Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Sulla nozione d'«impresa» e sugli effetti riguardo al private antitrust enforcement. Qualche riflessione a margine di una sentenza della Corte di Giustizia (di Emanuele Stabile, Dottorando – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”)


La sentenza della Corte di Giustizia europea del 6 ottobre 2021 nella causa C-882/19 affronta il tema della responsabilità della società controllata per illeciti antitrust commessi dalla controllante. Nel presente commento, innanzitutto, dopo una doverosa ricostruzione del quadro normativo applicabile, si analizzeranno i precedenti giurisprudenziali con particolare attenzione al concetto “funzionale” di impresa e alle sue implicazioni nel caso di specie. Successivamente, si esaminerà la dottrina avendo riguardo alla teoria dell’unità economica e al private enforcement. Alla luce dei risultati dell’analisi condotta, ci si interrogherà sulle condizioni in presenza delle quali si configura una responsabilità discendente verso la società figlia per illeciti antitrust commessi dalla madre e quali siano i diritti riconosciuti alla prima. Infine, si avrà modo di riflettere criticamente sulle conseguenze di una siffatta estensione della responsabilità civile.

Parole chiave: Società madre e figlia – Impresa – Unità economica – Violazioni antitrust – Responsabilità – Presunzione.

On the notion of «company» and on the effects on private antitrust enforcement. Some reflections on a judgement of the European Court of Justice.

The judgment of the European Court of Justice (ECJ) of  October 6th, 2021 in the case C-882/19 deals with the liability of the subsidiary for antitrust offences committed by the parent company. Firstly, in this essay, after a due reconstruction of the relevant regulatory framework, we will analyze the precedents of ECJ paying specific attention to the “functional” concept of enterprise and its implications in the present case. Later, we will examine the doctrine regarding to the theory of economic unity and private enforcement. In the light of the results of the analysis carried out, we will question on the conditions under which a descending responsibility to the subsidiary for antitrust offences committed by the parent company is assumed and the rights accorded to the subsidiary. Finally, it will be possible to reflect critically on the consequences of such an extension of civil liability.

Keywords: Mother and daughter companies – Company – Economic unit – Antitrust offenses – Liability – Presumption.

L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che la vittima di una pratica anticoncorrenziale di un’impresa può proporre un’azione di risarcimento danni indifferentemente nei confronti di una società madre che è stata sanzionata dalla Commissione europea per tale pratica in una decisione o nei confronti di una società figlia di tale società che non è oggetto di detta decisione qualora esse costituiscano insieme un’unità economica. La società figlia interessata deve poter far valere efficacemente i propri diritti di difesa per dimostrare di non appartenere a tale impresa e, qualora non sia stata adottata alcuna decisione da parte della Commissione ai sensi dell’articolo 101 TFUE, ha anche il diritto di contestare l’esistenza stessa del presunto comportamento illecito.

L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che prevede la possibilità di imputare la responsabilità del comportamento di una società a un’altra società soltanto nel caso in cui la seconda società controlli la prima società.

 

CGUE, Grande Sezione, 6 ottobre 2021, causa C-882/19

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. I precedenti giurisprudenziali della Corte di Giustizia sulla nozione d’impresa … - 3.1. … e sulla qualificazione come impresa del gruppo societario. La teoria dell’unità economica nella giurisprudenza - 4. La dottrina - 5. Il commento - NOTE


1. Il caso

Tra il 1997 e il 1999 la Sumal, società di diritto spagnolo, acquistava due autocarri dalla Mercedes Benz Trucks España, tramite la Stern Motor SL, una concessionaria del gruppo Daimler. La Mercedes Benz Trucks España, a sua volta, era una controllata del gruppo Daimler. Il 19 luglio 2016 la Commissione adottava la decisione C (2016) 4673 final con cui accertava che alcuni produttori europei di autocarri, tra cui la Daimler – e non la Mercedes Benz Trucks España –, avevano partecipato a un accordo collusivo sulla fissazione dei prezzi dei suddetti prodotti violando gli art. 101 TFUE e 53 SEE. La Daimler, in particolare, aveva posto in essere la condotta anticoncorrenziale dal gennaio 1997 allo stesso mese del 2011, in concomitanza dell’acquisto della Sumal. Di conseguenza, quest’ultima agiva innanzi il Juzgado de lo Mercantil n. 07 de Barcelona (Tribunale di commercio n. 07 di Barcellona, Spagna) chiedendo alla Mercedes Benz Trucks España il risarcimento del danno causatole dalla condotta anticoncorrenziale della Daimler, pari al sovrapprezzo che la Sumal avrebbe pagato a causa del cartello. Il Tribunale di commercio respingeva la domanda poiché la decisione della Commissione aveva ritenuto responsabile dell’infrazione la controllante Daimler, unico soggetto a cui poteva chiedersi il risarcimento, e non la controllata Mercedes Benz Trucks España. La Sumal proponeva appello all’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona, Spagna) la quale ultima sollevava rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia chiedendo, innanzitutto, se la dottrina dell’unità economica, di cui si dirà infra, ammetta l’estensione della responsabilità dalla società figlia alla società madre e viceversa nonché a quali condizioni ciò sia possibile. La Corte, in secondo luogo, chiede di precisare se la nozione di unità economica tra società di un gruppo si fondi esclusivamente sul concetto di controllo oppure su altri criteri. Laddove la Corte di Giustizia, in terzo luogo, ammetta l’estensione della responsabilità alla controllata, il giudice del rinvio chiede se sia compatibile con tale orientamento l’art. 71, par. 2, della legge sulla tutela della concorrenza spagnola, che contempla unicamente la possibilità di estendere la responsabilità della società figlia [continua ..]


2. La normativa di riferimento

L’art. 101 TFUE vieta le intese anticoncorrenziali [1] poiché incompatibili con il mercato interno. La norma ha efficacia diretta [2], spiegando effetti direttamente negli ordinamenti statali, e una portata sostanzialmente generale, salve alcune eccezioni. Così, il settore agricolo non è soggetto alla citata disciplina ai sensi dell’art. 42 TFUE. L’art. 101 TFUE contiene un’elencazione esemplificativa di intese proibite. In termini generali, esso vieta le intese c.d. orizzontali che intervengano tra imprese concorrenti operanti al medesimo livello della catena di produzione o distribuzione, ossia nello stesso perimetro territoriale e merceologico. Sono altresì vietate, a certe condizioni, alcune intese c.d. verticali, cioè quelle tra enti posizionati a diversi livelli della catena di produzione o distribuzione [3]. Innanzitutto, quindi, il presupposto per applicare l’art. 101, par. 1 TFUE è l’esistenza di un’intesa. Il diritto europeo, volutamente, non definisce tale nozione così conferendole ampia flessibilità. Essa è stata precisata solo dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia [4]. Ad ogni modo, un’intesa presuppone necessariamente il coinvolgimento di due o più imprese, altrimenti mancherebbe un requisito genetico della fattispecie: l’accordo tra diversi enti. Per quanto qui interessa, tra le intese vietate rientrano gli accordi tra imprese che «… possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno …» [5]. Sono altresì vietate le decisioni di associazioni di imprese e le pratiche concordate. Gli accordi possono avere forma scritta, orale o addirittura consistere in un comportamento tacito [6]. In ogni caso, però, deve ravvisarsi l’incontro delle volontà degli enti coinvolti [7]. La volontarietà della propria condotta fa si che le imprese non possano ignorarne la natura anticoncorrenziale e quindi debbano risponderne anche se ignorassero di trasgredire l’art. 101 TFUE. In secondo luogo, affinché sia applicabile l’art. 101 TFUE occorre che l’intesa rechi un pregiudizio al commercio tra stati membri. Ancora una volta, la normativa non definisce il concetto di [continua ..]


3. I precedenti giurisprudenziali della Corte di Giustizia sulla nozione d’impresa …

Il concetto di “impresa” non è definito da alcuna disposizione normativa europea, ma è frutto dell’at­tività interpretativa della Corte di Giustizia che ha affrontato l’argomento diverse volte. Innanzitutto, nel caso Höfner i giudici europei hanno dovuto stabilire se un ufficio federale per il collocamento fosse un’impresa assoggettabile alle norme sulla concorrenza. La sentenza ha stabilito che: “… nel contesto del diritto della concorrenza, … la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento …” [15]. Tale nozione è stata poi precisata sia dal Tribunale dell’Unione Europea che dalla medesima Corte. Il primo ha definito l’impresa “un’organizzazione unitaria di elementi personali, materiali e immateriali, che persegue stabilmente un determinato fine di natura economica” [16]. La seconda ha stabilito che “… costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato …” [17]. La definizione di impresa è stata poi ulteriormente ampliata dalla giurisprudenza europea [18]. Ad esempio, nelle sentenze Wouters e Pavlov, in particolare, si afferma che, rispettivamente, gli avvocati e i medici specialisti, ma il principio di diritto vale per tutti i liberi professionisti, “nella loro qualità di operatori economici autonomi”, forniscono servizi sul mercato [19]. Essi sono remunerati dai propri clienti per i servizi prestati e assumono i rischi finanziari connessi all’esercizio della propria attività. Ne consegue che “… svolgono un’attività economica e, pertanto, costituiscono imprese ai sensi degli artt. 85 [nds, oggi 101 TFUE], 86 e 90 del Trattato, senza che la natura complessa e tecnica dei servizi da loro forniti e la circostanza che l’esercizio della loro professione è regolamentato siano tali da modificare questa conclusione” [20]. D’altro canto, gli ordini professionali sono considerati associazioni di imprese. Indipendentemente dalla natura della disciplina applicabile “… quando adotta un regolamento … un ordine professionale non [continua ..]


3.1. … e sulla qualificazione come impresa del gruppo societario. La teoria dell’unità economica nella giurisprudenza

In diverse occasioni, la Corte di giustizia ha affrontato il tema della qualificazione come un’unica impresa di più società. Nella sentenza Akzo Nobel i giudici europei sono stati chiamati a stabilire la legittimità dell’imputazione alla controllante, la Akzo Nobel appunto, di azioni delle proprie controllate che la prima riteneva agissero autonomamente. La Corte, facendo buon governo della concezione funzionale di impresa, ha affermato che questa “abbraccia qualsiasi soggetto che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico del soggetto stesso e dalle sue modalità di finanziamento”. “La nozione di impresa, nell’ambito di tale contesto, dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce a un’unità economica, anche qualora, sotto il profilo giuridico, tale unità economica sia costituita da più persone, fisiche o giuridiche” [26]. In senso conforme si è espressa anche la pronuncia Knauf che, nell’ambito di un caso analogo, ha affermato: “secondo costante giurisprudenza, il diritto dell’Unione in materia di concorrenza riguarda le attività delle imprese e la nozione di impresa abbraccia qualsiasi soggetto che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico del soggetto stesso e dalle sue modalità di finanziamento. La nozione di impresa, nell’ambito di tale contesto, dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce ad un’unità economica, anche qualora, sotto il profilo giuridico, tale unità economica sia costituita da più persone, fisiche o giuridiche” [27]. Insomma, l’“impresa” identifica un soggetto economico unitario, anche se composto da soggetti giudici distinti, com’è il caso del gruppo societario. Tale principio di diritto, elaborato dalla Corte di Giustizia sin dagli anni settanta secolo scorso [28], si basa sulla nozione funzionale di impresa ed è il fondamento della teoria dell’unità economica e della responsabilità “ascendente” dalla controllata alla controllante per gli illeciti antitrust commessi dalla prima.


4. La dottrina

La dottrina dell’unità economica è stata dapprima elaborata in sede giurisprudenziale e poi recepita in ambito dottrinale dove illustri Autori si sono interessati dell’argomento sostanzialmente confermando gli arresti giurisprudenziali [29]. Avvalendosi della concezione funzionale di impresa, la teoria in commento sostiene che più imprese, sebbene giuridicamente distinte, possano essere considerate come un’unità economica [30] qualora ricorrano determinate condizioni. In particolare, come rilevato nella storica sentenza ICI [31], per aversi un’unica impresa occorreva che la società madre controllasse, in termini societari, la figlia: la dottrina dell’unità economica, dunque, era applicabile ai soli gruppi societari. Successivamente, la giurisprudenza ha ampliato il perimetro della teoria in commento. È stato ritenuto necessario, infatti, non solo un rapporto di controllo, ma anche l’effettiva influenza da parte della società madre sulla politica commerciale della società figlia. Si avrà un’unità economica, quindi, laddove quest’ultima non determini autonomamente la propria condotta sul mercato. Tale situazione, però, può determinarsi non solo in presenza di un controllo totalitario, ma addirittura di una partecipazione minoritaria a seconda della lex societatis applicabile. La società madre, quindi, deve influenzare in maniera “determinante” le scelte della società figlia finendo per governarne la condotta commerciale “alla luce dei vincoli economici, organizzativi e giuridici intercorrenti tra le entità interessate, variabili a seconda dei casi e non elencabili in modo tassativo” [32]. In presenza di un controllo totalitario era riconosciuta una presunzione di influenza della società madre sulla figlia [33]. Laddove la controllante detenga l’intero capitale sociale della controllata “sussiste una presunzione relativa secondo cui tale società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante nei confronti della sua controllata” [34]. “L’esistenza di un’unità economica può essere quindi dedotta da un complesso di elementi concordanti, ancorché nessuno di tali elementi, isolatamente considerato, sia sufficiente per dimostrare l’esistenza di tale [continua ..]


5. Il commento

Il caso in esame offre l’occasione per valutare l’esistenza di una responsabilità discendente verso la società figlia per un’infrazione contestata alla società madre. Come correttamente rilevato anche dall’Avvocato Generale Pitruzzella nelle proprie conclusioni, secondo un primo orientamento giurisprudenziale, il fondamento della responsabilità ascendente può essere ravvisato nell’influenza determinante esercitata dalla controllante sulla controllata che risulterebbe priva di ogni autonomia decisionale sulla propria politica commerciale. Oppure, secondo un altro orientamento giurisprudenziale oggi prevalente, la responsabilità ascendente si basa sull’unità economica tra diversi enti i quali finiscono per dare vita ad un’unica impresa. La teoria dell’unità economica, però, può giustificare una responsabilità tanto ascendente [47] quanto discendente: ossia della società madre per gli illeciti della figlia e viceversa. Come noto, “né l’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 né la giurisprudenza determinano quale persona giuridica o fisica la Commissione abbia l’obbligo di ritenere responsabile dell’in­frazione e di sanzionare con l’irrogazione di un’ammenda … la Commissione può liberamente considerare responsabile di un’infrazione e sanzionare con l’irrogazione di un’ammenda qualsiasi entità giuridica di un’impresa che abbia partecipato a un’infrazione” [48]. Indipendentemente, dunque, che l’illecito sia imputato alla controllante o alla controllata, l’esistenza di un’unica impresa comporta che la madre e la figlia siano solidalmente responsabili per l’illecito commesso da una di loro [49]. Perché allora dovrebbe negarsi che la società figlia appartenente all’“impresa” risponda del­l’illecito? Siccome, poi, l’infrazione è riconducibile ad una “sola” impresa, è altresì rispettato il principio della responsabilità personale. Come rileva l’Avvocato Generale “in questo modello ricostruttivo dell’unità economica non ci sono ragioni logiche per escludere che l’allocazione della responsabilità possa operare non solo in senso [continua ..]


NOTE