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G. Giappichelli Editore

Identità digitale e diritto all'oblio (di Tommaso Bonamini, Professore a contratto – Università degli Studi di Parma)


Il tema relativo all’identità personale e al diritto all’oblio è recentemente tornato in rilievo nello scenario digitale. In particolare, la relazione fra i due profili è stata incisa da numerose pronunzie, alle quali si è accompagnato un diretto riferimento normativo, oggetto di copiose ricostruzioni critiche. Si pone in luce, quindi, la necessità di verificare la dialettica corrente fra l’interesse di ricordare fatti del passato e il diritto di non essere ricordati, quale specificazione del diritto alla corretta rappresentazione della propria identità personale, come percepibile nella realtà digitale, vagliando ipotesi rimediali e rimeditando analisi concettuali consolidate.

 

Digital identity and right to be forgotten

The topic regarding personal identity and right to be forgotten has recently been emphasized in the digital space. In particular, relationships between these two issues have been depicted by numerous judgments, which have been associated to a direct reference in the law, consequently subject to many critical reconstructions. Therefore, it is fundamental to verify the current dialectic between interest in recollecting past facts and the right to be forgotten, as a specification of the right to a correct representation of personal identity, as it might be detected into the digital reality, scrutinizing remedial hypotheses and reconsidering consolidated conceptual analysis.

SOMMARIO:

1. Considerazioni introduttive - 2. Oblio, riservatezza e rinnovata pubblicazione di fatti accaduti nel passato - 3. Oblio, e libertà di informazione - 3. Oblio, e libertà di informazione - 3. Oblio, e libertà di informazione - 4. Identità personale e identità digitale - 5. Oblio, cancellazione dei dati personali e deindicizzazione - 6. Criterî di bilanciamento fra diritto all’oblio e libertà di informazione e rilevanza dell’identità personale - 7. Cronaca, memoria e oblio - NOTE


1. Considerazioni introduttive

Nel diritto delle persone, e, segnatamente, nel novero delle situazioni soggettive riguardanti la personalità umana, si scorgono rinnovati interrogativi, che sovente chiedono di rimeditare i risultati di analisi consolidate e, al contempo, l’utilizzo di categorie tradizionali.

Il tema relativo all’identità personale e al, così detto, diritto all’oblio, restituisce, plasticamente, l’im­magine di un percorso ermeneutico tortuoso, tracciato già autorevolmente in tempi non più recenti [1], rifiorito nel rinnovato scenario digitale [2], e inciso, da ultimo, da numerose pronunzie – tra cui anche una nota decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte [3] –, alle quali si accompagna un diretto riferimento normativo, oggetto di copiose ricostruzioni critiche [4].

Il tema, pertanto, merita ulteriore attenzione, anche a fronte della accentuata importanza che, nella prospettiva attuale, hanno assunto la tutela, nazionale e sovranazionale, dei diritti fondamentali della persona umana, rinnovando così gli interrogativi vòlti a sciogliere la naturale e intuitiva contrapposizione tra il diritto fondamentale di ognuno a mantenere il riserbo sulle proprie vicende personali, trascorse in passato, o accadute nel tempo presente, e la libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero, anche soltanto mediante la narrazione di fatti, ora frutto di ricerca storica, ora derivanti da indagini di cronaca.

I profili critici della questione così tratteggiata, peraltro, si moltiplicano nello scenario digitale, in cui le notizie, e i dati, si affastellano con velocità incontrollabile sulla Rete, sì da rinnovare la riflessione, non solo sul tema specifico, bensì sulla natura stessa dei contrapposti interessi, così come riferiti.

A codeste considerazioni, inoltre, va soggiunta l’osservazione, secondo la quale, nelle ricostruzioni degli interpreti, anche recenti, la qualificazione del diritto all’oblio è sovente sospesa nell’area di confine che corre fra il diritto alla riservatezza e il diritto all’identità personale, così da rendere doverosa l’incidentale delimitazione del contenuto dei menzionati diritti, raffrontati con i disparati profili delle libertà civili che vi si contrappongono, al fine di descrivere compiutamente i presupposti, alla luce dei quali l’interesse all’oblio della persona, specie nella sfera digitale, possa trovare adeguata ed efficace tutela.


2. Oblio, riservatezza e rinnovata pubblicazione di fatti accaduti nel passato

I segni di rilevanza, dell’interesse della persona all’oblio, possono essere rintracciati sin da tempi non più recenti [5].

In prospettiva storica, il diritto a mantenere il riserbo sulla propria sfera privata e personale ha trovato la propria sede nel concetto di riservatezza e nella tutela di siffatto interesse. Ciò, come esito di un itinerario interpretativo, che ha travolto l’antica concezione, secondo la quale i diritti della personalità dovevano essere ricondotti a una pluralità di interessi positivamente previsti da singole norme, sì da essere chiusi entro un novero tassativamente determinato [6].

Sebbene, infatti, non espressamente nominato nel codice civile, è oggi pacificamente riconosciuto il diritto della persona di mantenere l’esclusivo riserbo, con riferimento ai fatti della propria vita privata, vietando, altresì, che le informazioni inerenti alla propria sfera personale, siano fatte circolare da terzi, con qualsivoglia mezzo di diffusione.

Attese le prime indicazioni dianzi riferite, quindi, l’interesse all’oblio e il diritto alla riservatezza senz’altro confinano, poiché, nella prima stagione del diritto all’oblio, quest’ultimo era precisamente, se non esclusivamente, riferito alla pretesa di chi, avendo riscontrato che fatti a sé riferiti, in un tempo remoto lecitamente pubblicati, fossero stati nuovamente posti all’attenzione pubblica, si opponeva alla rinnovata pubblicazione [7].

Si intuisce, però, muovendo proprio da codesta somiglianza, come interesse all’oblio e diritto alla riservatezza possano distinguersi, poiché il primo vuole impedire la rinnovata diffusione di fatti già sottratti, anche se in tempi non più recenti, «alla sfera di appartenenza esclusiva del proprio titolare», poiché lecitamente pubblicati nel passato [8].

Codesta osservazione assume ancóra più rilevanza, giacché l’inarrestabile diffusione dell’utilizzo della Rete Internet rende palese come il diritto all’oblio non si riferisca più, soltanto, al problema della rinnovata pubblicazione di un fatto – un tempo reso pubblico, mediante mezzi di diffusione tradizionali, e, quindi, potrebbe dirsi, ritornato, atteso lo scorrere inesorabile del tempo, a essere riservato –, attestandosi, oggi, invece, quale istanza vòlta ad evitare la costante permanenza di eventi accaduti in passato nello sconfinato contenitore di informazioni, rese sempre disponibili, mediante agevoli sistemi di ricerca, anche a distanza di molto tempo e senza alcuna soluzione di continuità, rappresentato appunto dal web [9].

La giurisprudenza nazionale, tuttavia, specie prima dell’emersione del problema in àmbito sovranazionale, ha sovente evocato, e trattato, i problemi posti dal diritto all’oblio come speciali applicazioni del giudizio di bilanciamento tra diritto alla riservatezza e diritto di cronaca [10]. Ben impresso, nei ragionamenti dei giudici nazionali, si rivelava, quindi, il rinvio che, in ordine al diritto all’oblio, una dottrina aveva posto alle «regioni e ragioni del diritto alla riservatezza» [11].

Non di meno, parallelamente, parte degli interpreti, muovendo proprio dal contesto digitale, in cui si avvicendano, e si archiviano, le informazioni, ha iniziato a ricondurre il diritto all’oblio nell’alveo del diritto all’identità personale [12].

Al fine di circostanziare precisamente la richiesta di tutela, che promana dall’interesse a oscurare fatti e informazioni personali passate, posti nuovamente – o costantemente – all’attenzione pubblica, gioverà, allora, interrogarsi sui principali diritti che chiedono di essere bilanciati con il diritto all’oblio.


3. Oblio, e libertà di informazione

Gli interpreti sovente verificano quali siano le relazioni tra il diritto all’oblio e il diritto di cronaca. La prospettiva, tuttavia, come si vedrà innanzi, deve essere assunta in senso più ampio, verificando i rapporti tra l’oblio e la libertà di informazione.

Proprio sul punto, infatti, si sono concentrate le considerazioni della nota pronunzia a Sezioni Unite, con cui la Suprema Corte ha chiarito i criterî, con i quali bilanciare il diritto di ricordare e l’interesse a non essere ricordati. Precisamente, la pronunzia ha specificato che le tensioni fra il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero – nella peculiare specificazione del diritto di «rievocazione storiografica» – e il diritto all’oblio si palesano specialmente laddove sia lamentata la necessità di impedire che fatti, un tempo lecitamente pubblicati, siano nuovamente posti all’attenzione dei consociati, concludendo che, oltre ai tradizionali criterî, che debbono sempre accompagnare il legittimo esercizio della libertà di informazione, ne emerga in particolare modo uno, affinché possa dirsi giustificata la rievocazione del passato.

La Corte, precisamente, si riferisce al rinnovato interesse pubblico per la questione rievocata, declinato anche nella possibilità di provare la posizione di «personaggio pubblico» del soggetto, al quale i fatti si riferiscono (posizione che, quindi, dovrebbe assegnare rilevanza pubblica alla vicenda narrata), sì da provocare, in questo caso, la recessione del diritto all’oblio, dinanzi a siffatto, peculiare, atteggiarsi della libertà di informare e di rievocazione storica [13].

In modo non dissimile, quindi, da quanto già la dottrina aveva tratteggiato in tempi non più recenti, la Corte ha accentuato quel carattere di utilità sociale, che solo giustifica la rinnovata intromissione nelle sfere private della persona, riesumando eventi passati verosimilmente dimenticati dall’opinione pubblica, e consentendo, quindi, la rinnovata esposizione al pubblico di fatti che l’interesse all’oblio preferirebbe affidare alla dimenticanza generale.

Ciò che, inoltre, dalla pronunzia può essere tratto, quale utile spunto di riflessione, è la conferma che nell’ordinamento assuma evidente rilevanza il diritto di (far) ricordare, e di (concorrere a) formare una memoria storica, relativa a determinati fatti, accadimenti, o peculiari informazioni, riferibili anche alla precisa identificazione della persona, che abbiano carattere storico, tratteggiando un interesse che specifica ulteriormente l’espressione, e il contenuto, pacificamente assegnati alla libertà di informazione [14].

Diritto, quest’ultimo, che diviene strumento necessario per l’esercizio di ulteriori libertà civili, in funzione servente per la formazione di libere (o, potrebbe dirsi, informate) opinioni sui fatti del passato e, altresì, del presente, fungendo, in estrema sintesi, da strumento essenziale per il pieno svolgimento della personalità [15].

Su questa scia, quindi, i termini del bilanciamento fra diritti, proficuamente effettuato dalla Suprema Corte, restituiscono l’immagine della fondamentale esigenza riannodata all’oblio, la quale investe il diritto della persona di rimanere oscurata nella sua identificazione, quale punto di riferimento di determinate, passate, vicende. Oscuramento, che si rivela funzionale al rispetto della sua attuale identità, ovverosia della propria attuale immagine sociale, salvaguardando, da un lato, la libera scelta editoriale di narrare fatti storici, e, dal­l’altro, la dignità della persona di restare nell’ombra, in assenza di pressanti esigenze di utilità pubblica e sociale, che ne reclamino la precisa, rinnovata, individuazione.

Ricollocando codeste osservazioni nell’universo digitale, là dove dati e informazioni non subiscono alcuna possibilità di dimenticanza, essendo sempre conoscibili mediante l’interrogazione dei motori di ricerca, la questione della corretta rappresentazione della identità della persona si rinnova e trova nell’oblio il suo principale strumento. In altri termini, rivolgendosi a informazioni, dati personali, notizie, archiviate in Internet, e, quindi, scolpite pubblicamente nel tempo, il diritto all’oblio travalica i confini della riservatezza e si colloca nel perimetro dell’identità personale; sulla quale sarà necessario soffermarsi brevemente, in ispecie per osservare i rinnovati caratteri che la stessa palesa nello scenario digitale.


3. Oblio, e libertà di informazione

Gli interpreti sovente verificano quali siano le relazioni tra il diritto all’oblio e il diritto di cronaca. La prospettiva, tuttavia, come si vedrà innanzi, deve essere assunta in senso più ampio, verificando i rapporti tra l’oblio e la libertà di informazione.

Proprio sul punto, infatti, si sono concentrate le considerazioni della nota pronunzia a Sezioni Unite, con cui la Suprema Corte ha chiarito i criterî, con i quali bilanciare il diritto di ricordare e l’interesse a non essere ricordati. Precisamente, la pronunzia ha specificato che le tensioni fra il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero – nella peculiare specificazione del diritto di «rievocazione storiografica» – e il diritto all’oblio si palesano specialmente laddove sia lamentata la necessità di impedire che fatti, un tempo lecitamente pubblicati, siano nuovamente posti all’attenzione dei consociati, concludendo che, oltre ai tradizionali criterî, che debbono sempre accompagnare il legittimo esercizio della libertà di informazione, ne emerga in particolare modo uno, affinché possa dirsi giustificata la rievocazione del passato.

La Corte, precisamente, si riferisce al rinnovato interesse pubblico per la questione rievocata, declinato anche nella possibilità di provare la posizione di «personaggio pubblico» del soggetto, al quale i fatti si riferiscono (posizione che, quindi, dovrebbe assegnare rilevanza pubblica alla vicenda narrata), sì da provocare, in questo caso, la recessione del diritto all’oblio, dinanzi a siffatto, peculiare, atteggiarsi della libertà di informare e di rievocazione storica [13].

In modo non dissimile, quindi, da quanto già la dottrina aveva tratteggiato in tempi non più recenti, la Corte ha accentuato quel carattere di utilità sociale, che solo giustifica la rinnovata intromissione nelle sfere private della persona, riesumando eventi passati verosimilmente dimenticati dall’opinione pubblica, e consentendo, quindi, la rinnovata esposizione al pubblico di fatti che l’interesse all’oblio preferirebbe affidare alla dimenticanza generale.

Ciò che, inoltre, dalla pronunzia può essere tratto, quale utile spunto di riflessione, è la conferma che nell’ordinamento assuma evidente rilevanza il diritto di (far) ricordare, e di (concorrere a) formare una memoria storica, relativa a determinati fatti, accadimenti, o peculiari informazioni, riferibili anche alla precisa identificazione della persona, che abbiano carattere storico, tratteggiando un interesse che specifica ulteriormente l’espressione, e il contenuto, pacificamente assegnati alla libertà di informazione [14].

Diritto, quest’ultimo, che diviene strumento necessario per l’esercizio di ulteriori libertà civili, in funzione servente per la formazione di libere (o, potrebbe dirsi, informate) opinioni sui fatti del passato e, altresì, del presente, fungendo, in estrema sintesi, da strumento essenziale per il pieno svolgimento della personalità [15].

Su questa scia, quindi, i termini del bilanciamento fra diritti, proficuamente effettuato dalla Suprema Corte, restituiscono l’immagine della fondamentale esigenza riannodata all’oblio, la quale investe il diritto della persona di rimanere oscurata nella sua identificazione, quale punto di riferimento di determinate, passate, vicende. Oscuramento, che si rivela funzionale al rispetto della sua attuale identità, ovverosia della propria attuale immagine sociale, salvaguardando, da un lato, la libera scelta editoriale di narrare fatti storici, e, dal­l’altro, la dignità della persona di restare nell’ombra, in assenza di pressanti esigenze di utilità pubblica e sociale, che ne reclamino la precisa, rinnovata, individuazione.

Ricollocando codeste osservazioni nell’universo digitale, là dove dati e informazioni non subiscono alcuna possibilità di dimenticanza, essendo sempre conoscibili mediante l’interrogazione dei motori di ricerca, la questione della corretta rappresentazione della identità della persona si rinnova e trova nell’oblio il suo principale strumento. In altri termini, rivolgendosi a informazioni, dati personali, notizie, archiviate in Internet, e, quindi, scolpite pubblicamente nel tempo, il diritto all’oblio travalica i confini della riservatezza e si colloca nel perimetro dell’identità personale; sulla quale sarà necessario soffermarsi brevemente, in ispecie per osservare i rinnovati caratteri che la stessa palesa nello scenario digitale.


3. Oblio, e libertà di informazione

Gli interpreti sovente verificano quali siano le relazioni tra il diritto all’oblio e il diritto di cronaca. La prospettiva, tuttavia, come si vedrà innanzi, deve essere assunta in senso più ampio, verificando i rapporti tra l’oblio e la libertà di informazione.

Proprio sul punto, infatti, si sono concentrate le considerazioni della nota pronunzia a Sezioni Unite, con cui la Suprema Corte ha chiarito i criterî, con i quali bilanciare il diritto di ricordare e l’interesse a non essere ricordati. Precisamente, la pronunzia ha specificato che le tensioni fra il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero – nella peculiare specificazione del diritto di «rievocazione storiografica» – e il diritto all’oblio si palesano specialmente laddove sia lamentata la necessità di impedire che fatti, un tempo lecitamente pubblicati, siano nuovamente posti all’attenzione dei consociati, concludendo che, oltre ai tradizionali criterî, che debbono sempre accompagnare il legittimo esercizio della libertà di informazione, ne emerga in particolare modo uno, affinché possa dirsi giustificata la rievocazione del passato.

La Corte, precisamente, si riferisce al rinnovato interesse pubblico per la questione rievocata, declinato anche nella possibilità di provare la posizione di «personaggio pubblico» del soggetto, al quale i fatti si riferiscono (posizione che, quindi, dovrebbe assegnare rilevanza pubblica alla vicenda narrata), sì da provocare, in questo caso, la recessione del diritto all’oblio, dinanzi a siffatto, peculiare, atteggiarsi della libertà di informare e di rievocazione storica [13].

In modo non dissimile, quindi, da quanto già la dottrina aveva tratteggiato in tempi non più recenti, la Corte ha accentuato quel carattere di utilità sociale, che solo giustifica la rinnovata intromissione nelle sfere private della persona, riesumando eventi passati verosimilmente dimenticati dall’opinione pubblica, e consentendo, quindi, la rinnovata esposizione al pubblico di fatti che l’interesse all’oblio preferirebbe affidare alla dimenticanza generale.

Ciò che, inoltre, dalla pronunzia può essere tratto, quale utile spunto di riflessione, è la conferma che nell’ordinamento assuma evidente rilevanza il diritto di (far) ricordare, e di (concorrere a) formare una memoria storica, relativa a determinati fatti, accadimenti, o peculiari informazioni, riferibili anche alla precisa identificazione della persona, che abbiano carattere storico, tratteggiando un interesse che specifica ulteriormente l’espressione, e il contenuto, pacificamente assegnati alla libertà di informazione [14].

Diritto, quest’ultimo, che diviene strumento necessario per l’esercizio di ulteriori libertà civili, in funzione servente per la formazione di libere (o, potrebbe dirsi, informate) opinioni sui fatti del passato e, altresì, del presente, fungendo, in estrema sintesi, da strumento essenziale per il pieno svolgimento della personalità [15].

Su questa scia, quindi, i termini del bilanciamento fra diritti, proficuamente effettuato dalla Suprema Corte, restituiscono l’immagine della fondamentale esigenza riannodata all’oblio, la quale investe il diritto della persona di rimanere oscurata nella sua identificazione, quale punto di riferimento di determinate, passate, vicende. Oscuramento, che si rivela funzionale al rispetto della sua attuale identità, ovverosia della propria attuale immagine sociale, salvaguardando, da un lato, la libera scelta editoriale di narrare fatti storici, e, dal­l’altro, la dignità della persona di restare nell’ombra, in assenza di pressanti esigenze di utilità pubblica e sociale, che ne reclamino la precisa, rinnovata, individuazione.

Ricollocando codeste osservazioni nell’universo digitale, là dove dati e informazioni non subiscono alcuna possibilità di dimenticanza, essendo sempre conoscibili mediante l’interrogazione dei motori di ricerca, la questione della corretta rappresentazione della identità della persona si rinnova e trova nell’oblio il suo principale strumento. In altri termini, rivolgendosi a informazioni, dati personali, notizie, archiviate in Internet, e, quindi, scolpite pubblicamente nel tempo, il diritto all’oblio travalica i confini della riservatezza e si colloca nel perimetro dell’identità personale; sulla quale sarà necessario soffermarsi brevemente, in ispecie per osservare i rinnovati caratteri che la stessa palesa nello scenario digitale.


4. Identità personale e identità digitale

Gli interrogativi sull’identità sono molteplici. In questa sede, deve essere posto l’accento sul fatto che il diritto all’identità personale ha senz’altro configurato, nella storia dei diritti della personalità, l’esempio più eloquente di apertura del sistema a nuove prospettive di tutela civile della persona [16]. In questo senso, l’evoluzione giurisprudenziale ha posto in luce l’ascesa di nuovi diritti, che ha accompagnato, alla tutela civile dell’onore, della reputazione, e più in generale dell’integrità morale, anche il rispetto dell’identità personale, quale diritto radicato direttamente nel principio personalista racchiuso nell’art. 2 Cost. [17]

Su questa scia, l’identità personale ha assunto i caratteri del diritto di ottenere tutela per la propria immagine sociale, restituita dalle proprie convinzioni religiose, morali, sociali e politiche, che segnano la differenza fra ogni individuo e ne costituiscono l’elemento peculiare [18]. L’identità personale, pertanto, intesa come «identità ideale» [19], è strettamente legata allo sviluppo della personalità dell’individuo nella società; in particolare, al suo valore morale, come emergente dalla percezione che la collettività, in un dato periodo storico, ha di una persona.

Ne segue che è connaturata, al diritto all’identità personale, la pretesa di ottenere che quanti abbiano falsato, o comunque distorto, l’immagine ideale e sociale di una persona, debbano essere obbligati, ora a cessare siffatta condotta, ora, al ricorrere dei presupposti, alla necessaria riparazione del pregiudizio cagionato a un diritto della personalità, ormai saldamente considerato tale da dottrina e giurisprudenza [20].

Gli interpreti hanno bene messo in luce come le questioni più gravi, collegate alla tutela dell’identità personale, siano oggi palesate dal dilagare di contenuti, riguardanti la rappresentazione della propria identità morale, all’interno, e mediante, la Rete Internet.

Sia l’attività dei motori di ricerca, sia le dinamiche dei social networks, infatti, sono oggi moltiplicatori di occasioni in cui l’identità della persona può rischiare di essere restituita in modo scorretto. In particolare, nella sfera digitale, possono coesistere elementi riferibili a deliberate distorsioni dell’identità personale di un soggetto, assieme a informazioni relative a fatti storici, che non corrispondono più al significato attuale dell’identità morale della persona.

Del pari, nella Rete insistono molteplici informazioni, spesso contenenti dati personali, validamente diffuse dal soggetto a cui si riferiscono, le quali contribuiscono a restituire un profilo della sua identità, che non si limita al significato ideale, sin ora descritto, valendo, altresì, a tratteggiare le preferenze commerciali e le proprie attitudini personali (inerenti, a titolo di esempio, a opinioni politiche, propensioni al consumo, etc.).

Tutte queste informazioni restano sospese nella rete, costituendo un archivio, risultante dalla sommatoria dei siti, nei quali sono custodite, indicizzato dai motori di ricerca. Ogni informazione ivi collocata contribuisce a formare l’identità digitale oggettiva di una persona [21]. Oggettiva, poiché è quella che gli utenti del Web, i quali vogliano rintracciare informazioni su un soggetto, riescono immediatamente a percepire, mediante il semplice utilizzo di un motore di ricerca, a titolo di esempio, digitando il nome della persona, verso la quale rivolgono il proprio interesse.

I problemi dell’identità personale, allora, se raffrontati con l’esigenza di oscurare quanto non sia corrispondente con l’immagine sociale attuale della medesima, si rinnovano, ove siano collocati nel quadro che di quella identità emerge dal mondo digitale: da un lato, infatti, appare sicuro che la conoscenza dei fatti storici, non solo tramite la ripubblicazione degli stessi su contenuti diffusi a mezzo stampa, ma anche mediante la continua disponibilità dell’archiviazione online, possa rivelarsi socialmente utile; vieppiù, peraltro, laddove descriva evenienze di interesse pubblico, ovvero laddove si riveli servente rispetto a esigenze di rilevanza (normativa) almeno pari a quella dell’interesse all’oblio (ovverosia, costituzionale); da altro, però, ogniqualvolta siffatta utilità non sia trasparente, ad essere preminente è l’interesse alla corretta informazione sull’identità personale digitale, che si risolve in una corretta rappresentazione della persona, come risultante dal coacervo di informazioni che la Rete restituisce su di essa.

Interesse che, pertanto, trova soddisfazione, in ipotesi consimili, tramite l’oscuramento di informazioni non più attuali, che, se pur vere, e finanche pubblicate lecitamente, si rivelino distorsive, rispetto al significato morale e ideale della persona, come emergente, in un determinato periodo storico, dal tessuto sociale, nel quale la stessa è collocata.

Ove sia condivisa l’immagine sin qui tratteggiata dei contrapposti interessi, appare di stretta necessità saggiare i rimedî che attualmente dottrina e giurisprudenza hanno proposto e predisposto con riferimento alla tutela del diritto all’oblio.


5. Oblio, cancellazione dei dati personali e deindicizzazione

La dottrina ha osservato che, nonostante la rubrica dell’articolo 17 del Reg. UE n. 679/2016 si riferisca esplicitamente – ma tra parentesi – al diritto all’oblio, le nuove norme in materia di dati personali non offrono novità di contenuti normativi, con riferimento al menzionato tema. Il contenuto dell’art. 17 Reg. UE n. 679/2016, infatti, pone principalmente riguardo all’eliminazione, ove possibile, di dati personali da un archivio, e il rimedio, per come disciplinato, sebbene possa avere come esito il medesimo che persegue il diritto all’oblio – vale a dire l’oscuramento di informazioni che contengano dati personali [22] – non appare foriero di utili indicazioni applicative per il concreto bilanciamento del diritto all’oblio, e dei suoi plurimi significati, con la libertà di informazione [23].

È stato, infatti, osservato che la nuova norma, annoverando nelle eccezioni al diritto di ottenere la cancellazione dei dati personali la «libertà di espressione e di informazione», ovverosia il termine di paragone da valutare nella complessiva regolazione delle contrapposte pretese, si limita a ribadire la consistenza del problema, piuttosto che offrire spunti ulteriori per risolverlo [24]. Del pari, menzionando le finalità di «archiviazione nel pubblico interesse», anche ai fini di «ricerca storica», quali ulteriori limitazioni del diritto alla cancellazione, appare evidente che il legislatore europeo abbia sorvolato le peculiarità rimediali offerte dalla deindicizzazione [25], tratteggiata, dalle pronunzie, sia italiane, sia sovranazionali, come punto di caduta di un equo contemperamento tra i distinti interessi, che la norma mentovata, invero, sembrerebbe porre in rapporto di reciproca esclusione; con ciò confermando, in realtà, di aver disciplinato, non già un nuovo e ulteriore diritto soggettivo, bensì uno strumento tecnico di tutela del diritto alla riservatezza e del diritto al corretto trattamento dei dati personali [26], nella più ampia prospettiva di contemperazione dei menzionati diritti a fronte del principio di libera circolazione dei dati (art. 1 Reg. UE n. 679/2016) [27].

Cancellazione e deindicizzazione, infatti, dimostrano doti rimediali distinte – impressione, peraltro, già palesata dagli interpreti prima della vigenza dell’attuale Regolamento sulla privacy [28] – consequenziali a logiche di bilanciamento parimenti differenziate: la prima, riferita ai rapporti tra riservatezza e libertà di informazione, da risolvere secondo i noti criterî deputati a ponderare l’applicazione concreta dei menzionati interessi [29]; la seconda, invece, imposta dalla necessità di trattare diversamente la distinta ipotesi in cui il fatto storico, già lecitamente pubblicato, e rimasto sospeso nel sistema di indicizzazioni attuato dai motori di ricerca, denoti ancóra profili di interesse generale, così bilanciando il diritto di ricordare col diritto al rispetto della propria identità personale.

Comprova siffatte osservazioni la nota evoluzione giurisprudenziale che ha preso avvio, proprio con riferimento alla tutela della sfera privata del singolo nel mondo digitale, con la decisione della Corte UE, Grande Sezione, 13 maggio 2014, C-131/12. Codesta pronunzia, infatti, al fine di concedere efficace tutela al diritto all’oblio nella sfera digitale, ha tratteggiato la «soppressione, dall’elenco dei risultati conseguente a una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso le pagine web pubblicate da terzi», quale rimedio autonomo, che deve trovare applicazione «anche nel caso in cui tale nome», o le informazioni personali del soggetto così identificato, «non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi»; indicando, altresì, il limite del menzionato rimedio, a fronte di «ragioni particolari», ravvisate nel ruolo ricoperto dal soggetto, al quale si riferiscono le informazioni, nella vita pubblica [30].

Fra gli elementi di novità della pronunzia, ciò che rileva in modo peculiare per il tema in esame è appunto il concetto di deindicizzazione, che, anche nella giurisprudenza nazionale successiva, ha assunto il ruolo di precisa conseguenza rimediale, essenzialmente legata alla tutela dell’identità personale nella sfera digitale, mediante il diritto all’oblio.


6. Criterî di bilanciamento fra diritto all’oblio e libertà di informazione e rilevanza dell’identità personale

Alla luce di quello che è stato l’intervento delle Sezioni Unite, e del parallelo sviluppo giurisprudenziale che ha riguardato il diritto all’oblio nella sfera digitale, appaiono ormai acquisiti i dati relativi ai rapporti tra oblio e informazione, diffusa a mezzo stampa.

Tuttavia, qualsiasi pubblicazione a stampa, oggi, trova sede peculiare anche nella Rete Web, nella quale sono messi a disposizione degli utenti archivi digitali che rendono sempre disponibile la notizia.

Il tema, quindi, relativo alla tutela dell’identità personale, come emergente nello spazio digitale, resta aperto.

Sul punto, proficue riflessioni, anche vòlte a sviluppare il tema dei distinti rimedî posti a presidio del diritto alla riservatezza e del diritto all’identità personale, mediante l’oscuramento di fatti del passato, possono essere tratte dall’esame della giurisprudenza nazionale più recente. Del tutto peculiare, infatti, è stato lo sviluppo della giurisprudenza italiana sul punto. La Suprema Corte, dopo le prime pronunzie di apertura, nelle quali si è strutturata concettualmente la pretesa a restare nell’oblio, come strumento funzionale alla tutela del diritto alla riservatezza [31], ha opportunamente sceverato, nelle questioni sottoposte al suo esame, fra i problemi sollevati dalle pubblicazioni (diffuse esclusivamente) a stampa e quelli emergenti dalla tenuta degli archivi digitali dei quotidiani. Quale ulteriore specificazione, inoltre, del tema inerente alla diffusione delle notizie su Internet, si è innestata anche la questione relativa al trattamento dei dati personali effettuato dai motori di ricerca online, i quali non archiviano direttamente la notizia, bensì rendono disponibile il collegamento alla stessa, mediante un sistema di indicizzazione dei risultati ottenuti a séguito della ricerca [32].

Movendo da codesto quadro, si sono susseguite pronunzie, dalle quali è lecito trarre un contenuto minimo comune, che si raccoglie attorno alla tutela civile dell’identità personale del soggetto a cui si riferiscono notizie e informazioni, sì da governare il bilanciamento del diritto all’oblio, con i contrapposti già menzionati interessi, mediante gli strumenti, e gli argomenti, alla stessa riferibili.

Non è mancata, infatti, una giurisprudenza che è giunta finanche a imporre un sistema idoneo a segnalare, in tutti i documenti contenenti notizie riferite a fatti di cronaca già pubblicati e poi archiviati online, il loro eventuale sviluppo, tenendoli, quindi, aggiornati [33]. A tale conclusione, peraltro, la predetta pronunzia è giunta motivando che, laddove si rilevi un interesse pubblico alla conoscenza di fatti già pubblicati in passato, possa essere comunque necessario assicurare tutela alla corretta rappresentazione dell’identità personale dell’interessato, se le riferite vicende siano poi state oggetto di sviluppo, dovendo così essere contestualizzate e aggiornate [34].

L’identità personale, allora, si pone come ulteriore garanzia dello sviluppo della personalità del soggetto, tutelando la corretta rappresentazione della sua identità digitale oggettiva, anche dinanzi ad aspetti che il diritto alla riservatezza, non avrebbe potuto coprire agevolmente, giacché un fatto storico già lecitamente pubblicato, contenuto negli archivi digitali, ben potrebbe palesare l’interesse a essere oggetto di archiviazione nel pubblico interesse, o di ricerca storica (circostanza, quest’ultima, oggi rilevante normativamente ex art. 17, par. 3, lett. d), Reg. Ue, 679/2016), così precludendo la pretesa alla sua radicale e definitiva cancellazione [35].

La successiva evoluzione giurisprudenziale ha confermato questa impostazione: si è, infatti, posto in luce che il diritto all’oblio, dinanzi alle questioni sollevate dall’identità digitale, trascorre, dal confine della riservatezza, «all’identità sociale del soggetto» [36]; di questa identità il peculiare termine di paragone diviene «l’interesse alla conoscenza del dato di cronaca» [37], quale interesse riferibile «alla collettività», affinché la stessa sia «informata e» conservi «memoria del fatto storico»; interesse, che le pronunzie affermano come esistente con riferimento a notizie idonee a suscitare «o ad alimentare un dibattito su vicende di interesse pubblico, per ragioni storiche, scientifiche, sanitarie o concernenti la sicurezza nazionale» [38], legittimando, così, l’esistenza dell’archivio, la sua tenuta, e la sua accessibilità.

L’interesse precipuo del diritto all’oblio, allora, in questo contesto, è quello di «evitare che la propria persona resti cristallizzata ed immutabile in un’identità legata ad avvenimenti o contesti del passato» [39], che non restituiscano il significato attuale del suo valore morale.

Sembra più che opportuno, allora, porre in luce l’utilità che può restituire il rimedio della deindicizzazione, specialmente dedicato a far fronte al sistema di indicizzazioni connaturato all’attività dei motori di ricerca, applicabile ogniqualvolta la persona interessata non sia pubblicamente nota, poiché la sua notorietà giustifica l’immediata fruibilità della vicenda di vita dell’interessato, veicolando la tutela dell’identità personale, che soggettivamente egli percepisce, a favore del significato oggettivo della medesima identità, il quale è restituito alla collettività dai fatti che ne hanno segnato l’esistenza e, quindi, a cagione della rilevanza di personaggio pubblico dell’interessato, anche remoti [40].

La deindicizzazione, in definitiva, così tratteggiata, posta in rapporto allo stato attuale della tecnica digitale, nel quale gli archivi informatici di notizie sono ormai una costante destinata a consolidarsi in futuro, rappresenta un rimedio che, ove ne ricorrano le condizioni di applicazione, consente di salvare una pubblicazione passata (divenuta fatto storico) da una cancellazione indebita, tutelando, così, anche l’interesse pubblico rivolto a conservare informazioni lecitamente pubblicate, sebbene con forme di accesso che siano tali da non invadere la copertura costituzionale garantita al diritto all’identità personale [41]; evitando, in altri termini, che fatti non più attuali possano inquinare il significato dell’identità morale riconoscibile alla persona, in un determinato periodo storico.


7. Cronaca, memoria e oblio

Il disparato inventario di opinioni, e i cospicui interventi giurisprudenziali, sin ora riferiti, segnalano la necessità di restituire i significati attuali del diritto all’oblio, alla luce della sua consacrata recezione entro il reticolo dei diritti della personalità [42], anche per poter ben calibrare le sue precise conseguenze rimediali.

In questo senso, la sfera di rilevanza giuridica del diritto all’oblio muta, alla luce dell’interesse che, nella situazione concreta, vi si contrappone. Precisamente, i caratteri del diritto all’oblio emergono nitidamente, ove ne sia saggiata la relazione, al cospetto di due peculiari interessi, annodati alla libertà di informazione e di manifestazione del pensiero: l’interesse a conoscere, e l’interesse di ricordare.

L’interesse a conoscere – che può racchiudere la necessità di rendere pubblici fatti privati – rappresenta il risvolto principale della libertà di esprimere il proprio pensiero. La garanzia della massima possibilità di informarsi, infatti, non soddisfa una pretesa isolata, bensì alimenta il flusso di dati che consentono il pieno esercizio del diritto costituzionalmente garantito di esprimersi liberamente [43].

Opposto a siffatto interesse è, fra gli altri, il diritto alla riservatezza. Dal conflitto tra libertà di informazione e il menzionato diritto, invero, è emersa la soluzione giurisprudenziale per il caso in cui la prima possa dirsi esercitata nel pieno rispetto del secondo, affidando al principio di essenzialità dell’informazione – che possa, altresì, dirsi vera, esposta in forma oggettiva e ispirata da esigenze di interesse pubblico – la regola del caso concreto [44].

L’interesse a rimanere nell’oblio ha contribuito a perimetrare ulteriormente siffatti criterî, sebbene, in senso stretto, il diritto all’oblio si rivolga a fatti già emersi all’attenzione pubblica. Poiché, infatti, esso riguarda – e, in tempi ormai superati, essenzialmente riguardava – la nuova pubblicazione di fatti svaniti dal patrimonio di conoscenza di una collettività, ponendosi in dialettica con l’interesse di rinnovare la conoscibilità di fatti accaduti nel passato, il suo contenuto ha consentito l’emersione del requisito dell’attualità dell’interesse pubblico verso la pubblicazione della notizia, quale ulteriore baluardo posto a garanzia della sfera di riservatezza altrui, in diretto adempimento del menzionato principio di essenzialità della informazione pubblicata [45].

In questa accezione, l’oblio, ancóra oggi si riferisce alle «regioni e ragioni» del diritto alla riservatezza, tratteggiandone una specifica applicazione, sì da provocare, in caso di lesione di quel diritto, l’applicazione dei conseguenti rimedî, sia inibitorî, sia risarcitorî, ove siano provate conseguenze pregiudizievoli  [46].

L’esito rimediale, tuttavia, muta aspetto – e il concetto di oblio assume un significato tecnico più definito – laddove l’esigenza di tornare nell’oblio sia confrontata con l’interesse di ricordare fatti del passato, di cui possa essere predicata la legittima pubblicazione, nell’esercizio della libertà d’informazione.

L’interesse di ricordare, infatti, tende a mantenere le informazioni, già poste nella disponibilità collettiva, in un archivio storico che non lasci svanire i dati, o i fatti, pubblicati lecitamente. Codesto interesse, che integra il pieno esercizio della libertà di informazione, trova soddisfazione nel diritto di conservare l’accesso a fatti (dati e informazioni) già lecitamente posti all’attenzione pubblica, garantendo ai medesimi una forma di conoscibilità che si irradia nel tempo. La quale, proprio in virtù di siffatta attitudine, costituisce una forma di trattamento di dati (rilevante, giusta la definizione posta dalla norma dell’art. 4, n. 2 Reg. UE n. 679/2016), tale da doversi normativamente svolgere nel pieno rispetto della dignità umana (ex art. 1, Reg. UE n. 679/2016).

Dinanzi a siffatta dialettica, emerge un coacervo di rimedî, che racchiudono un significato comune, radunato attorno all’idea, secondo la quale, ciò che ha già passato il vaglio di liceità dell’informazione, poiché presentava in passato gli elementi idonei a giustificare la sottrazione, dalla sfera di riservatezza, di fatti privati, rappresenta oggi un patrimonio di conoscenza, il quale può subire forme di limitazione – e non già di radicale esclusione [47] –, ove il trattamento dei dati si svolga mediante una scorretta rappresentazione dell’i­dentità personale dell’interessato [48].

Giusta siffatta, ulteriore, accezione, in definitiva, il diritto all’oblio rappresenta un interesse, la cui tutela rinnova e arricchisce di contenuto il diritto all’identità personale [49] – che oggi è, vieppiù, identità personale digitale –, la quale, appunto, poiché formata anche dai risvolti pubblici della persona [50], merita di essere descritta per la sua oggettiva, attuale, composizione, al riparo, da un lato, da deliberate (o algoritmiche) distorsioni, e, dall’altro, da compiaciute agiografie personali.


NOTE

[1] Con riferimento peculiare al tema del diritto all’oblio, v.: T. Auletta, Il diritto alla riservatezza e «droit à l’oubli», in AA.VV., L’informazione e i diritti della persona, a cura di G. Alpa, M. Bessone, L. Boneschi, G. Caiazza, Napoli, 1983, 129 ss.; G. B. Ferri, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, in Riv. dir. civ., 1990, 801 ss.; AA.VV., Il diritto all’oblio, Atti del Convegno di Studî del 17 maggio 1997, a cura di E. Gabrielli, Napoli, 1998, in ispecie 9 ss.; M. R. Morelli, voce Oblio (diritto all’), in Enc. dir., Aggiornamento VI, Milano, 2002, 848 ss.

[2] In particolare, v.: S. Niger, Il diritto all’oblio, in Tratt. di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, dir. da F. Galgano, vol. XLVIII, Diritto all’anonimato. Anonimato, nome e identità personale, a cura di G. Finocchiaro, Padova, 2008, 59 ss.; G. Finocchiaro, La memoria della Rete e il diritto all’oblio, in Dir. informaz. e inf., 2010, 391 ss.; F. Di Ciommo, R. Pardolesi, Dal diritto all’oblio in internet alla tutela dell’identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e responsabilità, 2012, 701 ss.; A. Mantelero, Il diritto all’oblio dalla carta stampata a Internet, in AA.VV., Il caso del diritto all’oblio, a cura di F. Pizzetti, Torino, 2013, 155 ss.; F. Di Ciommo, Quello che il diritto non dice. Internet e oblio, in Danno e responsabilità, 2014, 1101 ss.; G. Finocchiaro, Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità, in Dir. informaz. e inf., 2014, 591 ss.; S. Rodotà, Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli, Roma-Bari, 2014, 41 ss.; M. Zanichelli, Il diritto all’oblio tra privacy e identità digitale, in Inf. e dir., 2016, 9 ss.; S. Bonavita, Le ragioni dell’oblio, in Cyberspazio e dir., 2017, 85 ss.; R. Pardolesi, L’ombra del tempo e (il diritto al)l’oblio, in Quest. giust., 2017, 4, 76 ss.; S. Martinelli, Diritto all’oblio e motori di ricerca. Memoria e privacy nell’era digitale, Milano, 2017; V. Bellomia, Diritto all’oblio e società dell’informazione, Padova, 2019; M. Astone, Il diritto all’oblio on line alla prova dei limiti territoriali, in Eur. dir. priv., 2020, 223 ss.; M. T. Livi, Quale diritto all’oblio?, Napoli, 2020; M. G. Stanzione, Libertà di espressione e diritto alla privacy nel dialogo delle Corti. Il caso del diritto all’oblio, in Eur. dir. priv., 2020, 991 ss.

In merito al tema della possibile, eventuale, tutela del diritto all’oblio, specie nella sfera digitale, con riferimento a una persona defunta, v., in dottrina: G. Resta, La successione nei rapporti digitali e la tutela postmortale dei dati personali, in Contr. impr., 2019, 85 ss.; V. Bellomia, Diritto all’oblio e società dell’informazione, cit., 133 ss.; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2020, X ed., 18 ss.

Le considerazioni che seguiranno nel testo saranno dedicate al diritto all’oblio, di cui è titolare la persona fisica. Resta dibattuto se anche gli enti possano considerarsi portatori del diritto all’oblio, specie alla luce delle più ampie considerazioni, che, oggi, riconoscono, anche ai soggetti giuridici diversi dalle persone fisiche, i diritti della personalità. Sul punto, v., pur con varietà di soluzioni: A. Zoppini, I diritti della personalità delle persone giuridiche (e dei gruppi organizzati), in Riv. dir. civ., 2002, 871 ss., in ispecie 878 ss.; C. Perlingieri, Enti e diritti della persona, Napoli, 2008, 131 ss. e 141 ss.; V. Bellomia, Diritto all’oblio e società dell’in­formazione, cit., 137 ss.

[3] Il riferimento è a Cass., sez. un., 22 luglio 2019, n. 19681, in Corr. giur., 2019, 1189 ss., con nota di V. Cuffaro, Una decisione assennata sul diritto all’oblio.

[4] Il riferimento, infatti, è contenuto, fra parentesi, nella rubrica dell’art. 17, Reg. Eu. 679/2016, così sollevando molteplici dubbî interpretativi. Sul punto, si tornerà infra §5.

Nel momento in cui si scrive è vigente, inoltre, la l. 27 settembre 2021, n. 134, la quale delega il Governo, fra l’altro, a emanare nuove norme in materia di processo penale, disponendo altresì – alla norma dell’art. 1, comma 25, l. cit. – che «nell’esercizio della delega di cui al comma 1, i decreti legislativi recanti modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, in materia di comunicazione della sentenza sono adottati nel rispetto del seguente principio e criterio direttivo: prevedere che il decreto di archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione costituiscano titolo per l’emissione di un provvedimento di deindicizzazione che, nel rispetto della normativa dell’U­nione europea in materia di dati personali, garantisca in modo effettivo il diritto all’oblio degli indagati o imputati».

[5] In particolare, v. S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012, 211 ss., in merito al diritto alla verità sui fatti storici, anche in rapporto con l’interesse all’oblio.

In giurisprudenza, tracce di rilevanza del tema attuale sono già rinvenibili in Cass. 13 maggio 1958, n. 1563, in Foro it., 1958, I, c. 1116 ss., la quale confezionò l’espressione: diritto al segreto del disonore.

[6] Gli studî sul diritto alla riservatezza sono stati determinanti per l’apertura del sistema di tutela civile della personalità, verso il riconoscimento di situazioni soggettive non positivamente previste, con ciò scardinandosi la tesi che restringeva i diritti della personalità, rilevanti giuridicamente, entro il novero di quanto la Legge, tipicamente, fosse a prevedere (in particolare, su questa linea, nel senso di riconoscere l’unitarietà delle situazioni soggettive riguardanti la persona, G. Giampiccolo, La tutela giuridica della persona umana e il c.d. diritto alla riservatezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, 466 ss.).

Muovendo, infatti, dalle prime, negative decisioni (per tutte, v. Cass. 22 dicembre 1956, n. 4487, in Foro it., 1957, I, c. 4 ss.) la tutela civile della riservatezza divenne principio accolto in giurisprudenza, illuminando la scelta di immettere nel sistema nuovi – ovverosia: non espressamente previsti – diritti fondamentali della persona, mediante il richiamo alla clausola generale racchiusa all’art. 2 della Costituzione (cfr., in tal senso, la pronunzia di Cass. 20 aprile 1963, n. 990, in Foro it., 1963, I, c. 1281 ss., con nota di A. De Cupis, Riconoscimento sostanziale, ma non verbale, del diritto alla riservatezza). In merito all’evoluzione del concetto, v.: A. De Cupis, I diritti della personalità, in Tratt. di Dir. civile e commerciale, dir. da A. Cicu e F. Messineo, vol. IV, t. 1, Milano, 1959, 294 ss.; P. Rescigno, Il diritto di essere lasciati soli, in Synteleia. Vincenzo Arangio Ruiz, vol. I, Napoli, 1964, 494 ss.; M. Giorgianni, La tutela della riservatezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, 13 ss.; P. Rescigno, Il diritto all’intimità della vita privata, in Studi in onore di F. Santoro Passarelli, vol. IV, Napoli, 1972, 119 ss.; A. Cataudella, La tutela della vita privata, Milano, 1974; T. Auletta, Riservatezza e tutela della personalità, Milano, 1978; G. B. Ferri, Persona e privacy, in AA.VV., Il riserbo e la notizia, Napoli, 1983, 39 ss.; G. Giacobbe, voce Riservatezza, in Enc. dir., vol. XL., Milano, 1989, 1243 ss.; S. Rodotà, Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla protezione dei dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 1997, 583 ss.; S. Rodotà, voce Riservatezza, in Enc. giur., VI Appendice, Roma, 2000, 1 ss., ora in S. Rodotà, Riservatezza, Roma, 2021, 57 ss.

Le molteplici sfumature che oggi accompagnano gli studî sui diritti della personalità, consentono comunque di segnalare come le argomentazioni della dottrina muovano sovente dalla rilevanza precettiva (e non già programmatica) dell’art. 2 Cost., e dei principî in esso racchiusi, così da esprimere una esigenza sostanziale di rispetto della dignità della persona (la quale acquista, così, valore ermeneutico «propulsivo»: così, V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, Milano, 2018, 63 ss.), che conduce la predetta disposizione a configurarsi quale principale riferimento degli interessi della personalità: in tal senso, v. P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-europeo delle fonti, III, Situazioni soggettive, Napoli, 2020, IV ed., 3 ss., e in ispecie 5, dove si riconosce l’esistenza di «una serie aperta di situazioni esistenziali, in cui diviene concreta la «mutevole esigenza di promozione e tutela» della persona umana. Cfr., anche, G. Marini, La giuridificazione della persona. Ideologie e tecniche nei diritti della personalità, in Riv. dir. civ., 2006, 378. Sulla centralità della norma dell’art. 2 Cost., con riferimento alle singole prerogative della persona, v., anche, M. Bessone e G. Ferrando, voce Persona fisica (dir. priv.), in Enc. dir., vol. XXXIII, 193 ss., in ispecie 196. Muove dall’esistenza di un diritto generale della personalità quale «diritto globale, le cui facce, immagini, aspetti, sono di volta in volta derivati dalla situazione in cui la persona vive», G. Alpa, Il diritto generale della personalità e le sue fattispecie, in G. Alpa e G. Resta, Le persone fisiche e i diritti della personalità, in Tratt. di Diritto civile, dir. da R. Sacco, Le persone e la famiglia, vol. I, Torino, 2019, II ed., 329, in cui è assegnata rilevanza essenziale all’art. 2 Cost., sul dettato del quale «si possono fondare […] nuovi diritti della personalità», senza, tuttavia, escludere «che il legislatore ordinario possa variamente conformarne l’ampiezza e l’esercizio».

Avverte, tuttavia, N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 2008, IV ed., 99, che «il diritto non conosce l’unità della persona […], poiché esso sceglie e tutela singoli interessi».

[7] In questo senso, eloquenti sono le pagine di T. Auletta, Il diritto alla riservatezza e «droit à l’oubli», cit., 129 ss. e di G.B. Ferri, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, cit., 816.

[8] L’osservazione è di G. B. Ferri, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, cit., 816, il quale tratteggia in termini di specialità il diritto all’oblio, rispetto al diritto alla riservatezza, affermando che, affinché sia bilanciata la libertà di informazione con il predetto interesse della persona all’oblio, «quella stessa utilità sociale che, nel passato, aveva giustificato la diffusione di quegli avvenimenti, non può essere successivamente – sic et simpliciter – invocata, spentisi gli echi di questi, per giustificare la rinnovata notorietà che si vuol dare loro. È necessaria invece una specifica e rinnovata utilità sociale alla nuova pubblicizzazione degli avvenimenti del passato».

Tiene nettamente distinti i due profili, motivando in tal senso, M. R. Morelli, voce Oblio (diritto all’), cit., 851.

Sul punto, inoltre, v. anche le considerazioni di E. Gabrielli, Relazione introduttiva, in AA.VV., Il diritto all’oblio, cit., 17.

[9] Afferma, eloquentemente, F. Di Ciommo, Diritto alla cancellazione, diritto alla limitazione del trattamento e diritto all’oblio, in AA.VV., I dati personali nel diritto europeo, a cura di V. Cuffaro, R. D’Orazio, V. Ricciuto, Torino, 2019, 380, che «in questo mare magnum sconfinato di informazioni, notizie, dati, immagini, video ecc. – spesso riguardanti persone ben individuate, e per lo più carpite e riprodotti on-line nella totale incoscienza degli interessati – sia possibile parlare ancora di oblio, identità, privacy e riservatezza, per come si è fatto nella seconda metà del XX secolo, costituisce una pia illusione, destinata a scontrarsi quotidianamente con la più evidente ed elementare realtà contraria».

[10] Lo rileva V. Cuffaro, Cancellare i dati personali. Dalla damnatio memoriae al diritto all’oblio, in AA.VV., Persona e mercato dei dati, a cura di N. Zorzi Galgano, Padova, 2019, 234.

Un esempio, in tal senso, può essere rintracciato in Cass. 9 aprile 1998, n. 3679, in Foro it., 1998, I, c. 1384 ss., secondo la quale una pubblicazione a mezzo stampa, che sia tale da porsi in tensione con la sfera di riservatezza altrui, può considerarsi lecita, laddove l’interesse pubblico verso la notizia sia attuale, poiché «non è lecito divulgare nuovamente, dopo un consistente lasso di tempo, una notizia che in passato era stata legittimamente pubblicata».

Cfr., anche, infra §§ 6 e 7.

[11] Secondo la nota espressione di G.B. Ferri, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, cit., 808, il quale ricorda come i menzionati interessi già potessero leggersi nella «disincantata saggezza di Lord Chatam […] quando affermò, dinanzi al Parlamento, che nella capanna del più povero dei sudditi inglesi poteva entrare, non invitato, l’uragano, ma non il Re d’Inghilterra».

[12] In questo senso, v.: G. Finocchiaro, Memoria della Rete e diritto all’oblio, cit., 398: «il diritto all’oblio è […] una modalità di esplicazione del diritto all’identità personale. Si oblia ciò che non è più parte dell’identità personale di un soggetto»; F. Di Ciommo, Diritto alla cancellazione, diritto alla limitazione del trattamento e diritto all’oblio, cit., 371 ss.

In forma dubitativa si esprimono: V. Bellomia, Diritto all’oblio e società dell’informazione, cit., 83 e 84, secondo la quale «non c’è necessità di identificare […] un ulteriore, nuovo ed autonomo diritto soggettivo, quando esso, più correttamente, può essere inquadrato come una manifestazione dei suddetti diritti alla identità personale ed alla riservatezza, strumentale alla loro piena e compiuta realizzazione»; M.T. Livi, Quale diritto all’oblio?, cit., 52 ss., secondo la quale «il diritto all’oblio è il diritto ad essere dimenticati – ovvero il diritto a che alcune informazioni, che riguardano l’interessato, non vengano conservate nella memoria della rete o comunque non vengano decontestualizzate e portate all’attenzione del grande pubblico della rete – e non il diritto a essere conosciuto e riconosciuto per la propria identità personale» (ivi, 146-147).

[13] In questo senso, Cass., sez. un., 22 luglio 2019, n. 19681, cit., secondo la quale: «quando però una notizia del passato, a suo tempo diffusa nel legittimo esercizio del diritto di cronaca, venga a essere nuovamente diffusa a distanza di un lasso di tempo significativo, sulla base di una libera scelta editoriale, l’attività svolta dal giornalista riveste un carattere storiografico; per cui il diritto dell’interessato al mantenimento dell’anonimato sulla sua identità personale è prevalente, a meno che non sussista un rinnovato interesse pubblico ai fatti ovvero il protagonista abbia ricoperto o ricopra una funzione che lo renda pubblicamente noto».

Apprezza le riflessioni della sentenza V. Cuffaro, Una decisione assennata sul diritto all’oblio, in Corr. giur., 2019, 1195 ss.

[14] Sebbene, tuttavia, in alcuni passaggi, Cass., sez. un., 22 luglio 2019, n. 19681, cit., sembri distinguere diritto di cronaca e diritto di rievocazione storiografica (cfr., in particolare § 9), appare necessario precisare che entrambi costituiscono libera manifestazione del pensiero, garantita ex art. 21 Cost. (come poi riconosciuto nel principio di diritto, espresso dalla pronunzia). Tenuto, quindi, fermo che diritto di cronaca e la più generale libertà di informazione sono manifestazioni «di un’unica libertà» costituzionale (così, R. Zaccaria, A. Valastro, E. Albanesi, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2021, XI ed., 13), la distinzione evocata dalla Corte risulta utile, ove collocata in prospettiva rimediale, affinché sia adeguatamente bilanciato l’esercizio dei contrapposti diritti. Come si vedrà innanzi (infra § 7), infatti, quando rileva l’interesse di ricordare determinati fatti accaduti, e pubblicati, nel passato, il bilanciamento, e i rimedî conseguenti, mutano aspetto, rispetto al consueto modo di bilanciare cronaca e riservatezza.

[15] In questo senso, la giurisprudenza costituzionale ha da tempo remoto riconosciuto come la libertà di manifestazione del pensiero costituisca la «pietra angolare dell’ordine democratico» (Corte Cost. 17 aprile 1969, n. 84, in www.giurcost.org, richiamata, di recente, da Corte Cost., 26 giugno 2020, in Pluris) e ribadisce, oggi, come codesta libertà, rechi con sé anche un «correlativo diritto all’informazione dei cittadini», il quale, in virtù del «pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie», consente ai consociati di essere posti «in condizione di compiere […] valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti» (così, Corte Cost., 25 luglio 2019, n. 206, in www.cortecostituzionale.it, al § 5.2). Non mancano affermazioni, sovente svolte in via incidentale, secondo le quali la libertà di manifestazione del pensiero si compone, sia di un «risvolto attivo», sia di uno «passivo», consistente, quest’ultimo, nel diritto di essere informati: cfr., espressamente, sebbene incidentalmente, Corte Cost. 20 luglio 1990, n. 348, in Pluris; Corte Cost. 26 maggio 2017, n. 122, in Pluris.

La configurazione di un autentico diritto di essere informati, tuttavia, è controversa (in senso positivo, v. la ricostruzione di N. Lipari, Libertà d’informazione o diritto ad essere informati? (Spunti di riflessione), in Riv. radiodiffusioni e telecomunicazione, 1978, 1 ss., criticato da G. B. Ferri, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, cit., 801 ss.). Parte degli interpreti hanno riconosciuto che, nell’alveo del dettato dell’art. 21 Cost., rientra non solo la libertà di manifestare attivamente il proprio pensiero, da cui promanano l’esercizio dei diritti di cronaca, critica e satira, bensì anche, quantomeno, l’interesse a ricevere una corretta informazione, funzionale alla concreta attuazione del principio di dignità personale: cfr., sul punto, P. Perlingieri, Informazione, libertà di stampa e dignità della persona, in Rass. dir. civ., 1986, 235 ss.; V. Cuffaro, Profili civilistici del diritto all’informazione, Napoli, 1986, 33 ss. La duplicità di significato «dell’interesse all’informazione» come «diritto ad informare e diritto ad essere informati» è riconosciuta da E. Quadri, Soggetti, in F. Bocchini, E. Quadri, Dritto privato, VII ed., Torino, 2018, 324.

La dottrina costituzionalistica non manca di circostanziare ulteriormente il significato dell’interesse di essere informati, dubitando che possa logicamente collocarsi entro il dettato dell’art. 21 Cost. (così, in particolare, A. Pace, Libertà di informare e diritto ad essere informati: due prospettive a confronto nell’interpretazione e nelle prime applicazioni dell’art. 7, primo comma, del T. U. della radiotelevisione, in Studi in onore di Nicolò Lipari, t. II, Milano, 2008, 1995 ss.) e precisando che l’interesse a ricevere informazioni, e comunque a poter accedere alle medesime, radica la sua esistenza in altre disposizioni costituzionali. Se, infatti, nei principî di cui all’art. 21 Cost. può senz’altro rintracciarsi la libertà di informarsi, intesa come diritto a ricercare notizie, e di accedere a fonti o informazioni, quale aspetto strumentale e servente rispetto al pieno esercizio della propria libertà di pensiero, la prospettiva muta laddove si consideri il diritto ad essere informati come interesse capace di incidere sul contenuto dell’attività di chi eserciti il diritto all’informazione. In questo senso, si è ritenuto che il diritto all’informazione possa dirsi realmente soddisfatto, tenendo indenne la piena libertà di manifestare il proprio pensiero, tramite il principio del «pluralismo esterno», mediante il quale sia consentita l’espressione della massima «pluralità di voci concorrenti»: così, Corte Cost. 25 luglio 2019, n. 206, cit. Sul punto, v., in dottrina, R. Zaccaria, A. Valastro, E. Albanesi, Diritto dell’informazione e della comunicazione, cit., 23 e 24.

[16] Per osservazioni in tal senso, v., in particolare, F. Di Ciommo, Diritti della personalità tra media tradizionali e avvento di Internet, in AA.VV., Persona e tutele giuridiche, a cura di G. Comandè, Torino, 2003, 3 ss.; G. Alpa, La responsabilità civile, Torino, 2017, II ed., 309 ss.

Osservazioni, anche in prospettiva storica, si rintracciano in S. Piccinini, Appunti sui diritti della personalità e sui c.d. nuovi diritti. Tutela e promozione della identità personale, in Dir. fam. pers., 2021, 227 ss.

[17] Sul tema, v., ora, ampiamente, G. Alpa, Il modello codicistico dei diritti della personalità, in G. Alpa, G. Resta, Le persone fisiche e i diritti della personalità, cit., 316 ss.

La verifica della rilevanza diretta dei principî costituzionali apre un tema che è stato, ed è tornato, a oggetto di studî profondi, che hanno inciso sul modo di intendere la struttura della norma giuridica, ed il suo rapporto coi principî (sul punto, v. F. Addis, Sulla distinzione tra norme e principi, in Eur. dir. priv., 2016, 1019 ss.), rinnovando la questione della diretta applicabilità dei precetti costituzionali nei rapporti tra privati. Cfr., fra i contributi più recenti: G. Benedetti, Fattispecie e altre figure di certezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 1103 ss., ora in G. Benedetti, Oltre l’incertezza, Bologna, 2020, 83 ss.; A. Zoppini, Il diritto privato e le «libertà fondamentali» dell’Unione europea (principî e problemi della drittwirkung nel mercato unico), in Riv. dir. civ., 2016, 712 ss.; C.M. Mazzoni, in C.M. Mazzoni, M. Piccinni, La persona fisica, in Tratt. di dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2016, 159 ss.; F. D. Busnelli, Le alternanti sorti del principio di dignità umana, in Riv. dir. civ., 2019, 1071 ss.; P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-europeo delle fonti, II, Fonti e interpretazione, Napoli, 2020, IV ed., 163 ss., e 204 ss.; N. Lipari, Elogio della giustizia, Bologna, 2021, 48 ss.

Con peculiare riferimento all’applicazione diretta dell’art. 2 Cost., per il riconoscimento del diritto all’identità personale, v. P. Zatti, Il diritto alla identità personale e l’applicazione diretta dell’art. 2 Cost., in AA.VV., Il diritto alla identità personale, a cura di G. Alpa, M. Bessone, L. Boneschi, cit., 53 ss.

[18] Il consolidamento del diritto all’identità personale, come situazione giuridica soggettiva di cui chiedere tutela, si è snodato attorno a un formante giurisprudenziale sorto, in ispecie, nella giurisprudenza di merito: cfr., tra i casi più noti: Pret. Roma, 7 maggio 1974, in Foro it., 1974, I, c. 3227; Pret. Torino, 30 maggio 1979, in Giust. civ., 1980, I, 965 ss., con nota di M. Dogliotti, Tutela dell’onore, dell’identità personale e questioni di «compatibilità»; Pret. Roma, 2 giugno 1980, in Giust. civ., 1981, I, 632 ss., con nota di M. Dogliotti, Diritto all’identità personale, garanzia di rettifica e modi di tutela; Pret. Roma, 12 novembre 1982, in Giust. civ., 1983, I, 1008 ss.; Trib. Roma, 27 marzo 1984, in Giur. it., 1985, I, c. 13 ss.; App. Roma, 6 ottobre, 1986, in Dir. informaz. e inf., 1987, 214 ss.

Quanto alla giurisprudenza successiva, v., in particolare: Cass. 22 giugno 1985, n. 3769, in Foro it., 1985, I, c. 2211 ss.; Cass. 5 aprile 2012, n. 5525, in Foro it., 2013, I, c. 305 ss. Il concetto è inoltre sviluppato dalle pronunzie specificamente dedicate al diritto all’oblio e riferite infra §§ 6 e 7.

Sull’identità personale, quale diritto fondamentale della persona, v., inoltre: AA.VV., Il diritto alla identità personale, a cura di G. Alpa, M. Bessone, L. Boneschi, 1981, Padova; G.B. Ferri, Privacy e identità personale, in Riv. dir. comm., 1981, II, 379 ss.; A. Gambaro, Falsa luce agli occhi del pubblico, in Riv. dir. civ., 1981, I, 84 ss.; F. Macioce, Tutela civile della persona e identità personale, Padova, 1984, 7 ss.; L. Bigliazzi Geri, Impressioni sull’identità personale, in Dir. informaz. e inf., 1985, 561 ss.; A. Cataudella, Dignità, decoro e identità personale, ivi, 1985, 574 ss.; U. Natoli, Sul diritto all’identità personale: riflessioni introduttive, ivi, 1985, 561 ss.; V. Zeno-Zencovich, voce Identità personale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., vol. IX, Torino, 1993, 294 ss.; G. Finocchiaro, voce Identità personale (diritto alla), in Dig. disc. priv., Sez. civ., Aggiornamento V, Torino, 2010, 721 ss.; G. Pino, L’identità personale, in Tratt. di biodiritto, dir. da S. Rodotà e P. Zatti, vol. I, Ambito e fonti del diritto, a cura di S. Rodotà, M. Tallacchini, Milano, 2010, 297 ss.; M. Tampieri, L’identità personale: il nostro documento esistenziale, in Eur. dir. priv., 2019, 1195 ss.; C. Irti, Dato personale, dato anonimo e crisi del modello normativo dell’identità, in Jus civile, 2020, 2, 379 ss.

[19] Così, G. Alpa, Il diritto generale della personalità e le sue fattispecie, in G. Alpa, G. Resta, Le persone fisiche e i diritti della personalità, cit., 353.

[20] Sul punto, v., con riferimento alla tutela civile dell’identità personale, G. Alpa, La responsabilità civile, cit., 318, e, più in generale, con riguardo all’apertura del sistema di responsabilità civile alla tutela di diritti della personalità non tipizzati, M. Franzoni, Fatti illeciti, in Commentario del Codice civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, a cura di G. De Nova, Bologna, 2020, II ed., 149 ss.

Sulla riparazione del danno non patrimoniale, come mezzo di tutela della personalità, v. G. Bonilini, Il danno non patrimoniale, Milano, 1983, 22 ss.

[21] M. Franzoni, Lesione dei diritti della persona, tutela della privacy e intelligenza artificiale, in Jus civile, 2021, 1, 4 ss., ivi, 5 e 6, descrive questo fenomeno come «la somma dei criteri identificativi di una certa funzione che una persona intende svolgere connettendosi alla rete».

Diverso, e non inerente ai problemi esaminati in questa sede, è il tema relativo alla identità digitale che potrebbe definirsi soggettiva, ovverosia quella che un utente della rete crea, svincolandola deliberatamente da riferimenti concreti all’identità fisica e alle sue reali generalità, impiegandola, a titolo di esempio, nell’utilizzo di social networks, mediante l’utilizzo di codici elettronici e di chiavi di accesso. Sul punto, v. G. Finocchiaro, voce Identità personale (diritto alla), cit., 737 e 738.

Sulle ricostruzioni concettuali dell’identità nella sfera digitale, v., in particolare: G. Resta, Identità personale e identità digitale, in Dir. informaz. e inf., 2007, 511 ss.; G. Alpa, L’identità digitale e la tutela della persona. Spunti di riflessione, in Contr. impr., 2017, 723 ss.; G. Resta, Chi controlla la nostra identità digitale dopo la morte?, in GiustiziaCivile.com, 2018; M. Bianca, La filter bubble e il problema dell’identità digitale, in Riv. di diritto dei media, 2019, 2, 1 ss.; M. C. Perchinunno, Identità personale, identità digitale e diritto di cronaca, in Contr. impr., 2020, 1430 ss. Il concetto è espressamente previsto in materia penale, laddove è punito il furto di identità digitale (art. 640-ter, cod. pen.).

Sul ruolo del consenso nell’utilizzo dei social networks, e quindi nell’edificazione del proprio profilo personale online, v.: C. Perlingieri, Profili civilistici dei social networks, Napoli, 2014, 66 ss. e 84 ss.; G. Resta, V. Zeno-Zencovich, Volontà e consenso nella fruizione dei servizi rete, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 411 ss.; F. Bravo, Lo “scambio di dati personali” nei contratti di fornitura di servizi digitali e il consenso dell’interessato tra autorizzazione e contratto, in Contr. impr., 2019, 34 ss.

[22] In questo senso, v. G. Finocchiaro, Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità, in Dir. informaz. e inf., 2014, 591 ss.

[23] Notazioni in questo senso sono in F. Di Ciommo, Diritto alla cancellazione, diritto alla limitazione del trattamento e diritto all’oblio, cit., 356 ss. e 371 ss.

[24] Critico sul punto V. Cuffaro, Cancellare i dati personali. Dalla damnatio memoriae al diritto all’oblio, cit., 227. Cfr., sul punto, anche, M. Zanichelli, Il diritto all’oblio tra privacy e identità digitale, cit., 12 e M.T. Livi, Quale diritto all’oblio?, cit., 107, la quale indica che nella disposizione normativa menzionata nel testo sia racchiusa una «delega di bilanciamento in concreto».

[25] F. Di Ciommo, Diritto alla cancellazione, diritto alla limitazione del trattamento e diritto all’oblio, cit., 370.

Osservano S. Bonavita, R. Pardolesi, Gdpr e diritto alla cancellazione (oblio), in Danno e resp., 2018, 269 ss., ivi 281, che, la norma dell’art. 17 Reg. U. E. n. 679/2016 «non pare disciplinare nessuna delle due (o più) anime del diritto all’oblio, men che mai il diritto alla deindicizzazione».

[26] Incidentalmente, ma in via strumentale alle conclusioni che si formuleranno infra al § 7, deve essere osservato che il diritto al trattamento dei dati personali investe «un àmbito fenomenico ben più esteso rispetto a quello della tutela della «sfera privata»; «quest’ultima», infatti, «non comprende, ad esempio, le informazioni di dominio pubblico (così, G. Resta, I dati e le informazioni, in G. Alpa, G. Resta, Le persone fisiche e i diritti della personalità, in Tratt. di Diritto civile, dir. da R. Sacco, Le persone e la famiglia, vol. I, Torino, 2019, II ed., 455 e nota 6). Anche a fronte, invero, della nozione normativa di «dato personale» (art. 4, n. 1, Reg. Ue 679/2016) si pone in luce come la stessa si riferisca a «qualsiasi informazione», relativa a una persona fisica «identificata o identificabile», sì da rivolgersi, non solo a informazioni strettamente riservate (ed alla pretesa che rimangano tali), bensì anche a dati posti all’infuori della sfera personale, sovente oggetto di scambio, specie al fine di usufruire dei servizi propri della sfera digitale (M. Franzoni, Lesione dei diritti della persona, tutela della privacy e intelligenza artificiale, cit., 8). In questo senso, la disciplina sul trattamento dei dati personali riguarda precisamente l’interesse al controllo del flusso di informazioni, di qualsivoglia natura, riferibili alla persona, potenzialmente soggette al principio di libera circolazione (art. 1, Reg. Ue 679/2016). In merito a codesti profili, v.: V. Cuffaro, Il diritto europeo sul trattamento dei dati personali, in Contr. impr., 2018, 1098 ss.; G. Visintini, Dal diritto alla riservatezza alla protezione dei dati personali, in Dir. informaz. e inf., 1 ss.

[27] La conferma è tratta da F. Di Ciommo, Diritto alla cancellazione, diritto alla limitazione del trattamento e diritto all’oblio, cit., 353, muovendo dall’argomento, secondo il quale, ove la cancellazione sia illecitamente negata, le conseguenze risarcitorie discenderanno dall’aver violato un ulteriore e diverso diritto, ovverosia il diritto al corretto trattamento dei dati personali.

Sul dibattito insorto sulla natura del potere attribuito al singolo, in merito alle situazioni soggettive raccolte attorno al concetto di «protezione dei dati personali», v.: A. Di Majo, Il trattamento dei dati personali tra diritto sostanziale e modelli di tutela, in AA.VV., Trattamento dei dati e tutela della persona, a cura di V. Cuffaro, V. Ricciuto, V. Zeno-Zencovich, Milano, 1998, 225 ss.; L.C. Ubertazzi, Proprietà intellettuale e privacy, in Foro it., 2014, V, c. 93 ss., per la riconduzione delle stesse a «diritti di natura patrimoniale»; in senso, opposto, per la collocazione del tema entro l’àmbito dei diritti della personalità, v. G. Resta, I dati e le informazioni, in G. Alpa, G. Resta, Le persone fisiche e i diritti della personalità, cit., 458, 459.

Sulla questione menzionata, v., infine: V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei dati personali. Contratto e mercato nella ricostruzione del fenomeno, in Dir. informaz. e inf., 2018, 689 ss.; G. Alpa, La “proprietà” dei dati personali, in AA.VV., Persona e mercato dei dati, a cura di N. Zorzi Galgano, Padova, 2019, 11 ss.; più in generale, sul possibile sfruttamento economico degli attributi immateriali della persona, v.: G. Resta, Autonomia privata e diritti della personalità, Napoli, 2005; M. Proto, Il diritto e l’immagine, Milano, 2012, 10 ss. e 235 ss.

[28] G. Finocchiaro, La memoria della Rete e il diritto all’oblio, cit., 393 ss.

[29] Cfr. F. Di Ciommo, Diritto alla cancellazione, diritto alla limitazione del trattamento e diritto all’oblio, cit., 364, il quale opportunamente integra il modo di intendere i limiti, normativamente disposti al diritto alla cancellazione, dall’art. 17, terzo paragrafo, lett. a), Reg. UE n. 679/2016, alla luce dei principî giurisprudenziali affermati in tema di rapporti tra riservatezza e libertà di informazione; in merito ai quali, v. infra § 7, alla nota 44.

[30] Così, Corte UE, Grande Sezione, 13 maggio 2014, C-131/12, in Nuova giur. civ. comm., 2014, 1954 ss., con nota di G. Giannone Codiglione, Motori di ricerca, trattamento dei dati personali ed obbligo di rimozione: diritto all’oblio o all’autodeter­minazione informativa?

Le Corti sovranazionali sono intervenute ulteriormente sul tema. Cfr.: Corte Europea dei diritti dell’Uomo, 19 ottobre 2017, ric. n. 71233/2013, in Dir. pen. cont., 2018, 4, 215 ss.; Corte UE, Grande Sez., 24 settembre 2019, C-136/17, in www.dirittifonda
mentali.it
; Corte UE, 24 settembre 2019, C-507/2017, in www.federalismi.it; Corte Ue., 3 ottobre 2019, C-18/18, in Pluris.

Sull’evoluzione giurisprudenziale menzionata nel testo, v.: S. Martinelli, Diritto all’oblio e motori di ricerca. Memoria e privacy nell’era digitale, cit., 156 ss.; V. Bellomia, Diritto all’oblio e società dell’informazione, cit., 91 ss.; M.T. Livi, Quale diritto all’oblio?, cit., 167 ss.

[31] In particolare, v. Cass. 9 aprile 1998, n. 3679, cit. e, più di recente, Cass. 20 marzo 2018, n. 6919, in Foro it., 2018, I, c. 1151 ss., con nota di R. Pardolesi, S. Bonavita, Diritto all’oblio e buio a mezzogiorno, la quale, nel tentativo di ulteriormente specificare i presupposti legittimanti la compressione del diritto all’oblio, a favore del diritto di cronaca, ha invero destato i dubbî che hanno condotto Cass. 5 novembre 2018, n. 2804, in Foro it., 2019, 1, c. 227 ss., a rimettere alle Sezioni Unite la definizione dei criterî di bilanciamento tra i mentovati diritti (sull’Ordinanza, v. F. Di Ciommo, Oblio e cronaca: rimessa alle Sezioni Unite la definizione dei criteri di bilanciamento, in Corr. giur., 2019, 5 ss.).

In dottrina, v., per l’impostazione che colloca l’oblio entro il novero delle questioni da risolversi mediante il bilanciamento col diritto di cronaca: G. Napolitano, Il diritto all’oblio esiste (ma non si dice), in Dir. informaz. e inf., 1996, 422 ss.; C. M. Bianca, Diritto civile, I, La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002, II ed.; P. Gallo, Trattato di diritto civile, I, Le fonti. I soggetti, Torino, 2020, 204 ss.

[32] Su codesto profilo, cfr. le riflessioni di G. Finocchiaro, La memoria della Rete e il diritto all’oblio, cit., 391 ss.; G. Finocchiaro, Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità, cit., 599, in cui si afferma che, nel contesto dell’attività svolta dai motori di ricerca, l’identità della persona non è rappresentata in un «archivio», bensì in un mero, disordinato, «deposito», in cui si «crea, attraverso i motori di ricerca, l’immagine della persona».

[33] Cass. 5 aprile 2012, n. 5525, in Dir. informaz. e inf., 2012, 383 ss., con nota di G. Finocchiaro, Identità personale su Internet: il diritto alla contestualizzazione dell’informazione e di T. E. Frosini, Il diritto all’oblio e la libertà informatica; in Danno e resp., 2012, 747 ss., con nota di F. Di Ciommo, R. Pardolesi, Trattamento dei dati personali e archivi storici accessibili in Internet: notizia vera, difetto di attualità, diritto all’oblio; in Corr. giur., 2012, 769 ss., con nota di A. Di Majo, Il tempo siamo noi.

[34] Cfr., in motivazione, Cass. 5 aprile 2012, n. 5525, cit.

[35] Lungimirante, in questo senso, si è rivelato il Provvedimento del Garante della privacy italiano del 11 dicembre 2008 (integralmente consultabile sul sito www.garanteprivacy.it), il quale, respinta la richiesta di totale cancellazione di una notizia pubblicata nel passato dall’archivio generale online di un quotidiano, atteso che la pubblicazione era avvenuta in «modo lecito per finalità giornalistiche, nel rispetto del principio dell’essenzialità dell’informazione, riguardo a fatti di interesse pubblico», così da palesare, al momento della decisione, l’interesse alla «libera manifestazione del pensiero e, in particolare, la libertà di ricerca, cronaca e critica storica», decise nel senso di imporre, all’Editore, ogni misura tecnicamente idonea ad evitare che i dati personali del ricorrente contenuti negli articoli oggetto del ricorso siano rinvenibili direttamente attraverso l’utilizzo dei comuni motori di ricerca esterni al proprio sito Internet»; anticipando, così, di fatto, il rimedio oggi conosciuto come deindicizzazione.

[36] Così, Cass. 31 maggio 2021, n. 15160, in Pluris.

[37] Così, Cass. 19 maggio 2020, n. 9147, in Giur. it., 2020, c. 1329 ss.

[38] Cfr., ancóra, in motivazione, Cass. 31 maggio 2021, n. 15160, cit.

[39] Cass. 31 maggio 2021, n. 15160, cit.

[40] Si sofferma sui dettagli tecnici di tale richiesta, Cass. 21 luglio 2021, n. 20861, in GiustiziaCivile.com, 27 settembre 2021, secondo la quale la domanda di deindicizzazione esige la precisa individuazione dei risultati di ricerca che l’attore intenda rimuovere e, quindi, normalmente, l’indicazione degli indirizzi telematici, seppure non escludendo che una «puntuale rappresentazione delle singole informazioni che sono associate alle parole chiave possa rivelarsi […] idonea a dare precisa contezza» dell’oggetto «della domanda, in modo da consentire al convenuto, gestore del motore di ricerca, di apprestare adeguate e puntuali difese sul punto».

Con riferimento ai profili tecnici, inerenti al rimedio menzionato nel testo, v. S. Sica, V. D’Amato, La procedura di de-indicizzazione, in Dir. informaz. e inf., 2014, 703 ss.

[41] L’accento su codesto profilo è posto anche da Cass. 19 maggio 2020, n. 9147, cit., e da Cass. 27 marzo 2020, n. 7559, in Foro it., 2021, 1, c. 1549 ss., la quale afferma espressamente che «sussiste ex art. 21 Cost., un generale diritto alla conoscenza di tutto quanto in origine lecitamente veicolato al pubblico, con conseguente liceità del fine del trattamento dei dati personali contenuti in un archivio». Coniugando i criterî sin ora esaminati, quest’ultima pronunzia ha affermato che il diritto all’oblio non possa ritenersi violato laddove l’editore abbia adottato un sistema idoneo a escludere l’accessibilità alla notizia, contenuta nell’archivio, tramite i motori di ricerca così detti «generalisti», e nel caso in cui, nell’archivio stesso, siano inseriti aggiornamenti su eventuali sviluppi riguardanti il fatto pubblicato in passato.

Nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano, 17 giugno 2021, in De Jure.

[42] La riduzione ad un unico principio del diritto all’oblio è opera vana e la dottrina lo ha già posto in luce (cfr., in particolare, R. Pardolesi, L’ombra del tempo e (il diritto al)l’oblio, cit., 76 ss.). Tuttavia, sia che lo si voglia qualificare strettamente in termini di diritto soggettivo autonomo (criticamente, sul punto, E. Stradella, Cancellazione e oblio, in Rivista A. I. C., 2016, 4, 1 ss.), sia laddove si ritenga di risolverlo in una situazione strumentale all’attuazione di altri diritti (quali l’identità personale e la riservatezza: così, G. Finocchiaro, Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità, cit., 599), non può essere messo in dubbio che l’in­teresse all’oblio, in particolare inteso quale corretta rappresentazione della propria identità personale nel mondo digitale, dimostri di essere meritevole di tutela come espressione del principio di dignità della persona (in particolare, v. S. Rodotà, Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli, cit., 43 e 44. Cfr., altresì, V. Bellomia, Diritto all’oblio e società dell’informazione, cit., 215 e 216).

[43] I riferimenti normativi, che comprovano la rilevanza di codesto interesse, si traggono anche da quanto racchiuso nell’art. 10, primo comma, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, là dove è disposto che la libertà di espressione «include la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee». La medesima formulazione, vòlta a riannodare la libertà «di ricevere o di comunicare informazioni» alla libertà di espressione è racchiusa anche nell’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza). Nella prospettiva sovranazionale, quindi, il rispetto della libertà di espressione è arricchito di contenuto (così, G. Carapezza Figlia, Tutela dell’onore e libertà di espressione. Alla ricerca di un «giusto equilibro» nel dialogo tra Corte Europea dei diritti dell’Uomo e giurisprudenza nazionale, in Dir. fam. pers., 2013, 1011 ss.), essendo esplicitamente menzionato il diritto di ricevere, e, quindi, di conoscere, informazioni, affinché possa essere pienamente manifestato il diritto di esprimersi.

[44] La necessità di evitare indebite intrusioni nella sfera privata può condurre a valutare come illecita la diffusione di fatti privati «anche non disonorevoli, ma riservati» (così, P. Trimarchi, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Milano, 2019, II ed., 139) sulla scia della distinzione tra rispetto dell’integrità morale (che impone, affinché sia legittima la cronaca della notizia, la tripartizione di criterî menzionata nel testo) e violazione della riservatezza (v., sul punto, C.M. Bianca, Diritto civile, I, La norma giuridica. I soggetti, cit., 176). La giurisprudenza, sin dalle prime pronunzie ricordate per aver tratteggiato il così detto «decalogo del giornalista» (per tutte Cass. 18 ottobre 1984, n. 5259, in Foro it., 1984, I, c. 2711 ss.), ha teso a porre in luce la maggiore ampiezza del diritto alla riservatezza, rispetto al diritto alla reputazione, sì da osservare che la divulgazione informativa, riferita a notizie che abbiano rilevanza pubblica o sociale, debba connotarsi per la sua essenzialità, intesa come necessità indispensabile, considerata l’ori­ginalità del fatto o dei modi in cui sia avvenuto (Cass. 12 ottobre 2012, n. 17408, in Foro it., 2013, I, c. 105 ss.). Il principio richiama le «Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica» (cfr. nella loro ultima versione, predisposta col Provvedimento n. 491, del 29 novembre 2018, dal Garante per la protezione dei dati personali) che compendiano i criterî atti a escludere la lesione della riservatezza a fronte della pubblicazione di fatti privati (in ispecie: artt. 6, 8 e 10). Così, non è essenziale la pubblicazione dell’immagine fisica dei protagonisti delle vicende narrate, anche in presenza delle condizioni che legittimano l’esercizio del diritto di cronaca, laddove non si ravvisi uno specifico interesse pubblico a ciò preposto (Cass. 22 luglio 2015, n. 15360, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 89 ss.), oppure ove la pubblicazione dell’immagine si riveli lesiva della dignità personale dell’interessato (e quindi dell’art. 8 delle menzionate Regole deontologiche: Cass. 6 giugno 2014, n. 12834, in Foro it., 2015, I, c. 120 ss.); e, del pari, non rispetta il principio di essenzialità dell’informazione il riferimento alla vita privata dei familiari del soggetto al quale si riferiscano fatti di cronaca, lecitamente pubblicati, laddove tali riferimenti non consentano l’emersione di autonomi profili di interesse pubblico (così, Cass. 11 agosto 2021, n. 22741, in Pluris).

[45] Eloquenti, in tal senso, sono: Trib. Roma 21 novembre 1996, in Dir. fam. pers., 1999, 141 ss., che afferma: «pur se la rappresentazione (televisiva), dopo oltre vent’anni dall’accaduto, di un grave e clamoroso fatto di cronaca nera […] costituisce legittimo esercizio […] del diritto di cronaca e dello “jus narrandi”», la stessa può comunque «ledere il così detto diritto all’oblio dei familiari, qualora manchi un interesse pubblico attuale a conoscere le vicende stesse»; Cass. 9 aprile 1998, n. 3679, cit. Si riferisce, espressamente, alla necessaria «attualità» dell’interesse pubblico, anche, Cass., sez. un., 22 luglio 2019, n. 19681, cit. Tuttavia, la pronunzia si è snodata nell’àmbito di una questione, non soltanto legata all’esercizio lecito del diritto di cronaca, bensì riferita alla rievocazione di fatti già pubblicati, anche se in tempi remoti, rilevando come la scelta di rievocarli non possa «essere messa in discussione in termini di opportunità», quale manifestazione dell’interesse di ricordare fatti passati; la cui tutela – espressamente legata all’art. 21 Cost. – ha imposto, nel caso di specie, la menzione del rimedio della pubblicazione in forma anonima.

Cfr., sul punto, in dottrina: V. Cuffaro, Cancellare i dati personali. Dalla damnatio memoriae al diritto all’oblio, cit., 234; V. Bellomia, Diritto all’oblio e società dell’informazione, cit., 183.

[46] In questo preciso senso, v. F. Di Ciommo, Diritto alla cancellazione, diritto alla limitazione del trattamento e diritto all’oblio, cit., 364, il quale conclude che, laddove sia difettosa, nell’esercizio del diritto di cronaca, «l’attualità della notizia», oppure ove facciano difetto gli altri requisiti legittimanti il menzionato diritto, «non c’è esercizio del diritto di informazione e, quindi, la deroga al diritto alla cancellazione non opera».

Pertanto, nei limiti in cui sia tecnicamente applicabile, ben potrebbe applicarsi il diritto alla cancellazione (ex art. 17, primo paragrafo, lett. d), escludendosi il limite di cui al terzo paragrafo, lett. a), Reg. UE n. 679/2016), con riferimento a fatti illecitamente pubblicati e, pertanto, indebitamente conservati in archivi digitali.

In questo senso muove, in motivazione, e correttamente, Cass. 31 maggio 2021, n. 15160, cit., secondo la quale «l’interesse pubblico all’informazione […] diviene recessivo allorquando la notizia conservata nell’archivio sia illecita, falsa o inidonea a suscitare» pubblici interessi, di rilevanza almeno pari a «quella assegnata al diritto alla riservatezza e all’identità personale». In questi casi di «illegittima conservazione» dell’informazione il rimedio predisposto è la «cancellazione».

[47] Cfr., in particolare, Cass. 27 marzo 2020, n. 7559, cit., la quale ha giudicato «lecita la permanenza di un articolo di stampa nel­l’archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di cronaca giudiziaria che abbiano ancora un interesse pubblico di tipo storico o socio-economico, purché l’articolo sia deindicizzato dai siti generalisti e reperibile solo attraverso l’archivio storico del quotidiano, in tal modo contemperandosi in modo bilanciato il diritto ex art. 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico, con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita compressione della propria immagine sociale».

Sempre sulla stessa linea, palesando la funzione servente, alla libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero, del diritto di essere informati e di avere accesso alle informazioni, può leggersi Corte Europea dei diritti dell’Uomo, 22 giugno 2021, n. 57292, in De Jure, secondo la quale la misura decisa «dai giudici nazionali, che impone l’anonimizzazione di un articolo di stampa contenuto nell’archivio di un giornale reperibile online, non è contraria al diritto alla libertà di stampa se si tratta di una persona non pubblica o che non eserciti funzioni pubbliche. Garantendo l’integrità dell’articolo negli archivi, senza però renderlo reperibile sul web, si raggiunge – rispetto a un fatto che non è di interesse generale – un giusto bilanciamento tra i diritti in gioco tenendo conto dell’assenza di notorietà della persona e della vicenda che non era di rilievo per i media e per la collettività nel suo complesso».

[48] Ove, infatti, sia posta attenzione ai principali rimedî che la giurisprudenza ha offerto a tutela del diritto all’oblio emerge come la deindicizzazione del collegamento alla notizia, l’aggiornamento della notizia medesima, o la (rinnovata) pubblicazione in forma anonima, palesino la tensione alla conservazione della possibilità di porre in circolazione i dati, al contempo evitando l’incisione sull’identità personale dell’interessato. I predetti rimedî, infatti, rispettivamente, tendono: ora a porre la notizia nell’esclusivo contesto della ricerca storica (nel rispetto, quindi, di quanto afferma anche la norma dell’art. 5, lett e), secondo periodo, Reg. UE n. 679/2016); ora ad attualizzarne, ove possibile, i contenuti; ora, infine, a evitare la rinnovata diffusione, non necessaria, dei dati personali vòlti alla precisa individuazione dell’interessato (finalità, anch’essa, conforme al principio racchiuso nella norma dell’art. 5, lett. e), primo periodo, Reg. UE n. 679/2016).

Cfr., in tal senso, F. Di Ciommo, Diritto alla cancellazione, diritto alla limitazione del trattamento e diritto all’oblio, cit., 374, il quale osserva che a tutela del diritto all’oblio, in questa accezione, possano essere applicati anche il diritto alla rettifica (art. 16 Reg. UE n. 679/2016), alla limitazione (art.18 Reg. UE n. 679/2016), o all’interruzione (art. 21, Reg. UE n. 679/2016) del trattamento dei dati.

[49] Consentendo, altresì, di perimetrate eventuali conseguenze risarcitorie alla luce della concreta entità della incisione, provocata dalla condotta illecita (a titolo d’esempio: la scorretta indicizzazione), sull’identità personale dell’interessato (M. Franzoni, Lesione dei diritti della persona, tutela della privacy e intelligenza artificiale, cit., 8 e 9). Sul punto, troverà anche applicazione la norma dell’art. 82, del Reg. UE n. 679/2016 (V. Bellomia, Diritto all’oblio e società dell’informazione, cit., 223 ss.).

[50] Segna, in questo senso, la distinzione tra riservatezza e identità personale V. Zeno-Zencovich, voce Identità personale, cit., 301, ponendo in luce come la riservatezza riguardi «il complesso delle vicende private del soggetto», mentre l’identità personale consista nel «complesso delle attività pubbliche […] rilevanti per la connotazione della sua personalità».

Fascicolo 1 - 2022