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1. Profili introduttivi: rischio di confusione o di associazione tra marchi simili. - 2. Marchi “forti”, marchi “deboli” ed individuazione del “pubblico di riferimento”. - 3. Il giudizio di comparazione visiva, fonetica e concettuale tra marchi contrapposti. - 4. Il confronto tra prodotti e servizi. - 4.1. I diversi criteri elaborati dalla prassi per valutare l’affinità tra prodotti e servizi. - Note
Il marchio, così come definito e disciplinato principalmente dall’art. 2569 ss. c.c. e dagli artt. 7 ss. del d.lgs. n. 30/2005 (“Codice della proprietà industriale”), si configura essenzialmente come un segno distintivo attinente all’attività di impresa, idoneo a richiamare l’origine imprenditoriale di un prodotto o di un servizio, nel senso di manifestare ai terzi l’esistenza di un’esclusiva nell’uso di quel segno in un determinato ambito merceologico e in un determinato momento [1]. La funzione essenziale di un marchio consiste segnatamente nel contraddistinguere i prodotti o servizi di un’impresa e garantire, al consumatore o all’utilizzatore finale, l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato, consentendo di distinguere, senza alcuna possibilità di confusione, un determinato prodotto o servizio da quelli di provenienza diversa; per poter svolgere questa sua funzione il marchio deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati siano stati realizzati, fabbricati e/o erogati sotto il controllo di un’unica impresa o di imprese a questa collegate, alle quali possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità. Il marchio – in presenza dei requisiti di legge della novità/originalità, capacità distintiva e liceità [2] – può essere oggetto di registrazione ed attribuire così, al suo titolare, il c.d. “diritto di uso esclusivo”, ossia il diritto di potersi valere del medesimo in modo riservato, vietandone a qualsiasi terzo l’impiego nella propria attività economica [3]. In considerazione di quanto precede, la tutela di un marchio registrato ed utilizzato sul mercato si può esplicare sotto diverse forme: una delle più idonee ed efficaci, per tempi e costi è, parere di chi scrive, rappresentata dal procedimento di opposizione alla registrazione dei marchi, regolato agli artt. 175 ss., d.lgs. n. 30/2005, ossia un procedimento amministrativo che si svolge dinnanzi all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi – Ufficio del Ministero delle Imprese e del Made in Italy – che consente, al titolare di un marchio già presente sul mercato o titolare di un diritto anteriore [4], di chiedere ed ottenere il rigetto della domanda di [continua ..]
Tanto premesso, va evidenziato che il rischio di confusione e/o di associazione presuppone – salvo alcune eccezioni [9] – l’accertamento congiunto della sussistenza di due condizioni, da considerarsi cumulative e non alternative tra di loro, ossia che: a) i segni in contrapposizione siano tra di loro identici o quantomeno simili; b) i prodotti o i servizi rivendicati dai marchi siano identici o affini. È pertanto necessario effettuare un duplice giudizio comparativo, in primo luogo, tra i marchi in conflitto e, in seconda battuta, tra i prodotti e/o servizi che quei marchi tutelano o intendano tutelare. La valutazione del rischio di confusione implica allora una certa interdipendenza tra i fattori che entrano in gioco, e in particolare la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa [10]. Diversi sono i principi elaborati al riguardo dalla prassi amministrativa e dalla giurisprudenza, comunitaria ed interna, dei quali si tenterà di fornire una brevissima panoramica nel presente lavoro. Prima di fare ciò è però necessaria una premessa, evidenziando che l’estensione e l’intensità della tutela di un marchio varia, innanzi tutto, in funzione del maggior o minor grado di originalità – ossia, più precisamente, di “distintività” – di cui esso è dotato, distinguendosi, al riguardo, tra marchi “forti” e marchi “deboli”. I primi sono quelli che hanno una spiccata originalità ed una notevole capacità distintiva, caratterizzata principalmente dal fatto che manca qualsiasi significativo legame concettuale tra il marchio ed i prodotti o servizi contraddistinti; da ciò deriva una peculiare attitudine, “presente nel marchio forte, ad essere ricordato per il suo accentuato carattere distintivo” [11]. Si pensi, ad esempio, al marchio “APPLE”, che è associato a prodotti – quali principalmente computers e prodotti dell’elettronica – che nulla hanno a che fare con il frutto, ossia con la “mela” (traduzione in lingua italiana della parola anglosassone “apple”); oppure ai marchi [continua ..]
Come precisato dalla giurisprudenza, la valutazione del rischio di confusione dipende da numerosi fattori, e segnatamente dalla notorietà del marchio d’impresa sul mercato, dall’associazione che può essere fatta tra il marchio d’impresa e il segno usato e registrato, dal grado di somiglianza tra il marchio d’impresa e il segno e tra i prodotti e servizi designati. Il rischio di confusione deve quindi essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, dovendosi basare sull’impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi [25] e dominanti [26] dei marchi medesimi [27]. Chiarito quanto sopra, la prima fase del giudizio attiene alla comparazione tra i marchi in conflitto, tanto al fine di valutare – tenendo conto dell’impressione d’insieme suscitata dal loro raffronto – se tra gli stessi vi sia un grado di somiglianza così significativo da poter ragionevolmente indurre in confusione il consumatore del prodotto o l’utilizzatore del servizio. Così, la valutazione dei marchi deve tendere ad enucleare e valorizzare gli elementi che ne costituiscono il “cuore”, ossia il “nucleo individualizzante”, quello che – per assenza di nesso logico e concettuale rispetto ai prodotti/servizi che contraddistingue – rende il marchio anteriore capace di operare un richiamo alla azienda produttrice. Ed è proprio la riproduzione, anche parziale, di tale elemento nel marchio contestato che può far ritenere sussistente il rischio di confusione con il marchio anteriore. Questo esame comparativo, come accennato, deve fondarsi sull’impressione complessiva prodotta dai marchi in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei medesimi [28], con l’ulteriore precisazione che, di regola, nei segni verbali o che contengono un elemento verbale, la prima parte è quella che di solito attira maggiormente l’attenzione del consumatore e che, pertanto, sarà ricordata più chiaramente rispetto al resto del segno [29]. Un esame che, per prassi assolutamente consolidata, viene effettuato sulla base tre criteri distinti, logicamente ed anche cronologicamente succedanei l’uno [continua ..]
Perché possa sussistere un rischio di confusione e/o associazione è necessario che alla somiglianza tra i marchi si aggiunga l’identità o quantomeno l’affinità dei prodotti o servizi contrassegnati dai rispettivi segni. Salvo eccezioni [37], di regola la mera identità o somiglianza tra i marchi, infatti, non è sufficiente ad integrare un’ipotesi di violazione del diritto di marchio, tanto alla luce del principio della c.d. relatività o specialità della tutela del marchio scolpito all’art. 20 d.lgs. n. 30/2005, secondo cui la registrazione di un marchio “esplica effetto limitatamente ai prodotti o servizi identici o affini a quelli protetti”, ossia impedisce al titolare del marchio successivo, identico o simile al marchio precedente, di ottenere la registrazione con riferimento ai soli prodotti uguali o simili al marchio anteriore, ma non protegge prodotti/servizi completamente estranei rispetto a quelli rivendicati. Esemplificando: se il marchio denominativo anteriore “ISCHIA” è stato registrato per i prodotti di abbigliamento, esso proteggerà anche i prodotti affini, come scarpe e sciarpe – che magari si possono acquistare negli stessi negozi di abbigliamento ed hanno la stessa funzione di coprire ed “ornare” il corpo umano – ma non potrà tutelare prodotti di elettronica (quali ad esempio cellulari e computer), in quanto del tutto diversi dai primi, così da scongiurare rischi di confusione. Così, per ipotesi, se un altro soggetto chiedesse la registrazione del marchio avente il medesimo nome “Ischia” per vendere prodotti di elettronica (e non abbigliamento) verosimilmente otterrebbe la registrazione. Si aggiunga altresì che i prodotti e i servizi da porre a raffronto sono classificati secondo il sistema stabilito dall’accordo “sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi”, stipulato a Nizza il 15 giugno 1957: si tratta della c.d. Classificazione di Nizza, divisa in numero 34 classi di prodotti e numero 11 classi di servizi, raggruppati per tipologie omogenee o comunque affini. Quanto al valore da attribuire a tale documento, può dirsi che esso serve prevalentemente a fini classificatori ed amministrativi, ma non riveste un rilievo decisivo ai fini del [continua ..]
Al di là dei casi stretta identità tra prodotti o servizi, il problema pratico si prone essenzialmente nelle ipotesi in cui l’interprete sia chiamato a vagliare la possibile affinità o somiglianza di prodotti o servizi formalmente diversi tra di loro. Al riguardo, la prassi del settore [42], sulla base della giurisprudenza soprattutto comunitaria, ha enucleato negli anni una serie di indici – da utilizzare, nei limiti del possibile, congiuntamente e non in via alternativa – atti a valutare l’eventuale affinità tra i prodotti/servizi [43], i cui principali saranno di seguito brevemente esaminati. In primo luogo va indagata la natura del prodotto o del servizio, ossia la sua composizione, il principio di funzionamento, l’aspetto, il valore, lo stato fisico e così via. Ci si deve chiedere, in altri termini, cosa sia il prodotto o il servizio in questione, da cosa sia composto, che aspetto abbia (duro, morbido, flessibile…), che composizione assuma, se liquida, solida o gassosa, ecc. Sulla base di questo primo criterio si potrebbe ad esempio ritenere simili il “latte” ed i “formaggi”, perché entrambi prodotti lattiero-caseari; oppure le “lozioni per il corpo” ed i “balsami”, perché entrambi aventi natura di cosmetici; oppure il “latte” e lo “yogurt”, perché il primo può costituire l’ingrediente principale del secondo. Viceversa, sono stati ad esempi ritenuti dissimili il “ghiaccio commestibile” ed il “ghiaccio da raffreddamento”, sulla base della loro diversa natura, in quanto solo il primo prodotto ha natura alimentare [44]. Altro aspetto da tenere in considerazione è quello relativo alla destinazione del prodotto o del servizio, ossia alla sua funzione economica, al bisogno che è diretto a soddisfare. Ci si chiede cioè a cosa serva il prodotto o il servizio, quali esigenze di mercato è diretto a perseguire, quali utilità abbia e, soprattutto, quale sia il “pubblico di riferimento”, ossia chi siano i clienti finali, effettivi o potenziali, destinatari del prodotto o servizio [45]. Questo secondo criterio – per così dire funzionale e teleologico – tende a prevalere sul primo, nel senso che si può per ipotesi ritenere affini prodotti, anche di natura diverse, [continua ..]