Tra le molteplici questioni innescate dalla pandemia, il saggio affronta quelle relative all’incidenza del Covid-19 sui rapporti contrattuali in corso e la conseguente gestione dei potenziali conflitti derivanti da pretese contrattuali inadempiute.
A tal fine, il lavoro muove dall’individuazione della giusta collocazione giuridica del fenomeno pandemico e, successivamente, indaga sulla possibilità di ricorrere a soluzioni che il diritto dei contratti e delle obbligazioni offrono in ipotesi di tal guisa.
Da ultimo, la riflessione prosegue analizzando la disposizione normativa – di portata generale e sistematica – di cui all’art. 91 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, in tema di esonero della responsabilità del debitore, con la quale il legislatore dell’emergenza sembra suggerire all’interprete la rinnovata necessità del ricorso a rimedi che conducano, ove possibile, alla conservazione del vincolo contrattuale.
Parole chiave: Sopravvenienze; Covid-19; impossibilità sopravvenuta della prestazione; eccessiva onerosità; rinegoziazione.
Among the many issues triggered by the pandemic, the essay addresses those relating to the impact of Covid-19 on ongoing contractual relationships and the consequent management of potential conflicts arising from unfulfilled contractual claims.
To this end, the work starts from the identification of the right legal location of the pandemic phenomenon and, subsequently, investigates the possibility of resorting to solutions that the law of contracts and obligations offer in event of such cases.
Finally, the reflection continues Analyzing the regulatory provision - of general and systematic scope - pursuant to art. 91 of the d.l. March 17, 2020, n. 18, on the subject of exemption from liability of the debtor, with which the emergency legislator seems to suggest to the interpreter the renewed need to resort to remedies that lead, where possible, to the preservation of the contractual bond.
Sommario:
1. Premessa - 2. Il Covid-19 quale sopravvenienza contrattuale: il problema del giusto rimedio - 3. Lart. 91 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 quale rimedio conservativo del vincolo contrattuale - 4. Rilievi conclusivi - NOTE
L’improvvisa ed inaspettata diffusione del fenomeno Covid-19 ha comportato, ed ancóra comporta, pesanti ricadute che hanno impattato trasversalmente su àmbiti diversi della realtà socio-giuridica.
La frenesia legislativa che ha caratterizzato i mesi scorsi e ha visto il susseguirsi spasmodico di provvedimenti governativi emergenziali [1], ha modificato radicalmente il naturale svolgersi delle relazioni sociali, imponendo dure restrizioni finalizzate al rispetto delle misure di contenimento della pandemia [2].
Quale sarà il futuro dell’Italia all’indomani dall’uscita dall’emergenza, è un quesito sul quale tutti si interrogano cercando di tratteggiare, per quanto possibile, il probabile scenario nel quale prenderà avvio il processo di rinascita del nostro Paese [3].
In questo clima di profonda incertezza [4], i giuristi sono chiamati ad affrontare le molteplici questioni innescate dalla pandemia [5] e, tra queste, l’incidenza del Covid-19 sui rapporti contrattuali in corso e la conseguente gestione dei potenziali conflitti derivanti da pretese contrattuali inadempiute [6].
A tal fine, appare preliminare individuare la giusta collocazione giuridica del fenomeno pandemico e, successivamente, indagare sulla possibilità di ricorrere a soluzioni che il diritto dei contratti e delle obbligazioni offrono in ipotesi di tal guisa.
L’obiettivo è, in ultima analisi, verificare se la singolarità dell’attuale momento storico traduca le tradizionali categorie giuridiche e gli apparati normativi in ingombranti «sovrastrutture non più adeguate alle peculiarità del presente» [7].
Da ultimo, la riflessione proseguirà analizzando la disposizione normativa – di portata generale e sistematica – di cui all’art. 91 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, in tema di esonero della responsabilità del debitore, con la quale il legislatore dell’emergenza sembra suggerire all’interprete la rinnovata necessità del ricorso a rimedi che conducano, ove possibile, alla conservazione del vincolo contrattuale.
Quanto al primo profilo di indagine, la pandemia può agevolmente ricomprendersi nel novero delle c.d. sopravvenienze contrattuali [8] che comportano una modificazione – a volte radicale – dell’originario equilibrio economico-giuridico del contratto [9]. Tale mutamento della «situazione di fatto che rende più gravosa l’esecuzione di una prestazione, incide sull’obbligo di adempiere, estinguendolo o modificandolo» [10].
A fronte delle isolate disposizioni codicistiche che positivizzano la facoltà delle parti di intervenire sul negozio – rimodulandone le prestazioni a séguito di eventi sopravvenuti ed imprevedibili che ne alterino l’originario assetto [11]–, il fenomeno pandemia sembrerebbe doversi ricomprendere nei confini dettati dalle norme relative all’impossibilità sopravvenuta della prestazione (sia essa definitiva o temporanea) [12] ed alla eccessiva onerosità, del pari sopravvenuta, nelle ipotesi nelle quali la prestazione, seppur ancóra eseguibile, sia divenuta particolarmente gravosa per il debitore [13].
A ben vedere, il ricorso ai richiamati istituti non pare offrire soluzioni adeguate rispetto agli interessi concreti delle parti, né del tutto appaganti [14]. La disciplina dell’impossibilità sopravvenuta e, con essa, quella dell’eccessiva onerosità conducono alla risoluzione del vincolo contrattuale, laddove, invece, preferibili risulterebbero strumenti volti alla conservazione del contratto, ancorché modificato [15].
Il disagio ermeneutico che origina dall’art. 1467 cod. civ. fu avvertito sin dagli anni Novanta, periodo nel quale la dottrina iniziava ad interrogarsi sulla possibilità di configurare un obbligo legale di rinegoziazione quale rimedio a fronte di eventi perturbatori del rapporto contrattuale [16].
Si faceva, così, strada l’idea che i rapporti contrattuali di durata, esigessero «strumenti flessibili e rispondenti ad una avvertita esigenza di stabilità nel tempo, delle relazioni economiche; una certezza che lo scioglimento del vincolo, vanificando le attese e i calcoli dei contraenti, non è in grado di garantire» [17].
In soluzione di continuità con i richiamati approdi dottrinali, lo studio del tema delle sopravvenienze contrattuali, nelle riflessioni più recenti della dottrina, ha evidenziato l’opportunità del ricorso ai rimedi c.d. manutentivi del contratto nella convinzione, pienamente condivisibile, «che la conservazione del contratto, nel moderno diritto dei traffici e degli scambi, rappresenti il più delle volte una soluzione di gran lunga più vantaggiosa rispetto alla sua caducazione» [18].
I rimedi di portata manutentiva divengono, in special modo nell’attuale congiuntura storica, particolarmente apprezzabili in quanto idonei ad assicurare ai contraenti l’utilità derivante dall’attuazione del rapporto, a fronte di una totale caducazione dell’operazione economica da questi posta in essere [19].
La richiamata prospettiva, alla luce della situazione emergenziale in atto, induce l’interprete a riflettere nuovamente sul ruolo e la portata della rinegoziazione, nonché sull’opportunità di codificarne la disciplina [20].
Il legislatore dell’emergenza, al fine di disciplinare le importanti conseguenze della pandemia sul diritto delle obbligazioni e dei contratti, ha introdotto una disciplina di favor per il debitore inadempiente, qualora la mancata o inesatta esecuzione della prestazione consegua al rispetto delle misure di contenimento.
Il riferimento, come noto, è all’art. 91 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto cura Italia), il quale ha inserito all’art. 3 del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, il comma 6-bis, a norma del quale «il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 cod. civ., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti».
La disposizione normativa richiamata ha suscitato, ab origine, più di una perplessità in ordine alla sua reale portata ed ai possibili elementi di novità rispetto alla disciplina degli artt. 1218 cod. civ. (responsabilità del debitore), 1463 cod. civ. (impossibilità sopravvenuta della prestazione) e 1467 cod. civ. (eccessiva onerosità sopravvenuta) [21].
La primissima osservazione che merita di essere evidenziata riguarda il rinvio ad un più generico rispetto delle misure di contenimento ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore. A tale riguardo, in assenza di una compiuta definizione di «misure di contenimento» [22], all’interprete non resta che attenersi alla loro elencazione – seppur non esaustiva – di cui all’art. 1, comma 2, d.l. n. 6/2020 [23] per rendersi conto immediatamente di come soltanto alcune di esse possano, in vero, rendere incolpevole l’inadempimento del debitore [24].
Di là dal rilievo richiamato, il quale avrebbe suggerito una maggiore attenzione nella redazione della norma, pare invero più opportuno soffermarsi sul richiamo espresso all’art. 1218 cod. civ.
In specie, il comma 6-bis intende regolare una causa emergenziale di giustificazione destinata a cessare con la fine dell’emergenza [25]? Se così fosse, la norma richiamata sarebbe da ritenersi eccezionale rispetto alla fattispecie descritta dall’art. 1218 cod. civ. [26]? Oppure, diversamente, il comma 6-bis avrebbe semplicemente una funzione rafforzativa della disposizione di cui all’art. 1218 cod. civ. [27]?
È di tutta evidenza che il comma 6-bis ricalca la struttura della disposizione dell’art. 1218 cod. civ. con la differenza che, mentre nella norma da ultimo richiamata l’assenza di responsabilità del debitore è conseguenza della prova dell’impossibilità sopravvenuta e non imputabile della prestazione, nella prima l’incolpevolezza dell’inadempimento è ricollegata al rispetto delle misure di contenimento [28].
Ne deriva che l’adempimento della prestazione, seppur astrattamente ancóra possibile, diviene oggettivamente impossibile a causa del rispetto delle misure di contenimento. Si pensi, a titolo puramente esemplificativo, ai contratti di locazione di immobili ad uso commerciale finalizzati allo svolgimento di attività economiche vietate dalla normativa emergenziale, ovvero ai titoli di viaggio acquistati per spostamenti non autorizzati perché non ritenuti strettamente necessari. Orbene, negli esempi riportati, le prescrizioni anti Covid non hanno inciso stricto sensu sulla possibilità di eseguire la prestazione, bensì ne hanno comportato in un caso l’impossibilità di usufruirne e, nell’altro, l’assenza di utilità.
Ed allora, nel tentativo di dare risposta ai quesiti sopra richiamati, si potrebbe argomentare che il comma 6-bis abbia introdotto, in via del tutto temporanea ed eccezionale, un nuovo criterio di esenzione da responsabilità per l’inadempimento della prestazione onerando, al contempo, il debitore “infedele” di dar prova dell’osservanza della misura di contenimento dalla quale deriva, con una sorta di effetto a catena, l’impossibilità della prestazione dedotta in contratto. In altri termini, il «rispetto della misura di contenimento» diviene «parametro di valutazione della imputabilità o meno dell’inadempimento» [29].
La valutazione in ordine alla incolpevolezza dell’inadempimento, di necessità, dovrà essere operata con riferimento al caso concreto e non in via astratta ed a priori: imprescindibile risulterà sempre l’accertamento del rispetto delle prescrizioni emergenziali da parte del debitore che hanno determinato, in capo a questi, un’oggettiva impossibilità di adempiere [30].
A questo si aggiunga che, in ogni caso, non sembrerebbe sufficiente la sola presenza di un evento sopravvenuto e non imputabile al debitore al fine di considerare l’inadempimento, fonte di responsabilità, quale ipotesi legittima e giustificata di “non inadempimento”. La possibilità ovvero l’impossibilità della prestazione «dipendono non (soltanto) dalla valutazione dell’evento potenzialmente impeditivo, ma dalla “disciplina del fenomeno”, rectius “dall’esame delle singole ipotesi, delle diverse situazioni in cui rileva, sia pure con diversa intensità ed efficacia, l’impossibilità”, tenuto conto ora degli interessi del debitore, ora di quelli del creditore, ora di interessi indisponibili e superindividuali che trascendono da quelli dei singoli soggetti coinvolti nel rapporto obbligatorio» [31].
In buona sostanza, il giudice chiamato a pronunciarsi in merito all’inadempimento del debitore, sulla scorta di quanto suggerito dal comma 6-bis, ai fini dell’esclusione della sua responsabilità dovrà valutare, caso per caso, se il rispetto delle misure di contenimento abbia comportato l’impossibilità sopravvenuta ed a lui non imputabile della prestazione.
Non può sfuggire all’attenzione dell’interprete anche l’espressa menzione nel comma 6-bis dell’art. 1223 cod. civ. in tema di risarcimento del danno.
Interessante la posizione di chi ha ritenuto che l’inclusione nella norma emergenziale dell’art. 1223 cod. civ. concorra ad attribuire al giudice un potere equitativo che gli consente di valutare non il risarcimento del danno in sé, bensì «il contenuto del rapporto contrattuale nell’ipotesi in cui la prestazione non sia divenuta impossibile, ma per il rispetto delle misure di contenimento sia divenuta particolarmente onerosa» [32].
Il tentativo ricostruttivo testé delineato, tuttavia, potrebbe prestare il fianco all’obiezione che alla disposizione di cui all’art. 1223 cod. civ. sarebbe estranea una precipua funzione integrativa e, tanto meno, modificativa del contenuto contrattuale così come divisato dai paciscenti [33].
Differente prospettiva quella che rintraccia nell’art. 1223 cod. civ. una modalità di quantificazione del danno ispirata a criteri di flessibilità e di aderenza alle peculiarità del caso concreto. In altre parole, qualora il giudice non dovesse ritenere che l’invocata osservanza delle misure di contenimento abbia escluso totalmente la responsabilità del debitore, ben potrà ricorrere all’art 1223 cod. civ. per quantificare il quantum del risarcimento in maniera ridotta, ovvero, laddove ne ravvisasse i presupposti, escludendone in toto il pagamento [34].
Da ultimo, si è altresì evidenziato che il richiamo all’art. 1223 cod. civ. offra la possibilità di determinare, in senso contenitivo, il risarcimento del danno quale conseguenza di inadempimenti precedenti all’entrata in vigore della normativa emergenziale.
Si è osservato, infatti, che in un numero considerevole di casi «le limitazioni e le preclusioni imposte dalle norme emergenziali sono piombate su inadempimenti già in essere, impedendo al debitore di correggere il proprio iniziale inadempimento o di procedere all’adempimento sanante» [35].
Ed allora, il comma 6 bis sembrerebbe consentire, in sede di determinazione e liquidazione del danno, di tenere nella giusta considerazione anche gli inadempimenti occorsi precedentemente alla sua entrata in vigore «scomputando dai pregiudizi, per lo meno in parte, l’entità dell’aggravamento prodottosi durante il periodo di tempo scandito dalla sospensione o dalle limitazioni delle attività economiche» [36].
A fronte dei molteplici profili critici dovuti alla formulazione laconica e non sempre del tutto intellegibile del comma 6-bis, un dato pare certo: la norma nulla dice in merito alla liberazione del debitore e, quindi, all’estinzione del rapporto.
Tale scelta, non di poco momento, ed in linea con i più recenti sviluppi in tema di sopravvenienze, sembrerebbe lasciare intendere che il legislatore abbia preferito, ove possibile, la conservazione del rapporto contrattuale a fronte di una sua caducazione [37].
Ed è qui che si coglie, a parere di chi scrive, la reale portata innovativa del comma 6-bis rispetto sia alla disciplina dell’impossibilità sopravvenuta, sia a quella dell’eccessiva onerosità.
Il preminente profilo della responsabilità del debitore, sganciato da un meccanismo automatico di estinzione del rapporto, concede la possibilità all’interprete di valutare, in relazione ad ogni singolo caso concreto, il più efficace strumento rimediale che, evidentemente, non sempre si sostanzia nella caducazione del rapporto.
E tanto specialmente con riguardo al tipo di impossibilità di cui si discute (rispetto delle misure di contenimento) che, in via generale, si colora di un profilo di temporaneità e non di assolutezza.
Nell’acquisita consapevolezza che la ricerca della regola da applicare anche alla fase patologica del rapporto comporta, per il giurista, la necessità di valorizzare le singole peculiarità del caso concreto, la scelta del rimedio più adeguato non può che condurre a soluzioni diversificate in ragione delle aspettative e delle concrete esigenze delle parti [38].
Le osservazioni sin qui svolte condurrebbero alla conclusione che il fenomeno pandemia suggerisca all’interprete che i tempi sono oramai maturi per una revisione di talune categorie ordinanti del diritto contrattuale, prima fra tutte quella racchiusa nella formula pacta sunt servanda [39]. L’evocato dibattito sull’obbligo di rinegoziazione diviene «spia della necessità, se non del superamento del richiamato principio, quanto meno di un suo contemperamento con altri non meno rilevanti, come quello rebus sic stantibus» [40]. Ne deriva che il regolamento contrattuale sembra dover essere rigidamente rispettato nella sua formulazione primigenia soltanto laddove ne rimangano inalterati i presupposti e le condizioni tenuti in considerazione dalle parti al momento della sua stipula. Diversamente, «ogni qual volta una sopravvenienza rovesci il terreno fattuale e l’assetto giridico-economico su cui si è eretta la pattuizione negoziale, la parte danneggiata in executivis deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto delle prestazioni» [41].
A ben vedere, la invocata necessità di positivizzare un più generico obbligo di rinegoziazione [42] non sembra, a chi scrive, l’unica possibilità di far fronte alle sopravvenienze contrattuali. In primis, se è vero che nel nostro ordinamento non è rintracciabile una regola generale che legittimi la rinegoziazione, è pur vero che la stessa non viene esplicitamente vietata.
Di poi, sembra potersi agevolmente affermare che già nell’attuale sistema del diritto dei contratti, la parte che ha subìto un’evidente alterazione del sinallagma contrattuale a causa dell’emergenza in atto, ben possa chiedere all’altra una revisione, seppur temporanea, del regolamento di interessi confidando sulla reciproca lealtà e correttezza [43].
In altre parole, la mancanza di una oggettiva consacrazione dell’obbligo di rinegoziare, non ne impedisce il riconoscimento grazie al ricorso alla clausola generale della buona fede contrattuale ed al principio costituzionale della solidarietà sociale [44]. Ed infatti, in un sistema ordinamentale che si ispira ad una gerarchia di valori dotati di rilevanza normativa, non può revocarsi in dubbio il ricorso all’applicazione diretta dei princípi costituzionali anche ai rapporti inter partes [45]. Il diritto delle obbligazioni e dei contratti, quindi, già contiene «gli anticorpi necessari a fronteggiare l’emergenza provocata dal virus Covid-19» [46].
Ed allora, seppur consci dell’inadeguatezza dei rimedi portati dalla disciplina dell’impossibilità sopravvenuta e da quella dell’eccessiva onerosità, e pur in assenza di una norma positiva che consacri il diritto delle parti a rinegoziare il loro rapporto, le clausole generali di correttezza e buona fede in uno ai princìpi costituzionali – primo fra tutti quello consacrato nell’art. 2 Cost. – offrono potenti mezzi utili a far fronte alle sopravvenienze contrattuali, contribuendo alla «costruzione di un diritto dei contratti più solidale e, in qualche modo, più rispondente all’idea di democrazia» [47].
[1] Alla dichiarazione dello stato di emergenza, assunta con Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, hanno fatto séguito l’adozione di decreti legge, d.P.C.M., ordinanze e circolari del Ministero della Salute, ordinanze del Capo del Dipartimento della Protezione civile, delle Regioni e dei Comuni. Per una rassegna completa dei provvedimenti in materia di contenimento della pandemia da Covid-19, si cfr. il sito www.protezionecivile.it.
[2] L’attività legislativa del Governo, tesa a contrastare il rischio di diffusione dell’epidemia da Covid-19, ha comportato l’adozione di duri provvedimenti restrittivi delle libertà individuali, limitando drasticamente la libera circolazione delle persone all’interno del territorio nazionale. All’indomani dell’adozione dei richiamati provvedimenti, non è mancata la voce di chi ne ha paventato la contrarietà a taluni princípi costituzionali, in quanto idonei a comprimere diritti inviolabili della persona umana. In argomento v. R. Calvo, Covid, impossibilità sopravvenuta e forza maggiore: ambito e limiti, in Studium Iuris, 5/2021, 569: «Conviene anzitutto ricordare […] che i più draconiani provvedimenti normativi medianti i quali il Governo italiano ha cercato di reagire, talvolta in modo disordinato e dilettantesco se non finanche rozzo, all’emergenza derivante dalla diffusione del virus denominato “Covid-19”, hanno sollevato delicate questioni di legalità costituzionale». Ed ancóra, tra gli altri, cfr. I.M. Pinto, La tremendissima lezione del Covid-19 (anche) ai giuristi, in www.questionegiustizia.it. L’A., dopo aver evidenziato le criticità dell’impressionate «profluvio di fonti normative che ha inondato il nostro ordinamento in meno di due mesi», ha parlato, richiamando il pensiero di altri costituzionalisti, di «eclissi delle libertà costituzionali». Sulla scelta di intervenire con lo strumento del d.P.C.M., che incide sull’esercizio di diritti costituzionali, v., tra gli altri, in senso fortemente critico F.R. Trabucco, Prime note al D.P.C.M. 8 marzo 2020: con l’emergenza Coronavirus la gerarchia delle fonti diventa un optional, in www.lexitalia.it; G. Perlingieri, Pandemia da coronavirus, rapporti contrattuali e giusti rimedi, in Foro nap., 1/2021, 77: «Vale dubitare della conformità a Costituzione di scelte di limitazione di diritti fondamentali come libertà personale, di circolazione e di soggiorno, riunione, esercizio del culto e iniziativa economica, diritto del lavoro, diritti all’istruzione e alla cultura, di difesa, di voto – visti i rinvii di elezioni regionali e comunali, nonché del referendum costituzionale – compiute mediante la tecnica normativa del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o, a livello locale, delle ordinanze regionali e comunali, tutti atti di natura non legislativa, ma meramente amministrativa». Più in generale, si v. M. Volpi, Gli effetti del coronavirus e lo stato di emergenza, in www.libertaegiustizia.it; L. Cuolcolo, I diritti costituzionali di fronte all’emergenza Covid-19. Una prospettiva comparata, in www.federalismi.it.
[3] Pur nella consapevolezza della necessaria temporaneità delle misure emergenziali adottate e da adottarsi, di certo la cessazione della fase dell’emergenza sanitaria non si tradurrà in un ritorno immediato alla situazione antecedente alla pandemia. La sensazione diffusa, infatti, è che alcune misure di contenimento continueranno ad essere operative, così stabilizzandosi nel tempo. In argomento cfr. C. Pilia, Le tutele dei diritti durante la pandemia covid 19: soluzioni emergenziali o riforme strutturali?, in Pers. merc., 2020, 2, 78.
[4] Quella presente è «un’epoca segnata dalla paura e dall’incertezza. La capacità di creare stabili legami sociali è costantemente erosa in ogni sua forma di manifestazione. Alle strutture politiche e ai corpi intermedi è chiesta sempre maggiore propensione all’adattamento e alla rigenerazione; gli schemi culturali e tecnici perdono di centralità e significato; le più intime relazioni interpersonali si scontrano con la dimensione della più totalizzante precarietà»: così, Z. Bauman, Le risposte ai demoni che ci perseguitano, intervista di Davide Casati, in Corriere della sera, 27 luglio 2016. Ed ancóra, in merito allo stato d’animo che suscita la pandemia, si leggano le osservazioni di M. Zaccheo, Il controllo delle sopravvenienze nell’era della crisi, in Pers. merc., 1/2021, 52 ss., dove l’A., nel tentativo di dare risposta ad una delle domande più ricorrenti dell’era postmoderna e così sintetizzabile: «è controllabile il mondo che ci appare?», evidenzia che «la mancanza di controllo se, da un lato, nega il progetto di modernità, nato dal desiderio di un mondo senza sorprese, sicuro, senza paura, dall’altro lato, getta l’uomo in uno stato d’angoscia, di ansia, di incertezza».
[5] È indubbia, e pressoché scontata, la considerazione di come il “fatto” Covid-19 abbia avuto pesanti ripercussioni su diversi settori del nostro ordinamento che spaziano dal diritto del lavoro, al diritto di famiglia, al diritto dei contratti e delle obbligazioni. Per un complessivo quadro d’insieme a livello europeo, si veda ora E. Hondius, M. Santos Silva, A. Nicolussi, P. Salvador Coderch, C. Wendehorst, F. Zoll (eds.), Coronavirus and the Law in Europe, Cambridge-Antewerp-Chicago, 2021. Con specifico riferimento alle relazioni contrattuali, cfr. G. Carapezza Figlia, Coronavirus e locazioni commerciali. Un diritto eccezionale per lo stato di emergenza?, in R. Favale e L. Ruggieri (a cura di), Scritti in onore di Antonio Flamini, Tomo I, Napoli, 2020, 201: «Alla diffusione pandemica del virus si è accompagnato il fiorire di una legislazione d’emergenza, che ha investito anche la disciplina dei rapporti civilistici»; AA.VV., Emergenza Covid-19. Speciale n. 2. Uniti per l’Italia, in www.giustiziacivile.com, 2/2020; C. Scognamiglio, Il governo delle sopravvenienze contrattuali e la pandemia Covid-19, in www.ilquotidianogiuridico.it: «La pandemia si è abbattuta come un maglio su un’infinità di relazioni contrattuali, sconvolgendone l’assetto e prospettando problemi di grande rilievo, resi ancóra più complessi dall’esigenza di considerare sia l’aspetto microeconomico, della singola relazione contrattuale, sia quello macroeconomico».
[6] Le misure emergenziali finalizzate al contenimento della pandemia, come ricordato, hanno inciso notevolmente «sullo svolgimento delle relazioni giuridiche, economiche e sociali. Per tanti aspetti, le prescrizioni restrittive hanno reso impossibile e, comunque, complicato enormemente in molti casi l’esecuzione dei contratti stipulati e l’adempimento delle prestazioni dovute»: così, C. Pilia, Le tutele dei diritti durante la pandemia covid 19: soluzioni emergenziali o riforme strutturali?, cit., 77 ss.
[7] O. Clarizia, Coronavirus ed esonero da responsabilità per inadempimento di obbligazioni ex art. 1218 cod. civ.: impossibilità sopravvenuta oppure inesigibilità della prestazione?, in Acutalidad Juridica Iberoamericana, n. 12 bis, 2020, 354; C. Cicero, Presentazione, in Id. (a cura di), I rapporti giuridici al tempo del Covid-19, Napoli, 2020, XI: «La questione di fondo, a mio avviso, attiene al quesito se le categorie generali siano adeguate a regolamentare la “nuova” vita della persona in periodo pandemico».
[8] Sul punto si cfr. V. Roppo, R. Natoli, Contratto e Covid-19. Dall’emergenza sanitaria all’emergenza economica, in www.
giustiziainsieme.it: «Il Covid-19 è la tipica “sopravvenienza” che da un lato giustifica l’inadempimento sollevando da responsabilità il debitore inadempiente, dall’altro può mettere in discussione il rapporto contrattuale: nella sua persistenza (prospettiva risolutoria) ma anche e soprattutto nei suoi contenuti (modifiche della prestazione dovuta)». Il lemma sopravvenienza, derivato dal verbo sopravvenire (venire sopra), designa il fatto che accade in modo inatteso e modificativo dell’originaria situazione giuridica. Da tale accadimento, nasce la necessità di “ritornare” sull’originario negozio, adeguandolo alla nuova realtà. È utile evidenziare che una sopravvenienza, per potersi considerare “rilevante”, non deve limitarsi ad apportare una semplice modifica «del quadro delle circostanze, rispetto al tempo della stipula del contratto», bensì deve «dirsi caratterizzata dalla ricorrenza di due requisiti, e quindi: a) incidere sul punto di equilibrio economico raggiunto dai contraenti in occasione della stipula del contratto; b) inoltre, acquistare un rilievo oggettivo, risultando la sua verificazione del tutto estranea dalla volontà delle parti»: così A. Genovese, Riflessioni in tema di clausola rebus sic stantibus, in Nuovo dir. civ., 1/2018, spec. 38. L’A. evidenzia altresì che il tema delle sopravvenienze risulta intimamente connesso con quello del rischio contrattuale. Il fatto sopravvenuto, però, non si pone rispetto al negozio in una posizione logica di necessità, tale per cui il primo determina necessariamente una modifica del secondo. Il fatto sopravvenuto ed il negozio si situano su piani diversi, preso atto che il primo può modificare il presente, ma non anche il passato. Ed allora, se si afferma che con la rinegoziazione le parti intendono adeguare il negozio alle circostanze sopravvenute, vuol dire che all’esito dell’atto del rinegoziare ci troviamo di fronte a due distinti negozi che si succedono, di cui il secondo modificativo del primo. In argomento cfr. M. Zaccheo, Risoluzione e revisione del contratto, Milano, 2000, 125 ss.; Id., Sopravvenienza, in AA.VV., Dizionari del diritto privato, promossi da N. Irti, a cura di S. Martuccelli e V. Pescatore, Milano, 2011, 1638 ss.
[9] L’impatto della pandemia sulla situazione economico-sociale e la sua precipua incidenza sulle relazioni giuridiche «hanno sollecitato nella nostra civilistica un dibattito già ricchissimo e che proprio sul piano delle sopravvenienze contrattuali ha trovato uno degli àmbiti di riflessione più fertili»: così, C. Scognamiglio, Il governo delle sospravvenienze, cit.
[10] Così testualmente A. Genovese, Riflessioni in tema di clausola rebus sic stantibus, cit., 37 ss.
[11] L’ipotesi più rappresentativa della volontà del legislatore di prevedere l’obbligo di rinegoziazione a carico delle parti è riscontrabile nella norma di cui all’art. 1664 cod. civ. Come noto, tale disposizione contempla la facoltà delle parti di poter richiedere la revisione del prezzo dell’appalto originariamente convenuto qualora, per effetto di circostanze imprevedibili, si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera. Tra le altre ipotesi nelle quali è concesso un intervento sul contenuto del contratto, possiamo ricordare: la riduzione ad equità della clausola penale (art. 1384 cod. civ.); la riduzione della prestazione, ovvero una modificazione nelle modalità di esecuzione, nell’ipotesi di contratti con prestazioni a carico di una sola parte (art. 1468 cod. civ.); l’aumento o la diminuzione del prezzo del fitto (art. 1623 cod. civ.); l’offerta di modificare equamente le condizioni del contratto a séguito della richiesta di risoluzione per eccessiva onerosità della prestazione (art. 1467 cod. civ.); l’offerta di modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo ad equità a séguito della domanda di rescissione (art. 1450 cod. civ.). In argomento, cfr. F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, passim; V.M. Cesaro, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, Napoli, 2000, passim; R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, 4ª ed., Torino, 2016, passim. Per gli Autori da ultimo citati, l’equità impone ai contraenti di riscrivere il contratto adeguandolo alle circostanze sopravvenute. Nello specifico, il ricorso all’art. 1374 cod. civ. consentirebbe di reputare sottointesa, nei contratti di durata, una clausola di rinegoziazione finalizzata alla sostituzione del dato obsoleto e non più funzionale.
[12] Si noti che, in molti casi, il rispetto delle misure di contenimento ha comportato un’impossibilità soltanto temporanea, e non anche definitiva, dell’esecuzione delle prestazioni. Sul punto si confronti M. Zaccheo, Brevi riflessioni sulle sopravvenienze contrattuali alla luce della normativa sull’emergenza epidemiologica da Covid-19, in AA.VV., Emergenza Covid-19. Speciale n. 2. Uniti per l’Italia, cit., 246: «Se ben si riflette, allora, la impossibilità non è indotta dal fatto-pandemia, ma dai provvedimenti normativi, via via emessi dal Governo e dal Presidente del Consiglio dei Ministri. È a seguito di questi provvedimenti, certamente fondati sulla pandemia, che molte obbligazioni sono divenute impossibili. Senza ricorrere alla casistica, è evidente che per effetto di quei provvedimenti, del factum principis, molte prestazioni siano divenute temporaneamente impossibili». In tali ipotesi, il debitore non è liberato dall’adempimento, non essendosi estinto il rapporto obbligatorio, sempre che l’impossibilità temporanea non abbia fatto venire meno l’interesse del creditore a ricevere la prestazione, ovvero l’obbligo del debitore ad eseguirla. In argomento si v. N. Cipriani, L’impatto del lockdown da COVID-19 sui contratti, in www.rivista.dirittobancario.it, 4, 2020, 655: «Tendenzialmente, dato che le misure interdittive erano limitate nel tempo, si tratta di forme di impossibilità temporanea che, ai sensi dell’art. 1256, cpv., cod. civ., non producono estinzione dell’obbligazione ma soltanto quiescenza del rapporto con esonero, per il debitore, da responsabilità per il ritardo». Non può, di poi, non rilevarsi il diverso impatto dell’istituto dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione sui contratti ad esecuzione istantanea e su quelli di durata. Ed infatti, laddove il rapporto obbligatorio presenti natura istantanea o, al limite, a tratto successivo, la sopravvenienza assume la fisionomia di un’impossibilità temporanea con conseguente effetto sospensivo della prestazione inattuabile e della relativa controprestazione. Diversamente, nelle obbligazioni di durata, la stessa «produce un effetto duplice. Sul piano del rapporto obbligatorio, tale effetto legale determina l’impossibilità definitiva non imputabile al debitore con riguardo alle prestazioni che avrebbero dovuto essere eseguite nelle unità di tempo durante le quali hanno operato le misure di contenimento del virus idonee a impedire la prestazione; mentre, sul piano del contratto, esso attua un’impossibilità parziale ex art. 1464 cod. civ. in quanto la causa dell’impossibilità ha carattere transitorio e non rischia di travolgere la parte residua del contratto di durata»: così F. Piraino, La normativa emergenziale in materia di obbligazioni e di contratti, in Contratti, 4/2020, 485 ss. e spec. 493. Si evidenzia che, nel profluvio normativo innescato dalla pandemia, fanno difetto disposizioni che assumano ad oggetto non tanto l’impossibilità “tecnica” di adempiere, bensì quella strettamente “finanziaria”. Ne consegue che il concetto di impossibilità della prestazione non ricomprende la c.d. “impotenza finanziaria” (seppur determinata da fatti imprevisti e imprevedibili), tale per cui il principio non scalfito rimane quello che nega all’impotenza in questione, sebbene incolpevole, una vis liberatoria del debitore dall’obbligazione pecuniaria. In argomento, tra gli altri, cfr. A.M. Benedetti, Stato di emergenza, immunità del debitore e sospensione del contratto, in C. Cicero (a cura di), I rapporti giuridici al tempo del Covid-19, cit., 1 ss. e spec. 11: «In Italia, tuttavia, mancano disposizioni aventi ad oggetto non già l’impossibilità tecnica di adempiere, bensì quella finanziaria: è possibile, infatti, che il calo o l’azzeramento dei consumi, soprattutto per chi esercita un’attività economica o commerciale, determini ripercussioni sulla liquidità disponibile (e, conseguentemente, sulla regolare esecuzione delle obbligazioni pecuniarie). Per chi si trova in queste condizioni, il mancato o tardivo pagamento riamane, allo stato, ingiustificato e imputabile». Ipotesi diversa è quella nella quale la prestazione sia in concreto ancóra eseguibile – poiché non vietata dai provvedimenti restrittivi – ma la controparte non ha più interesse a riceverla, a causa delle conseguenze negative generate sul mercato dalle misure di contenimento. Sul punto, la giurisprudenza suole far riferimento alla nozione di «impossibilità sopravvenuta di ricevere la prestazione», qualificata quale ipotesi di risoluzione del contratto. Si v. le note pronunce del Supremo Consesso: Cass. civ., 24 luglio 2007, n. 16315, in Obbl. contr., 2008, 13 ss.; Cass. civ., 10 luglio 2018, n. 18047, in Guida al dir., 2018, 32 e in Diritto e processo, 2018, 320, con nota di S.P. Cerri, Irrealizzabilità del contratto di pacchetto turistico e causa in concreto, laddove si legge che «non soltanto la totale impossibilità della prestazione integra una fattispecie automatica di estinzione dell’obbligazione e risoluzione del contratto che ne costituisce la fonte, ma che gli stessi effetti conseguono, altresì, all’impossibilità di utilizzazione della prestazione da parte del creditore». Da ultimo, ci si potrebbe interrogare sul se il fenomeno Covid-19 configuri non già un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta, bensì di inesigibilità della prestazione. In argomento, si sono evidenziati in dottrina i profili differenziatori delle due categorie, ancorando il richiamo alla inesigibilità a quelle sopravvenienze contrattuali capaci di alterare la sfera esistenziale del debitore e non soltanto quella patrimoniale: cfr. O. Clarizia, Coronavirus ed esonero da responsabilità per inadempimento di obbligazioni ex art. 1218 cod. civ.: impossibilità sopravvenuta oppure inesigibilità della prestazione?, cit., 352 ss. Più diffusamente, Id., Sopravvenienze non patrimoniali e inesigibilità nelle obbligazioni, Napoli, 2012, passim.
[13] Con riguardo alla disciplina di cui all’art. 1467 cod. civ., pur essendo indubbio che il fatto-pandemia rappresenti un evento straordinario e imprevedibile e che, in molti casi, lo stesso abbia prodotto un forte squilibrio del sinallagma contrattuale che potrebbe legittimare la richiesta di risoluzione del contratto ex art. 1467 cod. civ., è pur vero che «tra la domanda di risoluzione proposta da chi subisce gli effetti della eccessiva onerosità e la sentenza di risoluzione correrebbe un periodo non inferiore a due-tre anni; ciò che renderebbe il rimedio del tutto inefficace rispetto all’esigenza immediata di chi la richiede»: cfr. M. Zaccheo, Brevi riflessioni sulle sopravvenienze contrattuali, cit., spec. 250.
[14] F. Macario, Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “Coronavirus”, in www.giustiziacivile.com, 4: «la sensazione diffusa è che queste discipline non offrano sufficienti anticorpi, ossia gli strumenti giuridici idonei per gestire le difficili vicende che potrebbero presentarsi alle corti». In via adesiva, cfr. C. Pilia, Le tutele dei diritti, cit.: «l’applicazione delle richiamate disposizioni, in realtà, si è già dimostrata ampiamente deficitaria rispetto alle passate esigenze di gestione delle sopravvenienze contrattuali e, di certo, non riuscirebbe a soddisfare il rinnovato e massivo fabbisogno di tutela dei contraenti rispetto alla vicenda straordinaria della crisi pandemica del Covid-19». Ed ancora A.M. Benedetti e R. Natoli, Coronavirus, emergenza sanitaria e diritto dei contratti: spunti per un dibattito, in www.dirittobancario.it: «di fronte a questo indiscutibile stato di eccezione, il tradizionale armamentario dei rimedi contrattuali è indubbiamente spuntato. È vero che il diritto delle obbligazioni e dei contratti non è indifferente agli accadimenti sopravvenuti che possono più o meno incidere sull’equilibrio contrattuale. Ma si tratta di una sensibilità grezza, volta più a rompere il vincolo che ad adeguarlo».
[15] È stato acutamente osservato che l’unico rimedio codicistico per far fronte alle sopravvenienze contrattuali sia quello dello scioglimento del contratto. Ma «la logica del codice è insufficiente, nel momento in cui emerge che in tante occasioni il rimedio appropriato per gestire i disturbi del rapporto non è la sua cancellazione ma piuttosto la sua manutenzione con aggiustamenti»: così V. Roppo e R. Natoli, Contratto e Covid-19, cit., 8.
[16] Tra i primi lavori monografici sul tema si segnalano P. Gallo, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992; F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996; M. Zaccheo, Risoluzione e revisione del contratto, Milano, 2000; V.M. Cesaro, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, cit.
[17] Così F. Gambino, Il rinegoziare delle parti e i poteri del giudice, in www.juscivile.it, 2019, 4, 397 ss., spec. 398.
[18] Cfr. E. Gabrielli, Dottrine e rimedi nella sopravvenienza contrattuale, in Riv. dir. priv., 1/2013, 55 ss. e spec. 76.
[19] In argomento, tra gli altri, cfr. C. Scognamiglio, Il governo delle sopravvenienze, cit., laddove l’A. sottolinea la necessità di «muoversi in via prioritaria, a fronte dello sconvolgimento delle relazioni contrattuali, lungo le direttrici della rinegoziazione e del mantenimento del contratto».
[20] Nel senso della necessità di affidare al legislatore il compito di dettare una normativa in tema di sopravvenienze contrattuali, idonea ad arginare e risolvere le ricadute dell’emergenza legate alla pandemia, cfr. C. Scognamiglio, L’emergenza Covid 19. Quale ruolo per il civilista?, in www.giustiziacivile.com. A parere dell’A., l’intervento del legislatore diviene la chiave di volta per fronteggiare, in maniera efficiente, le conseguenze collegabili alle sopravvenienze contrattuali. A ben vedere, il tema dell’atto del rinegoziare ha impegnato per lungo tempo la dottrina nel tentativo di definirne con precisione i confini. Più nello specifico, l’attenzione è stata rivolta a tutte quelle ipotesi di assenza, nel regolamento contrattuale, dell’espressa previsione di una clausola di rinegoziazione. L’ipotesi richiamata ha sollevato più di qualche interrogativo. In primis, può immaginarsi un obbligo legale di rinegoziare? Se sí, come si atteggia il rapporto tra tale obbligo e la disciplina generale delle sopravvenienze recata dall’art. 1467 cod. civ.? Da ultimo, a quali rimedi si può far ricorso in caso di inadempimento dell’obbligo di rinegoziare? Con riferimento al primo quesito, si evidenzia che la dottrina si è attestata su posizioni divergenti. A fronte di chi ha negato in radice l’ammissibilità dell’obbligo stante l’assenza di una sua fonte, altri hanno riconosciuto un generale e diffuso obbligo legale di rinegoziazione la cui fonte sarebbe rintracciabile negli artt. 1366, 1374 e 1375 cod. civ. Per quanto concerne il rapporto tra l’obbligo legale a rinegoziare e la norma di cui all’art. 1467 cod. civ., si è osservato che l’art. 1375 cod. civ., da considerarsi quale fonte del richiamato obbligo, sarebbe una norma imperativa ed inderogabile, laddove l’art. 1467 cod. civ. è da considerarsi dispositivo e quindi derogabile. Ne deriverebbe che il rimedio della rinegoziazione, in quanto espressione di una norma imperativa, è destinato a prevalere su quello risolutorio. Da ultimo, ci si è interrogati sulle conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo di rinegoziare. Sul punto, la dottrina pressoché unanime ritiene che la parte diligente ha a disposizione innanzitutto i rimedi tipici della risoluzione per inadempimento e del risarcimento del danno. Sembrerebbe, altresì, possibile sollevare l’eccezione di inadempimento. Ben più controversa appare la possibilità di ricorrere all’art. 2932 cod. civ., stante l’assenza di una espressa previsione in tal senso. Sul punto, tra gli altri, cfr. M. Zaccheo, Risoluzione e revisione del contratto, cit., passim; F. Macario, voce Revisione e rinegoziazione del contratto, in Enc. dir., Annali, II, 2, Milano, 2008, 1054 ss.; A. Gentili, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in Contr. impr., 2003, 710 ss.
[21] È stato osservato che la norma di cui all’art. 91 o «è assai banale o potenzialmente lesiva». Il richiamo all’art. 1218 cod. civ. sarebbe banale in quanto ribadisce quanto già previsto dall’art. 1256, comma 2, cod. civ. nel senso che finché perdura l’impossibilità temporanea, il debitore non è responsabile del ritardo nell’inadempimento. Diversamente, il richiamo all’art. 1223 cod. civ. risulta pontenzialmente sovversivo in quanto «la disattivazione del dispositivo dell’art. 1218 cod. civ. porta con sé anche la disattivazione della conseguente responsabilità per l’ovvia ragione che se non c’è responsabilità, non può esserci danno: pertanto, un’interpretazione che potrebbe dare senso alla norma, altrimenti di dubbia utilità, è di estendere il richiamo all’art. 1223 alla responsabilità da fatto illecito». La suggerita interpretazione, però, impedirebbe al danneggiato di ottenere il risarcimento del danno quale conseguenza immediata e diretta della condotta del danneggiante: così, V. Roppo e N. Natoli, Contratto e Covid-19, cit., 7. Ed ancóra A. Fachechi, Stato di emergenza, alterazione del rapporto contrattuale e giusto rimedio, in Rass. dir. civ., 3/2020, 1110: «Nella sua apparente chiarezza, la disposizione apre a dubbi interpretativi sui concreti margini di attuazione, anche considerata l’estrema varietà della casistica possibile».
[22] In argomento, cfr. M. Zaccheo, Brevi riflessioni, cit., spec. 248, dove l’A., in mancanza di puntuali esplicitazioni della nozione di «misure di contenimento», ritiene che la richiamata proposizione possa essere interpretata nel senso del «mezzo, provvedimento che consente di ridurre o frenare del tutto un certo fenomeno, individuato nel diffondersi del Corona Virus».
[23] L’art. 1, comma 2, del d.l. 6/2020 testualmente recita: «Tra le misure di cui al comma 1, possono essere adottate anche le seguenti: a) divieto di allontanamento dal comune o dall’area interessata da parte di tutti gli individui comunque presenti nel comune o nell’area; b) divieto di accesso al comune o all’area interessata; c) sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico; d) sospensione dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado, nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, compresa quella universitaria, salvo le attività formative svolte a distanza; e) sospensione dei servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di cui all’articolo 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché dell’efficacia delle disposizioni regolamentari sull’accesso libero o gratuito a tali istituti e luoghi; f) sospensione dei viaggi d’istruzione organizzati dalle istituzioni scolastiche del sistema nazionale d’istruzione, sia sul territorio nazionale sia all’estero, trovando applicazione la disposizione di cui all’articolo 41, comma 4, del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79; g) sospensione delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale; h) applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva; i) previsione dell’obbligo da parte degli individui che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico, come identificate dall’Organizzazione mondiale della sanità, di comunicare tale circostanza al Dipartimento di prevenzione dell’Azienda Sanitaria competente per territorio, che provvede a comunicarlo all’autorità sanitaria competente per l’adozione della misura di permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva; j) chiusura di tutte le attività commerciali, esclusi gli esercizi commerciali per l’acquisto dei beni di prima necessità; k) chiusura o limitazione dell’attività degli uffici pubblici, degli esercenti attività di pubblica utilità e servizi pubblici essenziali di cui agli articoli 1 e 2 della legge 12 giugno 1990, n. 146, specificamente individuati; l) previsione che l’accesso ai servizi pubblici essenziali e agli esercizi commerciali per l’acquisto di beni di prima necessità sia condizionato all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale o all’adozione di particolari misure di cautela individuate dall’autorità competente; m) limitazione all’accesso o sospensione dei servizi del trasporto di merci e di persone terrestre, aereo, ferroviario, marittimo e nelle acque interne, su rete nazionale, nonché di trasporto pubblico locale, anche non di linea, salvo specifiche deroghe previste dai provvedimenti di cui all’articolo 3; n) sospensione delle attività lavorative per le imprese, a esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare; o) sospensione o limitazione dello svolgimento delle attività lavorative nel comune o nell’area interessata nonché delle attività lavorative degli abitanti di detti comuni o aree svolte al di fuori del comune o dall’area indicata, salvo specifiche deroghe, anche in ordine ai presupposti, ai limiti e alle modalità di svolgimento del lavoro agile, previste dai provvedimenti di cui all’articolo 3.
[24] Non è necessaria una particolare intelligenza interpretativa per comprendere che soltanto alcune delle misure contemplate dalla norma possono essere invocate quale causa di inadempimento incolpevole. A titolo puramente esemplificativo, l’ipotesi contemplata sotto la lettera j) (chiusura di tutte le attività commerciali, esclusi gli esercizi commerciali per l’acquisto dei beni di prima necessità) rientra sicuramente tra quelle invocabili ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore. Diversamente quella di cui alla lettera i), che impone semplicemente l’obbligo di comunicazione di ingresso nel territorio nazionale.
[25] Così A.M. Benedetti, Stato di emergenza, immunità del debitore e sospensione del contratto, in www.giustiziacivile.com, ed ora anche in C. Cicero (a cura di), I rapporti giuridici al tempo del Covid-19, cit., 2, dove l’A., sul presupposto che l’inadempimento del debitore non darebbe luogo a quegli effetti che tipicamente ne conseguono in una situazione fisiologica, giunge alla conclusione che il legislatore abbia voluto «regolare una causa emergenziale di giustificazione».
[26] Sulla ritenuta eccezionalità del comma 6-bis rispetto all’art. 1218 cod. civ., cfr. M. Zaccheo, Brevi riflessioni, cit., 248 ss.: «Come è evidente, la fattispecie è la stessa di quella descritta dall’art. 1218 cod. civ.; il fatto ulteriore, che rende la norma eccezionale, è il rispetto delle misure di contenimento; cosicché l’effetto sarà opposto a quello previsto dall’art. 1218 cod. civ.: cioè l’assenza di responsabilità del debitore nonostante la mancanza di prova dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione da parte di quest’ultimo».
[27] Sul punto, v. V. Ruggiero, La pandemia e la sorte dei canoni di locazione commerciale, in www.ilcaso.it, spec. 8 ss. L’A. ritiene che il rispetto delle misure di contenimento attenui l’onere della prova posto a carico del debitore con riferimento alla circostanza che giustifica l’inadempimento a lui non imputabile.
[28] In altre parole, il legislatore dell’emergenza ha tipizzato il factum principis quale causa che giustifica l’esonero di responsabilità del debitore tutte le volte nelle quali questi non abbia potuto adempiere alla prestazione dedotta in contratto a causa degli obblighi imposti dai provvedimenti emergenziali.
[29] Così G. Vertucci, L’inadempimento delle obbligazioni al tempo del coronavirus: prime riflessioni, in www.ilcaso.it, spec. 3. Con specifico riferimento al senso da attribuire alla rubrica di cui al comma 6-bis è stato acutamente osservato che con esso il legislatore ha inteso «disciplinare in modo speciale gli inadempimenti durante l’emergenza, e, cioè, quelle mancate attuazioni del contratto dovute non già a dolo o colpa del debitore, ma alla necessità (imposta per atto di autorità) di osservare una misura di contenimento che impedisce al debitore di eseguire la prestazione, in modo conforme al programma negoziale»: così A.M. Benedetti, Stato di emergenza, immunità del debitore e sospensione del contratto, cit., 2.
[30] In altre parole, il giudice sarà chiamato a «valutare, secondo le circostanze, se la misura di contenimento sia stata o no causa esclusiva dell’inadempimento; perché se non lo è stata, la responsabilità del debitore segue le regole ordinarie»: cfr. A.M. Benedetti, Il rapporto obbligatorio al tempo dell’isolamento: brevi note sul Decreto “cura Italia”, in Contratti, 2020, 214.
[31] Così testualmente A. Fachechi, Stato di emergenza, alterazione del rapporto contrattuale e giusto rimedio, cit., 1125.
[32] Così M. Zaccheo, Brevi riflessioni, cit. 249.
[33] L’obiezione è mossa da C. Scognamiglio, Il governo delle sopravvenienze, cit., nota 20, il quale ritiene che «il tentativo ricostruttivo così operato appare, tuttavia, caratterizzato da una torsione troppo marcata del significato suscettibile di essere attribuito al richiamo all’art. 1223 cod. civ.».
[34] Sul punto, v. A.M. Benedetti, Il “rapporto” obbligatorio al tempo dell’isolamento: una causa (transitoria) di giustificazione?, in AA.VV., Emergenza Covid-19. Speciale n. 2. Uniti per l’Italia, 143 ss. e spec. 147: «Sembra preferibile, piuttosto, un’interpretazione che valorizzi l’espressa menzione anche dell’art. 1223 cod. civ. Al giudice (alla cui valutazione il comma 6-bis espressamente fa riferimento) è consentita una scelta così articolata: o ritiene che il rispetto delle misure escluda in radice la responsabilità del debitore o valuta che esso, pur non escludendo in radice la responsabilità del debitore, possa incidere sul quantum dei danni da risarcire al creditore, nel senso di escluderne dal risarcimento una parte più o meno significativa; in questo caso il comma 6-bis funziona come una causa di riduzione del danno, similmente, anche se ovviamente con presupposti del tutto differenti e con un’applicazione limitata al periodo emergenziale, a quella di cui all’art. 1227 cod. civ.». Contra V. Roppo e R. Natoli, Contratto e Covid-19, cit.: «il richiamo all’art. 1223 cod. civ. si presenta oscuro e difficilmente decifrabile. La norma riguarda il nesso di causalità “giuridica” (fra danno-evento e danno-conseguenza) ai fini della determinazione del risarcimento dovuto e della necessaria selezione fra danni risarcibili e non risarcibili. Cosa significa che il lockdown deve essere valutato al fine di escludere la risarcibilità del danno? L’unica risposta sensata sembra essere: che il lockdown interrompe il nesso di causalità giuridica, rendendo irrisarcibili i danni che il creditore (o in genere il danneggiato) avrebbe ugualmente subito per effetto dell’inadempimento (o dell’illecito extracontrattuale) anche in assenza di lockdown. Ma se è così, il richiamo appare di nuovo superfluo memento di una chiara regola già esistente».
[35] In argomento cfr. F. Piraino, La normativa emergenziale in materia di obbligazioni e di contratti, cit., 507.
[36] Ibidem.
[37] Come osservato anche da A. Fachechi, Stato di emergenza, cit., 1110, «la previsione esprime favore per misure di conservazione del vincolo, con congelamento di diritti e doveri reciproci, almeno di quelli resi eccessivamente gravosi o del tutto impossibili dalle misure d’emergenza».
[38] Autorevole dottrina insegna da anni che «il giurista è invitato a calare qualsiasi problema concreto nel sistema, individuando la pluralità degli interessi e dei valori che esso realmente coinvolge e offrendo decisioni adeguate ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico». Così P. Perlingieri, L’ordinamento vigente e i suoi valori. Problemi del diritto civile, Napoli, 2006, 291.
[39] Come noto, il principio racchiuso nella formula pacta sunt servanda sancisce la regola della forza vincolante del contratto compendiata nella norma di cui all’art. 1372 cod. civ. Tale regola sembrerebbe impedire alle parti di “tornare” al contratto innanzi al sopraggiungere di mutate circostanze rispetto al tempo del perfezionamento dell’accordo. Nel tentativo di meglio comprendere la reale portata della norma richiamata, la dottrina ha in più occasioni evidenziato che «l’intangibilità del contratto non è, puramente e semplicemente, intangibilità dell’accordo raggiunto, ma è l’intangibilità di un accordo idoneo ad assolvere la funzione cui il contratto è destinato»: così F. Galgano e G. Visintini, Degli effetti del contratto. Della rappresentanza. Del contratto per persona da nominare, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1993, 7. Ed ancóra, in argomento, v. V. Verdicchio, La circolazione dei beni di provenienza donativa, Napoli, 2012, spec. 58 ss.; Id., Il mutuo dissenso di contratto a effetti reali (con particolare riferimento alla donazione), in Rass. dir. civ., 3/2012, 830 ss.
[40] Così V. Roppo e R. Natoli, Contratto e Covid-19, cit., 9. Al tale riguardo, l’A. ritiene che sarebbe auspicabile l’accelerazione dell’approvazione del d.d.l. n. 1151/2019. Come noto, il d.d.l. 1151, presentato in data 19 marzo 2019 ed attualmente in corso di esame presso la Commissione permanente giustizia, all’art. 1, lett. i), prevede «il diritto delle parti di contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali e imprevedibili di pretendere la loro rinegoziazione secondo buona fede o, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali in modo che sia ripristinata la proporzione tra le prestazioni originariamente convenute dalle parti». Con riferimento alla richiamata proposta si registra, in una parte della dottrina, il dubbio in merito alla sua affidabilità in punto di concretezza applicativa, attesa l’incertezza dei rimedi esperibili in caso di illegittimo rifiuto di una parte a rinegoziare. Sul punto v. A. Venturelli, Note critiche sulla rinegoziazione «obbligatoria», in Liber Amicorum per Paolo Pollice, II, Torino, 2020, 1069 ss. e spec. 1070: «La funzione integrativa della regola di buona fede, infatti, non può spingersi fino al punto di ridefinire gli stessi contenuti della determinazione contrattuale correggendoli attraverso una valutazione discrezionale – e in buona misura arbitraria – di un soggetto terzo – quale il giudice – che dovrebbe essere, piuttosto, chiamato a verificare la conformità della pattuizione alla regola stessa, interpretandola nel rispetto di quest’ultima ed eventualmente pervenendo alla dichiarazione della sua invalidità ove essa risulta contraria alle norme imperative o ai valori fondanti il sistema e connotanti le clausole generali». Ancóra, in argomento, tra gli altri, cfr. G. Perlingieri, Pandemia da Coronavirus, rapporti contrattuali e giusti rimedi, cit., 87 e 88. Si evidenzia che, di recente, l’associazione Civilisti Italiani, ha auspicato – riprendendo, per certi versi, un punto contenuto nel d.d.l. 1151 – l’adozione di un decreto delegato, che «inserisca dopo l’art. 1468 cod. civ. un nuovo articolo, il 1468-bis, che consenta alla parte pregiudicata di chiedere la rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali», dove si legge: «1. Nei contratti di cui al 1° comma la parte la cui prestazione sia divenuta significativamente più onerosa per eventi straordinari e imprevedibili che non rientrino nell’alea normale del contratto, ove abbia interesse alla conservazione del rapporto, può domandare all’altra parte, in alternativa alla risoluzione, di rinegoziare le condizioni contrattuali, al fine di ripristinare la proporzione fra le prestazioni originariamente convenuta, presentando una proposta di equa modificazione. La parte cui è chiesta la rinegoziazione, qualora non accetti la proposta deve in un tempo ragionevole in relazione alla natura dell’affare, indicare le ragioni che ostano all’accoglimento della proposta e può formulare una controproposta. 2. In caso di inerzia nella rinegoziazione o di ingiustificato rifiuto di condizioni eque, la parte che dimostri di averne derivato danno ingiusto ha diritto al risarcimento nella misura dell’art. 1223». Per una ricostruzione storica e sistematica della clausola rebus sic stantibus si rinvia a A. Genovese, Riflessioni in tema di clausola rebus sic stantibus, cit., spec. 40 ss. ed ivi amplia bibliografia.
[41] Cfr. la Relazione tematica n. 56 della Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario e del Ruolo, dell’8 luglio 2020, avente ad oggetto «Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale», in www.cortedicassazione.it, spec. 21.
[42] In tale senso, di recente, si è mosso il nostro legislatore con specifico riguardo ai contratti di locazione di palestre, piscine ed impianti sportivi, nonché a quelli relativi alle attività commerciali. In base a quanto disposto dall’art. 216, comma 3, del d.l. n. 34/2020, convertito in l. n. 77/2020, la sospensione delle attività sportive, da valutarsi «quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell’assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati», fa nascere in capo al conduttore il “diritto” ad una riduzione del canone locatizio che si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito. Per quanto concerne, invece, i contratti di locazione commerciale, l’art. 6 novies del d.l. n. 41/2021, convertito in l. n. 69/2021, prevede che «il locatario e il locatore sono chiamati a collaborare tra di loro in buona fede per rideterminare temporaneamente il canone di locazione per un periodo massimo di cinque mesi nel corso del 2021».
[43] In argomento si v. N. Cipriani, L’impatto del lockdown da COVID-19 sui contratti, cit., 660: «Ma, fondamentalmente, la sussistenza di un obbligo di rinegoziazione dei contratti […] è stata da più parti reputata desumibile dal sistema vigente anche in mancanza di interventi normativi ad hoc»; ed ancóra «va premesso che l’idea che dal sistema si possa estrapolare un obbligo di rinegoziazione di fronte alle sopravvenienze contrattuali va nella sostanza condivisa». L’A., però, avverte che le peculiari ricadute create dalla pandemia in atto non consentirebbero di ritenerla riconducibile in toto alle classiche ipotesi di squilibri e sopravvenienze contrattuali.
[44] Nell’acquisita consapevolezza che il rapporto obbligatorio vada improntato a criteri di ragionevolezza, non è mancato chi ha evidenziato il ruolo primario assolto dalla buona fede alla quale va attribuita «la funzione di criterio di determinazione del contenuto dell’obbligazione»: C. Cicero, Sul rapporto giuridico nella crisi di emergenza sanitaria, in Id. (a cura di), I rapporti giuridici al tempo del Covid-19, cit., 14 ss. e spec. 19. Contra F. Festi, Effetti sui rapporti contrattuali pendenti della legislazione anticontagio, in R. Favale e L. Ruggieri (a cura di), Scritti in onore di Antonio Flamini, cit., 503 ss. Nello specifico, l’A. da ultimo richiamato ritiene che le clausole di correttezza e di buona fede (inerenti a doveri di comportamento in capo alle parti legate da un vincolo contrattuale) non possano essere utilizzate dal giudice per sciogliere il contratto, ovvero per ricrearlo. Di contro, per quanto concerne il richiamo alla solidarietà sociale, osserva che «il contratto tra privati destinatari di un trattamento legislativo paritario (diversamente da ciò che avviene nei contratti di lavoro subordinato, nei contratti con il consumatore ecc.) non è il luogo della solidarietà, ma un affare i cui protagonisti devono poter perseguire interessi egoistici con l’unico limite del leale (artt. 1175 e 1375 cod. civ.) rispetto delle regole del gioco».
[45] L’emergenza epidemiologica concorrerebbe a dimostrare che «solamente l’impiego di un’interpretazione sistematica e assiologica – che, tanto nei tempi ordinari quanto in quelli drammatici della pandemia, adoperi i canoni di proporzionalità, ragionevolezza e bilanciamento degli interessi – è in grado di individuare la normativa più adeguata al singolo caso concreto, del quale occorre riconoscere costantemente “il valore determinante e il suo primato”»: G. Carapezza Figlia, Coronavirus e locazioni commerciali, cit., 203.
[46] Così A.M. Benedetti, Stato di emergenza, cit., 11.
[47] F. Macario, Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “Coronavirus”, cit., 7.