Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Forma del testamento, relatio e progetto di testamento: Un caso di ibridazione (di Matteo Ceolin, Professore ordinario di Diritto privato – Università degli Studi di Padova)


Il presente contributo si concentra su alcune problematiche concernenti la forma del testamento e l’ambito di operatività della c.d. relatio testamentaria. Partendo da una fattispecie assai peculiare, che presentava un documento dattiloscritto fatto proprio dal de cuius con poche righe autografe di chiusura a recepire il contenuto non olografo, lo scritto prende in considerazione la portata che nel tempo ha assunto la nozione di olografia per passare, poi, all'ambito di operatività della relatio, i cui confini, benché elastici, non possono mai giungere a consentire una rimessione totale all’elemento esterno. Infine, vengono prese in considerazioni alcune problematiche relativa al progetto di testamento in ordine al quale i rapporti tra volontà e forma si fanno particolarmente delicati.

Form of the will, relatio and draft will: a case of hybridization

This contribution focuses on certain issues concerning the form of the will and the scope of applicability of the so-called relatio testamentaria. Starting from a very peculiar case, which involved a typewritten document adopted by the de cuius with a few handwritten lines at the end to incorporate the non-holographic content, the paper examines the evolving significance of the notion of holography over time. It then moves on to discuss the scope of applicability of the relatio, whose boundaries, though flexible, can never extend to allow complete deferral to an external element. Finally, some issues related to the will project are considered, in which the relationship between intent and form becomes particularly delicate.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Cenni preliminari su cosa il documento “non è” - 3. Sulla forma del testamento olografo - 4. Sulla relatio testamentaria - 5. L’ibrido testamentario - 6. Progetto e minuta di testamento - 7. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

Come l’esperienza è – si dice – l’inizio della conoscenza, spesso la fattispecie pratica è, per il giurista, l’occasione che sollecita ragionamenti cui difficilmente ci si sarebbe avvicinati se il caso della vita non avesse bussato alla porta. Così, le presenti riflessioni sono state sollecitate da una fattispecie assai peculiare che è stata sottoposta alla mia attenzione. Si trattava della qualificazione di un documento pubblicato quale testa­mento olografo, la cui particolarità, consisteva, però, nel fatto che la documentazione pub­blicata come testamento olografo era costituita da un documento a stampa (redatto al computer) di circa due pagine in calce alle quali erano poste poche righe di pugno del de cuius. Il documento dattiloscritto presentava struttura e terminologia tipica degli atti notarili (protocollo, dispositivo, escatocollo) oltreché la veste formale degli stessi (foglio proto­collo standard di 50 righe con margini c.d uso bollo), sicché ragionevolmente veniva qualificato quale bozza a stampa di testamento pubblico. Le quattro righe olografe poste in calce al te­sto dattiloscritto erano, invece, scritte per intero dal de cuius, datate e sottoscritte e si limitavano a rinviare in toto al testo a stampa qualificato dallo stesso sottoscrittore quale “testamen­to” che “raccoglie le mie volontà”.


2. Cenni preliminari su cosa il documento “non è”

In primis, occorre sgombrare il campo da ogni suggestione cui l’interprete potrebbe indulgere stante la peculiarità della fattispecie. Difatti, la circostanza che ci si trovi di fronte ad un dattiloscritto con i caratteri di cui sopra potrebbe spingere, magari incon­sciamente, ad attribuire a tale documento un qualche valore aggiuntivo rispetto a quan­to lo stesso intrinsecamente può avere. Ma ben poche parole vanno spese per sancire la nullità indubbia di tale documento quale testamento pubblico ai sensi degli artt. 603 c.c., 51 e 58 l. 16.2.1913 n. 89 (c.d. Legge notarile) [1]. Dunque, tale “bozza di testamento pubblico” va riguarda per quello che è e cioè un semplice testo scritto con mezzi meccanici, ragionevolmente da soggetto terzo rispetto al de cuius. Di ciò, del resto, appare perfettamente consapevole lo stesso de cuius, che si premura di precisare che lo scritto in questione “benché non [sia] ancora firmato dal Notaio” raccoglie le sue volontà, con ciò dimostrando una sicura, ben­ché non tecnica, consapevolezza dei difetti formali del documento in oggetto.


3. Sulla forma del testamento olografo

Sgombrato il campo da ogni eventuale perplessità sul fatto che la fattispecie possa integrare un testamento pubblico – perplessità, peraltro, forse neppure da sup­porre, stante anche la qualifica che viene data dal verbale di pubblicazione, che mai adombra qualsivoglia valenza pubblica a quanto pubblicato, limitandosi, appunto, a nominare il verbale quale pubblicazione di testamento olografo – occorre ora capire se vi siano o meno i presupposti per stimare davvero il documento in oggetto quale testamento olografo. L’art. 602 c.c., fin troppo noto, recita che: “il testamento olografo deve essere scrit­to per intero datato e sottoscritto di mano del testatore”. Poche parole dense di portati precettivi da cui si ricavano i tradizionali elementi essenziali della tipologia testamenta­ria in discorso e cioè: a) l’olografia; b) e l’autografia [2]: oc­corre, cioè, che il testamento sia scritto, per intero (il grecismo è chiaro: όλοσ), di mano dal testatore; per intero significa in ogni sua parte (data e sottoscrizione compresa, come testualmente previsto); e di mano significa che vanno esclusi i testi a stampa, dat­tilografati e simili. Ciascuno di questi elementi risponde ad esigenze ben precise, su cui dottrina e giu­risprudenza si sono ampiamente stratificate nel tempo. In linea generale, il formalismo testamentario (non solo dell’olografo), eccentrico rispetto agli altri atti giuridici [3], risponde all’esigenza di assicurarne, attraverso l’integrale scrittura, la provenienza dal de cuius [4]. Più preci­samente, si tratta di far coincidere il momento volitivo della dichiarazione con quello documentativo, che cala la dichiarazione nel documento; e ciò deve avvenire senza solu­zione di continuità né cesure di alcun tipo [5]. Sottesa è stata riconosciuta anche una più generale esigenza di autoresponsabiliz­zazione, definita quale funzione di conoscenza; una funzione, cioè, che tende, attraverso l’olografia, a che il testo della dichiarazione sia conosciuto da parte del suo autore nel momento di formazione del documento [6]. Nei negozi testamentari, insomma, la forma assume una valenza forte, non solo probatoria ma di vera e propria condizione di giuridicità del negozio [7], per cui nei negozi formali il contenuto [continua ..]


4. Sulla relatio testamentaria

Si tratta ora di capire se la dicitura autografa del defunto per cui “questo testamento raccoglie le mie volontà” possa realizzare in qualche modo una forma di relatio testamentaria, di rinvio cioè ad una fonte esterna alla disposizione olografa e da questa fatta propria. È noto che, in linea generale, si distingue tra relatio in senso formale e relatio in senso sostanziale [22]. La prima ipotesi ricorre quando la volontà negoziale è in sé completa e si fa rinvio a elementi esterni solo per la manifestazione della medesima; la seconda ipotesi ricorre, invece, quando è la stessa volontà che è incompleta e pertanto il ricorso a dati esterni viene effettuato non già ai fini della mera manifestazione della volontà, bensì per un completamento della determinazione volitiva stessa. In pratica il primo caso si verifica allorché il rinvio viene operato a circostanze (fatti, documenti e determinazioni volitive proprie o altrui) presenti o passate nonché conosciute dal disponente; in tale ipotesi, infatti, poiché il disponente conosce il contenuto del relato, la sua volontà è già concettualmente completa e la relatio è solo un particolare metodo semplificato di estrinsecazione di detta volontà. Il secondo caso si verifica, invece, quando il rinvio è operato con riferimento a circostanze esterne future (e quindi non conosciute) ovvero anche presenti o passate, ma il cui contenuto non è noto al disponente; ne deriva che la stessa determinazione volitiva è incompleta ed il suo contenuto potrà essere conosciuto, anche dallo stesso disponente, solo in seguito. Il problema dell’ammissibilità e dei limiti della relatio si pone, in sede di teoria generale del negozio testamentario, soprattutto con riferimento ad un duplice ordine di principi. Innanzitutto viene in rilievo il problema di stabilire se le particolari forme prescritte dalla legge per la validità del testamento possono dirsi rispettate allorché si faccia rinvio a elementi esterni al testamento medesimo non rivestiti della medesima forma. In secondo luogo, si pone l’ulteriore questione di stabilire se e in quali limiti, indipendentemente dai sopra citati problemi di forma, il relato possa consistere in future manifestazioni di volontà del testatore o di terzi; in tal caso [continua ..]


5. L’ibrido testamentario

Pur di fronte all’esito negativo cui si è giunti, resta, oltretutto e ancor più radicalmente, la perplessità che la fattispecie sia davvero inquadrabile come fenomeno di relatio, visto che nel nostro caso non c’è alcun negozio che rinvia al contenuto di un altro; abbiamo, invece, un testatore che ha utilizzato la carta su cui era riportato un dattiloscritto aggiungendovi una espressione con cui ha ritenuto di recepirne il contenuto, con l’idea evidente di formare un negozio unitario. Quello a cui ci si trova di fronte, allora, più che un fenomeno di relatio, appare essere uno strano ibrido, un vero e proprio testamento ircocervo, in cui tutto il dispositivo è dattiloscritto, mentre l’autografia appare rispettata solo per la data e per la sottoscrizione. Ma ritenere che sia sufficiente, per integrare una fattispecie di testamento olografo, una espressione che dichiara di far proprio il testo a stampa che la precede significa porsi completamente fuori dai parametri dell’art. 602 c.c. L’ordinamento non contempla, difatti, forme miste di testamento (in parte dattiloscritte ed in parte autografe) fuori dal caso del testamento segreto (art. 604 c.c.), di cui, evidentemente, non ricorrono neppure i requisiti minimi nel caso de quo. Occorre, quindi, togliere il velo che potrebbe obnubilare lo sguardo dell’interprete – quello della bozza di testamento pubblico – per riguardare le cose come sono: vale a dire un testamento scritto a macchina e sottoscritto dal testatore, nulla aggiungendo alla sostanza delle cose le righe di conferma che quanto scritto sopra costituisce la volontà del de cuius; quello che si ha di fronte, allora, niente altro è che una scrittura privata sottoscritta, che non è né può essere un testamento olografo [35], per il quale la necessità dell’autografia non è limitata alla sola sottoscrizione, come è, invece, per le scritture private ordinarie.


6. Progetto e minuta di testamento

Altra questione che va presa in considerazione è se possa riguardarsi la fattispecie de qua in un’ottica diversa e precisamente in quella che vedrebbe nel testo dattiloscritto una minuta di testamento e nella dichiarazione olografa la manifestazione di volontà che mira a dare valore negoziale definitivo alla bozza. Ora, non è dubbio che dal punto di vista meramente fenomenologico è questo quello che è avvenuto e che il testatore aveva in animo di fare: recepire in toto un testo dattiloscritto da altri in bozza facendolo proprio. Sbaglierebbe bersaglio, tuttavia, chi proponesse una ricostruzione in tal guisa per un semplice e banale motivo: il progetto di testamento è tale solo con riguardo alla volontà, che appare non ancora compiutamente formata nella sua serietà e definitività, ma non può esserlo con riguardo ai requisiti formali. Così, certamente, può accadere che il testamento, al pari di un qualsiasi altro negozio, abbia una formazione progressiva, per cui esso può essere composto gradualmente prima in forma di appunti, poi di alcune disposizioni, poi con l’apposizione della data ed infine con la sottoscrizione [36]. E tuttavia, ciò da cui non può mai prescindersi sono i requisiti formali; questo sta a significare che discutere se un progetto o una minuta di testamento possa assumere il valore di testamento definitivo, presuppone che il documento sia comunque in regola con i requisiti formali, sicché per un testamento olografo non si può trascurare l’autografia [37]. Nulla preclude, pertanto, di acquisire e far proprio con una volontà attuale quello che era stato precedentemente stilato come mero progetto testamentario, a condizione, però, che tutti i requisiti di questo siano presenti. Nel caso di specie, non è dubbio che il testo dattiloscritto è del tutto privo del requisito dell’autografia, pertanto esso non può qualificarsi neppure come progetto di testamento olografo; il dattiloscritto non è documento chirografo e, pertanto, come olografo non può che essere nullo. I requisiti dell’olografo ci sono, invece, nelle quattro righe poste in calce e recettive del testo dattiloscritto precedente. Al ché potrebbe sorgere l’idea nell’interprete che quelle quattro righe abbiano la portata di una conferma ex art. 590 c.c. Ma tale [continua ..]


7. Conclusioni

In conclusione, a prescindersi dalla prospettiva da cui si riguardi il fenomeno come positivizzatosi, la conclusione non pare cambiare, non potendo l’interprete che propendere, in ogni caso, per la nullità del testamento in discorso. Così è chiaramente nullo il dattiloscritto come tale, sia se riguardato come testamento pubblico che come testamento olografo. Parimenti, un eventuale fenomeno di relatio che volesse ravvisarsi nel caso di specie, apparirebbe essersi concretizzato con modalità del tutto ultronee rispetto al perimetro applicativo ragionevolmente riconosciuto a tale istituto, con conseguenze chiaramente elusive delle regole formali testamentarie. Lo stesso, e ancor di più, dicasi, qualora si inquadrasse il documento presentato per la pubblicazione per quello che forse è e cioè uno strano ibrido composto da una parte dispositiva dattiloscritta chiusa con data e sottoscrizione autografe: un monstrum di cui non v’è traccia nel Codice né posto, allo stato delle cose, nel nostro ordinamento.


NOTE