Lo studio approfondisce le tecniche di regolazione del legislatore nell’economia digitale alla luce dello sviluppo tecnologico che tenga conto da un lato del mercato e dall’altro della persona umana. L’algoretica può rappresentare un punto di equilibrio per il legislatore e l’interprete, nell’ambito dell’evoluzione normativa, di cui si debba tener conto nella disciplina dei nuovi istituti digitali.
Si esaminano le nuove tecniche regolatorie che rappresentano la giusta evoluzione per poter creare una disciplina evoluta e al passo coi tempi e, quindi, soft Law e sandbox.
Inoltre se l’obiettivo è di creare un sistema unico che necessariamente debba tener conto delle diversità normative dei singoli Stati allora le categorie giuridiche possono rappresentare un meccanismo adeguato per recepire le normative nazionali e rispettare le diversità degli Stati. Infatti le categorie, con le proprie caratteristiche di adattamento, mantengono la loro vitalità disciplinando il divenire tecnologico nella modernità del loro meccanismo. Le categorie esistenti e quelle create dal legislatore europeo, si pensi ai consumatori, intese in modo ampio e evoluto, ben possono rappresentare il sistema per armonizzare la legislazione europea.
This essay explores the regulatory techniques of EU legislator in the digital economy in light of technological development that takes into account the market on the one hand and the human being on the other. Algorethics may represent a balance point for the legislator and the interpreter, in the context of regulatory development, to be taken into account when regulating new digital institutions.
New regulatory techniques are examined that are the right evolution to be able to create an evolved and up-to-date discipline and, therefore, soft law and sandbox..
Furthermore, if the aim is to create a single system that necessarily has to take into account the regulatory diversity of individual states then legal categories may represent an appropriate mechanism for transposing national regulations and respecting the diversity of states. In fact, categories, with their own adaptive characteristics, maintain their vitality by regulating technological becoming in the modernity of their mechanism. Existing categories and those created by the European legislature, think about the consumers, understood in a broad and evolved way, may well represent the system for harmonizing European legislation.
1. Introduzione - 2. L’attuale produzione normativa e la regolamentazione di un nuovo fenomeno tecnico, senza confini e con una forte innovazione - 3. La difficoltà di individuazione di un sistema normativo unitario con istituti diversi - 4. Le categorie giuridiche come sistemi elastici di relazione ordinamentale - NOTE
Le nuove tecnologie appaiono oggi come una risorsa che può portare frutti di benessere ma al contempo l’utilizzo scorretto delle stesse può determinare gravi rischi per le società democratiche. Occorre, pertanto, un’azione educativa che persegua e diffonda i valori della dignità della persona della giustizia, della sussidiarietà e della solidarietà; un algor-etica che può essere un ponte per far sì che i principi si inscrivano concretamente nelle tecnologie digitali attraverso un effettivo dialogo trans-disciplinare [1].
L’omologazione si afferma come criterio prevalente di aggregazione: in questo senso riconoscere ed apprezzare la differenza diventa sempre più difficile [2].
L’evoluzione del mercato virtuale passa per il consumismo digitale con un mercato disintermediato nel quale sono state create le community per dialogare direttamente con gli utenti-consumatori. L’evoluzione del web ha portato a quello che oggi potremmo chiamare web 3.0: mentre nel web 1.0 il consumatore era prettamente passivo e si limitava a consultare le pagine web ed a richiedere le informazioni e nel web 2.0 nasceva la visione globale dei social network che hanno modificato completamente i concetti di comunicazione e di marketing in quanto con il passaggio dal computer fisso ai device e la nascita delle grandi piattaforme Facebook, YouTube, Spotify sono state connesse le persone portando il mondo all’economia della condivisione [3], ora nel web 3.0 gli utenti sono passati da semplici lettori a partecipanti attivi nella creazione di contenuti con la vera interazione, condivisione e partecipazione immettendo continuamente i contenuti e creando essi stessi il profitto per le imprese e per le stesse piattaforme [4].
Si è arrivati a una struttura decentralizzata che ha come obiettivo, senza soluzione di continuità, di eliminare gli intermediari e creare un’economia che passa direttamente da colui che crea i contenuti ed ha il pieno controllo di quello che immette in rete, al destinatario dell’informazione il quale immette direttamente contenuti e crea ricchezza. Il web 3.0 rende gli utenti effettivi proprietari dei contenuti inseriti e, grazie alla tecnologia blockchain, permette di trasformare il capitale sociale in capitale economico [5].
Si decentralizza il capitale grazie alla tecnologia blockchain e l’organizzazione autonoma decentralizzata è il principale momento di sviluppo del web 3.0 in quanto la blockchain, governata da un token crittografico nativo, permette di autonomizzare il soggetto utente rispetto ad un principio di centralizzazione. Non vi sono più gerarchie in quanto l’accesso è liberamente aperto a chiunque accede ad Internet ed alla community che diventa in modo autonomo il soggetto garante della rete e si naviga verso il Metaverso o, meglio, verso i Metaversi per la fornitura di nuovi servizi grazie all’uso di una serie di nuove innovazioni tecniche della rete. Un sistema decentralizzato in quanto non vi è solo una blockchain, ma vi sono plurime catene con diversi livelli di affidabilità e di complessità che necessitano di norme astratte comuni per consentire una contrattualizzazione delle relazioni di mercato [6].
La crescita digitale si completa con il digital divide [7], e la non discriminazione individuale diventa, quindi, fondamentale per creare una vera unica comunità che non sia solo economica caratterizzandosi da una molteplicità di scelte culturali che rendano ancor più difficile la creazione di un ordinamento politico comune in quanto si muove da esperienze diverse.
Le piattaforme digitali dovrebbero tener conto delle diversità dalle quali partono i diversi soggetti della rete ed il Mercato non può rappresentare l’unico accumulatore o “accomunatore” che lega tra di loro i soggetti della rete.
La difficoltà di superare questo dato di fatto è che le piattaforme, nel momento nel quale esistono, già indicano le regole comuni a tutti i soggetti giuridici dell’economia digitale che vi partecipano facendo emergere, in modo evidente, la differenza tra mondo digitale e mondo non digitale in quanto, mentre nel mondo non digitale le regole si creano a poco a poco perché il mercato funziona con continui adattamenti evolutivi in base ai comportamenti dei soggetti, invece nel mondo digitale la piattaforma ha già dettato le proprie regole ai soggetti che vi accedono e che devono rispettare per potervi partecipare.
Emerge, pertanto, una certa difficoltà nell’individuare le regole proprie delle piattaforme che è dettata proprio dal fatto che implicitamente esse già esistono ed il regolatore deve entrare in un sistema già esistente imponendo delle nuove regole quando quelle esistenti non tutelino adeguatamente la comunità digitale.
Il contrasto allo strapotere del mercato tra norme tecniche, più precise e stringenti e norme giuridiche che permettono un maggior “alloggiamento” dei diversi interessi avendo come obiettivo la tutela di valori che possono essere condivisi e disciplinati in modo comune.
La prospettiva nella quale muovere, per poter disciplinare il fenomeno, è un mercato mondiale globalizzato e, quindi, si deve partire dal Regolamento (UE) 2021\694 [8] che istituisce il programma dell’Europa digitale ed individua gli obiettivi che sono di sostenere e accelerare la trasformazione digitale dell’economia e dell’industria, di permettere ai cittadini, alle pubbliche amministrazioni ed alle imprese di beneficiare di vantaggi e di migliorare la competitività dell’Europa nell’economia digitale mondiale riducendo il divario digitale in tutta Europa tramite un sostegno transfrontaliero [9].
Prima di approfondire il tema, con alcuni dati offerti dal diritto positivo, appare opportuno individuare anche una cornice entro la quale collocare la nostra riflessione.
Il tema, è inutile nasconderlo, passa per un quesito che sovrasta ogni ragionamento e riguarda la capacità del mondo digitale, nella sua massima espressione, attraverso l’intelligenza artificiale, di creare un’economia del tutto avulsa ed autonoma rispetto all’uomo stesso in quanto l’evoluzione tecnologica può comportare da un lato che la macchina crei un sistema più evoluto rispetto alla macchina stessa e dall’altro che questo nuovo mercato si dia regole autonome non più pensate e create dal legislatore, ma create dal mercato stesso e, quindi, da coloro i quali hanno una maggiore forza economica in campo e, trattandosi di economia digitale, sicuramente da coloro i quali posseggono le enormi masse di dati (i c.d. big data) [10].
L’umanesimo del lavoro e la civiltà tecnica, ricordando un recente saggio di un maestro [11], inducono a pensare, secondo la teoria della prestazione, che la dignità dell’uomo, sia un prodotto del proprio agire e come prestazione della soggettività umana, e che quindi essa si concretizza perché “l’uomo fa”.
La dignità dell’uomo faber e, dunque, anche dignità dell’opera di cui è artefice e non può essere intesa soltanto come l’opera letteraria artistica estetica, ma deve essere intesa come qualsiasi tipo di realizzazione che l’uomo costruisce con il proprio pensiero. Nella modernità, quindi, il lavoro diventa tecnica e realizzazione di artefatti. “Quindi sul terreno di gioco c’è l’uomo, la natura e gli artefatti ossia le creature dell’artificialità tecnica”.
Il dato tecnico è realizzato dall’ingegno e dalla volontà dell’uomo e, quindi, il dato non è trovato, ma creato dal pensiero e cosa c’è di maggiore creazione del pensiero che non l’intelligenza artificiale e, quindi, la dignità del lavoro che si realizza attraverso la dignità della tecnica creando attraverso il progresso tecnico la civiltà storica.
Se, quindi, la dignità del lavoratore si estende a tutte le opere dell’uomo allora l’intelligenza artificiale rappresenta la migliore realizzazione dell’uomo attraverso la quale l’uomo, con il proprio lavoro, realizza al meglio le proprie capacità.
Si potrebbe ritenere che con l’intelligenza artificiale si vuole rendere l’artefatto autonomo e, quindi, non più solo sviluppato dell’uomo e da questi gestito, ma un prodotto dell’uomo che vive in modo autonomo ed in autonomia rispetto all’uomo esso non trova più sé stesso, ma crea un altro essere.
Si può, invece, sostenere che, al momento, i sistemi di intelligenza artificiale anche generativa siano il miglior prodotto dell’uomo in quanto il più avanzato tecnologicamente che l’uomo realizza: attraverso l’intelligenza artificiale l’uomo stesso sembra trovare la propria sublimazione.
Il punto, come si può immaginare, è assai controverso, ma si può affermare che la chiave di lettura del fenomeno tecnologico è che l’uomo deve dominare il mondo con il proprio progetto tecnico e scientifico [12]. Invero i processi decisionali sono già il frutto di un’interazione con le macchine intelligenti che, quindi, sono la migliore risposta all’incompletezza dell’uomo.
La capacità dell’uomo deve essere proprio quella di dare certezza alle soluzioni che propone attraverso una capacità previsionale in quanto l’economia ha bisogno di certezza ed in tal senso deve essere supportata dal diritto che deve servirsi della macchina solo per poter solo essere più veloce in quei processi non decisionali. La macchina con l’algoritmo utilizza una logica probabilistica, mentre la logica causale con i processi cognitivi e generativi dei sistemi di ’intelligenza artificiale [13] può generare nuovi modi di ragionare e nuovi risultati finora impensabili, ma che passano pur sempre per l’attività dell’uomo.
Chiarito, quindi, che non si deve temere che l’evoluzione tecnologica faccia perdere la centralità dell’uomo rispetto alla macchina il profilo da approfondire è come queste norme debbano disciplinare il “territorio” digitale o, meglio, l’a-territorio digitale [14].
Lo sviluppo della società digitale in continua evoluzione tecnica e, quindi, normativa, per dar concretezza al tema oggetto di analisi, anche di questo convegno può essere, al momento, determinata, in nove le principali nuove regolamentazioni (definite e non) europee che compongono la c.d. Strategia Europea sul digitale:
1) Reg. UE 2065/2022 (c.d. Digital Service Act); 2) Reg. UE 1925/2022 (c.d. Digital Markets Act); 3) Reg. UE 1114/2023 (c.d. Regolamento MICAR – negoziazione di cripto-attività diverse dai token collegati ad attività e dai token di moneta elettronica, di token collegati ad attività e di token di moneta elettronica, nonché i requisiti per i prestatori di servizi per le cripto-attività); 4) Reg. UE 2022/868 c.d. Data Governance Act (costruire un ambiente sicuro per il riutilizzo dei dati per fini di innovazione e ricerca, oltre a promuoverne la disponibilità); 5) Reg. UE 2023/2854 c.d. Data Act (norme relative all’uso dei dati generati dai dispositivi Internet of Things (IoT); 6) Reg. UE 2024/1869 c.d. Artificial Intelligence Act; 7) Proposta di Direttiva c.d. Product Liability; 8) Proposta di Direttiva c.d. Responsabilità prodotti I.A; 9) Proposta di Reg. UE c.d. European Media Freedom Act (per il pluralismo informativo e contro le fake news).
La tecnica regolatoria utilizzata dal legislatore europeo è variegata a seconda del grado di evoluzione della normativa, nel senso che per le normative, che potremmo chiamare di seconda generazione in quanto alcune fattispecie sono già state regolate da precedenti interventi legislativi, a fianco alle norme di proibizione e cioè di divieto (c.d. norme proibitive pure), vi sono le norme precettive con le quali viene indicato (anche) un comportamento positivo.
La tecnica regolatoria che usa la proibizione può lasciare un ampio spazio di scelta al destinatario della regolazione in relazione a tutte le condotte permesse diverse da quella proibita, mentre nel caso in cui venga ordinata l’adozione di una condotta, lo spazio della scelta è inesistente. Lo spazio di libertà lasciato dal divieto è, tuttavia, spesso caratterizzato da incertezza, specialmente quando la proibizione non viene definita attraverso regole puntuali, ma sulla base di principi generali (trasparenza, correttezza, lealtà) che si prestano ad interpretazioni divergenti tra regolatore e regolati e nella comunità dei regolati [15].
In alcuni casi la tecnica regolatoria utilizzata dal legislatore comunitario, e mi riferisco per esempio al DSA, è una tecnica con un comando positivo, nel senso che il provider “non è responsabile a condizione che” determinando in questo modo il comportamento al quale il destinatario deve conformarsi proibendo qualsiasi altra condotta. Si ordina, quindi, l’adozione di una condotta nella quale lo spazio di libertà lasciato dal divieto era caratterizzato da un’incertezza essendo la proibizione individuata non con regole puntuali, ma su principi generali quali per esempio “l’effettiva conoscenza delle attività o dei contenuti illegali ovvero la memorizzazione di informazioni per un tempo che non ecceda quello generalmente necessario a tale scopo” [16].
In altri casi invece la tecnica è di persuasione e, quindi, regolazioni non vincolanti fondate sulla persuasione piuttosto che sulla proibizione assistita da sanzioni amministrative. Mi riferisco ai codici di condotta ed alla c.d. soft law [17], quindi, non è la legge a disciplinare il comportamento, ma attraverso dei codici di condotta si induce la piattaforma ad elaborare in coregolazione con gli stakeholders delle pratiche e buone prassi al fine di indurre gli attori della norma a seguire un certo comportamento. Un possibile esempio si individua nel Regolamento UE n. 1869/2024 sull’intelligenza artificiale che promuove la creazione di sandbox normative, cioè, ambienti controllati dentro i quali si possono testare l’efficacia di queste norme [18].
Il titolo IX (art. 69) istituisce un quadro per la creazione di codici di condotta che mira a incoraggiare i fornitori di sistemi di I.A. non ad alto rischio ad applicare volontariamente i requisiti obbligatori previsti per i sistemi di I.A. ad alto rischio (come stabilito nel titolo III).
I fornitori di sistemi di I.A. non ad alto rischio possono creare e attuare i codici di condotta autonomamente. Tali codici possono, altresì, comprendere impegni volontari relativi, ad esempio, alla sostenibilità ambientale, all’accessibilità da parte delle persone con disabilità, alla partecipazione dei portatori di interessi alla progettazione e allo sviluppo dei sistemi di I.A., nonché alla diversità dei gruppi che si occupano dello sviluppo [19].
L’ultima tecnica è quella della permissione informata. Il terreno di elezione di questa tipologia di regolazione è certamente quello della regolazione informativa. Nella regolazione informativa il regolatore obbliga i regolati ad informare coloro che dovranno compiere le scelte senza tuttavia intervenire nel merito delle stesse. Esempi riguardano le informazioni al consumatore e più in generale all’utente.
Ai sensi dell’art. 52 del Reg. I.A., i fornitori di sistemi I.A. che interagiscono con persone fisiche (come, ad esempio, i chatbot) devono garantire che le persone esposte siano informate del fatto che stanno interagendo con un sistema di I.A.
Lo stesso comportamento deve essere adottato dai sistemi di riconoscimento delle emozioni o di categorizzazione biometrica, informando le persone esposte ad essi del proprio funzionamento e ottenendo un consenso preventivo al trattamento dei dati biometrici e personali dell’utente. Inoltre, tutti quegli utenti che generano e/o manipolano contenuti multimediali che sembrerebbero a primo impatto autentici o veritieri (si pensi, ad esempio, ai cc.dd. deep fake) devono comunicare che tali contenuti sono frutto di una manipolazione basata sull’IA [20].
Le differenze tra regolazione proibitiva e persuasiva riguardano tuttavia non solo lo spazio di scelta attribuito al destinatario, ma anche il momento della loro applicazione. La distinzione temporale riguarda le modalità di intervento del regolatore sulla condotta del destinatario; la scelta temporale incide sull’apprendimento del regolato relativo ai contenuti del precetto definito dal legislatore ed applicato dal regolatore [21].
Sistemi che consentono al regolato (o ad organizzazioni rappresentative dei regolati) di interrogare ex ante (prima della violazione) il regolatore su quale sia il comportamento conforme riducono il livello di incertezza senza necessariamente comprimere lo spazio di libertà del regolato. In questo filone operano le raccomandazioni, che possono in astratto riguardare sia comportamenti proibiti che comportamenti permessi, ma vengono per lo più utilizzate per definire la tipologia delle condotte desiderate, quelle che il regolatore ritiene più coerenti con gli obiettivi della regolazione.
La regolazione proibitiva riguarda tendenzialmente la reazione alla condotta violativa anche se, evidentemente, tende ad influenzare le scelte del regolato con la minaccia della sanzione. Sistemi che limitano l’intervento regolatorio alla fase successiva alla violazione consentono al regolato un margine di scelta più ampio senza, tuttavia, ridurre l’incertezza sui confini tra proibito e permesso.
Sotto il profilo giuridico la regolazione persuasiva viene ritenuta meno invasiva di quella proibitiva. Essa si caratterizza non per la compressione di facoltà e diritti, ma per orientare il destinatario nelle scelte, che rimangono, tuttavia, nella sua sfera di controllo. Inoltre la stessa sembra meglio esprimere il contenuto tecnico della regolazione più che il valore politico della regolazione.
Il tema, pertanto, diventa come la nuova produzione normativa europea debba disciplinare le prepotenze di un mercato dominato dalle grandi piattaforme.
Prendiamo ad esempio il Digital Services Act (Reg. 2022/2065/UE) e la normativa “gemella” il Digital Markets Act (Reg. 2022/1925/UE):
Qui l’intervento europeo si sostanzia in una serie di norme che intendono regolare un mercato già esistente (e che per certi versi ha raggiunto un assetto difficilmente mutabile e contendibile), applicando le regole sulla concorrenza (già II pilastro della CE) adattate per l’occasione alle piattaforme digitali.
Una volta che una piattaforma raggiunge una certa massa critica l’aumento di scala della piattaforma si autoalimenta e rinforza a causa degli effetti di rete e del crescente costo-opportunità di uscita, che spingono verso una continua espansione della rete di utenti, potenzialmente fino a una situazione in cui un singolo operatore rimane monopolista nel mercato.
Questa situazione – in mancanza di interoperabilità esterna – rappresenta un ostacolo quasi insormontabile per i concorrenti, effettivi e potenziali, che dovrebbero superare la massa critica esistente per potersi affermare e competere in modo sostenibile sul mercato. È infatti estremamente arduo superare i costi di coordinamento collettivi per gli utenti che dovrebbero spostarsi insieme per ridurre il loro costo-opportunità unilaterale.
Nonostante questo scenario, lo sviluppo di politiche pubbliche di regolazione delle piattaforme digitali non è stato un processo né facile, né lineare. Innanzi tutto, i mercati digitali sono stati oggetto di un approccio regolamentare intenzionalmente prudente, finalizzato alla minimizzazione del rischio di un intervento sbilanciato che potesse ostacolare l’innovazione, secondo il noto dilemma di Collingridge.
La motivazione economica di un approccio regolatorio prudenziale trova, tuttora, fondamento sul fatto che le Big Tech, nonostante il loro potere economico, possano comunque essere sottoposte a un’adeguata pressione concorrenziale, soprattutto potenziale, in mercati dove le dinamiche competitive si strutturano principalmente in una concorrenza per il mercato.
La soluzione a volte adottata di una «autoregolamentazione supervisionata» non sembra rappresentare, tuttavia, uno strumento efficace anche in ragione della mancanza di poteri ispettivi e di controllo sulle piattaforme, sui loro algoritmi di funzionamento, sui flussi di raccolta, aggregazione e utilizzo dei dati, che in ultima analisi avrebbero consentito di verificare l’impatto delle regole private.
Se allora la tecnica regolatoria deve volger il proprio sguardo verso gli obiettivi da tutelare, perché più agevolmente in questo modo si possono creare norme uniformi in territori diversi e cioè tutele omogenee in un mercato globale, allora appare evidente come occorra individuare gli obiettivi. In tal senso, mentre prima sembrava preminente l’interesse del mercato e una tutela dello sviluppo di un mercato che non c’era, adesso invece gli obiettivi non sono solo legati allo sviluppo del mercato digitale (come ne è chiaro esempio il DMA), ma anche indirizzati verso la tutela della persona.
Allora il divario è tra regole per principi e regole per fattispecie. Nella logica europea la legislazione è in generale per obiettivi, lasciando agli Stati o addirittura ai soggetti la scelta dei mezzi di conseguimento degli obiettivi prescritti.
Volgiamo lo sguardo anche verso il Reg. UE sui sistemi di I.A. che prevede un approccio basato sul rischio ed impone obblighi ai fornitori ed agli sviluppatori di sistemi di Intelligenza Artificiale prevede una classificazione in relazione ai sistemi di I.A. in base ai diversi livelli di rischi individuati: rischio inaccettabile, rischio elevato, rischio limitato e rischio minimo o nullo.
I sistemi di I.A. definiti “ad alto rischio”, come è noto, sono soggetti a una disciplina più restrittiva. Appare chiaro come non vi sono criteri oggettivi per questa classificazione, si tratta di una scelta politica esattamente come quella definitoria. Basandosi su scelte dei valori da tutelare, le implicazioni etiche sono evidenti (basti pensare a eventuali scelte e gerarchie sui beni da proteggere di fronte ai rischi scaturenti dall’uso di I.A.), non certo ricavabili da qualche protocollo tecnico con pretesa fredda oggettività.
Come è noto, anche l’etica è tutt’altro che una disciplina “scientifica” o uniforme, è condizionata da fattori culturali che ne rende arduo il disegno di una matrice comune. Trovare accordo in tutta Europa sui valori comuni non è impossibile (basti pensare alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE), va praticato un assiduo confronto politico che in questo particolare momento appare assai complesso. Il diritto regola non solo l’economia, ma le diverse scienze e discipline [22] (Calabresi).
Con l’utilizzo dei principi il legislatore europeo utilizza una tecnica proibitiva per quei sistemi di intelligenza artificiale a rischio alto (basti pensare all’utilizzo della robotica medica).
Con riferimento ai sistemi di rischio medio o basso (ad esempio CHAT GPT) si utilizza una tecnica permissiva dove sono richiesti particolari requisiti di trasparenza per mitigare i potenziali di rischio non solo per la salute e la sicurezza, ma anche per la tutela di diritti fondamentali e lo stesso stato di diritto.
Il riferimento va, in primo luogo, al problema delle fake news e, da ultimo, al fenomeno del deep fake, ovvero quella tecnica per la sintesi dell’immagine umana basata sull’intelligenza artificiale, usata per combinare e sovrapporre immagini e video esistenti con video o immagini originali, tramite una tecnica di apprendimento automatico, conosciuta come rete antagonista generativa tale tecnoca, infatti, è stata usata per fabbricare in poco tempo falsi video pornografici ritraenti celebrità, per il revenge porn o per compiere atti di cyberbullismo ma può anche essere usato per creare fake news. È sufficiente in questa sede ricordare l’aspro dibattito intorno ai fatti di cronaca accaduti in occasione delle ultime elezioni presidenziali americane (confronto Trump/Biden) o, ancor più di recente, nelle vicende belliche tra Russia ed Ucraina.
I riferimenti, tuttavia, possono continuare: basti pensare al rispetto del principio di non discriminazione che viene in rilievo in occasione dell’inarrestabile sviluppo dei sistemi di I.A.
In primo luogo, nel considerando 17, il nuovo Regolamento U.E. n. 1869/2024 in materia di regolazione dei sistemi di I.A. considera gli strumenti di «punteggio sociale» assegnato ai cittadini dai governi, con riferimenti ai quali si rileva, tra le altre cose, che «possono portare a risultati discriminatori […] [e]ledere il diritto alla dignità e alla non discriminazione»: per questa ed altre ragioni se ne propone il divieto tout-court. Nel prosieguo, il Regolamento considera, altresì, delle possibili applicazioni concrete di sistemi legati ad intelligenza artificiale da ritenersi «ad alto rischio».
In generale, l’impatto sul diritto a non essere discriminati è uno dei criteri che dovrebbero indurre a classificare un sistema di I.A. come appunto «ad alto rischio», con il conseguente assoggettamento al rispetto di «determinati requisiti obbligatori» (considerando 27). Questo condizionare l’accesso a prestazioni e servizi pubblici di assistenza concetto viene ribadito nel considerando 33, dove si qualificano i «sistemi di I.A. destinati all’identificazione biometrica remota delle persone fisiche», sia “in tempo reale” sia “a posteriori”, come ad alto rischio.
Il Regolamento considera poi l’impiego di strumenti di intelligenza artificiale nella scelta dei candidati ad accedere a scuole e alti istituti di formazione, nonché nel contesto dei rapporti di lavoro: per il Regolamento UE, si tratta anche in questo caso di attività «ad alto rischio», tra le altre cose perché potrebbero «perpetuare modelli storici di discriminazione» (considerando 35 e 36).
Parimenti ad alto rischio, per le stesse ragioni, va considerato l’uso dell’intelligenza artificiale per, così come a servizi privati di grande importanza come il credito (considerando 37).
È un dato significativo che, in passato, erano più spesso utilizzate le Direttive, con spazio di autonomia agli Stati nel realizzare gli obiettivi. Più di recente stanno crescendo i Regolamenti, con normative ad applicazione immediata e diretta.
Se, quindi, con tecniche legislative diverse, l’obiettivo comune è di creare un sistema unico con regole che possano poi “entrare” nei vari Stati e nelle loro legislazioni si deve verificare se questo sia sempre possibile alla luce degli istituti e delle categorie dei diversi Stati e se, quindi, sia effettivamente possibile creare sempre una legislazione comune alla luce degli istituti presenti nei diversi ordinamenti.
Si pensi per esempio a tutta la normativa, ormai da tempo affermata, in tema di proprietà industriale sulla legge marchi e al loro riavvicinamento in riferimento ad una recente sentenza della Corte di Giustizia UE [23] che in tema di comproprietà di marchi ha ritenuto che la concessione di una licenza d’uso o il recesso dal relativo contratto di un marchio nazionale in comproprietà tra più soggetti a favore di un terzo è disciplinato dalle regole del diritto nazionale (e quindi dalle regole sulla comunione con le relative maggioranze) nel quale rientrano le modalità di esercizio da parte di contitolari dei diritti conferiti dal marchio, e non dalla legislazione europea affermando, pertanto, che il diritto di proprietà e le questioni relative alla comproprietà del marchio devono essere risolte in base ai singoli diritti nazionali applicabili e non alla normativa sui marchi comunitari escludendo, quindi, una normativa unica europea comune a tutti gli Stati relativamente all’istituto della proprietà.
In materia di diritto dei consumatori sempre la Corte di Giustizia UE in merito ad una controversia tra un condominio ed una società che forniva energia, relativamente al pagamento di interessi di mora richiesti da quest’ultima al condominio avendo ricevuto dal giudice nazionale di rinvio la questione relativa alla possibilità di considerare un condominio di diritto italiano quale consumatore ai sensi della direttiva e di conseguenza valutare l’applicabilità o meno delle tutele consumeristiche, ha deciso che è di competenza dei singoli Stati stabilire la natura giuridica delle persone [24].
Invero il condominio pur non essendo persona giuridica, secondo la giurisprudenza della Cassazione, è considerato soggetto giuridico autonomo e, quindi, si deve valutare se alla nozione di consumatore sia riconducibile la persona del condominio allorquando conclude un contratto per scopi estranei alla propria attività professionale. E quindi la Corte UE si è posta il problema se un soggetto giuridico, che non sia una persona fisica, possa rientrare nella nozione di consumatore. Invero la Corte UE ha preso atto che il giudice del rinvio afferma secondo la nostra giurisprudenza prevalente che il condominio è considerato un “ente di gestione” [25] e, quindi, un soggetto giuridico, né una persona fisica, né una persona giuridica [26].
Secondo la Corte UE gli Stati membri sono liberi di disciplinare il regime giuridico del condominio qualificandolo o meno come persona giuridica e, quindi, si deve valutare se la tutela consumeristica sia applicabile anche ad un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico qual’è condominio e ciò non contraddica la ratio del sistema di tutela dei consumatori nell’ambito dell’Unione. Invero interpretando la norma viene affermato che l’armonizzazione minima delle legislazioni nazionali in materia di clausole abusive lascia la possibilità agli Stati di garantire un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe rispetto a quelle contenute della direttiva (considerando 12). Inoltre sempre ai sensi del considerando 13 gli Stati membri dovrebbero restare competenti per l’applicazione delle disposizioni di tale direttiva ai settori che non rientrano nel suo ambito di applicazione e la Corte Suprema di Cassazione ha affermato un orientamento giurisprudenziale volto a tutelare maggiormente il consumatore estendendo l’ambito di applicazione anche a un soggetto giuridico quale è il condominio che non è una persona fisica, conformemente al diritto nazionale [27].
La Corte di Giustizia ha concluso affermando che non osta all’applicazione delle direttiva una giurisprudenza nazionale che interpreti che il contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico, quale il condominio, che interpreti la normativa di recepimento in modo che le norme a tutela dei consumatori siano applicabili anche ad un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio anche se tale soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva.
Appare chiaro come tale pronuncia non solo non abbia contributo a chiarire il quesito di diritto posto alla base del rinvio pregiudiziale, ma ha complicato il già intricato quadro di base.
Orbene queste due veloci indicazioni della Corte di Giustizia inducono a riflettere sull’ambito di estensione delle norme e di globalizzazione integrale in quanto appare evidente che si riscontra una certa difficoltà ad avere un’omogeneità di regolamentazione e si deve comprendere come trovare, tra la normativa generale, che deve disciplinare l’a-territorio non solo l’Europa, e le normative nazionali, un equilibrio che permetta il contemperamento dei rispettivi interessi, con l’ulteriore difficoltà che le categorie della tecnica in questo ambito mutano molto velocemente.
Si devono, pertanto, individuare più criteri che possano rappresentare in modo ordinato i profili economici emergenti e mutevoli attraverso nozioni, concetti, categorie che mettano ordine in un sistema di regole e che permettano, quindi, di governare in modo sistematico il fenomeno economico in quanto le categorie potrebbero non sembrare, ad una lettura superficiale, più adeguate a rappresentare il fenomeno economico ampliato anche dall’applicazione delle nuove tecnologie nel sistema [28] e, dunque, sembrerebbero non permettere di avere un quadro armonico corretto.
Secondo il c.d. metodo nuovista [29] non sarebbe più possibile rappresentare i nuovi fenomeni economici nelle vecchie categorie giuridiche. Ed anche la giurisprudenza c.d. creativa non sarebbe davvero creativa in quanto, come efficacemente dimostrato, il giudice in realtà non crea perché, se così fosse vi sarebbe insubordinazione alla legge ed alla forza logica del ragionamento interpretativo [30].
A fronte di tali interpretazioni distruttive si ritiene, invece, che parte della dottrina [31] abbia efficacemente criticato tale approccio dell’interprete affermando che la difesa delle categorie non è vera conservazione, ma è semplicemente l’unica via possibile per dire e fare il diritto volendo ritenere ancora possibile l’analisi scientifica. Non vanno ammassate le novità in categorie esistenti, ma va valorizzato il criterio di formulazione di categorie, rispetto alla realtà che muta, come essenziale criterio di intelligenza e controllo delle interpretazioni giuridiche. Anche dall’affastellarsi delle numerose normative di stampo europeo e dalla Costituzione sono emerse nuove categorie!
L’approccio che appare preferibile disegna le categorie non come i confini entro i quali devono muovere i fenomeni economici, ma come l’unica via possibile per dire e fare il diritto volendo ancora ritenere possibile l’analisi scientifica [32] dello stesso, frutto di un’attività puramente ipotetica o addirittura immaginifica [33], ma essenziale per la soluzione dei casi attraverso un processo incessante di adattamento, grazie al quale mantengono la loro vitalità, che risiede essenzialmente in una persistente capacità a contenere il divenire. Valutare il divenire secondo l’ordinamento storico.
Le categorie sono solo un sistema per filtrare il pensiero mettendo ordine e consentendo la comunicazione, danno logica ai fenomeni economici riconducendoli sistematicamente nelle norme. In sintesi le categorie devono vivere secondo una dimensione storicizzata e il loro significato deve mutare in relazione ai nuovi fenomeni economici che devono storicizzarsi nella categoria stessa. Invero, seppur il diritto privato è necessariamente altro rispetto alla regolazione del mercato, i sistemi devono comunicare tra loro per permettere un’armonizzazione all’interno delle regole [34].
Si può affermare che i nuovi fenomeni tecnologici, che sono disciplinati dal legislatore europeo, determinano che le regole, calate dall’alto, tengano conto della progressiva rilevanza della dinamica economica nelle proiezioni tecnologiche sempre più trasversali che superano i confini politici e territoriali.
L’ordine giuridico complesso, che parte dal riconoscimento dei diritti fondamentali, deve disciplinare programmi economici che non hanno regole ben definite nei singoli codici.
Le regole del nostro Codice civile, inoltre, potrebbero sembrare non adeguate a disciplinare, con gli schemi ivi delineati, le transazioni economiche del Terzo Millennio, ricche di invasioni tecnologiche e di un’economia degli affari che rischia di creare un mondo e dei modelli paralleli che potrebbe fare a meno degli schemi codicistici e della causa del contratto, così come pensata dal legislatore del 1942 [35].
Ci si chiede se le categorie possano svolgere il ruolo storicamente indicato dal codice civile anche alla luce delle cosiddette valvole di comunicazione tra il codice civile ed i codici di settore pensate proprio con l’obiettivo di porre, per esempio, il consumatore nella migliore situazione possibile secondo la formula dell’armonizzazione massima del sistema [36].
Ebbene, se si condivide tale linea di pensiero, appare chiara l’interazione tra il codice civile e le altre normative di origine europea, ispirata da una logica di armonizzazione del sistema che le stesse norme del codice civile in alcuni casi possono offrire nella modernità del loro meccanismo [37].
Non è detto che l’omologazione sia un valore, ma in realtà attraverso le categorie sono apertura alla diversità di qualità e si devono mantenere le diversità degli istituti quando non è possibile una loro completa armonizzazione.
Il bene da tutelare, nell’incessante evoluzione economica, è diverso dal passato: la strategia europea sul digitale fa riferimento non più solo al mercato (v. DMA), ma anche alla dignità della persona ed al rispetto dei suoi diritti, si pensi al DSA ed al nuovissimo Regolamento UE n. 1869/2024 in materia di I.A. secondo la quale i sistemi di intelligenza artificiale utilizzati nell’UE devono essere sicuri, trasparenti, tracciabili, sostenibili e non discriminatori nella logica dell’accountability, ma anche il DGA – Data Governance Act che mira a rendere disponibili più dati regolando il riutilizzo dei dati detenuti dal settore pubblico, potenziando la condivisione attraverso la regolamentazione di nuovi intermediari di dati e incoraggiando la condivisione dei dati per scopi altruistici.
Tali obiettivi si devono, quindi, raggiungere attraverso: a) la legge; b) le buone prassi che nascono sul mercato; c) i codici di condotta e la c.d. la soft law.
Ogni strumento evidentemente porta con sé lati positivi e negativi, basti pensare al rischio già paventato dalla dottrina [38] di “ipertrofia” normativa il cui coordinamento risulta complesso. Inoltre sembra interessante anche volgere lo sguardo oltre i confini europei per verificare le normative extraeuropee. Per quanto riguarda le buone prassi ci si riferisce alla tecnica della co-regolazione che presuppone, tuttavia, probabilmente un contributo fattivo delle piattaforme digitali, in una modalità differente rispetto al passato. I codici di condotta rimangono certamente uno strumento di grandi potenzialità basti vedere quanto previsto dall’art. 69 del Regolamento I.A. [39].
L’obiettivo di una tutela a-territoriale, comune ed effettiva in un mercato globalizzato va perseguito attraverso una duplice impostazione: da un lato seguendo le categorie giuridiche evolute e nuove create anche attraverso i principi comunitari che possono fornire una guida sicura per orientarsi nella complessità del mondo digitale; dall’altro volgendo lo sguardo verso i beni da tutelare che devono avere tutele omogenee nel mercato globale.
Ed allora, come già visto anche attraverso questo breve excursus normativo e giurisprudenziale, il legislatore europeo muove in direzione di un’idea pragmatica e funzionalistica che porta a tutelare i principi come quelli consumeristici quasi come se fossero dei diritti costituzionalmente tutelati comminando addirittura, in sintesi con la giurisprudenza, una sanzione maggiore al professionista in una logica di “furiosa” tutela del consumatore, in tal senso si pensi alla recente giurisprudenza in tema di nullità dell’intero contratto di mutuo [40].
Invero tali principi, formati nel corso del tempo, si pensi ad esempio anche all’abuso di dipendenza economica [41], assurta a vera e propria clausola generale (con la quale si è ritenuto di moralizzare i rapporti tra imprenditori [42], ed ora allargata anche ai mercati digitali attraverso apposita modifica introdotta con l. 5 agosto 2022, n. 118 [43]), devono trovare una loro adeguata collocazione attraverso una razionalità sistematica.
Il legislatore europeo in molti casi legifera per interessi protetti nel senso che abbandona una logica attributiva di nuovi diritti per dettare dei rimedi sostanziali e processuali con una tecnica rimediale che viene adottata dal legislatore dalla dottrina, poi, nella ricostruzione del sistema ed infine dalla giurisprudenza [44].
Non si può pensare di tutelare interessi protetti senza immaginare che questi debbano essere inseriti all’interno di categorie nelle quali essi trovano sistematica collocazione: le categorie modificandosi interagiscono con la realtà digitale dando prevedibilità al risultato finale e ciò appare essenziale per l’economia [45]. Appare opportuno allora individuare i principi rispetto ai quali le categorie devono rapportarsi nell’ambito della Carta Fondamentale dei Diritti della UE. In questo modo non si dovrebbe correre il rischio di trovarsi di fronte ad un diritto anacronistico rispetto alla straordinaria innovazione tecnologica con sfide sempre più complesse e difficili [46]. D’altro canto questa evoluzione digitale non rappresenta la prima affermazione del mondo digitale nel quale il mercato elettronico doveva essere tutelato e, pertanto, era necessario creare delle regole giuridiche che permettessero l’espansione è l’affermazione del mercato elettronico nascente per, poi, imporre regole e sanzioni.
Questo mercato digitale, difatti, è in una fase molto più evoluta proprio perchè le piattaforme creano la comunità sociale nella quale vi sono già delle regole. È, quindi, necessario che le prescrizioni normative permettano una efficiente regolamentazione degli interessi in quanto i poteri forti già affermano le proprie regole di talchè, rispetto al passato, queste regole devono maggiormente tutelare gli utenti, soggetti deboli del mondo digitale [47], che, nella stragrande maggioranza nei casi, “ignorano il funzionamento dell’infrastruttura tecnica che utilizzano quotidianamente” [48].
E allora, da un lato, si deve verificare, attraverso l’evoluzione normativa europea, come le norme abbiano disciplinato il fenomeno di un mercato elettronico nascente e, poi con le successive modifiche, si sia aggiornata la regolamentazione modificandola proprio in relazione all’evoluzione giurisprudenziale ed alla disciplina dei fenomeni pratici del tempo e, dall’altro, nei casi, invece, in cui non esiste una normativa precedente (I.A., DMA, DGA, DATA ACT) e, quindi, la normativa europea assuma un carattere sperimentale e temporaneo, destinato probabilmente ad essere superato nel tempo, contribuendo ad alimentare un fenomeno sempre attuale che è quello dell’incertezza del diritto, come la tecnica delle categorie giuridiche esistenti e nuove potrebbe consentire, con la loro elasticità, di armonizzare coerentemente la tutela dei soggetti permettendo di razionalizzare le novità.
Il pensiero della Commissione Europea, in merito all’importanza delle normative sul digitale, si collega all’idea che queste possano fungere da modello per la disciplina di una parte del mondo innestando, in questo modo, una sorta di competizione positiva (il c.d. Brussels effect) [49]. In questo senso l’Europa si trova in un momento forse decisivo: la creazione delle regole, che seppur diverse da altri Stati del mondo possono, poi, essere adattate per creare regole comuni in un mercato unico, nel rispetto dei valori che rimangono diversi rispetto a molti altri Stati, poiché se, ad oggi, i valori dell’Europa sono diversi da quelli della Cina e degli Stati Uniti, ciòpermette, comunque, di avere dei mercati nei quali le potenze economiche dialogano e commerciano liberamente.
Dall’attività legislativa delle diverse nazioni per regolamentare l’I.A. emerge, sia nella dichiarazione di Bletchley [50], sia nell’ordine esecutivo [51] del Presidente Biden dell’ottobre 2023, la necessità di garantire sicurezza e affidabilità dei sistemi di intelligenza artificiale identificando i rischi e costruendo delle politiche basate su un approccio che possa differire, in relazione ai diversi quadri giuridici, ma permettendo un dialogo globale inclusivo attraverso i forum internazionali per garantire lo sviluppo dell’I.A. in modo sostenibile.
Va da se che proprio nell’ordine esecutivo della Casa Bianca, per regolamentare l’intelligenza artificiale, si dà rilievo ai profili di sviluppo dei sistemi di I.A. promuovendo l’innovazione e la concorrenza in quanto, proprio come riferito in tale ordine esecutivo, gli Stati Uniti nel corso dell’ultimo anno è stata la Nazione che ha maggiormente finanziato le startup di intelligenza artificiale [52] sviluppare in modo sicuro e regolamentando in modo equilibrato il settore economico.
La sfida del giurista è, allora, di interpretare in modo evolutivo le categorie al fine di disciplinare l’economia digitale planetaria ed in tal senso è necessario che le categorie emergano dalla loro specificità per ergersi a veicolo di interscambio e collocazione mondializzato.
In realtà le categorie, in ogni epoca, sono strumenti essenziali di comprensione della fenomenologia e di comunicazione della valutazione [53]. Le categorie del passato, talvolta, risultano ancora utili per organizzare le novità; talaltra vanno ridimensionate e spesso abbandonate perché non più in grado di comprendere i nuovi interessi e valori. È questa la forza morale essenziale dello studioso e della ricerca [54].
Ed allora il pensiero volge lo sguardo verso il Terzo Paradiso, dall’opera di Michelangelo Pistoletto [55], quale fusione tra il primo paradiso, nel quale gli esseri umani sono completamente integrati nella natura, e il secondo paradiso quello artificiale, sviluppato dall’Intelligenza Umana (IU), e non dall’IA.
Il secondo paradiso, attraverso il suo mondo artificiale, produce effetti benefici negli esseri umani
determinando, al contempo, un processo inarrestabile di decadimento e consunzione del mondo naturale.
Il Terzo Paradiso è, invece, la terza fase dell’umanità che si realizza attraverso il perfetto equilibrio tra l’artificio e la natura. In questo senso risulta necessario riformare non solo i principi e i comportamenti etici che guidano la vita comune ma anche disciplinare giuridicamente i comportamenti degli individui.
Il Terzo Paradiso, come dice Pistoletto, è il grande mito che porta ognuno ad assumere una personale responsabilità nella visione globale. Il termine paradiso deriva dall’antica lingua persiana e significa “giardino protetto” ed allora, ripensando anche alle parole di Pugliatti sul giurista giardiniere è “fortunata la generazione che non è condannata al lavoro del giardiniere che ritocca per la millesima volta le aiuole alle quali dedica da anni la sua cura vigile e costante, ma piuttosto ha il privilegio di dovere trasformare in giardino una sterpaia; e così dovrà sconvolgere la terra, e duramente lavorare e faticare, prima di vedere compiuta la propria opera” [56].
[1] Così Papa Francesco, nel discorso (letto da monsignor Vincenzo Paglia) alla plenaria della Pontificia Accademia per la vita, dedicato al tema dell’Intelligenza Artificiale, e consultabile su www.agi.it. Il Pontefice afferma che “gli algoritmi estraggono dati che consentono di controllare abitudini mentali e relazionali, per fini commerciali o politici, spesso a nostra insaputa. Questa asimmetria, per cui alcuni pochi sanno tutto di noi, mentre noi non sappiamo nulla di loro, intorpidisce il pensiero critico e l’esercizio consapevole della libertà”. Per questo, prosegue, “non basta semplicemente affidarci alla sensibilità morale di chi fa ricerca e progetta dispositivi e algoritmi; occorre invece creare corpi sociali intermedi che assicurino rappresentanza alla sensibilità etica degli utilizzatori e degli educatori”.
[2] Le questioni etiche che pone l’I.A. sono al centro del dibattito dottrinario in quanto plurime e molto complesse, tanto da aver dato luogo al conio di espressioni specifiche come “algoretica”, “roboetica” e “AI ethics”. Sul punto cfr. P. Benanti, Oracoli. Tra algoretica e algocrazia, Roma, 2018, p. 1 ss., dove l’Autore afferma che “Le implicazioni sociali ed etiche delle AI e degli algoritmi rendono necessaria tanto un algor-etica quanto una governance di queste invisibili strutture che regolano sempre più il nostro mondo per evitare forme disumane di quella che potremmo definire una algo-crazia”. Per altri spunti v. anche N. Abriani, G. Schneider, Diritto delle imprese e intelligenza artificiale. Dalla FinTech alla CorpTech, Bologna, 2021, p. 95 ss.; ma vedi anche F.H. Llano-Alonso Fernando, L’etica dell’intelligenza artificiale nel quadro giuridico dell’Unione europea, in Ragion pratica, 2021, p. 327 ss.; F. Donati, Diritti fondamentali e algoritmi nella proposta di regolamento sull’intelligenza artificiale, in Dir. Un. Eur., 2021, p. 453 ss.; da ultimo, E. Stradella, La regolazione della Robotica e dell’Intelligenza artificiale: il dibattito, le proposte, le prospettive. Alcuni spunti di riflessione, in MediaLaws, 2019, p. 73 ss.; A. Celotto, Verso l’alogoretica. Quali regole per le forme di intelligenza artificiale?, in AA.VV., Fairness e innovazione nel mercato digitale, V. Falce (a cura di), 2020, p. 17 ss.; A. Celotto, Come regolare gli algoritmi. Il difficile bilanciamento tra scienza, etica e diritto, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2019, p. 47 ss. il quale sottolinea la necessita di dare seguito ad una “algoretica” nonché la necessità di formulare regole «il più globali possibile di stampo sovranazionale e internazionale», intese a normare ampiamente solo quei fenomeni per i quali venga ritenuto necessario. Sul termine “algocrazia” si veda, infine, L. Francalanci, Dall’algocrazia all’algoretica: il potere degli algoritmi, in Italiano digitale, 2020, p. 97 ss.
[3] “Economia della condivisione”, “sharing economy”, “platform economy” o “collaborative economy”, sono tutte espressioni utilizzate nel tentativo di definire il fenomeno economico che va diffondendosi. Sul punto ci si permette di rinviare a: R. Bocchini, La polivalenza delle posizioni contrattuali nella sharing economy (prima parte), in Nuovo dir. civ., 2021, p. 209 ss.; Id., La polivalenza delle posizioni contrattuali nella sharing economy (seconda parte), ivi, 2021, p. 259 ss.. In argomento, solo per restare agli studi pubblicati negli ultimi anni, si vedano: G. Alpa, Sul potere contrattuale delle piattaforme digitali, in Contr. Impr., 2022, p. 721; G. Smorto, Economia della condivisione e antropologia dello scambio, in Dir. pubbl. comp. Eur., 2017, pp. 119-140; Id., Verso la disciplina giuridica della sharing economy, in Mercato conc. reg., 2015, pp. 245-277; Id., I contratti della sharing economy, in Foro it., 2015, c. 221; Id., Dall’impresa gerarchica alla comunità distribuita. Il diritto e le nuove forme di produzione collaborativa, in Rivista ODC, 2014, p. 4; L. Ammannati, Verso un diritto delle piattaforme digitali?, in Federalismi.it, 2019, p. 2 ss.; E.R. Restelli, Le piattaforme digitali. Dall’intermediazione all’impresa, Torino, 2023, p. 1 ss.; S. Martinelli, Platform economy e piattaforme di intermediazione: aspetti definitori e una prima analisi del fenomeno, Torino, 2023, p. 7 ss.; L. Ammannati, A. Canepa, G.L. Greco, U. Minneci (a cura di), Algoritmi, Big Data, piattaforme digitali. La regolazione dei mercati in trasformazione, 2021, p. 3 ss.; R. De Laurentiis, Regolazione della Sharing Economy, in Economia digitale. Una regolamentazione da innovare, 2021, p. 127 ss.; B. Liberatore, Le piattaforme digitali: il ruolo dirompente delle tecnologie digitali e la platform economy, in Manuale di diritto privato dell’informatica, R. Bocchini (a cura di), Napoli, 2023, p. 179 ss.
[4] Sia consentito il rinvio a R. Bocchini, Nuovi beni digitali e mondi dematerializzati. I metaversi, cit., p. 167 ss.
[5] In argomento e senza pretesa di completezza v. T.E. Frosini, L’orizzonte giuridico dell’intelligenza artificiale, in Dir. inf., 2022, p. 5; M. Onza, Non fungible token e diritto d’autore: (ipotesi di) ricostruzioni e (di) interferenze, in Dir. ind., 2022, p. 103 ss.; A. Guaccero, G. Sandrelli, Non fungible-tokens (NFT), in Banca borsa tit. cred., 2022, p. 824 ss.; T. Pellegrini, Gli smart contract, in Diritto privato digitale, E. Battelli (a cura di), Torino, 2021, p. 261 ss.; N. Travia, La tecnologia blockchain, ivi, p. 289 ss.; M.L. Perugini, Distributed ledger Technologies e sistemi di blockchain, Milano, 2018, p. 29 ss.; M. Cian, La criptovaluta-alle radici dell’idea giuridica di denaro attraverso la tecnologia: spunti preliminari, in Banca borsa, 2019, p. 325 ss.; F. Sarzana Di S. Ippolito, M. Nicotra, Diritto della blockchain, intelligenza artificiale e I.o.T., Milano, 2018, p. 1 ss.; F. Sarzana Di S. Ippolito, M.G. Pierro, I.O. Epicoco, Il diritto del metaverso, NFT, GameFi e privacy, 2022, passim; P. Matera, A. Benincampi, voce Blockchain, in Dig. discipl. priv. sez. comm., agg. IX, S. Bellomo, M. Cian, G. Ferri JR., D.U. Santosusso (a cura di), Torino, 2022, p. 24 ss.; M. Giaccaglia, Considerazioni su blockchain e smart contracts (oltre le criptovalute), in Contr. impr., 2019, p. 941 ss.; E. Giovanardi, Il metaverso e le nuove frontiere del mercato disintermediato, in Norme e tributi NFT e Metaverso, Il Sole 24 Ore, 2022, p. 49; F. Rampone, Criptovalute, security, token, utility token e NFT (cenni), in Norme e tributi NFT e Metaverso, Il Sole 24 Ore, 2022, p. 61; N. Muciaccia, S. Lopopolo, Prime riflessioni sul rapporto NFT e proprietà intellettuale, in Dir. inf., 2022, p. 893 ss.
[6] C. Galli, Metaverso o metaversi tra innovazione tecnica e innovazione giuridica, in Dir. Ind., 2023, p. 112 e p. 114. L’Autore adotta una posizione critica con riferimento tanto alle istanze di chi reclama la necessità di nuove norme, quanto all’approccio di chi “concentra l’attenzione sulle più clamorose di queste nuove tecnologie, senza coglierne (e valutarne sul piano giuridico) tutte le potenzialità”, proponendo, viceversa, di valersi, sul piano normativo, di disposizioni generali ed astratte e soprattutto preesistenti da interpretare in chiave evolutiva. Sul punto cfr. U. Ruffolo, Piattaforme e metaverso, in C. Pinelli, U. Ruffolo, I diritti nelle piattaforme, 2023, p. 121 ss.; L. Floridi, Metaverse, a matter of experience, in Philosophy & Technology, 2022, p. 76 ss.; Id., The Fourth Revolution. How the infosphere is reshaping human reality, Oxford, 2014, passim; Id., The online manifesto, Being human in a hyperconnetted era, 2014, p. 4; Id., The Philosophy of Information, Oxford, 2011, p. 316 ss.; AA.VV., Il Metaverso. Modelli giuridici operativi, M. Piccinali, A. Puccio, S. Vasta (a cura di), 2023, passim.
[7] Con l’espressione digital divide, come è noto, si intende il divario presente tra chi ha accesso effettivo a rete Internet e chi ne è escluso, in modo parziale o totale. Il tema è stato ampiamente analizzato dalla dottrina nordamericana: tra gli altri v. P. Norris, Digital Divide: Civic Engagement, Information Poverty, and the Internet, in Cambridge University Press, 2001, passim. Si vedano anche P. Di Maggio, E. Hargittai, From the ‘Digital Divide’to ‘Digital Inequality’: Studying Internet Use as Penetration Increases, Working Paper Series, Center for Arts and Cultural Policy Studies. Retrieved, 2003, passim. Nell’ambito della dottrina italiana il riferimento va certamente in primo luogo agli studi di Stefano Rodotà: tra gli altri si v. S. Rodotà, Il mondo nella rete: quali i diritti, quali i vincoli, Roma-Bari, 2014, passim. Il tema è ancora oggi al centro del dibattito perché il D.L. 152/2021, consultabile in Gazzetta ufficiale, ha introdotto nuove misure a vantaggio di cittadini, amministrazioni ed imprese per attuare la prima “mission” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: l’implementazione delle competenze digitali, interoperabilità delle banche dati e semplificazione dei servizi. Da ultimo, in data 8 giugno 2023, il Dipartimento per la Trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha annunciato l’iniziativa volta a potenziare le competenze e l’Inclusione digitale di almeno 2 milioni di Cittadini entro il 2026, attraverso l’introduzione dei “Facilitatori digitali”, che offriranno un supporto ai Cittadini nel gestire la propria Identità digitale, navigare in rete, riconoscere le fake news, effettuare chiamate o videochiamate, fare acquisti online, utilizzare i propri servizi bancari, l’App “IO”, o accedere alla “Anagrafe della popolazione residente”.
[8] Il testo del Regolamento (UE) 2021/694 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2021 – che abroga la decisione (UE) 2015/2240 – è consultabile su eur-lex.europa.eu.
[9]Sul punto, si veda G. Corasaniti, Il diritto nella società digitale, Milano, 2018, il quale si interroga in merito al rapporto apparentemente conflittuale tra diritto ed evoluzione tecnologica, sottolineando che alle difficoltà intrinseche ad un tentativo di regolamentazione “tendenzialmente universale” si aggiungono quelle di concepire un insieme condiviso di principi comprensibile ed efficace. “Il diritto apparentemente non si muove, o si muove con molta difficoltà, proprio perché deve adattarsi naturalmente ad un sostrato sociale già affermato e mai completamente riconoscibile e nel contempo l’informatica si evolve sempre di più e velocemente nella società in tempi molto più rapidi, assicurando soluzioni immediate, mentre il diritto cerca e crea problemi, l’informatica progetta e realizza (e soprattutto individua analiticamente) “soluzioni” di tipo informativo ai problemi, mediante elaborazione dei dati disponibili”. Tuttavia, muovendo dall’assunto che il diritto è “strumento ergonomico essenziale di risoluzione dei conflitti e confronto sociale” l’Autore mette in luce i punti di contatto tra la disciplina giuridica e quella informatica che andrebbero considerate in costante interazione in una prospettiva sempre più globale.
[10]A proposito di co-regolazione ed auto-regolazione delle piattaforme online si vedano F. Bassan, Digital Platforms and Blockchains: the Age of Participatory Regulation, in European business law review, 2023 p. 1103-1132; Id., Digital Platforms and Global Law, 2021; M. Rabitti, Le regole di supervisione nel mercato digitale: considerazioni intorno alla comunicazione Banca D’Italia in materia di tecnologie decentralizzate nella finanza e cripto-attività, in Rivista trim. dir. econ., 2022, p. 19 ss.
[11] N. Irti, Umanesimo del lavoro e civiltà tecnica, in Riv. dir. civ., 2023, p. 203. Nel saggio l’A. parte dall’assunto che la medesima espressione “dignità del lavoro“ consenta di considerare superato l’antico dualismo tra la teoria della dotazione (per cui la dignità è qualità o proprietà originaria dell’uomo) e la teoria della prestazione (per cui la dignità è il prodotto dell’agire umano), in senso favorevole a quest’ultima teoria. Nella modernità la “dignità del lavoro“ diventa necessariamente dignità della tecnica e dunque della artificialità. Si sottolinea come tutto ciò che circonda l’uomo è artificiale e, dunque, “fatto con arte”, frutto del pensiero umano e della umana volontà. Sostenendo tale accezione di artificialità allora la dignità del lavoro non può essere separata dalla dignità della tecnica ed entrambe sì riuniscono nell’unità dell’homo faber.
[12] Tale progetto è inaugurato attraverso la transizione moderna dalla persona al soggetto. Così A. Punzi, Il dialogo delle intelligenze tra umanesimo e tecnoscienza, in Pers. merc., 2023, p. 161. L’autore rileva che oggi ci ritroviamo orfani delle certezze del pensiero moderno che aveva posto al centro dell’attenzione non la persona, bensì il soggetto: “Il soggetto moderno non rivolge più lo sguardo verso l’Essere in senso metafisico né sull’essenza del proprio essere-persona: dopo aver conquistato la coscienza di sé, egli si concentra sull’osservazione della natura per individuarne le leggi, misurarla e trasformarla”. Id, Decidere in dialogo con le macchine. La sfida della giurisprudenza contemporanea, in SMART. La persona e l’infosfera, U. Salanitro (a cura di), 2022, passim.
[13] Peraltro in merito alla differenza tra il mero algoritmo che l’uomo inserisce nella macchina ed i sistemi di IA appare rilevante un recente arresto dei giudici di Palazzo Spada (Consiglio di Stato 25 novembre 2021, n. 7891, in Foro Amm., 2021, 11, p. 1721) con il quale è stata posta una netta differenziazione tra la nozione comune e generale di algoritmo che riporta alla mente “semplicemente una sequenza finita di istruzioni, ben definite e non ambigue, così da poter essere eseguite meccanicamente e tali da produrre un determinato risultato” (questa la definizione fornite in prime cure) rispetto ai sistemi di IA. Invero -scrive la giurisprudenza- che la nozione di algoritmo, quando è applicata a sistemi tecnologici, è ineludibilmente collegata al concetto di automazione ossia a sistemi di azione e controllo idonei a ridurre l’intervento umano. Il grado e la frequenza dell’intervento umano dipendono dalla complessità e dall’accuratezza dell’algoritmo che la macchina è chiamata a processare. Cosa diversa è l’intelligenza artificiale. In questo caso l’algoritmo contempla meccanismi di machine learnig e crea un sistema che non si limita solo ad applicare le regole sofware e i parametri preimpostati (come fa invece l’algoritmo “tradizionale”), ma, al contrario, elabora costantemente nuovi criteri di inferenza tra dati e assume decisioni efficienti sulla base di tali elaborazioni, secondo un processo di apprendimento automatico. Di talchè la centralità dell’uomo non mai in discussione con la creazione degli algoritmi, ma si deve ben discernere la differenza tra machine learning che comunque generano il proprio percorso robotico da algoritmi ed il mero algoritmo che rappresenta solo un’istruzione alla macchina anche con una reazione.
[14] L’immaterialità e l’a-territorialità, quali caratteristiche tipiche della rete, hanno generato, sin dagli albori della sua diffusione, un’ampia analisi giuridica. In argomento si vedano: R. Carleo, Piattaforme digitali e contratto, in European Journal of Privacy Law & Technologies, 2022, passim; A. Manganelli, Piattaforme digitali e social network, fra pluralità degli ordinamenti, pluralismo informativo e potere di mercato, in Giur. Cost., 2023 p. 883 ss.; P.B. Hugenholtz, Codes of Conduct and Copyright Enforcement in Cyberspace, in Copyright Enforcement and the Internet, I.A. Stamatoudi (a cura di), 2010, p. 303 ss., spec. 310; M. Cammarata, Quali leggi per il “territorio Internet”?, in Interlex, 1997. Cfr. anche V. De Rosa, La formazione di regole giuridiche per il “cyberspazio”, in Dir. inform., 2003, p. 361; M.R. Ferrarese, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari, 2006, passim. Sulla de-territorializzazione del diritto nell’era digitale si veda G. Pascuzzi, Il diritto dell’era digitale, Bologna, 2006, p. 185 ss. Rilevanti criticità emergono nell’ambito del diritto internazionale privato e processuale, con riferimento sia alla legge applicabile ed alla giurisdizione cfr. al riguardo F. Galgano, Lex mercatoria, 2016, passim; P. Cerina, Il problema della legge applicabile e della giurisdizione, in I problemi giuridici di Internet, E. Tosi (a cura di), 2003, p. 651 e ss.; S. Bariatti, La competence internationale et le droit applicable au contentieux du commerce electronique, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2002, p. 19 e ss.
[15] F. Cafaggi, Proibire, permettere, persuadere. Appunti di viaggio nella regolazione contemporanea, in Merc. conc. reg., 2022, p. 495.
[16] Sul punto sia consentito il rinvio a R. Bocchini, La responsabilità civile degli intermediari del commercio elettronico. Contributo allo studio dell’illecito plurisoggettivo permanente, Napoli, 2003; in argomento si vedano, altresì, F. Piraino, La responsabilità dei prestatori di servizi di condivisione di contenuti online, in Nuove leggi civ. comm., 2023, p. 146 ss.; S. Scola, Digital Services Act: occasioni mancate e prospettive future nella recente proposta di regolamento europeo per il mercato unico dei servizi digitali, in Contr. impr./ Eur., 2022, p. 127 ss.; F. Bravo, La responsabilità civile degli Internet service provider, in La responsabilità di impresa, a cura di G. Alpa-G. Conte, Milano, 2015, p. 745 ss.; M. Tescaro, Una proposta ricostruttiva contrastante con il diritto vivente in tema di responsabilità civile dell’internet provider nel diritto italiano tra direttiva 2000/31CE, regolamento UE 2016/679 e direttiva UE 2019/790, in Jus civile, 2020, p. 102 ss.
[17] Sul punto v. A Bellelli, Soft law e co-regolazione, cit., p. 51; N. Lipari, La formazione negoziale del diritto, in Riv. dir. civ., 1987, I, p. 307 ss.; G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, 1992; P. Zatti (a cura di), Le fonti di autodisciplina, Atti del Convegno tenutosi a Padova nei giorni 12-13 maggio 1995, Padova, 1996; A. Scotti, I codici di condotta tra mercato, impresa e contratto, Milano, 2020; E. Bargelli, V. Calderai, A Contract Law for the Age of Digital Platforms?, Pisa, 2022.
[18] In argomento si veda N. Abriani, G. Schneider, Diritto delle imprese e intelligenza artificiale. Dalla Fintech alla Corptech, Bologna, 2021, cit. Gli Autori approfondiscono l’incidenza dell’intelligenza artificiale sulla vita delle imprese, analizzando altresì la normativa europea e si interrogano sul ruolo che il diritto è chiamato a svolgere onde evitare di cedere ad una “sudditanza delle imprese ai codici algoritmici”.
[19] U. Ruffolo, A. Amidei, Intelligenza artificiale e diritto – intelligenza artificiale e diritti della persona: le frontiere del “transumanesimo”, in Giur. It., 2019, p. 1657.
[20] S. Orlando, Regole di immissione sul mercato e «pratiche di intelligenza artificiale» vietate nella proposta di Artificial Intelligence Act, in Persona e Mercato, 2022, pp. 346-367, e in particolare p. 359 laddove afferma che: «il riconoscimento delle emozioni, la categorizzazione biometrica e il deep fake: sono tre strumenti potentissimi del cosiddetto neuromarketing e i relativi sistemi di IA non stanno generalmente né tra le tecnologie sottoposte al divieto dell’art. 5 né tra quelle “ad alto rischio”»; Id., Per un sindacato di liceità del consenso privacy, in Persona e Mercato, 2022, p. 537.
[21] F. Cafaggi, op. cit., p. 497.
[22] Sul punto, per tutti, si rinvia agli studi ed insegnamenti di G. Calabresi. In luogo di tanti altri v. G. Calabresi, Il futuro dell’analisi economica del diritto, in Soc. dir., Milano, 1990, p. 10 ss.
[23] Corte Giust. UE, 27 aprile 2023, C-686\21.
[24] Corte Giust. UE, 2 aprile 2020, C-329/19, con nota di F. Trubiani, Applicabilità delle tutele consumeristiche al condominio: (nonostante l’intervento della Corte di Giustizia Ue) un dubbio ancora da sciogliere, in Resp. civ. prev., 2020, p. 1502. Sul punto si veda anche la più recente pronuncia Corte Giust. UE 27 ottobre 2022, C-485/2021.
[25] Tra le altre v. Cass., 9 novembre 2017, n. 26557, in Onelegale; Cass., 29 settembre 2017, n. 22856, in Dir. giust., 2017, con nota di Morello; Cass. civ., 21 febbraio 2017, n. 4436, in Guida dir., 2017, f. 19, 68; Cass., 29 dicembre 2016, n. 27352, in Giust. civ. Mass., 2017; Cass., 29 gennaio 2016, n. 1674, ibidem; Cass., 6 agosto 2015, n. 16562, in Arch. loc., 2016, 1, 59; Cass., 22 maggio 2015, n. 10679, in Giust. civ. Mass., 2016. Cass., 8 febbraio 2005, n. 2543 (ord.), in Foro it., 2005, I, 2741 ss., con nota redazionale di Al. Palmieri; Cass. civ., 12 gennaio 2005, n. 452 (ord.), ibidem. V. pure Trib. Ravenna, 27 settembre 2017, ibidem; Trib. Cagliari, 19 giugno 2014, n. 1890, in Riv. Giur. sarda, 2015, 123 ss., con nota di Baciucco, Il condominio e la figura del consumatore; Trib. Reggio Emilia, 6 marzo 2008, ibidem: App. Catania, 26 febbraio 2008, ibidem; Trib. Genova, 6 novembre 2007, ibidem; Trib. Monza, 28 giugno 2007, ibidem; Trib. Milano, 20 novembre 2004 (ord.), in Corr. merito, 2005, p.135; Trib. Modena, 20 ottobre 2004, in Arch. loc., 2005, p. 62; Trib. Pescara, 28 febbraio 2003, in Pluris; Trib. Bologna, 3 ottobre 2000, in Corr. giur., 2002, p. 525 ss., con nota di Conti, Lo status di consumatore alla ricerca di un foro esclusivo e di una stabile identificazione, ivi, 532 ss.
[26] Assai critico su tale ambigua nozione, per tutti, A. Gambaro, La proprietà, I, Beni, proprietà e comunione, Milano, 2017, p. 270, il quale, nell’analisi alla teoria del condominio come « ente di gestione » sembra enfatizzare l’inutilità di soggettivazione tale disciplina.
[27] V. tra le tante Cass. civ., 22 maggio 2015, n. 10679. Critica in dottrina G. Cerdonio Chiaramonte, Tutela consumeristica e parte soggettivamente complessa, in Riv. dir. civ., 2019, p. 32, che critica la regola della « prevalenza » poiché « vi è, infatti, una distanza incolmabile tra l’ipotesi in cui un unico soggetto destini un bene contemporaneamente ad uno uso personale e ad un uso professionale, e il caso in cui invece, tra più soggetti che utilizzano il bene, alcuni lo facciano per scopi personali e altri per scopi professionali, incolmabilità che deriva dalla circostanza che l’applicabilità della disciplina di tutela del consumatore è espressamente collegata agli scopi del singolo soggetto, per cui in caso di parte plurisoggettiva non potrebbe giustificarsi una sua applicazione a quello dei componenti della parte che non sia qualificabile come consumatore, così come non potrebbe ammettersene una disapplicazione nei confronti del componente che rivesta invece tale qualità. Una soluzione differente sarebbe ipotizzabile solo ove si muovesse da una configurazione unitaria della comunità condominiale, ma come si è già accennato resterebbe sempre da superare l’ostacolo consistente nella limitazione della nozione di consumatore alla sola “persona fisica” ».
[28] G. Pascuzzi, Il diritto nell’era digitale, Bologna, 2002, p. 16, secondo cui al giurista spetta il compito di «cercare di capire se l’eventuale emersione di nuove regole in ragione dell’avvento delle tecnologie informatiche coincida con l’emersione di tratti caratteristici che possano indurre a parlare di: diritto dell’era digitale».
[29] Sul punto si veda, A. Gentili, Crisi delle categorie e crisi degli interpreti, in Riv. dir. civ., 2021, p. 633, il quale approfondisce la crisi delle categorie giuridiche tradizionali e le dottrine c.d. “nuoviste”, rilevando che ad interrogarsi per primo se, a fronte del progressivo pluralismo dei valori, i giuristi potessero ancora praticare la dogmatica, era stato U. Meyer Cording, Kann der Jurist heute noch Dogmatiker sein?, Tübingen, 1973, passim. L’Autore conclude rilevando l’inadeguatezza dell’aggettivo “nuovista” – che egli stesso per brevità utilizza – attribuito alle tesi dei fautori del ripudio delle categorie e della conversione ad un approccio ispirato ai valori condivisi, in quanto la denuncia dell’invecchiamento delle categorie in vista di una diversa assiologia ha un’ispirazione «anche più vecchia delle categorie che rifiuta». A conferma C. Schmitt («noi ripensiamo i concetti [ma avrebbe potuto dire: “le categorie”] giuridici (…) noi vogliamo essere dalla parte del futuro») in uno scritto sul pensiero giuridico nazionalsocialista: C. Schmitt, Nationalsozialistisches Rechtsdenken, in Deutsches Recht, 1934, p. 225 ss. Del tramonto delle categorie civilistiche trattano altresì: N. Irti, La crisi della fattispecie, in R. trim. d. proc. civ., 2014, p. 36 ss.; Id., Calcolabilità weberiana e crisi della fattispecie, in Riv. dir. civ., 2014, p. 987 ss.; Id., Un diritto incalcolabile, ivi, 2015, p. 11 ss.; U. Vincenti, Diritto senza identità. La crisi delle categorie giuridiche tradizionali, Roma-Bari 2007, p. IX; A. Guarneri, Le categorie ordinanti del diritto civile (a proposito di Rodolfo Sacco, Il fatto, l’atto, il negozio), in Riv. dir. civ., 2007, II, p. 547 ss., p. 548-549; e in N. Irti, Le categorie giuridiche della globalizzazione, ivi, 2002, p. 625. Di crisi parla anche P. Grossi, Ritorno al diritto, Roma-Bari, 2015, p. IX ss., p. 28-32. In prospettiva processualcivilistica v. E. D’Alessandro, L’oggetto del giudizio di cognizione tra crisi delle categorie del diritto civile e evoluzioni del diritto processuale, Torino, 2016, passim. Limitatamente al segmento dei mercati finanziari v. R. Di Raimo, Categorie della crisi economica e crisi delle categorie civilistiche. Il consenso e il contratto nei mercati finanziari derivati, in Giust. civ., 2014, p. 1095 ss.
[30] V., in tal senso, A. Gentili, op. cit., p. 648, il quale confuta la tesi secondo cui la giurisprudenza che chiamiamo “creativa” produrrebbe un diritto (“vivente”) che smentisce il diritto basato sulle categorie tradizionali (“vigente”), sulla base della considerazione che «in un sistema di diritto legislativo “giurisprudenza creativa” è un ossimoro: se è giurisdizione non è creativa, se è creativa non è giurisdizione». Sul punto vd. altresì F. Roselli, Sentenze creative?, in Ritorno al diritto, 2005, p. 13 ss.; L. Ferrajoli, Contro il creazionismo giudiziario, Modena 2018, p. 14; R. Guastini, La sintassi del diritto, Torino, 2011, p. 459-468; N. Lipari, Le categorie del diritto civile, 2013, Milano, p. 141 ss.; M. Pennasilico, Le categorie del diritto civile tra metodo e storia, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1246 ss., in partic. 1255 ss. Lo stesso A. Gentili, Il diritto come discorso, Milano 2013, spec. p. 1 ss., ha riconosciuto che attraverso l’argomentazione i giudici “creano” nuovo diritto, ma sempre «a partire da materiali normativi (disposizioni, siano regole, principi o clausole generali) già presenti nella loro formulazione linguistica nel dettato legale, e in modo con essi compatibile». Questa, secondo la sua opinione, è “creazione” solo per modo di dire: la vera (e cattiva) creazione si ha quando la norma nuova escogitata è contra legem. Viceversa, R. Guastini, Interpretare e argomentare, cit., p. 29, sostiene che ogni nuovo corso interpretativo ha qualcosa di “creativo”: «(…) altre volte – interpretazione creativa, o interpretazione-creazione – la decisione interpretativa consiste nell’attribuire ad un testo un significato “nuovo”, non compreso tra quelli identificati o identificabili in sede di interpretazione cognitiva».
[31] A. Gentili, op. cit., 652-653; v. anche G. Alpa, I contratti speciali nel loro excursus storico. Appunti e considerazioni, corso straordinario “Il contratto o i contratti?” organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura in collaborazione con l’Accademia Nazionale dei Lincei, 2021.
[32] A.M. Benedetti, La categoria «contratto» tra unicità e molteplicità, corso straordinario “Il contratto o i contratti?” organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura in collaborazione con l’Accademia Nazionale dei Lincei, 2021, p. 1; in argomento, si veda anche F.D. Busnelli, Quale futuro per le categorie del diritto civile?, in Riv. dir. civ., 2015, p. 1 ss.
[33] P. Rescigno-G. Resta-A. Zoppini, Diritto privato. Una conversazione, Bologna, 2017, p. 25 e 26.
[34] Sul punto A.M. Benedetti, op. cit., p. 7; Id., Contratto e categorie: un paradigma, più discipline, in Pactum, 2022, p. 21; R. Sacco, Il fatto, l’atto, il negozio, Torino, 2005, p. 2, ad opinione del quale il senso delle categorie è quello di costituire i cardini del discorso giuridico, senza cui esso, probabilmente, perderebbe la dignità di scienza e affogherebbe nell’inconoscibile; F. Addis, Argomentazione «per principi» e individuazione della fattispecie a «posteriori», in Nuovo diritto civile, 2022, p. 5 ss.; Id., Il «codice» del consumo, il codice civile e la parte generale del contratto, in Obbl. contr., 2007, p. 872 ss.; M. Orlandi, Introduzione alla logica giuridica. Uno studio di diritto privato, Bologna, 2021, p. 172 ss.
[35] Sul tema si veda V. Roppo, Una parte generale, o due parti generali?, intervento nell’ambito del seminario Il contratto o i contratti?, Accademia dei Lince e dalla Scuola Superiore della magistratura, Roma, 29.11/1.12.2021, p. 9, il quale proprio in relazione all’alluvione normativa di origine euro-unitaria individua nella dottrina lo strumento con il quale iniziare a regolare i contratti asimmetrici utilizzano con maggiore consapevolezza lo strumento dell’analogia.
[36] G. D’Amico, Il Contratto o i contratti, corso straordinario “Il contratto o i contratti?” organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura in collaborazione con l’Accademia Nazionale dei Lincei, 2021, 14.
[37] Sul punto sempre attuali sembrano le considerazioni di R. Nicolò, Attuale evoluzione del diritto civile, in Temi romana, 1965, p. 27 ss. ora in Id., Raccolta di scritti, Milano, 1993, p. 17, il quale ritiene che “le categorie giuridiche e i relativi concetti […] non sono valori universali, ma strumenti di conoscenza di una realtà sociale alle quali si devono adeguare e intimamente aderire”.
[38] M. Ainis, L’Autorità Antitrust alla prova dei mercati digitali, in Dir. inf., 2022, p. 2 ss.
[39] Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (legge sull’intelligenza artificiale) e modifica alcuni atti legislativi dell’Unione, COM/2021/206 final, il cui art. 69 rubricato “Codici di condotta” dispone che: “La Commissione e gli Stati membri incoraggiano e agevolano l’elaborazione di codici di condotta intesi a promuovere l’applicazione volontaria ai sistemi di IA diversi dai sistemi di IA ad alto rischio dei requisiti di cui al titolo III, capo 2, sulla base di specifiche tecniche e soluzioni che costituiscono mezzi adeguati per garantire la conformità a tali requisiti alla luce della finalità prevista dei sistemi. La Commissione e il comitato incoraggiano e agevolano l’elaborazione di codici di condotta intesi a promuovere l’applicazione volontaria ai sistemi di IA dei requisiti relativi, ad esempio, alla sostenibilità ambientale, all’accessibilità per le persone con disabilità, alla partecipazione dei portatori di interessi alla progettazione e allo sviluppo dei sistemi di IA e alla diversità dei gruppi che si occupano dello sviluppo sulla base di obiettivi chiari e indicatori chiave di prestazione volti a misurare il conseguimento di tali obiettivi. I codici di condotta possono essere elaborati da singoli fornitori di sistemi di IA o da organizzazioni che li rappresentano o da entrambi, anche con la partecipazione degli utenti e di tutti gli altri portatori di interessi e delle loro organizzazioni rappresentative. I codici di condotta possono riguardare uno o più sistemi di IA tenendo conto della similarità della finalità prevista dei sistemi pertinenti. Nell’incoraggiare e agevolare l’elaborazione di codici di condotta, la Commissione e il comitato tengono conto degli interessi e delle esigenze specifici dei fornitori di piccole dimensioni e delle start-up”.
[40] Emblema di tale logica di tutela del consumatore “ad ogni costo” è la decisione della Corte di Giustizia UE 15 giugno 2023, n. 520 in occasione della quale la corte è stata chiamata a decidere se le parti di un contratto di mutuo bancario, dichiarato nullo in toto, abbiano la facoltà – in applicazione del diritto nazionale che disciplina le conseguenze dell’invalidità cagionata da clausola abusiva – di pretendere dalla controparte somme ulteriori rispetto a quelle versate in esecuzione del contratto e se tale pretesa sia compatibile con la Direttiva 93/13. La Corte ha affermato che il consumatore ha certamente il diritto di richiedere alla banca somme ulteriori, mentre tale diritto non potrebbe mai spettare alla banca. A tal proposito si vedano le riflessioni condotte da F. Macario, L’evoluzione delle categorie (e della dogmatica) del diritto contrattuale e la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Foro it., 2023, c. 46.
[41] Sul punto la bibliografia è sconfinata. Tra gli altri e senza pretesa di completezza v. P. Fabbio, L’abuso di dipendenza economica, Milano, 2006, pp. 521 ss.; A. Musso, La subfornitura, Bologna, 2003, pp. 544 ss.; P. Iamiceli, Le reti di imprese e i contratti di rete, Torino, 2009; G. Colangelo, L’ abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti. Un’analisi economica e comparata, Torino, 2004; M. Libertini, La responsabilità per abuso di dipendenza economica: la fattispecie, in Contr. impr., 2013, p. 14; R. Caso, R. Pardolesi, La nuova disciplina del contratto di subfornitura (industriale): scampolo di fine millennio o prodromo di tempi migliori?, in Riv. dir. priv., 1998, pp. 712 ss.; D. Maffeis, Abuso di dipendenza economica e grave iniquità dell’accordo sui termini di pagamento, in Contr., 2003, pp. 623 ss.; A. Frignani, La subfornitura internazionale. Profili di diritto della concorrenza, in Dir. comm. int., 2000, pp. 683 ss.; F. Macario, Genesi, evoluzione e consolidamento di una nuova clausola generale: il divieto di abuso di dipendenza economica, in Giust. civ., 2016, p. 509; M.S. Spolidoro, Riflessioni critiche sul rapporto tra abuso di posizione dominante e abuso dell’altrui dipendenza economica, in Riv. dir. ind., 1999, p. 202; C. Medici, Abuso di dipendenza economica: la prima volta dell’autorità, in Merc. conc. reg., 2016, pp. 549 ss..;U. Ruffolo, Il contratto di subfornitura nelle attività produttive. Le nuove regole della legge 18 giugno 1998, n. 192: «correzione» della autonomia contrattuale a tutela del subfornitore come professionista debole, in Responsabilità, comunicazione, impresa, Milano, 1998, p. 406; S. Pagliantini, L’abuso di dipendenza economica tra legge speciale e disciplina generale del contratto, in Squilibrio e usura nei contratti, a cura di G. Vettori, Padova, 2002, pp. 455 ss.; V. Bachelet, Abuso di dipendenza economica e squilibrio nei contratti tra imprese. Norma, sistema, tutele, prospettive, Milano, 2020.
[42] G. Oppo, Principi, in Trattato di diritto commerciale, V. Buonocore (diretto da), Torino, 2001, p. 72.
[43] In argomento v. M. Maugeri, Subfornitura e abuso di dipendenza economica: fra diritto civile e diritto della concorrenza, Torino, 2022, Ead., Ddl concorrenza e piattaforme digitali. Brevi considerazioni sulla proposta di modifica della disciplina sull’abuso di dipendenza economica, in Persona e mercato, 2022; V. Falce, Rapporti asimmetrici tra imprese e soluzioni pro-concorrenziali, in Riv. dir. ind., 2021, pp. 189 ss.; S. Scalzini, Dipendenza economica e regolazione «asimmetrica» dell’attività d’impresa. Prime osservazioni sul novellato art. 9 l. n. 192/1998, in Anal. Giur. econ., 2022, p. 563 ss.
[44] Sul punto, e senza pretesa di esaustività, si vedano: S. Mazzamuto, La prospettiva dei rimedi in un sistema di Civil Law: il caso italiano, in Jus Civile, 2019, p. 720 ss.; A. Di Majo, Forme e tecniche di tutela, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti, a cura di S. Mazzamuto, Napoli, 1989, p. 11 ss.; S. Mazzamuto, Problemi e momenti dell’esecuzione in forma specifica, ivi, p. 453 ss.; A. Di Majo, La tutela dei diritti tra diritto sostanziale e diritto processuale, in Riv. dir. civ., 1989, p. 363 ss.; Id., Il linguaggio dei rimedi, in Europa dir. priv., 2005, p. 341 ss.; Id., Rimedi e dintorni, ivi, 2015, p. 703 ss.; U. Mattei, I rimedi, in G. Alpa, M. Graziadei, A. Guarnieri, U. Mattei, P. Monateri, R. Sacco, La parte generale del diritto civile. Il diritto soggettivo, in Tratt. dir. civ., R. Sacco (diretto da), Torino, 2001, p. 105 ss.; D. Messinetti, Sapere complesso e tecniche giuridiche rimediali, in Europa dir. priv., 2005, p. 605 ss.; Id., Processi di formazione della norma e tecniche «rimediali» della tutela giuridica, in Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia. Convegno di studi in onore del prof. Angelo Falzea, V. Scalisi (a cura di), Milano, 2004, p. 209 ss.; S. Mazzamuto, La nozione di rimedio nel diritto continentale, in Europa dir. priv., 2007, p. 585 ss.; S. Mazzamuto, A. Plaia, I rimedi nel diritto privato europeo, Torino, 2012; A. Nicolussi, Diritto soggettivo e rapporto giuridico. Cenni di teoria generale tra diritto privato e diritto pubblico, in Europa dir. priv., 2014, p. 1211 ss.; L. Nivarra, Rimedi: un nuovo ordine del discorso civilistico?, ivi, 2015, p. 583 ss.; V. Scalisi, Lineamenti di una teoria assiologica dei rimedi giuridici, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti. Omaggio a Salvatore Mazzamuto a trent’anni dal convegno palermitano, G. Grisi (a cura di), Napoli, 2019, p. 149 ss.; M. Barcellona, L’ottica rimediale e la morte della legge, ivi, p. 681 ss.; C. Castronovo, Spigolature da Processo e tecniche di attuazione dei diritti, ivi, p. 711; A. Di Majo, Il linguaggio dei rimedi, in Eur. dir. priv., 2005, p. 341 ss.; F. Piraino, Adempimento e responsabilità contrattuale, Napoli, 2011, p. 154 ss.; Id, Alcune osservazioni in tema di rimedi, in Riv. dir. ec. trasp. amb., 2010, pp. 35 ss.
[45] M. Nuzzo, Il problema della prevedibilità delle decisioni: calcolo giuridico secondo i precedenti, in Calcolabilità giuridica, A. Carleo (a cura di), Bologna, 2017, p. 137; N. Irti, Per un dialogo sulla calcolabilità giuridica, ivi, p. 17.
[46] P. Perlingieri, Relazione conclusiva, in C. Perlingieri – L. Ruggeri (a cura di), Internet e diritto civile, Napoli, 2014, p. 417 ss.
[47] Spunti in tal senso si rinvengono in F. Trubiani, I soggetti giuridici del contratto digitale, in Manuale di diritto privato dell’informatica, a cura di R. Bocchini, Napoli, 2023, p. 270 ss.
[48] Così L. Ammannati, Il paradigma del consumatore nell’era digitale. Consumatore digitale o digitalizzazione del consumatore?, in Liber Amicorum Guido Alpa, (a cura di) F. Capriglione, Padova, 2019, p. 436.
[49] A. Bradford, The Brussels Effect: How the European Union rules the world, Oxford, 2020.
[50] Si fa riferimento alla Dichiarazione sottoscritta in occasione dell’AI Safety Summit, tenutosi a Bletchley Park, nel Buckinghamshire, nelle giornate del 1 e 2 novembre 2023. Si tratta di un accordo con il quale i 28 Paesi firmatari si sono impegnati a collaborare per garantire uno sviluppo sicuro dell’intelligenza artificiale. Il testo completo è consultabile sul sito https://www.gov.uk/government/publications/ai-safety-summit-2023-the-bletchley-declaration/the-bletchley-declaration-by-countries-attending-the-ai-safety-summit-1-2-november-2023.
[51] Il 30 ottobre 2023 il Presidente USA Joe Biden ha rilasciato l’ordine esecutivo n. 14110 “Safe, Secure, and Trustworthy Development ad Use of Artificial Intelligence” – consultabile sul sito https://www.whitehouse.gov/briefing-room/presidential-actions/2023/10/30/executive-order-on-the-safe-secure-and-trustworthy-development-and-use-of-artificial-intelligence/ – che si aggiunge alla strategia nazionale in materia di IA costituita dall’ordine esecutivo n. 13859, integrato dall’ulteriore ordine esecutivo n. 13960 unitamente alla c.d. “American AI Initiative” ed alla recente Carta dei diritti in materia di I.A. c.d. “AI Bill of Rights”. Con l’ordine menzionato il presidente Biden ha cercato di operare un bilanciamento tra l’esigenza di controllo dell’intelligenza artificiale, onde assicurarne uno sviluppo sicuro, e la necessità di non ostacolare l’innovazione delle imprese della Silicon Valley.
[52] Gli Stati Uniti mirano a consolidare questa leadership dando un impulso alla ricerca sulle intelligenze artificiali ampliando i finanziamenti aiutando anche le piccole realtà imprenditoriali a tradurre in prodotti commerciali le innovazioni nel campo dell’intelligenza artificiale e quindi attraverso un approccio di sviluppo su sostenibile di tale tecnologia creare ricchezza attraverso questi nuovi sistemi tecnologici.
[53] Per dirla con le parole di R. Orestano, Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna, 1987, p. 568, attraverso l’impiego delle categorie il giurista è in grado di promuovere “un’indagine rivolta non solo a ricercare dietro i concetti la vita, ma pure la storicità dei concetti stessi e le loro connessioni con la vita che attraverso di essi si esprime”.
[54] Sul punto v. gli insegnamenti di L. Mengoni, voce Dogmatica giuridica, in Enc. giur., XV, Roma, 1989 p. 4 ss.; Id., Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. 74.
[55] Il simbolo del Terzo Paradiso, riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, è composto da tre cerchi consecutivi. I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità.
[56] S. Pugliatti, La logica e i concetti giuridici, originariamente in Riv. dir. comm., 1941, I, p. 197.