Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Aiuto medico a morire e dipendenza da trattamenti di sostegno vitale: verso una tutela ragionevole del diritto del malato a congedarsi dalla vita per liberarsi dal dolore (di Veronica Bongiovanni, Ricercatore di Diritto privato – Università degli Studi di Messina)


Il contributo si concentra sul contrasto interpretativo sorto con riferimento alla delimitazione della portata del requisito della dipendenza da trattamenti sanitari di sostegno vitale, richiesto, per poter ottenere assistenza a morire, dall’ordinanza n. 207/2018 nonché dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale e recentemente ribadito con la sentenza n. 135/2024. Invero, il concetto di trattamento di sostegno vitale non risulta definibile in termini rigorosi né in ambito medico né a fortiori in quello giuridico. Così, posta l’ormai acquisita rilevanza normativa di tale concetto ai fini della possibilità di ricondurre o meno il caso concreto nel perimetro di non punibilità delineato dalla Consulta, è stata avviata un’indagine, considerando le varie letture che sono state date a tale requisito nell’ambito del dibattito dottrinale e dell’elaborazione giurisprudenziale, nell’ottica di individuare l’interpretazione che, in una logica conforme al principio di ragionevolezza, appaia maggiormente in linea con l’impianto assiologico su cui si regge il nostro ordinamento.

Medical aid in dying and dependence on life-sustaining treatments: towards a reasonable protection of the patient's right to take leave of life to free himself from pain

The contribution focuses on the interpretative conflict that arose with reference to the delimitation of the scope of the requirement of dependence on life-sustaining health treatments, required, in order to obtain assistance in dying, by order n. 207/2018 as well as by judgment n. 242/2019 of the Constitutional Court and recently reaffirmed with judgment n. 135/2024. Indeed, the concept of life-sustaining treatment cannot be defined in rigorous terms either in the medical field or a fortiori in the legal field. Thus, given the now acquired normative relevance of this concept for the purposes of the possibility of bringing the specific case within the perimeter of non-punishability outlined by the Consulta, an investigation was started, considering the various interpretations that have been given to this requirement in the context of the doctrinal debate and jurisprudential development, with a view to identifying the interpretation that, in a logic compliant with the principle of reasonableness, appears most in line with the axiological system on which our legal system is based.

SOMMARIO:

1. Le scelte di fine vita nell’attuale assetto ordinamentale e le questioni rimaste ancora aperte dopo l’intervento del legislatore e le pronunce della Corte costituzionale - 2. La problematica delimitazione della portata del requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e l’utilizzo, ai fini della valutazione della rilevanza dell’interesse ad ottenere assistenza al suicidio, del criterio prognostico temporale - 2.1. I trattamenti sostitutivi di funzioni vitali, la cui sospensione comporta la morte del paziente in un breve lasso di tempo - 2.2. I trattamenti di supporto all’espletamento di funzioni vitali, la cui sospensione comporta la morte del paziente anche in tempi non rapidi - 2.3. I trattamenti di natura assistenziale non causalmente collegati alla sopravvivenza del paziente - 3. La posizione ambivalente assunta dalla Corte costituzionale con la sentenza del 18 luglio 2024, n. 135. Profili di criticità - 3.1. I rischi connessi ad un ulteriore ampliamento della portata delle condizioni richieste per accedere alla procedura di suicidio medicalmente assistito e l’esigenza di assicurare una tutela minima del bene vita - 4. L’irragionevolezza della necessaria sussistenza della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale per ottenere un aiuto medico a morire - 4.1. La fattispecie costitutiva del diritto del malato a congedarsi dalla vita per liberarsi dal dolore, alla luce del principio di dignità che ne veicola e conforma l’autodeterminazione - NOTE


1. Le scelte di fine vita nell’attuale assetto ordinamentale e le questioni rimaste ancora aperte dopo l’intervento del legislatore e le pronunce della Corte costituzionale

La materia delle scelte di fine vita risulta oggi, nell’ambito del nostro ordinamento, dalla disciplina di cui alla legge 22 dicembre 2017, n. 219, che ha riconosciuto il diritto al rifiuto o alla revoca dei trattamenti sanitari finanche di sostegno vitale da parte del paziente capace di agire, nonché dagli interventi della Corte costituzionale di cui all’ordinanza del 16 novembre 2018, n. 207 [1], prima e alla sentenza del 22 novembre 2019, n. 242 [2], poi, che hanno inciso, anche dichiarandone la parziale illegittimità, sull’interpretazione della previsione normativa di cui all’art. 580 c.p., che persegue qualsiasi forma di agevolazione al suicidio. L’unico intervento legislativo in materia, operato con la legge n. 219/2017, mostra il chiaro intendimento del legislatore di voler tenere distinte le condotte, ritenute lecite, che si concretizzano nel lasciar morire il paziente affetto da una patologia irreversibile e tenuto in vita mediante trattamenti di sostegno vitale, da quelle che consistono nell’agevolarne o determinarne la morte, le quali, invece, si ritengono sussumibili nell’ambito di fattispecie di reato [3]. E ciò in quanto, mentre le prime si intendono coerenti con l’impianto assiologico dell’ordinamento, posto che l’esito letale si ritiene causalmente collegato al decorso non contrastato della malattia, le seconde, considerato che è il comportamento tenuto da un soggetto terzo, seppur con il consenso del paziente, ad agevolarne o a provocarne il decesso, si assumono caratterizzate, almeno nella comune percezione indotta anche da valutazioni di ordine etico e morale, da una maggiore carica offensiva [4]. Pertanto, sulla base di questa normativa, se, per un verso, si richiede al medico di adoperarsi per rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza mediante il distacco o lo spegnimento del macchinario che lo tiene in vita e con il supporto della sedazione profonda continua nonché di un’appropriata terapia del dolore (art. 1, comma 6) [5], per altro verso, non gli è concesso mettere a disposizione o somministrare farmaci che siano diretti, non già ad eliminare le sue sofferenze, ma a determinarne la morte. Così, in giurisprudenza si è da tempo consolidato l’orientamento secondo cui l’apporto del terzo all’esecuzione di una decisione di siffatta [continua ..]


2. La problematica delimitazione della portata del requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e l’utilizzo, ai fini della valutazione della rilevanza dell’interesse ad ottenere assistenza al suicidio, del criterio prognostico temporale

Il contrasto interpretativo sorto con riferimento alla necessità che il paziente, per poter ottenere assistenza a morire, si trovi in una condizione di dipendenza da trattamenti sanitari di sostegno vitale ha comportato una serie di difficoltà applicative. Invero, la mancanza di indicazioni esaustive in ordine alla delimitazione concettuale di questi trattamenti non consente di ricondurre nell’alveo applicativo della scriminante tutte quelle vicende nelle quali il paziente che intenda ottenere assistenza al suicidio, pur versando in condizioni analoghe a quelle prese in considerazione nell’ordinanza e nella sentenza della Corte costituzionale, non sia però tenuto in vita mediante macchinari funzionali a sostituire specificamente una o più delle attività ivi elencate, né di farvi rientrare quelle che si siano già consumate all’estero, come nel caso da cui ha tratto origine il recente incidente di costituzionalità. Ora, il concetto di trattamento di sostegno vitale non risulta definibile in termini rigorosi né in ambito medico né a fortiori in quello giuridico. Peraltro, è evidente che il problema non possa essere affrontato esclusivamente sul piano scientifico, trasponendo poi la definizione su un piano diverso e non affine, quale quello giuridico, né sarebbe sensato il procedimento contrario, ricostruendo cioè il concetto su un piano avulso da quello scientifico suo proprio. Nella letteratura scientifica non pare potersi rinvenire una definizione univoca e condivisa di “trattamento di sostegno vitale”, come emerge dal parere reso dal Comitato Nazionale per la Bioetica in risposta al quesito posto dal Comitato territoriale della Regione Umbria, in ordine proprio all’individuazione dei criteri da utilizzare per distinguerli dai trattamenti sanitari ordinari. E ciò, in primo luogo, in quanto le fonti scientifiche di consueto se ne occupano esclusivamente in una prospettiva funzionale al miglioramento dell’assistenza; pertanto, non si preoccupano di definirne il significato, ma si concentrano sul profilo dell’efficacia del trattamento da porre in essere per perseguire l’obiettivo consistente nel tenere in vita il paziente e, quindi, a seconda dei casi, sulla necessità di rimodularlo o sull’esigenza di ridurre o sospendere terapie che siano divenute sproporzionate riguardo al fine o intollerabili [continua ..]


2.1. I trattamenti sostitutivi di funzioni vitali, la cui sospensione comporta la morte del paziente in un breve lasso di tempo

Secondo l’orientamento interpretativo tradizionale, condiviso peraltro dalla maggioranza dei componenti del Comitato Nazionale per la Bioetica nel parere reso in risposta al quesito del Comitato territoriale della Regione Umbria [25], il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale dovrebbe formare oggetto di una lettura restrittiva, soprattutto nell’ottica di evitare il rischio del potenziale ampliamento del novero dei soggetti legittimati ad ottenere assistenza al suicidio. In particolare, tale requisito avrebbe il ruolo di circoscrivere l’area di non punibilità delle condotte di agevolazione al suicidio, al fine di evitare possibili abusi nella pratica dell’assistenza ad una scelta di fine vita. In altre parole, l’idea è quella di attribuire alle condizioni legittimanti prescritte dalla Corte costituzionale una portata interpretativa ed applicativa estremamente limitata, in quanto un eventuale ampliamento dell’area di non punibilità si porrebbe in contrasto “con la necessità etica di tutelare la vita e la salute dei soggetti più deboli e vulnerabili, in coerenza con i principi di dignità umana e solidarietà”. E ciò rileverebbe soprattutto con riferimento a determinate categorie di persone vulnerabili, ossia, ad esempio, a quelle che versino in condizioni irreversibili di disabilità o in situazioni di grande fragilità fisica nel tempo cronicizzatasi o psicologica, vivendo in estrema solitudine o reputando la propria malattia fonte di sofferenze intollerabili, le quali, in mancanza del requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, presenterebbero le condizioni sufficienti per giustificare richieste di suicidio medicalmente assistito. Si ritiene, dunque, che le condizioni legittimanti debbano essere lette in una chiave interpretativa rigorosa, che consentirebbe l’applicazione della scriminante codificata solo alle vicende (non affini bensì) identiche a quella di Fabiano Antoniani, sul presupposto che la Corte costituzionale nel 2019 abbia inteso aprire una breccia rispetto al divieto assoluto di agevolazione al suicidio solo e unicamente con riferimento all’ipotesi specifica su cui la sentenza è stata modellata, lasciando fuori dall’ambito di liceità dell’aiuto medico a morire tutti gli altri casi egualmente gravi ma privi del suddetto requisito. Ora, [continua ..]


2.2. I trattamenti di supporto all’espletamento di funzioni vitali, la cui sospensione comporta la morte del paziente anche in tempi non rapidi

Il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale ha formato oggetto anche di un’in­terpretazione estensiva o addirittura analogica, elaborata dalla giurisprudenza di merito e fondata sull’idea secondo cui dovrebbero essere considerati tali quei trattamenti funzionali a fornire al soggetto malato un “sostegno” in ordine all’espletamento di una delle sue funzioni vitali e non necessariamente diretti ad una loro totale sostituzione, la cui sospensione comporterebbe la morte del paziente in tempi anche non rapidi. Cosicché, si dovrebbe procedere ad attribuire efficacia vitale non solo alla nutrizione, all’idratazione e alla ventilazione, ma anche a funzioni per le quali il supporto che si rende necessario non sempre implica l’utilizzo di tecnologie avanzate o di apparecchi sofisticati, ma può coinvolgere, nell’ambito di un piano di assistenza complesso, soggetti anche non dotati di qualifiche o competenze specialistiche. Rientrerebbero, quindi, nella categoria tutti quei trattamenti di sostegno alle funzioni respiratoria e cardiaca, renale e biochimica-metabolica assicurata dal sistema gastrointestinale e di depurazione [28]. Ne consegue che l’ambito applicativo della regula iuris introdotta dalla Corte costituzionale nel 2019 non comprenderebbe esclusivamente i casi che presentino caratteristiche identiche a quello all’epoca sottoposto al suo vaglio, ma sarebbe invece destinato ad assumere una più ampia portata. Tale approccio interpretativo trae spunto da una vicenda in cui si è esclusa la punibilità della condotta di coloro i quali, pur senza rafforzarne il proposito, hanno materialmente agevolato il suicidio di Davide Trentini, avvenuto nell’aprile del 2017 in una clinica svizzera, per autosomministrazione di una sostanza letale. La Corte d’Assise di Massa ha proceduto all’applicazione retroattiva della scriminante configurata dalla Corte costituzionale sulla base della c.d. clausola di equivalenza, che ne ha consentito l’estensione ai fatti anteriori alla pubblicazione della sentenza – e, in questo caso, anche all’entrata in vigore della legge n. 219/17 – laddove “l’agevolazione sia stata prestata con modalità anche diverse da quelle indicate, ma idonee comunque sia a offrire garanzie sostanzialmente equivalenti” [29]. Nello specifico è stata verificata [continua ..]


2.3. I trattamenti di natura assistenziale non causalmente collegati alla sopravvivenza del paziente

Nell’ambito del dibattito relativo al significato da attribuire al requisito della dipendenza dai trattamenti di sostegno vitale si è, poi, posto il problema di includervi anche trattamenti diretti a fornire al malato un aiuto per lo svolgimento di attività quotidiane, seppur non causalmente connessi alla sua sopravvivenza. La possibilità di un ulteriore ampliamento della portata di tale requisito è stata valutata nella vicenda giudiziaria che ha riguardato il suicidio assistito di Massimiliano Scalas, avvenuto presso una clinica svizzera nel 2022, mediante autosomministrazione di un farmaco letale. In particolare, nel caso di specie, era emersa la sussistenza di quasi tutte le condizioni sostanziali e procedurali richieste ai fini dell’applicazione della scriminante, posto che il soggetto: era affetto da sclerosi multipla, ossia da una malattia ritenuta irreversibile allo stato delle attuali conoscenze scientifiche; pativa sofferenze da lui percepite come intollerabili; aveva concepito, maturato e mantenuto la decisione di darsi la morte in modo libero e consapevole e aveva di fatto realizzato il suo proposito seguendo una procedura medicalizzata particolarmente articolata e in grado, quindi, di offrire garanzie equivalenti a quelle previste dalla legge n. 219/2017 ai fini della formazione di un’autentica volontà di morire [38]. Tuttavia, quanto al requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, si era rilevato come il soggetto non fosse sottoposto a terapie farmacologhe salvavita né fruisse di alcun tipo di assistenza indispensabile ai fini della sua sopravvivenza. Cosicché, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, prima di decidere di adire la Corte costituzionale, si è chiesto se fosse possibile fornire una lettura alternativa di tale requisito, che ne consentisse, adottando un’interpretazione costituzionalmente orientata, di estenderlo anche a trattamenti di natura assistenziale privi di efficacia vitale, considerato che il soggetto, pur conservando integre molte delle sue funzionalità corporee, richiedeva con sempre maggiore frequenza, a causa della progressiva immobilizzazione degli arti, l’aiuto di soggetti terzi per lo svolgimento delle attività fisiologiche quotidiane [39]. Si è, quindi, tentato di accostare analogicamente, seguendo l’iter metodologico avviato dalla giurisprudenza di [continua ..]


3. La posizione ambivalente assunta dalla Corte costituzionale con la sentenza del 18 luglio 2024, n. 135. Profili di criticità

Sulla questione è da ultimo intervenuta la Corte costituzionale con sentenza n. 135/2024, assumendo però una posizione ambivalente, che se, da un lato, lascia trasparire una certa apertura, dall’altro, nel rigettare tutte le censure di incostituzionalità, si rivela ancora estremamente prudente e misurata [42]. Invero, alcune delle perplessità paventate dal G.i.p. di Firenze in ordine alla delimitazione concettuale dei trattamenti di sostegno vitale vengono superate dalla Corte, mediante l’adozione di un approccio interpretativo tendenzialmente conforme alla ratio delle precedenti decisioni del 2018 e del 2019, ma al tempo stesso dotato di una portata moderatamente estensiva. Così, si ritiene che siano qualificabili in termini di trattamenti sanitari tutte le procedure praticate sul corpo del paziente, indipendentemente dal fatto che comportino una particolare ingerenza o che siano connotate da un certo grado di complessità tecnica e di invasività, ivi incluse quelle che, seppur generalmente compiute da personale sanitario specializzato, possano essere apprese ed eseguite da familiari o caregivers. Queste procedure, tuttavia, per assurgere al rango di trattamenti di sostegno vitale devono in concreto rivelarsi necessarie per assicurare l’espletamento di funzioni vitali del paziente, nel senso che la loro omissione o interruzione ne comporterebbe la morte in un breve lasso di tempo. Si accede, quindi, a quell’orientamento interpretativo avallato dalla giurisprudenza di merito nel caso Trentini, attribuendo al trattamento di sostegno vitale anche una funzione assistenziale, seppur sempre collegata alla sopravvivenza del paziente; vi rientrerebbero, pertanto, tutti quei trattamenti che, pur non essendo sostitutivi di funzioni vitali, consistano in un’attività di supporto che ne permetta comunque l’espletamento. La Corte condivide, poi, l’indirizzo maggioritario espresso in seno al Comitato Nazionale per la Bioetica, quanto all’utilizzo del criterio prognostico temporale, secondo cui la sospensione del trattamento di sostegno vitale dovrebbe comportare la morte del paziente in un breve lasso di tempo. Ritiene, tuttavia, in parte discostandosi dal parere reso dal Comitato Nazionale per la Bioetica, che non sia necessario, affinché sussista un trattamento di sostegno vitale, che ricorrano procedure specialistiche connotate da una forte [continua ..]


3.1. I rischi connessi ad un ulteriore ampliamento della portata delle condizioni richieste per accedere alla procedura di suicidio medicalmente assistito e l’esigenza di assicurare una tutela minima del bene vita

La scelta della Corte costituzionale di adottare una linea interpretativa moderatamente estensiva del concetto di trattamento di sostegno vitale pare, in realtà, mal conciliarsi con l’asserita mancanza di profili di incostituzionalità dell’art. 580 c.p. Invero, le due parti della sentenza, l’una diretta a contestare le censure di presunta illegittimità, e l’altra rivolta, invece, verso un seppur modesto ampliamento delle condizioni per accedere al suicidio medicalmente assistito, certamente appaiono tra loro non ben coordinate. In questa prospettiva, sarebbe stato maggiormente coerente con l’impianto logico di questa nonché delle decisioni precedenti accogliere almeno una delle questioni sollevate nell’ordinanza di rimessione – quale, in particolare, quella relativa all’irragionevole disparità di trattamento – dichiarando la parziale illegittimità costituzionale della disposizione normativa, laddove, in presenza degli ulteriori requisiti richiesti, considera punibile la condotta agevolativa del suicidio di un soggetto che dipenda da trattamenti di natura assistenziale, anche praticati da personale non specializzato, che consentano l’espletamento di funzioni vitali [55]. Peraltro, la Corte costituzionale, non solo mostra di avere perfetta contezza delle decisioni di segno opposto adottate da una serie di giudici stranieri anche costituzionali, che hanno tratto dal diritto alla libera autodeterminazione nello sviluppo della propria personalità, nonché dal principio di dignità umana, l’esistenza di un diritto fondamentale a disporre della propria vita anche mediante l’aiuto di terzi [56], ma, laddove si tratta di valutare il presunto contrasto con l’art. 8 CEDU, quale parametro interposto di legittimità costituzionale ex art. 117 Cost., non esita a riferirsi ad alcune decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo nelle quali si afferma espressamente che il diritto di decidere con quali mezzi e a che punto la propria vita finirà rappresenti una delle articolazioni del più ampio diritto al rispetto della propria vita privata [57]. Tuttavia, sempre richiamando la giurisprudenza della Corte Edu, secondo cui, in mancanza di un esteso consenso tra i vari ordinamenti dei Paesi del Consiglio d’Europa, è legittimo che ciascuno di essi mantenga un considerevole [continua ..]


4. L’irragionevolezza della necessaria sussistenza della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale per ottenere un aiuto medico a morire

La necessaria sussistenza del requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, in uno con le altre condizioni di natura sostanziale e procedurale richieste dalla sentenza n. 242/2019 ai fini dell’accesso alla procedura di suicidio medicalmente assistito, è stata ribadita nel suo ultimo arresto dalla Corte costituzionale, la quale, pur ampliandone la portata applicativa, ne ha comunque confermato l’indispensabilità [70]. Cosicché, ad oggi, al di là delle ipotesi in cui sia consentito adottare una lettura estensiva di questo requisito, non è possibile riscontrarlo nei casi in cui i soggetti interessati non beneficino di alcun supporto meccanico per l’espletamento delle loro funzioni vitali né siano sottoposti a terapie farmacologiche salvavita o a trattamenti di natura assistenziale la cui sospensione ne comporterebbe il decesso. Pertanto, tale requisito ha ormai assunto una portata generale, travalicando i confini della situazione peculiare su cui è stato ritagliato, nonché una funzione qualificante rispetto a quello della malattia irreversibile, nel senso che non ogni patologia ritenuta non più trattabile chirurgicamente o farmacologicamente e, quindi, priva di qualsiasi prospettiva di guarigione può, di per sé sola, consentire al malato, che lo scelga in libertà e consapevolezza, di ottenere un aiuto per liberarsi dalle sofferenze intollerabili che è costretto a patire. Ora, a ben guardare, l’opzione interpretativa prescelta dalla Corte costituzionale, sin dall’ordinanza del 2018 che per prima ha individuato la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale quale condizione necessaria per accedere alla procedura, rivela la chiara intenzione di “oggettivizzare” quanto più possibile i requisiti richiesti al fine di attribuire rilevanza all’interesse ad ottenere un aiuto a morire in presenza di una malattia irreversibile e di una sofferenza intollerabile. Tuttavia, come emerge dalla prassi e come rilevato da autorevole dottrina, questo stato di dipendenza, di dubbia definizione già sul piano scientifico prima ancora che su quello giuridico [71], ha rappresentato e continua a rappresentare “un argine precario” [72], contribuendo a ledere la già frustrata effettività della tutela che la Corte costituzionale ha più volte affermato di voler garantire [continua ..]


4.1. La fattispecie costitutiva del diritto del malato a congedarsi dalla vita per liberarsi dal dolore, alla luce del principio di dignità che ne veicola e conforma l’autodeterminazione

Con riferimento all’elaborazione di una disciplina su un tema così controverso, con forti implicazioni etiche, è inevitabile rilevare come allo stato il dibattito continui a risentire di una tendenza alla polarizzazione, che condiziona e vizia i termini del bilanciamento tra i beni costituzionalmente tutelati ritenuti in conflitto, ossia l’autodeterminazione e la dignità, da un lato, e la vita, dall’altro. In realtà, però, si dovrebbe tentare di guardare il problema non attraverso una lente rigida, ma adottando quanto più possibile un approccio attento alla sostanza degli interessi emergenti, che sia in grado di identificare il reale [93] ed individuare i valori coinvolti in tali vicende di fine vita, valorizzandone la dimensione intersoggettiva [94]. Così, di fronte ai progressi della scienza e della tecnica che consentono oggi, da un lato, di procrastinare il termine dell’esistenza e, dall’altro, di anticiparlo, mediante la somministrazione o l’autosom­ministrazione di una sostanza letale, l’ordinamento è chiamato a verificare se, in questo contesto, sia possibile riscontrare l’esistenza di uno o più valori giuridici, che siano realmente espressivi degli interessi dei consociati e che possano intendersi da essi condivisi. Ed è da questo angolo di osservazione che si rileva come, talvolta, in situazioni patologiche gravi, connotate da insostenibili sofferenze, si verifichi un processo di oggettivazione del corpo, che inizia ad essere percepito come qualcosa di estraneo da sé, di cui volersi liberare [95]. In altre parole, il corpo diviene un oggetto non più impregnato di quelle connotazioni di carattere soggettivo che lo rendevano “un luogo dell’io” né più contaminato da elementi affettivi ed identitari; da qui il venir meno dell’identificazione tra il sé e il corpo dell’individuo, cosicché il primo non si riconosce più nel secondo, tanto da non volerne più subire le sorti [96]. In questi casi, il soggetto, laddove sia costretto a vivere nel suo corpo in presenza di una patologia che lo affligge gravemente, può sperimentare una condizione di disidentificazione, destinata a permanere fintantoché non trovi realizzazione la sua personale determinazione volitiva, che, incidendo sulla sua sfera fisica, gli consente di [continua ..]


NOTE