Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Durata della responsabilità del venditore, prescrizione dei diritti del compratore e onere della prova nella nuova disciplina italiana della vendita di beni ai consumatori (d.lgs. n. 170/2021) (di Mirko Faccioli, Professore associato di Diritto privato – Università degli Studi di Verona)


l contributo analizza la nuova formulazione impressa agli artt. 133 e 135 cod. cons. dal d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170, recante l’attuazione della dir. (UE) 2019/771 relativa ai contratti di vendita di beni mobili tra professionisti e consumatori, soffermandosi in particolare ad esaminare la nuova disciplina della durata della garanzia, della prescrizione dei diritti del consumatore e del regime probatorio applicabile nelle controversie riguardanti questa materia.

 

New provisions on sale of goods between sellers and consumers in Italian law (Legislative Decree no. 170 of November 4, 2021): Duration of the guarantee, limitations of the consumer’s rights and burden of proof

The paper analyzes the new formulation given to articles 133 and 135 of the Consumer Code by Legislative Decree no. 170 of November 4, 2021, implementing Dir. (EU) 2019/771 on contracts for the sale of goods between sellers and consumers, focusing on the new rules on the duration of the guarantee, the statute of limitations of the consumer’s rights, and the regime of the burden of proof applicable in disputes concerning this matter.

Keywords: Sale of goods between sellers and consumers, Duration of the guarantee, Limitations of the consumer’s rights, Burden of proof.

SOMMARIO:

1. Introduzione: dalla dir. 2019/771/UE al d.lgs. n. 170/2021 - 2. La durata della responsabilità del venditore di beni di consumo - 3. La prescrizione dei diritti del consumatore - 4. La disciplina dei beni usati - 5. L’onere della prova della manifestazione del difetto di conformità entro il termine di durata della garanzia - 6. Il mancato recepimento dell’onere di denuncia del difetto di conformità - 7. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione: dalla dir. 2019/771/UE al d.lgs. n. 170/2021

Con il d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170, emanato ai sensi dell’art. 1 l. 22 aprile 2021, n. 53 (Legge di delegazione europea 2019-2020), è stata recepita all’interno del nostro ordinamento la nuova disciplina della vendita di beni tra professionisti e consumatori introdotta dalla dir. 2019/771/UE del 20 maggio 2019 e destinata ad abrogare, a partire dal 1° gennaio 2022, la risalente e «gloriosa» [1] dir. 1999/44/CE. Come avvenne in sede di attuazione di quest’ultima, il nostro legislatore non ha ritenuto di cogliere l’occasione per provvedere ad una più generale revisione della disciplina italiana delle garanzie nella vendita modellata sulle nuove disposizioni di derivazione europea [2], ma si è limitato ad intervenire settorialmente sulla disciplina interna di attuazione della precedente direttiva, contenuta nel Capo I del Titolo III della Parte IV di quel “cantiere aperto” [3] che è da sempre considerato il Codice del consumo [4], sostituendola con l’articolato dei nuovi artt. 128-135-septies, i quali è previsto che acquistino efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2022 con applicazione ai contratti conclusi successivamente a tale data. Per valutare compiutamente l’operato del conditor iuris nostrano va ricordato che la dir. 2019/771/UE è formalmente improntata, alla stregua di quanto prevede l’art. 4, al principio dell’armonizzazione massima, ma in realtà concede agli Stati membri notevoli margini di libertà in sede di recepimento con riguardo a numerosi e rilevanti aspetti della materia [5]. Rientrano fra questi ultimi anche la durata della responsabilità del venditore, l’onere della prova della manifestazione del difetto di conformità e i termini di esperibilità dei rimedi del compratore, profili in precedenza disciplinati dall’art. 5 dir. 1999/44/CE e ora contemplati dagli artt. 10-12 della nuova direttiva. Questi aspetti della vendita di beni di consumo, nel diritto interno regolati prima dal vecchio testo dell’art. 132 cod. cons. e ora dai nuovi artt. 133 e 135 cod. cons. [6], sono, invero, della massima importanza e delicatezza per entrambe le parti coinvolte: per il venditore, la limitazione temporale della garanzia rappresenta un fondamentale presidio di certezza circa la sorte delle operazioni realizzate con la clientela, indispensabile per [continua ..]


2. La durata della responsabilità del venditore di beni di consumo

Disponendo che «il venditore è responsabile nei confronti del consumatore di qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene eseguita ai sensi dell’art. 61 e che si manifesta entro due anni da tale momento», la prima parte del comma 1 dell’art. 133 cod. cons. recepisce la prima parte del par. 1 dell’art. 10 dir. 2019/771/UE con una previsione che riprende e sintetizza in un unico enunciato quanto si poteva già in precedenza ricavare da una lettura combinata del vecchio testo degli artt. 130, comma 1 e 132, comma 1, cod. cons. [14]. Va salutato con favore il rinvio alle disposizioni in tema di consegna dettate dall’art. 61 cod. cons., il comma 2 del quale in particolare ricollega la traditio al momento in cui il bene entra nella disponibilità materiale o comunque nella sfera di controllo del consumatore: in tal modo il legislatore ha accolto le indicazioni, fornite dall’11° e dal 38° considerando della nuova direttiva, circa il fatto che la medesima intende integrare e fare salvo quanto previsto dalla dir. 2011/83/UE, provvedimento l’attuazione del quale [15] ha per l’appunto condotto all’attuale formulazione dell’art. 61 cod. cons. [16]. La sostanziale coincidenza delle previsioni in esame con il quadro normativo previgente induce a reputare tuttora attendibili molti degli approdi ermeneutici raggiunti in sede di interpretazione della disciplina abrogata. Tanto può dirsi, innanzitutto, con riguardo alle tre ipotesi nelle quali occorre discostarsi dalla regola che ricollega il decorso del termine di durata della garanzia alla consegna come sopra individuata: quando il consumatore entra in possesso del bene prima della conclusione del contratto, nella quale il termine deve ritenersi decorrere dal successivo momento della stipula dell’accordo con il professionista; quando il consumatore si rifiuta di ricevere in consegna il bene per averne rilevato la difettosità, nella quale la decorrenza del termine si riallaccia al momento in cui la consegna doveva essere effettuata; quando il contratto prevede il montaggio o l’installazione del bene, nella quale è da ritenere che il termine decorra solo dopo l’avvenuto compimento delle suddette attività [17]. Con riguardo, poi, all’effettiva estensione della durata della responsabilità del venditore, sembra [continua ..]


3. La prescrizione dei diritti del consumatore

La prescrizione dei diritti del consumatore, dal legislatore europeo regolata nei parr. 4 e 5 dell’art. 10 dir. 2019/771/UE, è oggi disciplinata dall’art. 133, comma 3, cod. cons., che nel riprendere il disposto del vecchio art. 132, comma 4, cod. cons. – con l’eccezione dell’ultimo periodo, legato all’onere di denuncia del difetto, assente nella nuova disciplina – dispone che l’azione diretta a far valere i difetti non dolosamente occultati dal venditore si prescrive, in ogni caso, nel termine di ventisei mesi dalla consegna del bene, ma il consumatore convenuto per l’esecuzione del contratto può sempre far valere i rimedi attribuitigli dalla legge. L’operato del legislatore merita un plauso sotto due profili: l’avere ricollegato il dies a quo della prescrizione alla consegna [38], così scartando la diversa soluzione che, proponendo di fare riferimento al momento della scoperta del difetto da parte del consumatore [39], farebbe dipendere la decorrenza del termine da circostanze variabili caso per caso e impedirebbe quindi all’istituto di svolgere la sua funzione di oggettiva certezza [40]; avere confermato la facoltà del consumatore, convenuto per l’esecuzione del contratto, di invocare la garanzia senza limiti di tempo, soluzione che da un lato si conforma al principio della perpetuità dell’eccezione sotteso agli artt. 1495, comma 3 e 1667, comma 3, cod. civ. [41] e dall’altro rappresenta un innalzamento del livello di tutela del consumatore rispetto alla dir. 1999/44/CE rientrante negli auspici del 10° considerando della nuova direttiva. Sotto altri e importanti aspetti la disciplina in esame presenta, però, forti criticità. Tanto può dirsi, innanzitutto, con riguardo alla lunghezza del termine in discorso, determinata dal legislatore sulla falsariga del sistema tratteggiato dalla disciplina previgente e costruito su di un termine di durata della garanzia di ventiquattro mesi, affiancato da un termine di decadenza di due mesi per la denuncia del difetto e un termine di prescrizione di ventisei mesi corrispondente alla somma dei primi due, sistema del quale la più attenta dottrina aveva invero già messo in luce l’irrazionalità e l’incapacità di tutelare il consumatore dal rischio di non avere un lasso di tempo adeguato per fare valere i propri [continua ..]


4. La disciplina dei beni usati

Nella scia di quanto prevedeva la vecchia formulazione dell’art. 134, comma 2, cod. cons. in attuazione dell’art. 7, par. 1, dir. 1999/44/CE, l’art. 133, comma 4, cod. cons. sfrutta la possibilità, concessa agli Stati membri dall’art. 10, par. 6, dir. 2019/771/UE, di attribuire alle parti la facoltà di accordarsi per un termine di durata della garanzia e di prescrizione dei diritti del consumatore più breve di quello valevole per tutti gli altri beni, purché non inferiore ad un anno [68]. È da sottolineare che, discostandosi dalla dir. 1999/44/CE, la dir. 2019/771/UE riferisce la facoltà delle parti di ridurre i termini previsti dalla legge non soltanto al termine di durata della garanzia, ma pure al termine di prescrizione dei diritti del consumatore, che la precedente direttiva invece non consentiva di accorciare [69]; rifacendosi quasi pedissequamente al testo del nuovo provvedimento europeo, il legislatore italiano ha pertanto recepito siffatta estensione della facoltà delle parti di accordarsi sui termini [70], probabilmente senza avvedersi che in questo modo è stata, però, introdotta nel sistema una vistosa eccezione all’indero­gabilità della disciplina della prescrizione stabilita dall’art. 2936 cod. civ. [71]. Al di là di quanto appena rilevato, la decisione del legislatore di esercitare la facoltà prevista dall’art. 10, par. 6, dir. 2019/771/UE merita, comunque, di essere approvata, perché le peculiarità della contrattazione dei beni di seconda mano giustificano l’attribuzione all’autonomia privata di un maggiore spazio di azione, il quale dovrebbe del resto tornare a vantaggio degli stessi consumatori, ovviamente a condizione che essi siano adeguatamente informati circa il carattere usato del bene offerto loro in vendita nonché in merito alla durata del termine entro il quale i difetti di conformità debbono manifestarsi affinché il venditore ne risponda [72].


5. L’onere della prova della manifestazione del difetto di conformità entro il termine di durata della garanzia

Sostituendo il testo del vecchio art. 132, comma 3, cod. cons., l’art. 135 cod. cons. disciplina l’onere della prova della manifestazione del difetto di conformità, materia nella quale l’art. 11 dir. 2019/771/UE prevede, in continuità con la dir. 1999/44/CE, una presunzione in favore dell’acquirente ispirata all’idea secondo cui è più agevole per il venditore dimostrare che il bene era conforme al contratto al momento della consegna piuttosto che per il consumatore provare il difetto, il primo potendo generalmente avvalersi di una conoscenza del prodotto venduto assai più approfondita di quella di cui dispone il secondo [73]. Pur distaccandosi dalla formulazione letterale dell’art. 11, par. 1 della direttiva, il comma 1 dell’art. 135 cod. cons. ne recepisce sostanzialmente i contenuti disponendo che, salvo prova contraria offerta dal professionista, qualsiasi difetto di conformità manifestatosi entro un anno dalla consegna si presume che esistesse già a tale data, a meno che detta presunzione sia incompatibile con la natura del bene o del difetto. Come si può ricavare anche dalla lettura del 45° considerando della direttiva, la presunzione si riferisce soltanto al momento di manifestazione del difetto di conformità e non anche alla sussistenza dello stesso: il consumatore, quindi, viene esonerato dall’onere di provare che i difetti di conformità che si manifestano entro un anno dalla consegna fossero presenti al momento della stessa, ma è comunque tenuto a dimostrare l’esistenza attuale del difetto e il suo manifestarsi entro il termine di durata della responsabilità del venditore per ribaltare su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria, ovverosia dimostrare che quando il consumatore è entrato in possesso del bene questo era conforme al contratto e che il difetto è intervenuto successivamente per una causa non imputabile al professionista medesimo [74]. Dal confronto con la disciplina previgente emerge con evidenza un allungamento della durata della presunzione da sei a dodici mesi che dovrebbe incontrare l’approvazione di quanti reputavano troppo breve la durata semestrale prevista in precedenza [75] ma che ha, d’altro canto, fin da subito ricevuto le censure di chi invece considera quest’ultima una soluzione equilibrata, ora abbandonata in [continua ..]


6. Il mancato recepimento dell’onere di denuncia del difetto di conformità

Come già anticipato, il nostro legislatore ha deciso di non riprodurre nella nuova normativa delle vendite consumeristiche l’onere per il consumatore di denunciare il difetto di conformità al venditore entro due mesi dalla scoperta, previsto a pena di decadenza dal previgente art. 132, comma 2, cod. cons.; come la precedente direttiva del 1999, l’art. 12 dir. 2019/771/UE attribuisce infatti agli Stati membri la mera facoltà – e non l’obbligo – di prevedere tale meccanismo. Dai lavori preparatori [100] emerge che tale scelta è stata fondamentalmente ispirata dal 46° considerando del provvedimento, il quale evidenzia come la mancata previsione dell’onere di denuncia consenta agli Stati di offrire al consumatore un livello di tutela più elevato, nonché dall’intenzione del legislatore italiano di muoversi «in ossequio a quanto accade nella maggior parte degli Stati membri» [101]; quest’ultima considerazione è, però, del tutto fallace, perché in sede di attuazione della dir. 1999/44/CE la grande maggioranza degli Stati europei aveva invece deciso di prevedere l’onere di cui si discute [102]. Né sembra cogliere nel segno l’opinione che attribuisce alla scelta di non riprodurre l’onere di denuncia del difetto il merito di «impedire che si ripropongano i gravi problemi interpretativi e applicativi suscitati dall’onere di denuncia contemplato dall’art. 1495, comma 1, cod. civ.» [103], perché sulla grandissima parte delle questioni sollevate dal vecchio testo dell’art. 132, comma 2, cod. cons. si erano in realtà formati indirizzi ermeneutici – sui quali si tornerà più avanti – sufficientemente univoci e consolidati. Ad un’attenta analisi sembra doversi quindi riconoscere che, al di là dell’indubbio effetto positivo costituito dal rafforzamento della tutela offerta al consumatore, la mancata previsione dell’onere di denunciare il difetto al venditore presenta solamente l’ulteriore vantaggio di contribuire al ridimensionamento dell’annoso e controverso problema, lasciato irrisolto tanto dalla dir. 2019/771/UE quanto dalla nostra normativa interna di recepimento [104], relativo all’inquadramento dell’aliud pro alio nelle vendite consumeristiche [105]. A quanto appena [continua ..]


7. Conclusioni

Alla luce delle riflessioni finora svolte è possibile formulare alcune osservazioni conclusive circa l’operato del legislatore europeo e nazionale. L’ampio margine di libertà lasciato dalla dir. 2019/771/UE agli Stati membri in sede di recepimento è stato da più parti criticato rilevando come l’obiettivo dell’armonizzazione massima richiamato dall’art. 4 della medesima ne esca talmente ridimensionato da assumere i contorni di una mera declamazione di principio priva di effettiva portata pratica [115]. Ad attenuare la rigidità di questo giudizio si potrebbe, peraltro, osservare che le aperture verso la discrezionalità dei legislatori nazionali di cui la direttiva è disseminata costituiscono un compromesso resosi necessario perché si arrivasse all’approvazione del provvedimento da parte delle istituzioni europee [116], così sospinte a realizzare «una armonizzazione massima selettiva, limitata a quegli aspetti che sono stati ritenuti di primaria importanza per il corretto funzionamento del mercato interno, vale a dire difetto di conformità e relativi rimedi, ma pronta, per il resto, a cedere nuovamente il passo ad un’armo­nizzazione, nella sostanza, minima» [117]. Al di là di queste valutazioni, quel che è certo è che tale margine di discrezionalità costituiva una preziosa opportunità, in quanto forniva l’occasione sia per rimeditare sulla bontà delle scelte di fondo operate in sede di attuazione dell’art. 5 dir. 1999/44/CE sia per risolvere, sotto il piano più squisitamente tecnico, le numerose questioni interpretative sollevate dalle norme a quello scopo introdotte nel nostro ordinamento. Come è emerso nelle pagine precedenti, con riguardo alla materia considerata nel presente lavoro niente di tutto questo è però stato fatto dal legislatore italiano, il quale ha acriticamente e semplicisticamente adottato la scelta di discostarsi nella misura minore possibile dalla disciplina contenuta nei previgenti artt. 128 ss. cod. cons. e di lasciare quest’ultima financo immutata laddove non si rendesse – a suo giudizio – necessaria alcuna modifica del testo normativo [118]. Nemmeno si è riflettuto, inoltre, intorno ad alcuni passaggi della dir. 2019/771/UE che lasciano aperti dubbi interpretativi di non poco [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022