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1. Il rapporto tra disciplina di diritto comune e disciplina consumeristica: dal criterio di specialità al favor consumatoris. - 2. Il progressivo allineamento tra codice civile e codice del consumo. - 3. Il superamento dell’atto di consumo nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. - 4. – Le riflessioni che precedono inducono alle seguenti considerazioni conclusive. - Note
Il problema del rapporto tra codice civile e codice del consumo sorge in conseguenza del fatto che al momento dell’emanazione del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 [1] il nostro legislatore ha trasfuso nel codice del consumo – al fine di realizzare una migliore e più efficiente tutela del consumatore nell’ambito dei cc.dd. rapporti business to consumer [2] caratterizzati, notoriamente, da una fisiologica asimmetria contrattuale tra le parti – disposizioni concernenti prevalentemente la materia contrattuale complementari al codice civile [3] senza affrontare in maniera organica il problema del coordinamento tra la previgente disciplina di diritto comune e la nuova legislazione consumeristica, limitandosi, al contrario, ad inserire nel codice di settore alcuni articoli con funzione di rinvio, interpretabili in maniera non univoca [4]. Muovendo dall’assunto che il codice del consumo rappresenti una sorta di «ponte» tra il diritto nazionale ed il diritto comunitario [5], risulta essere imprescindibile operare una riflessione sui rapporti che intercorrono tra normativa generale, di settore e disciplina comunitaria, nell’ottica di ricomporre ad unità, alla luce dei principi generali, il complesso e variegato sistema delle fonti che caratterizza il nostro ordinamento giuridico [6]. A primo impatto, potrebbe sembrare che la complessa questione possa risolversi in una sola battuta affermando che la legge speciale prevalga su quella generale nelle materie da essa regolate, in conformità al brocardo latino lex specialis derogat generali, con conseguente superamento del diritto comune (c.d. criterio di specialità). E ciò in quanto l’art. 38 c. cons. [7] – che rappresenta il punto di snodo dei rapporti tra la disciplina generale del contratto di cui al codice civile ed il codice del consumo – prevede espressamente che ai contratti conclusi tra un consumatore ed un professionista potrà applicarsi la prima per tutti gli aspetti che non siano espressamente regolati dal codice di settore, ovvero in caso di lacune. A specchio, l’art. 1469-bis c.c. [8], al fine di risolvere eventuali conflitti tra le norme di cui al codice civile e le disposizioni consumeristiche – o contenute in altri atti normativi –, stabilisce che la disciplina generale in materia contrattuale di cui al [continua ..]
Né il problema del coordinamento tra disciplina di diritto comune e disciplina di cui al codice del consumo può risolversi affermando che l’auspicata armonizzazione piena imposta da alcune direttive – come la direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori [18] – non consentirebbe alcuna reviviscenza della disciplina generale [19]: l’armonizzazione piena, infatti, – così come è naufragato il codice europeo dei contratti e la proposta di regolamento relativo a un diritto comune europeo della vendita [20] – non si è raggiunta ed, anzi, il problema permane e diventa più complesso. Molte volte, infatti, la disciplina consumeristica si ‘scontra’ con altre disposizioni speciali a protezione di ulteriori contraenti deboli – l’assicurato, il viaggiatore, l’investitore, etc. per la tutela dei quali sono state introdotte specifiche normative [21] – imponendo un necessario coordinamento con tali normative specifiche, ciascuna delle quali aspira a regolamentare in maniera esaustiva il proprio settore [22]. In tali casi il compito dell’interprete si complica, dovendo lo stesso ricostruire la disciplina del contratto sulla base di una adeguata considerazione tanto della disciplina di cui al codice civile, quanto delle regole consumeristiche e di quelle presenti nelle ulteriori normative settoriali [23]. Un esempio lampante è dato dal contratto di multiproprietà nell’àmbito del quale (al di là della qualificazione del diritto oggetto di contrattazione come reale o meno) si prevede l’obbligo di prestare una fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia della corretta esecuzione del contratto, qualora il venditore/imprenditore abbia determinate caratteristiche che lasciano presumere una sua mancanza di solidità economica [24], ed una a garanzia dell’ultimazione dei lavori nel caso di alloggio in corso di costruzione. Il tutto alla luce del ricorrere di un atto di consumo volto a concludere un contratto con le caratteristiche previste dagli artt. 69 e seguenti del codice del consumo. In tale seconda ipotesi, tuttavia, alla disciplina di cui al codice del consumo si vengono ad affiancare le previsioni di cui alla normativa in materia di immobili in corso di costruzione (d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122 e successive modifiche) [25], la quale [continua ..]
In tale ottica, dapprima nella giurisprudenza della Cassazione e poi a livello legislativo, ormai alcuni professionisti vengono posti nella stessa condizione dei consumatori in quanto contraenti deboli. Il riferimento è all’interpretazione evolutiva della rigida nozione di consumatore nelle procedure di risoluzione della crisi da sovraindebitamento di cui alla versione originaria dell’art. 6, comma 2, lett. b, della legge n. 3/2012 [31] che riconosceva l’accesso alla procedura agevolata di risoluzione della crisi – c.d. piano del consumatore – solo al debitore persona fisica che avesse «assunto obbligazioni ‘esclusivamente’ per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta», delimitando notevolmente l’ambito di applicazione della normativa di favore, con una scelta ancora più restrittiva di quanto avesse fatto lo stesso art. 3, comma 1, lett. a, del codice del consumo. Tale definizione è stata oggetto di una interpretazione sistematica ed innovativa da parte della Corte di Cassazione con l’importante decisione della n. 1869/2016 [32] in cui, andando aldilà del dettato normativo, è stato espressamente affermato che possano beneficiare della procedura privilegiata anche tutte le persone fisiche che abbiano rivestito la qualifica di imprenditore o professionista, purché al momento della presentazione del piano (del consumatore) non residuino ancora obbligazioni assunte nell’esercizio di tali attività [33]. Ne consegue che la possibilità di accedere al piano del consumatore venga riconosciuta anche ad imprenditori e professionisti che abbiano contratto obbligazioni per far fronte a esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità sociale e anche a favore di terzi, ma senza riflessi in un’attività d’impresa o professionale propria. La lettera della norma viene quindi superata verso una nuova interpretazione, la quale va ben al di là del significato delle parole in un’ottica ben più ampia di tutela legata a principi e valori del nostro ordinamento. Tale possibilità è stata successivamente consacrata, a livello normativo, con il nuovo codice della crisi di impresa e [continua ..]
Superata la tesi della sussistenza di un mero rapporto di genere a specie [37], la complessità del quadro legislativo che caratterizza il nostro ordinamento giuridico comporta che l’interprete assuma un ruolo centrale nella regolamentazione dei rapporti tra norme generali, speciali e di settore. Qualora, infatti, la fattispecie concreta non ponga particolari problematiche di concorso tra leggi speciali e normativa più favorevole al consumatore, si applicherà la legge speciale. Al contrario, nel caso in cui la situazione diventi più complessa, sarà compito dell’interprete, nell’ambito della individuazione della disciplina da applicare, operare una scelta che sia fondata sui principi e valori fondanti il nostro ordinamento giuridico, rifacendosi, in primo luogo, alla gerarchia delle fonti [38]. Appare pienamente condivisibile, in tale ottica, quanto sostenuto da autorevole dottrina che evidenzia il ruolo sempre più importante svolto dalle ragioni funzionali sottese a normative comunitarie in cui il ruolo dei principi costituzionali e dei Trattati funge da «collante» e strumento di avvicinamento [39]. Muovendo quindi dalla consapevolezza che – seppure la realtà legislativa risulti essere complessa e frammentaria – le norme diritto comune e quelle di settore facciano parte di un ordinamento unitario, spetta all’interprete, in sede di individuazione della normativa da applicare al caso concreto, disegnare il quadro di rapporti intersistematici tutte le volte in cui sussistano delle lacune o sia configurabile un potenziale conflitto tra norme, al fine di ricostruire, alla luce dei principi fondamentali [40] e, quindi, andando oltre la mera separatezza «fisica» delle norme [41], l’unitarietà del sistema. E, non a caso, si può ritenere che il diritto dei consumi nonché le numerose e recenti regole a tutela del contraente debole divengono mezzo per l’uniformazione anche di tutto il diritto dei contratti.