I provvedimenti giudiziali in esame testimoniano come la vicenda giurisprudenziale, ancora per molti profili controversa, dell’anatocismo bancario, al pari della vicenda normativa, risulti oscillare tra ragioni di tutela del cliente bancario ed esigenze di salvaguardia della funzionalità del mercato, e più in generale, tra principio di buona fede e principio di ragionevolezza. Sembra senz’altro da condividere lo sforzo compiuto dalla nostra giurisprudenza di offrire tutela al contraente debole, tenuto conto che i rapporti tra banca e cliente, sono sostanzialmente rapporti asimmetrici. Si rileva, piuttosto, criticamente, che la giurisprudenza in questo caso vi abbia provveduto percorrendo una strada che non le ha consentito sempre di prendere in considerazione gli interessi del contraente forte, sebbene in una prospettiva necessaria di riequilibrio delle posizioni delle parti, tenendo, peraltro, conto che non è possibile sovrapporre la figura del cliente bancario a quella del consumatore anche in considerazione della specifica natura dell’attività bancaria e dei consequenziali e distintivi profili disciplinari di tutela del contraente debole.
The judicial measures under review show how the jurisprudential vicissitudes of bank compounding, which are still controversial in many respects, seem to oscillate, as does the regulatory vicissitudes, between reasons of protecting bank customers and the need to safeguard the functioning of the market, and more generally between the principle of good faith and the principle of reasonableness. The effort of our jurisprudence to offer protection to the weaker party, taking into account the fact that the relationship between bank and customer is essentially asymmetrical, seems to be certainly shared. Rather, it is critically noted that the jurisprudence in this case has provided it by taking a path that has not always allowed it to take into consideration the interests of the strong contractor, albeit in a necessary perspective of rebalancing the positions of the parties, taking into account, moreover, that it is not possible to overlap the figure of the bank customer with that of the consumer also in view of the specific nature of banking activity and the consequential and distinctive disciplinary profiles of protection of the weak contractor.
Cass., ord. 15 marzo 2024, n. 6983
L’onere della prova del correntista che agisce per la ripetizione di somme indebitamente corrisposte all’istituto di credito può essere assolto anche attraverso la integrazione di una consulenza tecnico contabile che sulla base della elaborazione dei dati estraibili dalla documentazione presente in atti, in mancanza di diversi indici normativi, sia in grado di rideterminare il saldo del conto per il quale si agisce in giudizio.
Cass., sent. 30 luglio 2024, n. 21344
In tema di contratti bancari, l’art. 120, comma 2, t.u.b., come sostituito dall’art. 1, comma 628, L. n. 147 del 2013, fa divieto di applicazione dell’anatocismo a far data dal 1 dicembre 2014 e tale prescrizione è da ritenersi operante indipendentemente dall’adozione, da parte del CICR, della delibera, prevista da tale norma, circa le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”.
1. L’anatocismo bancario fra diritto e processo: Cassazione 30 luglio 2024, n. 21344 e Cass., Ord., 15 marzo 2024, n. 6983 - 2. La svolta innovativa della giurisprudenza nel marzo 1999 e la normativa speciale del c.d. anatocismo bancario. La questione problematica della disciplina dei rapporti pregressi - 3. La nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale nei rapporti pregressi come nullità virtuale di protezione - 4. La nullità testuale di protezione e l’art. 120, comma 2, T.U.B., come modificato dalla legge di stabilità del 2014 e dalla normativa ad essa successiva. Brevi riflessioni sulla sentenza considerata - 5. La ripetizione di “pagamenti” indebiti a titolo di interessi anatocistici - 6. Onere della prova del correntista in ripetizione. Considerazioni conclusive in margine alla Ordinanza esaminata - NOTE
Lo studio complessivo dell’anatocismo bancario induce a prendere in considerazione, fra le altre, due recentissime decisioni della Corte Suprema. Esse si caratterizzano, fra l’altro, per due differenti prospettive. Nell’una prevalgono temi processuali, laddove la problematica sostanziale in tema di anatocismo costituisce lo sfondo. Questa, invece, è materia esaminata funditus dalla più recente decisione, n. 21344, del 30 luglio scorso. Nel quadro evolutivo di una giurisprudenza che si è andata man mano consolidando e affinando sugli oneri di allegazione e di prova dell’istituto bancario e del correntista nel contenzioso bancario, l’Ordinanza n. 6983 del 2024, con specifico riferimento al contenuto dell’onere della prova del correntista che agisce per la ripetizione di somme a vario titolo indebitamente corrisposte alla banca, aderisce all’orientamento interpretativo per cui la prova del pagamento suscettibile di ripetizione può essere offerta non solo dagli estratti conto che il correntista in ripetizione ha l’onere di esibire, ma può altresì desumersi aliunde, vale a dire attraverso le risultanze di altri mezzi di prova in grado di fornire indicazioni certe e complete, ed anche ricorrendo all’ausilio di una consulenza d’ufficio. Essa, in effetti, si colloca, altresì, nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata sulla illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi in conto corrente, c.d. anatocismo bancario [1] nei rapporti instaurati prima della entrata in vigore della disciplina dettata dal d.lgs. n. 342 del 1999 [2] e dalla delibera attuativa del Cicr del 9 febbraio del 2000 [3], e inoltre nel tracciato di una giurisprudenza altrettanto consolidata sulla illegittima applicazione delle commissioni di massimo scoperto perché non pattuite, per mancanza di causa o indeterminatezza dell’oggetto, in un periodo antecedente alla adozione di alcuni interventi normativi che ne hanno progressivamente circoscritto l’ambito di liceità, fissandone condizioni e limiti e modificandone correlativamente la denominazione [4]. L’Ordinanza in questione particolarmente rileva, peraltro, non solo per i principi di diritto in essa enunciati in merito all’assolvimento dell’onere probatorio del correntista, attore in ripetizione, confermando l’indirizzo che [continua ..]
Dal punto di vista sostanziale, il quadro normativo in cui si svolge la vicenda che ha dato luogo all’Ordinanza considerata è, innanzitutto, rappresentato dalla norma dell’art. 1283 c.c.; alla sua disciplina e, in specie, al suo incipit “salvo usi contrari”, la giurisprudenza ha fatto riferimento per ammettere, prima, e per negare, poi, la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi in conto corrente [8]. In particolare, la giurisprudenza anteriore alla svolta innovativa realizzatasi alla fine del secolo scorso, era pervenuta ad una operazione interpretativa dell’art. 1283 del codice civile, in base a cui si era ritenuto pacificamente di considerare ammissibili le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi a favore delle banche, perché considerate conformi ad un uso normativo, ritenuto anteriore all’emanazione del codice civile del ’42 [9]; e ciò anche quando i contenuti dei testi contrattuali evidenziavano, già a prima vista, una significativa sperequazione fra le posizioni dei contraenti, non sempre giustificate da esigenze di tutela del mercato e di salvaguardia del credito. Il medesimo testo normativo, però, consentiva alla giurisprudenza del nuovo corso di pervenire a soluzioni opposte a quelle fissate nelle decisioni anteriori. Si vuole chiaramente fare riferimento al ben noto (nella materia) revirement della Cassazione della primavera del ’99, con cui la Suprema Corte, mutando, secondo la tecnica dell’overruling, il proprio consolidato indirizzo, dichiarava nulle le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (per il cliente) inserite nei contratti bancari, negando l’esistenza di un uso normativo che le legittimasse, rectius negando che un uso di tale specie fosse mai esistito. Se ne affermava in tal modo la derivazione dalle Norme bancarie uniformi diramate dall’ABI nel 1952, in quanto comprese, sotto veste di condizioni generali di contratto, nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità con le direttive delle associazioni di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale, la cui sottoscrizione costituiva il presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari. “Atteggiamento ben lontano da quella spontanea adesione ad un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l’opinio iuris ac necessitatis, se non altro per [continua ..]
Ne è derivato, pertanto, che la gestione dei c.d. rapporti pregressi è stata collocata sotto l’egida della norma imperativa dell’art. 1283 c.c., per cui, fermo restando la inutilizzabilità dell’incipit della norma richiamata, quale effetto dei nuovi approdi interpretativi, le clausole negoziali anatocistiche contenute nei contratti bancari anteriormente alla entrata in vigore dell’art. 25, co. 2, d.lgs. 342/1999 e della delibera Cicr di attuazione, essendo basate su di un uso negoziale anziché normativo, dovevano considerarsi nulle, in quanto in contrasto con il disposto della norma richiamata, e altresì dovevano considerarsi illegittimi gli addebiti effettuati a tale titolo nei rapporti di conto corrente. Al di là degli indirizzi interpretativi che, almeno secondo una data prospettiva, hanno tentato di “ridefinire” la rotta dei nuovo orientamenti giurisprudenziali nella direzione della garanzia della parità delle posizioni contrattuali, utilizzando criteri sostanzialmente equitativi [36] e, al di là delle posizioni dottrinali che sin dall’implementazione del movimento riformatore del ’99 hanno autorevolmente criticato la strada battuta dalla giurisprudenza che aveva ricondotto la previsione negoziale della chiusura trimestrale del saldo passivo in conto corrente ad un fenomeno anatocistico, e quindi all’ambito applicativo dell’art. 1283 c.c., dovendosi, invece, diversamente spiegare in ragione del particolare meccanismo di funzionamento dei conti correnti bancari, non riconducibile agli schemi tradizionali, la giurisprudenza di merito e quella di legittimità si sono sostanzialmente conformate ai risultati emersi dal revirement giurisprudenziale del ’99 [37]. Diverse le questioni applicative che ne sono ulteriormente scaturite. Intanto, quella concernente il carattere assoluto o relativo di questa nullità e la sua rilevabilità d’ufficio. Nel caso di specie, non si trattava di invocare la nullità protettiva di cui all’art. 127, co. 2, TUB, che in virtù della modifica normativa apportata dal d. lgs. 141/2010 (art. 4, co. 3), può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Il testo novellato della previsione richiamata, dispone, infatti, che “Le nullità previste dal presente titolo operano soltanto a vantaggio del cliente e possono essere rilevate [continua ..]
Diverso risulta, invece, il quadro normativo di riferimento laddove venga in considerazione la nullità delle clausole anatocistiche nei rapporti bancari a seguito della reintroduzione del divieto anatocistico ad opera, questa volta, della norma speciale dell’art. 120, co.2, TUB, come modificata dalla legge di stabilità del 2014 [54] e dalla normativa successiva, pur rimanendo inalterato il relativo regime giuridico [55]. Invero, la evoluzione della norma richiamata è caratterizzata da una storia peculiare. In particolare, secondo l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale prevalente, la prima modifica della richiamata previsione normativa, realizzata ad opera dell’art. 1, co. 629, della l. 27.12.2013, n. 147 (c.d. legge di stabilità 2014) [56], ha reintrodotto nel nostro ordinamento, con immediata efficacia precettiva, il divieto dell’anatocismo bancario [57]. Non sono, però, mancate importanti voci contrarie [58], non tanto, o non solo, per la scarsa chiarezza ovvero per l’ambiguità del testo letterale che ha indotto vari Autori a recuperarne il “senso” [59], innanzitutto, attraverso un processo interpretativo teleologico, quanto per la mancata adozione della prevista Delibera attuativa del Cicr, derivandone, sulla base di una ricostruzione dei rapporti tra le fonti del diritto, un divieto di anatocismo ad efficacia differita. Prima di approdare al testo attualmente vigente, il legislatore era intervenuto nuovamente con il d.l. n. 91 del 2014 (art. 31), apportando al testo una ulteriore modifica, poi, espulsa in sede di conversione, la quale prevedeva la “produzione di interessi sugli interessi” maturati nelle operazioni ivi contemplate, con periodicità non inferiore ad un anno, affidandone al Cicr la definizione delle modalità e dei criteri di calcolo. La disciplina attualmente vigente di cui al comma 2 dell’art. 120 TUB, così come da ultimo novellato dall’art. 17 bis del d.l. 14 febbraio 2016, n. 18, inserito in sede di conversione con modifiche attraverso la l. 8 aprile 2016 n. 49 – e alle disposizioni attuative del d. m. del 3 agosto 2016, n. 343, detta regole, il cui tenore ha suscitato un dibattito interpretativo. Infatti, oltre a stabilire, per i rapporti di conto corrente e di conto pagamento, la paritetica periodicità degli interessi sia debitori, sia creditori, comunque [continua ..]
In ogni caso, si è generalmente affermato [68], salvo qualche voce contraria [69], con argomentazioni destinate a operare, ovviamente, sia per i rapporti pregressi dove la questione è specificamente sorta, sia per quelli ricadenti sotto il disposto dell’art. 120, co. 2, TUB, come modificato dalla normativa successiva, che il rimedio azionabile per la restituzione di somme corrisposte dal correntista a titolo di interessi anatocistici, così come a titolo di oneri accessori illegittimi, anche di commissioni di massimo scoperto non dovute, dovesse individuarsi nella disposizione di cui all’art. 2033 c.c. ”Indebito oggettivo”, che legittima colui che ha effettuato un pagamento non dovuto alla ripetizione di ciò che ha pagato, in tal modo “racchiudendo tutte le ipotesi di mancanza di titolo, ossia di mancanza del rapporto o del negozio in esecuzione del quale la prestazione è fatta” [70]. Si è quindi, innanzitutto, ritenuto che nel caso previsto dall’Ordinanza qui esaminata si potesse ravvisare un indebito oggettivo, ossia un pagamento sine causa identificabile con il pagamento di interessi anatocistici contemplati da un titolo nullo, ovvero illegittimamente addebitati in conto corrente; e tanto pure facendo riferimento alla considerazione di carattere generale basata sul richiamo espresso effettuato dalla norma dell’art. 1422 c.c. che, in tema di imprescrittibilità dell’azione di nullità, fa salvi gli effetti della prescrizione di dieci anni applicabile all’azione di ripetizione. D’altro canto, a mò di premessa di quanto si dirà nel proseguo, si evidenzia come nella sistematica del codice civile il presupposto applicativo dell’azione di ripetizione avrebbe dovuto ricomprendere solo quei comportamenti solutori riconducibili ad una prestazione di dare, laddove, invece, una interpretazione più evoluta del testo normativo ha fatto richiamo ad una “forza espansiva dell’indebito oggettivo” [71] comprendente anche le prestazioni di fare, ed altri ne hanno esteso l’ambito di operatività in modo da ricomprendere, specificamente, le diverse fattispecie attraverso cui si è compiuto il processo di smaterializzazione della moneta, nell’ambito del quale è pure possibile annoverare le annotazioni in conto corrente. D’altro canto, più in [continua ..]
Come si è avuto modo già di rilevare, il rapporto bancario sul quale si innesta la vicenda processuale che ha dato origine all’Ordinanza annotata si inquadra nell’ambito dei c.d. rapporti pregressi. In effetti, sul presupposto di una allegata e non contestata illegittima applicazione trimestrale di interessi anatocistici, l’Ordinanza enuncia alcuni fondamentali principi di diritto sugli oneri del correntista che esperisce in via autonoma azione per la restituzione di somme a vario titolo indebitamente corrisposte alla banca, distinguendo chiaramente fra allegazione e prova, ovvero tra onere di allegazione e onere della prova. E a tanto perviene confermando ex professo indirizzi consolidati sulla nullità di clausole anatocistiche di capitalizzazione trimestrale di interessi passivi e di commissioni di massimo scoperto, sul rimedio della ripetizione dell’indebito, azionabile per la restituzione di somme non dovute all’istituto di credito, sulla decorrenza del corrispondente termine prescrizionale, e pertanto sulle delicate questioni della natura delle annotazioni e della individuazione dei pagamenti sine titulo. Ai fini della valutazione dei motivi del ricorso, la Corte Suprema condivide i principi di diritto presso di essa formatisi sugli oneri di allegazione e di prova del correntista in ripetizione, aggiungendo un ulteriore tassello all’orientamento che, tenendo conto delle difficoltà legate alla prova documentale che caratterizza tali giudizi, ma anche delle difficoltà applicative scaturenti dall’osservanza di principi consolidati risalenti al precedente del 2010, progressivamente perviene a soluzioni diverse da quelle precedentemente adottate, con un trattamento giuridico sostanzialmente simmetrico per il cliente bancario e per l’istituto di credito. Sulla base di una chiara identificazione dei fatti costitutivi dell’azione di ripetizione, “essenzialmente” corrispondenti alla “effettuazione del pagamento” e alla “assenza di un titolo giustificativo della prestazione eseguita”, e di una evidenziata distinzione fra onere di allegazione e onere della prova, logicamente e giuridicamente distinti, benché in punto di fatto tra loro connessi, l’Ordinanza, innanzitutto, statuisce che è onere dell’attore in ripetizione, sia allegare i fatti indicati, sia fornirne la prova. Quanto all’onere di allegazione, [continua ..]