Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Lesione dei diritti della persona, tutela della privacy e intelligenza artificiale (di Massimo Franzoni)


Il saggio prende in esame le origini del diritto alla riservatezza e mette in luce come da qualche tempo, alla identità personale si sia aggiunta la identità digitale, ossia la somma dei criteri identificativi di una certa funzione che una persona intende svolgere connettendosi alla rete. Il concetto di riservatezza si deve adeguare alle nuove tecnologie, poiché il soggetto che naviga in rete continuamente lascia tracce e scambia dati. L’impiego dell’intelligenza artificiale pone ulteriori questioni: i frammenti di vita che le persone lasciano nel web sono raccolti e processati secondo una certa procedura da un algoritmo di machine learning. Si esclude, tuttavia, che l’algoritmo possa diventare un soggetto titolare del diritto, poiché l’art. 2740, comma 2, cod. civ. dispone che «le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge».

Infringement of human rights, protection of privacy and artificial intelligence

The essay examines the origins of the privacy right and notes that for a while up to now, in addition to personal identity, digital identity has become important: it is the sum of the identification criterias of certain function that person intends to perform by connecting to the network. The concept of privacy must be adapted to new technologies, since the subject who surfs the web continuously leaves traces and exchanges data. The use of artificial intelligence raises further questions: the fragments of life people leave on the web are collected and processed according to a certain procedure by a machine learning algorithm. However, it is excluded that the algorithm can become a holder of the right, since art. 2740, paragraph 2, Civil Code provides that «the limitations of liability are not allowed except in the cases established by law».

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Massimo Franzoni - Lesione dei diritti della persona, tutela della privacy e intelligenza artificiale

SOMMARIO:

1. Lo stato dell’arte sul diritto di riservatezza: qualcosa è cambiato. - 2. La tecnologia che cambia i rapporti personali. - 3. I big data e le nuove regole del conflitto fra i diritti della persona. - 4. Segue: la necessità di riconsiderare il conflitto. - 5. L’intelligenza artificiale ha dei diritti?


1. Lo stato dell’arte sul diritto di riservatezza: qualcosa è cambiato.

Un’accreditata leggenda narra che l’avvocato Warren, nell’accogliente città di Boston, alla fine dell’Ottocento, stanco di leggere sul quotidiano locale i particolari della vita mondana della propria moglie e delle relazioni personali della propria figlia, decise di scrivere all’amico Brandeis, allora professore ad Harvard, per valutare il da farsi. Da questa iniziativa nacque il saggio scritto a quattro mani dal titolo Right to privacy del 1890[1], incominciò il cammino verso il riconoscimento di questo diritto, fondato sul Right to be alone. Al lemma privacy di un comune vocabolario inglese / italiano si legge: vita personale e privata, intimità, riservatezza, privatezza, privacy. Ormai il termine è da considerarsi completamente italianizzato e il suo significato usuale è esattamente corrispondente a quello inglese: Right to be alone e Right to privacy possono intendersi come sinonimi. Pur con questa premessa, nel nostro sistema il diritto alla riservatezza ha avuto origine negli anni ’50 del secolo scorso nell’importante previsione dell’art. 8 CEDU, rubricato «Diritto al rispetto della vita privata e familiare». Mentre il diritto alla privacy ha fatto la sua esplosiva comparsa nella l. 31 dicembre 1996, n. 675, rubricata «Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali», successivamente sostituita dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, rubricato «Codice in materia di protezione dei dati personali»; e ha trovato nell’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (G.U.C.E., 18 dicembre 2000, n. C 364), rubricato «Protezione dei dati di carattere personale», il fondamento della sua autonomia dal diritto di essere lasciato solo. In effetti mentre quest’ultimo appartiene alla categoria dei diritti personali di stampo tradizionale, quelli la cui lesione è procurata per effetto dell’altrui intromissione nella sfera giuridica del titolare, il diritto alla privacy, se inteso come diritto al corretto trattamento dei dati personali, appartiene a quei diritti di c.d. nuova generazione, i quali si definiscono necessariamente partecipativi. La loro realizzazione richiede non l’astensione dei terzi, ma una condotta attiva, tenuta secondo certe modalità[2]. Così l’avvocato Warren chiede che nessuno divulghi certe informazioni, il [continua ..]


2. La tecnologia che cambia i rapporti personali.

Il sistema delle relazioni sociali che si svolgono sulla rete e con la strumentazione che progressivamente si è aggiunta, ad esempio un banale smartphone, che usa le App, ha profondamente cambiato i rapporti personali di rilievo giuridico e anche i diritti della personalità che entrano in gioco. In modo efficace è stato affermato che la nostra è una società osservata, nel senso che l’insieme delle relazioni svolgendosi in rete sono naturalmente tracciabili[1]. È possibile uscire di casa e sperare di non essere intercettati da una telecamera collegata in rete, mentre si sta parcheggiando l’auto o mentre si passa il casello dell’autostrada, dunque di risultare anonimi o inosservati; non è possibile connettersi in rete e non essere visibili dal sistema, oltre che dai titolari dei siti che sono stati visitati[2]. Necessariamente il sistema riceve qualcosa dal navigatore e contemporaneamente gli restituisce qualcos’altro: lo osserva durante la navigazione, vede i siti che frequenta, le domande che pone ad una piattaforma, e successivamente gli restituisce qualcosa, magari assecondandolo nei suoi gusti, offrendogli il risultato della ricerca che più gli è gradito, ai successivi accessi[3]. Tutto ciò spesso all’insaputa del navigatore che riceve un risultato ignorando il retroterra che lo ha generato[4]. Tutto ciò non necessariamente perché la piattaforma impiegata voglia celare questi procedimenti, ma normalmente per un fatto culturale: quand'anche gli venisse spiegato nel dettaglio il procedimento, il navigatore medio non sarebbe in grado comprendere ciò che sta accadendo, magari a suo vantaggio[5]. Nel nostro tempo, proprio per questa ragione, il diritto alla privacy vive di una duplice componente: quella tradizionale legata al Right to be alone, ma ha assunto altresì una forte componente sociale. Lo scambio di dati che costantemente avviene durante una qualsiasi navigazione in rete presuppone un’attività, che è all’opposto della tradizionale idea di riservatezza, intesa come diritto volto a garantire che nessuno sappia, prima ancora che riveli, notizie che riguardano la persona interessata. Per contro, proprio quest’ultimo aspetto è quello dominante per esprimere il giudizio sul risarcimento del danno da richiedere, una volta che si assuma lesa la propria privacy. Con la responsabilità [continua ..]


3. I big data e le nuove regole del conflitto fra i diritti della persona.

L’impiego dell’intelligenza artificiale pone ulteriori questioni che inevitabilmente impattano, sia con il trattamento dei dati personali, sia con la tutela dei diritti della persona. Alludo al fatto che il vantaggio che concretamente possiamo ottenere dal lavoro degli algoritmi dipende dalla massa di dati che il sistema può processare, così impadronendosene. L’algoritmo è ormai capace di apprendere in autonomia e di restituire un risultato funzionale ad un certo obbiettivo, ma l’attendibilità del risultato dipende dal modo in cui è stato posto in grado di reperire e selezionare i risultati dei dati raccolti, ma soprattutto dalla quantità di dati sui quali può lavorare: maggiore è la quantità di dati processabili, più attendibile è il risultato conseguibile in output. Spesso questi dati sono reperiti autonomamente dal sistema, talvolta sono decontestualizzati al punto da apparire come “frammenti” di vita delle persone cui si riferiscono, o tracce della loro esistenza quasi surreali: la visita di un sito, la fotografia pubblicata in un social network, la videoripresa ad un casello autostradale, l’impronta digitale lasciata nel portone di ingresso di un supermercato e così via[1]. In sé, e con linguaggio d’altri tempi probabilmente non proprio preciso, verrebbe da pensare che nei big data spesso non ci siano veri e propri dati personali, ma, in senso metaforico, elementi più vicini alle c.d. res derelictae, di cui chiunque può appropriarsi. Questi frammenti non hanno un valore per via dell’intento della persona che li ha lasciati, spesso inconsapevolmente, bensì per il fatto di essere raccolti e processati secondo una certa procedura da un algoritmo di machine learning. Il valore di questi dati si determina a posteriori in conseguenza del lavoro di chi li raccoglie e li processa e per questa via ottiene un certo risultato utile spendibile in rete[2]. I big data e il loro impiego hanno cambiato il modo di considerare il bilanciamento che tradizionalmente va effettuato per risolvere un conflitto tra più diritti della personalità. Appare sproporzionato richiedere il consenso ogniqualvolta quelle informazioni siano di scarso valore per chi le ha rilasciate, più o meno consapevolmente, rispetto al valore che con la raccolta e il trattamento un algoritmo è in grado di [continua ..]


4. Segue: la necessità di riconsiderare il conflitto.

Come dicevamo, i tempi e le logiche dell’economia dei beni immateriali sono molto diversi rispetto a quelli dell’economia dei beni reali. La immaterialità ha trasformato i sistemi di produzione, di distribuzione e di consumo del valore; sostanzialmente ciò è accaduto con l’abbandono della logica della esclusività, che caratterizza la disposizione e il godimento di tutti i diritti assoluti, patrimoniali e non patrimoniali. La dimensione immateriale non conosce la rivalità, non conosce spese di produzione, di riproduzione, di distribuzione, di deposito, di custodia o quantomeno le conosce in misura profondamente diversa al punto da poter non essere quasi stimate[1]. Le logiche di possesso e di proprietà faticano a descrivere un fenomeno in cui il vero costo è nella produzione del prototipo, poiché tutto il resto è quasi pari a zero. Faticano a descrivere il risultato di un opus che forse è bene, ma molto più probamente è destinato ad essere considerato come servizio. Un ebook può essere un bene mobile soltanto perché nella nostra mente un libro in cartaceo è un bene mobile che possiamo godere e disporre allo stesso modo di un’altra cosa. Nella realtà «un libro è un “archivio in un dispositivo” (come qualunque altro medium). Ciò che si acquisisce non è una proprietà, ma un insieme di diritti, facoltà, immunità e privilegi stabiliti contrattualmente tra le parti venditore e acquirente (che però non vendono e non comprano). I termini prevedono restrizioni quali il divieto di prestito, di regalo e di rivendita»[2]. In sostanza acquistiamo un servizio che consiste nella combinazione di un file con un programma capace di aprirlo e in questo modo di restituirci un risultato. Questa idea è sostanzialmente replicabile nelle più diverse situazioni, anche in quelle in cui è direttamente coinvolto un diritto della personalità, poiché la immaterialità comunque contrasta con la esclusività e con i suoi rimedi volti a proteggerla. Non per caso è sempre più frequente individuare il rimedio contro la lesione di un diritto della persona più che in un provvedimento magari con carattere inibitorio, in un procedimento al termine del quale devono essere valutati una serie di comportamenti. L’art. [continua ..]


5. L’intelligenza artificiale ha dei diritti?