Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

I limiti all´integrazione, da parte di terzi, delle disposizioni anticipate di trattamento (di Andrea Arfani, Avvocato)


La l. n. 219/2017 attribuisce al privato il potere di decidere della propria salute per il futuro, attraverso le disposizioni anticipate di trattamento (DAT). Tuttavia, insieme ai principî che regolano la materia, fissa dei limiti all’autonomia privata, e, al contempo, apre alla modifica esterna delle disposizioni. Obiettivo del presente contributo è individuare l’ampiezza di codesti limiti.

Parole chiave: salute; trattamenti sanitari; autodeterminazione; diritti della personalità; consenso informato; eutanasia; testamento biologico; disposizioni anticipate di trattamento.

The DATs and the power of external amendment

The l. n. 219/2017 allows to express the will about medical treatments for the future, with DATs. The law establishes the fundamental rules of the DATs, sets limits to the power of the author of the decisions, and, meanwhile, authorises an external intervention. The aim of the essay is to understand the extent of this power.

SOMMARIO:

1. Le disposizioni anticipate di trattamento come negozio giuridico - 2. Il ruolo del consenso informato - 3. Profili di eterointegrazione - 4. Il cosė detto suicidio assistito - NOTE


1. Le disposizioni anticipate di trattamento come negozio giuridico

Le disposizioni anticipate di trattamento stanno entrando lentamente a far parte dell’àmbito operativo del mondo del diritto, affrancandosi dal livello puramente teorico cui sono state per lungo tempo confinate [1]. Oltre che convinzioni religiose ed etiche [2], la non limpida, e non esaustiva, formulazione dell’art. 4, l. 22 dicembre 2017, n. 219, può suscitare serî dubbî interpretativi circa la concreta operatività delle indicazioni, rese dal soggetto quali espressione della propria volontà ora per allora, che possono finire con il disincentivare il potenziale disponente, spesso non esperto di strumenti giuridici, dal rendere la propria volontà. Ciò può comportare, inoltre, che le disposizioni, pur compiutamente manifestate, vadano incontro a deviazioni pratiche, con una discrasia tra il loro contenuto testuale e gli interventi compiuti, oppure no, dal medico.

Il nucleo fondamentale dell’istituto è rappresentato dalla volontà dell’individuo, chiamata a intervenire sulla salute, diritto fondamentale e situazione giuridica immanente [3], presupposto del pieno sviluppo della personalità.

Ciò consente di collocare le disposizioni anticipate di trattamento nella categoria del negozio giuridico, per come connesso al concetto di autonomia privata [4].

Esso, infatti, deve essere inteso come manifestazione di un potere privato, riconosciuto e validato dal­l’ordinamento, quando ne rifletta i principî fondamentali [5]. Perché ciò possa essere occorre valutare, caso per caso, la compatibilità tra il volere del singolo e i principî immanenti dell’ordinamento [6], che evolvono, unitamente al trascorrere del tempo e al mutare del sentire sociale, sì da rispecchiarne l’essenza [7]. Inoltre, il negozio, unitamente al concetto di autonomia privata, ben si può attivare nell’àmbito di materie dove sia assente il carattere della patrimonialità, risultando la possibilità per l’individuo di disporre di dati profili della propria persona, in risposta a esigenze materiali e spirituali [8].

In questi termini, il negozio giuridico appare essere la figura che meglio si adatta alle disposizioni anticipate di trattamento. Esso è in grado di valorizzare, concretandolo, l’interesse individuale, al fine di dare attuazione a istanze di carattere fondamentale, quale la libertà di autodeterminazione [9]. Ciò quando le disposizioni anticipate di trattamento siano allineate ai principî fondamentali dell’ordinamento; non si deve supporre, quindi, una valenza assoluta della volontà, ma, al contrario, essa passa per un vaglio di liceità – non dovendo presentare cause di contrarietà a norme imperative, ordine pubblico e buon costume –, e a un giudizio di ordine sistematico.

I valori che costituiscono i criterî di valutazione delle disposizioni anticipate di trattamento sono indicati all’art. 1, primo comma, l. n. 219/2017, in cui si dichiara che la tutela della normativa attenga al «diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione». Ciò vale come preambolo indicatore dei principî ispiratori della legge, che fungono da guida per l’interpretazione dei relativi istituti; ne sia prova il fatto che la disposizione in parola affermi la propria valenza per come rivolta all’intera legge.

Il fatto che codesti diritti siano assoluti e fondamentali [10] ne esclude certo la compressione, ma non anche che essi possano, e anzi debbano, essere ponderati con altri valori, anche di rango subordinato, così impedendo all’autodeterminazione individuale di eccedere i confini tracciati dal rispetto della dignità umana [11].


2. Il ruolo del consenso informato

L’art. 4, comma 1, l. n. 219/2017, dispone che il soggetto possa redigere le disposizioni anticipate di trattamento solo «dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte». Ciò rappresenta espressione del consenso informato, che presuppone che ogni decisione, in ragione delle importanti conseguenze che ne derivano, e del delicato àmbito su cui vertono, sia preceduta dalla raccolta, da parte del paziente, di tutte le informazioni a ciò utili [12]. Poiché le disposizioni anticipate di trattamento possono essere intese come la proiezione nel futuro del consenso (o dissenso) in materia di trattamenti sanitarî [13], la loro espressione richiede allo stesso modo la raccolta preventiva delle informazioni rilevanti.

È evidente il richiamo alla disciplina del consenso informato, fissata all’art. 1, l. n. 219/2017, che sancisce, finalmente in una fonte normativa di rango primario, il diritto della persona di conoscere le proprie condizioni di salute, e le conseguenze dei trattamenti sanitarî somministrabili, sì da poter decidere se sottoporvisi o rifiutarli [14].

Codesta norma viene in soccorso relativamente al fatto che, per le disposizioni anticipate di trattamento, il legislatore, diversamente a quanto accade con la raccolta del consenso informato per il paziente già in cura, non definisce come debba essere accertata la corretta concretazione di tale adempimento da parte del disponente. Ciò può essere facilmente superato applicando quanto previsto dall’art. 1, comma 4, l. n. 219/2017, che ammette il ricorso a ogni tipologia di strumento, che si confaccia alle condizioni del dichiarante, e che consenta di rendere certa e conoscibile l’espressione della sua volontà.

Un problema di ben più ampia portata è rappresentato dal fatto che non può individuarsi una figura deputata a fornire al disponente le informazioni mediche e che attesti il relativo adempimento: è possibile, infatti, che egli, al momento di manifestazione delle dichiarazioni, non si trovi in cura presso alcun medico, e nemmeno può ritenersi un ruolo generalizzato del medico di famiglia, mancando ogni riferimento normativo in tal senso. Ne deriva il rischio che il disponente si limiti a dichiarare di aver acquisito informazioni, senza che ciò corrisponda al vero; tale situazione si verifica con maggiore probabilità quando l’interessato faccia ricorso a moduli pre-strutturati, messi a disposizione dai soggetti che raccolgono le dichiarazioni [15].

La decisiva importanza che le informazioni mediche rivestono per l’esercizio del consenso – attuale o futuro – comporta che la loro mancanza sfoci in conseguenze particolarmente rigide, a tutela dell’integrità del corretto esercizio del principio di autodeterminazione [16]. Qualora dovesse essere accertata la ricorrenza di tale situazione, infatti, si dovrebbe concludere nel senso dell’inefficacia delle disposizioni [17], senza la possibilità di una loro salvezza, ad eccezione dell’ipotesi, invero difficile a realizzarsi, in cui il disponente torni capace e, raccolte effettivamente adeguate informazioni, confermi le indicazioni già in precedenza fornite [18].


3. Profili di eterointegrazione

Superato positivamente il vaglio rappresentato dalla raccolta di adeguate informazioni, l’art. 4, l. n. 219/2017 fissa criterî ulteriori per la valutazione dell’efficacia delle disposizioni che rappresentano, al contempo, parametri per la possibilità, o la necessità, che terzi intervengano nella loro fase applicativa.

Codesti criterî presuppongono, e coinvolgono in fase operativa, i principî fondamentali, che rappresentano gli elementi di valutazione del negozio recante le disposizioni. Ciò che è immanente alla legge circoscrive l’eterointegrazione delle dichiarazioni, anziché limitarsi a definire ciò di cui l’interessato possa, o no, disporre.

Il primo referente normativo è rappresentato dall’art. 4, comma 5, l. n. 219/2017, che indica tre circostanze che legittimano il medico a disattendere il volere del disponente.

L’elenco si apre con il richiamo alle disposizioni che siano «palesemente incongrue», che sembrano intendere una situazione in cui il disponente abbia deciso per la sottoposizione a, o il rifiuto di, trattamenti che portino a conseguenze abnormi, rispetto a quelle cui si giungerebbe somministrando il trattamento richiesto dalla migliore scienza medica, oppure quando il disponente abbia errato nel ritenere determinate conseguenze della malattia. Si pensi al caso in cui un soggetto, nella convinzione che da una determinata malattia possano derivare conseguenze nefaste, abbia disposto il rifiuto a ogni trattamento terapeutico, quando, in realtà, quella malattia, per i suoi caratteri concreti, non potrebbe portare alle conseguenze considerate.

Altra circostanza è data dalle disposizioni che, al momento della loro esecuzione, non siano corrispondenti alla condizione clinica dell’interessato, poiché riferite, a titolo di esempio, a uno stato patologico verificatosi in modo meno grave del previsto.

La terza ipotesi è rappresentata dalla sopravvenienza, tra il momento di confezionamento delle disposizioni e la loro applicazione, di nuove terapie che consentirebbero un miglioramento delle condizioni del paziente.

In siffatti casi, il medico è autorizzato a disattendere le disposizioni: deve, quindi, essere definito il limite del suo potere di astensione e di intervento. L’utilizzo del termine «disattendere» apre al dubbio se il sanitario debba limitarsi a disapplicare le disposizioni, o se, invece, possa proattivamente intervenire sviando dal loro contenuto. La soluzione deve deduttivamente ricavarsi dalla ponderazione dei dati testuali richiamati, con i valori immanenti alla l. n. 219/2017.

Per quanto attiene all’an dell’intervento, il rilievo di situazioni fondamentali e personalissime – il diritto alla salute e il principio di autodeterminazione [19] – fa sì che esso sia consentito soltanto allorché appaia evidente che l’applicazione pedissequa delle disposizioni comporterebbe una lesione della posizione del disponente, o, comunque, non tenderebbe alla sua migliore tutela, alla luce della situazione concreta [20]. Nell’ef­fettuare codesta valutazione, il medico è tenuto all’impiego di ogni migliore e aggiornata competenza scientifica, motivando la decisione.

Per stabilire la natura giuridica di codeste circostanze occorre partire dal dato testuale. La scelta del verbo «disattendere» lascia supporre che le disposizioni, pur toccate da motivi che ne inficiano la stabilità, non perdano definitivamente rilevanza: esse rimangono in vita, senza escludere una successiva reviviscenza delle medesime, allorché le circostanze previste dalla norma dovessero venire meno, o un loro adattamento, quando possibile [21].

L’espressione «in tutto o in parte», recata dall’art. 4, comma 5, l. n. 219/2017, è, invece, criterio di definizione del quantum dell’intervento adattivo del medico. Sùbito appare evidente la (potenziale) ampiezza del raggio di attivazione di codesto potere: la norma attribuisce al curante la facoltà – che si potrebbe definire chirurgica – di selezionare le parti delle dichiarazioni che ritenga colpite dalle predette cause di inefficacia, e di disattenderle. Ciò deve essere salutato con favore, in quanto consente di salvare le disposizioni, non coinvolte da codeste cause, poiché, qualora mancasse tale puntuazione, si potrebbe derivare la sospensione delle disposizioni nella loro totalità.

L’intervento esterno deve essere contenuto, coincidendo, non tanto con il minimo, quanto con lo stretto necessario. Il medico deve, in primo luogo, stabilire se ricorrano gli estremi per intervenire sulle disposizioni. In caso affermativo, egli deve contenere l’intervento alle sole disposizioni interessate dalle cause di inefficacia, mantenendo intatte quante ne residuino, sempre tendendo ai diritti «alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione» del paziente, giusta il richiamo effettuato dall’art. 1, primo comma, l. n. 219/2017.

Differente ipotesi è quella delle disposizioni genericamente formulate, che si limitino a fornire indicazione circa l’obiettivo cui tenda il disponente, senza premurarsi di specificare i trattamenti, positivamente o negativamente, considerati. È il caso, a modo di esempio, delle dichiarazioni che manifestino la volontà di ricevere solo trattamenti che non apportino sofferenze. Qui il medico si trova di fronte a una situazione tutta da costruire, dovendo individuare il migliore percorso terapeutico, che soddisfi i desiderata del paziente, con un margine discrezionale molto ampio: per guidare il suo intervento, egli, anche con l’ausilio del fiduciario, è tenuto a raccogliere tutte le informazioni disponibili che forniscano la ricostruzione della personalità del disponente; parallelamente, il medico deve effettuare le scelte alla luce della migliore scienza, somministrando i trattamenti e le terapie che, da questo punto di vista, appaiano maggiormente confacenti al caso di specie. Un margine di discrezionalità sì ampio può comportare l’insorgere di conflitti tra il medico e il fiduciario, o tra il medico e altri interessati, circa le scelte ritenute le più rispondenti all’interesse del disponente.

In definitiva, la soluzione circa l’alternativa tra il dovere del medico di disapplicare le disposizioni impraticabili, o la possibilità di modificarle per darvi comunque attuazione, deve volgere in quest’ultima direzione, nell’ottica della valorizzazione della volontà dell’individuo. Al fine di garantire codesto obiettivo, quindi, il medico può, entro i confini tracciati, spingersi in interventi adattativi e salvifici delle disposizioni anticipate di trattamento, per evitarne la completa disapplicazione e la derivante delusione delle aspettative del disponente.

L’art. 4, comma 5, l. n. 219/2017, stabilisce che, qualora la proposta di sviamento avanzata dal curante, non trovi la condivisione del fiduciario, la decisione debba essere rimessa al giudice tutelare.

In primo luogo, si deve rilevare che il fiduciario valga, di per sé, quale fattore di controbilanciamento alla valutazione medica, mediante il potere-dovere di vigilare sulla corretta applicazione delle disposizioni. Il suo cómpito è di contribuire a sciogliere eventuali dubbî applicativi, ricercando le soluzioni pratiche nella conoscenza della personalità del disponente. Allo stesso modo non può ritenersi investito del potere di integrare le disposizioni nei punti in cui queste siano lacunose o troppo generiche [22]. Il fatto che egli curi la corretta esecuzione delle dichiarazioni non implica, altresì, il potere di affermare la propria volontà, ma solo di fornire un concreto contributo all’interpretazione del volere altrui [23]. A modo di esempio, qualora il fiduciario dovesse ritenere che un trattamento, indicato per come rifiutato, in realtà sarebbe accettato alla luce delle condizioni concretamente verificatesi, non potrebbe, per ciò soltanto, imporre la somministrazione del trattamento, dovendo, al contrario, attivare un procedimento giudiziale, o intervenire in quello promosso dal medico, sì da ottenere un’autorizzazione a procedere secondo il proprio convincimento.

Il giudice tutelare è parimenti tenuto, a livello generale, al rispetto dei valori fondanti l’istituto, dovendo ridurre al minimo il grado di sviamento circa le indicazioni del disponente. Occorre rilevare, tuttavia, che il suo potere di intervento è più ampio di quello del sanitario: la l. n. 219/2017 non indica alcun elemento a definizione del perimetro del sindacato del giudice, con la conseguenza che il suo intervento sia vincolato unicamente ai principî fondamentali della materia declinati nel caso concreto. Egli deve basarsi sulle migliori cognizioni mediche – verosimilmente con l’ausilio di un CTU –, nella misura in cui queste garantiscano il perseguimento dell’interesse primario del paziente, più di quanto non si otterrebbe con la pedissequa applicazione delle disposizioni controverse. Codesta valutazione si deve fondare, altresì, sulle indicazioni eventualmente fornite dal fiduciario, nei termini anzi riferiti [24].

L’art. 4, comma 5, l. n. 219/2017, fa espresso richiamo dell’art. 1, sesto comma, l. n. 219/2017, che nega al paziente la possibilità di chiedere la somministrazione di trattamenti sanitarî contrarî a norme di legge, alla deontologia professionale, o alle buone pratiche clinico-assistenziali.

Il limite rappresentato dalle norme di legge rimanda a tutte quelle disposizioni che, nel rispetto del solco tracciato dall’art. 32 Cost., impongano particolari trattamenti sanitarî. L’esempio può andare a disposizioni che implichino misure inconciliabili con la normativa sanitaria emergenziale vòlta a fronteggiare la diffusione del virus Covid-19, come potrebbe accadere con la richiesta di essere sottoposto a terapia riabilitativa in acqua, espressa da soggetto rivelatosi positivo al virus e che necessiti, quindi, di isolamento. È evidente l’obbligo, per il curante, di soprassedere alle indicazioni del paziente, fintanto che permanga la malattia.

Riflessioni simili si possono svolgere con riferimento al limite rappresentato dalla deontologia professionale. In questo caso, tuttavia, la ponderazione con il principio di autodeterminazione deve pendere, con ancóra più vigore, dal lato del secondo, in ragione della natura delle norme deontologiche, prive della forza di legge.

Il richiamo alla deontologia professionale apre alla questione dell’ammissibilità dell’obiezione di coscienza del medico. In un primo momento, la risposta potrebbe ritenersi negativa, in ragione della mancanza di una norma dedicata alla configurazione dell’obiezione di coscienza per l’esecuzione delle disposizioni anticipate di trattamento [25]. A ben vedere, tuttavia, depone in senso contrario, aprendo all’attivabilità dell’obiezione di coscienza il fatto che, tra le norme deontologiche richiamate dall’art. 1, sesto comma, l. n. 219/2017, sia da ricomprendere l’art. 22 del Codice di deontologia medica del 2014. Nulla pare ostare a estendere siffatta previsione anche alle prestazioni legate all’esecuzione di disposizioni anticipate di trattamento, allorché il loro contenuto si ponga in antitesi con i convincimenti morali del medico [26]. Un’apparente questione potrebbe profilarsi considerando che l’obiezione non sarebbe sollevabile, a mente dell’art. 22 del Codice deontologico, quando ne derivi «grave e immediato nocumento per la salute della persona». La declinazione di codesta previsione deve avvenire con diretto riferimento alla particolare natura del bene tutelato: non soltanto la salute del paziente, ma, altresì, la sua autodeterminazione. Il nocumento, quindi, non è unicamente l’aggravamento delle condizioni di salute, ma, parimenti, la delusione del volere del disponente. Il medico, quindi, non può sollevare efficacemente un’obiezione quando questa comporti disapplicazione delle disposizioni, quale che sia l’ésito cui esse conducano. Ciò, è intuitivo, quando le indicazioni siano rese in modo legittimo, secondo i criterî sino a qui delineati [27].

Il riferimento alle buone pratiche clinico-assistenziali coincide con le disposizioni la cui esecuzione implichi che il sanitario tenga comportamenti non in linea con la prassi scientifica nella specie richiesta [28]. Ne rappresenta chiaro esempio il rimando a dichiarazioni che prevedano la somministrazione di terapie sperimentali, non validate dalla comunità scientifica (si pensi ai così detti metodi Stamina e Di Bella). Si forma, in ipotesi di questo tipo, un paradosso: il disponente ha sì raccolto informazioni circa i trattamenti che vuole siano somministrati, e ha coscientemente espresso la propria, favorevole, volontà; tali trattamenti, tuttavia, non sono riconosciuti validi dalla comunità scientifica. Si deve ritenere che il medico possa disattendere le disposizioni in questo senso rese, proprio in forza della previsione da ultimo richiamata, che fa prevalere la conoscenza medica sul volere individuale a questa non correttamente orientato [29].

A questo punto, è possibile avanzare una considerazione, proponibile riguardo a tutti gli elementi di eterointegrazione sino a qui ripercorsi. Poiché, come osservato, lo sviamento rispetto alle disposizioni anticipate di trattamento deve essere contenuto nei limiti anzi prospettati, occorre chiedersi che cosa accada, quando non sia possibile effettuare tale correzione, in quanto essa, pur minima, porterebbe a una definitiva delusione del volere del paziente.

In sede di esecuzione delle disposizioni anticipate di trattamento, il medico – con l’ausilio del fiduciario e con l’eventuale ricorso all’autorità giudiziaria – deve capire il grado di importanza che ogni indicazione rivesta per il disponente. Qualora ne rilevi il carattere di decisività, tale per cui anche la menoma variazione finirebbe per minare alla base la volontà del paziente, allora egli sarebbe tenuto ad astenersi dallo sviamento dall’indicazione [30].

Si pensi al caso in cui il disponente abbia stabilito di voler ricevere un trattamento che comporti l’iniezione di un farmaco che conduca alla morte del paziente. In questo caso, ci si troverebbe dinnanzi a un’indicazione tendente all’eutanasia dell’interessato, a oggi non ammessa [31]. È evidente che, in tale ipotesi, non si ravvedrebbero correzioni ammissibili, seppur minime, poiché ogni sviamento andrebbe ad allontanarsi, indefettibilmente, da quanto originariamente voluto. In casi di tal fatta, l’interesse primario del paziente è dal medesimo chiaramente individuato; tutto ciò che diverga da quanto disposto non potrebbe essere inteso come tendente al suo interesse. È da ritenersi che il curante non sia investito dei poteri necessarî per intervenire a modifica [32]: le norme, sino a qui considerate, indicano le condizioni per l’intervento del sanitario, ma non conferiscono, a quest’ul­timo, un potere di modifica delle disposizioni che valichino quanto supra specificato  [33].

Al fine di evitare la completa paralisi della situazione, con ésiti paradossali – non potendosi realizzare determinati trattamenti, e nemmeno potendosi adattare le disposizioni, si finirebbe con il fare nulla, se non, in ipotesi, la somministrazione di terapie conservative –, si ritiene auspicabile che il medico, o altro soggetto a ciò legittimato, adisca l’autorità giudiziaria, investendola della questione. I poteri di intervento alla stessa affidati, come già rilevato, sono notevolmente più incisivi e penetranti di quelli del medico, con la conseguente possibilità di decidere nel senso di trattamenti anche differenti da quelli previsti, mediante la ricostruzione della personalità, e della presumibile volontà, del paziente. Tale soluzione trova diretto conforto nella previsione affidata all’art. 4, quinto comma, ultima parte, l. n. 219/2017, che dispone che i contrasti insorti tra medico e fiduciario, circa l’esatta applicazione delle disposizioni anticipate di trattamento, non potendo essere decisi dal curante, debbano essere sottoposti all’attenzione del giudice tutelare.


4. Il cosė detto suicidio assistito

Riflessioni differenti devono essere proposte per l’ipotesi in cui il disponente manifesti la volontà di accedere, per un momento futuro, alle pratiche del suicidio assistito. In tempi recenti, a séguito del caso relativo a Fabiano Antoniani (conosciuto come Dj Fabo), è intervenuta la Corte costituzionale, fissando i limiti entro i quali ciò sia da ritenersi praticabile. In particolare, è da ritenersi lecito il comportamento di chi agevoli l’esecuzione del proposito di suicidio, che si sia autonomamente e liberamente formato, da parte di un soggetto tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e colpito da patologia irreversibile, che causino sofferenze fisiche o psicologiche avvertite come intollerabili, che sia, però, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; si stabilisce, inoltre, che tali condizioni, e le modalità di esecuzione del suicidio, siano accertate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente [34]. Calando tali riflessioni con riguardo al negozio ex art. 4, l. n. 219/2017, che porti la volontà di accedere al suicidio assistito, deve ritenersi che esso sia eseguibile una volta che il medico, e gli altri attori indicati dalla Corte costituzionale, si siano concordemente espressi in questo senso. Occorre, per questo, una precisazione. Come osservato, la pronunzia richiamata ammette l’accesso all’estremo gesto unicamente quando la malattia sia in atto; ciò parrebbe impedire la sua esperibilità da parte di chi sia incorso nel morbo in un momento successivo, rispetto alla dichiarazione di volontà che lo invochi. Tale cortocircuito pare superabile, se si pensi che le disposizioni anticipate di trattamento hanno l’innata funzione di consentire all’interessato la gestione della propria salute “ora per allora”: ciò combinandosi con le condizioni fissate dalla Corte costituzionale rende superabile l’ostacolo anzi prospettato. Inoltre, la stessa sentenza precisa che la non punibilità del soggetto, che porti ausilio al suicida, occorra soltanto quando tale azione sia posta in essere con le modalità di cui agli artt. 1 e 2, l. n. 219/2017: il giudice delle leggi è quindi ben consapevole del ruolo della legge in parola, non sussistendo ragioni per escludere che tale valenza possa estendersi anche alle altre disposizioni di essa, ulteriori a quelle espressamente richiamate.


NOTE

[1] Ex multis, si vedano, almeno: L. D’Avack, Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento: una analisi della recente legge approvata in Senato, in Dir. di fam. e delle pers., 2018, 1, 179 ss.; P. Zatti, Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e DAT, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 2, 247 ss.; S. Delle Monache, La nuova disciplina sul “testamento biologico” e sul consenso ai trattamenti medici, in Riv. dir. civ., 2018, 4, 997 ss.; G. De Marzo, Prime note sulla legge in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, in Foro it., 2018, fasc. 3, V, c. 137 ss.; A. Arfani, Disposizioni anticipate di trattamento e ruolo del fiduciario, in Fam. e dir., 2018, n. 8-9, 815 ss.; P. Zatti, Brevi note sull’interpretazione della legge n. 219 del 2017, in Nuove leggi civ. comm., 2019, 1, 3 ss., e, già prima dell’entrata in vigore della l. 22 dicembre 2017, n. 219, G. Bonilini, Il così detto testamento biologico, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, dir. da G. Bonilini, vol. II, La successione testamentaria, Milano, 2009, 75 ss.

[2] La relativa ricostruzione viene proposta da V. Verdicchio, Testamento biologico e consenso informato (Aspetti delle decisioni di fine vita nel diritto italiano tra jus conditum e jus condendum), in Dir. succ. e fam., 2017, 637 ss.

[3] Cfr. D. Messinetti, voce Personalità (diritti della), in Enc. dir., vol. XXXIII, Milano, 1983, 362 s.

Per un’analisi sistematica ed evolutiva del bene salute, e del relativo diritto, si vedano: P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-europeo delle fonti, vol. III, Situazioni soggettive, Napoli, 2020, 1 ss.; P. Veronesi, Uno statuto costituzionale del corpo, in Il governo del corpo, a cura di S. Canestrari, G. Ferrando, C.M. Mazzoni, S. Rodotà, P. Zatti, vol. I, in Tratt. di biodiritto, a cura di S. Rodotà e P. Zatti, Milano, 2011, 137 ss.; L. Montuschi, Commento all’art. 32, primo comma, in Comm. alla Costituzione, Rapporti etico sociali, a cura di G. Branca, Roma-Bologna, 1976, 655 ss.

[4] Nello stesso senso, si esprime G. Bonilini, op. cit., 76.

[5] Cfr. E. Gabrielli, La nozione di contratto (Appunti su contratto, negozio giuridico e autonomia privata), in Giur. it., 2018, 2784, e F. Santoro-Passarelli, voce Atto giuridico, in Enc. dir., vol. IV, Milano, 1959, 206.

  1. anche R. Scognamiglio, Contributo alla teoria generale del negozio giuridico, Napoli, 1969, II ed., 104, il quale definisce il negozio come «atto di autoregolamento dei privati interessi».

[6] Così, G.B. Ferri, Il negozio giuridico, Padova, 2004, II ed., 69.

[7] Com’è noto, tale ricostruzione ha conosciuto critiche, in quanto ritenuta troppo astratta o inidonea ad essere concretamente declinata per la gestione della circolazione della ricchezza. Si ricordano le osservazioni di N. Irti, Letture bettiane sul negozio giuridico, Milano, 1991, 69 ss., e F. Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. di dir. civ. e comm., già dir. da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni e cont. da P. Schlesinger, Milano, 2002, II ed., 15 ss. In particolare, il primo rileva che porre il concetto di negozio in luogo di quello di contratto, a fondamento della riflessione sull’autonomia, comporterebbe la svalutazione della figura del contratto, e la creazione della dicotomia tra autonomia negoziale e autonomia privata.

[8] Si veda, in questo senso, C. Castronovo, Il negozio giuridico dal patrimonio alla persona, in Europa e dir. priv., 2009, 109.

Sul tema, si v., inoltre, G. Palermo, L’autonomia negoziale, Torino, 2015, III ed., 125 s.

[9] E. Gabrielli, op. cit., 2789.

[10] In tema, per tutti, si veda A. De Cupis, I diritti della personalità, in Tratt. di dir. civ. e comm., già dir. da A. Cicu e F. Messineo, cont. da L. Mengoni, vol. IV, t. 1, Milano, 1959, 78 s.

Già L. Mengoni, Autonomia privata e costituzione, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, 7 s., con riferimento all’iniziativa economica privata affermava che i diritti fondamentali debbano valere quali parametri valutativi delle clausole generali.

[11] Cfr. A. Nicolussi, voce Autonomia privata e diritti della persona, in Enc. dir., Annali IV, Milano, 2011, 133 s.

All’interno della categoria generale dei beni personali, si distingue tra i così detti beni-fine e beni-presupposto. Nel primo novero, rientrano i beni che, per loro natura, sono disponibili in modo reversibile o temporaneo, con la conseguenza che l’atto di disposizione, che autorizzi l’invasione della sfera personale ad opera del terzo, non impinge nella titolarità del diritto, quanto nel suo esercizio. Dall’altro lato, i beni-presupposto sono quelli che devono necessariamente sussistere affinché sia possibile godere e disporre di ogni altro diritto; essi sono intangibili da parte dei terzi e la relativa perdita è irreversibile. Sul tema, si vedano, almeno: A. Baldassarre, voce Diritti inviolabili, in Enc. giur. Treccani, vol. XI, Roma, 1989, 29; C. Castronovo, Autodeterminazione e diritto privato, in Eur. dir. priv., 2010, 1046.

[12] A livello generale, deve osservarsi che l’obbligo del medico di raccogliere il consenso informato sorge solo nel momento in cui un determinato trattamento risulti appropriato in relazione al caso concreto, con la conseguenza che è in tale frangente che il consenso possa assumere efficacia vincolante, non essendo ammissibile una manifestazione di volontà, che, indiscriminatamente espressa, obblighi il medico a comportarsi di conseguenza.

[13] Cfr. C. Botta, Inviolabilità della persona, consenso informato e trattamenti sanitari, in Not., 2019, 6, 614.

[14] Circa il contenuto delle informazioni che debbano essere rese al paziente in vista dell’espressione del proprio consenso a trattamenti sanitarî, v. Cass. 2 luglio 2010, n. 15968, in Riv. it. med. leg., 2011, 281 ss., che ha rilevato come debba ricomprendere «tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che si intendono praticare o l’intervento che si intende eseguire con le relative modalità», specificando che «il principio in base al quale dovrebbero essere comunicati al paziente solo i rischi prevedibili e non tutti gli ipotizzabili esiti anomali, deve essere applicato restrittivamente e con estrema prudenza».

[15] Per questioni particolari, v. A. Cavo, Acquisizione del consenso informato in àmbito diagnostico tramite firma biometrica e data protection, in Resp. civ. prev., 2019, 318 ss.

[16] Si è osservato che il consenso informato possa valere quale requisito soggettivo dell’obbligazione di protezione del medico nei confronti del paziente. Esso, pertanto, non sarebbe da considerarsi quale requisito di liceità dell’intervento medico, ma un necessario modo di esperimento, la cui mancanza è fonte di responsabilità. Sul punto, v. A. Nicolussi, op. cit., 142.

[17] Corte cost. 23 dicembre 2008, n. 438, in Foro it., 2009, I, c. 1328 ss., ha rilevato che il consenso informato si configuri come un diritto della persona, trovando il proprio fondamento nei principî espressi dagli artt. 2, 13 e 32 Cost. Nello stesso senso, Corte cost. 30 luglio 2009, n. 253, in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre, e, per la giurisprudenza di legittimità, v., recentemente, Cass. 15 maggio 2018, n. 11749, in Foro it., 2018, I, c. 2400 ss.

La giurisprudenza ha riconosciuto la risarcibilità del danno da lesione del diritto costituzionalmente tutelato all’autodeter­minazione, per l’ipotesi di insufficiente o omessa informazione circa un intervento chirurgico, ancorché da questo non siano per lui occorse conseguenze negative. Così, Cass. civ., 7 ottobre 2021, n. 27268, in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre. In senso opposto, Cass. civ., 16 marzo 2021, n. 7385, in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre. Per l’ipotesi di sopravvenienza di complicazioni post-operatorie, e lesione del diritto a effettuare scelte mediche in modo libero e consapevole, si veda Cass. civ., 23 marzo 2021, n. 8163, in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre.

In dottrina, v.: M. Florena, La responsabilità del medico: focus sui danni risarcibili in caso di inadempimento dell’obbligo di assunzione del consenso informato, in Dir. fam pers., 2021, 1021 ss.; C. Petruzzi, La lesione del diritto all’autodeterminazione terapeutica quale fonte autonoma di responsabilità, in Danno e resp., 2019, 6, 796 ss.

[18] D. Maffeis, Prometeo incatenato: la redazione non informata, o informata per modo di dire, e l’attenuata vincolatività delle DAT, in Resp. civ. e prev., 2018, 5, 1439) discorre, con riferimento all’acquisizione di adeguate informazioni mediche, di «condizione di efficacia» delle disposizioni anticipate di trattamento, con la conseguenza che il medico, il quale nutra fondati dubbî circa l’effettiva e preventiva informazione del disponente, sia legittimato a limitarsi a tenere in considerazione le sue indicazioni, mentre, quando abbia certezza del mancato espletamento di codesto obbligo, sia da considerarsi esonerato dal seguire le disposizioni.

[19] Cfr. R. Calvo, La nuova legge sul consenso informato e sul biotestamento, in Studium iuris, 2018, 6, 689 ss.

[20] Ciò è suffragato anche dalla precisazione per cui le terapie sopravvenute, per legittimare lo sviamento rispetto alle disposizioni anticipate di trattamento, debbano essere tali da offrire «concrete» possibilità di miglioramento. Questo inciso conferma la particolare attenzione che il curante deve adottare, non potendo sospendere l’esecuzione del volere del paziente a fronte della semplice esistenza di nuove terapie, astrattamente esperibili e utili, dovendo verificare, rigorosamente, la derivabilità di risultati significativi che giustifichino l’incisione dell’autodeterminazione dell’interessato.

[21] Si pensi al caso in cui il trattamento sanitario indicato risulti non opportuno, in forza della condizione clinica attuale del paziente. Qualora questa, però, dovesse evolvere, esso potrebbe divenire adeguato, tornando la disposizione ad acquisire piena efficacia vincolante.

[22] Nello stesso senso, v. D. Carusi, Legge 219/2017, amministrazione di sostegno e rifiuto di cure: problemi di legittimità di una legge mal scritta, in Corr. giur., 2020, 1, 24 s.

[23] A. Arfani, op. cit., 817 ss.

[24] Trib. Mantova, 13 aprile 2018, in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre, fornisce chiare indicazioni circa il procedimento instaurato dinnanzi al giudice tutelare per dirimere le controversie tra medico e terzo interessato, come, a modo di esempio, il fiduciario, circa l’esecuzione delle disposizioni anticipate di trattamento. Si precisa, in primo luogo, che trattasi di procedimento di volontaria giurisdizione, soggetto al rito camerale, ex articoli 737 e seguenti cod. proc. civ.; competente è il giudice del luogo in cui ha il domicilio il soggetto della cui situazione giuridica si discuta. Il Tribunale ammette la possibilità – invero auspicabile – di proposizione di un ricorso congiunto, sottoscritto dal medico e dal terzo, ove si indichino le rispettive ragioni, potendo il giudice sentire gli interessati o disporre ulteriori approfondimenti istruttorî. La decisione, infine, viene assunta con decreto.

[25] È noto, infatti, che le fattispecie di obiezione di coscienza discendano, nel nostro ordinamento, da espresse previsioni di legge. Si considerino, a titolo di esempio, l’obiezione di coscienza alla interruzione volontaria della gravidanza, prevista dalla l. n. 194/1978, quella relativa alla sperimentazione animale di cui alla l. n. 413/1993, o quella degli operatori sanitarî alla procreazione medicalmente assistita ex l. n. 40/2004.

[26] Cfr. P. Benciolini, Obiezione di coscienza alle DAT? Ordinamento deontologico e ordinamento statuale, in Nuove leggi civ. comm., 2019, 1, 166.

In tema, v. anche C. Luzzi, La questione dell’obiezione di coscienza alla luce della legge 219/2017 tra fisiologiche esigenze di effettività e nuove prospettive di tutela, in Dirittifondamentali.it, 26 febbraio 2019.

[27] Poiché l’istituto, portato dalla l. n. 219/2017, è veicolo di espressione di valori di rango costituzionale, l’esercizio del­l’obiezione, prevista dall’art. 22 del Codice di deontologia medica, è da ritenersi consentito soltanto laddove sia strumento di protezione di valori di rango analogo, dovendosene, pertanto, escludere l’attivabilità quando connesso a motivi strettamente personali, o comunque non in tal senso rilevanti, del medico. Sul punto, v. D. Paris, L’obiezione di coscienza. Studio sull’ammissibilità di un’ec­cezione dal servizio militare alla bioetica, Firenze, 2011, passim.

[28] Ciò si può configurare come obiezione di scienza (cfr. P. Benciolini, op. cit., 162).

[29] Per approfondimenti sui casi Stamina e Di Bella, si vedano: S. Cacace, A proposito di scienza e diritto: il «caso Stamina» (ma non solo). Libera scelta della cura e tutela della salute: là dove il dovere del medico s’arresta, in Riv. it. med. leg., 2016, 109 ss.; L. Buffoni, La ‘validità’ della legge scientifica nel caso Stamina, in Giur. cost., 2015, 1549 ss.; A. Scalera, La libertà di cura dopo oltre un decennio dal «caso Di Bella». Riflessioni a margine di alcuni interventi giurisprudenziali sulle terapie non convenzionali, in Nuova giur. civ., 2014, 437 ss.; C. Colapietro, La salvaguardia costituzionale del diritto alla salute e l’effettività della sua tutela nella sperimentazione del «multitrattamento Di Bella», in Giur. it., 1999, 160 ss.

[30] Qualora si ritenesse obbligato il medico a procedere comunque nel dare esecuzione alla volontà del paziente, significherebbe incidere negativamente sull’autonomia professionale del curante, vincolandolo a comportamenti in antitesi, oltre che alla legge, anche alle regole deontologiche. In questo senso, v. E. Bilotti, Ai confini dell’autodeterminazione terapeutica. Il dialogo tra il legislatore e il giudice delle leggi sulla legittimità dell’assistenza medica al suicidio, in Corr. giur., 2019, 4, 468.

[31] Occorre porre in evidenza la diversità che ricorre tra la rinunzia al trattamento sanitario, che porti alla morte, e la sua interruzione, che richieda un autonomo contributo del sanitario. In questo secondo caso, infatti, la relazione di cura si colloca in una dimensione essenzialmente contraddittoria, in quanto collidente con il criterio dell’appropriatezza delle cure e con i principî deontologici; sul punto, si vedano: E. Bilotti, op. cit., 468; A. Nicolussi, Al limite della vita: rifiuto e rinuncia ai trattamenti sanitari, in Quad. cost., 2010, 2, 279 ss.

Secondo la Corte europea diritti dell’uomo, 20 gennaio 2011, n. 31322, in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre, va rilevato che, in forza dell’art. 8 CEDU, il diritto al rispetto della propria vita privata contempla anche la facoltà di procurarsi la morte in modo sicuro e dignitoso. In codesta materia, tuttavia, gli ordinamenti nazionali mantengono un ampio margine di apprezzamento, in ragione delle forti differenze tuttora sussistenti nelle varie legislazioni. Ne deriva che le restrizioni all’esercizio della facoltà di togliersi la vita sono previste dal singolo ordinamento, con l’obiettivo di perseguire il fine pubblico legittimo di prevenire decisioni affrettate e impedire abusi. Esse risultano, inoltre, proporzionate al fine perseguito, poiché fissano una procedura accessibile e vòlta ad assicurare il consenso informato degli interessati. In tema, v. M. Pacini, Suicidio assistito e consenso informato, in Giorn. dir. amm., 2011, 647 ss.

[32] Cfr. R. Calvo, op. cit., 689 s.

[33] Si è affermato (E. Bilotti, op. cit., 470) che la l. n. 219/2017 non tenda né al paternalismo medico, che imponga al paziente le scelte del curante, né all’autodeterminazione assoluta, tale da costringere, al contrario, il medico di esaudire acriticamente ogni espressione di volontà del paziente. La scelta del legislatore pare essere, invero, quella di costruire un’alleanza terapeutica, fondata sulla combinazione di siffatte suggestioni, così che ognuna delle due posizioni ne esca adeguatamente, e opportunamente, valorizzata. In questo senso, v. M. Azzalini, Il diritto alla rinuncia e al rifiuto di cure necessarie alla propria sopravvivenza nella l. n. 219/17: questioni aperte e nuove prospettive di tutela dell’integrità della persona, in Nuove leggi civ. comm., 2019, 1, 104 s.; E. Bilotti, op. cit., 470.

[34] Corte cost., ord. 16 novembre 2018, n. 207, e, successivamente, Corte cost. 22 novembre 2019, n. 242, entrambe in Banca dati Giuffrè Francis Lefebvre.

In tema, si vedano: L. Bozzi, Decidere il tempo (e il modo) di morire. Interrogativi irrisolti sul bilanciamento trovato (?) della Consulta in merito al suicidio medicalmente assistito. Interrogativi (irrisolvibili) sul principio di autodeterminazione, in Giust. civ., 2020, 411 ss.; P. Pittaro, Il dibattuto tema del suicidio assistito: quando la Corte costituzionale supplisce il legislatore, in Fam. e dir., 2020, 221 ss.; R. Masoni, Riflessioni su suicidio, suicidio assistito, interruzione delle cure ed eutanasia, alla luce della pronunzia della Corte cost., n. 207 del 16 novembre 2018, in Dir. fam. e pers., 2019, 645 ss.

Fascicolo 1 - 2022