L’A. tratta dell’uso – o abuso – del diritto per raggiungere risultati che sarebbero normalmente raggiungibili con la forza militare. Esamina molti recenti esempi di tale strategia, sottolineando che oggi il c.d. Lawfare è all’apice.
The A. deals with the use – or misuse – of law to achieve objectives that might have been achievable only using military force. Many recent examples are given of such a strategy, underlining that today Lawfare is at its peak.
Si racconta che il colonnello Charles Dunlap Jr. partecipando nel 2001 ad un convegno ad Harward sottolineò, nella sua relazione, che invece di usare le armi contro il nemico si poteva fare ricorso a strumenti giuridici, ed utilizzò in quell’occasione l’espressione “lawfare”, adattando alla sua tesi la parola “warfare” [1].
All’inizio presentato in positivo, come strumento che poteva evitare spargimenti di sangue (e consentire minori costi), del lawfare si sottolinea anche l’aspetto negativo dell’abuso degli strumenti giuridici, in origine pensati per altra finalità ma poi utilizzati come arma.
In sintesi Dunlap definisce quindi il lawfare come “the strategy of using – or misusing – law as a substitute for traditional military means to achieve a warfighting objective” [2].
Quando ho letto questa rappresentazione della funzione del diritto ho preso in mano, come sempre faccio quando sorgono questioni di teoria generale, i Frammenti di Santi Romano.
Santi Romano, nei Frammenti, affronta il tema della funzione del diritto, e conclude che il diritto ha “la funzione di stabilizzare, normalizzare, fissare taluni momenti e movimenti della vita sociale” [3].
Più diversa prospettazione è difficile immaginare.
Per avere un’idea di cosa si intenda, negli Stati Uniti, per lawfare conviene fare riferimento ad uno studio organico del 2016 ad opera di Ordre F. Kittrie, dal titolo Lawfare as a Weapon of war [4].
L’autore ricorda innanzitutto un celebre precedente di uso del diritto per combattere una guerra commerciale con un paese straniero, l’incarico dato dalla Compagnia Olandese delle Indie Occidentali, fondata nel 1602, ad Ugo Grozio di scrivere un saggio autonomo in opposizione alle pretese “proprietarie” del Portogallo sulle linee di navigazione dell’Oceano Indiano, a protezione del proprio commercio di spezie, traendolo da suoi precedenti scritti difensivi nell’interesse della Compagnia.
Il saggio di Grozio, inizialmente pubblicato anonimo nel 1608, e poi con il nome dell’autore nel 1609, porta il titolo “Mare liberum, sive De jure, quod Batavis competit ad Indicana Commercia Dissertatio”, ed è (pudicamente) dedicato Ad Principes Populosque liberos Orbis Christiani [5].
Ma l’obiettivo del saggio è esplicito. Il capitolo I si apre con la frase seguente: “Propositum est nobis breviter ac dilucide demonstrare, jus esse Batavis, hoc est, Ordinum Foederatorum Belgien-Germaniae subditis, ad Indos, ita ut navigant, navigare, cumque ipsis commercia colere”. Scopo del saggio è dunque di dimostrare che l’Olanda ha il diritto di navigare verso le Indie e di coltivare i propri interessi commerciali.
Grozio argomenta che per diritto naturale la navigazione è libera, e che il mare è una res communis, destinata all’uso di tutti, e dunque esclusa dalla proprietà privata (“illa vero totius humanitatis consensu proprietati in perpetuum excepta sunt propter usum, qui cum sit omnium, non magis omnibus ab uno eripi potest, quam a te mihi quod meum est”) [6].
Di fronte alla tesi di Grozio del mare liberum non sorprende che nel 1618 un giurista inglese, John Selden, inizi a predisporre una replica, che pubblica nel 1635 con il titolo Mare clausum seu De dominio maris libri duo [7], in cui sostiene il diritto della corona Britannica all’uso esclusivo dei mari del Nord per il commercio e la pesca.
Sulla proprietà del mare si scontrano dunque argomentazioni giuridiche opposte: mare liberum contro mare clausum.
Ed è arguta l’osservazione di Pufendorf, che dà atto che “super mari, an illud proprietatis capax sit, nostro seculo a clarissimis ingeniis fuit disceptatum”, ma aggiunge “ubi observari licuit, multos studium adversus patriam suam magis ob oculos, quam veritatem habuisse” [8].
L’utilizzo dell’argomentazione giuridica come arma nello scontro tra gli interessi commerciali di paesi concorrenti è palese.
Ma torniamo a Kittrie. L’autore si occupa soprattutto di quella che chiama “instrumental lawfare”, e cioè l’utilizzo strumentale di mezzi giuridici per raggiungere gli stessi risultati o risultati analoghi a quelli raggiungibili tradizionalmente con azioni militari.
Gli esempi sono molto numerosi, ed anche eterogenei.
Durante l’invasione del 2003 dell’Iraq gli Stati Uniti applicarono delle sanzioni per prevenire l’acquisto da parte dell’aviazione irachena di nuovi aerei e di pezzi di ricambio, così bloccandola (pag. 7).
Nel giugno 2012 una nave russa era in mare per portare elicotteri armati al regime di Assad in Siria. L’autorità inglese desiderava fermare la nave, ma la intercettazione della nave russa poteva comportare il rischio di una guerra. L’Inghilterra persuase allora l’assicurazione londinese a ritirare la copertura della nave, che fu costretta a tornare indietro (pag. 2).
Nel 2012 la banca inglese HSBC fu sanzionata dal Tesoro degli Stati uniti per quasi 2 miliardi di dollari per aver eluso le sanzioni contro l’Iran, e nel 2014 la banca francese BNP Paribas fu sanzionata per quasi 9 miliardi di dollari per aver consentito a Iran, Sudan e Cuba di accedere al sistema finanziario degli Stati Uniti, in elusione della normativa vigente (pag. 144).
Nel 2014 l’Arab Bank PLC viene convenuta in un giudizio civile negli Stati Uniti (Linde v. Arab Bank) in applicazione dell’Anti-Terrorism Act (ATA) del 1990 come responsabile dei danni alle vittime di attacchi terroristici per un importo intorno ad un miliardo di dollari, e ciò per avere fornito servizi finanziari ad Hamas, controversia che si chiuse con una transazione (pag. 60 ss.).
Le sanzioni degli Stati Uniti nei confronti di soggetti economici europei non potevano passare inosservate.
In Francia fu commissionata dall’Assemblea Nazionale un’indagine, che si concluse con una relazione in data 5 ottobre 2016, a firma Karine Berger, dal titolo: Extraterritorialité des lois américains. La relazione sottolinea che l’applicazione di leggi americane a imprese francesi per comportamenti tenuti fuori dagli Stati Uniti a partire dal 2008 ha portato a sanzioni per più di 20 miliardi di dollari. I casi principali ivi elencati sono i seguenti: quasi 9 miliardi di dollari pagati da BNP Paribas per violazione delle sanzioni internazionali statunitensi (caso già sopra ricordato), 772 milioni di dollari pagati da Alstom per violazione della legislazione statunitense anticorruzione, 398 milioni di dollari pagati da Total per la stessa ragione, 800 milioni pagati da Siemens per la stessa ragione, 787 milioni di dollari pagati da Crédit Agricole per violazione delle sanzioni internazionali americane.
La relazione sottolinea che il legame con gli Stati Uniti era talora tenue, ad esempio il fatto che i pagamenti avvenissero in dollari.
Nel 2018, Le Figarò del 13 novembre riferisce di un documento del 12 aprile di sei pagine della Direction générale de la Sécurité intérieure sottoposto al Ministero degli Interni, in cui si riferisce che «Gli attori americani svolgono una strategia di conquista dei mercati all’esportazione, che si traduce, quanto alla Francia in particolare, in una politica offensiva in favore dei loro interessi economici», e che «questa strategia, che mira a favorire le aziende americane a scapito dei loro concorrenti stranieri, è adottata sia da soggetti pubblici che privati: amministrazioni, aziende, studi legali e di consulenza, ecc. – che lavorano insieme e dispiegano un arsenale di dispositivi e misure economiche e giuridiche» [9]
Quanto alla Francia, occorre ricordare la legge n. 2016/1691 relative à la transparence, à la lutte contre la corruption et à la modernisation de la vie economique, che presenta profili di extraterritorialità. A livello europeo si può ricordare la Direttiva 2019/1937 entrata in vigore il 17 dicembre 2021 sulla protezione del whistleblower [10].
Questa raccolta di dati potrebbe essere aggiornata con riferimento alle sanzioni alla Russia [11], ed ancor più aggiornata con riferimento alla strategia attuale degli Stati Uniti.
Mi limito a ricordare che dal 19 gennaio 2025 il Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act rende illegittimo per società negli Stati Uniti fornire servizi per distribuire, mantenere o aggiornare la piattaforma social TikTok, a meno che l’operatività U.S.A. sia separata dal controllo cinese.
Con sentenza 604 U.S. (2025) in data 17 gennaio 2025 la Corte suprema degli Stati Uniti ha così deciso: «There is no doubt that, for more than 170 million Americans, TikTok offers a distinctive and expansive outlet for expression, means of engagement, and source of community. But Congress has determined that divestiture is necessary to address its well-supported national security concerns regarding TikTok’s data collection practices and relationship with a foreign adversary. For the foregoing reasons, we conclude that the challenged provisions do not violate petitioners’ First Amendment rights».
L’intervento anti-TikTok (o anti Cina) viene così considerato non in violazione del First Amendment, nonostante comprima la libertà di parola.
Crediamo che quanto sin qui ricordato sia sufficiente per mettere a fuoco il fenomeno del lawfare, in particolare con riferimento a interventi incisivi sull’attività imprenditoriale di imprese di paesi esteri.
NOTE
[1] Charles J. Dunlap, Jr., Law and Military Interventions:Preserving Humanitarian Values in 21st Conflicts (paper prepared for the Humanitarian Challenges in Military Intervention Conference, Carr Ctr for Human Rights Policy, Kennedy Sch. of Gov’t, Harvard Univ. Washington, D.C., November 29, 2001), https://people.duke.edu.
[2] Charles J. Dunlap, Jr., Lawfare Today... and Tomorrow, in International Law and the Changing Character of War 315-25 (2011), in https://scholarship.law.duke.edu.
[3] S. Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, Giuffrè, Milano, 1947, 80.
[4] O. F. Kittrie, Lawfare as a Weapon of war, Oxford University Press, Oxford, 2016.
[5] Nell’edizione a mie mani in Hugonis Grotii De Iure Belli ac pacis, accredit De Mari Libero, Traecti ad Rhenum, 1773.
[6] Capitolo V, a pp. 15 e 16 dell’edizione a mie mani, citata alla nota (5).
[7] J. Selden, Mare clausum seu De dominio maris libri duo, London, 1635.
[8] S. Pufendorf, De jure naturae et gentium libri octo, Francofurti & Lipsiae, 1759, libro IV, capitolo V, 90.
[9] Così Le Figarò, ricordato da S. Manfredi, Lawfare, la guerra normativa che minaccia aziende e Stati, in EconomiaCircolare.com, 10 giugno 2024. Di S. Manfredi vedi Attacco e conquista. La guerra normativa, Street Lib, Milano, 2021.
[10] Per l’attuazione in Italia v. d.lgs. 15 marzo 2023, n. 24.
[11] Vedi almeno S.M. Carbone, Contratti internazionali e sanzioni: la disciplina applicabile ai loro effetti, in Dir. comm. int., 2023, 313 ss.