I provvedimenti giudiziali in esame testimoniano come la vicenda giurisprudenziale, ancora per molti profili controversa, dell’anatocismo bancario, al pari della vicenda normativa, risulti oscillare tra ragioni di tutela del cliente bancario ed esigenze di salvaguardia della funzionalità del mercato, e più in generale, tra principio di buona fede e principio di ragionevolezza. Sembra senz’altro da condividere lo sforzo compiuto dalla nostra giurisprudenza di offrire tutela al contraente debole, tenuto conto che i rapporti tra banca e cliente, sono sostanzialmente rapporti asimmetrici. Si rileva, piuttosto, criticamente, che la giurisprudenza in questo caso vi abbia provveduto percorrendo una strada che non le ha consentito sempre di prendere in considerazione gli interessi del contraente forte, sebbene in una prospettiva necessaria di riequilibrio delle posizioni delle parti, tenendo, peraltro, conto che non è possibile sovrapporre la figura del cliente bancario a quella del consumatore anche in considerazione della specifica natura dell’attività bancaria e dei consequenziali e distintivi profili disciplinari di tutela del contraente debole.
The judicial measures under review show how the jurisprudential vicissitudes of bank compounding, which are still controversial in many respects, seem to oscillate, as does the regulatory vicissitudes, between reasons of protecting bank customers and the need to safeguard the functioning of the market, and more generally between the principle of good faith and the principle of reasonableness. The effort of our jurisprudence to offer protection to the weaker party, taking into account the fact that the relationship between bank and customer is essentially asymmetrical, seems to be certainly shared. Rather, it is critically noted that the jurisprudence in this case has provided it by taking a path that has not always allowed it to take into consideration the interests of the strong contractor, albeit in a necessary perspective of rebalancing the positions of the parties, taking into account, moreover, that it is not possible to overlap the figure of the bank customer with that of the consumer also in view of the specific nature of banking activity and the consequential and distinctive disciplinary profiles of protection of the weak contractor.
Cass., ord. 15 marzo 2024, n. 6983
L’onere della prova del correntista che agisce per la ripetizione di somme indebitamente corrisposte all’istituto di credito può essere assolto anche attraverso la integrazione di una consulenza tecnico contabile che sulla base della elaborazione dei dati estraibili dalla documentazione presente in atti, in mancanza di diversi indici normativi, sia in grado di rideterminare il saldo del conto per il quale si agisce in giudizio.
Cass., sent. 30 luglio 2024, n. 21344
In tema di contratti bancari, l’art. 120, comma 2, t.u.b., come sostituito dall’art. 1, comma 628, L. n. 147 del 2013, fa divieto di applicazione dell’anatocismo a far data dal 1 dicembre 2014 e tale prescrizione è da ritenersi operante indipendentemente dall’adozione, da parte del CICR, della delibera, prevista da tale norma, circa le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”.
1. L’anatocismo bancario fra diritto e processo: Cassazione 30 luglio 2024, n. 21344 e Cass., Ord., 15 marzo 2024, n. 6983 - 2. La svolta innovativa della giurisprudenza nel marzo 1999 e la normativa speciale del c.d. anatocismo bancario. La questione problematica della disciplina dei rapporti pregressi - 3. La nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale nei rapporti pregressi come nullità virtuale di protezione - 4. La nullità testuale di protezione e l’art. 120, comma 2, T.U.B., come modificato dalla legge di stabilità del 2014 e dalla normativa ad essa successiva. Brevi riflessioni sulla sentenza considerata - 5. La ripetizione di “pagamenti” indebiti a titolo di interessi anatocistici - 6. Onere della prova del correntista in ripetizione. Considerazioni conclusive in margine alla Ordinanza esaminata - NOTE
Lo studio complessivo dell’anatocismo bancario induce a prendere in considerazione, fra le altre, due recentissime decisioni della Corte Suprema. Esse si caratterizzano, fra l’altro, per due differenti prospettive. Nell’una prevalgono temi processuali, laddove la problematica sostanziale in tema di anatocismo costituisce lo sfondo. Questa, invece, è materia esaminata funditus dalla più recente decisione, n. 21344, del 30 luglio scorso. Nel quadro evolutivo di una giurisprudenza che si è andata man mano consolidando e affinando sugli oneri di allegazione e di prova dell’istituto bancario e del correntista nel contenzioso bancario, l’Ordinanza n. 6983 del 2024, con specifico riferimento al contenuto dell’onere della prova del correntista che agisce per la ripetizione di somme a vario titolo indebitamente corrisposte alla banca, aderisce all’orientamento interpretativo per cui la prova del pagamento suscettibile di ripetizione può essere offerta non solo dagli estratti conto che il correntista in ripetizione ha l’onere di esibire, ma può altresì desumersi aliunde, vale a dire attraverso le risultanze di altri mezzi di prova in grado di fornire indicazioni certe e complete, ed anche ricorrendo all’ausilio di una consulenza d’ufficio. Essa, in effetti, si colloca, altresì, nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata sulla illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi in conto corrente, c.d. anatocismo bancario [1] nei rapporti instaurati prima della entrata in vigore della disciplina dettata dal d.lgs. n. 342 del 1999 [2] e dalla delibera attuativa del Cicr del 9 febbraio del 2000 [3], e inoltre nel tracciato di una giurisprudenza altrettanto consolidata sulla illegittima applicazione delle commissioni di massimo scoperto perché non pattuite, per mancanza di causa o indeterminatezza dell’oggetto, in un periodo antecedente alla adozione di alcuni interventi normativi che ne hanno progressivamente circoscritto l’ambito di liceità, fissandone condizioni e limiti e modificandone correlativamente la denominazione [4]. L’Ordinanza in questione particolarmente rileva, peraltro, non solo per i principi di diritto in essa enunciati in merito all’assolvimento dell’onere probatorio del correntista, attore in ripetizione, confermando l’indirizzo che rappresenta la fase più evoluta dell’orientamento interpretativo sul tema, ma anche per le questioni di carattere sostanziale che necessariamente investe. Queste ultime, infatti, a fronte di posizioni ormai consolidate, continuano ad essere al centro di un importante e vivace dibattito, probabilmente, non a caso, incentrato in prevalenza su profili di carattere processuale. Così, per quanta riguarda la gestione dei c.d. rapporti pregressi – nel senso noto per la materia, ma che meglio si chiarirà a breve –, la partita tra banca e cliente ha continuato a giocarsi proprio su questo piano, dove si rileva l’avvicendarsi di indirizzi giurisprudenziali riguardanti, in particolare, l’onere delle allegazioni, l’onere della prova, la consulenza tecnico contabile. Si tratta di uno scenario interpretativo complesso, segnato da pronunce della giurisprudenza di merito non sempre conformi a quelle della giurisprudenza di legittimità, da indirizzi divergenti di quest’ultima, e da alcuni interventi del Supremo Collegio, nella sua espressione nomofilattica, ove emerge la sensazione che si è inteso trasferire sul terreno processuale, anche attraverso la ricognizione di istituti classici del sistema processualcivilistico, la questione sostanziale della salvaguardia dell’equilibrio normativo ed economico del rapporto tra banca e cliente, con soluzioni che talvolta, anche allargando le maglie del diritto scritto, appaiono chiaramente tese nella direzione esclusiva della protezione del correntista, quale parte debole del rapporto contrattuale, e in altri casi risultano effettivamente dettate da una “neutrale” applicazione delle regole del processo, sebbene nell’ambito di una condivisibile e costante evoluzione interpretativa delle stesse, realizzando di fatto un equilibrato compromesso di tutti gli interessi in gioco. L’Ordinanza considerata si colloca tra queste ultime. Tuttavia, se è vero che una data applicazione delle disposizioni di rito diventa strumento per la realizzazione dell’obiettivo, così tenacemente perseguito dalla giurisprudenza, sin dalla primavera del ’99, quello, cioè, della tutela “a tutti i costi” del cliente bancario, ovvero di quello, presumibilmente più recente nell’applicazione giurisprudenziale della materia, di garanzia della funzionalità del mercato, si comprende come gli orientamenti interpretativi che si sono nel tempo formati su questioni di carattere processuale non costituiscono in via esclusiva la cornice in cui si stagliano quelle di natura sostanziale, ma acquistano un rilevo vieppiù pregnante, almeno, ma non solo, per quanto riguarda la gestione del c.d. pregresso, a cui la Ordinanza in questione fa riferimento. Essi, in definitiva, possono risultare espressivi di tendenze che si pongono in linea di continuità ovvero di rottura rispetto a quella emergente alla fine del secolo scorso che, si ritiene, abbia indirettamente influenzato anche la peculiare evoluzione normativa che ha interessato la materia. A taluni profili sostanziali di quest’ultima sono, in vero, dedicate le ampie considerazioni contenute nella menzionata sentenza n. 21344 del 30 luglio 2024 [5]. Questa, in particolare, interviene sulla vexata quaestio della introduzione e operatività del divieto di anatocismo ad opera dell’art. 120, co. 2, TUB, così come modificato dall’art. 1, comma 629, legge di stabilità del 2014; una pronuncia, pertanto, che, recependo l’indirizzo reputato prevalente, sembra voler dare una soluzione definitiva ai dubbi interpretativi sollevati dalla menzionata disposizione. Essa, infatti, fa riferimento ad un regime normativo diverso da quello sotto il quale cadono i rapporti bancari considerati nella Ordinanza precedentemente riferita, ferma restando l’operatività delle medesime regole di carattere sostanziale per quanto riguarda il rimedio della ripetizione dell’indebito di somme illegittimamente corrisposte a titolo di interessi anatocistici e di quelle di carattere processuale. Anche tenendo conto delle conclusioni cui pervengono i giudici di merito, poi cassate dalla Corte Suprema, tale precedente risulta esemplare della intera vicenda giurisprudenziale dell’anatocismo bancario, perché, come questa, e al pari della vicenda normativa, risulta oscillare tra ragioni di tutela del cliente bancario ed esigenze di salvaguardia della funzionalità del mercato, e più in generale, tra principio di buona fede e principio di ragionevolezza [6]. In generale, sin da subito è possibile affermare come sia senz’altro da condividere lo sforzo compiuto dalla nostra giurisprudenza di offrire tutela al contraente debole, tenuto conto che i rapporti tra banca e cliente, sono senz’altro e sostanzialmente rapporti asimmetrici. Si rileva, piuttosto, criticamente, che la giurisprudenza in questo caso vi abbia provveduto percorrendo una strada che non le ha consentito sempre di prendere in considerazione gli interessi del contraente forte, sebbene in una prospettiva necessaria di riequilibrio delle posizioni delle parti, tenendo, peraltro, conto che, come è stato affermato [7], non è possibile sovrapporre la figura del cliente bancario a quella del consumatore anche in considerazione della specifica natura dell’attività bancaria e dei consequenziali e distintivi profili disciplinari di tutela del contraente debole.
Dal punto di vista sostanziale, il quadro normativo in cui si svolge la vicenda che ha dato luogo all’Ordinanza considerata è, innanzitutto, rappresentato dalla norma dell’art. 1283 c.c.; alla sua disciplina e, in specie, al suo incipit “salvo usi contrari”, la giurisprudenza ha fatto riferimento per ammettere, prima, e per negare, poi, la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi in conto corrente [8]. In particolare, la giurisprudenza anteriore alla svolta innovativa realizzatasi alla fine del secolo scorso, era pervenuta ad una operazione interpretativa dell’art. 1283 del codice civile, in base a cui si era ritenuto pacificamente di considerare ammissibili le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi a favore delle banche, perché considerate conformi ad un uso normativo, ritenuto anteriore all’emanazione del codice civile del ’42 [9]; e ciò anche quando i contenuti dei testi contrattuali evidenziavano, già a prima vista, una significativa sperequazione fra le posizioni dei contraenti, non sempre giustificate da esigenze di tutela del mercato e di salvaguardia del credito. Il medesimo testo normativo, però, consentiva alla giurisprudenza del nuovo corso di pervenire a soluzioni opposte a quelle fissate nelle decisioni anteriori. Si vuole chiaramente fare riferimento al ben noto (nella materia) revirement della Cassazione della primavera del ’99, con cui la Suprema Corte, mutando, secondo la tecnica dell’overruling, il proprio consolidato indirizzo, dichiarava nulle le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (per il cliente) inserite nei contratti bancari, negando l’esistenza di un uso normativo che le legittimasse, rectius negando che un uso di tale specie fosse mai esistito. Se ne affermava in tal modo la derivazione dalle Norme bancarie uniformi diramate dall’ABI nel 1952, in quanto comprese, sotto veste di condizioni generali di contratto, nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità con le direttive delle associazioni di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale, la cui sottoscrizione costituiva il presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari. “Atteggiamento ben lontano da quella spontanea adesione ad un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l’opinio iuris ac necessitatis, se non altro per la evidente disparità di trattamento che la clausola stessa introduce tra interessi dovuti dalla banca e interessi dovuti dal cliente” [10]. L’iter logico-argomentativo seguito dalla giurisprudenza appena richiamata ha ricevuto anche il suggello delle Sezioni Unite [11] che nel 2004, chiamate a pronunciarsi su una questione di massima di particolare importanza, lo arricchiscono di alcune considerazioni volte sostanzialmente a contraddire la peculiarità dei motivi del ricorso della banca ricorrente, pure condivisi da un diffuso orientamento della giurisprudenza di merito e dottrinale [12]. Così, esse innanzitutto ridimensionano il ruolo della evoluzione normativa prodottasi negli anni ’90 [13] che recepiva istanze, ormai conclamate, di tutela della parte debole del rapporto contrattuale, e che nella vicenda de qua, avrebbe avuto solo la funzione di determinare la ribellione del cliente, accolta e consacrata dal revirement giurisprudenziale; ma ciò che più rileva ai fini che qui occupa, è che esse, partendo dalla attribuzione di un significato meramente svalutativo della giurisprudenza anteriore a quella del nuovo corso (solo dieci tralaticie sentenze nell’arco di un ventennio), escludono che la stessa, nella funzione soltanto ricognitiva e giammai creativa della regola giuridica, potesse essere stata mezzo di fondazione del predicato uso normativo, e ciò sulla base della apodittica affermazione per cui “in presenza di una ricognizione pure reiterata nel tempo, che si dimostri poi però erronea nel presupporre l’esistenza di una regola in realtà insussistente, la ricognizione correttiva [deve] avere una portata naturaliter retroattiva, conseguendone altrimenti la consolidazione medio tempore di una regola che troverebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che erroneamente presupponendola, l’avrebbero con ciò stesso creata” [14]. Ora, a parte i rilievi critici che potevano essere mossi al nuovo indirizzo in merito alla mancanza di usi mercantili di capitalizzazione degli interessi passivi per il cliente, preesistenti alla disciplina codicistica vigente [15], alla esclusione del carattere normativo degli stessi, anche all’epoca in cui sono sorti e in cui si sono consolidati, in ragione della loro dimensione sperequativa [16], alla mancata considerazione della loro peculiare flessibilità [17], nonché alla negazione della incidenza indiretta della giurisprudenza nella formazione della regola consuetudinaria [18], sicuramente di particolare rilevanza sono quelli che si appuntano sulla “portata retroattiva” che questo indirizzo ha inteso attribuirsi, minando chiaramente esigenze di certezza del diritto [19]. Risulta chiaro che questo orientamento giurisprudenziale, come quelli che successivamente si formeranno su questioni diverse, ma strettamente collegate a quelle che lo hanno originato (innanzitutto, la questione attinente alla decorrenza del termine prescrizionale dell’azione di ripetizione di somme indebitamente corrisposte a titolo di interessi anatocistici ovvero di oneri accessori illegittimi), debba essere letto nella prospettiva, condivisibile, della tutela del cliente bancario, risultando contraddistinto da una considerazione degli interessi in gioco e da una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa codicistica [20]; non risulta, però, altrettanto condivisibile nel suo risultato finale relativo alla evidenziata portata retroattiva dello stesso che, sacrificando esigenze di certezza del diritto, ha condotto alla instaurazione di un enorme contenzioso bancario e, in ogni caso, a risultati non pienamente appaganti in ragione dell’obiettivo perseguito. In verità, il revirement giurisprudenziale del ’99, nel suo risultato finale consacrato dalle Sezioni Unite del 2004 e successivamente del 2010 [21], appare il frutto, piuttosto che della rigorosa applicazione di principi dell’ordinamento giuridico, di un evidente restyling di politica del diritto. Come è evidente, si è tenacemente perseguito l’obiettivo di salvaguardare ad ogni costo l’interesse del cliente bancario, anche ribaltando, senza alcun limite a suo favore, il regime del rapporto contrattuale, escludendosi la possibilità di qualsiasi intervento riequilibratore come quello – ad esempio – di sostituire la capitalizzazione trimestrale con quella annuale [22], a fronte di un regime contrattuale che prevedeva siffatta capitalizzazione a favore del cliente [23]. In sostanza, in un mutato contesto etico, sociale, normativo, il cambiamento di rotta della giurisprudenza relativamente alle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi sul saldo passivo del correntista non poteva che essere accolto con favore, tuttavia occorreva individuare una soluzione interpretativa che realizzasse un puntuale bilanciamento dei contrapposti interessi, così da risultare idonea a garantire la funzionalità del mercato, anche mediante l’obiettivo primario di tutela del contraente debole. In questa direzione si pose l’intervento normativo del ’99 (d.gs. n. 342 del 1999), nella parte in cui (art. 25, co.2), prefigurò la introduzione nel nostro ordinamento, anche per il tramite della normativa secondaria di attuazione (delibera del Cicr), di una speciale disciplina della produzione degli interessi sugli interessi nelle operazioni in conto corrente, ancorata al criterio inderogabile della paritetica periodicità degli interessi passivi e attivi ed al rispetto di alcune fondamentali regole di trasparenza. Questa novità normativa non rimase esente da manifestazioni di dissenso [24]; tuttavia, essa fu in generale condivisa [25] e pure letta, secondo una interpretazione che si ritiene convincente, in base all’intento legislativo di affidare alla paritetica periodicità del calcolo degli interessi passivi ed attivi la funzione di ristabilire l’equilibrio delle posizioni contrattuali sotto il profilo della sua alterazione per una clausola negoziale che prevedeva una diversa capitalizzazione periodica degli interessi per la banca e per il cliente [26]. In sostanza, si è trattato di una soluzione normativa che costituiva senz’altro una risposta del legislatore al più volte richiamato cambiamento giurisprudenziale della primavera del ‘99, anche per una esigenza sopravvenuta di riallineamento alla disciplina della materia vigente negli altri ordinamenti degli Stati comunitari [27], a garanzia della libertà di stabilimento e del sistema economico e creditizio interno, sia pure nel rispetto del limite della tutela dell’interesse generale. Sicché proprio rispetto a quest’ultimo, la novella normativa è sembrata rispecchiarne in modo adeguato la evoluzione che si registrava in quegli anni, a livello legislativo e giurisprudenziale, nei rapporti economici, e pure in quelli bancari. Anche qui, infatti l’accennato interesse, un tempo ritenuto coincidente con quello dell’impresa, e più precisamente con quello dell’impresa bancaria, successivamente è stato individuato nel concreto funzionamento del mercato per la cui salvaguardia sarebbe stata necessaria non soltanto la tutela dell’impresa, e, più in generale del professionista, ma altresì quella di altri soggetti del mercato, i consumatori, ad esempio, ciò anche in considerazione della loro indubbia condizione di debolezza economica. Perciò da una identificazione dell’interesse dell’impresa con l’interesse generale, si è passati ad una identificazione dell’interesse generale con quello al corretto funzionamento del mercato. Il nuovo assetto dei rapporti economici richiede la salvaguardia della tutela degli interessi del contraente debole come migliore soluzione per garantire il funzionamento del mercato. Si ritiene, in questo modo, che l’atteggiamento della giurisprudenza della primavera del ’99 e la lettura della disciplina che ne è risultata non erano tese a sanzionare comportamenti abusivi e, pertanto, illeciti delle banche, sulla base di un giudizio soggettivo di riprovevolezza [28], avendo esse piuttosto intercettato e avallato l’orientamento interpretativo e legislativo di recente affermatosi sul nuovo assetto dei rapporti economici. Tuttavia si considera criticamente come il nuovo indirizzo giurisprudenziale, anche con il suggello ricevuto dalle Sezioni Unite del 2004, abbia, nel suo approdo finale, del tutto trascurato le esigenze e gli interessi del ceto creditizio (esigenze di stabilità del sistema bancario, interesse alla tutela del credito, interesse alla tutela del risparmio), per realizzare un equilibrato compromesso di tutti gli interessi in gioco, in definitiva strumentale alla funzionalità del mercato ed alla effettiva tutela del cliente bancario [29]. In ogni caso, come è noto, la delibera del Cicr del 9 febbraio 2000, emanata in attuazione dell’art. 120, co. 2, TUB, stabilì, con specifico riguardo al conto corrente, che nell’Ordinanza esaminata viene specificamente in considerazione, che “1. Nel conto corrente l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità. 2. Nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori. 3. Il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del conto corrente può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”. Essa, inoltre, conteneva delle “disposizioni transitorie” (art. 7) con le quali statuiva l’obbligo delle banche di adeguare i contratti (anche di conto corrente) stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore alle condizioni in essa stabilite entro il 30 giugno 2000, con effetti a decorrere dal 1° luglio, ed altresì la necessità di una approvazione scritta del cliente, quando l’adeguamento avesse comportato un peggioramento di quelle precedentemente adottate, ritenendosi, diversamente, sufficienti, la comunicazione scritta alla clientela entro il termine finale del 21.12.2000 e la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana. Una disciplina questa destinata ad operare pro futuro, non senza contrasti e perplessità, soprattutto avendo riguardo alla disciplina transitoria che è stata ritenuta di non immediata lettura, dando luogo a dubbi interpretativi poi sostanzialmente superati da un orientamento largamente condiviso [30]. Senonché a parte la successiva evoluzione normativa della materia [31], residuava il problema della disciplina dei “rapporti pregressi”, cioè di quei rapporti sorti prima della entrata in vigore della delibera del Cicr del 9 febbraio 2000, sui quali si sono ripercossi gli effetti del revirement giurisprudenziale e, quindi, della declaratoria di nullità della clausola negoziale anatocistica, ovvero della illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi per il cliente in questi rapporti individuabile. D’altro canto, la portata economica di tali effetti si poteva chiaramente desumere in ragione della configurazione del contratto di conto corrente – epicentro del dibattito giurisprudenziale e dottrinale -, quale contratto di durata e della ripetuta portata retroattiva del nuovo diritto vivente [32]. Alla accennata questione problematica anche il legislatore del ‘99 aveva tentato di offrire una soluzione con la norma del comma 3, del già citato art. 25 d.lgs. 342/99, stabilendo la validità e l’efficacia delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi inserite nei contratti stipulati anteriormente alla entrata in vigore della delibera Cicr che aveva previsto le nuove condizioni del c.d. anatocismo bancario. In particolare, la norma stabiliva che “Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide e d efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può esser fatta valere solo dal cliente”. La Consulta, però, ne dichiarò la illegittimità costituzionale, con sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000, per eccesso di delega, pervenendo alla sanzione espulsiva della norma dal sistema giuridico con la ben precisa formula “indipendentemente da ogni considerazione sulla ragionevolezza intrinseca della norma denunciata” [33]. Essa, in particolare, qualificò la citata previsione quale “norma di sanatoria”, escludendo espressamente il suo carattere interpretativo «perché la disposizione, così come strutturata, non si riferisce e non si salda a norme precedenti intervenendo sul significato normativo di queste, dunque, lasciandone intatto il dato testuale ed imponendo una delle possibili opzioni ermeneutiche già ricomprese nell’ambito semantico della legge interpretata. Al contrario, con efficacia innovativa (e in parte anche) retroattiva, essa rende valide ed efficaci, sino alla data di entrata in vigore della deliberazione del Cicr, tutte indistintamente le clausole anatocistiche previste nei contratti bancari già prima della legge delegata, o comunque, stipulate anteriormente all’entrata in vigore della suddetta deliberazione» [34]. Ragionando diversamente, invece, si sarebbe potuti giungere a configurare la disposizione espulsa come una “norma transitoria”, che in una prospettiva di adeguamento comunitario e di continuità tra il nuovo e il vecchio regime, stabiliva la validità ed efficacia delle clausole di capitalizzazione inserite nei contratti stipulati anteriormente alla entrata in vigore della delibera Cicr. Nella codificazione precedente l’anatocismo era consentito nei rapporti di impresa e non per quelli privati; se nella materia in parola il raccordo tra quel sistema ordinamentale (caratterizzato dalla distinzione tra obbligazioni civili e commerciali) e quello del 1942 (con l’unificazione delle due tipologie), è stato assicurato dall’incipit dell’art. 1283 c.c., il coordinamento tra la disciplina codicistica vigente e quella speciale di cui al d.lgs. n. 342 del 1999, poteva essere offerto dalla disposizione censurata dalla Corte costituzionale. Quest’ultima, concepita, appunto, come “norma di transitoria”, avrebbe potuto svolgere la medesima funzione di garanzia del sistema precedentemente svolta dall’art. 1283 c.c., e particolarmente dal suo incipit. Essa avrebbe operato come norma intertemporale che senza ostacolare l’evoluzione interpretativa della disciplina dell’anatocismo nei rapporti bancari tracciata dalla giurisprudenza e di fatto recepita dal legislatore nel comma 2 dello stesso articolo 25 d.lgs. 342/99, si applicava ai rapporti pendenti senza sacrificare esigenze di certezza del diritto e di tutela dell’affidamento che invece, erano state pregiudicate dal revirement del ’99, ed in particolare dalla efficacia retroattiva che esso aveva inteso attribuirsi negando l’esistenza di un pregresso uso normativo di capitalizzazione trimestrale dell’interesse passivo bancario emergente, invece, anche (ma non solo) da un precedente diritto vivente, e ciò indipendentemente dalla problematica che sorge tutte le volte in cui si verifica un mutamento di giurisprudenza consolidata. D’altro canto, la disposizione contenuta nel 3° comma dell’art. 25 del d.lgs. 342/99, probabilmente avrebbe potuto anche essere fatta salva affermandone il carattere interpretativo che, invece, è stato espressamente escluso dalla Corte costituzionale con rilievi, invero, non del tutto condivisibili [35].
Se, infatti, si fosse considerato che la natura di interpretazione autentica di una disposizione non può certamente dedursi in via esclusiva dal suo tenore letterale, ma deve piuttosto argomentarsi dal modo in cui sostanzialmente la nuova disposizione si colloca accanto alla precedente di cui fissa il contenuto normativo, tale ruolo non può escludersi che possa avere avuto la disposizione in questione con la quale il legislatore avrebbe inteso salvaguardare l’unitarietà del sistema, pur non escludendone la auspicata innovazione come corrispondente ad una più equa regolamentazione del rapporto fra impresa bancaria e clienti. Risulta evidente, allora, come l’intervento correttivo della Corte costituzionale del 2000, abbia lasciato aperto lo spazio del trattamento giuridico delle clausole anatocistiche per i rapporti instaurati prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 342/1999 e della sua delibera di attuazione. In sostanza, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 25, co.3, d.lgs. 342/1999, è residuato, sul piano intertemporale il problema della disciplina transitoria dei rapporti pendenti.
Ne è derivato, pertanto, che la gestione dei c.d. rapporti pregressi è stata collocata sotto l’egida della norma imperativa dell’art. 1283 c.c., per cui, fermo restando la inutilizzabilità dell’incipit della norma richiamata, quale effetto dei nuovi approdi interpretativi, le clausole negoziali anatocistiche contenute nei contratti bancari anteriormente alla entrata in vigore dell’art. 25, co. 2, d.lgs. 342/1999 e della delibera Cicr di attuazione, essendo basate su di un uso negoziale anziché normativo, dovevano considerarsi nulle, in quanto in contrasto con il disposto della norma richiamata, e altresì dovevano considerarsi illegittimi gli addebiti effettuati a tale titolo nei rapporti di conto corrente. Al di là degli indirizzi interpretativi che, almeno secondo una data prospettiva, hanno tentato di “ridefinire” la rotta dei nuovo orientamenti giurisprudenziali nella direzione della garanzia della parità delle posizioni contrattuali, utilizzando criteri sostanzialmente equitativi [36] e, al di là delle posizioni dottrinali che sin dall’implementazione del movimento riformatore del ’99 hanno autorevolmente criticato la strada battuta dalla giurisprudenza che aveva ricondotto la previsione negoziale della chiusura trimestrale del saldo passivo in conto corrente ad un fenomeno anatocistico, e quindi all’ambito applicativo dell’art. 1283 c.c., dovendosi, invece, diversamente spiegare in ragione del particolare meccanismo di funzionamento dei conti correnti bancari, non riconducibile agli schemi tradizionali, la giurisprudenza di merito e quella di legittimità si sono sostanzialmente conformate ai risultati emersi dal revirement giurisprudenziale del ’99 [37].
Diverse le questioni applicative che ne sono ulteriormente scaturite. Intanto, quella concernente il carattere assoluto o relativo di questa nullità e la sua rilevabilità d’ufficio. Nel caso di specie, non si trattava di invocare la nullità protettiva di cui all’art. 127, co. 2, TUB, che in virtù della modifica normativa apportata dal d. lgs. 141/2010 (art. 4, co. 3), può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Il testo novellato della previsione richiamata, dispone, infatti, che “Le nullità previste dal presente titolo operano soltanto a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice” [38]. Con riguardo alla illegittimità della capitalizzazione trimestrale nei “rapporti pregressi”, siamo fuori dell’ambito di operatività della norma richiamata perché qui, non si lamenta la violazione di una delle disposizioni contemplate dal Titolo VI “Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti”, e tanto meno la doglianza si fonda sulla lesione dell’art. 120 TUB che nel predetto Titolo è racchiusa; si denuncia, piuttosto, il contrasto con una norma imperativa contenuta nella disciplina codicistica, quella appunto dell’art. 1283 c.c. Particolarmente rilevante, a questo proposito, è, innanzitutto, il principio enunciato nel precedente delle Sezioni Unite del 2004, per cui la nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo “indipendentemente dall’attività assertiva delle parti interessate” [39], dando luogo ad un orientamento giurisprudenziale per cui “la nullità della clausola anatocistica di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi, inserita nel contratto di conto corrente bancario da cui deriva il credito azionato in giudizio è rilevabile d’ufficio dal giudice, rimanendo irrilevante, a tal fine l’assenza di una deduzione (o di una tempestiva deduzione) ad opera dell’interessato, la quale rappresenta una mera difesa, inidonea a condizionare, in senso positivo o negativo, l’esercizio del potere di rilevo officioso del giudice” [40]. Si tratta, in effetti, di un orientamento in linea con la successiva evoluzione interpretativa della materia per cui la nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice purché risulti agli atti [41] e non implichi, per il suo accertamento, un’indagine di fatto dello stesso [42]. Sicché, poi, è stata riconosciuta la rilevabilità d’ufficio della nullità anche se si tratti di una causa di nullità diversa da quella originariamente dedotta dalla parte e, altresì, prescindendo dal motivo della impugnativa negoziale [43], e pure se si tratti di nullità parziale quand’anche vengano in considerazione nullità specifiche o di protezione [44]. In tal modo, allora, la rilevabilità officiosa della nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi non contrasta con la eventuale prospettazione della stessa come “nullità di protezione” [45], soprattutto alla luce degli approdi giurisprudenziali che hanno affermato la compatibilità della rilevabilità officiosa della nullità con la c.d. legittimazione relativa che costituisce un dato caratterizzante delle “nuove nullità”; piuttosto tale prerogativa risulta, nella sua operatività, solo condizionata dalla tutela dell’interesse della parte debole protetta dalla norma imperativa violata [46]. A questo proposito, è noto come la giurisprudenza, modificando il proprio precedente indirizzo [47], abbia chiaramente affermato che “la rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia come una “species” del più ampio “genus” rappresentato dalle prime , tutelando le stesse, interessi e valori fondamentali – quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.) – che trascendono quelli del singolo” [48]. In definitiva a tale conclusione la Suprema Corte perviene sul presupposto della rilevata “unità funzionale” della nullità, sicché, poi, per tal via, il rilievo d’ufficio da parte del giudice costituisce una irrinunciabile garanzia di effettiva tutela dei valori fondamentali della organizzazione sociale e, concordemente con quanto affermato da un importante dottrina, il proprium delle nullità speciali, comprese quelle di protezione c.d. virtuale [49]. Ed allora, con riguardo alla nullità delle clausole anatocistiche di capitalizzazione trimestrale, per quanto riguarda i rapporti pregressi, si può ipotizzare che essa possa qualificarsi come nullità di protezione, tuttavia trattandosi di una nullità di protezione ante litteram poiché essa deriverebbe dalla contrarietà delle clausole medesime ad una norma imperativa, l’art. 1283 c.c., contenuta nel testo originario del codice civile, non invece in una legge speciale o in un codice di settore, quale appunto, ad esempio, il codice del consumo oppure del testo unico bancario. Peraltro, il particolare regime della nullità delle clausole in questione, trova la sua fonte non in una normativa particolare contenuta in una legge speciale, ma in una costruzione giurisprudenziale realizzata in base ad una interpretazione assiologica della disciplina positiva in considerazione degli interessi che la giurisprudenza del nuovo corso ha inteso salvaguardare [50]. E peraltro, si comprende come la rilevata esigenza di tutela del cliente bancario induce a considerare la nullità in questione come nullità parziale, relativa, e, appunto, rilevabile d’ufficio, come proclamato dalle sezioni unite del 2004, pur muovendosi in un quadro normativo che è, appunto, quello codicistico. Per tal via, l’utilizzazione delle norme generali può consentire di pervenire a risultati non dissimili da quelli introdotti dalle più recenti normative speciali [51]. In questo ambito – quello, appunto, della nullità delle clausole anatocistiche -, si collocano gli indirizzi interpretativi, già accennati, sulla sostituzione autoritativa delle clausole nulle con la capitalizzazione semestrale o annuale [52], o la prospettazione della nullità in questione come nullità sopravvenuta [53].
Diverso risulta, invece, il quadro normativo di riferimento laddove venga in considerazione la nullità delle clausole anatocistiche nei rapporti bancari a seguito della reintroduzione del divieto anatocistico ad opera, questa volta, della norma speciale dell’art. 120, co.2, TUB, come modificata dalla legge di stabilità del 2014 [54] e dalla normativa successiva, pur rimanendo inalterato il relativo regime giuridico [55]. Invero, la evoluzione della norma richiamata è caratterizzata da una storia peculiare. In particolare, secondo l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale prevalente, la prima modifica della richiamata previsione normativa, realizzata ad opera dell’art. 1, co. 629, della l. 27.12.2013, n. 147 (c.d. legge di stabilità 2014) [56], ha reintrodotto nel nostro ordinamento, con immediata efficacia precettiva, il divieto dell’anatocismo bancario [57]. Non sono, però, mancate importanti voci contrarie [58], non tanto, o non solo, per la scarsa chiarezza ovvero per l’ambiguità del testo letterale che ha indotto vari Autori a recuperarne il “senso” [59], innanzitutto, attraverso un processo interpretativo teleologico, quanto per la mancata adozione della prevista Delibera attuativa del Cicr, derivandone, sulla base di una ricostruzione dei rapporti tra le fonti del diritto, un divieto di anatocismo ad efficacia differita. Prima di approdare al testo attualmente vigente, il legislatore era intervenuto nuovamente con il d.l. n. 91 del 2014 (art. 31), apportando al testo una ulteriore modifica, poi, espulsa in sede di conversione, la quale prevedeva la “produzione di interessi sugli interessi” maturati nelle operazioni ivi contemplate, con periodicità non inferiore ad un anno, affidandone al Cicr la definizione delle modalità e dei criteri di calcolo. La disciplina attualmente vigente di cui al comma 2 dell’art. 120 TUB, così come da ultimo novellato dall’art. 17 bis del d.l. 14 febbraio 2016, n. 18, inserito in sede di conversione con modifiche attraverso la l. 8 aprile 2016 n. 49 – e alle disposizioni attuative del d. m. del 3 agosto 2016, n. 343, detta regole, il cui tenore ha suscitato un dibattito interpretativo. Infatti, oltre a stabilire, per i rapporti di conto corrente e di conto pagamento, la paritetica periodicità degli interessi sia debitori, sia creditori, comunque non inferiore all’anno, e il termine del 31 dicembre, o quello della chiusura del rapporto, per il loro conteggio, introduce, innanzitutto, una eccezione al divieto della produzione degli interessi sugli interessi, con riferimento agli interessi moratori, altresì ammettendo che, nelle aperture di credito regolate in conto corrente e in conto pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di fido ovvero oltre il limite del fido, gli interessi debitori, conteggiati al 31 dicembre e divenuti esigibili al 1° marzo dell’anno successivo o, in ogni caso, alla chiusura definitiva del rapporto, possono trasformarsi, previa autorizzazione del cliente, in sorte capitale. Sicché, vi è chi ha parlato di “resurrezione dell’anatocismo bancario” [60]. La sentenza del 30 luglio 2024, n. 21344, interviene proprio sulla questione innanzi richiamata del testo dell’art. 120, co. 2, T.U.B., così come novellato dalla legge di stabilità del 2014, intendendo porre fine al dibattito sorto sull’applicabilità del divieto anatocistico ai rapporti bancari nel periodo successivo all’adozione del provvedimento normativo del 2014 che con una formula “ambigua” e “oscura” [61] sembra contemplarlo. Gli accennati dubbi interpretativi si sono posti sia per la richiamata ambiguità della formula legislativa, sia per l’assenza della delibera attuativa del Cicr che, nell’ambito della contemplata delegificazione della disciplina dell’attività bancaria ad opera del TUB, avrebbe dovuto completare, almeno secondo il parere di alcuni [62], il dettato normativo. Pertanto, ulteriori perplessità sono sorte sulla efficacia immediata o differita di un divieto di cui, comunque, restava alquanto ambigua la formulazione. La sentenza, pronunciata nei confronti di un gruppo di banche sulla base di un’azione di classe promossa da un’associazione di consumatori a tutela degli interessi collettivi di questi ultimi, recepisce l’orientamento e le argomentazioni ivi svolte, poste a sostegno della tesi per cui l’art. 120, co.2, TUB, come modificato dall’art. 1, co. 629, della l. 143/2013 (legge di stabilità 2014), costituisce norma immediatamente precettiva recante un divieto assoluto di anatocismo, nel contempo abrogando il vecchio testo della medesima norma e facendo cadere le disposizioni della delibera Cicr del 2000 che sul presupposto di questa erano state adottate. Si è giunti, per tal via, alla conclusione per cui a partire dall’1 gennaio 2014 (data di entrata in vigore della legge di stabilità del 2014), l’anatocismo nelle operazioni bancarie è vietato e devono considerarsi illegittimamente addebitati gli interessi capitalizzati nei rapporti di conto corrente relativi al periodo di vigenza della normativa in questione. La sentenza assume particolare interesse perché, nel ripercorrere con apprezzabile rigore logico il dibattito interpretativo che la riferita disposizione normativa ha sollevato, si inserisce nel solco di un processo da tempo imboccato dalla giurisprudenza e teso ad una tutela “a tutti i costi” del cliente bancario, specie se si tratta di consumatori. Si ribadisce, ancora una volta quanto sia assolutamente condivisibile l’obiettivo di rafforzare la tutela del contraente debole in un rapporto come questo, “sostanzialmente” asimmetrico, ma ancora una volta si critica la strada percorsa dalla giurisprudenza che in ragione di tal obiettivo trascura del tutto di considerare gli interessi del contraente forte, con conseguenze che finiscono per riverberarsi direttamente anche sul soggetto da tutelare. In particolare, sotto tale profilo, rilevano, innanzitutto le considerazioni svolte dalla Suprema Corte, quando, per superare la evidente e riconosciuta ambiguità del testo legislativo, fa appello, tra l’altro, ad una interpretazione letterale e teleologica, altresì rafforzata da una interpretazione storico-sistematica del testo normativo che consentirebbe di affermare l’uso di una “dizione impropria” del termine “capitalizzati” in luogo di quello, invero, appropriato e consono di interessi ”contabilizzati”. Pertanto, la norma considerata costituirebbe solo “un’anticipazione formulata lessicalmente in modo sicuramente poco felice del precetto assai più puntuale, della successiva versione dell’art. 120, comma 2: quella introdotta dalla L. n. 49 del 2016, di conversione del D.L. n. 18 dello stesso anno, per cui gli interessi debitori maturati “non possono produrre interessi ulteriori” e vanno “ calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”. E a supporto della riferita conclusione, la sentenza rinvia anche alla proposta di delibera predisposta dalla Banca d’Italia da cui si desume una interpretazione della norma richiamata introduttiva del divieto anatocistico. In realtà, però, così operando la Suprema Corte, innanzitutto, del tutto ridimensiona, ai fini della coerenza e chiarezza degli obiettivi legislativi, e quindi della interpretazione dell’oscuro testo della norma di cui si discute, l’intervento legislativo realizzato con il d.l. n. 91/2014, con cui, nello stesso anno, per la durata di due mesi, fu modificata nuovamente la norma considerata, prescrivendo che il “Cicr stabilisse modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi”; e ciò anche se, come è noto, la disposizione qui menzionata, in sede di conversione del ripetuto decreto, fu soppressa, con la reviviscenza della norma abrogata [63]. D’altro canto, il rinvio alla proposta della Banca d’Italia se effettivamente può rilevare ai fini del superamento della ambiguità della formula letterale della disposizione normativa nel senso di ritenere che con la stessa il legislatore avesse inteso reintrodurre il divieto di anatocismo bancario, sotto il diverso profilo, pure in discussione, della immediata operatività del ripetuto divieto, a prescindere cioè dalla delibera del Cicr, si ritiene che la summenzionata proposta deponga in senso diametralmente opposto. Essa evidenzia, infatti, come la “disciplina di dettaglio” – secondo le parole utilizzate dalla Suprema Corte – che la delibera Cicr avrebbe dovuto contenere, in realtà attiene a profili di grande rilevanza, che necessitano di un trattamento uniforme per tutti gli istituti di credito, per ragioni di certezza e di parità di trattamento, oltre che per scongiurare il rischio di alimentare altro contenzioso. La proposta di delibera della Banca d’Italia, infatti, con l’obiettivo di definire modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria adotta soluzioni, poi in gran parte recepite nel testo normativo del 2016 e nella relativa delibera attuativa, che certamente non potevano essere prefigurate a prescindere da una espressa previsione e che, da un canto, specificando il divieto anatocistico, rafforzano in linea di massima la tutela del cliente bancario, dall’altro tengono, altresì, conto delle difficoltà operative cui va incontro l’attività degli istituti di credito conseguentemente alla modifica normativa, indicando una tecnica uniforme di soluzione [64]. A questo proposito, infatti, nell’ambito delle argomentazioni svolte dalla sentenza in considerazione, solo in parte condivise, a sostegno della tesi della immediata operatività del divieto anatocistico, particolarmente colpisce la disinvoltura con cui la stessa, pure conformemente all’orientamento a cui aderisce, liquida la questione profilata dagli istituti di credito in merito ad una presunta irragionevolezza della legge, affermando che ai fini della efficacia immediata della norma primaria, a nulla rileva l’assenza di una disciplina transitoria, e che essa neppure necessita dell’atto regolamentare di attuazione perché questo avrebbe potuto contemplare solo una disciplina di mero “dettaglio”, che nelle more della sua adozione da parte del Cicr, avrebbe pure potuto essere rimessa agli “accorgimenti che il singolo istituto di credito era libero di adottare per raggiungere il risultato”; fermo restando, poi, che gli stessi interessi, eventualmente già capitalizzati, a seguito dell’intervento del Cicr, avrebbero potuto semplicemente essere “stornati” [65]. In effetti, la richiamata sentenza dopo aver sgomberato il campo, attraverso una soluzione positiva, dalla questione relativa alla introduzione del divieto anatocistico, affronta la questione della efficacia immediata o differita dello stesso, attraverso l’esame del rapporto tra la normativa primaria e quella regolamentare che, invero, ha costituito la premessa di tutto il suo iter argomentativo, partendo dalla considerazione per cui tale rapporto era stato posto “nell’ombra” dalla decisione contraria della Corte di appello, tuttavia approdando a conclusioni che non si ritiene di condividere. Così, innanzitutto, la sentenza afferma che la prescrizione proibitiva dell’anatocismo, ripristinando per i contratti bancari il divieto codicistico posto dalla norma generale dell’art. 1283 c.c., non aveva bisogno ai fini della sua applicazione del completamento della delibera attuativa a cui la stessa faceva riferimento, per lo scarso impatto che avrebbe avuto sui rapporti bancari in ragione evidentemente della limitata discrezionalità di cui disponevano gli istituti di credito, che certamente non avrebbero potuto incidere sul divieto posto dalla normativa primaria. E ciò diversamente da quanto è invece accaduto con la prima modifica dell’art. 120 TUB ad opera del d.lgs. 342/1999 e della relativa delibera attuativa. Si afferma, così, la necessità di “rimarcare la profonda differenza esistente tra una norma intrinsecamente proibitiva della pratica anatocistica e una norma che demandi all’autorità regolamentare di settore il compito di stabilire le condizioni in presenza delle quali quella stessa pratica è autorizzata”. A questo proposito, si è già rilevato, come, invece, si ritengano assolutamente condivisibili le argomentazioni sostenute dall’orientamento avverso per cui la norma, in mancanza della delibera attuativa, difettasse di completezza, con riferimento alla disciplina di taluni profili che, tra l’altro, se demandati alla libertà del singolo istituto creditizio avrebbe dato luogo, come sostiene anche la Corte di appello, a “soluzioni foriere di disparità di trattamento con presumibile proliferare di contenzioso”. D’altro canto, le conclusioni cui la Suprema Corte giunge non appaiono del tutto condivisibili neanche nella parte in cui reputano inconferente il richiamo alla norma dell’art. 161, co.5 , T.U.B., per cui “le disposizioni emanate dalle autorità creditizie ai sensi di norme abrogate o sostituite continuano a essere applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati ai sensi del testo unico”. La norma, infatti, secondo la Suprema Corte, sarebbe priva di forza espansiva, perché si limiterebbe a disciplinare “gli effetti che conservavano, all’indomani dell’entrata in vigore del testo unico, le norme regolamentari in precedenza emanate, così da evitare che si creassero aree che, per effetto della abrogazione delle norme primarie, restassero prive di normativa secondaria fino all’intervento di una nuova disciplina attuativa del predetto testo unico”. D’altro canto, tale tesi troverebbe conferma nelle fattispecie in cui il legislatore per poter estendere la disciplina appena richiamata a situazioni diverse da quelle in funzione delle quali era stata concepita, ha operato ad essa un espresso richiamo [66]. In vero, pur non trascurando il dato offerto dalla collocazione sistematica della norma in questione che indurrebbe, pertanto, a limitarne la portata applicativa, è pure vero, però che la sua forza espansiva dovrebbe piuttosto essere sostenuta sulla base della comune esigenza di assicurare un ordinato transito tra disposizioni normative, in definitiva a tutela degli interessi sia delle banche, sia dei clienti [67].
Si ritiene, diversamente dalle conclusioni cui è pervenuta la Cassazione con la sentenza considerata che la norma dell’art. 120, co. 2, TUB, così come modificata dalla legge di stabilità del 2014, nonostante la indiscutibile ambiguità della formula letterale, contenga, sulla base di una interpretazione teleologica e sistematica, un divieto anatocistico. Essa, tuttavia, non può essere considerata come una norma immediatamente precettiva, quanto, piuttosto, come una norma programmatica che ha trovato realizzazione e completezza nel successivo testo normativo del 2016 e nella sua correlativa delibera attuativa. Una soluzione, questa, che viene a delineare un quadro normativo di riferimento, probabilmente stabile, che, tuttavia, costituisce un punto di arrivo che muove dalle alterne vicende della interpretazione dell’art. 1283 c.c. e prosegue con la evoluzione della normativa speciale in materia bancaria.
In ogni caso, si è generalmente affermato [68], salvo qualche voce contraria [69], con argomentazioni destinate a operare, ovviamente, sia per i rapporti pregressi dove la questione è specificamente sorta, sia per quelli ricadenti sotto il disposto dell’art. 120, co. 2, TUB, come modificato dalla normativa successiva, che il rimedio azionabile per la restituzione di somme corrisposte dal correntista a titolo di interessi anatocistici, così come a titolo di oneri accessori illegittimi, anche di commissioni di massimo scoperto non dovute, dovesse individuarsi nella disposizione di cui all’art. 2033 c.c. ”Indebito oggettivo”, che legittima colui che ha effettuato un pagamento non dovuto alla ripetizione di ciò che ha pagato, in tal modo “racchiudendo tutte le ipotesi di mancanza di titolo, ossia di mancanza del rapporto o del negozio in esecuzione del quale la prestazione è fatta” [70]. Si è quindi, innanzitutto, ritenuto che nel caso previsto dall’Ordinanza qui esaminata si potesse ravvisare un indebito oggettivo, ossia un pagamento sine causa identificabile con il pagamento di interessi anatocistici contemplati da un titolo nullo, ovvero illegittimamente addebitati in conto corrente; e tanto pure facendo riferimento alla considerazione di carattere generale basata sul richiamo espresso effettuato dalla norma dell’art. 1422 c.c. che, in tema di imprescrittibilità dell’azione di nullità, fa salvi gli effetti della prescrizione di dieci anni applicabile all’azione di ripetizione. D’altro canto, a mò di premessa di quanto si dirà nel proseguo, si evidenzia come nella sistematica del codice civile il presupposto applicativo dell’azione di ripetizione avrebbe dovuto ricomprendere solo quei comportamenti solutori riconducibili ad una prestazione di dare, laddove, invece, una interpretazione più evoluta del testo normativo ha fatto richiamo ad una “forza espansiva dell’indebito oggettivo” [71] comprendente anche le prestazioni di fare, ed altri ne hanno esteso l’ambito di operatività in modo da ricomprendere, specificamente, le diverse fattispecie attraverso cui si è compiuto il processo di smaterializzazione della moneta, nell’ambito del quale è pure possibile annoverare le annotazioni in conto corrente. D’altro canto, più in generale, si è sostenuta l’autonomia dell’azione di ripetizione rispetto a quella di nullità; quest’ultima è imprescrittibile e può essere esercitata in qualsiasi momento da chiunque vi abbia interesse; l’azione di ripetizione, invece, è sottoposta alla prescrizione decennale e sorge ed è esercitabile, prima e indipendentemente dalla declaratoria di nullità, e prima e indipendentemente dalla stessa proposizione dell’azione di nullità, trovando il suo unico presupposto, anche ai fini della decorrenza del termine prescrizionale, nell’esistenza di un indebito pagamento [72]. Con specifico riguardo all’azione, promossa dal correntista, di ripetizione di somme corrisposte a titolo di interessi anatocistici ovvero di altri oneri accessori illegittimi, un’altra fondamentale tappa per la edificazione, in via interpretativa, della disciplina transitoria dei “rapporti pregressi”, è rappresentata dal noto (nella materia) precedente delle Sezioni unite del 2010 [73] le quali, ancora una volta chiamate a pronunciarsi su una questione di massima di particolare importanza, sul presupposto dei risultati cui era pervenuta la giurisprudenza del ’99 e del 2004, e ponendosi in linea di continuità con essa, pure sotto il profilo dell’obiettivo perseguito di tutela comunque, e in ogni caso, del cliente bancario, dettano i principi che verranno a fondare l’orientamento consolidato sul dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale del predetto rimedio giudiziale. Si comprende l’importanza del tema nell’ambito della questione problematica della disciplina dei rapporti pregressi ove si trattava anche di delimitare dal punto di vista temporale, per il passato, l’estensione degli effetti scaturenti dagli arresti giurisprudenziali in tema di illegittimità degli interessi anatocistici, essendosi essenzialmente individuato proprio nell’istituto della prescrizione, lo strumento giuridico per giungere a tale definizione. Non a caso, al fine di delimitare il “danno restitutorio”, la difesa degli istituti di credito si è, sin da subito, fondamentalmente basata sulla eccezione di prescrizione. Anche questa volta, tuttavia, risulta chiaramente come il Supremo Collegio abbia perseguito l’obiettivo della tutela del cliente bancario, a prescindere da quello della effettiva parificazione delle posizioni contrattuali [74]; laddove sotto il profilo della ricostruzione giuridica, modificando l’indirizzo sino ad allora largamente condiviso e utilizzando soluzioni interpretative sorte in altra sede e per fini diversi, perviene a risultati interpretativi che hanno suscitato non poche perplessità e critiche. Infatti, il precedente del 2010 si innesta in uno scenario in cui era possibile rinvenire un indirizzo minoritario che faceva decorrere il termine prescrizionale dal momento delle annotazioni in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati a cui, quindi, veniva attribuita, conformemente all’orientamento di una parte autorevole della dottrina, natura di pagamento [75], e un orientamento ampiamento condiviso [76] che, invece, faceva riferimento al momento della chiusura del conto sul presupposto per cui l’apertura di credito in conto corrente si configura come un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura dello stesso che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro. In effetti, le Sezioni Unite del 2010, confermano l’orientamento unitario della giurisprudenza di legittimità e prevalente in quella di merito, tuttavia individuandone criticamente dei limiti che fanno comprendere immediatamente il carattere fortemente innovativo del precedente, sia per le considerazioni svolte che per le conseguenze giuridiche e pratiche che da essa derivano, tanto da potervi configurare un nuovo revirement giurisprudenziale [77]. Le Sezioni Unite, in linea di continuità con l’indirizzo di cui condividono gli approdi finali – sia pure con dei “limiti” -, allargano lo sguardo del quadro normativo di riferimento oltre la norma dell’art. 1283 c.c., intorno alla quale si era sviluppata essenzialmente l’attività interpretativa per la valutazione di liceità del regolamento negoziale o di una parte di esso, per estenderlo alla disciplina del contratto di apertura di credito in conto corrente, ed in particolare alle norme degli artt. 1842 e 1843 c.c., indagando lo schema di funzionamento di tale contratto e il suo rapporto con il conto corrente [78]. E, così, in senso critico rispetto all’indirizzo fino ad allora maggioritario osservano che la unitarietà del rapporto giuridico scaturente dal contratto di conto corrente, sia pure articolato in una pluralità di atti esecutivi, non vale da sé ad escludere che il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione possa decorrere in costanza di rapporto, qualora durante la sua esecuzione siano ravvisabili pagamenti, ancorché privi di causa. Proseguendo, poi, nell’iter argomentativo, esse prendono posizione sulla nozione di pagamento corrispondente, nella rappresentazione che ne offrono, alla esecuzione di una prestazione da parte di un soggetto con conseguente spostamento patrimoniale a favore di un altro e, sulla base di questa premessa, escludono che le annotazioni in conto si risolvano in un pagamento, in quanto pur comportando un incremento del debito del correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ad esse non corrisponde un’attività solutoria del correntista in favore della banca. Alle annotazioni, evidentemente, viene attribuito un rilievo meramente contabile, per cui finché il conto rimane aperto, ottenuta la declaratoria di nullità del titolo, il correntista può solo ottenere la rettifica delle risultanze contabili che serviranno ad ampliare la sua provvista [79]. Per tal via, verosimilmente negando al conto corrente bancario valore giuridico autonomo rispetto all’apertura di credito, esse utilizzano la distinzione elaborata ad altri fini dalla giurisprudenza di legittimità in tema di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente, tra atti solutori ed atti ripristinatori della provvista [80]. Ed infatti, premesso che con l’apertura di credito il correntista ha la facoltà di utilizzare anche in più riprese la somma di denaro messa a disposizione dalla banca e che con eventuali versamenti lo stesso ha anche la facoltà di ampliare o ripristinare la provvista utilizzata in tutto o in parte, per poi, eventualmente riutilizzarla, finché dura il rapporto, con ulteriori prelevamenti, entro il limite dell’affidamento concesso, i versamenti non possono considerarsi atti solutori perché non hanno lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, né l’effetto di soddisfare il creditore; piuttosto essi hanno lo scopo e l’effetto di ampliare o ripristinare la provvista utilizzabile dal cliente e cioè di ampliare o ripristinare la facoltà di indebitamento del correntista. Sicché, anche ai fini della ripetizione dell’indebito, «di pagamento, potrà parlarsi, soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto» [81]. Diversamente accade, invece, quando si tratti di versamenti eseguiti su un conto scoperto cui non accede alcuna apertura di credito ovvero di versamenti destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento; in tal caso i versamenti hanno lo scopo e l’effetto di realizzare uno spostamento patrimoniale a favore della banca e, quindi, se privi di causa, sono senz’altro ripetibili sin dalla loro esecuzione. Tali conclusioni, in realtà, sono avvalorate anche dalla considerazione, sviluppata nella diversa sede della revocatoria fallimentare, ma che le sezioni unite sembrano avere adottato unitariamente alle conclusioni ivi formulate, per cui durante il corso del rapporto non è possibile ravvisare un credito esigibile della banca nei confronti del cliente, essendo quest’ultima tenuta , in base all’art. 1843 c.c., a mantenere la disponibilità della provvista fino alla chiusura del conto, con diritto del correntista ad utilizzarla e ripristinarla ulteriormente, a meno che non si verifichi una “condizione di esigibilità anticipata”, come nell’ipotesi di conto scoperto o in eccedenza, in cui conseguentemente il versamento eseguito dal correntista si configura come comportamento solutorio. In ogni caso, la pronuncia del 2010 ha costituito oggetto di numerose critiche sia per il percorso argomentativo seguito [82], sia per le conclusione a cui è approdata, laddove è stato spesso richiamato, sia pure nell’ambito di costruzioni interpretative diversamente argomentate, l’indirizzo dottrinale che sottolinea come il conto corrente bancario sia uno strumento negoziale in virtù del quale le parti, banca e correntista, si impegnano a regolare, cioè adempiere, i reciproci rapporti tramite annotazioni, anziché “dazioni” di moneta legale; ed allora poichè le annotazioni determinano l’effetto immediato di produrre una variazione del saldo disponibile e, cioè, della quantità di moneta di cui il debitore può disporre ,esse provocano uno spostamento patrimoniale fra banca e cliente, potendo assumere valore di pagamento e determinare la estinzione del rapporto obbligatorio che ha dato causa all’annotazione [83]. A tale indirizzo, a cui si ritiene di aderire, si è anche fatto riferimento per sostenere la scelta legislativa adottata con la l. n. 10/2011 (art. 2, co. 61), con cui fu fatto il tentativo di arretrare la decorrenza della prescrizione al momento dell’annotazione sul conto mediante una norma di interpretazione autentica come tale retroattiva, di cui fu dichiarata la illegittimità costituzionale [84]. In effetti, i dubbi e gli interrogativi sollevati dalla pronuncia delle sezioni Unite avrebbero potuto giustificare un intervento legislativo diretto ad assicurare tra banca e cliente garanzie di certezza degli spostamenti patrimoniali, ma il legislatore, in sede di interpretazione autentica, ha riproposto, in tema di rapporti bancari, una rilettura dell’art. 2935 c.c., in modo che è subito apparso chiaro, per effetto della retroattività della norma interpretativa in contrasto con i giudicati già formatisi sul punto, un evidente vizio di incostituzionalità, tanto più perché rafforzato da una inspiegabile norma transitoria di irripetibilità dei pagamenti già eseguiti che, comunque intesi, come quelli operati dalla banca a seguito della domanda vittoriosa del cliente, oppure da quest’ultimo prima della chiusura del conto, in ogni caso confermavano lo sconfinamento del potere legislativo, per cui si aggiungeva l’ulteriore vizio di incostituzionalità per disparità di trattamento tra situazioni identiche, solo occasionalmente differenziate dall’anteriorità del pagamento [85]. A seguito della pronuncia di illegittimità costituzionale si è formato indirizzo consolidato [86], delineato dai principi di diritto formulati dalle Sezioni Unite del 2010, destinati ad operare, come si è poc’anzi osservato, nei giudizi di ripetizione di somme indebitamente corrisposte a titolo di interessi anatocistici, sia relativamente ai rapporti pregressi che a quelli pro futuro, che hanno dato luogo a una serie di incertezze applicative, soprattutto sul piano della definizione degli oneri di allegazione e di prova del correntista e della banca, e ancora della modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione [87], delle modalità di calcolo del saldo per la verifica dei pagamenti indebiti [88], che si sono tradotte poi in indirizzi contrastanti, e hanno anche originato nuovi interventi del Supremo Collegio nella sua funzione nomofilattica. In tale ambito precisamente si colloca l’Ordinanza esaminata.
Come si è avuto modo già di rilevare, il rapporto bancario sul quale si innesta la vicenda processuale che ha dato origine all’Ordinanza annotata si inquadra nell’ambito dei c.d. rapporti pregressi. In effetti, sul presupposto di una allegata e non contestata illegittima applicazione trimestrale di interessi anatocistici, l’Ordinanza enuncia alcuni fondamentali principi di diritto sugli oneri del correntista che esperisce in via autonoma azione per la restituzione di somme a vario titolo indebitamente corrisposte alla banca, distinguendo chiaramente fra allegazione e prova, ovvero tra onere di allegazione e onere della prova. E a tanto perviene confermando ex professo indirizzi consolidati sulla nullità di clausole anatocistiche di capitalizzazione trimestrale di interessi passivi e di commissioni di massimo scoperto, sul rimedio della ripetizione dell’indebito, azionabile per la restituzione di somme non dovute all’istituto di credito, sulla decorrenza del corrispondente termine prescrizionale, e pertanto sulle delicate questioni della natura delle annotazioni e della individuazione dei pagamenti sine titulo. Ai fini della valutazione dei motivi del ricorso, la Corte Suprema condivide i principi di diritto presso di essa formatisi sugli oneri di allegazione e di prova del correntista in ripetizione, aggiungendo un ulteriore tassello all’orientamento che, tenendo conto delle difficoltà legate alla prova documentale che caratterizza tali giudizi, ma anche delle difficoltà applicative scaturenti dall’osservanza di principi consolidati risalenti al precedente del 2010, progressivamente perviene a soluzioni diverse da quelle precedentemente adottate, con un trattamento giuridico sostanzialmente simmetrico per il cliente bancario e per l’istituto di credito. Sulla base di una chiara identificazione dei fatti costitutivi dell’azione di ripetizione, “essenzialmente” corrispondenti alla “effettuazione del pagamento” e alla “assenza di un titolo giustificativo della prestazione eseguita”, e di una evidenziata distinzione fra onere di allegazione e onere della prova, logicamente e giuridicamente distinti, benché in punto di fatto tra loro connessi, l’Ordinanza, innanzitutto, statuisce che è onere dell’attore in ripetizione, sia allegare i fatti indicati, sia fornirne la prova. Quanto all’onere di allegazione, la Corte sottolinea la importanza del suo assolvimento con riguardo ai “fatti rilevanti ai fini della decisione”, valendo, infatti a delimitare il thema decidendum della controversia, benché i medesimi fatti, ai fini della fondatezza della domanda, devono essere provati dalla parte su cui incombe il relativo onere. In ogni caso, così delimitando l’onere di allegazione del correntista, la Suprema Corte implicitamente aderisce all’orientamento consolidato in base al quale l’assolvimento di siffatto onere non implica anche la indicazione specifica dei versamenti effettuati e della loro natura [89]. Questo indirizzo [90], è stato generalmente accolto in ragione delle intuibili difficoltà che avrebbe diversamente incontrato il correntista nell’instaurare un giudizio per la ripetizione di somme indebitamente corrisposte alla banca, oltre che per gli oneri economici che eventualmente avrebbe dovuto sostenere per avvalersi, ai fini della predetta identificazione, di una perizia di parte, con effetto evidentemente dissuasivo dell’iniziativa giudiziale. Tale approdo interpretativo è stato, peraltro, recentemente richiamato in un arresto del Supremo Collegio volto a definire la questione, sino ad allora molto controversa, della formulazione dell’eccezione di prescrizione opposta dalla banca contro la domanda del correntista che agisce per la condanna della stessa al pagamento del “credito restitutorio” [91]; precedente, questo, che qui rileva menzionare non tanto e non solo perché la predetta eccezione viene in considerazione anche nella vicenda processuale a cui l’Ordinanza si riferisce [92], quanto per le conclusioni cui la Corte Suprema è pervenuta, fondandosi sulla considerazione della “simmetria” richiesta alle parti “ai fini della validità della domanda di ripetizione e della ammissibilità dell’eccezione di prescrizione” [93]. In sostanza, questo richiamo appare qui utile, in quanto espressivo di una tendenza interpretativa diversa rispetto a quella di alcuni indirizzi giurisprudenziali che, pur vertendo sulla applicazione di alcune regole di rito, si configurano come coerente sviluppo di orientamenti che hanno caratterizzato la evoluzione interpretativa della materia del c.d. anatocismo bancario. E, d’altro canto, tale tendenza trova conferma anche nell’orientamento in cui si inserisce l’Ordinanza esaminata concernente specificamente il contenuto dell’onere della prova del correntista in ripetizione. Quest’ultima, innanzitutto, dopo aver richiamato l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, in virtù del quale, secondo le regole ordinarie, quelle cioè dettate dall’art. 2697 cc., l’attore in ripetizione “è tenuto a dimostrare i fatti costitutivi dell’azione esperita, dovendo, quindi, provare sia l’avvenuto pagamento e sia la mancanza di causa che lo giustifichi, ovvero il successivo venir meno di questa [94]”, specifica che nei rapporti di conto corrente, ciò si traduce nell’onere del correntista di provare “di aver effettuato versamenti in conto, che tali versamenti siano veri e propri pagamenti e che questi ultimi non siano dovuti (in tutto o in parte)” [95]. Così, quanto ai fatti costitutivi oggetto di prova, e precipuamente a proposito della individuazione dei versamenti in conto corrente, corrispondenti a veri e propri pagamenti, suscettibili di restituzione purché ne risulti altresì provata l’assenza di titolo giustificativo, risulta chiara, l’adesione dell’Ordinanza ai principi enunciati dalla pronuncia delle Sezioni unite del 2010, e assolutamente consolidati, allorché afferma che “l’addebito in conto di determinate somme non equivale necessariamente al pagamento delle stesse, il quale deriva dal compimento di rimesse solutorie da parte del correntista in costanza di rapporto o in chiusura dello stesso” [96]. D’altro canto, sempre nell’ambito dell’iter argomentativo da essa seguito enuncia un principio di diritto in merito alla prova specifica del natura indebita del pagamento, per cui “la prova (o la non contestazione) dell’applicazione di commissioni di massimo scoperto in conto costituisce la prova della natura indebita delle corrispondenti poste annotate a debito nel conto, ma essa non esonera dalla prova del versamento in conto da parte del correntista di somme che costituiscono veri e propri pagamenti a tale titolo e, come tali, suscettibili di ripetizione”. L’aspetto particolarmente significativo, si ribadisce, è quello concernente l’assolvimento dell’onere probatorio del correntista sugli avvenuti pagamenti e sulla mancanza rispetto ad essi di una valida causa debendi; questi, infatti, in base ad un principio consolidato in giurisprudenza, deve farsi carico della produzione dell’intera serie degli estratti conto [97]. D’altro canto, a parti invertite, il principio testè citato, relativamente ai rapporti bancari nei quali sia stata esclusa la validità, per mancanza di requisiti di legge, della pattuizione di interessi anatocistici, di interessi ultralegali, o di commissioni e spese non dovute, opera anche quando sia la banca ad agire giudizialmente per l’accertamento del suo credito nei confronti del cliente e per la condanna dello stesso al pagamento di somme di cui l’istituto di credito assume essere creditore. A tali risultati la giurisprudenza evidentemente è pervenuta sul presupposto generalmente riconosciuto per cui “l’estratto conto, quale atto riassuntivo delle movimentazioni del conto corrente, può senza dubbio offrire la prova del saldo del conto stesso, in combinazione con le eventuali controdeduzioni di controparte e le ulteriori risultanze processuali” (Ordinanza che si esamina), e della considerazione secondo la quale la produzione di tutta la serie degli estratti conto, attraverso la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, consente di stabilire con certezza le poste passive o attive facenti rispettivamente capo al cliente o all’istituto di credito. Un particolare problema, si è posto, però, per la definizione delle conseguenze scaturenti dall’adempimento parziale dell’onere probatorio e, pertanto, degli effetti derivanti dalla produzione giudiziale di una documentazione incompleta, sul piano della fondatezza della domanda attrice e, quindi, del suo accoglimento. La questione problematica si è posta pressochè negli stessi termini sia nei giudizi promossi dal cliente bancario che agisce per la restituzione di somme non dovute, sia in quelli instaurati dall’istituto di credito che agisce per l’accertamento del saldo attivo nei confronti del cliente bancario e per la condanna di quest’ultimo al pagamento del credito giudizialmente accertato. Anche in questo caso la giurisprudenza di legittimità è approdata a risultati in gran parte simmetrici per il cliente bancario e per l’istituto di credito, ovvero a soluzioni consolidate che presentano notevoli elementi di identità, pur con alcune differenze che, però, non corrispondono al tentativo di calare nel processo esigenze di tutela sostanziale della parte debole del rapporto contrattuale, e neanche costituiscono applicazione di “criteri presuntivi e approssimativi” [98], quanto piuttosto applicazione puntuale di principi e regole di diritto. Nell’ambito di questo importante processo interpretativo non mancano, tuttavia, indirizzi che si muovono in una direzione diversa [99]. Avendo specifico riguardo all’onere della prova del correntista, si rinviene un orientamento interpretativo minoritario, in specie seguito da una parte della giurisprudenza di merito, in base al quale non può essere accolta la domanda del correntista in ripetizione che non riesce a fornire la prova dei fatti principali, costitutivi della sua pretesa, mediante la esibizione di tutti gli estratti conto attestanti le singole rimesse suscettibili di ripetizione, essendo egli onerato della ricostruzione dell’intero andamento del rapporto [100]. In questo orientamento si colloca anche la pronuncia della Corte di appello oggetto di impugnazione [101]. Di contro si è, invece, affermato un diverso orientamento, ampiamente condiviso, e fondato sul presupposto per cui la definizione delle conseguenze discendenti da una produzione incompleta non può essere regolata “da principi rigidi e massimalistici” e che, nella prospettiva consegnata dall’art. 2697 c.c., sarebbe “improprio”, oltre che privo di una “ragione in senso logico e giuridico”, collegare sistematicamente alla mancata documentazione di una parte delle movimentazioni del conto il cui saldo sia a credito del correntista e quindi a debito della banca [102], il rigetto della pretesa azionata. Si è, così, giunti ad affermare che “nei rapporti bancari di conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione di interessi anatocistici o ultralegali a carico del correntista e si riscontri la mancanza di una parte degli estratti conto, il primo dei quali rechi un saldo a debito del cliente che ha promosso domanda giudiziale per la restituzione di somme non dovute, “l’accertamento del dare e avere può attuarsi con l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete atte a dar ragione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui siano stati prodotti gli estratti conto; ci si può inoltre avvalere di quegli elementi che consentano di affermare che il debito nell’intervallo non documentato sia inesistente o inferiore al saldo passivo iniziale del primo degli estratti conto prodotti o che permettano addirittura di affermare che in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; diversamente si devono elaborare i conteggi partendo da tale saldo debitore” [103]. Pertanto, in una vicenda processuale, promossa dal correntista, attore in ripetizione, in cui la documentazione prodotta in giudizio è incompleta, in quanto mancante della parte degli estratti conto che avrebbero dovuti documentare la prima frazione del rapporto, in mancanza di diverse evidenze, il conteggio dare – avere deve essere effettuato partendo dal primo saldo a debito del cliente di cui si abbia evidenza. La giurisprudenza utilizza un criterio che alla luce delle regole ordinarie dell’art. 2697 c.c. e di quelle del processo (artt. 115 e 116 c.p.c.), e considerato il dovere del correntista (attore in ripetizione), di dissolvere l’incertezza relativa al pregresso andamento del rapporto, in mancanza di diversi riscontri, applica il dato più sfavorevole all’attore [104]. In effetti, allora, l’orientamento a cui aderisce l’Ordinanza, che ha riguardo, tuttavia, ad una vicenda in cui risultano mancanti un estratto conto intermedio e uno finale, si colloca proprio nell’ambito dell’indirizzo appena citato, per cui è illogico e non ragionevole, in punto di diritto, far discendere automaticamente dalla incompletezza della documentazione, il rigetto della domanda attrice, (in generale, sia che si tratti del correntista, sia che si tratti della banca), rappresentando di tale indirizzo la fase più evoluta. Si è, infatti, affermato che gli estratti conto non costituiscono prova legale delle movimentazioni in conto corrente, le quali sono suscettibili di prova libera, cioè dimostrabili mediante argomenti di prova o elementi indiretti che compete al giudice di merito [105] valutare nell’ambito del suo prudente apprezzamento; che, d’altro canto, quando la prova dei movimenti del conto, di cui il correntista sia onerato, non è completa, il giudice può integrare quella offerta dal correntista medesimo, eventualmente con mezzi di cognizione disposti d’ufficio, come la consulenza tecnica d’ufficio – la quale, in tali giudizi, considerate le specifiche cognizioni tecniche che la materia richiede, assume le vesti dell’accertamento tecnico contabile [106] –, anch’essa affidata al prudente apprezzamento del giudice [107]. Si è così giunti al principio di diritto, contenuto nella Ordinanza esaminata, ed altresì operante anche nei giudizi in cui l’istituto di credito è attore, per cui a fronte di una produzione non integrale degli estratti conto, la prova dei movimenti del conto può desumersi anche aliunde [108], avvalendosi eventualmente dell’opera di un consulente d’ufficio che “ridetermini il saldo in base a quanto emergente dai documenti prodotti in giudizio, i quali, comunque, devono fornire indicazioni certe e complete [109]. Si tratta del punto di approdo di una evoluzione giurisprudenziale che, in modo assolutamente condivisibile, facendo applicazione delle regole di rito, preserva l’equilibrio processuale delle parti, senza che ciò si possa tradurre nella negazione della asimmetria di forza contrattuale che caratterizza i loro rapporti sul piano sostanziale. E tanto secondo una tendenza opposta a quella che pure emerge da alcuni indirizzi interpretativi, la cui analisi l’Ordinanza ha sollecitato, ove, invece, risulta chiaro l’intento dell’interprete di voler garantire la tutela del cliente bancario, riconoscendo alla disciplina sostanziale la capacità di riverberare i suoi effetti su quella processuale [110]. Tendenze che rispecchiano istanze diverse, in definitiva riconducibili ai principi di buona fede e di ragionevolezza. In vero, si ritiene che taluni approdi giurisprudenziali, innanzitutto quelli della fine del secolo scorso e, da ultimo, quello della sentenza considerata, siano supportati da impliciti richiami al principio della buona fede, mentre altre tendenze interpretative sembrano individuare il loro riferimento nella tutela del mercato e, altresì, dal punto di vista teorico, nel principio di ragionevolezza, anche inteso come criterio ermeneutico che consente di pervenire, sulla base di una valutazione delle specificità del caso concreto, a esiti interpretativi frutto del bilanciamento degli interessi in gioco e altresì conformi ai valori dell’ordinamento [111].
[1] Sull’assimilazione dei concetti di anatocismo e capitalizzazione, v. C. Colombo, L’anatocismo, Milano, 200, in part. 2 ss., il quale sottolinea che la predetta assimilazione, sostenuta da gran parte della dottrina ed entrata universalmente a far parte del linguaggio dei pratici, è stata fatta oggetto di persuasive critiche, evidenziandosi che, in realtà, l’anatocismo di cui all’art. 1283 c.c. riguarda la produzione di interessi sugli interessi, mentre la capitalizzazione delinea il fenomeno della trasformazione degli interessi in sorte capitale, così da risultarne modificata la loro intima essenza economica e giuridica; tuttavia, laddove la capitalizzazione determini, altresì, un effetto anatocistico, ad essa si applicano gli stessi limiti che l’ordinamento pone all’anatocismo. Sull’uso del termine anatocismo bancario v.: P. Ferro-Luzzi, Una nuova fattispecie giurisprudenziale: “l’anatocismo bancario”, postulati e conseguenze, in Giur. comm., 2001, 5 ss., il quale evidenzia, con alcune considerazioni critiche, che questa espressione trova la sua origine nel lessico giurisprudenziale; G. Porcelli, v. Interessi anatocistici, in Digesto disc. priv., sez. civ., XIX, tomo II, Torino, 2007, 727, in part. 732. In ogni caso, si vuole, qui, sottolineare che con la differente terminologia ci si vuole riferire al medesimo fenomeno reale.
[2] Che ne ha prefigurato una disciplina speciale, aggiungendo all’art 120 TUB “Decorrenza delle valute e modalità di calcolo degli interessi”, un comma 2 che così disponeva: “Il Cicr stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”. Sulla possibilità di individuare in questa disposizione il fondamento normativo di una particolare ipotesi di anatocismo, il c.d. anatocismo bancario, v. G. Capaldo, I contratti e le operazioni bancarie nel sistema bancario e finanziario, in L’anatocismo nei contratti e nelle operazioni bancarie, a cura della stessa Autrice, Padova, 2010, 1 ss. F. Maimeri, sub art. 1283 c.c., Commentario Codice Civile diretto da E. Gabrielli, Delle obbligazioni, III, a cura di V. Cuffaro, Torino, 2013, 39 ss.; A. Nigro, L’anatocismo nei rapporti bancari: una storia infinita?, in Dir. banc. merc. fin., 2001, 273; M. Porzio, Commento Articolo 120 Decorrenza delle valute e modalità di calcolo degli interessi, in Testo Unico Bancario, Commentario a cura di M. Porzio F. Belli, G. Losappio M. Rispoli Farina V. Santoro, Milano, 2010, 1009; C. Salvetti, I contratti bancari in generale, in Trattato di diritto commerciale diretto da G. Cottino, vol. VI, La banca, l’impresa e i contratti, Padova, 2001, 404. La norma del co. 2 dell’art. 120 TUB è stata più volte modificata, approdando al testo attualmente vigente che è stato introdotto dall’art. 17- bis del d.l. 14 febbraio 2016, n. 18, inserito in sede di conversione dalla l. 8 aprile 2016, n. 49, per cui v. nota 28. In generale, sul tema ampio degli interessi nelle obbligazioni pecuniarie, la letteratura è vastissima, per cui ex multis, v. C.M. Bianca, Diritto civile, 4, Obbligazione,1990, p. 174 ss.; B. Inzitari, Interessi. Legali, corrispettivi, moratori, usurai, anatocistici, Torino, 2017, passim; E. Quadri, Le obbligazioni pecuniarie, Trattato dir. priv diretto da P. Rescigno, IX, Torino, 1984, p. 433 ss.; M. Trimarchi, Svalutazione monetaria e ritardo nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie, Milano, 1983, passim.
[3] Tali rapporti possono essere identificati come “rapporti pregressi”, per riferirsi, come si evince dal testo, a quelli sorti anteriormente al primo intervento del legislatore speciale regolativo della materia.
[4] Le commissioni di massimo scoperto sono state per la prima volta specificamente disciplinate dall’art. 2 bis “Ulteriori disposizioni concernenti contratti bancari”, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, introdotto in sede di conversione dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2, il cui testo, al comma 1 è stato successivamente integrato dalla previsione dell’art. 2, co.2, d.l. 1 luglio 2009, conv. in l. 102/2009. Il richiamato art. 2 bis, per il periodo della sua vigenza, ha reso legittime, pur nel rispetto di determinate condizioni, sia la commissione di massimo scoperto sia la commissione sull’accordato, distinguendole a livello legislativo (F. Maimeri, La commissione di massimo scoperto fra prassi e legge, Bari, 2010, 112; in senso critico v. R. Marcelli, Il mercato del credito e della finanza: più ombre che luci, in www.ilcaso.it, 23 settembre 2009, 9-10). Precedentemente non esisteva una apposita regolamentazione normativa, sicché sulla base di una sorta di “inquinamento” tra funzione della commissione e sua applicazione (F. Maimeri, La commissione di massimo scoperto, cit., 35 ss. V. anche Cass. 18 gennaio 2006, n. 860, che offre una definizione di c.m.s. come remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma), una parte della giurisprudenza di merito ne affermava la nullità per mancanza di causa (ex multis Trib. Milano, 4 luglio 2002, One Legale). Secondo un altro orientamento giurisprudenziale, invece, le c.m.s. dovevano considerarsi legittime purché oggetto di specifica pattuizione e di preventiva definizione dei criteri di determinazione e delle modalità di calcolo, diversamente dovendosi concludere per la nullità delle correlative clausole in ragione della indeterminatezza dell’oggetto: Trib. Lecce, 5 dicembre 2007, in Corti pugliesi, 2009, 205; nella giurisprudenza di legittimità, v. Cass. Ord., 29 febbraio 2024, n. 5359 in One Legale. Per la illegittimità della c.m.s. in assenza di una specifica pattuizione, pure se applicata anteriormente alla l. 154/1992, v. Trib Lecce 6 marzo 2006, n. 422 in One Legale. In ogni caso, il citato art. 2 bis, l. n. 2/2009, è stato, poi, abrogato dall’art. 27, co.4, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. con mod. in l. 24 marzo 2012, n. 27, e la materia degli oneri relativi alla “remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti”, è ora disciplinata dall’art. 117 bis TUB e dal suo decreto ministeriale di attuazione n. 644, del 30 giugno 2012, ove si fa riferimento in via esclusiva ad una commissione omnicomprensiva e ad una commissione di istruttoria veloce, applicabili in via alternativa nell’ambito, e in base alle condizioni e ai limiti descritti dalla predetta normativa. Per la rilevanza delle c.m.s. ai fini della verifica del superamento del tasso soglia relativamente ai rapporti sorti prima dell’entrata in vigore dell’art. 2 bis d.l. 185/2008, v. Cass., sez. un., 20 giugno 2018, n. 16303, in Giur. civ. comm. 2019,64 ss., con nota di N. Rizzo, Le Sezioni Unite consacrano la simmetria come principio della legge anti-usura, ma si perdono all’ultimo miglio.
[5] Cass. 30 luglio 2024, n. 21344, in DeJure.
[6] Sulla ragionevolezza in tema di interpretazione del contratto, cfr. R. Caprioli, Il paradigma della “persona ragionevole” nella interpretazione del regolamento contrattuale, in Rass dir. civ., 2020, p. 456 ss., in part. p. 478 ss. ove l’Autore afferma che la ragionevolezza costituisce “un concetto da definire, così come da definire sono le modalità del suo impiego”; da qui la propensione, conformemente al formante dottrinale e normativo europeo, per l’impiego del sintagma “persona ragionevole” (Id., op. cit., p. 489). Nel senso della impossibilità di ricondurre la ragionevolezza entro rigidi paradigmi definitori, v., anche, N. Lipari, Diritto civile e ragione, Milano, 2019, p. 60 ss. Sul tema generale della ragionevolezza nel diritto civile, v., S. Patti, La ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2012, e G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015. Sulla buona fede e la ragionevolezza, cfr. anche F. Piraino, Buona fede, ragionevolezza e “efficacia immediata” dei principi, Napoli, 2017. Sulla ragionevolezza della legge, v. L. Paladin, Ragionevolezza (principio di), in Enc. dir., Agg., vol. 1, 1997, p. 899 ss.
[7] G. Lemme, Attualità della nozione di “cliente della banca”, in Rivista dir. bancario, 2021-2022, 267 ss. Allo scritto si rinvia, pure, per i numerosi e importanti richiami alla letteratura sul tema del “cliente bancario”.
[8] Benché occorre dar conto, sia pur con meri richiami, di indirizzi giurisprudenziali e di importanti orientamenti dottrinali che, anche attraverso differenti percorsi argomentativi e differenziate soluzioni, hanno indicato un diverso quadro normativo di riferimento. Si tratta di posizioni, certamente non riducibili ad una mera sorta di contrapposizione all’orientamento della giurisprudenza prevalente, in quanto piuttosto fondate su attente riflessioni relative alla configurazione, alla funzione e allo schema di funzionamento del conto corrente bancario e del suo rapporto con le operazioni in conto, oltre che sulla specificità di tecniche contabili e funzionali spesso del tutto estranee agli schemi degli istituti tradizionali del diritto delle obbligazioni e dei contratti. In giurisprudenza, v. Trib. Roma, 14 aprile 1999, in Contratti, 1999, 653 ss., con nota di R. Zorzoli, Capitalizzazione trimestrale e periodica chiusura del conto; Trib. Roma 26 maggio 1999, in Fallimento, 1999, 1230 ss., con nota di L. Panzani, Anatocismo tra giurisprudenza e nuova legislazione; Trib. Bari 28 febbraio 2002, con nota di A. Spangaro, Anatocismo bancario: i giudici di merito contrastano la Cassazione, in Nuova giur. civ. comm., 2001, 621. In dottrina, per una prospettiva diversa che si colloca fuori della sfera di operatività dell’art. 1283 c.c., v. : G. Cabras, Conto corrente bancario tra diritto e pregiudizio, in Vita notarile, 1999, 509; C. Colombo, Interessi anatocistici ed operazioni bancarie regolate in conto corrente: cosa va e cosa non va in archivio dopo l’intervento delle Sezioni Unite, in Riv. dir. comm., 2005, 163 ss.; P. Ferro-Luzzi, Lezioni di diritto bancario, cit., 151 ss.; Id., Dell’anatocismo, del conto corrente bancario e di tante cose poco commendevoli, in Riv. dir. privato, 2000, 201 ss.; F. Maimeri, Le principali questioni dibattute nei contenziosi in materia di anatocismo bancario, in Banche e banchieri, 2014, 376 ss.; U. Morera, Sulla non configurabilità della fattispecie “anatocismo” nel conto corrente bancario, in Riv. dir. civ., 2005, 1 ss.; G. Porcelli, La disciplina degli interessi bancari tra autonomia ed eteronomia, Napoli, 2003, 162 ss.; M. Semeraro, Pagamenti e forme di circolazione della moneta, Napoli, 2008, 130 ss.; Ead., Anatocismo bancario, divieto di anatocismo e relativo ambito di operatività, in Riv. diritto bancario, 2017, 175 ss.
[9] V. ex multis, Cass. 12 aprile 1980, n. 2335, in Giur. it., 1980, I, 1., 237 ss., con nota di P. D’Amico, Osservazioni in tema di usi e loro estensione soggettiva: materia bancaria, società finanziaria ed anatocismo; Cass., 15 dicembre 1981, n. 6631, in Riv. dir. comm., 1982, 89 ss., con nota adesiva di A. Marini, Anatocismo e usi bancari; Cass. 30 maggio 1989, n. 2644, in Giust. civ., 1989, I, 2034 ss., con nota critica di M. CostanzA, Norme bancarie uniformi e derogabilità degli artt. 1283 e 1284 Codice civile.
[10]Cass. 16 marzo 1999, n. 2374, in Contratti, 1999, 437, con nota di G. De Nova, Capitalizzazione trimestrale: verso un revirement della Cassazione?; in Riv. dir. civ., 1999, 179 ss.; 167 ss., con nota di P. Ferro-Luzzi, Prime considerazioni a margine della sentenza della corte di cassazione del 16 marzo 1999, n. 2374, in tema di anatocismo, usi e conto corrente bancario, in Riv. dir. comm., 1999, 175 ss. Prima di ricevere il crisma delle Sezioni unite (21095/2004), il nuovo indirizzo giurisprudenziale, introdotto dal precedente appena citato, fu seguito da una serie di pronunce conformi della giurisprudenza di legittimità e di merito, per cui v. Cass. 30 marzo 1999, n. 3096, in Foro it., 1999, I, c. 1153 con nota di A. Palmieri e R. Pardolesi; Cass. 11 novembre 1999, n. 12507, in Foro. it., 2000, I, c. 453, con nota di A. Palmieri, L’anatocismo, le banche e il tramonto degli usi: prospective overruling del legislatore, e con nota di A Nigro, L’anatocismo nei rapporti bancari tra passato e futuro, c. 460. Per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Milano 4 luglio 2002, in Banca, borsa tit. cred., 2003, 452 ss., con nota di B. Inzitari, Diversa funzione della chiusura nel conto ordinario e in quello bancario. Anatocismo e commissione di massimo scoperto. Il revirement giurisprudenziale ricevette anche il conforto di vari contributi dottrinali, per cui, v. V. Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in Rass. dir. civ., 1991, 781 ss.
[11] Cass., sez. un., 4 novembre 2004, n. 21095, in Foro it., 2004, I, 2394 ss., con nota di A. Palmieri e R. Pardolesi, L’anatocismo bancario e la bilancia dei Balek, c. 3298; di G. Colangelo, Interessi bancari e meccanismi moltiplicativi delle remunerazioni, c. 3301 ss. e di F. Ferro-Luzzi, Canone inverso. Le Sezioni unite sull’anatocismo bancario: una sconfitta per i consumatori?, c. 3304 ss. La sentenza, pluriannotata, è stata pure pubblicata: in Banca borsa tit. cred., 2005, II, 115, con note di G. Minervini e P. Dalmartello, Stralcio della Memoria Conclusionale prodotta nell’interesse della Banca ricorrente, N. Salanitro, Le Sezioni unite e l’anatocismo bancario, 128 ss., A.A. Dolmetta, Il divieto di anatocismo per le banche dalla gestione del pregresso ai rapporti attuali. Per un uso laico della certezza del diritto, 129 ss., e M. Maffeis, Banche, clienti, anatocismo e prescrizione, 141 ss.; in Diritto banca merc. fin., 2004, 645 ss., con nota di A. Nigro, Anatocismo nei rapporti bancari e Sezioni unite: la fine della «storia infinita»?
[12] Per cui v., ad esempio, Trib. Firenze 8 gennaio 2001, in Nuova Giur, civ. comm., 2001, 617, con nota di A. Spangaro, Anatocismo bancario: i giudici di merito contrastano la Cassazione.
[13] Risale a quegli anni la l. 17 febbraio 1992, n. 154, sulla trasparenza bancaria (poi trasfusa nel Testo unico bancario, d.lgs. 385/1993), con l’obiettivo di riequilibrare le posizioni delle parti del rapporto contrattuale attraverso una informazione completa e veritiera. A Barenghi, La trasparenza bancaria venticinque anni dopo, Napoli, 2018.
[14] Cass., sez. un., 21095/2004, cit.
[15] Per cui v. le considerazioni pregnanti di G. Minervini, Note in tema di estinzione degli usi ( a proposito dei cc.dd. usi bancari anatocistici), in Diritto banca merc. in., 2002, 177 ss.; N. Salanitro, Gli interessi bancari anatocistici, in Banca borsa tit.cred., Supplemento al n. 4, 2004, 4 ss. G. Gabrielli, Capitalizzazione trimestrale di interessi attivi ed usi creditizi, in Riv. dir. civ., 1999, 450 ss. anche per una diversa prospettazione in base alla quale il costante e prolungato inserimento della clausola di capitalizzazione trimestrale nei formulari delle diverse operazioni bancarie regolate in conto corrente ha finito per convertire in uso quella che è nata come condizioni generale di contratto.
[16] L. Bolaffio, Leggi ed usi commerciali. Atti di commercio, Dei commercianti, Dei libri di commercio, in Il codice di commercio commentato, VI ed., vol. I, Torino, 1935, 51 ss.; Sugli usi commerciali, in senso parzialmente diverso, v. C. Vivante, Trattato di diritto commerciale, vol. I, V ed., Milano, 1922, 49.
[17] J. P. Carbonnier, Flessibile diritto, Milano, 1997, passim.
[18] N. Bobbio, La consuetudine come fatto normativo, Padova, 1942; Id., voce Consuetudine (Teoria generale), in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 426 ss., per cui «la credenza, nel che consiste l’opinio, si forma nel momento in cui l’utente ritiene probabile o addirittura certo che se egli violasse la regola, il suo atto sarebbe considerato illecito dall’organo giudiziario incaricato di mettere in moto l’apparato di coazione, nel senso, dunque, che dal punto di vista dell’utente, è giuridica quella consuetudine che egli ha fondata ragione di credere che il giudice applicherà», fermo restando che, si sottolinea, il pensiero dell’illustre filosofo torinese si caratterizza per il ruolo decisivo da lui riconosciuto all’ “elemento esterno” della consuetudine.
[19] In senso critico, v. N. Salanitro, Interessi bancari anatocistici, cit., 4 ss., nonché, A. Palmieri e R. Pardolesi, L’anatocismo bancario e la bilancia dei Balek, cit., 2398 ss. Il tema generale del carattere retroattivo dei mutamenti giurisprudenziali, ampiamente esplorato nei sistemi di common law, costituisce oggetto di studio e di attenzione anche da parte della nostra dottrina, per cui v. U. Mattei, Precedente giudiziario e stare decisis, in Digesto disc. priv., sez. civ., XIV, Torino, 1996, 148 ss. 150 ss.; ciò, pure, in ragione di una data evoluzione del nostro sistema ordinamentale che, peraltro, contribuisce a spiegare la vastità e l’importanza della letteratura sul valore del precedente giudiziale, e più ampiamente, sul ruolo della giurisprudenza nella formazione del diritto. Per il riconoscimento del carattere creativo dell’attività interpretativa si rinvia a P. Grossi, Prima lezione di diritto, Roma – Bari, 2003, 44 e 103 ss.
[20] P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, III ed., Napoli, 2006, 403 ss.
[21] Cass., sez. un., . dicembre 2010, n. 24418, in Foro it., 428, con nota di A. Palmieri
[22] Per cui v., ex multis, Trib. Roma, 12 gennaio 2007, in Foro it., 2007, I, 1947; Cass. 29 settembre 2015, n. 19341, in Giur. it., 2016, 1875 ss., con nota di E. Scarantino, L’anatocismo bancario e le conseguenze della nullità delle clausole del contratto.
[23] F. Maimeri, La capitalizzazione degli interessi fra legge di stabilità e decreto di competitività, in Riv. diritto bancario, 2014, 23 ss.
[24] Cfr., in questo senso, la critica mossa da A. Riccio (Anantocismo: svolta clamorosa della Corte costituzionale, in Contratto e impr., 2007, 1395 ss.), alla sentenza del 12 ottobre 2007, n. 341 (in Foro it., 2008, I, 2100) , con cui la Consulta ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 120 TUB, sollevata dal tribunale vicentino.
[25] Per cui cfr. A.V. Petraglia, Le modifiche al Testo Unico bancario e l’anatocismo: qualche considerazione a “caldo”, in Corr. giur., 1999, 1323.
[26] M. Semeraro, Equilibrio del contratto e del rapporto nel c.d. anatocismo bancario, in Rass. dir.civ., 2011, 977 ss. V. anche le considerazioni di A. Palmieri, L’anatocismo, le banche e il tramonto degli usi; un prospective overruling del legislatore?, in Foro it., 2000, I, 457.
[27] Ove la disciplina prevista in materia di anatocismo per il sistema bancario o, più in generale, per le attività di natura commerciale, era diversa da quella prevista nei rapporti di diritto civile. V., a questo proposito, per i richiami all’ordinamento francese, G. Cabras, Anatocismo e conto corrente bancario, cit., 297, e per quelli all’ordinamento tedesco, A. Palmieri, op. loc. ult. cit. La necessità di un riallineamento agli ordinamenti comunitari risalta anche nella pronuncia della Corte costituzionale n. 341/2007, cit., fondando le ragioni della conclusione per cui la novella normativa rappresentava un coerente sviluppo delle scelte espresse dal legislatore delegato.
[28] Per una posizione diversa, cfr., invece, F. Dell’Anna Misurale e G. Dell’Anna Misurale, La Cassazione boccia l’applicazione del saldo zero nell’azione di accertamento negativo promossa dal correntista, in Riv. dir. bancario, 2015, 1 ss.
[29] Si ribadisce, quanto già affermato nel testo per cui è senz’altro lodevole lo sforzo giurisprudenziale teso a fornire tutela al contraente debole nel rapporto, fisiologicamente asimmetrico, con l’istituto di credito; tuttavia, si critica l’atteggiamento frequentemente da essa assunto nella vicenda che qui interessa con cui trascura del tutto di considerare gli interessi della parte forte, sebbene in modo strumentale per conseguire l’obiettivo del riequilibrio necessario del rapporto fra istituto creditizio e cliente bancario, parte debole dello stesso. Sui rapporti contrattuali asimmetrici, v., in generale, A. Zoppini, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina della concorrenza, in Riv. dir. civ., 2008, 515 ss. Sul carattere “accentuato” della “asimmetria dimensionale, economica e informativa”, tra banca e cliente bancario, v., invece, G. Lemme, Attualità della nozione di “cliente della banca”, cit., p. 267 ss.
[30]Secondo il quale, in tema di contratto di conto corrente, la sostituzione della reciproca capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi all’assenza di capitalizzazione per effetto della declaratoria di nullità della clausola contrattuale anatocistica determina un peggioramento delle condizioni in precedenza applicate al conto corrente, sicché è indispensabile un nuovo accordo espresso fra banca e cliente. Così, Cass. 19 maggio 2020, n. 9140, in Foro it., 2020, n. 3906; e più di recente, Cass., Ord., 2 aprile 2024, n. 8639.
[31] Per cui v. infra par. 4.
[32] L. Mengoni, voce Diritto vivente, in Dig. disc. priv., Dir. civ., VI, Torino, 1990, 445 ss.
[33] Corte cost. 17 ottobre 2000, n. 425, in Foro it., 2000, I, 3045.
[34] Corte cost. 425/2000, cit.
[35] In dottrina, si è espresso in senso favorevole al riconoscimento del carattere interpretativo della norma espulsa: A. Nigro, L’anatocismo nei rapporti bancari tra presente futuro, in Foro it., 2000, I, 460 ss. Contra: A. Carozzi, Dopo la pronuncia della consulta si riapre il dibattito sull’anatocismo bancario, in Dir. banca merc. fin., 2001, 214.
[36] Per cui v. note 19 e 51.
[37] Per cui v. da ultimo, Cass. 15 febbraio 2024, n. 4214 e nella giurisprudenza di merito, Trib. Napoli 4 marzo 2024, n. 2509, entrambe in One Legale.
[38] Il testo precedente alla citata modifica, così statuiva “Le nullità previste dal presente titolo possono essere fatte valere solo dal cliente”.
[39] Cass., sez. un., 21095/2014, cit..
[40] Cass. 8 maggio 2008, n. 11466 in Guida al diritto, 2008, 31, 75. Parzialmente difforme, Cass. 1 marzo 2007, n. 4853, in Foro it., 2008, 1258. Sulla rilevabilità d’ufficio della nullità delle clausole anatocistiche, v. Cass. 5 ottobre 2017, n. 23278; Cass. 17 agosto 2016, n. 17150, in Foro it., Rep. 2016. voce Contratti bancari, nn. 58 e 63; Cass. 22 marzo 2011, in Foro it., Rep. 2011, voce Interessi, n. 6. Sulla rilevabilità d’ufficio, v., in generale, S. Monticelli, Contratto nullo e fattispecie, Padova, 1995; Id., Fondamento e funzione della rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale, in Riv. dir.civ., 1990, 669 ss.
[41] C. Consolo, Poteri processuali e contratto invalido, in Studi in memoria di Giovanni Gabrielli a cura di L. Pellegrini. I, Napoli, 2018, p. 617.
[42] Cass. 24 aprile 1981, n. 2413; Cass. 18.1.1983, n. 460.
[43] Il riferimento è, innanzitutto, a Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, in Foro it. 2015, I, 862, con note di: M. Adorno, Sulla rilevabilità d’ufficio della nullità contrattuale: il nuovo intervento delle sezioni unite, c. 909; F. Di Ciommo, La rilevabilità d’ufficio ex art. 1421 c.c. secondo le sezioni unite: la nullità presa (quasi) sul serio, c. 922; A. Palmieri e R Pardolesi, Nullità negoziale e rilevazione officiosa a tutto campo (o quasi), c. 916; A. Proto Pisani, Rilevabilità d’ufficio della nullità contrattuale: una decisione storica delle sezioni unite, c. 944.; S. Menchini, Le sezioni unite fanno chiarezza sull’oggetto dei giudizi di impugnativa negoziale: esso è rappresentato dal rapporto giuridico scaturito dal contratto, c. 931; S. Pagliantini, Nullità di protezione e facoltà di non avvalersi della dichiarabilità: quid iuris?, c. 928. V., anche, U. Malvagna, Le Sezioni Unite e la nullità di protezione ex art. 127 TUB, in Riv. dir. bancario, 2015, 1 ss. In materia, è, altresì, importante il rinvio a Cass., sez. un., 16 gennaio 2018, n. 898, per cui v. S. Pagliantini, La nullità di protezione come nullità selettiva, in Foro it., I, 2018, c. 980 ss., che ipotizza un regime delle restituzioni “asimmetrico”, nonché a Cass., sez. un., 4 novembre 2019, n. 28314, in Foro it., 2020, I, 934 per cui v., ex multis, C. Scognamiglio, Le Sezioni Unite e le nullità selettive: un nuovo spazio di operatività per la clausola generale di buona fede, in Corriere giuridico, 2020, 1 ss., in particolare, a proposito dell’utilizzo “trasversale della clausola generale di buona fede”, prospettato dalla giurisprudenza, con “funzione di riequilibrio del rapporto […] a polarità invertita” (Id., op.loc.cit.).
[44] Cass. del 26 giugno 2015, n. 13287, in Giust. Civ.,2015, 2319 con nota adesiva di Martina Cocco.
[45] In generale sulla nullità di protezione, v. G. Passagnoli, Nullità speciali, Milano, 1995; V. Roppo, Il contratto del duemila, Milano, 2002, 29 ss., che parla C.M. Bianca Diritto civile, 3, Contratto, Milano, 2019, 339 ss.; G. Perlingieri. La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria dei negozi giuridici, Napoli, 2010.
[46] M. Mantovani, Le nullità e il contratto nullo, in Trattato del contratto diretto da V. Roppo, Milano, 2006, 86 ss.
[47] Cass., sez. un., 4 settembre 2012, n. 14828, in Contratti, 2012, 869 ss., con nota critica di S. Pagliantini, La rilevabilità officiosa della nullità secondo il canone delle SS.UU: “Eppur si muove?”
[48] Cass., sez. un., 26242/2014, cit.
[49] S. Pagliantini, La rilevabilità officiosa della nullità, cit., 869 ss.
[50] P. Perlingieri, op. ult. loc. cit.
[51] D’altro canto, la prospettazione rappresentata non è in contrasto con il potere riconosciuto al garante di sollevare l’eccezione di nullità della clausola anatocistica non sorretta da un uso normativo, bensì da un uso negoziale. Trattandosi del fideiussore ciò trova fondamento nel dato testuale offerto dalla disciplina normativa (art. 1945 c.c.), mentre con riferimento al contratto autonomo di garanzia, sulla scia di un indirizzo consolidato per cui qui il garante è legittimato a proporre le eccezioni fondate sulla nullità del contratto base per violazione di norme imperative, la giurisprudenza afferma che “nei confronti della banca, l’eccezione di nullità della clausola anatocistica allorquando essa non si fondi su di un uso normativo, può essere sollevata anche dal garante, atteso che la soluzione contraria consentirebbe al creditore di ottenere, per il tramite del primo, un risultato che l’ordinamento vieta” (Cass. Ordinanza n. 371 del 10 gennaio 2018, n. 371, 235 ss. in Banca borsa tit. cred., con nota di F. Attanasio, Sulla legittimazione del garante a proporre l’azione di nullità della clausola anatocistica: perdita dell’autonomia della garanzia?).
[52] Trib. Roma 12 gennaio 2007, in Foro it., 2007, I, 1947. Tale soluzione interpretativa, sia pure diversamente argomentata, sembra essere sostanzialmente fondata sulla ricerca di un criterio equitativo, pur senza specifici riferimenti testuali. Sulla esclusione della applicazione della capitalizzazione annuale per effetto dell’applicazione analogica della disciplina del cono corrente ordinario, v. Cass 29 settembre. 2015, n. 19341, cit.
[53] Con cui si sarebbe potuta valutare la sorte dei rapporti pregressi. Sul tema generale v. R. Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, rist. II ed., Napoli, 2008, 349 ss. e C. Donisi, In tema di nullità sopravvenuta del negozio giuridico, in Riv. trim dir. proc. civ., 1967, 755 ss. Invece, nella prospettiva inversa della “validità sopravvenuta” delle clausole anatocistiche, v. P. Ferro- Luzzi, Prologomeni in tema di “validità sopravvenuta” (considerazioni in tema di modifiche al testo unico bancario in tema di anatocismo), in Riv dir. comm., 1999, 879 ss.
[54] Fermo restando, ovviamente, l’accoglimento dell’indirizzo conclamato dalla sentenza considerata del 30 luglio 2024, n. 21344, da cui, però, per le ragioni tra poco esposte nel testo si ritiene di dissentire.
[55] In effetti, qui verrebbe in considerazione una nullità testuale perché la clausola anatocistica sarebbe in contrasto con una precisa norma del testo unico bancario (art. 120, co.2, T.U.B.); essa si atteggerebbe, inoltre, come una nullità di protezione specificamente contemplata dall’art. 127, co. 1, n. 2, T.U.B. In definitiva, però, la differenza rispetto alla nullità virtuale di protezione prospettata nel testo con riguardo alla norma codicistica dell’art. 1283 c.c. risulta solo apparente, in quanto le fattispecie sono sottoposte al medesimo regime giuridico.
[56] In particolare, il testo dell’art. 120, co. 2, T.U.B., così come modificato dalla legge di stabilità del 2014, a cui si fa riferimento nel testo, così disponeva “Il Circ stabilisce modalità e criteri per la produzione degli interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi, sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale. La legge di stabilità è entrata in vigore il 1° gennaio 2014. La delibera non è mai stata adottata”.
[57] G. Colangelo, Anatocismo: il lungo addio, in Il Foro it., 2016, I, 1101; AA. Dolmetta, Sopravvenuta abrogazione del potere bancario di anatocismo, in Banca borsa tit. cred., 2015, p. 277 ss.; V. Farina, Le recenti modifiche dell’art. 120 TUB e la loro incidenza sulla delibera CICR 9 febbraio 2000, in www.dirittobancario.it. In giurisprudenza v., ex multis, Trib. Milano, 25 marzo 2015, in www.ilcaso.it.
[58] F. Maimeri, Le principali questioni dibattute nei contenziosi in materia bancaria, cit., 376 ss. In giurisprudenza, cfr., ex multis, Trib. Cosenza 27 maggio 2015, in www.expartecreditoris.it.
[59] V., a questo proposito, A. Gentili, Senso e consenso. Storia, teoria e tecnica dell’interpretazione dei contratti. I. Storia e teoria, Torino, 256
[60] V. Farina, La (ennesima) resurrezione dell’anatocismo bancario, in Contratti, 2016, 705 ss. Sulla novella normativa, cfr., anche, U. Morera, Anatocismo bancario: questioni aperte sul nuovo art. 120, comma 2, T.U.B, in Banca borsa tit. cred., 2016, p. 122 ss. Per una “prospettiva” diversa, v. M. Semeraro, Anatocismo bancario, cit., 175 ss. In giurisprudenza v. Trib. Padova 23 novembre 2023, n. 2341, in One Legale, che ha affermato la validità della clausola anatocistica pattuita per il periodo successivo alla entrata in vigore del nuovo testo normativo. In particolare il testo vigente dell’art. 120, co. 2, TUB così dispone: Il Cicr stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: A9 nei rapporti di conto corrente o di conto pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno : gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti; b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili, 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo. La delibera Cicr è stata attuata con decreto (3 agosto 2016, n. 343)del Ministro dell’economia e delle finanze in qualità di Presidente del Cicr.
[61] F. Maimeri, op. loc. cit.
[62] V., in questo senso il Consiglio nazionale del notariato, Quesito civilistico n. 80-2014/C, per cui il legislatore utilizzando uno dei modelli di delegificazione previsti dall’art. 17 della l. 23 agosto 1998, n. 400, avrebbe affidato al CICR – come si evince dalla norma, il compito di dettare regole che completano il precetto legislativo contenuto nella legge delega. Si sarebbe in presenza, in altri termini, di una legislazione integrata”.
[63] N. Mancini, L’anatocismo bancario alla luce dei mutamenti normativi dell’estate 2014. (art. 120, comma 2, come modificato dalla l. 27 dicembre 2013, n. 147), in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 328 ss.
[64] In particolare, la proposta si appunta specificamente sulla individuazione del momento nel quale gli interessi conteggiati diventano esigibili e, conseguentemente, sulle modalità del loro pagamento.
[65] Valgano, qui, ancora una volta le considerazioni svolte da F. Maimeri, op. cit. , p. 404 ss. , per cui il “il fai da te applicativo” non può essere consentito “per ragioni che acquistano valenza strutturale dell’ordinamento bancario e giustificano una volta di più il meccanismo delle disposizioni di vigilanza sancito dall’art. 161, co. 5, t.u.b.: la generalità del tema dell’anatocismo, che interessa la assoluta maggioranza delle operazioni bancarie di raccolta e di impiego, investe importanti settori in cui l’uniformità nell’approccio operativo è assolutamente indispensabile”.
[66] Per cui v. art. 2, co.2, d.lgs. 72/2015, attuativo della dir. 2013/36/UE, richiamato anche dalla Corte di appello a supporto della tesi sostenuta e non accolta nella sentenza considerata della Suprema Corte.
[67] Per cui v. a questo proposito, Trib. Bologna, 9 dicembre 2015, in www.ilcaso.it; Trib. Bologna, 25 marzo 2016, in www.expartecreditoris.it esclude il carattere singolare della disposizione richiamata, Montedoro, Commento all’art. 161 t.u.b., in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, Padova, 1994, p. 795, per cui la norma deve considerarsi parte di un sistema nella quale “una nuova disposizione, in quanto norma sulla produzione, non può avere di per sé effetto caducante sugli atti adottati nel vigore della legge preesistente, con la conseguenza che la nuova formulazione dell’art. 120, co. 2, t.u.b. – al pari dei quella previgente – in quanto contenente precetti da specificare in sede di normazione secondaria, non è immediatamente applicabile”. D’altro canto, la esigenza della regolamentazione della successione nel tempo di discipline normative realizzate attraverso la tecnica della delegificazione, avvertita anche dalla disciplina generale del d.lgs. n. 400 del 1988, in materia di Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del consiglio dei Ministri Che all’art. 17, comma 2, dispone che “Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato (e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta), sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari.
[67] V. Farina, Gli interessi “uso piazza”, L’anatocismo e la commissione di massimo scoperto, in Squilibrio e usura nei contratti, cit., 419 ss.; D. Maffeis, Anatocismo bancario e ripetizione degli interessi, in Contratti, 2001, 406 ss.
[68] V. Farina, Gli interessi “uso piazza”, L’anatocismo e la commissione di massimo scoperto, in Squilibrio e usura nei contratti, cit., 419 ss.; D. Maffeis, Anatocismo bancario e ripetizione degli interessi, in Contratti, 2001, 406 ss.
[69] Tra cui vi è chi ha fatto riferimento all’ azione generale di arricchimento, in virtù del suo carattere residuale: P. Pisani, Anatocismo bancario e ingiustificato arricchimento, in Squilibrio e usura nei contratti a cura di G. Vettori, Padova, 2002, 525 ss. Sul profilo della “sussidiarietà” del rimedio, v. Cass. sez. un., 5 dicembre 2023, n. 33954, in Foro it. 2024, c. 121 ss., con note di G. Fabrizzi, S. di Paola e R. Pardolesi, S. Pagliantini, A. Albanese, F. Macario.
[70] C.M. Bianca, Diritto civile, 5, Responsabilità, Milano, 2012, 802. In senso conforme Cass. 15 aprile 2010, n. 9052, in Foro it., Rep. 2010, voce Indebito, nn. 4 e 7.
[71] E. Moscati, Del pagamento dell’indebito, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 118.
[72] Sicchè “la restituzione della prestazione eseguita in virtù di un contratto nullo non è mero riflesso della pronuncia di nullità, ma trova autonomo fondamento nella circostanza che una prestazione non dovuta sia stata (materialmente) eseguita” (M. Mantovani, op. cit., 95 ss.). In questo senso, v. Cass. 13 aprile 2005, n. 7651, in Foro it., Rep. 2005, voce Indebito, n. 4.
[73] Cass. sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418, in Foro it 2011, I, 428, con nota di A. Palmieri, ed altresì, ex multis, in Riv. dir. comm., 2011, 418 ss., con nota di P. Ferro-Luzzi, In cauda venenum (Nota a Cassazione Sezioni Unite, 2 dicembre 2010, n. 24418, in Riv. dir. comm., 2011, 418 ss.; in Nuova giur. civ. comm., 2011, 291 ss., con nota di P. Bontempi, «L’anatocismo bancario torna di attualità»; in Danno e Resp., 2011, 493 ss., con nota di G. Colangelo, Siamo tutti falliti? Limiti di una decisione zoppicante e, ancora, ivi, nota di M. Flick, Dies a quo del termine di prescrizione e anatocismo: un nuovo vestito per un vecchio problema. 612 ss.
[74] U. Salanitro, L’inizio della decorrenza della prescrizione dell’azione di ripetizione degli interessi anatocistici nel conto corrente bancario, orientamenti giurisprudenziali e soluzioni legislative, in Banca borsa tit. cred., 2011, 400 ss.
[75] Ex multis, Trib. Genova 4 maggio 2008, in Guida al diritto, 2008
[76] Cass. 9 aprile 1984, n. 2262, in Foro it., 1984, voce Contratti bancari n. 23; Cass. 14 maggio 2005, n. 10127 in Riv. dir. comm, 2005, 163 ss., con nota di C. Colombo, Interessi anatocistici ed operazioni bancarie regolate in conto corrente: cosa va e cosa non va in archivio dopo l’intervento delle Sezioni Unite.; per la giurisprudenza di merito, v. App. Lecce 22 ottobre 2001, in Foro it., 2002, I, 555.
[77] Per cui v. U. Salanitro, L’inizio della decorrenza della prescrizione dell’azione di ripetizione degli interessi anatocistici, cit., 2011, 400 ss., ed, altresì, G. Tarzia, Questioni in tema di interessi, commissioni di massimo scoperto e prescrizione per la ripetizione di illegittimi addebiti nei conti correnti bancari, in Corriere giuridico, 2010, 391, ss.,
[78] Per una ricostruzione dei rapporti fra apertura di credito e conto corrente bancario, v. anche G. Molle, I contratti bancari, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1981
[79] Per cui v. S. Scotti-Camuzzi, La restituzione ai clienti degli interessi anatocistici che la banca ha addebitato in passato sul loro c/c (effetti della sentenza Cass. se. Un., 4 novembre 2004, n. 21095), in Banca borsa tit. cred., 2005, 253 ss. In giurisprudenza, v. Cass. 5 settembre 2018, n. 21646, in Foro it., Rep. 2018, voce Contratti bancari, n. 34, a proposito dell’interesse del correntista all’accertamento giudiziale, prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale, depurato dalle appostazioni legittime.
[80] Cass. 6 novembre 2007, n. 23107, in Foro it., Rep. 2007, voce Fallimento n. 557.
[81] Cass., sez. un., 24418/2010, cit.
[82] V. S. Scotti-Camuzzi, La restituzione ai clienti degli interessi anatocistici, cit., 253 ss.
[83] Sebbene accogliendo questo indirizzo un fenomeno anatocistico ricorre nelle sole ipotesi delle annotazioni fuori fido o senza fido per cui si rinvia alla Dottrina richiamata supra nota 5.
[84] Corte cost., 5 aprile 2012, n. 78, in Foro it. 2012, I, 2599, con nota di A. Palmieri, Incostituzionalità dell’interpretazione autentica in materia di decorrenza della prescrizione nei rapporti bancari regolati in conto corrente, e, altresì, in Banca borsa tit. cred., 2012, con note di A.A. Dolmetta, Dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 78/2012 (retroattività di leggi bancarie, prescrizione della ripetizione per titolo invalido di versamenti in c/c e diritto vivente dell’anatocismo), 431ss., di U. Salanitro, Retroattività e affidamento: la ragionevolezza del comma 61(art. 2 d.l. n. 225/2010, conv. L. n. 10/2011), 443 ss. La norma, battezzata come norma “salva banche (A.Tanza, Anatocismo: la Consulta boccia la norma “salva banche 3” in www.altalex.it), in particolare disponeva In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 c.c. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
[85] Diversamente, invece, sarebbe stato se il legislatore fosse intervenuto con una norma di interpretazione autentica del combinato disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., con riferimento al significato giuridico dei vari “prelevamenti” e “versamenti”, risolvendo il problema – molto dibattuto in dottrina e in giurisprudenza, per le differenti applicazioni in sede fallimentare e di funzionalità del conto corrente affidato – del rapporto tra l’obbligo della banca di “tenere a disposizione” del correntista “una somma di danaro” ed il diritto dello stesso di “utilizzare più volte il credito verso la banca” per la concessa disponibilità, ripristinabile con i successivi versamenti. le conseguenze applicative sarebbero state, allora, naturali, e così pure in tema di decorrenza della prescrizione per la ripetizione di somme non dovute nel caso di addebiti illegittimi da parte della banca.
[86] Per cui v., da ultimo, Cass. 15 febbraio 2024, n. 4214, in One Legale; Cass. Ord. 13 aprile 2023, n. 9806 in One legale.
[87] Per cui v. Cass., sez. un., 13 giugno 2019, n. 15895, in Giur. it., con nota di E. Minervini, Versamenti in conto corrente e prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito, 1830 ss.
[88] Il riferimento è alla questione relativa all’utilizzo del saldo contabile ovvero del saldo rettificato ai fini della individuazione della natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse. Sul saldo banca, cioè quello risultante dagli estratti conto, v. V. Tavormina, Sull’applicazione delle Sezioni Unite n. 24418/2010, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 78/2012; dinamiche processuali, in Banca borsa tit. cred., 2012, 464 ss.; sul saldo rettificato, quello ricalcolato dal consulente tecnico d’ufficio, previa eliminazione delle poste illegittimamente addebitate, v. R. Marcelli, Prescrizione e anatocismo negli affidamenti bancari. I principi stabiliti dalla sentenza della Cassazione S.U. 2 dicembre 2010, n. 24418: quelli enunciati e quelli impliciti, in www.ilcaso.it, 2011. In giurisprudenza, v., da ultimo, Cass.Ord., 24 gennaio 2024, in Diritto del risparmio, 2024.
[89] Ex multis Cass. 30 novembre 2017, n. 28819, in Foro it, Rep. Voce Contratti bancari, n. 50.
[90] Che, in realtà, trova la sua radice nella giurisprudenza formatasi in tema di revocatoria fallimentare, ante L. n. 80/2005, ferma nel ritenere che non sia affetta da nullità per indeterminatezza dell’oggetto o della causa petendi la citazione contenente la domanda di revocatoria fallimentare di pagamenti costituiti da rimesse di conto corrente bancario, seppur in mancanza d’indicazione dei singoli versamenti solutori (Cass. sez. un. n. 8077 del 2012).
[91] Cass. 15895/2019, cit., che, anche nel rispetto di un principio di simmetria, afferma, infatti, che la banca convenuta in giudizio dal correntista per la ripetizione di somme alla stessa indebitamente corrisposte, svolgendo la sua difesa con la eccezione di prescrizione ha l’onere di allegare l’inerzia (elemento costitutivo della prescrizione estintiva), manifestando le volontà di volersene avvalere, e genericamente tutte le rimesse affluite sul conto in data anteriore al decennio decorrente a ritroso dalla data di notificazione della domanda giudiziale, non dovendo, invece, specificamente indicare le singole rimesse aventi natura solutoria. E tanto vale maggiormente allor quando ci si trovi in presenza di un conto non affidato, perché tale evenienza determina come conseguenza che le rimesse affluite sul conto in passivo non possano avere natura ripristinatoria (E.Minervini, Versamenti in conto corrente, cit., 1839.
[92] Costituendo, come di regola si verifica, il principale strumento di difesa delle ragioni dell’istituto di credito.
[93] Per cui “il correntista […] potrà limitarsi ad indicare l’esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione in riferimento ad un dato conto e ad un tempo determinato, e la Banca, dal canto suo, potrà limitarsi ad allegare l’inerzia dell’attore in ripetizione, e dichiarare di volerne profittare” (Cass. 15895/2022).
[94] Ex plurimis, Cass. 27.11.2018, n. 30713, in Foro it., Rep. 2018, voce Contratto in generale, n. 34; voce Indebito, n. 1,
[95] Si rileva, infatti, che “ovviamente se l’indebito non concerne tutto l’importo pagato, ma solo una parte di esso, chi allega di avere effettuato un pagamento dovuto solo in parte, e propone nei confronti dell’accipiens l’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo per la somma pagata in eccedenza, ha l’onere di provare l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta”. Cass 23.08.2000, n. 11029, Foro it., Rep. 2000, voce Indebito, n. 6; Cass. 13.11. 2003, n. 17146 in Foro .it., Rep. 2003, voce Obbligazioni in genere, 63; Cass. 17.03.2006, n. n 5896, in Foro it. Rep. 2006, voce Indebito, n. 3.
[96] Risulta, pertanto, evidente, si ribadisce, il richiamo alla distinzione tra rimesse ripristinatorie e solutorie delle SS.UU. 2010 e ai criteri da queste indicati per identificare i versamenti in conto corrente corrispondenti a veri e propri pagamenti, con consequenziale esclusione dal novero di questi ultimi delle annotazioni in conto, salvo che nelle ipotesi patologiche indicate dalla giurisprudenza richiamata.
[97] Cass. 17 aprile 2020, n. 7895, in Foro it., Rep. 2020, voce Contratti bancari, n. 31. V. F. Vismara, Controversie in tema di rapporti bancari e onere della prova alla luce della recente giurisprudenza, in Contratti, 2022, 228 ss.
[98] Cass., del 2 maggio 2019, 11543, in Foro it., 2019, c. 3231, con nota di P. Laghezza, La prova (parziale) degli estratti conto.
[99] Si vuole fare riferimento, in particolare, a indirizzi giurisprudenziali che appaiono essere, invece, in linea di continuità con la più volte citata giurisprudenza della primavera del ’99 e con i suoi ulteriori sviluppi. Essi, attraverso l’applicazione del criterio della vicinanza della prova (Cass. sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Foro, it., 2002, c. 769 con nota di P. Laghezza) e una conseguente attenuazione delle regole del riparto dell’onere probatorio, costituiscono, come è stato affermato. “il tentativo di inclinare il piano sostanziale per riversare su quello del processo regole di protezione che solo sul primo possono avere giustificazione” (F. Dell’Anna Misurale e G. Dell’ANNA Misurale, op. ult. cit., 5.). Diversa è la posizione di chi ritiene che dare applicazione al criterio della vicinanza della prova con riguardo ai contratti di impresa, significa attribuire rilevanza processuale alla posizione di strutturale differenza tra le parti che il binomio concettuale produttore-cliente contiene (AA. Dolmetta e U. Malvagna, Vicinanza della prova in materia di contenzioso bancario. Spunti (I.Il saldo zero), in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 2014 p. 10.)
[100] Cass. Ord., 28 novembre 2018, n. 30822, in Foro it., 2018, Rep. voce Contratti bancari, n. 32.
[101] Infatti, secondo la ricostruzione effettuata dall’ordinanza annotata, “Nel caso di specie, la Corte di appello, dopo aver affermato che il correntista che agisce in ripetizione di indebiti pagamenti ha lo specifico onere di produrre tutti gli estratti conto periodici dalla data di avvio del rapporto fino alla sua chiusura, essendo altrimenti impossibile stabilire con esattezza le somme da ultimo rilevate alla chiusura del conto, e dunque verificare l’esistenza e l’entità di somme dovute in restituzione, ha rilevato che nella specie non vi era la prova del pagamento oggetto della richiesta di restituzione, perché mancava l’ultimo estratto conto, dal quale poteva dedursi l’esistenza di un credito o di un debito del correntista al momento della chiusura del conto, e non era attestato da nessuna parte nemmeno se si trattava di saldo positivo o di saldo negativo, senza che tale carenza fosse colmabile in alcun modo, neppure considerando la situazione contabile risultante dal penultimo estratto conto, perché non poteva escludersi che nei due mesi successivi al 31/12/2000, che precedevano la chiusura del conto, avvenuta il 05/03/2001 fossero intervenuti movimenti incidenti sulla determinazione del credito in restituzione”.
[102] O viceversa. Lo stesso ragionamento è stato esteso alle ipotesi in cui il problema della produzione giudiziale di documentazione incompleta riguardi giudizi nei quali la banca assuma la posizione di attrice (v. anche nota successiva). Con riferimento all’onere del correntista, oltre a Cass. 11543/2019, v. Cass., 13 settembre 2021, n. 24641, in Foro it., Rep. 2021, voce Contratti bancari, n. 69.
[103] Per cui, quando il giudizio sia stato promosso dalla banca, l’accertamento del dare e avere può del pare attuarsi con l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; è possibile poi prendere in considerazione quegli ulteriori elementi che, pur non fornendo indicazioni atte a ricostruire l’evoluzione del rapporto, consentono quantomeno di escludere che il correntista, nel periodo per cui gli estratti conto sono mancanti, abbia maturato un indeterminato credito, piuttosto che un debito nei confronti della banca: sicché in quest’ultima ipotesi è possibile assumere, come dato di partenza per la rielaborazione delle successive operazioni documentate, il saldo zero; in mancanza di elementi nei due sensi indicati la domanda andrà respinta per il mancato assolvimento dell’onere probatorio incombente sulla banca che ha intrapreso il giudizio”. Il diverso criterio applicato nei giudizi in cui la banca è attrice “si spiega facilmente perché essa deve fornire una base certa per la rielaborazione del conto e tale base non è offerta se la medesima non riesca ad eliminare l’incertezza quanto al fatto che al momento iniziale del periodo rendicontato il correntista possa essere creditore di un importo di indeterminato ammontare. Diversi ancora sono i criteri applicati nei giudizi in cui banca e correntista propongono domande contrapposte (Così, Cass. 11543/2019, cit.).
[104] Di diverso avviso è, invece, quella parte della giurisprudenza di merito (ex multis, Trib. Casoria 23 settembre 2011, n. 416, inedita) che, facendo riferimento al criterio della vicinanza della prova, statuisce che in caso di mancata produzione in giudizio degli estratti conto iniziali, il ricalcolo del quantum dovuto dal cliente, nei giudizi di accertamento negativo del debito nei confronti della banca, in cui vi è la necessità di espungere dal saldo finale gli interessi non dovuti, debba essere effettuato avendo come base di partenza il c.d. saldo zero. Questo orientamento ha ricevuto l’avallo di una parte della dottrina che ha valutato “ragionevole” tale approdo M. (M. Semeraro, Anatocismo bancario, cit., 175 ss.), argomentando dall’obbligo della banca di tenuta delle scritture contabili ex art. 2220 c.c. ed altresì dall’obbligo ex art. 119 c.c. TUB, di fornire al cliente, su sua richiesta, la documentazione inerente alle singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. In questo senso, v., anche AA. Dolmetta e U. Malvagna, Vicinanza della prova in materia di contenzioso bancario, cit. Diverso è l’indirizzo che si è formato nella giurisprudenza di legittimità, per cui v. Cass. 9210/2015, cit., con nota adesiva di F. Dell’Anna Misurale e G. Dell’Anna Misurale, La Cassazione boccia l’applicazione del saldo zero, cit. V., anche, Cass. 30 novembre 2017, n. 28819, cit. Inoltre, per i giudizi in cui l’istituto di credito e il cliente propongono domande contrapposte v. Cass. 11543/2019, cit. e Cass. 15 maggio 2023, n. 13139, in One Legale. Al criterio della vicinanza della prova si fa riferimento anche con riguardo alla questione dibattuta relativa alla possibilità e ai limiti di esercizio in via giudiziale del diritto attributo al correntista dalla norma dell’art. 119, co. 4, TUB, per cui v. infra nota 95.
[105] Cass. 29190/2020.
[106] Per cui v. l’importante arresto di Cass., sez. un., 13.9.2022, n. 6500, in Foro it., Rep. 2022, voce Consulente, nn. 15, 16, 17, 30, 31.
[107] La consulenza tecnica d’ufficio, infatti, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, è sottratta alla disponibilità delle parti e affidata al prudente apprezzamento del giudice.
[108] Cass. Ord., 21.12.2020, n. 29190, in Foro it., Rep. 2020, voce Contratti bancari, n. 30.
[109] Cass. 20621/2020, cit.
[110] E ciò al di fuori di qualsiasi previsione legislativa. Così, Cass. 13 settembre 2021, n. 24641, in Foro it., Rep. 2021, voce Contratti bancari, n. 69, per cui il diritto riconosciuto al cliente e agli altri soggetti indicati dall’art. 190, co. 4, TUB, ad ottenere a proprie spese copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l’istanza di cui all’art. 210 c.p.c., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca che, senza giustificazione, non vi abbia provveduto. In senso contrario, v. ex multis, Cass. Ord., 30.10.2020, n. 24181, Foro it., Rep. 2020, voce Contratti bancari, n. 18. Con riferimento all’ambito di operatività della richiamata previsione normativa, v. E. Minervini, Sull’ambito di applicazione dell’art. 119, 4° comma T.U.B., in Giur it., 2021, 1326 ss.
[111] Per cui cfr. gli AA. citati supra nota 6.