Il contratto di assicurazione costituisce un modello giuridico che tuttora manifesta alcuni profili non secondari di non agevole individuazione, tra i quali si staglia la copertura dei danni alla persona. Il contributo indica una via da percorrere per inquadrare le assicurazioni contro i danni alla persona e per risolvere alcuni dei problemi che essa solleva.
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The insurance contract constitutes a legal model that still manifests some not secondary profiles that are not easy to identify, among which the coverage of personal injury stands out. The paper indicates a way forward to frame personal injury insurance and to solve some of the problems it raises.
Keywords: Insurance contract – personal injury insurances – legal nature – indemnity principle – social security function.
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1. La qualificazione delle assicurazioni contro i danni alla persona - 2. Danno biologico e principio indennitario - 3. Evento dannoso ed evento relativo alla vita umana - 4. Principio indennitario e principio di adeguatezza quali limiti alla aleatorietà dei contratti assicurativi - NOTE
Uno dei nodi problematici più complessi che solleva l’esame del contratto di assicurazione riteniamo che sia tutt’oggi costituito dalla individuazione della natura delle assicurazioni contro i danni alla persona, risultando ancora tutt’altro che definita la loro riconducibilità all’assicurazione contro i danni o a quella sulla vita o, più esattamente, il riconoscimento alle stesse di una funzione o indennitaria o, viceversa, previdenziale.
È appena il caso di ricordare che la prima ragione di tale incertezza deriva dalla scarsa considerazione [1] che il legislatore ha riconosciuto a tale figura, tenendo conto che nel nostro ordinamento, a differenza di ciò che avviene nel sistema spagnolo [2], essa non è definita né tantomeno disciplinata dalla legge [3], la quale come è noto contempla (art. 1882 cod. civ.) e prevede una disciplina unicamente per le assicurazioni contro i danni (artt. 1904 ss. cod. civ.) e per quelle sulla vita (artt. 1919 ss. cod. civ.).
È bene anche chiarire che siffatti problemi di inquadramento non dipendono da un insufficiente approfondimento della dottrina [4] o da una scarsa sensibilità della giurisprudenza [5], ma della ricorrenza contestuale, in tali polizze, di tratti oggettivi sia delle assicurazioni contro i danni che di quelle sulla vita. Da un lato, infatti, l’idoneità dell’evento (malattia, infortunio e financo longevità) a determinare conseguenze negative oggettivamente accertabili, quali l’inabilità o l’invalidità temporanee o permanenti, su un bene – quale la salute – peraltro tutelato al massimo livello (artt. 2 e 32 Cost.), richiamano lo schema dell’assicurazione contro i danni; dall’altro la lesione di un interesse di natura personale (e non patrimoniale) – quale l’integrità psico-fisica dell’assicurato – e la previsione di una prestazione predeterminabile dalle parti in modo libero e con modalità forfetaria, parrebbero costituire connotazioni dell’altro negozio assicurativo.
Su queste basi, un contributo alla corretta impostazione della questione riteniamo che debba passare per due interrogativi.
In primis occorre soffermarsi sui caratteri dei danni alla salute diversi dalle spese mediche sostenute per far fronte alle conseguenze della malattia o dell’infortunio [6].
Al riguardo non interessa tanto verificare se il danno all’integrità psico-fisica (o biologico) [7] sia da considerare di natura patrimoniale o non patrimoniale posto che, in entrambe le ipotesi, non vi sarebbe alcun dubbio che esso – diversamente da quanto vale con riguardo ad altre tipologie di danni non patrimoniali – è quantificabile, con criteri certi ed obiettivi [8] e allo stesso va sicuramente riconosciuta una funzione riparatoria per il danneggiato [9].
Importa, invece, stabilire se – almeno su un piano astratto e/o ipotetico – il danno biologico o, se si preferisce, l’invalidità (o l’inabilità) nella quale si risolve, è compatibile con il principio indennitario [10], ossia se l’insieme di regole dalle quali è desumibile e nelle quali, allo stesso tempo, si articola detto principio sono – sul piano tecnico – riferibili alle sole coperture di cose o tuttalpiù a quelle del patrimonio – ovvero alle ipotesi nelle quali l’assicurato è esposto all’insorgenza di un debito suscettibile di diminuire il suo patrimonio (assicurazioni di spese e della responsabilità civile) – oppure anche alla copertura dei danni alla integrità psico-fisica della persona [11].
Per rispondere al quesito occorre naturalmente passare per la ratio del principio indennitario, la quale, come ci è stato insegnato [12], è quella di impedire che l’assicurato possa trarre vantaggi economici dall’evento dannoso ricevendo, in virtù del contratto stipulato – o dei contratti in caso di pluralità di assicuratori (art. 1910 cod. civ.) –, una prestazione di entità superiore alle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’accadimento dell’evento. Tra le varie ragioni addotte per supportare tale configurazione del principio – che conduce a collocare lo stesso tra quelli di ordine pubblico – è stato richiamato l’obbligo di salvataggio posto dall’art. 1914 cod. civ. il quale «può considerarsi posto a tutela di un interesse generale, perché esso ottiene il risultato di diminuire i sinistri o almeno di impedire la propagazione di conseguenze dannose. Ciò evita una diminuzione della ricchezza nazionale e i pericoli insiti nel fatto dannoso che possono presentarsi anche per la vita delle persone» [13]. Soprattutto però in tale direzione va, a nostro avviso, posto l’accento sull’apparato di tutela pubblicistica – comprendente, tra l’altro, l’istituzione nel 1982 di una apposita Autorità indipendente di vigilanza sul settore (IVASS) [14] – previsto per l’esercizio dell’attività assicurativa, il quale sarebbe affatto incoerente con il ricorso da parte dei contraenti all’aleatorietà, espressa dal contratto assicurativo, per scopi speculativi [15].
Ciò posto non sembrerebbe che vi siano ragioni di carattere generale né singole indicazioni di diritto positivo che inducano a differenziare, in relazione all’operatività del principio, le conseguenze strettamente patrimoniali (id est: che incidono su vere e proprie poste patrimoniali) dell’evento previsto dalle conseguenze economiche che, quantunque non determinanti una diminuzione patrimoniale nel senso appena precisato, sono pur sempre monetizzabili (id est: traducibili in denaro) con criteri obiettivi, consolidati e dunque certi. Non si vede cioè perché all’assicurato dovrebbe essere preclusa la possibilità di ottenere un indennizzo superiore al bene materiale danneggiato (nelle assicurazioni di cose) o al debito che dovesse sorgere nella sua sfera nei confronti di terzi (nelle assicurazioni del patrimonio) ma non quello di programmare con l’impresa una prestazione superiore al calcolo del danno biologico (ossia dell’invalidità o dell’inabilità) nel quale dovesse incorrere.
In termini più espliciti, se si riconosce che l’obiettivo del legislatore è quello di evitare che, tramite l’assicurazione contro i danni, l’assicurato possa trarre vantaggio dal verificarsi dell’evento dannoso, ciò deve valere anche quando questi vantaggi dovessero derivare a seguito di un risarcimento dei danni alla persona stabilito in modo eccedente rispetto alla entità di quelli effettivamente subiti.
L’elemento necessario e sufficiente per l’operatività del principio indennitario è, dunque, la determinabilità del danno derivante dall’evento contemplato con criteri obiettivi e certi, ossia posti e conosciuti prima della sua verificazione [16]. Di qui il corollario della intrinseca incompatibilità del principio rispetto ai danni quantificabili unicamente in via equitativa, ossia ai danni non patrimoniali alla persona diversi da quello biologico (cc.dd. danni morali).
Sciolto in senso positivo il nodo della astratta compatibilità dei danni alla persona con il principio indennitario, si pone il problema ulteriore relativo alla applicabilità – questa volta – in concreto del principio alle fattispecie assicurative in esame, dovendosi accertare se la malattia o l’infortunio (o, ancora, la longevità) – e cioè i fatti idonei a minare l’integrità psico-fisica dell’assicurato determinando uno stato di invalidità o di inabilità – siano da considerare, sul piano strettamente tecnico-giuridico, alla stregua di «sinistri» ai sensi della prima parte dell’art. 1882 cod. civ. oppure di «eventi attinenti alla vita umana», ai sensi della seconda parte della stessa norma.
Il quesito è sollecitato dalla ricordata circostanza che sul piano, per così dire, materiale o naturalistico è difficilmente contestabile che tali eventi possano essere qualificati in entrambi i modi, in quanto per un verso cagionano, come rilevato, una conseguenza negativa (lesione della salute), accertabile oggettivamente con criteri consolidati ma, per altro verso, incidono indiscutibilmente su valori della persona, ossia relativi all’esistenza dell’individuo, e non su beni o altre poste del suo patrimonio [17].
Dovendosi, quindi, stabilire la prevalenza tra le qualifiche in termini di «dannosità» e di «attinenza alla vita umana», non può che farsi ricorso al criterio funzionale – vero e proprio faro per tutti gli atti di autonomia privata [18] – alla luce del quale occorrerà appurare in quale rapporto si pongono la causa indennitaria/risarcitoria al quale conduce la qualifica dannosa dell’evento e quella previdenziale al quale porta la sua attinenza alla vita umana.
Per le ragioni altrove meglio illustrate [19], reputiamo che l’assetto di interessi di natura personale che connota la seconda funzione, prevalga o, meglio, assorba quello di natura squisitamente patrimoniale che connota la prima, in ragione della maggior rilevanza che l’ordinamento attribuisce agli interessi di natura previdenziale. Pertanto, qualora un dato evento sia astrattamente idoneo tanto a cagionare un danno – il cui ammontare sia suscettibile di essere circoscritto sulla base del principio indennitario – quanto ad esprimere attinenza con l’esistenza dell’individuo e con i valori e gli interessi a questa riferibile, il contratto assicurativo che contempla detto evento dovrà essere tendenzialmente ritenuto di natura previdenziale, con conseguente applicazione della disciplina – contenente meno vincoli per le parti nella determinazione del contenuto del contratto e più vantaggi per l’assicurato rispetto ai terzi – prevista per le assicurazioni sulla vita (artt. 1919 ss. cod. civ.) concretamente compatibile con lo specifico contratto assicurativo preso in considerazione.
Tale direzione, d’altro canto, è stata tracciata con chiarezza dal legislatore con riguardo all’assicurazione dell’evento morte, il quale pur essendo di indole intrinsecamente dannosa [20], è stato però considerato, nel contesto assicurativo, non per tale carattere, ma per la sua idoneità ad incidere su interessi della persona – e segnatamente dei congiunti del defunto – di natura previdenziale. Siffatto criterio di qualificazione del contratto al quale accede l’evento “ibrido”, deve quindi valere per tutte le figure assicurative – comprese quelle sulla salute – che, a prescindere dai rami nei quali sono collocate, tutelano interessi della persona che scaturiscono dalla compromissione di diritti primari [21].
La circostanza che il principio indennitario sia risultato concretamente – e non, lo si ripete, astrattamente – non applicabile alle assicurazioni contro i danni alla persona non implica, a nostro avviso, che, in queste ultime, i contraenti possano determinare ad libitum l’entità della prestazione dell’impresa. La necessità di collegare, almeno in linea di massima e seppure con un notevole margine di elasticità, l’ammontare di questa alle esigenze economiche che potrebbero sorgere in capo all’assicurato in conseguenza della menomazione psico-fisica dedotta nel contratto, infatti, è, a nostro avviso, richiesta anche nel contesto della funzione previdenziale dal principio di “adeguatezza” posto dall’art. 38 Cost. [22].
È appena il caso di ricordare, invero, che quest’ultima norma assume un preciso rilievo sul piano della disciplina applicabile alle assicurazioni aventi natura previdenziale, fissando, appunto nella adeguatezza tra i mezzi previsti (id est: l’entità della prestazione promessa dall’impresa) e le esigenze di vita maturate a seguito del verificarsi dell’evento, il limite di tale funzione contrattuale [23]. Se non ci fosse tale limitazione, del resto, il negozio assicurativo potrebbe realizzare finalità almeno in parte speculative e, quindi, si determinerebbe una situazione non dissimile da quella che, in caso di assicurazione contro i danni, si manifesta in caso di violazione del principio indennitario e che, come si è rilevato [24], non è consentita nel nostro ordinamento.
La valorizzazione del principio di adeguatezza, in definitiva, consente di soddisfare una precisa esigenza insita nella natura composita dei danni non patrimoniali alla persona e, segnatamente, nella possibile presenza anche di una componente (c.d. danno morale) non riconducibile al solo danno biologico. Esigenza consistente nella necessità di stabilire con un certo grado di elasticità, senz’altro maggiore di quella permessa dal principio indennitario, l’ammontare della prestazione dell’impresa, evitando però che la previsione di una prestazione palesemente eccedente rispetto alle necessità economiche determinate dall’evento idoneo a menomare la salute, conduca il contratto al di fuori dall’area funzionale assicurativa.
Tale chiave di lettura, del resto, non è priva di conseguenze sul piano strettamente applicativo, in quanto consentirebbe, ad esempio, di superare la grave incoerenza nella quale è incorso il menzionato orientamento giurisprudenziale [25] che dopo aver distinto, in ordine alla disciplina applicabile alle assicurazioni contro gli infortuni, le ipotesi nelle quali sia previsto l’infortunio mortale da quella relative agli infortuni non mortali, ha ritenuto riferibile solo alla seconda ipotesi il principio indennitario, quale conseguenza della sua riconduzione alla assicurazione contro i danni. Più precisamente in tale impostazione è stato ritenuto applicabile a tale ipotesi l’art. 1910 cod. civ. – sicura e diretta manifestazione del principio indennitario – al fine di evitare che l’assicurato possa ottenere, a fronte del medesimo rischio, più prestazioni (da parte di più assicuratori), conseguendo così un indebito arricchimento, senza però spiegare in modo soddisfacente perché la discrezionalità delle parti nel fissare la prestazione di un unico assicuratore non possa essere assoggettata ad alcuna limitazione, nonostante l’infortunio (non mortale) venga considerato alla stregua di un comune evento dannoso, e come tale, come si è detto, in toto sottoposto, per ammissione di questa stessa giurisprudenza, alla regola indennitaria [26]. Se richiamata e ritenuta applicabile, infatti, tale regola non può non essere considerata in tutte le sue manifestazioni, prescindendo dalla circostanza che l’arricchimento dell’assicurato (id est: il conseguimento di un ristoro maggiore rispetto al danno subito) derivi dall’ammontare della prestazione di un solo assicuratore (art. 1909 cod. civ.) oppure da un importo complessivo, derivante dalle prestazioni di una pluralità di assicuratori (art. 1910, comma 3, cod. civ.).
La presa d’atto che nei contesti descritti il principio indennitario, per le ragioni illustrate, non opera affatto e che il tendenziale collegamento tra l’entità della somma complessiva promessa all’assicurato – non importa se da uno o più assicuratori – e le esigenze economiche che potrebbero sorgere in conseguenza dell’evento contemplato è assicurato dal principio di adeguatezza consentirebbe, quindi, di superare la contraddizione insita nel ragionamento della Suprema Corte e di pervenire ad una soluzione più coerente.
In conclusione, può rilevarsi, ampliando leggermente il discorso, che la considerazione congiunta del principio di adeguatezza e di quello indennitario consente, a nostro avviso, di individuare in maniera completa i limiti del ricorso al modello aleatorio assicurativo di cui all’art. 1882 cod. civ. tenendo conto, in proposito, della graduazione realizzata dall’ordinamento a seconda della funzione – indennitaria o previdenziale – che esso concretamente esprime. In tale contesto concettuale auspichiamo che possa trovare una risposta convincente, nei termini illustrati, il problema della natura delle assicurazioni contro i danni alla persona.
[1] Rilevata anche da G. Partesotti, I principi che dovrebbero regolare l’assicurazione delle persone, in Ass., 1981, I, 526 s.
[2] Nel diritto spagnolo, infatti, la ley de contrato de seguro, dell’8 ottobre 1980, n. 50, contempla e munisce di una apposita disciplina le assicurazioni contro i danni alla persona. Più precisamente il legislatore spagnolo, dopo aver dettato la disciplina comune del contratto di assicurazione, individua due tipi, distinguendo le assicurazioni contro i danni da quelle di persone. Quest’ultima classe è definita dall’art. 80 precisando che «el contrato de seguro sobre las personas comprende todos los riesgos que puedan afectar a la existencia, integridad corporal o salud del asegurado». Vengono, dunque, separate le assicurazioni sulla vita (seguro sobre la vida, artt. 83 ss.), dalle assicurazioni che attengono alla menomazione della salute, costituite dalle assicurazioni contro gli infortuni (seguro de accidentes, artt. 100-104), dalle assicurazioni contro le malattie e di assistenza sanitaria (seguros de enfermedad y de asistencia sanitaria, artt. 105 e 106) e da quelle contro il rischio di non autosufficienza (seguros de dependecia, artt. 106 ter e 106 quater). Riteniamo che il modello spagnolo appaia più attuale e anche più virtuoso di quello italiano, in quanto individuando nella natura del bene oggetto di tutela il criterio di bipartizione dei tipi assicurativi, colloca le assicurazioni che attengono alla salute nella stessa categoria che contiene quella sulla vita, riservando quindi alle prime una posizione, sul piano disciplinare e valoriale, prossima a queste ultime e, viceversa, opportunamente più distante rispetto alle assicurazioni contro i danni.
[3] Il legislatore italiano si limita a menzionare nell’art. 1916, comma 4, cod. civ. – in modo incidentale – le assicurazioni contro gli infortuni e le disgrazie accidentali, nell’art. 2 cod. ass. le assicurazioni contro gli infortuni e contro le malattie (rami 1 e 2 danni) e contro le invalidità gravi determinanti la non autosufficienza (ramo IV vita) nonché a introdurre alcune specificazioni dei caratteri di queste ultime negli artt. 7 e 8 del Regolamento ISVAP del 16 marzo 2009, n. 29.
[4] Per una panoramica sulle articolate posizioni espresse cfr. M. Rossetti, Il diritto delle assicurazioni, II, Le assicurazioni contro i danni, Padova, 2012, 572 ss.; F. Sartori, Le assicurazioni infortuni: funzione indennitaria e vantaggi compensativi, in Diritto alla salute e contratto di assicurazione, a cura di P. Corrias, E. Piras, G. Racugno, Napoli, 2019, 186 ss.; A. Polotti di Zumaglia, Le assicurazioni contro i danni alla persona, Milano, 2019, 63 ss.; F. Pes, L’assicurazione contro il rischio di non autosufficienza nel sistema delle assicurazioni della salute, in Ass., 2021, 620 s.
[5] Pur tra evidenti incertezze e difficoltà sul piano argomentativo, appare attualmente prevalente l’orientamento che riconduce le assicurazioni contro gli infortuni non mortali (e l’assicurazione malattie) alle assicurazioni contro i danni e quelle contro gli infortuni mortali alle assicurazioni sulla vita. Cfr., oltre alla fondamentale Cass., sez. un., 10 aprile 2002, n. 5119, in Ass., 2002, 105 ss. che ha tracciato la linea, Cass. 8 aprile 2021, n. 9380, in Ass., 2021, 524; Cass. 4 maggio 2018, n. 10602, ivi, 2019, 159; Cass. 24 ottobre 2017, n. 25099; Cass. 11 giugno 2014, n. 13233, in Foro it., 2014, I, 2064 ss.; Cass. 12 febbraio 2008, n. 3268; Cass. 11 gennaio 2007, n. 395, in Resp. civ. prev., 2007, 1294; Cass. 9 marzo 2006, n. 5102. Precedentemente i giudici propendevano, in maniera gradualmente meno risoluta con il passare degli anni, per l’ascrivibilità anche delle assicurazioni contro gli infortuni non mortali alle assicurazioni sulla vita: v. Cass. 1° aprile 1994, n. 3207; Cass. 10 novembre 1994, n. 9388, in Giust. civ., 1995, I, 949; Cass. 8 novembre 1979, n. 5755; Cass. 19 settembre 1979, n. 4788; Cass. 26 giugno 1973, n. 1846, in Giust. civ., 1974, I, 304; Cass. 2 ottobre 1972, n. 2802, in Ass., 1973, II, 207; Cass. 15 novembre 1960, n. 3048, in Giur. it., 1962, I, 453, pur non mancando qualche aperto riferimento ad un «terzo genere assicurativo» (Cass. 21 giugno 1971, n. 1941, in Foro it., 1971, I, 2506 ss.).
[6] Per questa voce di danno meramente patrimoniale, infatti, il problema si pone in termini diversi da ciò che vale per il danno c.d. biologico, essendo incontrovertibile la astratta compatibilità delle spese mediche con il principio indennitario.
[7] Per danno biologico, infatti, si intende «la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente dalle attuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito» [art. 138, comma 2, lett. a), cod. ass.].
[8] In tal senso, tra gli altri, E. Navarretta, Il contenuto del danno non patrimoniale e il problema della liquidazione, in Il danno non patrimoniale (Principi, regole e tabelle per la liquidazione), a cura di E. Navarretta, Milano, 2010, 88 ss., la quale opportunamente distingue, nel contesto della struttura composita del danno non patrimoniale, la funzione solidaristico-compensativa assunta dal danno biologico – suscettibile di essere “monetizzato” con criteri sufficientemente certi dalla scienza medico-legale attraverso la misurazione della patologia psico-fisica con i parametri della invalidità temporanea o permanente – da quella solidaristico-satisfattiva da riconoscere alle altre voci di danno non patrimoniale. Sulla progressiva “patrimonializzazione” del danno alla persona v. ampiamente M. Barcellona, La responsabilità civile, in Trattato del diritto privato, diretto da S. Mazzamuto, VI, 1, Torino, 2021, 333 ss., spec. 370 ss.
[9] Si tratta dell’impostazione seguita dalla giurisprudenza prevalente e recentemente ben illustrata e ribadita da Cass. 28 settembre 2018, n. 23469, in Resp. civ. prev., 2019, 503 ss., con ampia nota di C. Scognamiglio, La giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di risarcimento del danno non patrimoniale tra continuità e innovazione, 508 ss., spec. 512 s., il quale sottolinea il contributo della decisione alla costruzione di uno statuto del danno non patrimoniale con riguardo ai requisiti della unitarietà e onnicomprensività dello stesso, nell’ambito della realizzazione di finalità sia satisfattorie, con riguardo al senso di giustizia della vittima, che sanzionatorie dell’illecito.
[10] Si sono espresse in senso positivo, senza tuttavia argomentare in modo a nostro avviso sufficiente la posizione, Cass., sez. un., 10 aprile 2002, n. 5119, cit., 115 s.; Cass. 4 maggio 2018, n. 10602, cit., 165; Cass. 8 aprile 2021, n. 9380, cit., 511 ss.
[11] Illustrano lucidamente il problema R. Pardolesi e P. Santoro, Sul nuovo corso della compensatio, in Danno resp., 4, 2018, 428 s.
[12] G. Partesotti, La polizza stimata, Padova, 1967, 1 ss., spec. 69 ss.
[13] G. Partesotti, La polizza, cit., 85.
[14] In precedenza ISVAP.
[15] È noto, infatti, che il legislatore valuta con tendenziale sfavore e, comunque, con diffidenza gli schemi aleatori sorretti dalla sola causa lucrandi, ossia dal perseguimento di un incremento patrimoniale senza un corrispondente sacrificio, o con un sacrificio alquanto modesto rispetto all’entità del possibile guadagno (v., ampiamente, M. Paradiso, I contratti di gioco e scommessa, Milano, 2003, 77 ss., spec. 79 s.; G. Capaldo, Contratto aleatorio e alea, Milano, 2004, 64, 147 s., 185 ss.). Può in particolare riscontrarsi che nei contratti aleatori tipici, l’attribuzione della piena tutela (id est: della coercibilità in giudizio) al meccanismo che subordina l’esigibilità o la determinazione della misura della prestazione di una (o di entrambe) le parti ad un evento incerto, dipende dalla circostanza che siffatta finalità speculativa coesista con ulteriori funzioni, socialmente apprezzabili. Ebbene, la ragione sociale che giustifica non solo l’ammissibilità del contratto di assicurazione contro i danni ma anche la tutela pubblicistica che ad esso è stata riconosciuta, verrebbe contraddetta dalla possibilità di utilizzare lo stesso per perseguire scopi speculativi.
[16] Nella stessa direzione M. Hazan, Risarcimento e indennizzo (nella polizza infortuni): cumulo o scorporo, in Danno resp., 2014, 922.
[17] Riteniamo che una indicazione fondamentale circa la possibilità di considerare la lesione della salute in termini di «evento attinente alla vita umana» (art. 1882 cod. civ.) giunga dall’art. 38 Cost., il quale concorre a delineare la fattispecie dell’assicurazione sulla vita, equiparando la valenza “previdenziale” della vecchiaia (ossia della sopravvivenza) a quella della malattia, dell’infortunio e dell’invalidità. A nostro modo di vedere, più precisamente, la norma costituzionale integra la definizione codicistica dell’assicurazione sulla vita, specificando che per eventi alla vita umana debbono intendersi tutte le menomazioni dell’integrità psico-fisica dell’individuo, a prescindere dalla gravità che presentano e dalle modalità con le quali si manifestano (v. P. Corrias, Le assicurazioni sulla vita, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, già diretto da L. Mengoni e P. Schlesinger, continuato da V. Roppo e F. Anelli, Milano, 2021, 74).
[18] Ogni citazione appare superflua. Sia però consentito menzionare G. B. Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, spec. 249 ss.; 355 ss. e A. Cataudella, I contratti (Parte generale), Torino, 20093, 171 ss., spec. 175.
[19] P. Corrias, Le assicurazioni, cit., 72 ss.; in senso adesivo F. Pes, L’assicurazione, cit., 623.
[20] Non v’è dubbio, infatti, che la vita umana sia valutabile economicamente sulla base di precisi parametri che, peraltro, si avviano a diventare sempre più oggettivi ed uniformi (cfr. M. Rossetti, Il diritto, cit., 586). Con ciò non si intende – né si potrebbe – affrontare in questa sede il problema relativo alla natura e alla portata del danno tanatologico o da perdita della vita, prendendo una meditata posizione sulla possibilità di ipotizzare, in caso di morte immediata o quasi immediata, anche la nascita di un diritto al risarcimento in capo al defunto suscettibile di trasferirsi agli eredi [v., recentemente, il differente approccio di Cass., ord. 13 dicembre 2018, n. 32372 e Cass. 23 ottobre 2018, n. 26727, (entrambe) in Foro it., 2019, I, 114 ss.]. Interessa solamente sottolineare che siffatta tipologia di danno non patrimoniale riscontrabile in caso di morte – consista esso unicamente in quello per lesione del rapporto parentale (o familiare) che spetta ai congiunti iure proprio ovvero anche in quello per la lesione del bene supremo della vita che spetta agli eredi iure hereditatis – allo stato liquidabile secondo parametri tabellari che assicurano un apprezzabile grado di omogeneità e uniformità (cfr. C. Favilli, I danni non patrimoniali da uccisione e da lesioni del congiunto, in Il danno, cit., 429 ss.; P. Ziviz, Illusioni perdute, in Resp. civ. prev., 2015, 1443 ss., spec. 1455 s.).
[21] Seguendo questa direzione, non pare azzardato ritenere che quanto osservato possa riguardare anche ipotesi di assicurazioni di cose o di patrimoni – quali, ad esempio, la copertura della prima abitazione o dell’occupazione – legate ad interessi di natura personale, nelle quali cioè l’evento incide su beni di natura squisitamente economica (beni materiali o patrimonio) che però hanno una indubbia incidenza su diritti primari della persona, quali quello alla abitazione (artt. 14 e 47, comma 2, Cost.) o al lavoro (art. 4, comma 1, Cost.).
[22] V., P. Corrias, Le assicurazioni, cit., 57, 77 ss., 255 ss.; in precedenza Id., Il contratto di assicurazione (Profili funzionali e strutturali), Milano, 2016, 61; nella stessa direzione Trib. Treviso 11 giugno 2019, n. 1285.
[23] Sul concetto di adeguatezza v. Corte Cost. 27 giugno 1986, n. 173, in Foro it., 1986, I, 2093; Corte Cost. 5 febbraio 1986, n. 31, ibidem, 1986, 1, 1777 s. È superfluo precisare, al fine di sgomberare il campo da ogni possibile equivoco, che tale accezione di adeguatezza nulla ha a che vedere con quella, rilevante nel mercato finanziario, che indica la regola di condotta – consistente nella valutazione di adeguatezza e appropriatezza delle operazioni e dei servizi forniti ai clienti – alla quale sono tenuti gli intermediari [v. art. 6, comma 3, n. 2, sub b), 1), TUF].
[24] V. supra, par. 2, spec. nota 15.
[25] V. supra, nota 5.
[26] V., Cass. 10 aprile 2002, n. 5119, cit., 116 ss. e Cass. 4 maggio 2018, n. 10602, cit., 164. Siffatta incoerenza è messa in evidenza anche da V. Ferrari, I contratti di assicurazione contro i danni e sulla vita, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2011, 153; F. Di Ciommo, Principio indennitario e traslazione dei costi sociali, in Il mercato assicurativo nell’unitarietà dell’ordinamento giuridico, a cura di S. Landini, L. Ruggeri, Napoli, 2018, 58 ss.