l contributo analizza la nuova formulazione impressa agli artt. 133 e 135 cod. cons. dal d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170, recante l’attuazione della dir. (UE) 2019/771 relativa ai contratti di vendita di beni mobili tra professionisti e consumatori, soffermandosi in particolare ad esaminare la nuova disciplina della durata della garanzia, della prescrizione dei diritti del consumatore e del regime probatorio applicabile nelle controversie riguardanti questa materia.
The paper analyzes the new formulation given to articles 133 and 135 of the Consumer Code by Legislative Decree no. 170 of November 4, 2021, implementing Dir. (EU) 2019/771 on contracts for the sale of goods between sellers and consumers, focusing on the new rules on the duration of the guarantee, the statute of limitations of the consumer’s rights, and the regime of the burden of proof applicable in disputes concerning this matter.
Keywords: Sale of goods between sellers and consumers, Duration of the guarantee, Limitations of the consumer’s rights, Burden of proof.
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1. Introduzione: dalla dir. 2019/771/UE al d.lgs. n. 170/2021 - 2. La durata della responsabilità del venditore di beni di consumo - 3. La prescrizione dei diritti del consumatore - 4. La disciplina dei beni usati - 5. L’onere della prova della manifestazione del difetto di conformità entro il termine di durata della garanzia - 6. Il mancato recepimento dell’onere di denuncia del difetto di conformità - 7. Conclusioni - NOTE
Con il d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170, emanato ai sensi dell’art. 1 l. 22 aprile 2021, n. 53 (Legge di delegazione europea 2019-2020), è stata recepita all’interno del nostro ordinamento la nuova disciplina della vendita di beni tra professionisti e consumatori introdotta dalla dir. 2019/771/UE del 20 maggio 2019 e destinata ad abrogare, a partire dal 1° gennaio 2022, la risalente e «gloriosa» [1] dir. 1999/44/CE. Come avvenne in sede di attuazione di quest’ultima, il nostro legislatore non ha ritenuto di cogliere l’occasione per provvedere ad una più generale revisione della disciplina italiana delle garanzie nella vendita modellata sulle nuove disposizioni di derivazione europea [2], ma si è limitato ad intervenire settorialmente sulla disciplina interna di attuazione della precedente direttiva, contenuta nel Capo I del Titolo III della Parte IV di quel “cantiere aperto” [3] che è da sempre considerato il Codice del consumo [4], sostituendola con l’articolato dei nuovi artt. 128-135-septies, i quali è previsto che acquistino efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2022 con applicazione ai contratti conclusi successivamente a tale data.
Per valutare compiutamente l’operato del conditor iuris nostrano va ricordato che la dir. 2019/771/UE è formalmente improntata, alla stregua di quanto prevede l’art. 4, al principio dell’armonizzazione massima, ma in realtà concede agli Stati membri notevoli margini di libertà in sede di recepimento con riguardo a numerosi e rilevanti aspetti della materia [5].
Rientrano fra questi ultimi anche la durata della responsabilità del venditore, l’onere della prova della manifestazione del difetto di conformità e i termini di esperibilità dei rimedi del compratore, profili in precedenza disciplinati dall’art. 5 dir. 1999/44/CE e ora contemplati dagli artt. 10-12 della nuova direttiva. Questi aspetti della vendita di beni di consumo, nel diritto interno regolati prima dal vecchio testo dell’art. 132 cod. cons. e ora dai nuovi artt. 133 e 135 cod. cons. [6], sono, invero, della massima importanza e delicatezza per entrambe le parti coinvolte: per il venditore, la limitazione temporale della garanzia rappresenta un fondamentale presidio di certezza circa la sorte delle operazioni realizzate con la clientela, indispensabile per pianificare al meglio la propria attività imprenditoriale; per l’acquirente, l’orizzonte temporale della durata dei propri diritti condiziona la concreta possibilità di farli valere e, pertanto, segna la misura della loro effettività, se non della loro stessa esistenza [7]. Le disposizioni da ultimo richiamate meritano, quindi, di essere approfondite con particolare attenzione.
Prendendo le mosse da alcuni rilievi di carattere generale suscitati dal confronto con disciplina abrogata, va innanzitutto messo in evidenza come dall’analisi dei lavori preparatori emerga che, «ove la direttiva ha lasciato margini di discrezionalità ai legislatori nazionali, si è privilegiata la coerenza con le scelte nazionali in essere (cfr. termine legale biennale per la garanzia […]), o del minimale discostamento (cfr. art. 135 durata annuale dell’inversione dell’onere della prova). In sintesi, […] al fine di scongiurare dubbi interpretativi, […] nell’adeguare le norme italiane a quelle della direttiva, al fine di darvi piena attuazione, si è cercato di lasciare il più possibile inalterato il precedente quadro normativo, intervenendo solo laddove ciò fosse necessario alla piena attuazione della stessa» [8].
Attenendosi a queste indicazioni, è stata quindi confermata la distinzione, già precedentemente adottata dai commi 1 e 4 del vecchio art. 132 cod. cons., fra il termine di durata della responsabilità del venditore, diretto a delimitare sul piano sostanziale l’estensione temporale della responsabilità del professionista, e il termine di prescrizione dei diritti del consumatore [9]: come auspicato in dottrina, il nostro legislatore ha così evitato di avvalersi della facoltà, concessa agli Stati membri dal par. 5 dell’art. 10 della nuova direttiva, di non recepire il primo e mantenere solamente il secondo [10] a condizione di assicurare che «questo consenta ai consumatori di continuare a esercitare i rimedi a loro disposizione in caso di difetti di conformità che si manifestano quantomeno durante il periodo previsto dalla […] direttiva come periodo di responsabilità» [11]. È parimenti rimasta immutata la lunghezza dei termini in parola, che l’art. 133 cod. cons. continua a fissare, rispettivamente, in due anni e in ventisei mesi decorrenti dalla consegna del bene.
Nelle sue linee essenziali si presenta sostanzialmente invariata anche la disciplina dell’onere della prova della manifestazione del difetto di conformità contenuta nell’art. 135 cod. cons., che nel dare attuazione all’art. 11 dir. 2019/771/UE riproduce la presunzione contemplata dal previgente art. 132, comma 3, cod. cons., estendendone la durata da sei mesi ad un anno.
Rappresenta un notevole cambiamento, invece, la scomparsa dell’onere del consumatore di denunciare il difetto di conformità contemplato dal previgente art. 132, comma 2, cod. cons., previsione che il nostro legislatore ha deciso di non riprodurre nella nuova disciplina delle vendite consumeristiche avvalendosi della facoltà in tal senso concessagli dall’art. 12 dir. 2019/771/UE.
Costituiscono, infine, una rilevantissima novità rispetto alla disciplina abrogata anche le disposizioni dedicate alla vendita di beni con elementi digitali [12], ciò che, peraltro, non è certo una peculiarità delle norme che ci siamo proposti di analizzare, bensì caratterizza l’intero impianto della nuova direttiva, tanto da avere rivestito – almeno secondo alcuni – un ruolo decisivo perché si arrivasse alla sua approvazione in seno alle istituzioni europee [13].
Svolte queste considerazioni introduttive, è possibile scendere ad esaminare nel dettaglio le disposizioni dettate dagli artt. 133 e 135 cod. cons.
Disponendo che «il venditore è responsabile nei confronti del consumatore di qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene eseguita ai sensi dell’art. 61 e che si manifesta entro due anni da tale momento», la prima parte del comma 1 dell’art. 133 cod. cons. recepisce la prima parte del par. 1 dell’art. 10 dir. 2019/771/UE con una previsione che riprende e sintetizza in un unico enunciato quanto si poteva già in precedenza ricavare da una lettura combinata del vecchio testo degli artt. 130, comma 1 e 132, comma 1, cod. cons. [14]. Va salutato con favore il rinvio alle disposizioni in tema di consegna dettate dall’art. 61 cod. cons., il comma 2 del quale in particolare ricollega la traditio al momento in cui il bene entra nella disponibilità materiale o comunque nella sfera di controllo del consumatore: in tal modo il legislatore ha accolto le indicazioni, fornite dall’11° e dal 38° considerando della nuova direttiva, circa il fatto che la medesima intende integrare e fare salvo quanto previsto dalla dir. 2011/83/UE, provvedimento l’attuazione del quale [15] ha per l’appunto condotto all’attuale formulazione dell’art. 61 cod. cons. [16].
La sostanziale coincidenza delle previsioni in esame con il quadro normativo previgente induce a reputare tuttora attendibili molti degli approdi ermeneutici raggiunti in sede di interpretazione della disciplina abrogata. Tanto può dirsi, innanzitutto, con riguardo alle tre ipotesi nelle quali occorre discostarsi dalla regola che ricollega il decorso del termine di durata della garanzia alla consegna come sopra individuata: quando il consumatore entra in possesso del bene prima della conclusione del contratto, nella quale il termine deve ritenersi decorrere dal successivo momento della stipula dell’accordo con il professionista; quando il consumatore si rifiuta di ricevere in consegna il bene per averne rilevato la difettosità, nella quale la decorrenza del termine si riallaccia al momento in cui la consegna doveva essere effettuata; quando il contratto prevede il montaggio o l’installazione del bene, nella quale è da ritenere che il termine decorra solo dopo l’avvenuto compimento delle suddette attività [17]. Con riguardo, poi, all’effettiva estensione della durata della responsabilità del venditore, sembra doversi confermare l’indirizzo che precisa come lo stesso sia tenuto a rispondere pure dei difetti di conformità che si manifestano dopo lo scadere del biennio, qualora essi costituiscano un aggravamento di anomalie manifestatesi in precedenza [18]. Per quanto concerne, infine, la durata della garanzia sul bene sostituito o riparato, non si scorgono ragioni per allontanarsi dalla prevalente soluzione che opportunamente distingue tra i due rimedi: nel caso di sostituzione, il termine in esame decorre nuovamente dal momento della consegna del bene attribuito in sostituzione del bene difettoso; nel caso di riparazione, invece, tanto accade solo con riguardo a difetti identici a quelli che hanno reso necessaria la riparazione nonché a difetti diversi ma provocati dalla riparazione stessa, mentre con riguardo a difetti diversi vale il termine riferito alla consegna originaria [19].
La nuova disciplina è però anche destinata a perpetuare la controversia, insorta nella vigenza della normativa di attuazione della dir. 1999/44/CE, circa il criterio da impiegare nella verifica relativa all’essersi il difetto di conformità «manifestato» (nel biennio), ovverosia divenuto rilevabile e riconoscibile all’esterno: richiamando quanto disponeva l’art. 129, comma 3, cod. cons. in attuazione dell’art. 2, par. 3, dir. 1999/44/CE, alcuni ritenevano che detta riconoscibilità dovesse essere valutata con il parametro dell’ordinaria diligenza e che, pertanto, l’esito della verifica in esame dovesse dipendere dalla conoscenza/conoscibilità del difetto da parte dell’acquirente [20]; secondo una diversa tesi sarebbe stato invece più corretto, perché maggiormente in linea con la formulazione letterale del vecchio art. 132, comma 1, cod. cons. nonché più favorevole per il consumatore, ritenere «manifestato» il difetto percepibile e rilevabile in termini oggettivi, eventualmente anche solo tramite il possesso di particolari conoscenze scientifiche o abilità tecniche [21]. A questa seconda impostazione pare doversi accordare la preferenza in sede di interpretazione della nuova disciplina: ai condivisibili argomenti sopra richiamati ed ora rafforzati dall’invito ad aumentare il livello di protezione dei consumatori rispetto alla dir. 1999/44/CE contenuto nel 10° considerando dir. 2019/771/UE, si aggiunge il rilievo che nell’art. 7, par. 5 del provvedimento, recepito nell’art. 130, comma 4, cod. cons., non compare più quel riferimento alla conoscenza/conoscibilità del difetto da parte del consumatore, contenuto nell’art. 2, par. 3, dir. 1999/44/CE, che costituiva il principale argomento invocato dalla tesi contraria; che la manifestazione del difetto ex art. 10, par. 1 della nuova direttiva debba essere intesa in termini oggettivi e indipendenti dalla conoscenza/conoscibilità del consumatore può, inoltre, ricavarsi da una lettura a contrario dall’art. 12 della stessa, ove si fa espressamente riferimento a tale ultimo criterio nel disciplinare l’onere della denuncia del difetto al venditore [22].
Come già accennato, in continuità con quanto previsto dal vecchio art. 132, comma 1, cod. cons. il termine di durata della garanzia viene dalla nuova disciplina fissato in due anni.
Alla pari della dir. 1999/44/CE, il par. 3 dell’art. 10 dir. 2019/771/UE in realtà consente agli Stati membri di «mantenere in vigore o introdurre termini più lunghi» di quello biennale, così garantendo loro – secondo quanto recita il 41° considerando – «la flessibilità per aumentare il livello di protezione dei consumatori nella rispettiva legislazione nazionale» [23]: l’introduzione di termini siffatti, eventualmente anche differenziati per tipologie merceologiche e commisurati all’aspettativa di vita media delle medesime, sarebbe allora potuta servire a indurre gli operatori del settore ad incrementare la vita media dei prodotti ed evitare deprecabili strategie di c.d. obsolescenza programmata, in sintonia con l’invito ad «assicurare una maggiore durabilità dei beni […] per raggiungere modelli di consumo più sostenibili e un’economia circolare» formulato dal 32° considerando del provvedimento e con l’inserimento – ad opera dell’art. 7, par. 1, lett. d), della direttiva, recepito nell’art. 129, comma 2, lett. d), cod. cons. – della «durabilità» medesima fra le caratteristiche e le qualità che il bene deve presentare per essere conforme al contratto [24].
L’opzione praticata dal nostro legislatore peraltro si giustifica, oltre che sul piano della continuità con la disciplina previgente, alla luce del giudizio positivo sul termine biennale emergente dallo stesso 41° considerando dir. 2019/771/UE, ove si legge che, «visto che nell’attuare la direttiva 1999/44/CE la grande maggioranza degli Stati membri ha previsto un periodo di due anni, e che nella pratica tale periodo è considerato dagli operatori di mercato un lasso di tempo ragionevole, tale periodo dovrebbe essere mantenuto» [25]. Al riguardo dev’essere pure evidenziato che, al di là del rischio che tale scelta provochi un aumento del prezzo finale dei beni in danno dei consumatori, l’introduzione di termini più lunghi del biennio differenziati per categorie merceologiche dovrebbe eventualmente avvenire non con una disciplina cristallizzata all’interno del codice del consumo (o di un altro provvedimento avente rango di fonte primaria), ma piuttosto con il rinvio a strumenti normativi più duttili (per esempio decreti ministeriali, o simili) e più agevolmente modificabili per seguire l’incessante avanzamento tecnologico dei prodotti immessi sul mercato.
Il comma 1 dell’art. 133 cod. cons. contiene poi un ulteriore enunciato che, recependo la seconda parte del par. 1 dell’art. 10 dir. 2019/771/UE, sancisce l’applicabilità delle previsioni finora esaminate ai beni con elementi digitali, fatto salvo quanto previsto dall’art. 130, comma 2, cod. cons. (costituente attuazione dell’art. 7, par. 3 della direttiva) in merito agli aggiornamenti. Come precisa anche il 39° considerando del provvedimento [26], con riguardo a questo tipo di beni il concetto che identifica la consegna con il momento in cui il bene entra nella disponibilità materiale (o comunque nella sfera di controllo) del consumatore deve essere declinato nel senso che i beni in discorso si possono reputare consegnati all’acquirente nel momento in cui quest’ultimo ha ricevuto non soltanto la componente fisica dei medesimi, ma pure il contenuto digitale o il servizio digitale con cui sono incorporati o interconnessi: qualora ciò avvenga dopo la consegna del supporto materiale non sarà, pertanto, quest’ultima a segnare il momento della verifica della conformità del bene al contratto e della decorrenza dei termini di cui all’art. 133 cod. cons., bensì il successivo momento della fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale, posto che in molti casi tale fornitura è necessaria affinché emergano difetti della componente fisica rilevabili dal compratore [27].
In materia occorre poi richiamare la distinzione, delineata dall’art. 130, comma 2, cod. cons., fra contratti di vendita che prevedono un unico atto di fornitura del contenuto o del servizio digitale e contratti di vendita che prevedono una fornitura continuativa dei medesimi elementi digitali nell’arco di un periodo di tempo [28]. La seconda parte del comma 1 del nuovo art. 133 cod. cons. va riferito, per la precisione, alla prima ipotesi, con riguardo alla quale il 37° considerando della direttiva ritiene possibile applicare il concetto generale, valevole per i beni “tradizionali”, che individua nella consegna il momento rilevante per la valutazione di conformità del prodotto e da quell’istante fa decorrere un termine di durata della garanzia di due anni [29]. Della seconda ipotesi si occupa, invece, il comma 2 dell’art. 133 cod. cons., il quale contiene due disposizioni: quando il contratto di vendita prevede la fornitura continuativa del contenuto digitale o del servizio digitale per un periodo di tempo, il venditore è responsabile anche per qualsiasi difetto di conformità del contenuto digitale o del servizio digitale che si verifica o si manifesta entro due anni dal momento della consegna dei beni con elementi digitali; se il contratto prevede una fornitura continuativa per più di due anni, il venditore risponde di qualsiasi difetto di conformità del contenuto digitale o del servizio digitale che si verifica o si manifesta nel periodo di tempo durante il quale il contenuto digitale o il servizio digitale deve essere fornito [30].
Sempre sulla scorta del 37° considerando dir. 2019/771/UE si può allora osservare come, nelle fattispecie testé considerate, ai fini della determinazione della conformità del bene al contratto non viene in rilievo un momento preciso nel tempo, bensì un periodo di tempo decorrente dalla consegna, con conseguente appannamento della distinzione con i contratti di prestazione di servizi [31]: com’è stato efficacemente sottolineato, «se la conformità di prima generazione doveva e deve apprezzarsi in un momento puntuale e ben definito, quello della consegna del bene, la conformità di seconda generazione mira al mantenimento della conformità originariamente raggiunta al momento della consegna e non si identifica con un tratto temporale definibile a priori, inscrivendosi invece variabilmente, secondo circostanze concrete e non previamente definibili, in un arco temporale di cui è solo possibile stabilire la durata massima. Volendo percorrere fino in fondo la strada delle possibilità qualificatorie che ci sono offerte dalla tradizione potrebbe allora dirsi che la conformità di prima generazione è istantanea mentre quella di seconda generazione è di durata» [32]. È importante evidenziare, ad ogni modo, che le previsioni del comma 2 dell’art. 133 cod. cons. si riferiscono esclusivamente alle difformità del contenuto digitale o del servizio digitale incorporato o interconnesso con il bene e non a quest’ultimo, la durata della garanzia del quale rimane sempre sottoposta alla regola generale dettata dal comma precedente [33]; e da questo punto di vista va pure osservato che il secondo periodo della norma prevede la possibilità di una differenziazione tra la durata biennale della garanzia relativa al bene, inteso come supporto materiale, e la più lunga durata della garanzia relativa (e limitata) al contenuto digitale o al servizio digitale [34].
La disciplina della durata della responsabilità del venditore di beni con elementi digitali presenta, però, anche alcuni aspetti poco chiari, già presenti nel testo della dir. 2019/771/UE e relativi agli aggiornamenti. Nel silenzio della legge sul punto ci si chiede, innanzitutto, se l’esecuzione dei medesimi comporti o meno il decorso di un nuovo termine biennale di durata della garanzia: al riguardo parrebbe preferibile la risposta negativa, posto che, diversamente opinando, il periodo di tempo in cui il venditore è chiamato a rispondere per un difetto di conformità rischierebbe di prolungarsi a dismisura, ciò che appare ancor più irragionevole quando si considera che gli aggiornamenti vengono generalmente forniti dal produttore o da terzi anziché dal venditore stesso [35]. Un altro fattore di incertezza discende poi dalla previsione, contenuta nell’art. 130, comma 2, lett. a), cod. cons., che dai contratti di vendita contemplanti un unico atto di fornitura del contenuto o del servizio digitale fa discendere l’obbligo, per il venditore, di fornire alla controparte aggiornamenti per il periodo di tempo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi alla luce della tipologia e delle finalità dei beni e degli elementi digitali nonché delle circostanze e della natura del contratto. Come suggerisce anche il 31° considerando della direttiva, il periodo di tempo corrispondente alle ragionevoli aspettative del consumatore è normalmente pari alla durata della garanzia, ma può anche superare quest’ultima: laddove ciò avvenga si pone, allora, il delicato problema – evidentemente sfuggito all’attenzione del nostro legislatore – di stabilire se la responsabilità del venditore per i difetti causati dagli aggiornamenti si estenda o meno oltre il termine biennale previsto dal comma 1 dell’art. 133 cod. cons. [36].
Sempre sulla scorta della normativa europea, la disciplina italiana di attuazione non contiene, invece, alcuna regola specifica con riguardo ai difetti di conformità attinenti alla durabilità del bene, ipotesi che dovrebbe quindi sottostare alla regola generale che ricollega la responsabilità del venditore alla sussistenza del difetto al momento della consegna del bene e alla manifestazione del medesimo entro i due anni successivi: al riguardo si può osservare che, nonostante le peculiarità di questo requisito richiedano una sorte di proiezione nel futuro del giudizio di conformità, le caratteristiche che conferiscono al bene una determinata durabilità sono comunque presenti (o meno) nel bene stesso al momento della consegna, sicché è pur sempre a quest’ultima che occorre fare riferimento nel valutarne la conformità al contratto [37].
La prescrizione dei diritti del consumatore, dal legislatore europeo regolata nei parr. 4 e 5 dell’art. 10 dir. 2019/771/UE, è oggi disciplinata dall’art. 133, comma 3, cod. cons., che nel riprendere il disposto del vecchio art. 132, comma 4, cod. cons. – con l’eccezione dell’ultimo periodo, legato all’onere di denuncia del difetto, assente nella nuova disciplina – dispone che l’azione diretta a far valere i difetti non dolosamente occultati dal venditore si prescrive, in ogni caso, nel termine di ventisei mesi dalla consegna del bene, ma il consumatore convenuto per l’esecuzione del contratto può sempre far valere i rimedi attribuitigli dalla legge.
L’operato del legislatore merita un plauso sotto due profili: l’avere ricollegato il dies a quo della prescrizione alla consegna [38], così scartando la diversa soluzione che, proponendo di fare riferimento al momento della scoperta del difetto da parte del consumatore [39], farebbe dipendere la decorrenza del termine da circostanze variabili caso per caso e impedirebbe quindi all’istituto di svolgere la sua funzione di oggettiva certezza [40]; avere confermato la facoltà del consumatore, convenuto per l’esecuzione del contratto, di invocare la garanzia senza limiti di tempo, soluzione che da un lato si conforma al principio della perpetuità dell’eccezione sotteso agli artt. 1495, comma 3 e 1667, comma 3, cod. civ. [41] e dall’altro rappresenta un innalzamento del livello di tutela del consumatore rispetto alla dir. 1999/44/CE rientrante negli auspici del 10° considerando della nuova direttiva.
Sotto altri e importanti aspetti la disciplina in esame presenta, però, forti criticità.
Tanto può dirsi, innanzitutto, con riguardo alla lunghezza del termine in discorso, determinata dal legislatore sulla falsariga del sistema tratteggiato dalla disciplina previgente e costruito su di un termine di durata della garanzia di ventiquattro mesi, affiancato da un termine di decadenza di due mesi per la denuncia del difetto e un termine di prescrizione di ventisei mesi corrispondente alla somma dei primi due, sistema del quale la più attenta dottrina aveva invero già messo in luce l’irrazionalità e l’incapacità di tutelare il consumatore dal rischio di non avere un lasso di tempo adeguato per fare valere i propri diritti nel caso in cui dovesse scoprire il difetto negli ultimi giorni del biennio. Al di là delle perplessità sollevate dal diverso momento di decorrenza del termine di prescrizione e del termine per la denuncia [42], va infatti evidenziato che la manifestazione del difetto non coincide necessariamente con la sua scoperta da parte del consumatore e che quest’ultimo potrebbe quindi avvedersi del vizio, pur palesatosi entro i due anni dalla consegna, nel procinto dello spirare del termine prescrizionale, quando ormai può sfuggire alla decadenza e alla prescrizione solo provvedendo immediatamente tanto alla denuncia del difetto quanto all’esercizio del diritto: ciò che induce a pensare che, in realtà, quello sopra prospettato non fosse un vuoto di tutela del consumatore bisognevole di essere colmato, bensì una irrimediabile eventualità connaturata al funzionamento stesso degli istituti della prescrizione e della decadenza [43]. In senso critico nei confronti della sfasatura temporale fra il termine di durata della responsabilità del venditore e il termine di prescrizione dei diritti del consumatore era stato, inoltre, convincentemente osservato che la stessa si può prestare a facili strumentalizzazioni nei casi in cui il difetto si manifesti dopo la scadenza del biennio ma prima del decorso dei ventisei mesi, in quanto induce il consumatore a tentare di invocare ugualmente la garanzia, collocando la data di comparsa del difetto in un momento anteriore alla scadenza dei due anni e confidando nella difficoltà di stabilirla con esattezza: da questo punto di vista, il sistema tratteggiato dal vecchio art. 132 cod. cons. finiva quindi per introdurre fattori di incertezza atti ad alimentare il contenzioso in danno dei venditori, senza che ciò fosse giustificato da un effettivo miglioramento della posizione dei consumatori [44]. Ma la durata di ventisei mesi della prescrizione dei diritti del consumatore, se per le ragioni anzidette costituiva una scelta assai discutibile già nel vigore della previgente disciplina, è del tutto priva di qualsivoglia giustificazione nel nuovo contesto dell’art. 135 cod. cons., ove è venuto meno quell’onere del consumatore di denunciare il difetto entro due mesi dalla scoperta che, come si è visto sopra, nell’ambito della vecchia normativa offriva l’unico, seppure solo apparente, fondamento razionale di una siffatta opzione normativa [45].
La previsione di un termine di prescrizione dei diritti del consumatore più lungo della durata della responsabilità del venditore non è, del resto, nemmeno imposta dall’art. 10, par. 4, dir. 2019/771/UE [46], ai sensi del quale il legislatore che decida di abbinare i due termini è chiamato a garantire che il periodo di responsabilità del professionista non sia eluso o limitato dal termine di prescrizione dei diritti dell’acquirente [47]. Considerata l’importanza della questione, l’imposizione di una durata siffatta dovrebbe, infatti, essere esplicitamente prevista dalla dir. 2019/771/UE o quantomeno menzionata nei suo considerando, ciò che invece non accade; di contro, l’ammissibilità della coincidenza dei due termini pare supportata dal confronto con l’art. 5 dir. 1999/44/CE, il quale la consentiva disponendo che la prescrizione «non può intervenire prima di due anni dalla consegna» [48]. La lunghezza del termine di prescrizione previsto dall’art. 133, comma 3, cod. cons. solleva, inoltre, ulteriori perplessità quando calata nel contesto dei contratti di vendita di beni con elementi digitali che prevedono la fornitura continuativa del contenuto digitale o del servizio digitale per un periodo di tempo superiore ai due anni e che implicano, ex art. 133, comma 2, seconda parte, cod. cons., un periodo di responsabilità del venditore di durata corrispondente [49]: quest’ultimo infatti, ai sensi del già menzionato art. 10, par. 4, dir. 2019/771/UE, non può essere limitato dalla disciplina della prescrizione dei diritti del consumatore prevista dai legislatori nazionali [50], ciò che invece pare accadere in forza della prescrizione di ventisei mesi decorrenti dalla consegna contemplata dalla normativa italiana di attuazione della direttiva.
Un’altra grave imperfezione che l’art. 133, comma 3, cod. cons. si trascina dal previgente art. 132, comma 4, cod. cons. riguarda, poi, il trattamento normativo dell’occultamento del difetto da parte del venditore, fattispecie la cui laconica e malamente collocata regolamentazione avrebbe senza dubbio meritato un intervento chiarificatore del legislatore e che, invece, continuerà a suscitare le intricate questioni ermeneutiche già sollevate dalla disciplina abrogata.
Ad essere incerto è, innanzitutto, il concetto stesso di occultamento, che secondo alcuni richiederebbe un’attività fraudolenta del venditore diretta a celare il difetto di conformità [51], mentre altri ritengono integrato anche dalla mera reticenza dolosa dell’alienante circa l’esistenza del vizio [52]: l’alternativa parrebbe dover essere risolta in favore della seconda tesi, più favorevole per il consumatore rispetto alla prima, la quale invero rischia di ridurre la norma a lettera morta se si considera che, essendo la grande maggioranza dei beni di consumo oggetti prodotti in serie ad alto contenuto tecnologico, è improbabile che un difetto che li riguardi possa essere effettivamente celato dal venditore, più realistica essendo l’eventualità che quest’ultimo si limiti a tacere in mala fede un vizio di costruzione del prodotto imputabile al fabbricante [53].
Altrettanto controversa è, poi, la ricostruzione della disciplina della prescrizione alla quale assoggettare i difetti occultati dal professionista. Secondo una prima lettura, la prescrizione andrebbe sospesa sulla base della previsione dell’art. 2941, n. 8, cod. civ. e il termine di ventisei mesi inizierebbe a decorrere, invece che dalla consegna del bene, dalla scoperta dell’occultamento da parte del consumatore [54]. Interpretando a contrario il disposto della norma in esame e richiamando l’opportunità di sanzionare il comportamento scorretto del venditore, si potrebbe però ritenere che l’azione del consumatore diretta a far valere i difetti occultati dal professionista sia soggetta non alla prescrizione prevista dalla norma medesima, bensì all’ordinaria prescrizione decennale, il decorso della quale si potrebbe poi ricollegare al momento della consegna oppure, sempre argomentando ex art. 2941, n. 8, cod. civ., al momento della scoperta del dolo [55]. In sede di applicazione della nuova disciplina, parrebbe opportuno dirimere il contrasto accogliendo la prima delle soluzioni sopra ricordate, che meglio delle altre sembra conciliarsi, sul piano della gravità delle conseguenze che ne derivano per il professionista, con l’impostazione che ritiene l’occultamento del difetto integrato dalla reticenza dolosa circa l’esistenza del vizio.
Un’ulteriore difficoltà ermeneutica si incontra, infine, nel definire l’incidenza dell’occultamento del difetto sull’operatività del termine biennale di durata della garanzia. Nel senso che tale comportamento non dovrebbe influenzare la decorrenza del termine in discorso si osserva che le ragioni di tutela del consumatore, che pure si accentuano in tale eventualità, non parrebbero poter giustificare l’accantonamento di una regola che svolge la fondamentale funzione di garantire certezza circa la delimitazione temporale della responsabilità del professionista [56]. In senso contrario è però possibile rilevare che il regolare decorso del termine biennale potrebbe vanificare l’applicazione della norma che all’occultamento del difetto ricollega un trattamento più favorevole per il consumatore sotto il profilo della prescrizione, sicché, anche allo scopo di sanzionare il comportamento scorretto del venditore, l’occultamento del difetto dovrebbe portare all’inoperatività del termine biennale di durata della responsabilità del professionista, a quel punto delimitata solo dal decorso della prescrizione dei diritti della controparte [57]. Alla luce dell’invito ad aumentare il livello di protezione dei consumatori rispetto alla dir. 1999/44/CE contenuto nel 10° considerando dir. 2019/771/UE, è proprio quest’ultima la soluzione che parrebbe doversi, allora, preferire in sede di applicazione della nuova disciplina.
Un ultimo aspetto critico dell’art. 133, comma 3, cod. cons. concerne il silenzio serbato dal legislatore sul tema della sospensione e dell’interruzione della prescrizione dei diritti del consumatore, materia che la nuova direttiva, alla stregua del suo 44° considerando e in continuità con la dir. 1999/44/CE, omette di considerare e lascia completamente agli ordinamenti nazionali [58]. La questione è particolarmente grave con riguardo all’interruzione della prescrizione, che già nel vigore della vecchia disciplina ha dato luogo, nell’applicazione delle regole generali di cui agli artt. 2941 ss. cod. civ., ad alcune questioni ermeneutiche di notevole rilievo.
Ad essere in discussione sono, innanzitutto, i requisiti che l’atto di esercizio del diritto da parte del consumatore deve presentare per avere efficacia interruttiva: alla prevalente tesi dottrinale che considera sufficiente qualsiasi atto idoneo a manifestare la volontà di avvalersi della garanzia, anche di natura stragiudiziale [59], si è contrapposto un orientamento pretorio che alla richiesta stragiudiziale di sostituzione o riparazione del bene difettoso ha riconosciuto la capacità di interrompere la prescrizione relativa a detti rimedi, ma non quella dell’azione di risoluzione del contratto, a tal fine reputando necessaria quella domanda giudiziale che la tradizionale opinione giurisprudenziale considerava indispensabile per interrompere la prescrizione delle azioni edilizie di cui all’art. 1495, comma 3, cod. civ. [60] prima di essere superata dal recente intervento delle Sezioni Unite che ha attribuito tale efficacia pure alle manifestazioni stragiudiziali di volontà del compratore compiute nelle forme di cui all’art. 1219, comma 1, cod. civ. [61]. La soluzione surriferita era comunque apparsa insoddisfacente, in quanto non teneva conto del fatto che il consumatore, in virtù della gerarchia dei rimedi previsti in suo favore, prima di aver inutilmente chiesto riparazione e sostituzione del bene nemmeno ha il diritto di esercitare l’azione di risoluzione che servirebbe ad interrompere il decorso della prescrizione con riguardo a quest’ultima: nel recepire la dir. 2019/771/UE sarebbe stato, quindi, senz’altro opportuno dissipare queste incertezze, specificando espressamente che il consumatore può interrompere la prescrizione dei rimedi previsti in suo favore anche con un atto di esercizio del diritto di natura stragiudiziale, soluzione che trova del resto conferma, oltre che nell’attuale indirizzo della Suprema Corte relativo alla vendita di diritto comune, nella circostanza che la nuova disciplina attribuisce ad una manifestazione stragiudiziale di volontà del consumatore il ben più pregnante effetto di determinare la risoluzione del contratto [62].
Un altro profilo controverso riguarda, poi, l’idoneità dell’atto di esercizio di un determinato diritto da parte del consumatore ad interrompere la prescrizione degli altri: attribuendo ai diritti in discorso autonoma individualità, taluno invero sostiene la soluzione radicalmente negativa, che tuttavia risulta eccessivamente penalizzante per il consumatore, in quanto gli impone il notevole aggravio (soprattutto in sede processuale) di far valere sempre, fin dall’inizio, tutti i rimedi tramite una serie di richieste subordinate; secondo un altro orientamento, la richiesta di sostituzione del bene sarebbe idonea a interrompere la prescrizione anche del diritto alla riparazione (e viceversa), in quanto l’una e l’altra sono entrambe modalità attuative dell’unitario diritto del consumatore al ripristino della conformità del bene, mentre tale ragionamento non varrebbe con riguardo alla prescrizione del diritto alla risoluzione del contratto e del diritto alla riduzione del prezzo; un’ulteriore impostazione, infine, ritiene potersi attribuire all’atto di esercizio di ciascun diritto da parte del consumatore l’idoneità ad interrompere la prescrizione anche di tutti gli altri [63]. Ed è proprio quest’ultima soluzione [64] quella che si sarebbe, in effetti, potuto implementare nel recepire la dir. 2019/771/UE: in questo modo, la richiesta diretta a far valere uno dei rimedi “primari” sarebbe in grado di interrompere la prescrizione (anche) dei rimedi “secondari”, ma varrebbe pure l’inverso, nel senso che la richiesta di risoluzione o di riduzione del prezzo andrebbe ad interrompere la prescrizione (anche) del diritto alla sostituzione e del diritto alla riparazione, anche qualora venga formulata nelle ipotesi in cui l’ordine gerarchico dei rimedi imporrebbe al consumatore di far valere, in prima battuta, uno degli strumenti di ripristino della conformità del bene. Oltre ad apparire conforme al fondamentale principio di effettività delle tutele [65], una siffatta disciplina si potrebbe invero giustificare con il rilievo, condiviso da un’ampia parte della dottrina, che la responsabilità del venditore prevista tanto dalla dir. 1999/44/CE quanto dalla dir. 2019/771/UE si concretizza, a prescindere dal suo inquadramento dogmatico nell’ambito dell’assai noto (ed estenuante) dibattito ruotante attorno ai poli della garanzia e dell’obbligazione [66], nella soggezione del venditore ai rimedi previsti in favore dell’acquirente [67], vale a dire nella configurazione, in capo al professionista, di un’unica ed unitaria situazione giuridica soggettiva alla quale il consumatore in ogni caso si appella nel momento in cui invoca uno qualsiasi dei diritti attribuitigli dalla legge.
Nella scia di quanto prevedeva la vecchia formulazione dell’art. 134, comma 2, cod. cons. in attuazione dell’art. 7, par. 1, dir. 1999/44/CE, l’art. 133, comma 4, cod. cons. sfrutta la possibilità, concessa agli Stati membri dall’art. 10, par. 6, dir. 2019/771/UE, di attribuire alle parti la facoltà di accordarsi per un termine di durata della garanzia e di prescrizione dei diritti del consumatore più breve di quello valevole per tutti gli altri beni, purché non inferiore ad un anno [68].
È da sottolineare che, discostandosi dalla dir. 1999/44/CE, la dir. 2019/771/UE riferisce la facoltà delle parti di ridurre i termini previsti dalla legge non soltanto al termine di durata della garanzia, ma pure al termine di prescrizione dei diritti del consumatore, che la precedente direttiva invece non consentiva di accorciare [69]; rifacendosi quasi pedissequamente al testo del nuovo provvedimento europeo, il legislatore italiano ha pertanto recepito siffatta estensione della facoltà delle parti di accordarsi sui termini [70], probabilmente senza avvedersi che in questo modo è stata, però, introdotta nel sistema una vistosa eccezione all’inderogabilità della disciplina della prescrizione stabilita dall’art. 2936 cod. civ. [71].
Al di là di quanto appena rilevato, la decisione del legislatore di esercitare la facoltà prevista dall’art. 10, par. 6, dir. 2019/771/UE merita, comunque, di essere approvata, perché le peculiarità della contrattazione dei beni di seconda mano giustificano l’attribuzione all’autonomia privata di un maggiore spazio di azione, il quale dovrebbe del resto tornare a vantaggio degli stessi consumatori, ovviamente a condizione che essi siano adeguatamente informati circa il carattere usato del bene offerto loro in vendita nonché in merito alla durata del termine entro il quale i difetti di conformità debbono manifestarsi affinché il venditore ne risponda [72].
Sostituendo il testo del vecchio art. 132, comma 3, cod. cons., l’art. 135 cod. cons. disciplina l’onere della prova della manifestazione del difetto di conformità, materia nella quale l’art. 11 dir. 2019/771/UE prevede, in continuità con la dir. 1999/44/CE, una presunzione in favore dell’acquirente ispirata all’idea secondo cui è più agevole per il venditore dimostrare che il bene era conforme al contratto al momento della consegna piuttosto che per il consumatore provare il difetto, il primo potendo generalmente avvalersi di una conoscenza del prodotto venduto assai più approfondita di quella di cui dispone il secondo [73].
Pur distaccandosi dalla formulazione letterale dell’art. 11, par. 1 della direttiva, il comma 1 dell’art. 135 cod. cons. ne recepisce sostanzialmente i contenuti disponendo che, salvo prova contraria offerta dal professionista, qualsiasi difetto di conformità manifestatosi entro un anno dalla consegna si presume che esistesse già a tale data, a meno che detta presunzione sia incompatibile con la natura del bene o del difetto. Come si può ricavare anche dalla lettura del 45° considerando della direttiva, la presunzione si riferisce soltanto al momento di manifestazione del difetto di conformità e non anche alla sussistenza dello stesso: il consumatore, quindi, viene esonerato dall’onere di provare che i difetti di conformità che si manifestano entro un anno dalla consegna fossero presenti al momento della stessa, ma è comunque tenuto a dimostrare l’esistenza attuale del difetto e il suo manifestarsi entro il termine di durata della responsabilità del venditore per ribaltare su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria, ovverosia dimostrare che quando il consumatore è entrato in possesso del bene questo era conforme al contratto e che il difetto è intervenuto successivamente per una causa non imputabile al professionista medesimo [74].
Dal confronto con la disciplina previgente emerge con evidenza un allungamento della durata della presunzione da sei a dodici mesi che dovrebbe incontrare l’approvazione di quanti reputavano troppo breve la durata semestrale prevista in precedenza [75] ma che ha, d’altro canto, fin da subito ricevuto le censure di chi invece considera quest’ultima una soluzione equilibrata, ora abbandonata in favore di un’opzione di smaccato ed eccessivo favore per il consumatore [76].
Non dev’essere questa, evidentemente, l’opinione del legislatore europeo, che nel par. 2 dell’art. 11 della nuova direttiva anzi consente di estendere ulteriormente il suddetto termine annuale a due anni (ma non di modellarlo diversamente adottando soluzioni intermedie, per esempio di diciotto mesi) [77]. E invero, allineando la durata della presunzione a quella della garanzia ed esonerando sempre il consumatore dall’onere di provare la sussistenza del difetto di conformità al momento della consegna, si soddisferebbe l’obiettivo di aumentare il livello di protezione dei consumatori rispetto alla dir. 1999/44/CE di cui al 10° considerando della nuova direttiva e si potrebbe, altresì, giovare alla speditezza e all’efficacia dei rimedi consumeristici, favorendo una più rapida e sicura soluzione delle controversie tra le parti [78]; senza contare che, per ragioni analoghe a quelle già richiamate esaminando il termine di durata della garanzia, una presunzione biennale potrebbe pure contribuire al contrasto al fenomeno dell’obsolescenza programmata nell’ottica dell’economia circolare e del consumo sostenibile [79]. Né sembra che una disciplina di questo tipo comporterebbe un eccessivo aggravio della posizione del venditore [80], perché se da un lato è vero che per quest’ultimo può non essere sempre così agevole fornire la prova contraria, dall’altro la presunzione incontra i limiti costituiti dall’incompatibilità con la natura del bene o la natura del difetto, nozioni ampie e generiche che paiono in grado di realizzare, se correttamente interpretate, un equo contemperamento degli interessi delle parti [81].
Il legislatore italiano non ha però ritenuto di procedere nel senso appena indicato [82] e, conservando un termine di durata della presunzione inferiore a quello della garanzia, ha invero conservato i due vantaggi implicati da tale soluzione: in primis, sollecitare il consumatore a verificare la conformità del bene al contratto in tempi più rapidi di quelli astrattamente consentiti dalla durata della garanzia, ciò che non solo assicura una migliore tutela delle sue ragioni ma risponde pure all’interesse del venditore ad una celere definizione della sorte dell’operazione [83]; in secondo luogo, rendere più accettabile per gli Stati membri il fatto che la garanzia europea sui beni di consumo abbia una durata maggiore di quella prevista dalle normative nazionali tradizionalmente applicate ai professionisti operanti nel proprio territorio [84]. A giustificare la scelta del nostro legislatore potrebbe inoltre militare la considerazione che, quanto più si estende la durata della presunzione in discorso, maggiore si presenta il rischio che i consumatori cedano al moral hazard di utilizzare i beni in maniera negligente confidando sul fatto che la riconducibilità, totale o parziale, del difetto al loro comportamento [85] non emergerà in conseguenza dell’operare della presunzione medesima [86].
Il regime probatorio tratteggiato dall’art. 135, comma 1, cod. cons. potrebbe peraltro essere superato in via ermeneutica laddove si ritenesse di aderire alla tesi, proposta da una parte della dottrina nel vigore della disciplina previgente, che equiparando la consegna di un bene non conforme al contratto all’inadempimento di un’obbligazione – o comunque di un vincolo giuridico a questa assimilabile – ritiene doversi sempre sollevare il consumatore dall’onere di provare la presenza del difetto del bene al momento della consegna, potendo egli limitarsi ad allegare tale circostanza in applicazione del noto regime probatorio elaborato dalle Sezioni Unite nel 2001 con riferimento all’inadempimento delle obbligazioni in generale [87]. Al di là delle fondate critiche alle quali quest’ultimo orientamento è sempre stato sottoposto [88] e delle perplessità sollevate dall’impostazione che vorrebbe ricostruire il regime probatorio dei vizi della cosa venduta sulla scorta della natura della garanzia [89], l’indirizzo di cui si è detto sopra non sembra, tuttavia, poter essere più seriamente sostenuto dopo che le stesse Sezioni Unite hanno più di recente e definitivamente chiarito, con l’avallo della dottrina ampiamente maggioritaria [90], che l’onere della prova dei vizi della cosa venduta grava sull’acquirente di beni acquistati con un contratto disciplinato dal codice civile e che tale soluzione si estende anche alle vendite consumeristiche, altrimenti non spiegandosi perché il legislatore avrebbe introdotto una regola che esonera il consumatore da tale onere probatorio nel caso in cui il difetto si manifesti entro un determinato lasso di tempo dalla consegna [91].
Nella scia del secondo periodo del par. 1 dell’art. 11 dir. 2019/771/UE, il secondo periodo del comma 1 del nuovo art. 135 cod. cons. stabilisce poi che la disciplina della presunzione si applica anche ai beni con elementi digitali. A questi ultimi è interamente dedicato il comma 2 della norma, che riprendendo il par. 3 dell’art. 11 della direttiva dispone che, qualora il contratto preveda una fornitura continuativa del contenuto digitale o del servizio digitale per un periodo di tempo, l’onere della prova riguardo al fatto che il contenuto digitale o il servizio digitale fosse conforme entro il periodo di tempo indicato dal comma 2 dell’art. 133 cod. cons. spetta al venditore per qualsiasi difetto di conformità che si manifesta entro il termine indicato dall’articolo testé menzionato. Messa a confronto con la differente formulazione letterale del comma 1 dell’art. 135 cod. cons., questa disposizione in realtà introduce, con riguardo ai casi ivi considerati, una presunzione, sempre relativa, che non si limita al momento di manifestazione del difetto di conformità, ma riguarda la difettosità stessa del contenuto digitale o del servizio digitale, vincibile dal venditore solo dimostrando che il medesimo è stato conforme per tutto il periodo di tempo durante il quale esso doveva essere fornito in forza del contratto [92]: la ratio di questa previsione può rinvenirsi nell’impossibilità di estendere alle fattispecie in esame l’osservazione, usualmente riferita ai beni “tradizionali”, che sottolinea come dopo la consegna questi ultimi abbandonino definitivamente la sfera d’influenza del venditore per rimanere soggetti solo a quella del compratore [93]. Similmente a quanto rilevato con riguardo al comma 2 dell’art. 133 cod. cons., va comunque evidenziato che la disciplina del comma 2 dell’art. 135 cod. cons. si riferisce esclusivamente alle difformità del contenuto digitale o al servizio digitale e non ai vizi del bene inteso come supporto materiale: per invocarne l’applicazione il consumatore dovrà, quindi, dimostrare che il malfunzionamento del prodotto acquistato attiene al contenuto digitale o al servizio digitale incorporato o interconnesso con il bene medesimo [94].
Il rinvio al termine (almeno) biennale di cui al comma 2 dell’art. 133 cod. cons., frutto del pedissequo recepimento del testo della direttiva, appare, peraltro, criticabile nel momento in cui non tiene conto del fatto che il venditore potrebbe anche obbligarsi contrattualmente a fornire contenuti o servizi digitali per un periodo di tempo inferiore a due anni: in tali ipotesi, infatti, dovrebbe corrispondentemente ridursi anche la durata della presunzione in esame, apparendo privo di senso che il venditore, obbligato a fornire elementi digitali per un arco temporale inferiore a due danni, si possa liberare solo dimostrandone la conformità al contratto per quel periodo [95].
Un altro elemento di criticità della disciplina europea trasposto nell’art. 135 cod. cons. concerne, infine, l’assenza di riferimenti alla difettosità degli aggiornamenti [96]: la questione riguarda, per la precisione, la ripartizione dell’onere della prova nel caso in cui una difettosità dei contenuti o dei servizi digitali insorga, in conseguenza degli aggiornamenti, in un momento ricompreso nella durata della garanzia ma successivo al periodo di operatività annuale della presunzione di cui si discute. La formulazione letterale dell’art. 135 cod. cons. dovrebbe portare ad addossare sul consumatore l’onere di dimostrare il carattere difettoso degli aggiornamenti in applicazione del criterio generale dettato dal comma 1 della norma, il più favorevole trattamento del comma 2 essendo testualmente previsto per la sola ipotesi di contratto contemplante una fornitura continuativa del contenuto digitale o del servizio digitale per un periodo di tempo [97]. In senso contrario si potrebbe argomentare che, con l’installazione degli aggiornamenti, il bene con elementi digitali può essere in qualche modo considerato un prodotto “nuovo” per il quale dovrebbe, di conseguenza, decorrere un nuovo termine annuale di durata della presunzione; ma tale ragionamento appare assai difficilmente sostenibile, in quanto eccessivamente distante dal dettato letterale della norma [98]. In alternativa, si potrebbe pensare di estendere in via analogica alle ipotesi in esame la disciplina dell’art. 135, comma 2, cod. cons.: se è vero, infatti, che la nuova normativa delle vendite al consumo distingue gli aggiornamenti da un lato e la fornitura continuativa di contenuti o servizi digitali dall’altro, trattare allo stesso modo le due ipotesi sotto il profilo dell’onere della prova non sarebbe una soluzione irragionevole, posto che anche la fornitura degli aggiornamenti costituisce un’obbligazione di durata finalizzata al mantenimento della funzionalità e della conformità del bene con elementi digitali [99].
Come già anticipato, il nostro legislatore ha deciso di non riprodurre nella nuova normativa delle vendite consumeristiche l’onere per il consumatore di denunciare il difetto di conformità al venditore entro due mesi dalla scoperta, previsto a pena di decadenza dal previgente art. 132, comma 2, cod. cons.; come la precedente direttiva del 1999, l’art. 12 dir. 2019/771/UE attribuisce infatti agli Stati membri la mera facoltà – e non l’obbligo – di prevedere tale meccanismo.
Dai lavori preparatori [100] emerge che tale scelta è stata fondamentalmente ispirata dal 46° considerando del provvedimento, il quale evidenzia come la mancata previsione dell’onere di denuncia consenta agli Stati di offrire al consumatore un livello di tutela più elevato, nonché dall’intenzione del legislatore italiano di muoversi «in ossequio a quanto accade nella maggior parte degli Stati membri» [101]; quest’ultima considerazione è, però, del tutto fallace, perché in sede di attuazione della dir. 1999/44/CE la grande maggioranza degli Stati europei aveva invece deciso di prevedere l’onere di cui si discute [102]. Né sembra cogliere nel segno l’opinione che attribuisce alla scelta di non riprodurre l’onere di denuncia del difetto il merito di «impedire che si ripropongano i gravi problemi interpretativi e applicativi suscitati dall’onere di denuncia contemplato dall’art. 1495, comma 1, cod. civ.» [103], perché sulla grandissima parte delle questioni sollevate dal vecchio testo dell’art. 132, comma 2, cod. cons. si erano in realtà formati indirizzi ermeneutici – sui quali si tornerà più avanti – sufficientemente univoci e consolidati.
Ad un’attenta analisi sembra doversi quindi riconoscere che, al di là dell’indubbio effetto positivo costituito dal rafforzamento della tutela offerta al consumatore, la mancata previsione dell’onere di denunciare il difetto al venditore presenta solamente l’ulteriore vantaggio di contribuire al ridimensionamento dell’annoso e controverso problema, lasciato irrisolto tanto dalla dir. 2019/771/UE quanto dalla nostra normativa interna di recepimento [104], relativo all’inquadramento dell’aliud pro alio nelle vendite consumeristiche [105].
A quanto appena considerato si contrappongono diverse e non trascurabili ragioni che avrebbero, invece, potuto consigliare il mantenimento dell’onere di denuncia.
La mancata previsione dello stesso può infatti agevolare comportamenti abusivi e opportunistici da parte del consumatore, in quanto gli consente di continuare ad utilizzare il bene, nonostante la consapevolezza del difetto, per poi avvalersi della garanzia soltanto all’avvicinarsi dello scadere del periodo di durata della responsabilità del venditore [106]. Di contro, la presenza dell’onere di denuncia, oltre ad allinearsi con la tradizione del codice civile, favorisce una più rapida e sicura soluzione di eventuali controversie precostituendo una prova del momento di comparsa del difetto, ed inoltre rappresenta un bilanciamento, per il venditore, dei vantaggi attribuiti al consumatore con l’allungamento dei termini di durata della garanzia rispetto alla disciplina di diritto comune e con la facilitazione dell’onere probatorio a suo carico introdotta dalla presunzione circa la manifestazione del difetto di conformità [107]. Nella dinamica delle relazioni commerciali, inoltre, la denuncia serve a rendere edotto il venditore dell’esistenza di vizi a lui sconosciuti in modo che egli possa non solo verificare la fondatezza delle lamentele del compratore, ma anche rivolgersi ai propri fornitori per esercitare eventuali rivalse nonché interrompere, se del caso, catene distributive allacciate con soggetti inaffidabili e potenzialmente foriere di ulteriori pregiudizi per gli acquirenti finali [108].
A fronte di quanto appena rilevato, l’onere della denuncia del difetto di conformità non sembra poi costituire un peso eccessivamente gravoso per l’acquirente [109], specie alla luce dell’interpretazione fornita dalla dottrina e dalla giurisprudenza alla disciplina previgente: il termine per procedere alla denuncia decorre dalla scoperta del difetto e non dalla consegna, sicché il compratore non è costretto ad affrettarsi ad esaminare il bene subito dopo averne preso possesso; per la sua decorrenza era richiesta l’effettiva e completa conoscenza del difetto di conformità da parte del consumatore, considerandosi insufficienti tanto l’oggettiva conoscibilità alla stregua dell’ordinaria diligenza quanto l’insorgere di un semplice sospetto circa la sua esistenza [110]; per evitare la decadenza si è sempre ritenuto sufficiente che la denuncia venisse inviata entro due mesi dalla scoperta del difetto, irrilevante essendo che giungesse al professionista in un momento successivo [111]; la denuncia stessa, infine, non si considerava sottoposta a particolari formalità né si reputava necessario che avesse un contenuto specifico e dettagliato circa la natura e l’entità del difetto riscontrato, bastando che il professionista venisse reso edotto della sua insorgenza [112].
Alla luce di tutte queste considerazioni, quindi, il legislatore avrebbe anche potuto mantenere l’onere di denuncia del difetto previsto dal vecchio art. 132, comma 2, cod. cons., continuando altresì ad accompagnarlo con la previsione che dispensava il consumatore dall’onere in discorso in caso di riconoscimento o occultamento del difetto da parte del venditore. Nel regolare questo profilo sarebbe stato inoltre opportuno risolvere in via normativa la questione, di rilevante importanza pratica e rimasta controversa nel vigore della disciplina previgente, dell’onere della prova applicabile in materia [113]: anche al fine di raggiungere un compromesso tra gli interessi delle parti si sarebbe, in particolare, potuto addossare sul venditore l’onere di dimostrare, in caso di contestazione, la mancanza o la tardività della denuncia medesima, in modo da non gravare il consumatore dell’onere della prova dell’eseguita denuncia e della sua tempestività [114].
Alla luce delle riflessioni finora svolte è possibile formulare alcune osservazioni conclusive circa l’operato del legislatore europeo e nazionale.
L’ampio margine di libertà lasciato dalla dir. 2019/771/UE agli Stati membri in sede di recepimento è stato da più parti criticato rilevando come l’obiettivo dell’armonizzazione massima richiamato dall’art. 4 della medesima ne esca talmente ridimensionato da assumere i contorni di una mera declamazione di principio priva di effettiva portata pratica [115]. Ad attenuare la rigidità di questo giudizio si potrebbe, peraltro, osservare che le aperture verso la discrezionalità dei legislatori nazionali di cui la direttiva è disseminata costituiscono un compromesso resosi necessario perché si arrivasse all’approvazione del provvedimento da parte delle istituzioni europee [116], così sospinte a realizzare «una armonizzazione massima selettiva, limitata a quegli aspetti che sono stati ritenuti di primaria importanza per il corretto funzionamento del mercato interno, vale a dire difetto di conformità e relativi rimedi, ma pronta, per il resto, a cedere nuovamente il passo ad un’armonizzazione, nella sostanza, minima» [117].
Al di là di queste valutazioni, quel che è certo è che tale margine di discrezionalità costituiva una preziosa opportunità, in quanto forniva l’occasione sia per rimeditare sulla bontà delle scelte di fondo operate in sede di attuazione dell’art. 5 dir. 1999/44/CE sia per risolvere, sotto il piano più squisitamente tecnico, le numerose questioni interpretative sollevate dalle norme a quello scopo introdotte nel nostro ordinamento. Come è emerso nelle pagine precedenti, con riguardo alla materia considerata nel presente lavoro niente di tutto questo è però stato fatto dal legislatore italiano, il quale ha acriticamente e semplicisticamente adottato la scelta di discostarsi nella misura minore possibile dalla disciplina contenuta nei previgenti artt. 128 ss. cod. cons. e di lasciare quest’ultima financo immutata laddove non si rendesse – a suo giudizio – necessaria alcuna modifica del testo normativo [118]. Nemmeno si è riflettuto, inoltre, intorno ad alcuni passaggi della dir. 2019/771/UE che lasciano aperti dubbi interpretativi di non poco momento e il recepimento dei quali avrebbe invece richiesto un’approfondita ponderazione.
Tutto questo non potrà, evidentemente, che ingenerare oscillazioni ermeneutiche e controversie applicative in tema di vendite di beni ai consumatori, a tutto discapito dell’obiettivo di garantire ed accrescere la certezza giuridica in questa materia che pure viene insistentemente menzionato nei considerando della dir. 2019/771/UE [119].
[1] L’espressione è di C. Camardi, Prime osservazioni sulla Direttiva (UE) sui contratti per la fornitura di contenuti e servizi digitali. Operazioni di consumo e circolazione di dati personali, in Giust. civ., 2019, 500.
[2] Com’era stato invece auspicato da G. De Cristofaro, Verso la riforma della disciplina delle vendite mobiliari b-to-c: l’attuazione della dir. UE 2019/771, in Riv. dir. civ., 2021, 217 s., nel testo e in nt. 27; A. Barenghi, Osservazioni sulla nuova disciplina delle garanzie nella vendita di beni di consumo, in Contr. impr., 2020, 811; F. Sartoris, Teorie a confronto sulla natura della garanzia per vizi a seguito delle ultime pronunce delle Sezioni Unite, in Pers. merc., 2021, 202 s. Come noto, nello stesso senso si era schierata una nutrita parte della dottrina già in occasione del recepimento della dir. 1999/44/CE.
[3] Per l’utilizzo di questa espressione v., fra gli altri, C. Granelli, Il codice del consumo a cinque anni dall’entrata in vigore, in Obbl. contr., 2010, 733.
[4] In favore dell’intervento settoriale si era espresso, pur non rinnegando l’opportunità di provvedere ad una generale revisione della disciplina italiana delle garanzie nella vendita, E. Ferrante, La direttiva 19/771/UE in materia di vendita al consumo: primi appunti, in Annuario del contratto 2018, Torino, 2019, 61 s. E invero, un intervento normativo del tipo propugnato dalla dottrina citata nella nota 2 suscita alcune perplessità, emerse già all’epoca dell’attuazione della dir. 1999/44/CE, che non possono essere sottaciute: molti profili della disciplina europea della vendita sono infatti ispirati ad un marcato favor per il consumatore che li rende poco (o per nulla) appropriati a regolare tutti i contratti di compravendita; tali norme sono inoltre soggette all’interpretazione della Corte di giustizia, sicché una loro estensione al di fuori dell’originario ambito applicativo solleverebbe il delicato problema di dover stabilire, volta per la volta, se la giurisprudenza della Corte valga solo per i rapporti tra professionisti e consumatori o per tutti i rapporti ai quali si è deciso di estendere le norme in parola (G. Amadio, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, in Riv. dir. civ., 2001, 908 s.; G. Afferni, La garanzia per i difetti materiali nella vendita. Una prospettiva di diritto privato europeo, Torino, 2018, 221). Va sottolineato che l’estensione delle soluzioni adottate dalla dir. 2019/771/UE al di fuori del suo ambito di applicazione non avrebbe, invece, trovato ostacolo nel carattere di armonizzazione massima (sul quale v. infra nel testo) del provvedimento: v., sul punto, S. Pagliantini, Contratti di vendita di beni: armonizzazione massima, parziale e temperata della Dir. UE 2019/771, in Giur. it., 2020, 236 s.
[5] Si soffermano sul punto, fra gli altri, G. De Cristofaro, op. cit., 209 s.; S. Pagliantini, op. cit., 217 ss.; A. Barenghi, op. cit., 808 ss.; F. Addis, Spunti esegetici sugli aspetti dei contratti di vendita di beni regolati nella nuova Direttiva (UE) 2019/771, in Nuovo dir. civ., 2020, 6 ss.; F. Bertelli, L’armonizzazione massima della direttiva 2019/771/UE e le sorti del principio di maggior tutela del consumatore, in Europa dir. priv., 2019, 953 ss.; F. Azzarri, Consegna e passaggio del rischio nelle vendite di beni mobili ai consumatori: considerazioni in vista dell’attuazione della Direttiva (UE) 2019/771, in Resp. civ. prev., 2021, 1095 ss.; B. Zöchling-Jud, Das neue europäische Gewährleistungsrecht für den Warenhandel, in GPR, 2019, 116 s.; I. Bach, Neue Richtlinien zum Verbrauchsgüterkauf und zu Verbraucherverträgen über digitale Inhalte, in NJW, 2019, 1705 ss.; J. Morais Carvalho, Sale of Goods and Supply of Digital Content and Digital Services – Overview of Directives 2019/770 and 2019/771, in EuCML, 2019, 194 ss.; T.M.J. Möllers, The Weakness of the Sale of Goods Directive – Dealing wih Legislative Deficits, in questa Rivista, 2020, 1168 ss.
[6] Nel prosieguo dello scritto, il richiamo ad articoli del codice del consumo non accompagnato da ulteriori specificazioni dovrà intendersi riferito alla nuova formulazione degli stessi; il riferimento al testo delle norme antecedente alla novella apportata dal d.lgs. n. 170/2021 verrà, invece, di volta in volta esplicitato.
[7] E. Ferrante, op. cit., 42; M. Faccioli, La nuova disciplina europea della vendita di beni ai consumatori (dir. UE 2019/771): prospettive di attuazione delle disposizioni sui termini, in Nuove leggi civ. comm., 2020, 250 s.; B. Zöchling-Jud, Beweislast und Verjährung im neuen europäischen Gewährleistungsrecht, in J. Stabentheiner, C. Wendehorst, B. Zöchling-Jud (Hrsg.), Das neue europäische Gewährleistungsrecht, Wien, 2019, 197; B. Gsell, Time limits of remedies under Directives (EU) 2019/770 and (EU) 2019/771 with particular regard to hidden defects, in E. Arroyo Amayeulas, S. Cámara Lapuente (Dirs.), El Derecho Privado en el nuevo paradigma digital, Madrid, 2020, 101 s.; B. Gsell, R. Araldi, Plazos de las medidas correctoras en caso de vicios ocultos según la Directiva (UE) 2019/770 sobre contratos de suministro de contenidos y servicios digitales y la Directiva (UE) 2019/771 sobre el contrato de compraventa de bienes, in Cuadernos de Derecho Transnacional, 2020, 476 s. Per analoghe considerazioni relative alla disciplina previgente, v. A. Pinna, I termini nella disciplina delle garanzie e la direttiva 1999/44/CE sulla vendita dei beni di consumo, in Contr. impr. Eur., 2000, 516.
[8] Così si legge a 3 del documento di Analisi tecnico-normativa allegato allo schema di d.lgs. n. 270/2021 predisposto dal Governo e trasmesso al Parlamento. Per analoghe considerazioni, v. pure il documento di Analisi di impatto della regolamentazione (A.I.R.) allegato allo schema sopra menzionato, 6.
[9] Per un approfondimento della distinzione, in giurisprudenza ribadita anche da Corte giust. UE 13 luglio 2017, C – 133/16, Ferenschild, v. F. Piraino, La vendita di beni di consumo tra obbligazione e garanzia, in Europa dir. priv., 2006, 581 s., ad avviso del quale la previsione di un termine di durata della responsabilità del venditore rivelerebbe (p. 588) «la natura di rapporto ad esecuzione protratta nel tempo propria della vendita di beni di consumo, con la variante costituita dalla circostanza che la durata dell’esecuzione del contratto non dipende – come di regola – dal protrarsi nel tempo del vincolo obbligatorio, bensì dalla previsione del termine di durata della garanzia che lascia sospeso (in quanto non ancora conchiuso) il rapporto contrattuale per il biennio successivo alla consegna del bene». Per una panoramica delle diverse tesi elaborate dalla dottrina per inquadrare il termine di durata della responsabilità nelle categorie del nostro ordinamento, v. M. Faccioli, op. cit., 254 s.
[10] G. De Cristofaro, op. cit., 242 s., secondo cui «se questa possibilità venisse sfruttata, infatti, la disciplina delle vendite mobiliari b-to-c tornerebbe ad essere allineata a quella generale dettata dall’art. 1495 cod. civ. per i contratti di compravendita e a condividere con quest’ultima la esiziale sovrapposizione fra termine di durata della responsabilità del venditore e termine di prescrizione dei diritti del compratore fondati sulla garanzia (con assorbimento del primo nel secondo), che è stata la ragione principale degli innumerevoli problemi interpretativi ed applicativi suscitati dalla disciplina codicistica della garanzia per vizi e mancanza di qualità».
[11] Così recita il 42° considerando della direttiva.
[12] Come definiti dalle disposizioni dettate dall’art. 128, comma 3, lett. e), n. 2) cod. cons. in recepimento di quanto previsto dall’art. 2, n. 5), lett. b), dir. 2019/771/UE. Delle questioni legate alla sfera del digitale si occupa, come noto, anche la dir. 2019/770/UE (sulla quale v. C. Camardi, op. cit., 499 ss.; G. Guerra, Il «contenuto digitale» nel contratto di vendita di beni e servizi. Note a margine della nuova disciplina di armonizzazione (massima) europea, in Giustiziacivile.com, Approfondimento del 30 ottobre 2020), pubblicata contemporaneamente alla direttiva che ci occupa e relativa ai contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali, che il nostro legislatore ha attuato con il d.lgs. 4 novembre 2021, n. 173 inserendo nel Codice del consumo i nuovi artt. 135octies-135vicies ter.
[13] V., fra gli altri, A. De Franceschi, La vendita di beni con elementi digitali, Napoli, 2019, 89; K. Tonner, Die EU-Warenkauf-Richtlinie: auf dem Wege zur Relegung langleiber Waren mit digitalen Elementen, in VuR, 2019, 367.
[14] Lo evidenzia la Relazione illustrativa allo schema di d.lgs. n. 270/2021 predisposto dal Governo e trasmesso al Parlamento; nello stesso senso v., anche per ulteriori citazioni di dottrina conforme, M. Faccioli, op. cit., 254; F. Azzarri, op. cit., 1100.
[15] Avvenuta con d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21.
[16] Lo mette in luce la Relazione illustrativa allo schema di d.lgs. n. 270/2021 predisposto dal Governo e trasmesso al Parlamento. Nello stesso senso v., in dottrina: G. De Cristofaro, op. cit., 224 s., il quale peraltro evidenzia come lo stesso 38° considerando della direttiva allo stesso tempo preveda, in maniera invero inspiegabile, che «il significato di consegna dovrebbe essere definito dal diritto nazionale»; M. Faccioli, op. cit., 256, nel testo e in nt. 26, ove si sottolinea come l’applicabilità dell’art. 61 cod. cons. alle vendite regolate dagli artt. 128 ss. cod. cons. comunque fosse un risultato già acquisito in letteratura; F. Azzarri, op. cit., 1099 ss., secondo cui sarebbe stato peraltro opportuno, in sede di recepimento della direttiva in esame, ricollocare all’interno del Capo dedicato alla vendita di beni ai consumatori le disposizioni in materia di consegna e di passaggio del rischio attualmente contenute negli artt. 61 e 63 cod. cons., collocati dopo le norme sulle informazioni nei contratti diversi dai contratti a distanza e negoziati fuori dai locali commerciali e le norme sulle informazioni e il recesso nei contratti a distanza e negoziati fuori dai locali commerciali. Per una più approfondita riflessione sull’allocazione del rischio contrattuale nella vendita di beni di consumo e sul modo in cui il nostro legislatore avrebbe potuto sfruttare l’occasione dell’attuazione della dir. 2019/771/UE per risolvere alcune ambiguità interpretative sollevate dalla disciplina dell’art. 63 cod. cons., v. L. D’Acunto, Il rischio contrattuale nella vendita. Dalla proprietà al mercato, Napoli, 2020, 87 ss.
[17] Una conferma su questo punto si può rinvenire nel 40° considerando della nuova direttiva.
[18] Su questi aspetti v., anche per ulteriori citazioni di dottrina conforme, M. Faccioli, op. cit., 257 s.
[19] A. Barenghi, op. cit., 820. La risoluzione della seconda delle due ipotesi non è, in realtà, del tutto pacifica, ma la tesi esposta nel testo appare senz’altro più equilibrata e convincente delle altre elaborate nel vigore della disciplina previgente: una prima che chiama il venditore a rispondere, in ogni caso, solamente dei difetti manifestatisi entro due anni dal giorno in cui il bene è stato per la prima volta consegnato al consumatore; una seconda che, all’opposto, ritiene sorgere sempre, con la riparazione, una nuova garanzia, soggetta a rinnovati termini di responsabilità del venditore e di prescrizione dei diritti del consumatore decorrenti dal momento della riconsegna del bene riparato.
[20] V., per esempio, A. Zaccaria, G. De Cristofaro, La vendita dei beni di consumo. Commento agli artt. 1519 bis-1519 nonies del Codice Civile, Padova, 2002, 118; C. Chessa, I nuovi termini di prescrizione e decadenza, in M. Bin, A. Luminoso (a cura di), Le garanzie nella vendita dei beni di consumo, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ. Galgano, Padova, 2003, 491, nt. 9.
[21] Così, fra gli altri, L. Garofalo, Art. 1519-sexies. Note introduttive, in L. Garofalo, V. Mannino, E. Moscati, P.M. Vecchi (a cura di), Commentario alla disciplina della vendita dei beni di consumo, Padova, 2003, 525; F. Naddeo, La vendita di beni di consumo, in P. Stanzione, A. Musio (a cura di), La tutela del consumatore, in Tratt. dir. priv. Bessone, Torino, 2009, 557 s.
[22] B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 209.
[23] In senso critico nei confronti di questa previsione e del suo discostamento dall’obiettivo dell’armonizzazione massima declamato dall’art. 4 della direttiva, v. G. De Cristofaro, op. cit., 225 s.; E. Ferrante, op. cit., 49.
[24] Su questi temi v., amplius, K. Tonner, op. cit., 364, 369 s.; V. Mak, E. Lujinovic, Towards a Circular Economy in EU Consumer Markets – Legal possibilities and Legal Challenges and the Dutch Example, in EuCML, 2019, 4 ss., spec. 7 ss.; K. Tonner, R. Malcolm, How an EU Lifespan Guarantee Model Could Be Implemented Across the European Union. Study for the European Parliament (PE 583.121), 2017, spec. 19 ss.; E. Van Gool, A. Michel, The New Consumer Sales Directive 2019/771 and Sustainable Consumption: A Critical Analysis, in EuCML, 2021, 141 s. Per quanto concerne, in particolare, il requisito della durabilità v., poi, G.F. Simonini, Verso una nozione allargata di difetto di conformità: sarà rilevante anche la “durabilità” del bene?, in Danno resp., 2019, 471 ss.; D. Imbruglia, Mercato unico sostenibile e diritto dei consumatori, in Pers. merc., 2021, 503 ss.
[25] Così anche la Relazione illustrativa allo schema di d.lgs. n. 270/2021 predisposto dal Governo e trasmesso al Parlamento.
[26] Opportunamente richiamato anche dalla Relazione illustrativa allo schema di d.lgs. n. 270/2021 predisposto dal Governo e trasmesso al Parlamento.
[27] A. De Franceschi, op. cit., 118 s.; B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 205; Id., Das neue, cit., 126. Secondo questi Autori, il comportamento richiesto al venditore per adempiere al proprio obbligo di consegna dei contenuti digitali e dei servizi digitali va determinato sulla scorta dell’art. 5 dir. 2019/771/UE, ora recepito dall’art. 135 decies, commi 1 e 2, cod. cons.
[28] A. De Franceschi, op. cit., 112 s., il quale peraltro considera tale distinzione «particolarmente criticabile. Infatti, anche in forza dei contratti di vendita che prevedono un unico atto di fornitura dell’elemento digitale il consumatore avrà diritto alla notifica ed alla fornitura degli aggiornamenti, compresi gli aggiornamenti di sicurezza, necessari al fine di mantenere la conformità dei beni materiali, in ragione del fatto che l’ambiente digitale di beni di questo tipo è in costante evoluzione. Gli aggiornamenti sono infatti uno strumento indispensabile per garantire che i beni siano in grado di conservare le medesime caratteristiche e funzionalità che essi possedevano al momento della consegna: la notifica e la fornitura degli aggiornamenti è dunque essa stessa parte della corretta esecuzione dell’obbligazione di consegna. […] Si tratta pertanto, anche in tale ipotesi, di un rapporto di durata». Per analoghe considerazioni, v. pure C. Wendehorst, Aktualisierungen und andere digitale Dauerleistungen, in J. Stabentheiner, C. Wendehorst, B. Zöchling-Jud (Hrsg.), Das neue europäische Gewährleistungsrecht, cit., 130.
[29] A. De Franceschi, op. cit., 113; B. Gsell, op. cit., 107; B. Gsell, R. Araldi, op. cit., 483; D. Staudenmayer, Kauf von Waren mit digitalen Elementen- Die Richtlinie zum Warenkauf, in NJW, 2019, 2892 s.
[30] Va evidenziato che la formulazione letterale del comma 2 dell’art. 133 cod. cons. ricollega l’insorgenza della responsabilità del venditore non solo ai difetti di conformità che, alla pari di quanto prevede il comma 1 della norma, «si manifestano» entro il termine di durata della garanzia, ma pure a quelli che, prima dello scadere del medesimo, «si verificano», pur rimanendo occulti: in forza di una disciplina siffatta, quindi, il venditore potrebbe essere chiamato a rispondere del difetto di conformità anche molto tempo dopo la scadenza del termine di durata della garanzia da un compratore che constati l’emergenza del difetto dopo quel periodo e possa dimostrare che il difetto medesimo in realtà risale al periodo rientrante nella garanzia stessa. Un esito siffatto, peraltro, appare scongiurato – o, quantomeno, sensibilmente mitigato – negli ordinamenti che, come quello italiano, assoggettano i rimedi del compratore anche ad un termine di prescrizione, posto che quest’ultimo, ai sensi dell’art. 10, par. 5, dir. 2019/771/UE, dev’essere tale da consentire ai consumatori di esercitare i rimedi a loro disposizione in caso di difetti di conformità che, durante il periodo previsto dalla direttiva come periodo di responsabilità, «si manifestano», e non anche «si verificano»: B. Gsell, op. cit., 108 s., 113 s.; B. Gsell, R. Araldi, op. cit., 484 s., 489 s.
[31] D. Staudenmayer, op. cit., 2893.
[32] F. Addis, op. cit., 18 s.
[33] B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 204; Id., Das neue, cit., 126.
[34] J. Morais Carvalho, op. cit., 199; B. Gsell, op. cit., 108; B. Gsell, R. Araldi, op. cit., 484.
[35] A. De Franceschi, op. cit., 126.
[36] A. De Franceschi, op. cit., 114; C. Wendehorst, op. cit., 130. In argomento, v. pure C. Camardi, op. cit., 521 s., la quale osserva che «i contenuti di prestazione e la durata di tali obbligazioni di conformità vanno ragionevolmente dimensionati per rapporto alla versione del bene oggetto dello scambio. Detto altrimenti, fino a quando gli aggiornamenti sono compatibili con la versione del bene oggetto del contratto, essi sono dovuti. Nel momento in cui fosse prodotta una nuova versione del bene, con elementi nuovi di funzionalità, tali da configurare un “altro” bene rispetto a quello venduto, il consumatore non ha titolo a pretendere aggiornamenti che allarghino le funzionalità del bene comprato».
[37] B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 205 s.; Id., Das neue, cit., 122 s.; D. Staudenmayer, op. cit., 2890; W. Faber, Bereitstellung und Mangelbegriff, in J. Stabentheiner, C. Wendehorst, B. Zöchling-Jud (Hrsg.), Das neue europäische Gewährleistungsrecht, cit., 80. Nel senso che la valutazione della durabilità richiederebbe di discostarsi dalla regola generale appena richiamata nel testo v., invece, I. Bach, op. cit., 1707.
[38] Soluzione auspicata anche da B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 213.
[39] Soluzione argomentata richiamando il principio contra non valentem agere non currit praescriptio e il disposto dell’art. 1442, comma 2, cod. civ. in tema di errore: cfr. A. Pinna, op. cit., 532 s.; A. Luminoso, Appunti per l’attuazione della direttiva 1999/44/CE e per la revisione della garanzia per vizi nella vendita, in Contr. impr. Eur., 2001, 126.
[40] A. Zaccaria, G. De Cristofaro, op. cit., 132.
[41] F. Naddeo, op. cit., 562; F. Bocchini, Commento all’art. 132, in C.M. Bianca (a cura di), La vendita dei beni di consumo. Artt. 128-135, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Padova, 2006, 316.
[42] A. Zaccaria, G. De Cristofaro, op. cit., 124; C. Chessa, op. cit., 499.
[43] L. Garofalo, op. cit., 527; F. Naddeo, op. cit., 558.
[44] F. Bocchini, op. cit., 301, 313 s.; G. D’Amico, La compravendita, I, in Tratt. dir. civ. Cons. naz. Not., Napoli, 2013, 519.
[45] Per una diversa opinione, v. A. De Franceschi, op. cit., 126 s., il quale aveva auspicato il mantenimento di un termine di prescrizione di durata superiore di (almeno) due mesi rispetto al termine di responsabilità, a prescindere dall’eventuale eliminazione del termine bimestrale per la denuncia del difetto al venditore.
[46] Nel senso che il periodo di prescrizione dei diritti del consumatore dovrebbe necessariamente essere più lungo della durata della garanzia o, se più breve, dovrebbe iniziare a decorrere in un momento tale da escludere che possa spirare prima dello scadere della garanzia medesima, v., peraltro, I. Bach, op. cit., 1708 s.; B. Gsell, op. cit., 112; B. Gsell, R. Araldi, op. cit., 488.
[47] Così si esprime il 42° considerando del provvedimento.
[48] B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 210 s.; Id., Das neue, cit., 131 s.; M. Faccioli, op. cit., 262 s.
[49] Che la disciplina della prescrizione dei diritti del consumatore relativi a queste ipotesi sia particolarmente problematica è messo in luce anche da B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 211 s.
[50] B. Gsell, op. cit., 114; B. Gsell, R. Araldi, op. cit., 489.
[51] L. Garofalo, op. cit., 528 s.; F. Naddeo, op. cit., 561; G. D’Amico, op. cit., 520.
[52] A. Zaccaria, G. De Cristofaro, op. cit., 124 s.; C. Chessa, op. cit., 499 s.; F. Bocchini, op. cit., 319 ss.
[53] F. Bocchini, op. cit., 319.
[54] F. Naddeo, op. cit., 562; G. D’Amico, op. cit., 520; A. Luminoso, La vendita, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu-Messineo, Milano, 2014, 606.
[55] Cfr., per una riflessione sul punto, L. Garofalo, op. cit., 528; M. Cognolato, Commento all’art. 132, in G. Vettori (a cura di), Codice del consumo. Commentario, Padova, 2007, 989 s. Va poi ricordato che, secondo un’ulteriore proposta interpretativa, si dovrebbe «considerare applicabile in materia l’impianto normativo relativo al dolo, come categoria giuridica che maggiormente rispecchia il conflitto di interessi suscitato dal tema in esame», con la conseguenza che «il doloso occultamento del difetto apre al consumatore una duplice strada: l’azione di annullamento o l’azione di garanzia, entrambe da esercitare nel termine di cinque anni dalla scoperta dell’occultamento, salvo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno per la condotta illecita tenuta dal venditore»: F. Bocchini, op. cit., 322 s.
[56] C. Chessa, op. cit., 491; F. Bocchini, op. cit., 321.
[57] A. Luminoso, La vendita, cit., 606 s.; G. D’Amico, op. cit., 520.
[58] Per una critica nei confronti della scelta operata dalla dir. 2019/771/UE accompagnata dall’auspicio dell’intervento del legislatore italiano sul punto, v. G. De Cristofaro, op. cit., 241 s. Il 44° considerando del provvedimento peraltro suggerisce ai legislatori nazionali di ricollegare l’interruzione o la sospensione della prescrizione a eventi quali la riparazione e la sostituzione del bene o lo svolgimento di trattative tra le parti finalizzate alla composizione amichevole della controversia.
[59] Ex multis v., anche per ampi riferimenti di dottrina conforme, R. Omodei Salè, Art. 130. Diritti del consumatore, in G. De Cristofaro, A. Zaccaria (a cura di), Commentario breve al diritto dei consumatori, 2a ed., Padova, 2013, 841, 848.
[60] App. Roma, 9 ottobre 2017, n. 6338, in Contr., 2018, 581, con nota di M. D’Onofrio, ‘Gerarchia’ dei rimedi e prescrizione nella vendita di beni di consumo, ove riferimenti alla giurisprudenza di cui si diceva nel testo.
[61] Cass., sez. un., 11 luglio 2019, n. 18672, in Foro it., 2019, I, c. 3116, con nota di M. Magliulo, R. Pardolesi, Sull’interruzione della prescrizione della garanzia per vizi nella compravendita.
[62] Precisamente, nell’art. 13, par. 1, della direttiva e nell’art. 135 quater, comma 2, cod. cons.: cfr., su questi aspetti, M. Faccioli, op. cit., 268 s.; G. De Cristofaro, op. cit., 241; S. Pagliantini, op. cit., 235 s.; B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 209 s.; E. Ferrante, op. cit., 51 s., il quale peraltro ritiene che, «poiché il risultato pare scontato, è preferibile che il legislatore s’astenga del tutto, per non correre il rischio di rendere quel risultato meno scontato».
[63] Su questi aspetti v., amplius, M. Faccioli, op. cit., 269 s., e la dottrina ivi citata; la questione esaminata nel testo è segnalata anche da G. De Cristofaro, op. cit., 242.
[64] Autorevolmente suggerita da A. Luminoso, La vendita, cit., 605 s.; nello stesso senso v., inoltre, A. Genovese, Vendita di beni di consumo, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Agg., III, Torino, 2007, 1262.
[65] Sul quale è d’obbligo il rinvio, quantomeno, a G. Vettori, Il diritto ad un rimedio effettivo nel diritto privato europeo, in Riv. dir. civ., 2017, 666 ss.; Id., Effettività delle tutele (diritto civile), in Enc. dir., Annali, X, Milano, 2017, 381 ss.
[66] Nel senso che i termini del problema del fondamento della responsabilità del venditore di beni di consumo rimangono sostanzialmente immutati nel passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina, v. F. Addis, op. cit., 17; A. Barenghi, op. cit., 815 ss. Per una recente sintesi del dibattito, v. F. Sartoris, op. cit., 199 ss.
[67] G. Amadio, op. cit., 895; A. Luminoso, La vendita, cit., 530 s., 558 s.; R. Omodei Salè, op. cit., 829; L. D’Acunto, op. cit., 90; L. Cabella Pisu, La vendita di beni di consumo, in Tratt. resp. contr. Visintini, II, Padova, 2009, 1322. Nel senso che «il giurista italiano dovrebbe […] assecondare l’ispirazione della normativa europea partendo dall’esame delle tecniche di tutela offerte al consumatore e della loro fruibilità, piuttosto che dall’indagine sulla natura della responsabilità del venditore-professionista», v. già R. Alessi, L’attuazione della direttiva sulla vendita dei beni di consumo nel diritto italiano, in Europa dir. priv., 2004, 751.
[68] Come quella che l’ha preceduta, anche la nuova direttiva quindi non consente ai legislatori nazionali di prevedere termini più brevi per i beni usati, ma concede loro solamente la facoltà di permettere a professionista e consumatore di accordarsi in tal senso: B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 212; Id., Das neue, cit., 132.
[69] B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 212; Id., Das neue, cit., 132, sulla scorta della decisione di Corte giust. UE 13 luglio 2017, causa C-133/16, Ferenschild.
[70] Lo segnala anche la Relazione illustrativa allo schema di d.lgs. n. 270/2021 predisposto dal Governo e trasmesso al Parlamento.
[71] Con il che non si intende ovviamente contestare la necessità, ormai condivisa da un’ampia parte della dottrina, di superare – o comunque ridimensionare – tale elemento di rigidità della disciplina della prescrizione nella prospettiva dell’ammodernamento dell’istituto, ciò che in ogni caso richiederebbe un intervento del legislatore e non sarebbe praticabile in via interpretativa: amplius sul punto v., fra gli altri, G. Magri, La prescrizione in Europa tra ordine pubblico e tutela del debitore, in Riv. dir. civ., 2017, 1160 ss.; sull’esigenza di una ancora più ampia e generale revisione della disciplina della prescrizione v., poi, P. Gallo, Art. 2934. Estinzione dei diritti, in G. Bonilini, A. Chizzini (a cura di), Della tutela dei diritti. Artt. 2907-2969 cod. civ., in Comm. cod. civ. Gabrielli, Torino, 2015, 514; Id., Prescrizione e decadenza, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Agg., VIII, Torino, 2013, 511; A. Lepre, Prescrizione e decadenza. Contributo alla teoria del «giusto rimedio», Napoli, 2012, 265; G. Magri, La prescrizione. Ricodificazione degli ordinamenti giuridici europei e prospettive di modernizzazione del diritto italiano, Napoli, 2019, 453 ss.
[72] G. De Cristofaro, op. cit., 248, nel testo e in nt. 248. In senso critico nei confronti della facoltà concessa agli Stati membri dall’art. 10, par. 6, dir. 2019/771/UE v., però, E. Van Gool, A. Michel, op. cit., 138, i quali ritengono che la riduzione della durata della garanzia e della prescrizione dei diritti del consumatore consentita dalla norma, suscitando l’impressione che i beni usati abbiano un valore economico e una durabilità inferiori ai beni nuovi, in realtà ne ostacolerebbe il commercio, ponendosi così in contrasto con gli obiettivi della sostenibilità dei consumi e dell’economia circolare già richiamati supra, nel par. 2.
[73] V., ex multis, D. Staudenmayer, op. cit., 2893; G. Afferni, op. cit., 171; F. Macario, Brevi considerazioni sull’attuazione della direttiva in tema di garanzie nella vendita di beni di consumo, in Contr. impr. Eur., 2001, 150; A. Giussani, Sulla «vicinanza» della prova del vizio della cosa venduta, in Riv. dir. proc., 2020, 1324; in giurisprudenza v., poi, Corte Giust. UE 4 giugno 2015, causa C-497/13, Faber (in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, 5, con nota di F.P. Patti, Tutela effettiva del consumatore nella vendita: il caso “Faber”; in Contr., 2015, 1077, con nota di F. Azzarri, Integrazione delle fonti ed effettività delle tutele nella vendita dei beni di consumo).
[74] Fra i tanti v., anche con riferimento alla disciplina previgente, G. De Cristofaro, op. cit., 227 s.; F. Naddeo, op. cit., 559; D. Staudenmayer, op. cit., 2893; B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 202; Id., Das neue, cit., 125; S. Patti, Commento all’art. 129. I, in C.M. Bianca (a cura di), La vendita, cit., 75. Nello stesso senso v., inoltre, Corte Giust. UE 4 giugno 2015, causa C-497/13, Faber, cit., la quale ha pure precisato che il consumatore non è tenuto a provare la causa del difetto di conformità o a dimostrare che la sua origine è imputabile al venditore; Cass., sez. un., 3 maggio 2019, n. 11748 (in Corr. giur., 2019, 1527, con nota di G. Villa, L’onere di provare il vizio della cosa venduta: un’occasione per una nuova meditazione sulla prova dell’inadempimento), la quale, seppure pronunciandosi con riguardo alla disciplina della vendita contenuta nel codice civile, ha ripreso quanto affermato dalla sentenza della Corte di giustizia sopra menzionata per argomentare la soluzione (sulla quale v. infra, nel testo) che addossa al compratore l’onere di provare i vizi della cosa ai fini dell’esperimento delle azioni edilizie.
[75] F. Macario, op. cit., 151; R. Fadda, Il contenuto della direttiva 1999/44/CE: una panoramica, in Contr. impr. Eur., 2000, 431.
[76] S. Pagliantini, op. cit., 223.
[77] Sull’esclusione di soluzioni intermedie tra la durata di uno o due anni della presunzione, invero non espressamente prevista dal testo della direttiva ma ricavabile dal principio dell’armonizzazione massima, v. B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 198; E. Ferrante, op. cit., 59.
[78] Su questo punto v., in particolare, E. Ferrante, op. cit., 58.
[79] E. Van Gool, A. Michel, op. cit., 142.
[80] Come invece coerentemente ritiene, considerata la critica formulata già con riguardo alla durata annuale della presunzione, S. Pagliantini, op. cit., 223.
[81] M. Faccioli, op. cit., 275; G. De Cristofaro, op. cit., 228. Sulla scorta dell’interpretazione fornita alla previgente disciplina nonché delle indicazioni provenienti dal 45° considerando dir. 2019/771/UE, può evidenziarsi che si riscontra l’incompatibilità della presunzione con la natura del bene quando la cosa è sottoposta a breve scadenza o è facilmente deperibile (ma non necessariamente per il semplice fatto che si tratti di un bene usato), mentre l’incompatibilità con la natura del difetto ricorre quando quest’ultimo è tale da dover essere ragionevolmente ricondotto ad una causa esterna (quale, per esempio, il comportamento del consumatore stesso o di un terzo) oppure si identifica con quei lievi deterioramenti che sono conseguenza inevitabile del normale utilizzo del bene; è importante precisare, inoltre, che tali circostanze possono essere non solo invocate dal professionista, ma pure rilevate d’ufficio dal giudice, in quanto costituiscono l’oggetto di una mera difesa e non di un’eccezione (V. Mariconda, “Conformità” al contratto dei beni di consumo e onere della prova, in Corr. giur., 2002, 1106).
[82] Un invito a valutare la possibilità di prolungare la durata della presunzione in discorso a due anni era stato peraltro formulato dalla 10a Commissione permanente del Senato (Industria, commercio, turismo) nel suo parere del 5 ottobre 2021 sullo schema di d.lgs. n. 270/2021 predisposto dal Governo.
[83] C. Chessa, op. cit., 498; F. Bocchini, op. cit., 307.
[84] P.R. Lodolini, La direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo: prime osservazioni, in Europa dir. priv., 1999, 1288.
[85] Sul concorso del fatto del consumatore, v. l’art. 13, par. 7, dir. 2019/771/UE e l’art. 135 bis, comma 6, cod. cons.
[86] Per una riflessione sul punto v., seppure con varietà di accenti, E. Van Gool, A. Michel, op. cit., 142; B. Gsell, op. cit., 117; B. Gsell, R. Araldi, op. cit., 494.
[87] Il riferimento è alla celebre Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Foro it., 2002, I, c. 769. Nel senso appena riferito nel testo si erano pronunciati, fra gli altri, A. Zaccaria, G. De Cristofaro, op. cit., 119 s.; F.P. Patti, op. cit., 15; F. Azzarri, op. ult. cit., 1094; negli stessi termini cfr., in giurisprudenza, Giud. Pace Padova 15 novembre 2007, in Studium Iuris, 2008, 620.
[88] In particolare per avere esteso la soluzione originariamente delineata per il mancato adempimento all’ipotesi – nella quale rientra la consegna di un bene difettoso – dell’inesatto adempimento senza, però, avvedersi che, quando il creditore lamenta la cattiva esecuzione della prestazione, da un lato non può ritenersi operare il c.d. principio di presunzione di persistenza del diritto che ben appare adattarsi alle (sole) ipotesi di mancato adempimento, e dall’altro lato il principio di vicinanza della prova dovrebbe condurre ad addossare sul creditore l’onere di provare di avere ricevuto una prestazione inesatta, anziché a gravare il debitore dell’onere di dare la prova di avere esattamente adempiuto (per questi diffusi rilievi v., per tutti, G. Villa, op. cit., 759 ss.).
[89] R. Mazzariol, L’onere della prova nella garanzia per vizi nella vendita: il problema irrisolto del riparto probatorio del momento genetico del vizio, in Riv. dir. civ., 2020, 449 s.; M. Proto, Garanzia per vizi della cosa venduta: onere probatorio e diritto ad un rimedio effettivo, in Nuove leggi civ. comm., 2021, 164 ss.; A. Luminoso, Due pronunce contrastanti delle Sezioni Unite sulla natura della garanzia per vizi nella vendita (e sui riflessi in materia di onere della prova e prescrizione), in Resp. civ. prev., 2019, 1868 ss.
[90] A prescindere da eventuali rilievi critici circa il ragionamento sviluppato dalle Sezioni Unite, hanno aderito alle conclusioni cui è giunta la pronuncia di cui si dirà subito infra nel testo gli Autori citati nella nota precedente nonché, fra gli altri, T. dalla Massara, L’onere della prova dei vizi del bene venduto al vaglio delle Sezioni Unite: resistenza e resilienza del modello della garanzia, in Contr., 2019, 378 ss.; L. Regazzoni, Le Sezioni Unite confermano l’onere probatorio in materia di garanzia per vizi e la distinzione tra garanzia e obbligazione, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 1055 ss.; R. Calvo, Luci e ombre nella cornice del congedo dalla garanzia edilizia, in Giur. it., 2019, 1532 ss.; G. Portonera, Le sezioni (ri)unite sulla garanzia edilizia: natura, onere probatorio e atti interruttivi del termine prescrizionale, in Europa dir. priv., 2020, 705 ss. Per l’opposta e minoritaria opinione che, non condividendo il principio affermato dalla pronuncia in discorso, ritiene il compratore gravato del solo onere di allegare il vizio e impone al venditore l’onere di fornire la prova contraria v., invece, A. Iuliani, Note minime in tema di garanzia per i vizi nella vendita, in Europa dir. priv., 2020, 671 ss.; F. Piraino, La garanzia nella vendita: durata e fatti costitutivi delle azioni edilizie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 1134 ss.
[91] Cass., sez. un., 3 maggio 2019, n. 11748, cit., anche sulla scorta del richiamo a Corte Giust. UE 4 giugno 2015, causa C-497/13, Faber, cit. Né sembra che tale ragionamento possa essere criticato obiettando che «la disciplina italo-europea della vendita al consumo conosce sì fin dal 1999 una presunzione di preesistenza del vizio […], ma questa nulla dice sull’esistenza del difetto di conformità» (E. Ferrante, op. cit., 60, nt. 100), evidente essedo che «introdurre una inversione dell’onere probatorio in favore del compratore/consumatore significa ammettere l’esistenza di una regola – […] logicamente presupposta da tale inversione – che impone proprio a quest’ultimo di provare che fu consegnato un bene non conforme alle intese. […] Benché derogata per un lasso di tempo, la regola tuttavia esiste; ed impone al compratore di dimostrare il difetto che egli denuncia» (così M. Proto, op. cit., 166 s.; per analoghe considerazioni, v. pure G. Villa, op. cit., 761; G. De Cristofaro, op. cit., 227).
[92] A. De Franceschi, op. cit., 129 s.; B. Zöchling-Jud, Das neue, cit., 126; B. Zöchling-Jud, Beweislast, cit., 203.
[93] B. Gsell, op. cit., 118; B. Gsell, R. Araldi, op. cit., 495.
[94] B. Zöchling-Jud, Das neue, cit., 126; Id., Beweislast, cit., 204.
[95] A. De Franceschi, op. cit., 130; B. Zöchling-Jud, Das neue, cit., 126; Id., Beweislast, cit., 204.
[96] Il problema è segnalato anche da A. De Franceschi, op. cit., 130.
[97] B. Zöchling-Jud, Das neue, cit., 126; Id., Beweislast, cit., 205.
[98] C. Wendehorst, op. cit., 128 s.
[99] C. Wendehorst, op. cit., 129. Sull’obbligo di fornire gli aggiornamenti quale obbligazione di durata, v. pure supra, alla nota 28.
[100] In particolare, dalla Relazione illustrativa allo schema di d.lgs. n. 270/2021 predisposto dal Governo e trasmesso al Parlamento. Un invito a valutare l’opportunità di ripristinare l’onere di denuncia del difetto di conformità era stato peraltro formulato tanto dalla 10a Commissione permanente (Attività produttive, commercio, turismo) quanto dalla 14a Commissione permanente (Politiche dell’Unione europea) della Camera nel rendere i loro pareri, rispettivamente datati 22 settembre e 6 ottobre 2021, sullo schema di cui sopra; analogo auspicio era stato, inoltre, formulato dalla 10a Commissione permanente del Senato (Industria, commercio, turismo) nel suo parere sullo schema in parola del 5 ottobre 2021, accompagnato dall’invito a riflettere sulla possibilità di ampliare a tre mesi il termine entro cui il difetto dev’essere denunciato.
[101] A 6 del documento di Analisi di impatto della regolamentazione (A.I.R.) allegato allo schema di d.lgs. n. 270/2021 predisposto dal Governo e trasmesso al Parlamento si soggiunge che la scelta di non mantenere l’onere di denuncia del difetto è stata dettata anche dall’intento di rendere la disciplina di attuazione della dir. 2019/771/UE omogenea alla normativa di recepimento della dir. 2019/770/UE (sulla quale v. infra, nota 12), la quale non prevede la facoltà degli Stati membri di prevedere l’onere in discorso.
[102] Per una panoramica sul punto, v. E. Ferrante, op. cit., 55; T.M.J. Möllers, op. cit., 1184.
[103] G. De Cristofaro, op. cit., 239 s.
[104] Aveva espresso l’auspicio di un chiarimento del nostro legislatore sul punto G. De Cristofaro, op. cit., 222.
[105] V., sul punto, E. Ferrante, op. cit., 57, il quale rileva che «la nascita ed il prosperare dell’aliud sono dipesi essenzialmente dalla propensione giurisprudenziale a “salvare” compratori inavvertiti o inavveduti dall’inesorabile decadenza di legge; ed ognuno sa che, all’uopo, non sono bastati stratagemmi più blandi come il continuo spostamento in avanti del dies a quo, la fatidica scoperta del vizio, o la dilatazione di ciò che tanto per il codice generale quanto per quello del consumo è il riconoscimento o l’occultamento del vizio stesso. Tecniche praticate sì, ma spesso doppiate e rese secondarie dall’espediente dell’aliud».
[106] T.M.J. Möllers, op. cit., 1185.
[107] Cfr. T.M.J. Möllers, op. cit., 1184 s.; A. Luminoso, Appunti, cit., 126.
[108] T.M.J. Möllers, op. cit., 1185.
[109] Lo sottolinea anche T.M.J. Möllers, op. cit., 1183 s., il quale inoltre evidenzia come non ci si debba nemmeno preoccupare del rischio che i consumatori lo ignorino: come si diceva nel testo, l’onere di denuncia del difetto infatti già appartiene all’ordinamento della maggior parte degli Stati membri e, in ogni caso, l’art. 20 dir. 2019/771/UE impegna questi ultimi a garantire che i consumatori siano informati dei diritti attribuiti loro dal nuovo provvedimento.
[110] V., fra gli altri, L. Garofalo, op. cit., 526; M. Cognolato, op. cit., 980; C. Chessa, op. cit., 494; F. Bocchini, op. cit., 308.
[111] V., fra gli altri, M. Cognolato, op. cit., 979; F. Bocchini, op. cit., 311; A. Zaccaria, G. De Cristofaro, op. cit., 122.
[112] In dottrina v., per tutti, F. Bocchini, op. cit., 310 ss. In questo senso si è alla fine orientata anche la nostra giurisprudenza (CdS 17 novembre 2015, n. 5250, in Foro amm., 2015, 2800; Giud. Pace Bari 6 maggio 2009, in DeJure; Giud. Pace Padova 15 novembre 2007, cit.), nonostante le prime pronunce in materia avessero richiesto la necessità di una denuncia «scritta, precisa e puntuale» (Giud. Pace Bari 8 marzo 2006 e Giud. Pace Bari 16 maggio 2006, in Obbl. contr., 2007, 511). Per affermazioni analoghe v., inoltre, Corte Giust. UE 4 giugno 2015, causa C-497/13, Faber, cit.
[113] Ferma l’irrilevabilità d’ufficio della mancanza o della tardività della denuncia, sulla questione si fronteggiavano due orientamenti: taluni ritenevano incombere sul consumatore l’onere della prova dell’eseguita denuncia e della sua tempestività, osservando che la denuncia tempestiva costituirebbe un onere (o una condizione) cui risulta subordinato l’esercizio dei rimedi previsti in suo favore e che la relativa prova implica la dimostrazione di un dato, il momento della scoperta effettiva del difetto, che assai difficilmente potrebbe essere fornito dal professionista (così, fra gli altri, M. Cognolato, op. cit., 982; F. Bocchini, op. cit., 311; Trib. Torre Annunziata 19 giugno 2009, in La resp. civ., 2010, 753); secondo un altro orientamento, facente leva anche sulle finalità di protezione del consumatore sottese alla normativa in esame, doveva invece essere il venditore a dimostrare la mancanza o la tardività della denuncia del difetto, in quanto la regola della «decadenza» espressa dalla vecchia formulazione del comma 2 dell’art. 132 cod. cons. sembrava presupporre che i «diritti» menzionati dalla norma fossero già sorti in capo all’acquirente e che, pertanto, le circostanze in esame integrassero fatti estintivi della pretesa del consumatore ai sensi dell’art. 2697, comma 2, cod. civ. (v., fra gli altri, F. Naddeo, op. cit., 560; L. Garofalo, op. cit., 526).
[114] Così raccogliendo la proposta a suo tempo formulata da A. Luminoso, Appunti, cit., 127. Questa soluzione parrebbe anche porsi in maggiore sintonia (cfr. F.P. Patti, op. cit., 14) con la pronuncia di Corte Giust. 4 giugno 2015, causa C-497/13, Faber, cit., la quale ha affermato che ove il diritto nazionale subordini la possibilità di usufruire dei rimedi stabiliti dalla dir. 1999/44/CE alla denuncia del difetto di conformità, la denuncia non deve essere assoggettata a regole relative alla prova che rendano impossibile o eccessivamente difficile per il consumatore esercitare i propri diritti.
[115] Seppure con varietà di accenti v., tra gli altri, B. Zöchling-Jud, Das neue, cit., 117; T.M.J. Möllers, op. cit., 1169; I. Bach, op. cit., 1711; B. Gsell, op. cit., 118; B. Gsell, R. Araldi, op. cit., 495; A. Barenghi, op. cit., 808; G. Alpa, Aspetti della nuova disciplina delle vendite nell’Unione europea, in Contr. impr., 2019, 829.
[116] D. Staudenmayer, Die Richtlinie zu den digitalen Verträgen, in ZEuP, 2019, 666.
[117] F. Addis, op. cit., 7. In termini non dissimili, parla di una «targeted harmonisation» K. Tonner, op. cit., 367.
[118] E l’adozione di questi parametri come criteri di carattere generale induce a ritenere che il nostro giudizio circa l’operato del legislatore, formulato dopo avere analizzato gli artt. 133 e 135 cod. cons., possa con ogni probabilità estendersi all’intera nuova disciplina contenuta negli artt. 128-135 septies cod. cons.
[119] V., per esempio, il 3°, il 5°, il 37° e il 41° considerando del provvedimento.