Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Ammissibilità della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare e suo perimetro di sindacabilità giudiziale: la parola ai giudici di legittimità (di Tommaso De Mari Casareto dal Verme, Assegnista di ricerca in Diritto privato – Università degli Studi di Trento)


Il contributo prende le mosse dalla recente ordinanza del Tribunale de L’Aquila che, ricorrendo al nuovo istituto del rinvio pregiudiziale, ha rimesso alla Corte di cassazione una questione di diritto sull’ammissibilità nell’ordinamento italiano della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare. La riflessione porta a concludere che, su di un piano astratto e generale, la rinuncia sia ammissibile in quanto compatibile con la funzione sociale della proprietà, ma il singolo atto unilaterale di rinuncia dovrà sottostare al sindacato giudiziale di meritevolezza in concreto. Tuttavia, il discorso intorno alla legittimità dell’atto di rinuncia rischia di rivelarsi un esercizio sterile, se si considera che non tanto la rinuncia – quale atto formale di dismissione del diritto – rappresenta un peso per la società, quanto alla base il fenomeno dell’abbandono de facto, in relazione al quale la funzione sociale dovrebbe tornare a esercitare il proprio ruolo di limite “interno” al diritto di proprietà.

Abandonment of real estate property between general admissibility and scope of judicial review

The contribution starts from the recent ruling whereby the Tribunal of L’Aquila referred to the Court of Cassation a preliminary question concerning the admissibility in the Italian legal system of the right to abandon real estate property. The reflection leads to conclude that, on the one hand, there is no legal reason grounding a general prohibition of such a right of the owner since abandonment is not per se inconsistent with the social function of property established in the Constitution. On the other hand, the legitimacy of the single act of abandonment shall be submitted to a review of its substantive validity in each individual case. Nevertheless, it seems like the question should be observed from the different point of view of the material act of abandonment, which shows to generate negative externalities for society regardless of the specific subject who legally owns property.

Trib. L’Aquila, ord. 15 gennaio 2024, n. 233

In presenza dei presupposti richiesti dalla legge per l’applicazione dell’art. 363bis c.p.c., va disposto il rinvio pregiudiziale degli atti alla Suprema Corte di cassazione per la risoluzione della questione di diritto attinente all’ammissibilità della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà su beni immobili, nonché all’eventuale indicazione del perimetro del sindacato giudiziale sull’atto.

SOMMARIO:

1. Il caso e le questioni sottoposte alla Corte - 2. I termini del dibattito - 3. La generale ammissibilità della rinuncia abdicativa - 4. Il perimetro di sindacabilità giudiziale - 5 Considerazioni conclusive - NOTE


1. Il caso e le questioni sottoposte alla Corte

L’ordinanza annotata origina dalla domanda avanzata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e dall’Agenzia del Demanio che agivano in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di nullità, invalidità e, in ogni, caso inefficacia nei confronti dello Stato dell’atto unilaterale con cui due soggetti avevano rinunciato alla proprietà di alcuni terreni inservibili e privi di reale valore economico in quanto tutti sottoposti a vincolo di pericolosità elevata del PAI (Piano di Assetto Idrogeologico). A sostegno della propria domanda gli attori adducono l’inesistenza nel nostro ordinamento giuridico di una generica facoltà di rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare, nonché la nullità dell’atto di rinuncia per la non meritevolezza e/o illiceità della causa in concreto, ex artt. 1322 e 1343 c.c., ovvero per illiceità del motivo (ai sensi dell’art. 1345 c.c.), ovvero ancora per essere l’operazione realizzata in frode alla legge (art. 1344 c.c.) o in violazione del divieto di abuso del diritto (art. 833 c.c.). Il Tribunale di L’Aquila [1], ricorrendo al nuovo istituto del rinvio pregiudiziale introdotto dall’art. 363-bis c.p.c. [2], ha sospeso il giudizio di merito e rimesso alla Corte di cassazione la questione di diritto attinente sia alla generale ammissibilità della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare, sia all’eventuale indicazione del perimetro del sindacato giudiziale sull’atto unilaterale di rinuncia. La questione ha da tempo ricevuto particolare attenzione nel dibattito giuridico [3], ma di recente ha conosciuto rinnovata considerazione dalla giurisprudenza e dalla dottrina in ragione dell’accresciuta frequenza statistica delle vicende rinunciative rispetto a quei beni immobili che producono vantaggi talmente limitati da divenire economicamente sconvenienti per il proprietario e da non trovare domanda di mercato neppure a titolo gratuito [4]. Tuttavia, la questione di diritto in esame non risulta finora essere stata specificamente affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, come anche osservato dalla Prima Presidente della Corte di cassazione nel decreto con cui ha dichiarato ammissibile il rinvio pregiudiziale in esame [5]. Tale circostanza rende quantomeno opportuna l’ordinanza di rimessione alla Suprema [continua ..]


2. I termini del dibattito

La questione dell’ammissibilità della rinuncia abdicativa alla proprietà sconta ancora una sostanziale assenza di univocità di visioni. Nella dottrina si registra un tendenziale clima favorevole a riconoscere l’ammissibilità del negozio unilaterale di rinuncia abdicativa [6], spesso valorizzando la presenza nel Codice civile di indici normativi che espressamente contemplano ipotesi di rinuncia liberatoria o traslativa [7], in base alle quali il titolare, per liberarsi dalle obbligazioni precedentemente assunte, ha la facoltà di rinunciare al proprio diritto reale ovvero alla propria quota di comproprietà, che si trasferisce a soggetti terzi in virtù del principio di elasticità del diritto di proprietà ovvero per espressa previsione di legge. Tra queste fattispecie si evocano generalmente l’art. 882 c.c., in tema di rinuncia del comproprietario del muro al suo diritto al fine di esimersi dall’obbligo di contribuire alle spese di ricostruzione e riparazione, l’art. 550 c.c., in tema di cautela sociniana, l’art. 1104 c.c., che consente a ciascun partecipante alla comunione di rinunciare al proprio diritto di comproprietà al fine di sottrarsi alle spese necessarie per la conservazione e il godimento della cosa comune, l’art. 1070 c.c., che consente al proprietario del fondo servente di liberarsi delle spese necessarie per l’uso o per la conservazione della servitù, rinunziando alla proprietà del fondo stesso a favore del proprietario del fondo dominante [8]. Argomenti a favore di una generale ammissibilità della rinuncia sono stati ricavati anche dalla formulazione dei nn. 5 degli art. 1350 e 2643 c.c., i quali – tra gli atti che, rispettivamente, debbono farsi per iscritto e quelli per cui è obbligatoria la trascrizione – menzionano gli atti di rinunzia ai diritti indicati nei numeri precedenti degli articoli appena citati, tra i quali figura anche la proprietà di beni immobili [9]. Le voci contrarie, invece, invocano principalmente l’illegittimità dell’atto di rinuncia sulla scorta della sua contrarietà a norme imperative o principi inderogabili dell’ordinamento. Tra questi emerge l’argomento per cui la rinuncia abdicativa sarebbe in contrasto con la stessa funzione sociale della proprietà enunciata dall’art. 42 [continua ..]


3. La generale ammissibilità della rinuncia abdicativa

In questo scenario l’ordinanza di rinvio rinvia alla Suprema Corte un quesito articolato in due distinti passaggi logico-giuridici. Il primo ha a che fare con la generale ammissibilità o meno nell’ordinamento giuridico della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare. Il secondo, subordinato alla risposta affermativa al primo quesito, indaga l’effettivo perimetro di sindacabilità dell’atto unilaterale di rinuncia concesso al giudice secondo i parametri della causa in concreto e della meritevolezza degli interessi. Sembra dunque che la questione della generale ammissibilità della rinuncia si muova sul terreno della possibilità di configurare in astratto, tra i poteri del proprietario, la facoltà di rinunciare al proprio diritto su un immobile; per poi guardare al sindacato in concreto sulla liceità dell’atto di esercizio di tale potere di rinuncia, che presuppone risolto in positivo il primo quesito. Sul primo quesito, l’ordinanza di rinvio mette in luce gli argomenti della dottrina e della giurisprudenza prevalenti che valorizzano i già citati indici normativi a sostegno di una generale ammissibilità della rinuncia. Tale approccio ha spinto talvolta la giurisprudenza di merito a fondare il giudizio di ammissibilità sulla considerazione per cui la rinuncia abdicativa sarebbe «espressamente disciplinata» dal Codice, poco discostandosi così da una declaratoria di sostanziale tipicità dell’atto di rinuncia che, perciò, non sarebbe sottoposto al filtro della meritevolezza degli interessi «come invece richiesto per i contratti atipici, ex art. 1322 co. 2 c.c.» [26]. Tuttavia, tale ricostruzione – valorizzata anche dall’ordinanza in commento – non appare pienamente persausiva. Infatti, salvo per talune isolate eccezioni [27], la maggior parte delle voci favorevoli all’ammissibilità della rinuncia abdicativa qualifica l’atto rinunciativo come un negozio unilaterale atipico, non essendo espressamente previsto da alcuna norma di legge [28]. A ben guardare, non sembra possibile ricavare dalle già citate disposizioni codicistiche una disciplina espressa della rinuncia abdicativa [29], né quindi un principio di tipicità del relativo atto, poiché esse integrano fattispecie tipiche ove la rinuncia non è mai [continua ..]


4. Il perimetro di sindacabilità giudiziale

Il secondo punto su cui viene sollecitato l’intervento nomofilattico della Suprema Corte concerne il perimetro del sindacato che, in concreto, l’autorità giudiziaria è chiamata a svolgere sull’atto di rinuncia, secondo i criteri della liceità della causa e della meritevolezza degli interessi. Una volta risolta in senso positivo la questione della generale ammissibilità della rinuncia, si tratterebbe di verificare nel caso concreto la validità dell’atto di esercizio del potere, alla luce dei concreti interessi perseguiti dal privato, anche per verificarne gli eventuali scopi fraudolenti. A tal fine, il principale parametro di valutazione è rappresentato dal dato costituzionale e, in particolare, dal rispetto delle istanze solidaristiche immanenti nella funzione sociale della proprietà ex art. 42 Cost., degli obblighi di solidarietà economica e sociale desumibili dall’art. 2 Cost., nonché dal rispetto della sicurezza dei consociati ex art. 41, comma 2, Cost., tutti costituenti limite inderogabile delle prerogative dominicali ex art. 832 c.c. Mettere in pratica questi principi in relazione ad un caso concreto non è punto agevole. È stato detto che l’atto di rinuncia in sé e per sé non possa essere dichiarato illegittimo per il solo fatto che alla base di esso vi siano mere valutazioni di convenienza economica e di opportunità per il proprietario, che di per sé sarebbero da ritenersi lecite e non contrastanti con la funzione sociale della proprietà [50]. Anche secondo parte della dottrina – che rinviene nell’atto di rinuncia un atto tipico con schema causale rigido, i cui scopi pratici sono giocoforza puramente dismissivi [51] – l’atto di rinuncia sarebbe di per sé meritevole di tutela [52], e non potrebbe essere dichiarato nullo per illiceità della causa, poiché non vi sarebbe controllo alcuno su tale atto di autonomia privata in assenza di un rapporto di relazione tra soggetti diversi [53]. D’altro canto, limitare il sindacato del giudice a tale profilo rischierebbe, da un canto, di confinare il controllo sulla liceità dell’atto su un terreno di eccessiva astrattezza, poco compatibile con un vaglio sulla causa in concreto che dovrebbe avere a riferimento lo «scopo pratico» del negozio [54], e, dall’altro, [continua ..]


5 Considerazioni conclusive

La Suprema Corte, nel dare risposta ai quesiti sollevati dal tribunale abruzzese, dovrà svolgere il difficile compito di fornire una prima interpretazione uniforme alla questione dell’ammissibilità nel nostro ordinamento della rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare. Alla luce delle considerazioni svolte, la questione della generale ammissibilità della rinuncia – cui è subornata l’individuazione dell’esatto perimetro di sindacabilità giudiziale – da qualsiasi prospettiva venga osservata sembra che non possa risolversi che in senso positivo. Infatti, riesce difficile immaginare che la funzione sociale della proprietà possa spingersi sino a rendere il proprietario “prigioniero” di un diritto che non gli interessa più, a maggior ragione perché non si rinviene alcun esplicito divieto al riguardo nell’or­dinamento giuridico. Peraltro, su un piano astratto e generale, il solo effetto dismissivo del diritto non può dirsi di per sé contrario alla funzione sociale della proprietà, non potendosi a priori escludere, ad esempio, che un proprietario decida di abbandonare un bene immobile che non rappresenta un peso per la collettività, ma che, al contrario, è ancora in grado di possedere un valore di mercato positivo [64]. Cionondimeno, nella realtà dei fatti il riconoscimento di una astratta ammissibilità del potere di rinunciare potrebbe tradursi in un esercizio sterile, se si considera che in ogni caso la liceità dell’atto di esercizio di tale potere dovrà sottostare ad un sindacato di meritevolezza in concreto che non potrà limitarsi ad un mero vaglio di compatibilità tra gli interessi individuali del proprietario e la funzione sociale della proprietà, ma dovrà concretizzarsi in un serio giudizio di bilanciamento e di coesistenza tra prerogative private e interessi pubblici che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto. Ad esempio, dovrebbero considerarsi tutte le circostanze che hanno indotto il privato a rinunciare, comprese le modalità con cui, eventualmente, il bene in questione è divenuto un peso per la società e il ruolo che il soggetto proprietario ha svolto nel causare ovvero agevolare la degradazione del bene in questione. Tuttavia, si tratterebbe con tutta evidenza di un onere probatorio gravoso per [continua ..]


NOTE