Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Verifica del merito creditizio e tutele del consumatore (di Alberto Azara)


Il saggio prende in esame la sentenza C-679/18 della Corte di giustizia UE, la quale ha ad oggetto l’interpretazione degli artt. 8 e 23 della Direttiva 2008/48/CE sui contratti di credito ai consumatori e sull’obbligo di valutazione del merito creditizio del consumatore. Secondo la Corte, gli articoli 8 e 23 della direttiva 2008/48/CE devono essere interpretati nel senso che impongono al giudice nazionale di esaminare d’ufficio l’esistenza di una violazione dell’obbligo precontrattuale del creditore di valutare il merito creditizio del consumatore, previsto dall’articolo 8 di tale direttiva, e di trarre le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, discendono da una violazione di tale obbligo, a condizione che le sanzioni soddisfino i requisiti dell’articolo 23. Il diritto italiano nulla dice in ordine alle conseguenze civili derivanti dalla violazione dell’obbligo di valutazione del merito creditizio del consumatore. La compatibilità del nostro ordinamento con la disciplina europea può essere argomentata immaginando una norma a “struttura aperta”, che affidi al giudice la scelta del rimedio più giusto.

Verification of creditworthiness and consumer protection

The essay examines the judgment C-679/18 of the EU Court of Justice, which concerns the interpretation of arts. 8 and 23 of Directive 2008/48/EC on credit agreements for consumers and the obligation to assess the creditworthiness of the consumer. According to the Court, Articles 8 and 23 of Directive 2008/48/EC must be interpreted as requiring the national court to examine, of its own motion, whether there has been a failure to comply with the creditor’s pre-contractual obligation to assess the consumer’s creditworthiness, provided for in Article 8 of that directive, and to draw the consequences arising under national law of a failure to comply with that obligation, on condition that they satisfy the requirements of Article 23. Italian law says nothing with regard to the civil consequences deriving from the violation of the obligation to assess the creditworthiness of the consumer. The compatibility of our body of laws with the European discipline can be argued by imagining a rule with an “open structure”, which entrusts the choice of the most just remedy to the judge.

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Alberto Azara - Verifica del merito creditizio e tutele del consumatore

SOMMARIO:

1. Le due questioni pregiudiziali (sentenza C-679/18). - 2. La soluzione della Corte di Giustizia sulla prima questione pregiudiziale: l’obbligo di applicare d’ufficio la sanzione della nullità. - 3. Verifica del merito creditizio e tutele del consumatore nel diritto italiano. Il rimedio risarcitorio. - 4. Segue. Norma “a struttura aperta” e nullità del contratto di credito al consumo. - 5. Segue. La nullità del contratto di credito al consumo per contrarietà all’art. 1418, comma 1, c.c. - 6. Sulla seconda questione pregiudiziale: l’eccessiva difficoltà nell’esercizio del diritto.


1. Le due questioni pregiudiziali (sentenza C-679/18).

La sentenza C-679/18 della Corte di Giustizia dell’UE, emessa a seguito del rinvio pregiudiziale di un Tribunale della Repubblica Ceca, prende in esame l’interpretazione degli articoli 8 e 23 della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa ai contratti di credito ai consumatori. Muoviamo dal testo delle due disposizioni. L’art. 8 della Direttiva 2008/48/CE, rubricato «[o]bbligo di verifica del merito creditizio del consumatore», stabilisce che «[g]li Stati membri provvedono affinché, prima della conclusione del contratto di credito, il creditore valuti il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando la banca dati pertinente». L’art. 23 della Direttiva 2008/48/CE, rubricato «[s]anzioni», così dispone: «[g]li Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della presente direttiva e prendono tutti i provvedimenti necessari per garantirne l’attuazione. Le sanzioni previste devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive». La Direttiva 2008/48/CE è stata recepita dal legislatore della Repubblica Ceca, il quale ha previsto che la violazione dell’obbligo di valutare il merito creditizio implica la nullità del contratto (art. 87 della legge n. 257/2016). L’art. 87, paragrafo 1, della legge n. 257/2016 così delinea lo statuto giuridico della nullità: «Il consumatore può eccepire la nullità entro un termine di prescrizione triennale decorrente dalla data di conclusione del contratto. Il consumatore è tenuto a rimborsare il capitale del credito al consumo concesso entro un termine ragionevole commisurato alle proprie possibilità». Il giudice del rinvio precisa che, secondo una consolidata giurisprudenza, al giudice nazionale è fatto divieto di applicare d’ufficio la sanzione della nullità relativa derivante dall’articolo 87, paragrafo 1, della legge n. 257/2016. Vengono così poste due questioni pregiudiziali: (i) se l’articolo 8, in combinato disposto con l’articolo 23 della Direttiva 2008/48/CE, stabilisca l’obbligo, per il giudice nazionale, di applicare d’ufficio la sanzione della nullità nel caso di [continua ..]


2. La soluzione della Corte di Giustizia sulla prima questione pregiudiziale: l’obbligo di applicare d’ufficio la sanzione della nullità.

La posizione della Corte di Giustizia sul primo tema è molto chiara: per realizzare una tutela effettiva del consumatore (parte debole del rapporto, in situazione di inferiorità rispetto al professionista) è necessario che il giudice nazionale esamini d’ufficio il rispetto dell’obbligo di verifica del merito creditizio gravante sul creditore. Codesto obbligo – afferma la Corte – «mira a tutelare i consumatori contro i rischi di sovraindebitamento e di insolvenza», sicché esso «riveste, per il consumatore, un’importanza fondamentale». Muovendo da questa premessa viene fissato il seguente principio: «la tutela effettiva del consumatore richiede che, in una situazione in cui il creditore esercita un’azione fondata sul contratto di credito nei confronti del consumatore, il giudice nazionale esamini d’ufficio il rispetto, da parte del creditore, dell’obbligo di cui all’articolo 8 della direttiva 2008/48 e, se constata una violazione di tale obbligo, ne tragga le conseguenze previste dal diritto nazionale, senza attendere che il consumatore presenti una domanda a tal fine, fatto salvo il rispetto del principio del contraddittorio». Né sarebbe sufficiente – soggiungono i giudici di Lussemburgo – prevedere una sanzione amministrativa, poiché le sanzioni amministrative «non sono di per sé idonee a garantire in modo sufficientemente effettivo la tutela dei consumatori contro i rischi di sovraindebitamento e di insolvibilità perseguita dalla direttiva 2008/48», poiché codeste sanzioni «non incidono sulla situazione di un consumatore al quale sarebbe stato erogato un contratto di credito in violazione dell’articolo 8 di tale direttiva». In precedenti pronunce la Corte di Giustizia si era occupata dell’obbligo di verifica del merito creditizio, prendendo posizione sulla conformità della sanzione stabilita dal legislatore nazionale in relazione ai criteri enunciati dall’art. 23 della Direttiva 2008/48/CE. In un caso è stata reputata in contrasto con l’art. 23 della Direttiva 2008/48/CE una norma nazionale (francese) che prevedeva l’applicazione degli interessi legali, anziché convenzionali, al finanziamento concesso in violazione dell’obbligo precontrattuale di verificare il merito creditizio del consumatore consultando una [continua ..]


3. Verifica del merito creditizio e tutele del consumatore nel diritto italiano. Il rimedio risarcitorio.

Volgendo lo sguardo al nostro ordinamento, la sentenza della Corte di Giustizia suscita alcuni interrogativi[1]. Quali sono i rimedi offerti al debitore per far valere la violazione dell’obbligo di verifica del merito creditizio? Si tratta di rimedi efficaci, proporzionati e dissuasivi? Viene sùbito in rilievo l’art. 124 bis T.U.B., il quale prevede che «prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente»[2]. Il finanziatore deve, inoltre, aggiornare le informazioni finanziarie di cui dispone riguardo al consumatore e valutare il merito creditizio del medesimo prima di procedere ad un aumento significativo dell’importo totale del credito. La legge nulla dice in ordine alle conseguenze civilistiche derivanti dalla violazione dell’obbligo di verifica[3]. Com’è noto, nella celebre sentenza del 2007[4], la Corte di cassazione a Sezioni Unite ha stabilito che la violazione dei doveri d’informazione del cliente gravanti sui soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni. In assenza di una espressa previsione normativa, la violazione dei doveri di comportamento non implicherebbe la nullità del contratto d’intermediazione ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c. Sotto questa luce, l’unico rimedio per il consumatore sembrerebbe - almeno prima facie -l’azione risarcitoria fondata sull’artt. 1337 c.c., letto congiuntamente all’art. 124 bis T.U.B.: il soggetto finanziato ha l’onere di proporre la domanda risarcitoria (eventualmente in via riconvenzionale) e di dimostrare il danno subìto a seguito dell’omessa o erronea verifica del merito creditizio[5]. Si tratta di una soluzione difficilmente compatibile con la disciplina europea, così come interpretata dalla Corte di Giustizia, e con gli scopi della Direttiva 2008/48/CE. Il rimedio risarcitorio non permette al giudice nazionale di esaminare d’ufficio la violazione dell’obbligo precontrattuale stabilito dall’articolo 8 della Direttiva 2008/48/CE, e di trarre le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, derivano [continua ..]


4. Segue. Norma “a struttura aperta” e nullità del contratto di credito al consumo.

I problemi suscitati dall’azione risarcitoria suggeriscono di muovere in una diversa direzione. Proponiamo due percorsi argomentativi. Il giurista che ripudia la distinzione tra regole di validità e regole di comportamento sarà incline a scegliere il rimedio giusto (o, se si preferisce, ragionevole) in relazione agli interessi implicati e al modo in cui l’illiceità della condotta precontrattuale è penetrata nel precetto negoziale[1]. E allora si potrà dire che la nullità, almeno in alcuni casi, è il rimedio più efficace e adeguato avendo riguardo ai molteplici interessi protetti dalla norma. L’obbligo di verifica del merito creditizio è stato, infatti, contemplato per tutelare: (i) il finanziatore (creditore), poiché l’erronea verifica accresce il rischio di non recuperare il credito; (ii) il finanziato (debitore), poiché l’assunzione di una obbligazione onerosa condiziona il suo tenore di vita futuro; (iii) la sostenibilità del mercato bancario (profilo macro-economico), poiché finanziamenti eccessivi implicano un rischio di default non solo per la singola banca, ma addirittura per l’intero sistema bancario[2]; (iv) i creditori diversi dal finanziatore (profilo rilevante nelle procedure concorsuali), poiché l’ultimo finanziamento concesso determina l’insostenibilità  del  complesso dei debiti gravanti sul consumatore[3]. Nella prospettiva del consumatore, il rimedio demolitorio potrebbe rivelarsi il più adeguato, giacché determina in via automatica l’obbligo di restituire soltanto il capitale senza imporre allo stesso l’onere di dimostrare il danno. L’obbligo restitutorio del capitale non potrebbe risultare gravoso, ove si reputasse applicabile (in via diretta o analogica) l’art. 125 bis, comma 9, T.U.B., secondo cui, «[i]n caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili»[4]. Nella prospettiva della banca, la nullità è la sanzione più dissuasiva, poiché essa prescinde dall’esistenza di un danno e assegna al finanziatore il diritto al rimborso del solo capitale «con la stessa [continua ..]


5. Segue. La nullità del contratto di credito al consumo per contrarietà all’art. 1418, comma 1, c.c.

Il secondo percorso argomentativo resta fedele alla classica distinzione tra regole di condotta e regole di validità. Nella nota sentenza a Sezioni Unite del 2007, la Corte osserva che «[s]e il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni - se così può dirsi - ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo»[1]. Nel caso in esame, l’art. 124 bis T.U.B. nulla dice sul divieto di concludere il contratto nel caso in cui la verifica del merito creditizio non abbia dato un esito positivo. L’assenza di una disposizione esplicita non impedisce all’interprete di ricavare dal sistema il divieto di contrarre in capo alla banca[2]. Nel considerando n. 26 della Direttiva 2008/48/CE si osserva che «in un mercato creditizio in espansione, in particolare, è importante che i creditori non concedano prestiti in modo irresponsabile o non emettano crediti senza preliminare valutazione del merito creditizio»; e si precisa che «gli Stati membri dovrebbero effettuare la necessaria vigilanza per evitare tale comportamento e dovrebbero determinare i mezzi necessari per sanzionare i creditori qualora ciò si verificasse»[3]. La Corte di Giustizia afferma che i giudici nazionali sono tenuti a interpretare le disposizioni nazionali per quanto possibile alla luce del testo e della finalità della Direttiva 2008/48/CE, così da conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 288, terzo comma, TFUE[4]. Il divieto di contrarre del (potenziale) finanziatore appare necessario proprio per perseguire gli scopi della Direttiva 2008/48/CE [5]. Ragionando diversamente, si dovrebbe immaginare in capo alla banca un mero obbligo di comunicare l’esito della valutazione; e, tuttavia, codesto obbligo di comunicazione non accompagnato da un divieto di contrarre deresponsabilizzerebbe la banca, non garantirebbe una effettiva protezione del consumatore e si porrebbe in aperto conflitto con i criteri di sana e prudente gestione dell’attività bancaria di matrice europea[6]. Si aggiunga che le esigenze di tutela [continua ..]


6. Sulla seconda questione pregiudiziale: l’eccessiva difficoltà nell’esercizio del diritto.
Fascicolo 6 - 2021