Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Il bilanciamento tra diritto all'oblio e diritto di cronaca e la scansione per Fallgruppen (di Sofia Lener)


Il diritto all’oblio, nato dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale a partire dal diritto alla riservatezza e dal diritto all’identità personale e tradizionalmente definito come il diritto a non veder pubblicati nuovamente determinati fatti legittimamente resi noti ma rispetto ai quali è trascorso un certo lasso di tempo, ha ormai assunto due ulteriori accezioni: diritto all’oblio come diritto a contestualizzare l’informazione e diritto all’oblio come diritto alla cancellazione dei dati personali su internet. 

Sebbene il diritto all’oblio abbia ormai trovato un esplicito riconoscimento nel Regolamento 2016/679, rimangono molte questioni aperte, tra cui come bilanciare correttamente quest’ultimo e il diritto di cronaca, bilanciamento rimesso alla giurisprudenza europea e nazionale. 

In questo contesto si pongono due recenti decisioni della Corte di Cassazione, risalenti, la prima, a marzo e, la seconda, a maggio del 2020. Tali sentenze sembrano fornire un quadro unitario di una materia tuttora in evoluzione: non esiste un unico rimedio a tutela del diritto all’oblio, si deve scomporre la materia in tipi diversi di casi, per ognuno dei quali vi è un differente schema di bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di cronaca da applicare alla fattispecie concreta, una sorta di scansione per Fallgruppen

The balance between the right to be forgotten and the right to report and the scanning by fallgruppen

The right to be forgotten, which stems from the development of doctrine and case law starting from the right to privacy and the right to personal identity - and traditionally defined as the right not to have certain facts legitimately made public again but in respect of which a certain amount of time has elapsed -, has now taken on two further meanings: the right to contextualise information and the right to have personal data deleted from the internet. 

Although the right to be forgotten has now been explicitly recognised in Regulation 2016/679, many questions remain open, including how to properly balance the latter and the right to report, a balance left to European and national case law. 

In this context, the Italian Court of Cassation issued two judgments in March and May 2020 that seem to provide a unitary picture of a matter that is still evolving: there is no single remedy to protect the right to be forgotten, the matter must be broken down into different types of cases, for each of which there is a different balancing scheme between the right to be forgotten and the right to report news to be applied to the concrete case, a sort of scanning by Fallgruppen.

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SOMMARIO:

1. Il moderno diritto all’oblio. - 2. Gli orientamenti giurisprudenziali. - 3. Le sentenze. - 4. Conclusioni.


1. Il moderno diritto all’oblio.

La Corte di Cassazione in due recenti decisioni - risalenti, la prima, a marzo e, la seconda, a maggio del 2020 - torna a pronunciarsi sul fondamentale e dibattuto tema del bilanciamento tra diritto all’oblio[1] e diritto di cronaca, in riferimento agli archivi storici online[2]. In realtà, queste ultime due ordinanze sono di poco successive ad una innovativa - sebbene non esente da critiche[3] - decisione della stessa Corte, che si è pronunciata sul rapporto tra diritto all’oblio e diritto alla rievocazione storica nella sua composizione più autorevole, le Sezioni Unite[4], in attesa della quale entrambe le cause erano state rinviate a nuovo ruolo[5]. Nonostante la Corte abbia poi ritenuto la sentenza delle Sezioni Unite irrilevante nei casi in esame[6], è tuttavia evidente che il diritto all’oblio è sempre più spesso oggetto delle decisioni dei giudici di legittimità, non solo perché di esso mancano tuttora una disciplina completa ed una interpretazione uniforme, ma anche e soprattutto perché nella Digital Age i dati vengono diffusi spontaneamente e facilmente in rete dagli stessi soggetti cui questi si riferiscono e sono potenzialmente accessibili a chiunque. Siamo ben lontani dai tempi in cui la Cassazione ha riconosciuto per la prima volta il diritto all’oblio nella sua definizione tradizionale, elaborata da dottrina e giurisprudenza a partire dal diritto alla riservatezza[7] e dal diritto all’identità personale[8], secondo la quale il diritto all’oblio è il diritto a non veder pubblicati nuovamente determinati fatti legittimamente resi noti, ma rispetto ai quali è trascorso un certo lasso di tempo[9]. L’avvento di internet[10], infatti, ha determinato la più grande rivoluzione delle informazioni: gli utenti non ricevono più le notizie in modo passivo, come avveniva con i media tradizionali, ma interagiscono con la macchina, ricercando direttamente ciò che interessa loro, e possono comunicare con altri utenti, contribuendo alla circolazione di dati[11]. Inoltre, le informazioni accessibili online sono decontestualizzate e appiattite, potendo fornire un’immagine distorta di una persona, e una volta pubblicate in rete vi permangono, senza che sia necessaria una loro ripubblicazione. Se a ciò si aggiunge che internet, rispetto alla creazione degli elaboratori elettronici[12], ha determinato [continua ..]


2. Gli orientamenti giurisprudenziali.

Prima di esaminare le due sentenze da cui si è partiti, è necessario dar brevemente conto degli orientamenti europei e nazionali espressi dalla giurisprudenza per risolvere il contrasto tra diritto all’oblio e diritto di cronaca. Emblematico a tal fine è il caso Fuchsmann vs. Germany, deciso dalla Corte EDU, che trae origine dalla pubblicazione nel 2001 sul giornale «The New York Times» di un articolo riguardante un’indagine per corruzione nei confronti di un candidato a sindaco di New York. L’articolo, che ha anche una versione online, nomina Boris Fuchsmann, un imprenditore tedesco nel settore dei media, descrivendolo come «un contrabbandiere di oro e un truffatore, la cui società in Germania era parte di una rete internazionale del crimine organizzato», a cui era stato vietato l’ingresso negli Stati Uniti. Nel novembre del 2013 il caso approda alla Corte EDU, per presunta violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), ossia del diritto al rispetto della vita privata e familiare. La Corte EDU, quindi, si occupa di verificare se la Corte tedesca, nei gradi precedenti di giudizio, abbia effettuato un corretto bilanciamento tra il diritto al rispetto della vita privata e la libertà di espressione e, a tal fine, si basa su cinque criteri consolidati nella sua giurisprudenza in materia, che garantiscono un ragionevole bilanciamento di opposti interessi: il contributo ad un dibattito di pubblico interesse; il ruolo sociale rivestito dall’interessato; il metodo impiegato per ottenere le informazioni e la loro veridicità; la condotta precedente della persona interessata; il contenuto, la forma e le conseguenze della pubblicazione. Arriva così ad escludere la violazione dell’articolo 8 della CEDU nel caso di specie[1]. Nonostante la mancata richiesta del ricorrente di deindicizzazione e la mancata considerazione del fattore temporale da parte della Corte, è evidente il grande peso assegnato da quest’ultima agli archivi online, considerati «un’importante fonte per l’educazione e la ricerca storica, soprattutto perché prontamente accessibili al pubblico e generalmente gratuiti»[2], quasi ad escludere l’esistenza del diritto all’oblio in questa fattispecie[3]. Anche la Corte di Cassazione prova ad individuare alcuni criteri per [continua ..]


3. Le sentenze.

Le due sentenze in esame, come già anticipato, si collocano nel contesto del bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di cronaca, quest’ultimo nella versione di trattamento della notizia per finalità storico-archivistica. La prima vicenda giudiziaria ha ad oggetto la pubblicazione nell’archivio online del «Corriere della Sera» di due articoli del 1994 intitolati «I miliardi dell'eredità P. Firme false e intrighi dietro la Dinasty di Bergamo» e «Eredità miliardaria. È guerra». M.F.P. propone ricorso al Garante della privacy, sostenendo che gli articoli in questione, facilmente reperibili tramite i comuni motori di ricerca, narrando la condanna in primo grado del defunto padre P.P., un importante imprenditore nel campo tipografico, e non riportando l’esito della vicenda, ossia il proscioglimento dell’imputato, ledono l’onore e la dignità del padre e di tutta la famiglia. Quindi, chiede la rimozione gli articoli dall’archivio e, subordinatamente, il loro aggiornamento, oltre alla deindicizzazione dei link che vi rimandano. Il Garante nel 2011 respinge il ricorso e M.F.P. impugna il provvedimento davanti al Tribunale di Milano. Il Tribunale rileva che l’articolo «I miliardi dell'eredità P. Firme false e intrighi dietro la Dinasty di Bergamo» non risulta più indicizzato e che il secondo articolo è stato aggiornato dal «Corriere della Sera» con l’aggiunta dell’esito del procedimento. Pertanto, è cessata la materia del contendere. In ogni caso, il Tribunale sottolinea l’importanza degli archivi giornalistici: il diritto ad essere informati prevale di regola sul diritto del soggetto titolare del dato personale, a meno che da un tale trattamento derivi «una non emendabile compromissione della propria vita di relazione»[1]. Avverso questa sentenza M.F.P. propone ricorso in Cassazione per tre motivi, di cui, ai nostri fini, è rilevante il terzo, nel quale si legge che il Tribunale di Milano avrebbe violato il d.lgs. 196/03 (Codice della privacy) e la Direttiva 95/46, avendo ritenuto prevalente l'interesse della collettività alla conoscenza della notizia, pur in assenza di particolari esigenze che giustifichino la permanenza del dato in un archivio liberamente accessibile. Si noti, in ogni caso, che la Corte stessa antepone l’analisi [continua ..]


4. Conclusioni.