamato nell’ordinanza della Corte di Cassazione del 16 marzo 2023, n. 7620 [13], la quale – in tema di tutela possessoria – ha affermato che «ex art. 1168 c.c. lo spoglio può avere ad oggetto anche il possesso corrispondente ad una signoria di fatto sul bene corrispondente ad una servitù di parcheggio e, dunque, può realizzarsi con modalità tali da precludere al possessore la possibilità di transito attraverso un passaggio a ciò destinato indipendentemente dalla sussistenza o meno della titolarità del corrispondente diritto reale».
3.2. L’iter argomentativo e l’enunciazione del principio di diritto.
Le Sezioni Unite aderiscono all’orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 16698/2017 e sostenuto dalla dottrina dominante.
Il filone giurisprudenziale che fa capo alla sentenza della Corte di Cassazione n. 8137/2004 – osserva la Suprema Corte – risulta lacunoso sul versante argomentativo, non offrendo plausibile spiegazione del perché il parcheggio sia da considerare inevitabilmente utile solo per le persone e non anche per il fondo.
In primis, la Suprema Corte rimarca che la normativa urbanistica consente di individuare nel parcheggio un’utilità per il bene immobile cui accede, costituendo per quest’ultimo un valore aggiunto [14].
L’art. 41-sexies della L. 17 agosto 1952, n. 1150, introdotto dall’art. 18 della c.d. Legge Ponte (L. 6 agosto 1967, n. 765) con finalità di deflazione della domanda di spazi per parcheggio nelle aree deputate alla pubblica circolazione [15], prevede per le nuove costruzioni la destinazione a parcheggio di spazi di almeno un metro quadro per ogni dieci metri cubi di costruzione; inoltre la giurisprudenza costante, in materia di condominio, ha affermato che i proprietari delle singole unità abitative hanno un diritto reale di uso sulle aree di parcheggio soggette ai vincoli di cui al predetto art. 41-sexies [16].
Ad avviso della Suprema Corte, se è vero che il legislatore ha previsto delle fattispecie in cui il parcheggio rappresenta persino la conditio sine qua non della edificabilità del fondo e se la giurisprudenza ha affermato che esso è suscettibile di costituire l’oggetto di un diritto reale di uso, deve inevitabilmente ammettersi che il parcheggio possa soddisfare il requisito di inerenza ad un fondo di cui all’art. 1027 c.c.
In secundis, milita a favore dell’attrazione della relazione tra parcheggio e bene immobile nell’ambito della categoria delle servitù prediali, l’espansione della nozione di utilitas, pure da Corte Cost. n. 167/1999 – in qualche modo – legittimata avendo essa riconosciuto che l’utilità può consistere anche nel vantaggio in termini di maggiore accessibilità tratto dal fondo dominante [17]. Con tale pronuncia – lo ricordiamo – la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 1052 co. 2 c.c. «nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo di cui al primo comma possa essere concesso dall’autorità giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità – di cui alla legislazione relativa ai portatori di handicap – degli edifici destinati ad uso abitativo» e, in motivazione, si è soffermata sul requisito dell’utilitas, evidenziando che la predialità non è incompatibile «con una nozione di utilitas che abbia riguardo – specie per gli edifici di civile abitazione – alle condizioni di vita dell’uomo in un determinato contesto storico e sociale, purché detta utilitas sia inerente al bene così da potersi trasmettere ad ogni successivo proprietario del fondo dominante» [18].
Se non può escludersi che il parcheggio costituisca un vantaggio a favore del fondo dominante, i privati, in forza del principio di autonomia negoziale sancito dall’art. 1322 c.c., possono dar vita sia ad un rapporto meramente obbligatorio (c.d. servitù irregolare), ove una parte attribuisca all’altra il diritto personale di parcheggiare sul proprio fondo senza instaurare alcuna relazione di servizio tra fondi, sia ad un rapporto di natura reale (c.d. servitù volontaria di parcheggio) che si configura quale peso imposto sul fondo servente per l’utilità del fondo dominante.
Tuttavia, anche ai fini della costituzione della servitù volontaria di parcheggio, dovrebbe valere il limite della meritevolezza di tutela, secondo l’ordinamento giuridico, degli interessi perseguiti (art. 1322 co. 2 c.c.) [19], in accordo col principio di tipicità dei diritti reali, che vieta ai privati di creare diritti reali diversi da quelli previsti dalla legge [20]; principio, che trova una declinazione peculiare con riferimento alla servitù di parcheggio e, più in generale, con riferimento alla categoria delle servitù volontarie, in quanto in tali fattispecie la tipicità non afferisce al contenuto, che è per definizione determinato dalla volontà delle parti, ma alla sola struttura dello ius in re aliena.
In conclusione, le Sezioni Unite, nel dirimere il contrasto giurisprudenziale, affermano il seguente principio di diritto: «in tema di servitù, lo schema previsto dall’art. 1027 c.c. non preclude la costituzione, mediante convenzione, di servitù avente ad oggetto il parcheggio di un veicolo sul fondo altrui purché, in base all’esame del titolo e ad una verifica in concreto della situazione di fatto, tale facoltà risulti essere stata attribuita come vantaggio in favore di altro fondo per la sua migliore utilizzazione e sempre che sussistano i requisiti del diritto reale e in particolare la localizzazione». Di conseguenza, è cassata con rinvio la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Venezia, avendo essa ritenuto valido il contratto costitutivo della servitù di parcheggio senza aver effettuato alcuna analisi in concreto né dell’atto costitutivo della servitù né dei requisiti della stessa e, tra questi, neppure della localizzazione; non può concepirsi, infatti, una servitù di parcheggio che si estenda, a mera discrezione del titolare del fondo dominante, in qualsiasi momento e indistintamente su qualsiasi punto del fondo servente, dal momento che quest’ultimo finirebbe per essere insuscettibile di ogni possibilità di sfruttamento per il suo titolare. Risultano, così, precisati i parametri che l’interprete deve applicare al fine di stabilire se in concreto le parti abbiano costituito un diritto reale di servitù di parcheggio.
Il rilievo delle conclusioni raggiunte dalla sentenza in esame va ben al di là della disciplina della servitù di parcheggio, costituendo esse un valido punto di riferimento al fine di individuare: il significato da ascrivere al concetto diutilitas, che, alla luce di un’interpretazione sistematica ed evolutiva, mostra sempre più evidenti sfumature personalistiche e sociali; i parametri da impiegare per qualificare una determinata fattispecie quale servitù volontaria piuttosto che come servitù irregolare.
L’utilitas fundi costituisce la causa giustificativa della servitù [21], quest’ultima consistente in un “peso”, a mente dell’art. 1027 c.c., da leggere in chiave di rapporto di solidarietà fra proprietà immobiliari [22].
Dal testo degli artt. 1028 e 1029 c.c. emerge che l’utilità può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo e, persino, nell’attribuzione ad esso di un vantaggio futuro; questa considerazione in senso ampio ha agevolato un apprezzamento non univoco dell’utilitas da parte della dottrina: tradizionalmente identificata con un interesse fondiario [23], è stata associata, da alcuni autori, al vantaggio apportato al fondo dominante consistente in un miglioramento “socialmente apprezzabile” del bene immobile [24], da altri, all’incremento del valore di mercato del bene [25] e, da altri ancora, all’aumento del suo valore d’uso [26].
Il Supremo Collegio avrebbe potuto rifarsi a tali orientamenti e giustificare l’ammissibilità della servitù di parcheggio [27]; ma le Sezioni Unite si sono spinte oltre, facendo richiamo – come già segnalato – a Corte Cost. n. 167/1999 che, quando il fondo dominante è destinato ad uso abitativo, ha legato l’utilitas alle «condizioni di vita dell’uomo in un determinato contesto storico e sociale, purché detta utilitas sia inerente al bene così da potersi trasmettere ad ogni successivo proprietario del fondo dominante» [28]. Il dato è eloquente perché autorizza a credere che le Sezioni Unite intendano avallare l’indirizzo giurisprudenziale tendente a valorizzare, nella considerazione dell’utilitas, il carattere non economico, la sua vocazione a soddisfare anche interessi fondamentali della persona [29].
Il principio personalista, che ispira la Carta costituzionale permea l’intero ordinamento, finendo per incidere anche sulle situazioni più propriamente patrimoniali [30].
Non vengono messi in discussione il principio del numerus clausus e il principio di tipicità dei diritti reali su cosa altrui [31]: tale lettura non determina uno stravolgimento dell’istituto della servitù in quanto non tange la struttura dello ius in re aliena in esame, che mantiene il suo connotato di rapporto tra fondi, ma incide soltanto sul contenuto dell’utilitas. Ed infatti, oggi, l’accessibilità delle abitazioni viene dal legislatore considerata come una vera e propria qualitas fundi [32], posto che è un elemento essenziale richiesto per gli edifici privati di nuova costruzione dall’art. 2 della L. 9 gennaio 1989, n. 13 recante «Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati» [33].
Si tratta, insomma, di rileggere la teoria dei beni contando su un’interpretazione costituzionalmente orientata che ponga al centro la persona e guardi alle res non già e non solo in quanto tali, ma in relazione alle molteplici utilità che ciascuna di esse è in grado di generare: muovendo da tale impostazione, è agevole individuare tra le qualità che un fondo può possedere, non solo le caratteristiche fisiche e strutturali che ne determinano la produttività e la redditività, ma anche quelle che ne connotano il valore sociale. Ed allora il vantaggio che il fondo dominante trae dal fondo servente, attraverso la costituzione di una servitù, può consistere anche nel conseguimento di un surplus in termini di valore sociale, proprio come nel caso della servitù coattiva di passaggio che consente di agevolare l’ingresso di persone con disabilità ad un bene immobile.
La predialità, dunque, può – e deve – armonizzarsi con il soddisfacimento degli interessi fondamentali della persona.
Il discorso si salda con la funzione sociale della proprietà sancita all’art. 42 co. 2 Cost. – che non è principio estraneo ai diritti reali su cosa altrui [34] – e ciò non solo quando vengano in gioco servitù coattive [35], ma anche quando i privati liberamente decidano di costituire una servitù volontaria [36].
Se il diritto all’abitazione ha dignità di diritto fondamentale, come desumibile dal combinato disposto degli artt. 14, 29, 30, 31, 32 Cost., difficile negare che la servitù di parcheggio concorra alla sua piena attuazione. L’inadeguatezza del sistema dei trasporti nella gran parte delle moderne metropoli determina un uso crescente dei veicoli privati e la sicurezza di disporre di un parcheggio in luogo vicino alla propria dimora è, altresì, fattore che migliora la qualità della vita degli individui, oltre a generare esternalità positive per la collettività [37].
Come si è visto, nessuna incompatibilità le servitù volontarie manifestano rispetto al principio di tipicità dei diritti reali, atteso che la loro atipicità non afferisce alla struttura (che resta tipica) ma al solo contenuto: «non sono tipiche le servitù ma è tipica la categoria della servitù» [38]. Il principio di tipicità strutturale assume una notevolissima rilevanza pratica: a fronte della comune genesi delle c.d. servitù irregolari e delle servitù volontarie (entrambe costituite e definite nel loro contenuto dalla volontà dei privati), il discrimen tra le due categorie è segnato proprio dalla sussistenza o meno degli elementi strutturali dello ius in re aliena, sussistenza che dovrà essere valutata in concreto dall’interprete al fine di dare la corretta qualificazione giuridica al negozio sottoposto al suo esame.
La sentenza delle Sezioni Unite ha il merito di indicare in modo puntuale quali siano tali elementi. Lo fa ribadendo adesione all’orientamento giurisprudenziale – già segnalato – che ha rilevato, ai fini della sussistenza della servitù prediale volontaria, la necessità dell’utilitas, dell’altruità della cosa, della vicinitas tra i fondi, dell’inerenza, dell’assolutezza, dell’immediatezza, e, con specifico riferimento alla servitù di parcheggio, della localizzazione.
Fornire agli operatori del diritto le coordinate per stabilire in concreto in quale direzione l’autonomia dei privati si sia indirizzata significa abbandonare scelte di campo aprioristiche e favorire un approccio case by case teso a verificare di volta in volta se la fattispecie concreta soddisfi i requisiti strutturali del modello astratto [39].
A margine del riconoscimento del diritto reale di servitù di parcheggio restano aperti alcuni interrogativi.
In giurisprudenza la questione della servitù di parcheggio ha spesso assunto rilievo ai fini della tutela del possesso e del suo acquisto per mezzo di usucapione, sicché occorre chiedersi – problema non nuovo – se essa sia usucapibile [40].
La circostanza che nella pronuncia in esame la Suprema Corte abbia riconosciuto che la servitù di parcheggio possa costituire oggetto di tutela possessoria non rappresenta di per sé sola un dato sufficiente per indurre a ritenerla usucapibile: nell’ambito della tutela possessoria non assume rilevanza la distinzione tra servitù apparenti e servitù non apparenti, mentre sono usucapibili soltanto le servitù apparenti [41] e le servitù non apparenti non possono acquistarsi neanche per destinazione del padre di famiglia.
Vale la pena, dunque, soffermarsi sul requisito dell’apparenza, che, ai sensi dell’art. 1061 c.c., deve ritenersi sussistente al ricorrere congiunto di tre elementi: l’esistenza di opere – naturali o artificiali [42] – permanenti, collocate sul fondo servente o sul fondo dominante [43]; la visibilità di tali opere dal fondo servente [44]; la non equivoca destinazione all’esercizio della servitù che riveli l’esistenza del peso gravante sul fondo servente in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile [45].
Ne consegue che può essere apparente esclusivamente la servitù affermativa – sia essa continua o discontinua [46] – e giammai la servitù negativa [47]: soltanto laddove venga attribuito al titolare del fondo dominante la facoltà di fare qualcosa sul fondo servente è possibile che siano realizzate opere visibili e permanenti funzionali al suo esercizio, mentre risulta inconcepibile la presenza delle stesse con una servitù che conferisca il diritto di pretendere un comportamento negativo dal titolare del fondo servente che si esaurisca in un non facere (come, ad esempio, nella servitus altius non tollendi).
Orbene, si può discutere se la mera presenza di segnali apposti per delimitare l’area destinata all’esercizio della facoltà di parcheggio possa integrare il requisito dell’apparenza.
È ragionevole ritenere che detta apposizione di per sé sola non basti. Una mera segnaletica orizzontale non è sufficiente a contraddistinguere in modo non equivoco la destinazione dell’area a servitù di parcheggio in favore del fondo dominante, ben potendo i segni essere stati apposti per finalità diverse o allo scopo di facilitare la manovra di parcheggio del proprietario del fondo su cui è apposta la segnaletica.
A diversa conclusione può addivenirsi ove siano, in concreto, presenti ulteriori elementi e, segnatamente, opere visibili e permanenti, le quali – magari congiuntamente ai suddetti segni – siano tali da rendere palese che vi sia un’unica possibile destinazione della zona così circoscritta, come, a titolo esemplificativo, può essere la presenza di un dispositivo meccanico che impedisca il parcheggio a soggetti diversi dal titolare del fondo dominante.
Può essere utile osservare, a conforto di tale esito, la giurisprudenza di legittimità in materia di servitù di passaggio; tra il transito e il parcheggio – d’altra parte – anche la sentenza delle Sezioni Unite in commento riscontra affinità là dove afferma che «come per il passaggio così per il parcheggio i fondi di proprietari confinanti (…) possono dar luogo (…) sia ad un rapporto di natura reale (…) sia alla pattuizione di un obbligo» [48].
Indicativi sono, allora, i numerosi pronunciamenti della S.C. che hanno giudicato il requisito dell’apparenza di una servitù di passaggio non soddisfatto dall’esistenza di «una strada o di un percorso idonei allo scopo», ove essi non «mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante»; e soddisfatto, invece, in presenza del «necessario “quid pluris” (cancello di ingresso, apertura o altri segni materiali e visibili) rilevante in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente» [49].
Inoltre, occorre chiedersi se il diritto di parcheggiare su fondo altrui nascente da un rapporto meramente obbligatorio, in quanto carente in concreto degli elementi strutturali per essere qualificato nell’ambito della servitù secondo lo schema codicistico, possa essere comunque reso opponibile ai terzi tramite il ricorso al meccanismo dell’art. 2645-ter c.c.
La disposizione normativa appena citata prevede che «gli atti in forma pubblica con cui i beni immobili o i beni mobili registrati sono destinati, per un periodo non superiore ad anni novanta o pari alla durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, pubbliche amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’art. 1322 co. 2 c.c., possono essere trascritti al fine di rendere opponibile a terzi il vincolo di destinazione» [50].
L’art. 2645-ter c.c. è stato raccordato a fattispecie riconducibili alla servitù aziendale, servitù irregolare in quanto l’utilità inerisce esclusivamente all’azienda e non al fondo [51]. E analoga operazione può prospettarsi con riguardo alla servitù di parcheggio irregolare, di guisa che, vincolando ex art. 2645-ter c.c. la porzione di un fondo alla destinazione di parcheggio a favore del titolare del fondo finitimo, quest’ultimo, in qualità di beneficiario della destinazione, potrà far valere l’inefficacia relativa nei suoi confronti dell’eventuale atto posto in essere in violazione del vincolo di destinazione [52]. Non v’è ragione, dunque, di escludere che il dispositivo giuridico previsto dall’art. 2645-ter c.c. possa fornire un’alternativa percorribile dai privati, titolari dei due fondi, laddove essi dovessero ritenere non funzionale ai propri interessi ricorrere allo schema rigido del diritto reale di servitù.
[1] Con riferimento all’acquisto delle servitù mediante usucapione, tale modalità di acquisto è contemplata all’art. 1031 c.c.; tuttavia occorre precisare che, ai sensi dell’art. 1061 c.c., possono essere acquistate per usucapione soltanto le c.d. servitù apparenti, cioè le servitù contraddistinte da “opere visibili e permanenti”.
[2] Così si esprime P. Rescigno al fine di evidenziare l’origine risalente delle servitù prediali in P. Rescigno, Intervento di chiusura, in E. Marmocchi (a cura di), Le servitù prediali fra tradizione e attualità, Milano, 2011, 124.
[3] F. Meglio, Servitù di parcheggio: sarà (finalmente!) la volta buona?, in Vita not., 2019, 619 s.
[4] Con riferimento alle diverse tecniche ermeneutiche e alle ragioni che inducono l’interprete nella scelta dello strumento argomentativo da impiegare cfr. D. Canale, G. Tuzet, La giustificazione della decisione giudiziale, Torino, 2020, 69 ss.
[5] V. par. 4.4. della sentenza in esame.
[6] Si esprimono in senso conforme alla sentenza della Cass. 28 aprile 2004, n. 8137 (in DeJure), le seguenti sentenze della Corte di Cassazione civile: Cass. 21 gennaio 2009, n. 1551, in Riv. giur. edilizia, 2009, 1503 ss., con nota di M. de Tilla, Condominio e azione di reintegrazione; Cass. 22 settembre 2009, n. 20409, in DeJure; Cass. 13 settembre 2012, n. 15334, in Riv. notariato, 2012, 1136 ss., con nota di G. Musolino, Il parcheggio fra servitù prediale, servitù irregolare e servitù personale (diritto di uso); Cass. 7 marzo 2013, n. 5769, in DeJure; Cass. 6 novembre 2014, n. 23708, ivi.
[7] In tal senso Cass. 28 aprile 2004, n. 8137, cit., in motivazione: «(…) la pretesa utilizzazione per parcheggio non potrebbe rientrare nello schema di alcun diritto di servitù né di altro diritto reale. Se, infatti, il parcheggiare l’auto può essere una delle tante manifestazioni di un possesso a titolo di proprietà, non può, invece, dirsi che tale potere di fatto fosse inquadrabile nel contenuto di un diritto di servitù, posto che caratteristica tipica di detto diritto è la realità, e cioè l’inerenza al fondo dominante dell’utilità così come al fondo servente del peso. Nella specie la comodità di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedono al fondo (anche numericamente limitate) non potrebbe certamente valutarsi come una utilità inerente al fondo stesso e non, come in effetti è, un vantaggio del tutto personale dei proprietari».
[8] In particolare, sul punto si veda Cass. 22 settembre 2009, n. 20409, cit.: «in tema di possesso, l’utilizzazione, da parte dei condomini di uno stabile, di un’area condominiale ai fini di parcheggio, non è tutelabile con l’azione di reintegrazione del possesso di servitù, nei confronti di colui che – come nel caso di specie – l’abbia recintata nella asserita qualità di proprietario. Per l’esperimento dell’azione di reintegrazione occorre infatti un possesso qualsiasi anche se illegittimo ed abusivo, purché avente i caratteri esteriori di un diritto reale, laddove il parcheggio dell’auto non rientra nello schema di alcun diritto di servitù, difettando la caratteristica tipica di detto diritto, ovverosia la “realità” (inerenza al fondo dominante dell’utilità così come al fondo servente del peso), in quanto la comodità di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedono al fondo non può valutarsi come una utilità inerente al fondo stesso, trattandosi di un vantaggio del tutto personale dei proprietari». Per un commento di tale pronuncia si veda F. Esposito, Considerazioni sull’ammissibilità della servitù di parcheggio, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 284 ss.
[9] In tal senso Cass. 22 settembre 2009, n. 20409, cit.; Cass. 13 settembre 2012, n. 15334, cit.; Cass. 7 marzo 2013, n. 5769, cit.
[10] In tal senso Cass. 6 novembre 2014, n. 23708, cit. Si tratta di una pronuncia fortemente criticata dalla dottrina; sul punto si veda A. Plaia, Il contratto costitutivo di una “servitù irregolare” di parcheggio è nullo per impossibilità dell’oggetto: considerazioni a margine di una decisione oscura, in Rivista trimestrale di Diritto Civile Contemporaneo, 2014, numero 3, reperibile online in http://dirittocivilecontemporaneo.com; M. Piazza, Costituzione e/o riconoscimento di una servitù di parcheggio: una decisione discutibile della cassazione, in Il Corriere giuridico, 2015, 1363 ss.; A. Testa, La nullità degli atti costitutivi di servitù di parcheggio, in Immobili e Proprietà, 2015, 229 ss.; F. Mezzanotte, Sull’impossibilità della servitù di parcheggio (e sui limiti dell’autonomia privata nel diritto dei beni), in Il Foro it., 2015, I, 1298 ss.; C. Sgobbo, La servitù di parcheggio: questione ancora aperta?, in Giur. It., 2015, 1088 ss.; G. Musolino, La (impossibilità di costituire una) servitù prediale di parcheggio, in Riv. notariato, 2017, 334 ss.
[11] In Il Foro it., 2017, I, 3031 ss., con nota di C. Bona, Benvenuta servitù di parcheggio. Conformi le seguenti pronunce successive: Cass. 14 maggio 2019, n. 12798, in DeJure; Cass. 30 ottobre 2020, n. 24121, ivi; Cass. 9 gennaio 2020, n. 193, in Riv. notariato, 2020, 691 ss., con nota di G. Musolino, Persone giuridiche e diritto di uso: si può superare il termine trentennale mediante la costituzione di una servitù irregolare?; Cass. 18 gennaio 2023, ord. n. 1486, in DeJure. Per quanto consta, l’unica pronuncia della giurisprudenza di legittimità successiva al 2017 che non sembra in accordo con Cass. 6 luglio 2017, n. 16698, cit., è Cass. 20 dicembre 2021, ord. n. 40824 (in DeJure); tuttavia, va segnalato che in quest’ultima pronuncia il richiamo operato a Cass. 6 novembre 2014, n. 23708, cit. (espressione dell’orientamento giurisprudenziale opposto) non può essere interpretato quale presa di posizione netta circa l’inammissibilità della servitù di parcheggio dal momento che il ricorso aveva ad oggetto non già una servitù di parcheggio, ma una servitù coattiva di passaggio carrabile e pedonale.
[12] Si veda C. Bona, Per la servitù di parcheggio, in Foro it., 2015, I, 499 ss.; Id., Benvenuta servitù di parcheggio, in Foro it., 2017, I, 3031 ss.; N. A. Toscano, La servitù di parcheggio esiste: una nuova conferma della Corte di Cassazione, in attesa del probabile intervento delle Sezioni Unite, in Vita not., 2019, 548 ss.; F. Meglio, Servitù di parcheggio, cit., 617 ss. Tale orientamento risulta suffragato anche da uno Studio del Consiglio Nazionale del Notariato: cfr. F. Mecenate, in La servitù di parcheggio. Validità ed invalidità dell’atto di costituzione, in Studio CNN n. 1094-2014/C del 01/08/2015, nel quale si osserva: «Non c’è dubbio che anche il parcheggio possa essere il contenuto di una servitù volontaria, diritto reale e quindi tipico ma a contenuto “atipico” o più esattamente “libero”, secondo una configurazione storicamente consolidata».
[13] In DeJure.
[14] In dottrina cfr. N. A. Toscano, La servitù di parcheggio esiste, cit., 556; R. Casini, Sulla configurabilità della servitù di parcheggio, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 949; F. Mezzanotte, La servitù di parcheggio in “Il libro dell’anno del diritto”, in www.treccani.it.
[15] Si veda Cass. 14 giugno 2019, n. 16070, in DeJure.
[16] Si veda Cass. 27 gennaio 2012, n. 1214, in DeJure; Cass. 1 agosto 2008, n. 21003, in Riv. notariato, 2010, 139 ss., con nota di G. Casu, Parcheggi ponte. Valutazione dei diritti di utilizzo dei posti auto. In dottrina cfr. M. Piazza, Costituzione e/o riconoscimento di una servitù di parcheggio, cit., 1369 s.
[17] Anche la dottrina rinviene nella sentenza della Corte Costituzionale 10 maggio 1999, n. 167 (in www.cortecostituzionale.it) un elemento a favore della ammissibilità della servitù di parcheggio. Sul punto cfr. A. Lo Gullo, Servitù irregolari. Obbligo personale o diritto reale atipico?, in I contratti, 2015, 463 s.; M. Piccinni, Ai confini della servitù: “utilitas” e predialità tra “res” e “persona”, in Nuova giur. civ. comm, 2017, 1592.
[18] Per un commento alla sentenza della Corte Cost. n. 167/1999 si veda P. Vitucci, Il passaggio coattivo e le persone handicappate, in Giur. cost., 1999, 1615 ss.; P. Perlingieri, Principio “personalista”, “funzione sociale della proprietà” e servitù coattiva di passaggio, in Rass. dir. civ., 1999, 688 ss. In senso critico F. Gazzoni, Disabili e tutela reale, in Riv. notariato, 1999, 978 ss.
[19] Sull’ampiezza dell’autonomia dei privati nella determinazione del contenuto delle servitù prediali si veda P. Pollice, Introduzione allo studio dei diritti reali, Torino, 1999, 149; l’Autore evidenzia che «Nel campo delle servitù l’autonomia negoziale sembra primeggiare nel senso che per la loro costituzione (mercé contratto o testamento) sono le parti a fissarne il contenuto, essendo questo il più variegato». Cfr. anche A. Fusaro, Il contributo della prassi al sistema vigente dei diritti reali, in Nuova giur. civ. comm., 2011, 517 ss. La servitù volontaria ha un contenuto non predefinito dal legislatore, ma che è frutto della volontà espressa dai privati nell’atto costitutivo; ciò la rende uno ius in re aliena somigliante al rapporto obbligatorio, stante l’atipicità del suo contenuto [cfr. R. Triola, Sub art. 1027, in A. Jannarelli, F. Macario (a cura di), Della proprietà, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Torino, 2012, 747 s.]. A tal proposito, con un’immagine suggestiva, la servitù è stata definita come lo «stampo» nel quale «si può colare, a scelta degli interessati, un contenuto molto vario, di cui la legge si limita a fissare i tratti generici» (D. Barbero, Tipicità, predialità e indivisibilità nel problema dell’identificazione delle servitù, in Foro padano, 1957, I, 1043; in giurisprudenza cfr. Cass. 27 luglio 2006, n. 17121, in DeJure).
[20] Sul principio di tipicità dei diritti reali, si veda L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F.D. Busnelli, U. Natoli, Diritto Civile. 2. Diritti reali, Torino 1988, 37 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile. 6. La proprietà, Milano, 2017, 93 ss.; C. Salvi, Proprietà e possesso, in S. Mazzamuto (a cura di), Trattato del Diritto Privato, Torino, 2022, 151 ss.; E. Calzolaio, La tipicità dei diritti reali: spunti per una comparazione, in Riv. dir. civ., 2016, 1080 ss. Il principio di tipicità è stato – di recente – ribadito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza 17 dicembre 2020, n. 28972, la quale ha dichiarato l’inammissibilità della costituzione di un diritto reale di uso esclusivo su una porzione di cortile condominiale. In motivazione, al punto 6.10 si legge: «nella giurisprudenza di questa Corte il principio della tipicità dei dritti reali, con quello sovrapponibile del numerus clausus è fermo». Per un commento di detta sentenza e, più in generale, sulla natura giuridica del “diritto di uso esclusivo” si veda A. Torroni, Il diritto di uso esclusivo in ambito condominiale al vaglio delle Sezioni Unite. La Cassazione snobba la servitù e mette all’indice l’uso esclusivo, in Riv. notariato, 2021, 70 ss.; D. Bertani, L’uso esclusivo non è reale, in Riv. notariato, 2021, 255 ss.; R. Triola, Gli effetti della nullità della costituzione di un diritto di uso esclusivo su parti comuni dell’edificio condominiale, in GiustiziaCivile.com, 11 marzo 2021; G. L. Buccianti, Sull’invalidità della clausola costitutiva di un diritto reale atipico, in Riv. dir. civ., 2021, 781 ss; D. M. Locatello, La controversa natura del diritto di uso esclusivo di parti condominiali: problemi e prospettive, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2021, 1249 ss.; G. Murgolo, La convenzione costitutiva di una situazione reale di “uso esclusivo” sul cortile comune è incompatibile con la tipicità ed il “numerus clausus” dei rapporti reali?, in Rass. dir. civ., 2021, 1635 ss.; D. Giurato, Il diritto di uso “esclusivo” e “perpetuo” del bene condominiale: “realità” e “personalità” del diritto tra “conformazione” e “regolamentazione” della proprietà comune, in Persona e Mercato, 2023, 355 ss.
[21] Sul significato di utilitas in dottrina si veda B. Biondi, Le servitù, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da A. Cicu, F. Messineo, Milano, 1967, 132 ss.; A. Burdese, Servitù prediali (diritto vigente), in Novissimo Digesto Italiano, 1970, 135 ss,; C.M. Bianca, Diritto civile, cit., 483 ss.; R. Triola, Sub art. 1028, in A. Jannarelli, F. Macario (a cura di), Della proprietà, cit., 752 ss.; G. Cian, A. Trabucchi, Commentario breve al codice civile, Sub art. 1028, Padova, 2022, 991 ss.; P. Cendon (a cura di), Commentario al codice civile, Sub art. 1027, Milano, 2008, 461 ss.; G. Spanò, S. Caruso, Le servitù prediali, Milano, 2013, 124 ss.
[22] F. Messineo, Le servitù, Milano, 1949, 18; Di “cooperazione fondiaria” si parla in G. Branca, Servitù prediali: artt. 1027-1099, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, Bologna, 1967, 1 ss.; M. Piazza, Costituzione e/o di riconoscimento di una servitù di parcheggio, cit., 1366; G. Musolino, La servitù prediale di parcheggio e la responsabilità del notaio, in Riv. notariato, 2021, 93.
[23] C. M. Bianca, Diritto civile, cit. 484.
[24] C. M. Bianca, Diritto civile, cit., 483 s.; R. Triola, Le servitù, artt. 1027-1099, in Il Codice civile commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F. D. Busnelli, Milano, 2008, 34; G. Tamburrino, Le servitù, Torino, 1977, 99.
[25] N. A. Toscano, La servitù di parcheggio esiste, cit., 556.
[26] G. Branca, Servitù prediali, cit., 21; G. Pescatore, R. Albano, F. Greco, Della proprietà, libro III, tomo II, Torino, 1958, 303.
[27] Quale che sia la tesi accolta, tra quelle esposte, è dato inferire che il parcheggio possa integrare una utilitas fundi, dal momento che esso costituisce sia un quid pluris di immediata percezione esterna, sia un medium per il migliore godimento del fondo dominante, sia un elemento che concorre alla sua maggiore appetibilità sul mercato.
[28] La pronuncia in esame si colloca, quindi, nello stesso solco di Cass. 28 gennaio 2009, n. 2150, la quale ha affermato che, ai fini della costituzione di una servitù coattiva di passaggio ex art. 1051 c.c., è sufficiente che il fondo non sia raggiungibile da un disabile per ritenerlo intercluso, indipendentemente da chi sia il proprietario della casa inaccessibile, non essendo necessario che il richiedente la servitù sia un portatore di handicap. Per un commento della sentenza si veda G. Musolino, La servitù coattiva di passaggio per fondo non intercluso e gli interessi generali della collettività, in Riv. notariato, 2009, 1524 ss. Da ultimo, in senso conforme Cass. 24 luglio 2023, ord. n. 22142, in Riv. notariato, 2023, 1247 ss., con nota di G. Musolino, Servitù prediali. L’accessibilità del fondo ai disabili come qualitas fundi a valenza generale.
[29] Sul carattere anche non patrimoniale dell’utilitas si veda C.M. Bianca, Diritto civile, cit., 484; P. Perlingieri, Principio “personalista”, cit., 690. L’Autore osserva che: «L’utilitas, quale ragione giustificatrice della costituzione a favore del fondo intercluso, pur caratterizzandosi in un interesse generale, non può esaurirsi nelle mere esigenze produttive dell’agricoltura o dell’industria e non può non estendersi alle esigenze abitative definite dal principio fondamentale del pieno e libero sviluppo della persona (art. 2 Cost.) senza condizionamenti che di fatto lo possano impedire (art. 3, comma 2, Cost.) incidendo ancor di più sulla salute intesa come ottimale sviluppo psico-fisico della persona (art. 32 Cost.)».
[30] Cfr. P. Perlingieri, Principio “personalista”, cit., 693.
[31] La scelta del legislatore di definire la servitù, al singolare, sembra accordarsi con la finalità precipua di rimarcare che il nostro ordinamento non conosce singoli diritti di servitù ma solo l’unica categoria generale e tipica del diritto di servitù [cfr. A. Burdese, Servitù prediali (diritto vigente), cit., 131]. I principi del numerus clausus e di tipicità dei diritti reali costituiscono due pilastri del nostro ordinamento giuridico: entrambi di derivazione romanistica, essi hanno rappresentato nella stagione ottocentesca delle codificazioni i dispositivi giuridici per scongiurare un ritorno al pluralismo delle situazioni di appartenenza del mondo feudale (Cfr. C. Salvi, Proprietà e possesso, cit., 153 ss.; E. Calzolaio, La tipicità dei diritti reali, cit., 1080 s.).
[32] Cfr. P. Perlingieri, Principio “personalista”, cit., 692 s.; G. Musolino, in Il contributo della prassi notarile alla evoluzione della disciplina delle situazioni reali, Atti del Convegno, Firenze, 8 maggio 2015, in I Quaderni della fondazione italiana del notariato e-library, il Gruppo 24 ore, 2015, 196, reperibile online presso il link https://elibrary.fondazionenotariato.it/indice.asp?pub=48&mn=3.
[33] L’art. 2 della Legge 9 gennaio 1989, n. 13 sancisce che: «Entro tre mesi dall’entrata in vigore della presente legge, il Ministro dei lavori pubblici fissa con proprio decreto le prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata». Le prescrizioni tecniche sono state fissate dal successivo D. m. 14 giugno 1989, n. 236.
[34] Con riferimento al rapporto tra funzione sociale e diritti reali minori cfr. V. Comporti, Le servitù prediali, in Trattato di Diritto Privato diretto da P. Rescigno, Torino, 1982, 161; P. Perlingieri, Principio “personalista”, cit., 691 ss.
[35] Può, in via esemplificativa, farsi richiamo al caso esaminato da Corte Cost. 10 maggio 1999, n. 167. La valutazione dell’utilità del fondo dominante è compiuta ex ante dal legislatore, il quale, intento a considerare la situazione particolare nella quale versa un fondo che ne fa ragionevolmente presumere una difficoltà di utilizzazione, assegna a chi ne è proprietario, anche in via coattiva, il diritto di servitù sul fondo altrui; il “peso” imposto al fondo servente può considerarsi tra i limiti stabiliti dal legislatore per assicurare la funzione sociale della proprietà.
[36] Non è, infatti, implausibile registrare, nel vantaggio conseguito dal fondo dominante, l’esplicarsi della funzione sociale del fondo servente, come nel caso in cui l’utilitas consista in una facilitazione nell’accesso al fondo.
[37] Rammentiamo, nelle argomentazioni della sentenza delle Sezioni Unite, il richiamo in chiave sistematica alla legislazione urbanistica e, in special modo, all’art. 41-sexies della L. 17 agosto 1952, n. 1150, ispirato dall’idea che destinare spazi privati a parcheggio serva ad ottimizzare – per quanto possibile – il godimento collettivo degli spazi pubblici.
[38] In tal senso Cass. 15 aprile 1999, n. 3749, in Giustizia civile, 2000, 163 ss., con nota di M. de Tilla, Sulle limitazioni del regolamento contrattuale di condominio: servitù prediali ed oneri reali: «Quanto al tipo delle servitù nel diritto vigente, la questione della tipicità non si pone più di fronte alla definizione dell’art. 1027 c.c., che disciplina non i singoli tipi, ma la categoria generale delle servitù. Nel sistema della legge conta non il nome, ma il carattere del rapporto consistente nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario: in che consiste il concetto di servitù. Non sono, dunque, tipiche le servitù, ma è tipica la categoria delle servitù (…) Allo stesso modo in cui è tipica la proprietà, il cui contenuto differisce concretamente in ordine all’oggetto (una cosa è la proprietà di un fondo rustico, altra quella di un edificio, di un autoveicolo, di una nave, di un gioiello, di un bene di consumo etc.), così nella categoria generale delle servitù, certamente tipica, si distinguono molteplici figure, dotate del diverso contenuto stabilito in concreto; ma tutte contrassegnate dal carattere peculiare del peso imposto sopra un fondo per l’utilità di altro fondo appartenente a diverso proprietario». In dottrina cfr. N. A. Toscano, La servitù di parcheggio esiste, cit., 554.
[39] Siffatta verifica in concreto non era stata compiuta dalla sentenza cassata, la quale aveva ritenuto ammissibile la costituzione di una servitù di parcheggio, senza un previo esame del titolo e dello stato dei fatti.
[40] A dire il vero, tale interrogativo si era già posto all’attenzione della dottrina prevalente che ammetteva la servitù di parcheggio. Cfr. G. Rispoli, Sulla servitù di parcheggio, in Giur. it., 2013, 1061.
[41] In tal senso Cass. 23 gennaio 2012, n. 879, in Riv. notariato, 2012, 1173 ss., con nota di G. Musolino, La tutela de possesso delle servitù prediali: «La presenza di opere visibili e permanenti, indicative di un transito, configura un requisito necessario ai fini dell’acquisto della servitù di passaggio per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, ma non anche per la tutela possessoria del passaggio medesimo, essendo a tal fine sufficiente la prova dell’effettuazione di detto transito sul bene altrui». Cfr. sul punto anche Cass., SS.UU., 18 febbraio 1989, n. 958, in DeJure.
[42] La giurisprudenza ha precisato che soddisfano il requisito dell’apparenza, oltre che le servitù in cui le opere sono artificiali, anche quelle in cui le opere non siano state realizzate ad hoc dall’uomo; si pensi al caso di un sentiero formatosi «naturalmente per effetto del calpestio» tale da assolvere alla funzione «di accesso al fondo dominante mediante il fondo servente». Si veda Cass. 23 febbraio 1987, n. 1912, in DeJure; Cass. 27 maggio 2009, n. 12362, in Riv. notariato, 2010, 722 ss., con nota di G. Musolino, Servitù prediali apparenti e usucapione.
[43] Cfr. L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F.D. Busnelli, U. Natoli, Diritto Civile, cit., 261 s. In giurisprudenza cfr. Cass. 15 ottobre 2007, n. 21597, in DeJure: «In tema di servitù le opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù possono insistere anche (o soltanto) sul fondo dominante».
[44] In tal senso Cass. 11 agosto 1989, n. 3695, in DeJure.
[45] In tal senso, tutte in DeJure, Cass. 26 giugno 2001, n. 8736; Cass. 25 ottobre 2017, n. 25355; Cass. 6 maggio 2021, ord. n. 11834, in Giur. it., 2021, 2325 ss., con nota di E. Ferrante, Usucapione delle servitù e destinazione univoca dell’opera.
[46] Cfr. Cass. 26 giugno 2001, n. 8736, cit. La Suprema Corte evidenzia che il requisito dell’apparenza «non implica necessariamente un’utilizzazione continuativa delle opere stesse, la cui apparenza e destinazione all’esercizio della servitù permangono, a comprova della possibilità di tale esercizio eppertanto della permanenza del relativo possesso, anche in caso d’utilizzazione saltuaria». Si esprimevano già nel senso della compatibilità del requisito dell’apparenza nelle servitù discontinue le seguenti sentenze della Corte di Cassazione: Cass. 28 novembre 1991, n. 12762, in DeJure, 1993, 452 ss.; Cass. 14 dicembre 1988, n. 6815, ivi; Cass. 11 giugno 1993, n. 6522, ivi; Cass. 3 novembre 1998, n. 10984, ivi.
[47] Cfr. A. Burdese, Servitù prediali, cit., 146; M. Comporti, Le servitù prediali, cit., 172.
[48] Si veda anche, in motivazione, il punto 2: «Si è osservato, innanzitutto, che la questione in discussione presenta, da un punto di vista materiale o fenomenico, affinità tra due attività umane, come, rispettivamente, il transitare o il parcheggiare un’autovettura all’interno di un fondo di proprietà altrui».
[49] Così Cass. 17 marzo 2017, ord. n. 7004, in DeJure, anche in motivazione; Cfr. ancora Cass. 17 febbraio 2004, n. 2994, ivi; Cass. 31 maggio 2010, n. 13238, in Giust. civ., 2011, 2139 ss.
[50] Per un’analisi approfondita dell’art. 2645-ter c.c. si veda G. Vettori (a cura di), Atti di destinazione e trust (art. 2645 ter del codice civile), Padova, 2006; M. Bianca, M. D’Errico, A. De Donato, C. Priore, L’atto notarile di destinazione. L’art. 2645-ter del codice civile, Milano, 2006; F. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645-ter c.c., in Giustizia civile, 2006, 165 ss.; G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. dir. civ., 2006, 161 ss. e Id, Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e “trust”, quindici anni dopo, in Riv. notariato, 2020, 1091 ss.; R. Quadri, L’art. 2645 ter e la nuova disciplina degli atti di destinazione, in Contratto e Impresa, 2006, 1717 ss.; AA. VV., Negozio di destinazione: percorsi verso un’esperienza sicura dell’autonomia privata, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il notariato, 2007, fasc. 1, reperibile online presso il link https://elibrary.fondazionenotariato.it/indice.asp?pub=5&mn=3; C. M. Bianca, La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645-ter del codice civile, Milano, 2007. Con specifico riferimento al rapporto tra servitù e art. 2645-ter c.c. si veda G. Palermo, Nemini res sua servit (servitù e vincoli atipici), in Nuova giur. civ. comm., 2011, 335 ss.
[51] Cfr. G. Baralis, Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c., in AA. VV., Negozio di destinazione: percorsi verso un’esperienza sicura dell’autonomia privata, cit., 139 ss. L’Autore osserva che: «Come è noto l’interpretazione corrente è tutt’ora nel senso di considerare l’art. 1028 un relitto romanistico: la servitù potrebbe costituirsi solo per utilità “aziendali” inerenti al fondo (ad esempio un terreno asservito come deposito materiali a favore della cava vicina) non già per necessità dell’azienda che è “occasionalmente” sul fondo (quindi non opererebbe l’art. 1028 nel caso in cui un terreno venisse vincolato a rifornire di legname una segheria posta su fondo limitrofo). Nei confini ristretti di cui prima l’art. 1028 c.c. è praticamente privo di utilità, ma nel secondo senso, “utilizzando” l’art. 2645-ter c.c., si può realizzare una moderna fattispecie concreta rapportabile alla servitù aziendale, con una formidabile valenza commerciale».
[52] Cfr. M. Piazza, Costituzione e/o di riconoscimento di una servitù di parcheggio, cit., 1368.