Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Beni con elementi digitali e aggiornamenti nella novellata disciplina dei contratti di vendita b2c (di Gabriele Perfetti, Dottorando di ricerca – Università Ca’ Foscari di Venezia)


L’Autore analizza la nuova disciplina della vendita di beni con elementi digitali, contenuta nella dir. 771/2019/UE relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170 che ha modificato gli artt. 128 ss. del Codice del consumo. 

Vengono messe in luce le peculiarità della vendita di beni con elementi digitali, con particolare riguardo al ruolo e alla prestazione del venditore, tenuto a fornire al consumatore, oltre alla componente materiale del bene, non solo l’elemento digitale integrato nel medesimo, ma anche gli aggiornamenti pertinenti nei termini previsti dal contratto di vendita. 

L’Autore fornisce una definizione della prestazione di aggiornamento, nonché un quadro dei suoi caratteri come risultanti dalla lettura combinata delle dir. 770/2019/UE e 771/2019/UE. Della medesima prestazione è fornita una interpretazione orientata alla massimizzazione della tutela del consumatore-acquirente. Vengono inoltre messe in luce le differenze emergenti sul punto tra la dir 771/2019/UE e la disciplina italiana di attuazione. 

Parole chiave:Vendita di beni di consumo, consumatori, aggiornamenti, beni con elementi digitali, software.

 

Goods with digital elements and updates obligation in the new b2c sales contracts regulation

The author analyzes the new discipline concerning the sale of goods with digital elements provided by dir. 771/2019/EU, implemented in Italian law by Legislative Decree 4 November 2021, n. 170, which amended art. 128 et seq. of the Italian Consumer Code. 

The article highlights the peculiarities of the sale of goods with digital elements, regarding the role and the obligations of the seller, who is required to provide the consumer, in addition to the material component of the good, not only the incorporated digital content or digital service, but also the relevant updates in the terms provided by the sales contract.

The author provides a definition of the obligation to update, as well as an outline of its characteristics as resulting from the combined reading of dir. 770/2019/EU and 771/2019/EU. An interpretation oriented to maximize consumer protection is provided.

The differences emerging on the point between dir. 771/2019/EU and the Italian implementing legislation are also highlighted. 

SOMMARIO:

1. Dinamica della vendita di beni con elementi digitali - 2. L’impegno del venditore tra autonomia e funzioni del bene - 3. Tipi e finalità degli aggiornamenti dell’elemento digitale - 4. La fornitura degli aggiornamenti: conformità al contratto e cooperazione del consumatore - 5. La disciplina di attuazione italiana (d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170) - 6. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Dinamica della vendita di beni con elementi digitali

Una delle novità più significative della dir. 771/2019/UE del 20 maggio 2019 relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni [1], che ha abrogato e sostituito la dir. 1999/44/CE del 25 maggio 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo [2], è rappresentata dall’introduzione di regole “speciali” dedicate al contratto di vendita avente ad oggetto beni con elementi digitali, entro cui si situa la disciplina degli aggiornamenti.

Il superamento dell’ormai storica disciplina europea delle garanzie nella vendita di beni di consumo si è imposto a ragione della repentina evoluzione degli scambi b2c, sempre più gremiti da contratti (conclusi online) aventi ad oggetto beni digitali [3]: larga parte delle operazioni economiche tra professionisti e consumatori si colloca oggi all’interno del mercato digitale, che ha imposto nuovi equilibri economici e merceologici, anche in ragione dell’ampia diffusione delle logiche della sharing economy nonché di tecniche di commercializzazione riconducibili allo schema del Product-Service Systems o a quello del product-as-a-service.

Si è dunque percepita la necessità non solo di una nuova disciplina a garanzia dell’accesso al mercato e di tutela della concorrenza [4], ma anche di una sistemazione delle categorie di bene e di servizio, in particolare nelle loro accezioni digitali. L’espansione del commercio di “beni che incorporano contenuti digitali o servizi digitali o sono interconnessi ad essi” [5] richiede inoltre l’elaborazione di adeguate tecniche di tutela del contraente debole.

Per (continuare a) “garantire […] un livello elevato di protezione dei consumatori” nonché “aumentare la certezza giuridica per quanto riguarda le norme applicabili ai contratti di vendita di tali prodotti” [6], il legislatore europeo, nel contesto di un intervento il cui livello massimo di armonizzazione ha destato talune perplessità in dottrina [7], ha innanzitutto rimodellato il campo di applicazione [8] oggettivo della disciplina europea della vendita: la nozione di bene di consumo (art. 1, par. 2, lett. b), dir. 1999/44/CE) è sostituita dalla più neutra e all’apparenza meno consumeristica [9] nozione di bene, comprensiva non più solo di “qualsiasi bene mobile materiale” (compresi “l’acqua, il gas e l’elettricità” ove “messi in vendita in un volume delimitato o in quantità determinata”), ma anche di “qualsiasi bene mobile materiale che incorpora o è interconnesso con un contenuto digitale o un servizio digitale in modo tale che la mancanza di detto contenuto digitale o servizio digitale impedirebbe lo svolgimento delle funzioni del bene” (art. 2, n. 5, dir. 771/2019/UE). Trattasi, quanto ai secondi, dei beni con elementi digitali, la cui peculiarità è la sussistenza di un nesso di interdipendenza tra la componente mobile materiale del bene e l’elemento digitale integrato tale per cui ove il bene difetti del secondo, il consumatore non potrebbe riceverne le utilità che questo è chiamato ad assicurare, poiché il bene non sarebbe in grado di svolgere le funzioni per le quali è stato ideato e che sono state promesse al consumatore. L’elemento mobile materiale e quello digitale integrato (che può consistere in un contenuto digitale e/o in un servizio digitale) concorrono in egual misura a costituire i caratteri del bene, nonché, nei limiti che si illustreranno, l’oggetto dell’impegno contrattualmente assunto dal venditore-professionista.

Non si tratta, invero, di una categoria ulteriore e diversa rispetto a quella tradizionale dei beni di consumo, quanto piuttosto di un più che diffuso sottotipo dei medesimi, ora reso destinatario di una disciplina ad hoc. Già prima dell’emanazione della dir. 771/2019/UE, difatti, i beni con elementi digitali potevano ricondursi nel novero dei beni di consumo, essendo comunque beni mobili materiali [10]. Sicché, anche il consumatore acquirente di un bene con elementi digitali prima del 1° gennaio 2022 [11] poteva avvalersi dell’apparato rimediale proprio della vendita consumeristica europea, ove il bene compravenduto fosse risultato non conforme al contratto, anche nella sua componente digitale integrata [12]. Sennonché le particolarità dei beni dotati di una componente digitale e la (talvolta) elevata complessità, oggettiva e soggettiva, dei rapporti giuridici che li riguardano hanno imposto l’adozione di disposizioni per essi specificamente concepite, anche allo scopo di porre rimedio alle problematiche insorte da quelle prassi di mercato che non potevano, neppure in via interpretativa, essere adeguatamente risolte facendo riferimento alla dir. 1999/44/CE. Tra queste emerge, nello specifico, la disciplina degli aggiornamenti.

In proposito, si deve rilevare che i beni con elementi digitali rappresentano il punto d’incontro di una pluralità di rapporti contrattuali [13]. Essi costituiscono il crocevia del contratto acquisitivo della proprietà del bene, del c.d. End User License Agreement [14] nonché dell’intensa attività di intermediazione delle piattaforme (stores digitali) presso cui i consumatori – a fronte del pagamento di una somma di denaro e/o grazie alla messa a disposizione dei propri dati personali per fini diversi dal trattamento necessario per la conclusione e l’esecuzione del contratto – ottengono l’accesso a contenuti e servizi digitali, forniti in genere da terzi, da fruirsi tramite il bene medesimo.

Taluni beni con elementi digitali (si pensi non solo agli smartphones o ai personal computers, ma anche alle più evolute smart Tv) si presentano, cioè, come nodo di una pluralità di contratti ad essi lato sensu afferenti, tramite i quali il consumatore-utente si assicura la possibilità di godere di ogni funzionalità del bene acquistato, nonché quale mezzo utilizzato dal consumatore per concludere gli stessi o altri contratti [15].

Questa pluralità di rapporti giuridici può generare, nell’ottica del consumatore medio, una sensazione di opacità nell’individuazione della controparte contrattuale chiamata a fornire l’accesso al contenuto o al servizio digitale integrato ovvero agli altri contenuti e servizi usufruibili tramite il bene digitale.

La categoria dei beni con elementi digitali costituisce, in tal senso, uno degli strumenti tramite cui il legislatore europeo intende ovviare a tale opacità. Essa è inoltre un utile congegno per evitare la frammentazione delle tutele che deriverebbe dall’applicazione concorrente allo stesso affare delle dir. 771/2019/UE e 770/2019/UE [16], essendo l’oggetto della regolazione approntata dalla c.d. direttiva gemella proprio la disciplina di determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali non integrati in beni.

Non solo. L’elemento digitale integrato consente al bene di svolgere funzioni nuove e diverse rispetto a quelle assolte dalla versione analogica del medesimo. Si tratta, poi, di beni che possono essere utilizzati in combinazione con altri beni, grazie proprio all’elemento digitale, che consente agli oggetti di dialogare tra loro [17]. La molteplicità delle funzioni ormai tipiche di determinati beni con elementi digitali (si pensi, ancora, a beni “complessi” quali gli smartphones, le smart Tv o gli assistenti vocali digitali, in grado di svolgere funzioni che vanno ben oltre a quelle proprie delle rispettive versioni analogiche), che agli occhi degli acquirenti appaiono come caratteristiche del bene dovute ex contractu, si scontra, ancora una volta, con l’etero­geneità dei rapporti contrattuali che garantiscono agli utenti l’accesso a quei contenuti e servizi.

Il consumatore, in altre parole, si attende dal bene digitale determinate funzionalità che sono frutto dell’opera di soggetti terzi rispetto al venditore o financo al produttore del bene. Funzionalità di cui, prima della dir. 771/2019/UE, il consumatore non poteva godere senza la conclusione di un contratto con un operatore economico diverso dal venditore; funzionalità che, nel sistema della vendita di beni con elementi digitali, possono essere pretese dal consumatore direttamente dal venditore, elidendo l’intervento o l’interme­diazione dei terzi, la cui attività comunque incide significativamente sul funzionamento del bene compravenduto.


2. L’impegno del venditore tra autonomia e funzioni del bene

A fronte di un siffatto quadro, il venditore del bene con elementi digitali diviene, nel disegno della dir. 771/2019/UE, il potenziale perno di tutti quei rapporti giuridici volti a far sì che il bene possa svolgere le proprie funzioni: egli è, in genere, responsabile della fornitura dei contenuti o dei servizi digitali integrati nel bene da ritenersi essenziali per il suo funzionamento, nonché di qualsiasi altro contenuto o servizio digitale integrato fornito al consumatore ai sensi del contratto di vendita, “indipendentemente dal fatto che detti contenuti digitali o servizi digitali siano forniti dal venditore o da terzi” (art. 3, dir. 771/2019/UE).

A sostegno di ciò, si noti che l’art. 3, par. 3, dir. 771/2019/UE e l’art. 3, par. 4, dir. 770/2019/UE, dedicati all’ambito di applicazione delle cc.dd. direttive gemelle [18] – stante il rispettivo richiamo all’art. 2, punto 5), lett b), dir. 771/2019/UE e all’art. 2, punto 3) dir. 770/2019/UE – solo a una prima lettura paiono indicare che l’impegno del venditore in relazione all’elemento digitale integrato debba intendersi limitato sempre e solo all’elemento digitale essenziale.

Il considerando 15 della dir. n. 771/2019 chiarisce infatti che il perimetro dell’impegno del venditore, quanto alla fornitura degli elementi digitali integrati, è sempre e comunque da tracciarsi seguendo i confini del contratto di vendita [19].

Non è l’interdipendenza essenziale tra componente materiale e componente digitale del bene, quanto invece il contenuto del contratto di vendita a segnare l’impegno del venditore in merito al trasferimento degli elementi digitali integrati [20]. Il venditore non è, cioè, necessariamente tenuto a consegnare al consumatore un bene munito del (solo) software che gli consenta di svolgere le proprie funzioni essenziali.

È il contratto di vendita a marcare i contenuti e i limiti dell’obbligo di fornire il servizio digitale o il contenuto digitale integrato: il venditore sarà tenuto ad assicurare la dazione di contenuti o servizi ulteriori rispetto a quelli essenziali, ove si sia impegnato in tal senso verso il compratore; così come, se il contratto non prevede la fornitura di alcun elemento digitale integrato, nemmeno quello essenziale, il venditore potrà limitarsi a consegnare un bene “scatola vuota”, idoneo ad ospitare uno o più contenuti digitali eventualmente destinati ad essere forniti da altri operatori economici.

Di ciò si trova una conferma in negativo al considerando 16 della dir. 771/2019/UE: l’autonomia rimane la fonte primaria dell’impegno del venditore, tanto che se si è “espressamente convenuto che il consumatore acquisti uno smartphone senza uno specifico sistema operativo”, e “il consumatore conclud[e] successivamente un contratto di fornitura di un sistema operativo da parte di un terzo […], la fornitura di un sistema operativo acquistato separatamente non dovrebbe far parte del contratto di vendita e quindi non rientrerebbe nell’ambito di applicazione della presente direttiva ma potrebbe rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva (UE) 2019/770, se le condizioni di tale direttiva sono soddisfatte”. Ove un contratto di vendita avente ad oggetto un bene con elementi digitali (ad es., un personal computer) non contempli la fornitura del contenuto digitale essenziale (nello stesso esempio, il sistema operativo), questo non sarà dovuto dal venditore, e starà al consumatore procurarsene uno, concludendo con un operatore economico terzo un contratto di fornitura retto dalla dir. 770/2019/UE. Al più, la caratteristica del bene con elementi digitali pretendibile presso il venditore sarà l’idoneità a ospitare elementi digitali.

Sarà dunque, in definitiva, il contratto di vendita a stabilire quando un elemento digitale debba effettivamente ritenersi integrato nel bene ai sensi della dir. 771/2019/UE (leggasi dovuto assieme al bene); non le caratteristiche merceologiche o tecnologiche del bene non dedotte nel contratto [21].

Stante la molteplicità e l’eterogeneità delle funzioni percepite come tipiche di determinati beni con elementi digitali, il legislatore europeo ha ritenuto opportuno lasciare al contratto la designazione degli elementi digitali dovuti dal venditore assieme alla componente materiale del bene, perseguendo un meritevole obiettivo di flessibilità in un contesto di valorizzazione dell’autonomia privata, lasciando comunque intatti quei dispositivi che garantiscono la deduzione nel contratto di vendita di quelle caratteristiche del bene oggetto di dichiarazioni pubbliche, di comunicazioni pubblicitarie o di etichettatura [22]. Il legislatore non vincola il venditore a consegnare un bene munito degli elementi digitali, ma grava lo stesso di taluni doveri ove si obblighi in tal senso.

Non ne deriva, comunque, una tutela deteriore per l’acquirente non professionale, vista la sostanziale identità delle tutele garantite a fronte di un difetto di conformità del bene con elementi digitali e di un difetto di conformità del contenuto o servizio digitale ex dir. 770/2019/UE; tutele che saranno pretendibili nei confronti del fornitore professionale dell’elemento digitale, ed entro cui comunque dev’essere garantita l’inte­grazione nell’ambiente hardware e software del consumatore [23].

Ogni potenziale effetto di confusione nell’individuazione della controparte contrattuale è poi risolto dalla dir. n 771/2019 per mezzo di una presunzione: ove sussistano dubbi o difficoltà nell’individuazione della controparte tenuta a fornire l’elemento digitale integrato nel bene, questo si presumerà rientrante nel contratto di vendita e, dunque, dovuto dal venditore [24]. Ciò a dire, nella sostanza, che toccherà al venditore dimostrare, in caso di dubbio, che l’elemento digitale integrato che il consumatore si aspettava di ricevere assieme al bene, non era in realtà da lui dovuto poiché non contrattualmente promesso.

La prassi mostra, comunque, che il fornitore del contenuto o del servizio digitale integrato, anche se dovuto dal venditore, è un soggetto diverso da quest’ultimo. Il venditore è di regola chiamato, piuttosto, ad assicurare che sia fornita al consumatore un’utilità da altri concepita e amministrata (si pensi, ad esempio, all’acquisto di uno smartphone presso un grande rivenditore di elettronica) [25].

La dir. n. 771/2019, pur tendenzialmente gravando il venditore dell’obbligo di fornire l’elemento digitale integrato (nonché i relativi aggiornamenti), non mira a sradicare questa dinamica, tipica dei rapporti giuridici afferenti a beni tecnologici [26]. Nemmeno il diritto europeo dei contratti dei consumatori “di parte generale”, peraltro, impedisce che al venditore si sostituisca, de facto o ex contractu, il professionista titolare del contenuto o del servizio integrato, purché non ne risulti diminuita la tutela da garantirsi al consumatore [27]. Sicché, a fornire l’elemento digitale sarà, in concreto, il produttore o un altro fornitore di elementi digitali, e non il venditore, che sarà tenuto piuttosto a garantire la fornitura del medesimo al consumatore.

Tale dinamica si accentua esponenzialmente, stante le peculiarità della prestazione nonché la rilevante attività preparatoria, nel caso dell’aggiornamento dell’elemento digitale integrato nel bene compravenduto. Non a caso il legislatore europeo, all’art. 18 dir. n. 771/2019, dedicato al diritto di regresso riconosciuto a favore del venditore, menziona espressamente l’omissione della fornitura degli aggiornamenti a norma dell’art. 7 par. 3 dir. cit. quale presupposto oggettivo dell’azione di regresso da esperirsi nei confronti della persona o delle persone responsabili nella catena di transazioni commerciali.


3. Tipi e finalità degli aggiornamenti dell’elemento digitale

Il bene con elementi digitali racchiude in sé una componente digitale che ne consente, di regola, la connessione alla rete internet, ciò che rende possibile la comunicazione diretta tra il software integrato e l’impresa produttrice [28]. Ne può conseguire, come evidenziato in dottrina, non solo la dissoluzione della signoria assoluta sul bene in capo al proprietario [29], ma anche un elevato rischio di interferenze nel godimento del bene con elementi digitali. Senza apprenderlo materialmente, soggetti diversi dal consumatore possono dialogare con il bene a distanza, talvolta senza che neppure il consumatore percepisca tale interazione, perseguendo scopi più o meno leciti.

Queste caratteristiche dei beni con elementi digitali sono contemplate dalla dir. 771/2019/UE allo scopo di imporre, in capo al venditore, una prestazione ulteriore rispetto all’obbligo di consegnare un bene conforme al contratto di vendita: l’obbligo di fornire gli aggiornamenti del contenuto o del servizio digitale integrato.

All’assenza di un’apposita disciplina della prestazione di aggiornamento del software incorporato in un bene mobile materiale, nel regime antecedente alla dir. n. 771/2019, è conseguita una diffusa percezione dell’arbitrio del professionista, produttore o venditore del bene con elementi digitali, che si è talvolta assicurato, grazie allo strumento delle condizioni generali, il potere di determinare unilateralmente i caratteri del­l’aggiornamento, come pure di decidere se metterlo a disposizione di tutti i consumatori o esclusivamente degli acquirenti delle più moderne versioni del bene, nonché di stabilire i tempi e modi della prestazione.

Talune imprese, poi, includono nelle condizioni generali di contratto applicate o nei meccanismi di funzionamento del software – anche allo scopo di mantenere il più possibile il controllo sull’elemento digitale integrato nel bene e, per esso, sulla domanda di beni [30] – una presunzione di assenso all’esecuzione dell’ag­giornamento, tale per cui viene fatto gravare sul consumatore l’onere di opporsi alla prestazione di aggiornamento di volta in volta offerta dal professionista, selezionando entro le impostazioni di gestione del bene l’opzione che gli consenta di recuperare la libertà di scelta. In difetto, il software procederà autonomamente all’esecuzione degli aggiornamenti man mano rilasciati dagli sviluppatori.

A risolvere tale asimmetria, la dir. 771/2019/UE riconosce al consumatore il diritto di pretendere e ottenere dal venditore, per un determinato periodo di tempo, determinati tipi di aggiornamenti dei contenuti e/o servizi digitali forniti assieme al bene ex contractu e sancisce, quantomeno in linea di principio, il diritto del consumatore di non eseguire l’aggiornamento propostogli.

Il riconoscimento di tale pretesa impone innanzitutto di circoscrivere l’oggetto della prestazione cui il venditore è tenuto.

In merito, si noti che l’art. 2 dir. 771/2019/UE, tradizionale disposizione definitoria, non presenta una definizione della nozione di “aggiornamento”. I suoi caratteri si evincono, però, dalle disposizioni ad esso dedicate dalla dir. n. 771/2019, nonché dalla gemella dir. n. 770/2019, che disciplina la prestazione di aggiornamento dei contenuti e ai servizi digitali non integrati in un bene, la quale grava, analogamente a quanto accade per il venditore, sull’operatore economico professionale che fornisca al consumatore un elemento digitale non integrato, in forza di un separato contratto di fornitura di contenuti digitali o di servizi digitali.

Al pari della fornitura del contenuto o del servizio digitale integrato, la prestazione dell’aggiornamento consiste nella messa a disposizione del consumatore-utente di un insieme di dati, teleologicamente orientati alla rappresentazione di un contenuto digitale o alla fornitura di un servizio digitale, da integrarsi nell’ambiente digitale del bene compravenduto. Nel caso dell’aggiornamento, però, i dati forniti e integrati nel bene sono volti a modificare e/o sostituire parte dei dati già messi a disposizione al momento della consegna, allo scopo di adeguarne o rinnovarne taluni caratteri o talune funzioni più o meno importanti.

Quanto agli obiettivi da realizzarsi nell’ambiente digitale del bene all’esito della prestazione di aggiornamento, emerge dalla dir. 771/2019/UE la partizione tra aggiornamenti contrattualmente convenuti – che, come si vedrà, sono in genere aggiornamenti di natura evolutiva – e aggiornamenti correttivi, a loro volta divisi in aggiornamenti di sicurezza e di conformità.

Ai sensi dell’art. 6, lett. d), dir. 771/2019/UE [31] sono aggiornamenti contrattualmente convenuti quelli in relazione ai quali le parti hanno raggiunto un accordo, consacrato nel contratto di vendita, e che il professionista si vincola a fornire proprio in forza del contratto. Le finalità di questi aggiornamenti non sono tipizzate dalla direttiva e paiono, in prima battuta, rimesse all’autonomia delle parti, poiché “possono migliorare e potenziare l’elemento di contenuto digitale o servizio digitale dei beni, ampliarne le funzionalità, adattarli agli sviluppi tecnici, proteggerli da nuove minacce alla sicurezza o servire ad altri scopi” [32].

Gli aggiornamenti correttivi, invece, sono disciplinati segnatamente dall’art. 7, par. 3 e 4, dir. 771/2019/UE [33] e costituiscono quel particolare insieme di aggiornamenti, anche di sicurezza, necessario al fine di mantenere nel tempo la conformità del bene con elementi digitali al contratto di vendita, oltre che a preservare un livello di sicurezza adeguato.

Ne consegue che gli aggiornamenti contrattualmente pattuiti non possono limitarsi a mantenere la conformità del bene, salvo il caso in cui il venditore non si offra di garantirli per un periodo ulteriore rispetto a quello previsto dalla direttiva.

Si delinea così anche a livello legislativo la partizione, propria della scienza informatica, tra update e upgrade [34].

L’aggiornamento di tipo update ha lo scopo di apportare correzioni di bug o modifiche in punto di sicurezza del sistema, senza comunque alterare il nucleo strutturale dell’elemento digitale integrato. L’upgrade comporta tendenzialmente il rilascio di una nuova versione della componente digitale e implica non solo rilevanti miglioramenti nel funzionamento del software, ma talvolta anche variazioni significative e sostanziali del medesimo, quali la modifica dell’interfaccia grafica o la possibile esecuzione di nuove funzionalità prima non disponibili; sicché ci riferisce ad essi con il termine aggiornamenti evolutivi [35].

Ebbene, sancisce la nuova direttiva europea che, salvo diverso accordo tra le parti, il venditore è obbligato a fornire al consumatore tutti e soli gli updates necessari e sufficienti a mantenere la conformità dei beni con i requisiti di conformità oggettivi e soggettivi, per un determinato periodo di tempo.

Non sussiste “salvo diversa disposizione contrattuale” alcun “obbligo di fornire versioni aggiornate dei contenuti o servizi digitali dei beni, né di migliorare o ampliare le funzionalità dei beni andando oltre i requisiti di conformità” [36]. Il venditore non potrà, salvo un autentico, esplicito e separato accordo con il consumatore, che presenti i requisiti di cui all’art. 7, par. 5, dir. 771/2019/UE – a meno che il contratto preveda la consegna al consumatore del bene “scatola vuota” – esimersi dal notificare e fornire quegli aggiornamenti atti a mantenere nel tempo e sotto ogni aspetto la conformità del bene con elementi digitali al contratto, anche in punto di durabilità e sicurezza. Egli non sarà, al contrario, tenuto a fornire gli upgrades, salvo che si obblighi in tal senso.

Si è opportunamente rilevata, stante le composite finalità perseguite dall’insieme di dati costituente l’aggiornamento, la necessità di individuare un criterio distintivo oggettivo tra update e upgrade [37]. Ciò per evitare che il professionista si sottragga agli obblighi impostigli dalla dir. 771/2019/UE quanto alla fornitura degli aggiornamenti correttivi, rappresentando questi ultimi come aggiornamenti evolutivi.

In merito, allo scopo di verificare quando si abbia effettivamente a che fare con un upgrade, si ritiene necessario accertare se l’esecuzione dell’aggiornamento comporti o meno un ampliamento significativo delle funzionalità dell’elemento digitale [38]. Non sarebbe sufficiente, per aversi un upgrade, un semplice miglioramento nelle funzionalità già assicurate dal bene: l’esecuzione dell’aggiornamento dovrebbe invece porre il consumatore di fronte a “una nuova versione del bene, con elementi nuovi di funzionalità, tali da configurare un «altro» bene rispetto a quello venduto” [39]. Solo in tal caso il consumatore non sarebbe legittimato a pretendere l’aggiornamento, se non promesso, dal momento che esso estenderebbe le funzionalità del bene oltre a quanto previsto dal contratto di vendita.

Tale interpretazione è senz’altro condivisibile, poiché fortemente orientata alla tutela della parte debole del rapporto contrattuale di consumo, che si vedrebbe così garantita la fornitura di ogni aggiornamento necessario per far sì che il bene acquistato rimanga in tutto e per tutto conforme alle previsioni contrattuali per il periodo di tempo previsto dalla direttiva.


4. La fornitura degli aggiornamenti: conformità al contratto e cooperazione del consumatore

La prestazione di update è posta a salvaguardia della conformità del bene con elementi digitali al contratto. Lo dimostra l’inserimento delle disposizioni relative agli aggiornamenti entro i già richiamati artt. 6 e 7 dir. 771/2019/UE, dedicati ai requisiti soggettivi e oggettivi di conformità. L’inclusione dell’obbligo di fornire gli aggiornamenti nel sistema della conformità al contratto implica che l’inadempimento totale o parziale di tale obbligo comporterà l’insorgenza di un difetto di conformità: ciò consentirà l’esperimento, da parte del consumatore, dei relativi rimedi, in cui è compreso “il diritto di sospendere il pagamento dell’intero corrispettivo pecuniario (o della porzione di corrispettivo ancora non versata) fino a quando il venditore non abbia provveduto ad eseguire le prestazioni cui è tenuto” [40].

Si tenga ben a mente che l’obiettivo degli aggiornamenti correttivi – mantenere nel tempo la conformità del bene digitale al contratto – si ascrive alla conformità dell’intero bene compravenduto e non della sola componente digitale integrata. È in questo senso inequivoca l’espressione utilizzata all’art. 7, par 3, dir. n. 771/2019, dove si prescrive doversi fornire al consumatore tutti gli aggiornamenti necessari al fine di mantenere nel tempo la conformità del bene con elementi digitali.

Il consumatore avrà pertanto interesse a esercitare i rimedi riconosciuti dalla direttiva non solo a fronte della fornitura di un aggiornamento digitalmente difettoso da parte del venditore, ma anche nell’ipotesi in cui l’esecuzione dell’aggiornamento, pur digitalmente integro, abbia arrecato difetti di conformità di natura materiale al bene; ivi compreso il caso di un aggiornamento che renda deteriore la capacità del bene di svolgere le proprie funzioni, attesa la rilevanza della durabilità quale criterio di conformità del bene al contratto, ciò che si riscontra, ad esempio, ove l’aggiornamento software determini un maggior consumo di energia e, dunque, un deterioramento inaspettato della batteria inserita nel dispositivo [41].

Si consideri inoltre, a sostegno di tale opinione, che, pur se la direttiva n. 771/2019 limita la responsabilità del venditore alla conformità al contratto del solo contenuto digitale o del solo servizio digitale integrato per il periodo ulteriore al biennio ove sia pattuita per tale periodo la fornitura continuata dell’elemento digitale integrato (v. art. 10, par. 2 dir. cit.), il professionista deve comunque garantire al consumatore che l’ele­mento digitale fornito nel periodo ultrabiennale sia dotato del carattere della compatibilità, nonché la sua corretta integrazione nell’ambiente digitale del consumatore [42].

I rimedi atti a ripristinare la conformità del bene ben possono essere esercitati, in definitiva, se si verifica non solo un difetto di conformità “digitale” dell’aggiornamento, ma anche un difetto di integrazione dell’ag­giornamento nel bene con elementi digitali che determini l’insorgenza e la manifestazione di un difetto “materiale” di conformità.

Ciò fermo, entro le pieghe della dir. 771/2019/UE si rinviene più di una regola quanto all’accertamento della conformità al contratto del bene con elementi digitali e alla durata della responsabilità del venditore. Ciò influenza gli aspetti temporali della prestazione di aggiornamento, stante il rinvio operato dall’art. 7, par. 3, lett. b) all’art. 10, par. 2 e 5, dir. 771/2019/UE.

Se, in linea generale, per procedere all’accertamento della conformità del bene con elementi digitali al contratto il consumatore dovrà attendere la consegna dell’intero bene, sia nella sua componente fisica, sia in quella digitale, la presenza di un difetto di conformità di natura esclusivamente materiale – beninteso non causato da un aggiornamento difettoso – dovrà essere accertata facendo riferimento al momento della consegna del bene (art. 10, par. 1, dir. 771/2019/UE). Quanto, invece, all’accertamento della conformità “digitale” del bene compravenduto al contratto, si deve considerare che le direttive gemelle distinguono tra contenuti e servizi digitali (integrati) per cui si prevede un singolo atto di fornitura (una singola “consegna”) e contenuti e servizi digitali (integrati) da fornirsi continuativamente entro un determinato arco di tempo.

Si impone pertanto, innanzitutto, la necessità di segnare un confine oggettivo tra il caso della fornitura singola e quello della fornitura continuata, attese le conseguenze derivanti dall’inquadramento dell’impegno del professionista nell’una o nell’altra ipotesi [43].

Un utile indice potrebbe trarsi dall’art. 5 dir. 770/2019/UE, relativo all’adempimento dell’obbligo di fornitura del contenuto o del servizio digitale, che distingue tra accesso al dato e download del dato, ammettendoli entrambi ai fini dell’esatto adempimento della prestazione [44].

Questa distinzione, pur propria della dir. n. 770/2019, può riferirsi anche agli elementi digitali integrati nei beni, stante l’ontologica omogeneità dell’elemento digitale integrato e dei contenuti e servizi digitali non integrati. Si è infatti esposto che a segnare la differenza tra questi vi è, piuttosto, il titolo in forza del quale la fornitura dell’elemento digitale deve eseguirsi (nel primo caso il contratto di vendita; nel secondo il contratto di fornitura disciplinato dalla dir. 770/2019/UE).

La bipartizione accesso – download marca, a parere di chi scrive, anche la linea di confine tra fornitura singola e fornitura continuata dell’elemento digitale, il primo rispondendo in genere allo schema del download, il secondo a quello dell’accesso.

Quando al consumatore è garantita la possibilità di scaricare un dato sul proprio device in via definitiva, e per accedervi egli non avrà più bisogno di comunicare telematicamente con i server del professionista, allora il contenuto o il servizio digitale sarà oggetto di una singola fornitura. Il dato, in tale ipotesi, si troverà nella disponibilità del consumatore a tempo indeterminato. A tale adagio si adattano anche le ipotesi della fornitura singola di un servizio digitale integrato che consenta di creare, trasformare o memorizzare dati. All’esito di tali operazioni, infatti, in genere il consumatore può scaricare i dati creati o trasformati sul proprio hardware.

Se invece il professionista si è obbligato a fornire al consumatore l’accesso ai dati per un determinato periodo di tempo, senza garantirgli un libero download – e, più in generale, ogniqualvolta per usufruire del contenuto o del servizio si debba in qualche modo accedere al medesimo, anche tramite un collegamento internet – si avrà a che fare con un contratto di durata. L’obbligazione del professionista ha ad oggetto la fornitura al consumatore dell’accesso al contenuto o al servizio per tutto il periodo di tempo pattuito; egli deve inoltre garantire entro tale tempo la conformità di quanto promesso e fornito.

Si pensi, a mo’ di esempio, all’acquisto di un riproduttore musicale in cui sia garantita, in quanto pattuita tra venditore e consumatore, la disponibilità di una serie di brani in formato mp3, per la prima ipotesi; o all’acquisto di un riproduttore musicale in occasione della quale sia pattuita la fornitura di un servizio di streaming musicale per il periodo di tre anni, per la seconda.

Ebbene, per gli elementi digitali del bene oggetto di un singolo atto di fornitura, la conformità al contratto deve essere accertata al momento della consegna del bene, comprensivo sia dell’elemento materiale, sia dell’elemento digitale, o al momento della fornitura di quest’ultimo se successiva alla consegna della componente materiale [45]. Sicché, anche in tale ipotesi, il momento di valutazione della conformità del bene al contratto corrisponde alla sua consegna integrale al consumatore.

Per i contenuti o servizi digitali da fornirsi continuativamente per un determinato arco di tempo, che rispondono piuttosto allo schema dell’accesso, l’accertamento della conformità del bene al contratto non avviene in un “momento preciso nel tempo, bensì [in] un periodo di tempo decorrente dal momento della consegna”. Di qui l’utilizzo, all’art. 10, par. 2, dir. 771/2019/UE, delle espressioni “si verifica o si manifesta”, in luogo del solo “manifesta” di cui all’art. 10, par. 1, dir. 771/2019/UE. Il difetto di conformità ben può verificarsi in un momento successivo a quello della consegna del bene, comprensivo dei suoi elementi digitali, già conforme al contratto [46]. Il professionista dovrà garantire che il contenuto o il servizio digitale integrato e fornito continuativamente sia conforme e rimanga conforme al contratto per un periodo di tempo almeno biennale, o per il maggior periodo di tempo pattuito tra le parti, se la fornitura del contenuto o del servizio supera la biennalità. Per tutta la durata di tale periodo di tempo, inoltre, spetterà al venditore l’onere della prova della conformità al contratto del contenuto o del servizio digitale fornito insieme al bene [47].

In definitiva, può affermarsi che a marcare l’applicazione dell’una o dell’altra regola si pongono le modalità e i tempi di accesso e/o di download dei dati promessi, ovvero del servizio contrattualmente dovuto, e non tanto la natura intrinseca del contenuto – che, in quanto composto da dati, può essere scaricato oppure fruito accendendovi – o del servizio promesso.

Si giustifica poi, alla luce di questo quadro, un mutamento di prospettiva in relazione alla cornice temporale della conformità del bene al contratto, che da fattispecie sostanzialmente statica, “istantanea” [48], assume ora la dir. 771/2019/UE, alcuni aspetti di dinamicità [49], tanto da essere stata designata in dottrina quale “conformità di seconda generazione” [50].

Peraltro, anche le prestazioni dovute dal venditore del bene con elementi digitali per garantire la conformità del bene al contratto assumono ab origine un carattere dinamico. Si può difatti affermare che, una volta adempiuto l’obbligo di consegnare il bene conforme al contratto, mentre sotto l’impero della dir. 1999/44/CE il venditore si situava in una posizione meramente passiva, in attesa dell’eventuale manifestazione del difetto di conformità, oggi al venditore di un bene con elementi digitali è imposto l’obbligo non solo di eliminare, ma anche di prevenire del difetto, mediante la predisposizione, la notifica e la fornitura al consumatore degli aggiornamenti conformativi. Se così non fosse, non sarebbe possibile attribuire significati e contenuti differenti all’obbligo di fornire gli aggiornamenti correttivi, da un lato, e alla prestazione di riparazione del bene già dimostratosi difettoso, dall’altro, posto che entrambi mirano, pur se da prospettive diverse, alla conformità del bene al contratto.

Dovrebbe risultare chiaro da quanto esposto che la prestazione di aggiornamento è protratta nel tempo. Si pone, pertanto, la questione della sua delimitazione temporale, ciò che comporta invero conseguenze anche sulla durata della garanzia di conformità. In merito, l’art. 7, par. 3, dir. 771/2019/UE sancisce l’obbligo del venditore di notificare e fornire al consumatore gli aggiornamenti, compresi gli aggiornamenti della sicurezza, necessari al fine di mantenere la conformità del bene con elementi digitali per un periodo di tempo determinato.

La durata di tale impegno differisce a seconda del tipo di fornitura (singola o continuata) dell’elemento digitale, secondo la distinzione già delineata.

Non si riscontra, invero, alcun problema interpretativo in riferimento alla fornitura continuativa del contenuto digitale o del servizio digitale nell’arco di un periodo di tempo: il venditore, in tal caso, è tenuto a fornire gli aggiornamenti correttivi dell’elemento digitale per un periodo di almeno due anni, decorrenti dalla consegna del bene; ovvero per il maggior periodo di tempo, previsto dal contratto, durante il quale il venditore è tenuto alla fornitura continua del contenuto o del servizio.

In altre parole, sintantoché il venditore debba garantire al consumatore l’accesso al contenuto o al servizio digitale integrato, dovrà fornire i relativi aggiornamenti correttivi e, dunque, dovrà garantire la conformità del bene digitale al contratto anche per ogni dimensione della stessa concernente l’aggiornamento.

Maggiori dubbi applicativi si pongono, invece, per il caso in cui sia contrattualmente previsto un unico atto di fornitura del contenuto o del servizio digitale integrato. A mente dell’art. 7, par. 3 lett. a), dir. 771/2019/UE, il venditore, in tal caso, sarà tenuto a fornire gli aggiornamenti correttivi per il periodo di tempo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, date la tipologia e la finalità dei beni e degli elementi digitali, e tenendo conto delle circostanze e della natura del contratto.

Il legislatore europeo ha optato per l’utilizzo del criterio della ragionevolezza, da declinarsi in modo oggettivo, “al fine di conciliare l’esigenza della certezza giuridica con un’adeguata flessibilità delle norme giuridiche” [51]. È lo stesso a chiarire che “un consumatore dovrebbe normalmente aspettarsi di ricevere gli aggiornamenti per un periodo almeno pari a quello di responsabilità per il difetto di conformità del venditore, mentre in taluni casi la ragionevole aspettativa del consumatore potrebbe estendersi oltre detto periodo, in particolare come nel caso degli aggiornamenti di sicurezza. In altri casi, ad esempio per i beni con elementi digitali le cui finalità sono limitate nel tempo, l’obbligo incombente al venditore di fornire gli aggiornamenti sarebbe di norma limitato a tale periodo” [52]. Vi è pertanto la necessità di accertare, declinando caso per caso la clausola di ragionevolezza, la durata dell’obbligo di fornire gli aggiornamenti. Si ha a che fare con un impegno adattabile a seconda della natura e delle circostanze ed estendibile anche oltre al biennio di responsabilità previsto dalla dir. 771/2019/UE, a seconda dei caratteri dell’oggetto dello specifico rapporto contrattuale. Talvolta, gli aggiornamenti non saranno neppure dovuti (si pensi al download di un brano musicale in formato mp3 o alla fornitura istantanea di un servizio digitale integrato); talaltra, nel caso di beni particolarmente complessi e durevoli, lo saranno per un periodo di tempo pari alla durata del ciclo di vita utile del bene.

Ne deriva, a parere di chi scrive, il rischio di minare la prevedibilità ex ante del quantum della prestazione d’aggiornamento, e dunque di parte dei rapporti economici aventi ad oggetto beni digitali. Fermo il dovere di garantire la conformità del bene con elementi digitali entro il biennio dalla consegna, agendo anche preventivamente tramite la fornitura dell’aggiornamento, nel caso della fornitura “singola” né il professionista, né il consumatore sono in grado di predeterminare l’effettivo protrarsi nel tempo dell’impegno di fornire gli aggiornamenti di sicurezza, beninteso se tale aspetto non sia stato pattiziamente regolato.

Sussistono evidenti difficoltà nel delimitare ex ante l’oggetto della prestazione di aggiornamento dell’elemento digitale integrato una volta decorso il biennio di responsabilità, posto comunque che è doveroso per il professionista garantire la conformità dell’elemento digitale integrato fornito alle discipline imperative, una tra tutte il Reg. (UE) n. 679/2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali [53].

Quanto esposto comporta, quantomeno nel caso di vendita di beni con elementi digitali che comportano il trattamento di dati personali, che la prestazione di aggiornamento è da ritenersi dovuta anche per un periodo di tempo successivo al decorso del termine biennale di responsabilità ex art. 10 dir. 771/2019/UE, sì da adattare il bene alla prevenzione dei nuovi rischi per la sicurezza informatica. Sicurezza informatica del bene che dovrebbe essere peraltro sempre garantita, atteso che, essendo il bene con elementi digitali finalizzato a soddisfare esigenze personali o familiari, a rischio è il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Dal dovere di fornire l’aggiornamento deriva, poi, l’allungamento del termine di responsabilità del venditore per il difetto di conformità variamente collegato all’esecuzione dello stesso. L’art. 10, par. 1, dir. 771/2019/UE indica difatti che, nel caso di beni con elementi digitali, il termine di responsabilità del venditore si arresta al biennio “fatto salvo l’articolo 7, paragrafo 3”: il venditore, nonostante il decorso del periodo biennale, sarà chiamato, per un periodo di tempo ulteriore e ragionevole, a fornire taluni aggiornamenti correttivi, soprattutto in punto di sicurezza, e a garantire che tali aggiornamenti mantengano la conformità del bene.

In definitiva, può affermarsi che la responsabilità del venditore oltrepassi il biennio non solo per quel difetto che deve essere prevenuto tramite la dazione dell’aggiornamento correttivo, ma anche per quel difetto che sia causalmente collegato all’esecuzione di quell’aggiornamento.

Pare inoltre utile chiarire che, nonostante il silenzio della dir. 771/2019/UE sul punto, la fornitura degli aggiornamenti di mantenimento da parte del venditore debba avvenire senza spese per il consumatore, al pari dei rimedi della riparazione e della sostituzione, alla luce dell’identità di fini dei medesimi; ciò anche per quegli aggiornamenti conformativi che vengano forniti dopo il decorso del biennio.

Se a una tale impostazione conseguono maggiori oneri per il venditore in termini di sorveglianza dei beni digitali messi in circolazione, anche il ruolo del consumatore risulta imprescindibile nel sistema degli aggiornamenti.

La prestazione dell’aggiornamento comporta, difatti, la necessaria cooperazione del creditore, chiamato a installare o eseguire l’aggiornamento fornito sul proprio device.

Pur se, in linea di principio, si afferma che “il consumatore dovrebbe mantenere la facoltà di scegliere se installare gli aggiornamenti forniti” [54], si pone una sorta di onere di installazione degli aggiornamenti correttivi a carico del consumatore [55].

A mente dell’art. 7, par. 4, dir. 771/2019/UE, ove il venditore abbia adeguatamente informato il consumatore della disponibilità dell’aggiornamento e delle conseguenze della mancata installazione dello stesso, nonché ove abbia fornito istruzioni di installazione dell’aggiornamento chiare, comprensibili ed efficaci, e nonostante ciò il consumatore si sia determinato a non procedere alla sua esecuzione, il venditore sarà esonerato dalla responsabilità per qualsiasi difetto di conformità strettamente collegato alla mancata esecuzione dell’aggiornamento reso disponibile.

In altre parole, all’esercizio della “facoltà” di non installare l’aggiornamento correttivo fornito dal venditore, se accompagnato da un’adeguata informativa, consegue l’esonero del venditore dalla responsabilità per ogni difetto di conformità che l’esecuzione dell’aggiornamento avrebbe prevenuto o risolto.

Si tratta di un’opzione condivisibile, che orienta il comportamento del consumatore verso l’installazione di quegli aggiornamenti necessari a tutelare sia l’interesse del singolo alla conformità al contratto, sia l’interesse dell’intera comunità di utilizzatori del medesimo tipo di bene a che siano diffusamente utilizzati beni con elementi digitali dotati di un adeguato livello di protezione complessiva [56]. Rimane comunque, alla luce della stretta relazione tra la disciplina degli aggiornamenti e la conformità del bene al contratto, confermata peraltro anche all’art. 7, par. 5, dir. 771/2019/UE [57], che la fornitura di un aggiornamento difettoso o carente consente al consumatore di avvalersi dei rimedi di cui agli artt. 13-16 della dir. 771/2019, compresa la riparazione del bene declinata nella pretesa a ottenere un ulteriore aggiornamento correttivo.


5. La disciplina di attuazione italiana (d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170)

Il legislatore italiano ha dato attuazione alla dir. 771/2019/UE con il d.lgs. 4 novembre 2021, n. 170 [58], le cui disposizioni acquistano efficacia a partire dalla data del 1° gennaio 2022 e trovano applicazione ai contratti conclusi successivamente alla medesima.

In linea generale le disposizioni del d.lgs. n. 170/2021, che hanno emendato gli artt. 128 ss. cod. cons., non mostrano differenze sostanziali rispetto alla disciplina delineata dalla dir. n. 771/2019, in ossequio al canone dell’armonizzazione massima prescritto dalla direttiva, che comporta l’impossibilità, per il legislatore nazionale, di mantenere o adottare nel diritto nazionale “disposizioni divergenti da quelle stabilite dalla […] direttiva, incluse le disposizioni più o meno severe per garantire al consumatore un livello di tutela diverso” [59].

Possono comunque segnalarsi talune novità rispetto al testo della direttiva introdotte in sede di recepimento, alcune delle quali potrebbero dimostrarsi non prive di rilievo.

Si rinviene innanzitutto una diversa nozione di venditore, che il novellato art. 128, comma 2, lett. c), cod. cons. indica essere non solo “qualsiasi persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, anche tramite altra persona che agisca in suo nome o per suo conto, utilizza i contratti di cui al comma 1, primo periodo”, ma anche “il fornitore di piattaforme se agisce per finalità che rientrano nel quadro della sua attività e quale controparte contrattuale del consumatore per la fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali”.

Trattasi di una precisazione quantomeno oscura: se l’obiettivo del legislatore italiano è quello di esercitare la “facoltà di estendere l’applicazione della […] direttiva ai fornitori di piattaforme che non soddisfano i requisiti per essere considerati un venditore ai sensi della presente direttiva” (che l’appena citato considerando 23 già indica sussistere quando la piattaforma agisce “per finalità che rientrano nel quadro delle loro attività e in quanto partner contrattuali diretti del consumatore per la vendita di beni”), dalla precisazione del legislatore italiano si dovrebbe dedurre che la piattaforma coinvolta nella vendita del bene con elementi digitali quale fornitrice dell’elemento digitale integrato, e non già del bene nella sua totalità, dovrebbe reputarsi alla stregua di venditrice del bene stesso.

Da ciò potrebbe forse conseguire la possibilità per il consumatore di rivolgersi al fornitore di piattaforme per ottenere gli aggiornamenti dell’elemento digitale integrato avvalendosi delle disposizioni della dir. 771/2019/UE anche quando, nel quadro dell’operazione di vendita, la piattaforma abbia agito come “controparte contrattuale del consumatore per la fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali”, in un ambito che potrebbe essere piuttosto ricondotto nell’alveo delle disposizioni introdotte nel Codice del consumo dal d.lgs. 4 novembre 2021, n. 173 di recepimento della dir. n. 770/2019; ciò postulerebbe, comunque, un coinvolgimento diretto della piattaforma nell’operazione contrattuale di vendita. I dubbi sul punto sono peraltro amplificati dal fatto che il novello art. 135-octies cod. cons. include, nella nozione di professionista, per quanto di competenza della dir. n. 770, “il fornitore di piattaforme se agisce per finalità che rientrano nel quadro della sua attività e in quanto controparte contrattuale del consumatore per la fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali”.

Nella nozione di bene con elementi digitali si nota, poi, l’introduzione dell’aggettivo “proprie”, riferito a quelle funzioni del bene il cui svolgimento si vedrebbe impedito dalla mancanza del contenuto o del servizio digitale integrato. Trattasi, comunque, di una modifica marginale, che non consente di modificare i termini del ragionamento già sopra espresso. Anche le disposizioni di attuazione italiane evidenziano che le funzioni (proprie) del bene sono solo ed esclusivamente quelle dedotte nel contratto.

Per quanto di maggior interesse, si segnala che la disciplina degli aggiornamenti di mantenimento si vede collocata non nelle disposizioni più strettamente legate alla conformità (oggettiva) del bene, quanto piuttosto in una disposizione, il novellato art. 130 cod. cons., genericamente dedicata agli obblighi del venditore e alla condotta del consumatore.

Ciò accentua gli aspetti dinamici della prestazione cui è chiamato il venditore di un bene con elementi digitali, che si proietta a pieno titolo nel futuro, in momento successivo alla consegna; ma non può produrre, tuttavia, la conseguenza di attrarre il regime dell’inadempimento dell’obbligo di fornire gli aggiornamenti, conformativi o migliorativi, nell’alveo dell’art. 1218 cod. civ. Di ciò una conferma testuale si trova all’art. 129 cod. cons. – che annovera la fornitura degli aggiornamenti nei requisiti soggettivi di conformità, presupponendo la soglia minima della prestazione come declinata all’art. 130, comma 2, cod. cons. – nonché all’art. 133, comma 1, cod. cons., che mantiene “fermo quanto previsto all’art. 130, comma 2, cit.; conseguenza che sarebbe comunque impedita dall’art. 135-septies, comma 2, cod. cons., che ostacola l’applicazione, per quanto previsto e disciplinato dal capo I del Titolo III del codice, di tutte le “altre disposizioni aventi l’effetto di garantire al consumatore un diverso livello di tutela”. Alla mancata fornitura degli aggiornamenti consegue, anche nel regime italiano, l’esperibilità dei rimedi di cui agli artt. 135-bis ss. cod. cons., e non dei rimedi “generali” fondati sull’inadempimento di obbligazioni scaturenti da contratti a prestazioni corrispettive.

Si segnala inoltre, che il legislatore italiano ha dato all’obbligo di notifica della disponibilità dell’ag­gior­namento, previsto all’art. 7, par. 3, dir. n. 771, le forme di un vero e proprio nonché più congeniale obbligo di informazione: l’attuale art. 130, comma 2, cod. cons. obbliga il venditore “a tenere informato il consumatore sugli aggiornamenti disponibili […] e a fornirglieli”. Non si tratta di un obbligo precontrattuale di informazione, bensì di un’informazione da fornirsi, piuttosto, nel corso di tutta la durata del rapporto di consumo e al momento opportuno.

Ritenendo doveroso che tali informazioni siano fornite in lingua italiana, in modo chiaro e comprensibile, con modalità adeguate al mezzo di comunicazione utilizzato, nonché più in generale “tali da assicurare la consapevolezza del consumatore” (art. 5 cod. cons.), si può argomentare ex art. 130, comma 3, cod. cons. che i contenuti dell’informativa comprendano la disponibilità e i contenuti dell’aggiornamento, le conseguenze derivanti dalla mancata esecuzione nonché le istruzioni, necessarie e sufficienti, perché il consumatore proceda autonomamente all’installazione.

Di più oscura comprensione risulta, invece, il rinvio operato dall’art. 130, comma 2, lett. b) cod. cons. al parametro temporale indicato all’art. 133 comma 2 o 3 cod. cons. “a seconda dei casi”, per la determinazione della durata dell’obbligo di fornire gli aggiornamenti di mantenimento in caso di fornitura continuata dell’elemento digitale integrato.

Fermo che, nel caso della fornitura continuata nel tempo, l’obbligo di fornire gli aggiornamenti perdura per un minimo di due anni decorrenti dalla consegna del bene, ovvero per il maggior periodo previsto dal contratto per la fornitura continuata dell’elemento digitale (qui il rinvio all’art. 130, comma 2, cod. cons.), a parere di chi scrive il rinvio all’art. 132, comma 3, cod. cons., il cui fine è comunque la quantificazione temporale della prestazione, deve significare che, in caso di difetto di conformità dolosamente occultato dal venditore, questi non sarà, nonostante il decorso del periodo di tempo all’uopo prescritto dalle lett. a) e b) del novellato art. 130, comma 2, cit., esonerato dalla fornitura dell’aggiornamento idoneo a eliminare il difetto; egli dovendo peraltro comunque agire preventivamente per prevenire il manifestarsi del difetto, fornendo l’aggiornamento.

Si rileva poi l’utilizzo dell’aggettivo “congruo” in luogo di “ragionevole” con riguardo al termine entro il quale il consumatore è tenuto a eseguire gli aggiornamenti correttivi opportunamente fornitigli dal professionista, sull’onda di quanto già avvenuto in occasione dell’attuazione dell’art. 3 della dir. 1999/44/CE nel previgente art. 130 cod. cons.; non mutano, evidentemente, i criteri da utilizzarsi per la declinazione della clausola generale nel caso concreto.

In conclusione, dalla trasposizione della dir. n. 771/2019 nell’ordinamento italiano consegue che la fornitura dell’aggiornamento rappresenta una delle obbligazioni principali del venditore del bene con elementi digitali nell’ambito dei rapporti b2c.

Seguendo il tradizionale schema dell’art. 1476 cod. civ., all’obbligo di consegnare il bene (in senso materiale e digitale), a quello di trasferire la proprietà del bene nella sua componente materiale [60] quando l’acqui­sto non si effetto immediato del contratto, e a quello di consegnare un bene conforme al contratto di vendita, che sia anche privo di vizi giuridici e che contempli un elemento digitale integrato effettivamente fruibile, si aggiunge l’obbligo di fornire i relativi aggiornamenti.

Atteso l’obbligo di consegnare beni conformi al contratto e l’attività preparatoria all’adempimento dell’obbligazione di aggiornamento che, sia nel caso di aggiornamento conformativo ma ancor di più in quello dell’aggiornamento evolutivo, implicano la predisposizione delle qualità e caratteristiche che il bene e l’elemento digitale si vedono attribuite in futuro, l’obbligo gravante sul venditore di beni con elementi digitali può avere ad oggetto precipuo il modo di essere presente e futuro della cosa.


6. Considerazioni conclusive

Non può che salutarsi con favore, attesa l’ampia diffusione dei beni con elementi digitali, il riconoscimento a favore del consumatore-acquirente del diritto di ottenere ogni aggiornamento della componente digitale del bene ottenuta assieme allo stesso, che sia atto a mantenere, pur se talvolta entro un breve periodo di tempo, la conformità del bene al contratto di vendita. Stante l’inserimento della disciplina degli aggiornamenti entro i requisiti di conformità del bene, oggetto di armonizzazione massima, trattasi di una tutela che dovrà trovare uniforme applicazione entro tutto il territorio dell’Unione, anche se ciò ha generato taluni passi indietro nella tutela del consumatore, segnatamente nell’ordinamento francese dove all’obbligo di fornire aggiornamenti era stata attribuita una durata temporale più estesa [61].

La rapidità dell’evoluzione tecnologica e l’imperioso avanzare delle istanze in materia di sostenibilità dei consumi, tuttavia, rischiano tuttavia di rendere già obsoleta la disciplina di nuovo conio.

La Commissione europea ha difatti già manifestato, sia nel Nuovo piano d’azione per l’economia circolare [62], sia nella Nuova Agenda dei consumatori [63], la volontà di proporre, nel prossimo futuro, modifiche alle disposizioni della dir. 771/2019/UE. Si tratta di un primo segnale della rapida obsolescenza della dir. 771/2019/UE, che ha deluso le aspettative dei portatori di talune istanze, una su tutte quella relativa all’in­staurazione di una economia realmente circolare e sostenibile [64]. Sul punto, quanto al tema della sostenibilità ambientale dei beni compravenduti, godranno di ampia rilevanza le misure di esecuzione della dir. 2009/125/CE (c.d. direttiva Ecodesign) [65]. Nel nuovo piano d’azione per l’economia circolare [66] la Commissione ha affermato l’intenzione di estendere l’ambito applicativo della “direttiva concernente la progettazione ecocompatibile al di là dei prodotti connessi all’energia, in modo che il quadro della progettazione ecocompatibile possa applicarsi alla più ampia gamma possibile di prodotti e rispetti i principi della circolarità”.

Nell’ambito di questa disciplina, la Commissione UE prevede “il miglioramento della durabilità, della riutilizzabilità, della possibilità di upgrading e della riparabilità dei prodotti” [67]. Ci si attende, dunque, che la Commissione europea intervenga sulle disposizioni relative al design dei beni con elementi digitali, assicurando un periodo di tempo minimo, positivamente stabilito, entro cui il produttore sia tenuto a garantire gli aggiornamenti correttivi, nonché la garanzia di poter procedere all’upgrade dell’elemento digitale integrato, non contemplata dall’attuale disciplina.

Neppure la disciplina degli aggiornamenti risulta di per sé esente da critiche. Essa si fonda ampiamente, anche nella disciplina attuativa italiana, sulla clausola di ragionevolezza che, reclamando una declinazione nel caso concreto, non stabilisce confini certi alla prestazione dovuta dal professionista e specularmente pretendibile dal consumatore. Non risulta inoltre rappresentare un significativo incentivo alla durabilità dei beni con elementi digitali. L’assenza di un perimetro definito della prestazione dovuta, e in particolare l’incer­tezza – perlomeno in una prima fase, priva di pronunce giurisprudenziali sul punto – sulla durata dell’im­pegno del professionista di fornire gli aggiornamenti ove la componente digitale del bene sia oggetto di un singolo atto di fornitura (ciò che avviene normalmente, tra gli altri, per i sistemi operativi di smartphones, smart TV e personal computers) [68] dovrebbe condurre a interpretare rigorosamente la ragionevolezza del periodo di tempo in cui è richiesto l’impegno del venditore, secondo un criterio obiettivo parametrato sulle aspettative del consumatore [69], anche in base alla natura e allo scopo del contratto, alle circostanze della fattispecie, agli usi e alle pratiche vigenti presso le parti interessate [70]. Ne dovrebbe derivare un impegno del professionista, quantomeno in punto di aggiornamenti di sicurezza, che accompagni l’intero periodo di commercializzazione o l’intero ciclo di vita del bene con elementi digitali, attesi gli interessi personali del consumatore che entrano in gioco quando si discorre di beni con elementi digitali, di dati personali da questi raccolti ed elaborati e di disciplina del trattamento dei medesimi, in particolar modo quando il bene è finalizzato al soddisfacimento di bisogni familiari o intimi [71].

Si rileva poi l’assenza, nella dir. 771/2019/UE e nelle relative norme di attuazione, di una disposizione dal tenore simile a quello dell’art. 19 dir. 770/2019/UE, presente invece nell’ordinamento francese [72] e trasposta, ad opera del d.lgs. 4 novembre 2021, n. 173 di recepimento della dir. 770 cit., nell’attuale art. 135-vicies semel Cod. cons.; disposizione che non solo garantisce al consumatore-utente di recedere dal contratto di fornitura di contenuti o servizi digitali di durata a fronte di modifiche significative e unilaterali del medesimo da parte del professionista, ma altresì stimola quest’ultimo ad assicurare al consumatore la possibilità di non eseguire l’upgrade [73].

Pare conseguirne, però, che la possibilità di variare il contenuto o il servizio digitale integrato “oltre a quanto è necessario per mantenere la conformità”, salvo diversa disposizione contrattuale, sarebbe preclusa al venditore di un bene con elementi digitali.

Risulta altresì necessario indagare sulla compatibilità tra le disposizioni sulla vendita di beni con elementi digitali e la fornitura, da parte del professionista, di aggiornamenti c.d. inscindibili.

È prassi invalsa degli operatori del mercato fornire agli utenti aggiornamenti che, al tempo stesso, comportino sia interventi in punto di sicurezza dell’elemento digitale integrato, sia l’upgrade del medesimo. L’interprete è chiamato a comprendere, cioè, se la dir. 771/2019/UE riconosca al consumatore, in qualche modo, il diritto di non procedere all’upgrade e, al tempo stesso, di ricevere dal professionista aggiornamenti di sicurezza adatti alla “vecchia” versione dell’elemento digitale integrato.

Posta l’enunciazione di principio secondo cui il consumatore avrebbe il diritto di non procedere all’instal­lazione degli aggiornamenti, e stante che, a mente dell’art. 7, par. 4, dir. 771/2019/UE, l’esonero dalla responsabilità per il difetto di conformità derivante dalla mancata installazione dell’aggiornamento si limita alla mancata esecuzione volontaria degli aggiornamenti correttivi, il consumatore non dovrebbe subire alcuna conseguenza negativa dalla decisione di non installare un aggiornamento diverso dall’update. Qualora il professionista stabilisca di fornire agli utenti un upgrade che “inglobi” al contempo un aggiornamento di sicurezza, i consumatori dovrebbero dunque vedersi garantita la possibilità di procedere alla sola esecuzione di quest’ultimo. Peraltro, la fornitura di un aggiornamento “misto” denoterebbe la necessità di un intervento di sicurezza, sicché l’impossibilità di scindere l’aggiornamento, e di installare dunque solo i pacchetti di dati necessari a mantenere la sicurezza del bene, comporterebbe la verosimile presenza di un difetto di conformità nella componente digitale integrata.

Non sembra tuttavia essere questa l’interpretazione prevalente delle disposizioni relative agli aggiornamenti contenute nella dir. 771/2019/UE. Nella “Risoluzione verso un mercato unico più sostenibile per imprese e consumatori” [74] il Parlamento europeo ha evidenziato la necessità di riporre particolare attenzione, “nell’ambito della revisione della direttiva (UE) 2019/771”, alla disciplina dei “beni contenenti elementi digitali”, tenendo in considerazione che “gli aggiornamenti correttivi – ossia gli aggiornamenti di sicurezza e di conformità – devono continuare per tutta la durata di vita prevista del dispositivo, a seconda della categoria di prodotto” e che “gli aggiornamenti correttivi dovrebbero essere tenuti separati dagli aggiornamenti evolutivi, che devono essere reversibili”. Si evidenzia altresì la necessità di garantire che “nessun aggiornamento deve mai ridurre le prestazioni o la capacità di risposta dei beni” nonché l’importanza di un’adeguata informazione in merito alla fornitura degli aggiornamenti [75].

Non resta che auspicare che il legislatore europeo tenga in considerazione gli auspici del Parlamento UE in sede di revisione della tanto attesa dir. 771/2019/UE.


NOTE

[1] Direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 maggio 2019 relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE, in G.U.C.E. n. L 136 del 22 maggio 2019, 28 ss., sulla quale v. G. De Cristofaro, Verso la riforma della disciplina delle vendite mobiliari B-to-C: l’attuazione della dir. UE 2019/771, in Riv. dir. civ., 2021, 205 ss.; T. Dalla Massara, L’imminente attuazione della Dir. UE 2019/771 e il problema del coordinamento con il codice civile: una proposta per il futuro art. 135 c. cons., in Corr. Giur., 2021, 1278 ss.; G. Alpa, Aspetti della nuova disciplina delle vendite nell’Unione europea, in Contr. impr., 2019, 825 ss.; E. Ferrante, La direttiva 19/771/UE in materia di vendita a consumo: primi appunti, in Annuario del contratto 2018, Giappichelli, 2019, 23 ss.; F. Addis, Spunti esegetici sugli aspetti dei contratti di vendita di beni regolati nella nuova direttiva (UE) 2019/771, in Nuovo dir. civ., 2, 2020, 5 ss.; A. Barenghi, Osservazioni sulla nuova disciplina delle garanzie nella vendita di beni di consumo, in Contr. impr., 2020, 806 ss.; M. Faccioli, La nuova disciplina europea della vendita di beni ai consumatori (dir. (UE) 2019/771): prospettive di attuazione delle disposizioni sui termini, in Nuove leg. civ. comm., 1, 2020, 250 ss.; S. Mazzamuto, Il contratto di diritto europeo4, Giappichelli, 2020, 476 ss.; S. Pagliantini., Il diritto privato europeo in trasformazione, Giappichelli, 2020, 1 ss.; C. Sartoris, La risoluzione della vendita di beni di consumo nella dir. n. 771/2019 UE. Commento a dir. Parlamento e Consiglio dell’Unione europea n. 771 del 2019, in Nuova giur. civ. comm., 3, 2020, 702 ss.; nonché, T. Dalla Massara, La vendita di beni mobili, Pacini, 2020; A. De Franceschi, La vendita di beni con elementi digitali, ESI, 2019.

[2] Direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo in G.U.C.E. n. L 171 del 7 luglio 1999, 12 ss., sulla quale v., senza pretesa di esaustività, A. Zaccaria, G. De Cristofaro, La vendita di beni di consumo. Commento agli artt. 1519bis-1519nonies del Codice civile in attuazione della Direttiva 1999/44/CE, CEDAM, 2002; G. De Cristofaro, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore: l’ordinamento italiano e la direttiva 99/44/CE sulla vendita e le garanzie dei beni di consumo, Cedam, 2000; A. Luminoso, Le garanzie nella vendita di beni di consumo, in Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia, diretto da F. Galgano; Commentario alla disciplina della vendita dei beni di consumo: artt. 1519 bis-1519 nonies cod. civ. e art. 2 d.lgs. 2 febbraio 2002 n. 24, coordinato da L. Garofalo, Cedam, 2003; AA.VV., L’acquisto di beni di consumo, IPSOA, 2002; La vendita dei beni di consumo: artt. 128-135, D. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, a cura di C.M. Bianca, Cedam, 2006; E. Corso, Della vendita dei beni di consumo: art. 1519 bis-1519 nonies, Zanichelli, 2005.

[3] Cfr. considerando nn. 1-5 della dir. 771/2019/UE.

[4] Il riferimento è non solo alla tripartizione tra bene, contenuto digitale e servizio digitale che si evince osservando le cc.dd. direttive gemelle, ma anche alla proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 dicembre 2020 relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale (COM/2020/842 final, cd. legge sui mercati digitali), su cui si veda inter alia G. Contaldi, Il DMA (Digital Markets Act) tra tutela della concorrenza e protezione dei dati personali, in Ordine Internazionale e Diritti Umani, 2, 2021, 292 ss.; P. Manzini, Unraveling the proposal of Digital Market Act (La proposta di legge sui mercati digitali: una prima mappatura), Relazione al Convegno nazionale ASCOLA Italia “L’antitrust e le sfide del digitale”, 4 dicembre 2020, in Orizzonti dir. comm., 1X, 2021, 435 ss.; M.W. Monterossi, La tutela dell’utente commerciale nei mercati digitali, in Contr. impr., 3, 2021, 920 ss.; v. altresì I. Speziale, La Dir. 2019/2161/UE tra protezione dei consumatori e promozione della competitività sul mercato unico, in Corr. giur., 4, 2020, 441 ss.

[5] La diffusione di uno degli emblemi della commistione bene-servizio risulta difatti in rapido aumento tra i consumatori (considerando 5 dir. 771/2019/UE).

[6] Ibidem.

[7] V. S. Pagliantini, L’armonizzazione massima, parziale e temperata, della direttiva 771/2019/UE: una prima lettura, in Giur. it., 2020, 217 ss.; F. Bertelli, L’armonizzazione massima della direttiva 2019/771 UE e le sorti del principio di maggior tutela del consumatore, in Europa dir. priv., 2019, 953 ss.

[8] Sul quale v. G. De Cristofaro, Verso la riforma, cit., nonché F. Addis, Spunti esegetici, cit.

[9] La nozione di bene di consumo si era peraltro già ben liberata dal suo giogo descrittivo: in essa, secondo la giurisprudenza nazionale, che ora trova conferma nelle disposizioni di attuazione della dir. 771/2019/UE, sono ricompresi perfino gli animali da compagnia (v. in merito M. Faccioli, L’applicabilità della disciplina sulla vendita dei beni di consumo alla vendita di animali, in Contr., 1, 2019, 19 ss.).

[10] Il software, integrato o meno nel bene di consumo, era ritenuto, da parte della dottrina, già ricompreso nella nozione di bene di consumo. Si veda al riguardo A. Zaccaria, G. De Cristofaro, La vendita, cit., 18 ss.; G. De Cristofaro, La vendita di beni di consumo, in E. Gabrielli, E. Minervini (a cura di), I contratti dei consumatori, II, Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, 986 s.; A. Ciatti, Le garanzie nella vendita dei beni di consumo, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, 121 s.; G. De Nova, in AA.VV., L’acquisto, cit., 18 ss.; V. Mannino, in Commentario, cit., coordinato da L. Garofalo, 48 ss.

[11] V., per l’applicazione temporale della disciplina, l’art. 23 dir. 771/2019/UE nonché l’art. 2 d.lgs. 170/2021.

[12] Già nella disciplina previgente alla dir. 771/2019/UE erano oggetto di informativa precontrattuale, e dunque da ritenersi caratteristiche del bene che integri elementi digitali dovute ex contractu da parte del professionista, ai sensi degli artt. 48, lett. g) e h), e 49, lett. t) e u) cod. cons., le funzionalità del contenuto digitale, comprese le misure applicabili di protezione tecnica, nonché qualsiasi interoperabilità pertinente del contenuto digitale con l’hardware e il software, di cui il professionista sia a conoscenza o di cui ci si può ragionevolmente attendere che sia venuto a conoscenza, se applicabili. Si veda in merito G. De Cristofaro, La disciplina degli obblighi informativi precontrattuali nel codice del consumo riformato, in Nuove leg. civ. comm., 5, 2014, 917 ss. Le disposizioni che hanno dato origine agli artt. 48 e 49 cod. cons. sono state ora modificate dalla dir. 2019/2161/UE per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori, allo scopo di esplicitare che il dovere informativo grava anche sul venditore di un bene con elementi digitali. In particolare, gli artt. 5 e 6 dir. 2011/83/UE come emendati dalla dir. 2019/2161/UE, impongono al professionista di informare il consumatore in merito alla funzionalità dei beni con elementi digitali, del contenuto digitale e dei servizi digitali, comprese le misure applicabili di protezione tecnica e alla compatibilità e interoperabilità pertinente dei beni con elementi digitali, del contenuto digitale e dei servizi digitali, di cui il professionista sia a conoscenza o di cui ci si può ragionevolmente attendere che sia venuto a conoscenza.

[13] Cfr. A. De Franceschi, La vendita, cit., 83.

[14] Sui quali v. A. Geraci, I contratti di licenza d’uso del software, Università di Parma, 2015.

[15] Taluni beni con elementi digitali rappresentano, cioè, mezzi di comunicazione a distanza tramite cui è possibile concludere contratti, nell’auspicato rispetto delle previsioni di cui all’art. 51 Cod. cons.; tra questi, sempre più diffusa è la tendenza a concludere contratti tramite assistenti vocali digitali. Si veda sul punto K. Sein, Concluding Consumer Contracts via Smart Assistants: Mission Impossible Under European Consumer Law?, in EuCML, 5, 2018, 179 ss.; G. Magri, Obblighi informativi a favore del consumatore e Internet of Things: alcune osservazioni a margine del Dash Button, in Europa dir. priv., 2, 2019, 571 ss.; C. Busch, Does the Amazon Dash Button Violate EU Consumer Law? Balancing Consumer Protection and Technological Innovation in the Internet of Things, in EuCML, 2, 2018, 78 ss.

[16] Direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali, in G.U.C.E. n. L 136 del 22 maggio 2019, 1 ss.

[17] Tanto che assurge a requisito di conformità del bene non solo la compatibilità, da intendersi come la capacità del bene di funzionare con hardware o software con cui sono normalmente utilizzati i beni del medesimo tipo, senza che sia necessario convertire i beni, l’hardware o il software; ma anche l’interoperabilità, vale a dire la capacità del bene di funzionare con hardware o software diversi da quelli con cui sono normalmente utilizzati i beni dello stesso tipo. V. artt. 2, 6 e 7 dir. 771/2019/UE.

[18] La necessità di un coordinamento tra la dir. 770/2019/UE e la dir. 771/2019/UE nello studio della disciplina dei beni con elementi digitali è espressa anche da F. Bertelli, L’armonizzazione, cit.; più in generale sulla necessaria integrazione delle due discipline, v. F. Addis, Spunti esegetici, cit., 10 s.; C. Camardi, Prime osservazioni sulla Direttiva (UE) 2019/770 sui contratti per la fornitura di contenuti e servizi digitali. Operazioni di consumo e circolazione di dati personali, in Giust. civ., 3, 2019, 499 ss.

[19] Considerando 15, dir. 771/2019/UE: “[l’]inserimento, nel contratto di vendita stipulato con il venditore, della fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale incorporato o interconnesso dovrebbe dipendere dal contenuto di tale contratto. Dovrebbero essere inclusi i contenuti digitali o i servizi digitali incorporati o interconnessi la cui fornitura è esplicitamente prevista dal contratto. Essa dovrebbe inoltre includere i contratti di vendita per i quali si può presumere che sia compresa la fornitura di uno specifico contenuto digitale o di uno specifico servizio digitale in ragione del fatto che sono abituali di un bene dello stesso tipo e che rientrano tra le ragionevoli aspettative che il consumatore potrebbe avere, tenuto conto della natura dei beni e delle dichiarazioni pubbliche fatte dal o per conto del venditore o altre persone nell’ambito dei passaggi precedenti della catena di transazioni commerciali, compreso il produttore. Se, ad esempio, nella pubblicità di una smart TV si è fatto riferimento alla presenza di una particolare applicazione video, tale applicazione video dovrebbe essere considerata quale facente parte del contratto di vendita. Ciò si dovrebbe applicare indipendentemente dal fatto che il contenuto digitale o il servizio digitale sia preinstallato nel bene stesso o debba essere successivamente scaricato su un altro dispositivo e sia soltanto interconnesso con il bene in questione. Ad esempio, uno smartphone potrebbe essere dotato di applicazioni standard preinstallate fornite secondo il contratto di vendita, quali l’applicazione della sveglia o della fotocamera. Un altro possibile esempio è dato dallo smartwatch. In tal caso, l’orologio stesso sarebbe considerato il bene con elementi digitali in grado di svolgere le rispettive funzioni solo in combinazione con un’applicazione prevista dal contratto di vendita ma che deve essere scaricata dal consumatore su uno smartphone; l’elemento digitale interconnesso sarebbe l’applicazione. Ciò dovrebbe applicarsi anche se il contenuto digitale o il servizio digitale incorporato o interconnesso non è fornito direttamente dal venditore ma, conformemente al contratto di vendita, è fornito da un terzo. […]”.

[20] C. Camardi, Prime osservazioni, cit., ha in questo senso rilevato che “ai fini dell’attribuzione dei beni digitali all’una o all’altra Direttiva, il legislatore europeo” ha “usato un criterio qualificatorio che, facendo leva sul rapporto tra componente materiale e componente digitale del bene, considera la prevalenza dell’una o dell’altra in relazione al peso della componente materiale: se quest’ultima rimane comunque componente principale, pur se l’elemento digitale ne connota il funzionamento, ma non ha alcuna autonomia al di fuori del bene materiale, allora il bene rimane «bene mobile fornito di elementi digitali»”. V. del pari F. Addis, Spunti esegetici, cit., 11: “in via di prima approssimazione si può dunque affermare che il criterio di ripartizione della competenza regolativa tra le due direttive è costituito dalla prevalenza dell’elemento digitale o materiale, in relazione alla quale rileva innanzitutto l’autonomia del bene e la strumentalità più o meno necessaria del contenuto digitale rispetto ad esso”.

[21] Cfr. D. Staudenmayer, The Directives on Digital Contracts: First Steps Towards the Private Law of the Digital Economy, in Eu. Rev. Priv. Law, 2, 2020, 219 ss. (v. in particolare 230).

[22] Sui quali si vedano, tra gli altri, A. Zaccaria, G. De Cristofaro, La vendita, cit., 50 ss.; G. De Cristofaro, La vendita, cit., 1010 ss.; R. Mongillo, Il difetto di conformità nella vendita di beni di consumo, ESI, 2006, 92 ss.

[23] V. art. 9 dir. 770/2019/UE, nonché il considerando n. 52 della medesima.

[24] Art. par. 3 dir. 771/2019/UE, ultima parte.

[25] D. Staudenmayer, The Directives, cit., ritiene che, nel regolare i beni con elementi digitali, il legislatore europeo abbia attribuito un ruolo rilevante a taluni terzi non coinvolti nel rapporto contrattuale, e in particolare i terzi fornitori dell’elemento digitale integrato nel bene. Anche se il consumatore non intrattiene un rapporto contrattuale diretto con il fornitore terzo (se non in base al contratto di licenza), l’elemento digitale sarà tendenzialmente fornito al consumatore da questi; dunque, da un soggetto diverso dal venditore, il cui rapporto contrattuale con il venditore stesso sarà inevitabilmente influenzato dai termini del contratto di licenza. Nonostante l’estraneità del terzo rispetto al rapporto contrattuale tra venditore e consumatore, il legislatore ha incluso la prestazione del terzo nella responsabilità per difetto di conformità del venditore, nonché per quanto riguarda i rimedi, ponendo dunque la responsabilità del venditore per la prestazione del terzo. Una delle ragioni di questa decisione viene individuata, secondo l’Autore, nella semplificazione dei rimedi: vedersi attribuiti rimedi separati, regolate diverse direttive e contro diversi soggetti, comporterebbe difficoltà di comprensione per il consumatore, avendo questi acquistato beni contenenti il contenuto digitale da un solo venditore. Peraltro, confrontando tale situazione con i beni “tradizionali”, sarebbe ben possibile immaginare contratti di vendita in cui il venditore abbia esternalizzato una parte della prestazione a un subappaltatore; inoltre, nel caso di vendita di beni complessi, il venditore è responsabile anche per quelle parti del bene che sono state integrate nel prodotto finale da terzi.

[26] A. De Franceschi, La vendita, cit., 95 evidenzia infatti le difficoltà pratiche, anche in materia di trattamento dei dati personali del consumatore, scaturenti dall’applicazione delle disposizioni della dir. 771/2019/UE in punto di aggiornamenti con riferimento al solo venditore, di fatto privo del controllo sul bene.

[27] Si ricordi che l’art. 33, comma 2, lett. s) sancisce la vessatorietà presunta di ogni clausola contrattuale che consenta “al professionista di sostituire a sè un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo”. V. in merito Commentario breve al diritto dei consumatori: Codice del consumo e legislazione complementare2, a cura di G. De Cristofaro, A. Zaccaria, Cedam, 2013, 307 ss.

[28] La presenza di una componente digitale integrata nel bene comporta che questo non è mai “completamente separat[o] dalla sfera del venditore, in quanto il venditore, o un terzo che fornisce il contenuto o il servizio digitale ai sensi del contratto di vendita, può aggiornare tali beni a distanza, solitamente tramite Internet” (Considerando 30 dir. 771/2019/UE).

[29] V. in merito A. Quarta, Contenuti digitali e beni con elementi digitali: c’è ancora posto per la proprietà privata?, in Questioni attuali in tema di commercio elettronico, a cura di T. Pasquino, A. Rizzo, M. Tescaro, ESI, 2020, 46 ss.

[30] Si ricordi che, in un’istruttoria di rilievo mediatico, l’A.G.C.M. ha contestato alla società Apple di aver proposto in modo “insistente, ai consumatori in possesso di iPhone 6/6plus/6s/6splus, di procedere ad installare il sistema operativo iOS 10 e i successivi aggiornamenti (tra cui iOS 10.2.1) le cui caratteristiche e impatto sulle prestazioni degli smartphones stessi sono state descritte in maniera omissiva ed ingannevole, senza offrire (se non in misura limitata o tardiva) alcun mezzo di ripristino dell’originaria funzionalità degli apparecchi in caso di sperimentata diminuzione delle prestazioni a seguito dell’aggiornamento (cfr. provvedimento A.G.C.M. 25 settembre 2018, Apple, 3). A.G.C.M. ha del pari contestato a Samsung di aver proposto ai “consumatori in possesso di Note 4, […] aggiornamenti del firmware basati sulla versione Marshmallow del sistema operativo Android che hanno provocato riduzioni delle prestazioni dei propri smartphone, dapprima con continui rallentamenti e riavvi automatici per poi finanche giungere allo spegnimento totale (cfr. provvedimento AGCM 25 settembre 2018, Samsung, 3). In merito, A. Giannaccari, Apple, obsolescenza tecnologica (programmata) e diritti dei consumatori, in Merc. con. reg., 1, 2019, 149 ss.; A. De Franceschi, Planned Obsolescence challenging the Effectiveness of Consumer Law and the Achievement of a Sustainable Economy: The Apple and Samsung Cases, in EuCML, 7, 2018, 217 ss.; G. d’Ippolito, A. Re, Obsolescenza programmata. L’AGCM sanziona Apple e Samsung, in Rivista del diritto dei media, 1, 2019, 325 ss. Si ritiene in dottrina che tale pratica commerciale scorretta sia sintomo dell’adozione, da parte dei produttori di telefonia, di tecniche produttive riconducibili all’obsolescenza programmata dei beni, il cui scopo è proprio l’alterazione della domanda di prodotti.

[31] Per l’analoga disciplina relativa al contratto di fornitura di (soli) contenuti e servizi digitali si veda l’art. 7, lett. d), dir. 770/2019/UE.

[32] Considerando 28, dir. 771/2019/UE.

[33] Per la analoga disciplina relativa al contratto di fornitura di (soli) contenuti e servizi digitali, si veda art. 8, parr. 2 e 3, dir. 770/2019/UE.

[34] Il testo inglese della dir. 771/2019/UE contiene l’espressione update sia all’art. 6, lett. d), sia all’art. 7, par. 3. Ciò non deve tuttavia trarre in errore, in quanto al considerando 30 risulta ben delineata la distinzione in discorso: “Unless the parties have contractually agreed otherwise, the seller should not be obliged to provide upgraded versions of the digital content or digital service of the goods or to improve or extend the functionalities of goods beyond the conformity requirements”.

[35] Aggiornamento correttivo ed evolutivo sono termini mutuati dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 25 novembre 2020 “Verso un mercato unico più sostenibile per le imprese e i consumatori” (2020/2021/INI), par. 7.

[36] Considerando 30.

[37] K. Sein, G. Spindler, The new Directive on Contracts for the Supply of Digital Content and Digital Services – Scope of Application and Trader’s Obligation to Supply – Part 2, in Eu. Rev. Priv. Law, 4, 2019, 365 ss.

[38] Ivi: “One of the key issues here should be to refer to fundamental changes of the functionality of a product – and not just adding a slightly new feature; if functions have been extended considerably, then consumers are faced with a new product and cannot claim for updates in the sense of an upgrade”. L’opinione in discorso, stante che le direttive “gemelle” presentano la medesima disciplina quanto agli aggiornamenti, può ritenersi valida anche per il caso dei beni con elementi digitali.

[39] C. Camardi, Prime osservazioni, cit.

[40] Così G. De Cristofaro, Verso la riforma, cit., 228.

[41] Si veda supra, nt. 30.

[42] Si evidenzia in dottrina che, ove la fornitura continua dell’elemento digitale integrato nel bene sia pattuita per un periodo maggiore di due anni, essa rientrerebbe nel campo di applicazione della dir. 770/2019/UE; sarebbe pertanto dovuto anche il requisito di conformità cui ci si è da ultimo riferiti. V. per tale opinione J. Vanherpe, White Smoke, but Smoke Nonetheless: Some (Burning) Questions Regarding the Directives on Sale of Goods and Supply of Digital Content, in Eu. Rev. Priv. Law, 2, 2020, 251 ss.; M. Faccioli, La nuova disciplina, cit., nt. 15, pur differenziando tra la durata biennale della garanzia relativa al bene (inteso come supporto materiale) e la più lunga durata della garanzia relativa (e limitata) al contenuto digitale o al servizio digitale incorporato o interconnesso con il bene medesimo non giunge invero a questo risultato, così come J. Morais Carvalho, Sale of Goods and Supply of Digital Content and Digital Services – Overview of Directives 2019/770 and 2019/771, in EuCML, 5, 2019, 199 ss.

[43] J. Vanherpe, White Smoke, cit., segnala (p. 261): “The split based on the period of continuous supply of digital content (less vs. more than two years) appears to be somewhat artificial and easy to circumvent”. Tale avvisaglia si estende invero anche alla divisione tra fornitura singola e fornitura continuata dell’elemento digitale integrato, di cui è pertanto necessario predicare una differenziazione oggettiva per evitare che, tramite la costruzione del proprio business model nell’uno o nell’altro senso, il fornitore sia in grado di determinare l’applicazione dell’uno o dell’altro regime di responsabilità e aggiornamenti.

[44] Si legge, all’art. 5 par. 2 dir. 770/2019/UE, che “L’operatore economico ha adempiuto l’obbligo di fornitura quando: a) il contenuto digitale o qualunque mezzo idoneo per accedere al contenuto digitale o per scaricarlo è reso disponibile o accessibile al consumatore, o all’impianto fisico o virtuale scelto dal consumatore all’uopo; b) il servizio digitale è reso accessibile al consumatore o a un impianto fisico o virtuale scelto dal consumatore all’uopo”. L’accesso al dato consente in genere al professionista di mantenere un controllo sul dato fornito, quanto a disponibilità e tempi, mentre l’atto di scaricamento, fatte salve le misure di protezione tecnica, garantisce al consumatore di conservare i dati sul proprio device per un tempo indeterminato e senza che il professionista possa precludere l’accesso agli stessi.

[45] Considerando 37 dir. 771/2019/UE.

[46] V. art. 8, par. 4 dir. 770/2019/UE che, pur se non ribadito nel corpo della dir. 771/2019/UE, deve nella sostanza ritenersi applicabile alla vendita del bene con elementi digitali da fornirsi in modo continuativo per un determinato periodo di tempo. Qui, in merito alla conformità al contratto del contenuto o del servizio digitale fornito “in modo continuo per un determinato periodo di tempo”, si sancisce che il contenuto o il servizio digitale deve essere “conforme per l’intera durata di tale periodo”.

[47] Art. 11 par. 3 dir. 771/2019/UE.

[48] F. Addis, Spunti esegetici, cit., 19 s.

[49] In tal senso è più che condivisibile l’espressione conformità continuativa utilizzata da F. Bertelli, L’armonizzazione, cit., 955.

[50] Ancora F. Addis, Spunti esegetici, cit., 18 s.

[51] V. considerando 24.

[52] Ibidem.

[53] V. in merito C. Camardi, Prime osservazioni, cit.

[54] Considerando 30 dir. 771/2019/UE.

[55] Così anche K. Sein, G. Spindler, The new Directive, cit., relativamente alla dir. 770/2019/UE. La formulazione della disciplina degli aggiornamenti è sostanzialmente la medesima nelle cc.dd. direttive gemelle.

[56] V. A. De Franceschi, La vendita, cit., 95 ss.

[57] Art. 7, par. 5, dir. 771/2019/UE: Non vi è difetto di conformità ai sensi del paragrafo 1 o 3 se, al momento della conclusione del contratto di vendita, il consumatore era stato specificamente informato del fatto che una caratteristica particolare del bene si discostava dai requisiti oggettivi di conformità previsti al paragrafo 1 o 3 e il consumatore ha espressamente e separatamente accettato tale scostamento al momento della conclusione del contratto di vendita. Ne deriva che, nell’ottica del legislatore europeo, l’art. 7 par. 3 dir. 771/2019/UE ben concorre a designare i requisiti oggettivi di conformità del bene al contratto al pari dell’art. 7, par, 1, lett. a) – d) dir. 771/2019/UE. Immediata conseguenza è che la mancata fornitura di un aggiornamento atto a ripristinare la conformità del bene con elementi digitali al contratto, così come la fornitura di un aggiornamento che, invece di mantenere la conformità, determina un difetto di conformità del bene con elementi digitali al contratto, consentono al consumatore di avvalersi dei rimedi previsti dalla direttiva.

[58] D.lgs. 4 novembre 2021, n. 170, di attuazione della direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE, in G.U. 25 novembre 2021, serie generale, n. 281.

[59] Ciò fatta salva l’opzione, lasciata al legislatore nazionale dall’art. 10 dir. 771/2019/UE quanto alla disciplina del termine biennale di responsabilità del venditore, che il legislatore italiano ha deciso di non esercitare. Sicché, fissato al novello art. 133, co. 1, Cod. cons. il termine biennale di responsabilità, è conseguita la previsione, all’art. 130 comma 2, lett. b), letto assieme all’art. 133, comma 2, di un obbligo di durata quantomeno biennale anche per la fornitura degli aggiornamenti.

[60] Cfr. A. Quarta, Contenuti digitali, cit., p 36 s.: “Nonostante il file entri nella disponibilità di chi abbia effettuato il suo download, e possa essere custodito nella memoria di archiviazione di un dispositivo privato, il contratto non è generalmente dotato di effetto traslativo e non determina il trasferimento della proprietà di quel bene immateriale.

[61] Ne sono esempio gli artt. L217-21 – L217-23 del Code de la consommation francese, come modificati dalla legge n. 2020-105 del 10 febbraio 2020 relative à la lutte contre le gaspillage et à l’économie circulaire, ora nuovamente emendati dalla Ordonnance n. 2021-1247 del 29 settembre 2021 relative à la garantie légale de conformité pour les biens, les contenus numériques et les services numériques prima, che ha attuato le dir. 770/2019/UE e 771/2019/UE nell’ordinamento francese, e dalla legge n. 2021-1485 del 15 novembre 2021, visant à réduire l’empreinte environnementale du numérique en France, poi. Le disposizioni intermedie (artt. L217-21 – L217-23 Code consomm) avevano previsto a favore del consumatore innanzitutto un obbligo informativo, al momento dell’acquisto, relativo alla durata del periodo di tempo entro il quale gli aggiornamenti forniti saranno compatibili con la versione del bene oggetto del contratto (diritto invero ancora garantito dall’art. L111-6 Code consomm.), nonché il diritto di ottenere gli aggiornamenti di mantenimento per un periodo quantomeno biennale; si prevedeva altresì un rinvio alla fonte del décret per l’indicazione delle ipotesi in cui l’obbligo di fornire aggiornamenti superasse il biennio, garantendo così maggior certezza ai traffici. Oggi, all’esito della trasposizione della dir. 771/2019/UE, la disciplina delle mises à jour si colloca agli artt. L217-18 – L217-20 Code consomm. e si esprime in termini non dissimili dalla disciplina di attuazione italiana, eccezion fatta per la regolamentazione esplicita degli aggiornamenti non necessari al mantenimento della conformità del bene, mutuata dall’art. 19 dir. 770/2019/UE ed estesa agli elementi digitali integrati (art. L217-33 Code consomm.). Da ultimo, la legge n. 2021-1485 ha introdotto ulteriori obblighi informativi relativi agli aggiornamenti non finalizzati al mantenimento della conformità del bene con elementi digitali.

[62] Commissione europea, Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare – Per un’Europa più pulita e più competitiva (Comunicazione) COM (2020) 98 final, 5.

[63] Commissione europea, Nuova agenda dei consumatori – Rafforzare la resilienza dei consumatori per una ripresa sostenibile, (Comunicazione) COM (2020) 696 final, 7-8.

[64] V. E. Van Gool, A. Michel, The New Consumer Sales Directive 2019/771 and Sustainable Consumption: A Critical Analysis, in EuCML, 2021, 136 ss.; G.F. Simonini, Verso una nozione allargata di difetto di conformità: sarà rilevante anche la durabilità del bene?, in Danno resp., 4, 2019, 471 ss.; M. Garcìa Goldar, The inadequate approach of Directive (EU) 2019/771 towards the circular economy, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 2021, 1 ss.; nonché, più in generale, B. Keirsbilck, E. Terryn, Consumer protection in a circular Economy, Intersentia, 2019. Per il tema del consumo etico, v. A. Quarta, Per una teoria dei rimedi nel consumo etico. La non conformità sociale dei beni tra vendita e produzione, in Contr. impr., 2, 2021, 523 ss.

[65] Dir. 2009/125/CE, relativa all’istituzione di un quadro per l’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia. Cfr. A. Quarta, Contenuti digitali, cit.

[66] La già citata COM(2020) 98 final.

[67] Si veda ancora in merito la recente adozione, in Francia, della legge n. 2021-1485 del 15 novembre 2021, visant à réduire l’empreinte environnementale du numérique en France.

[68] V. in merito, K. Sein, G. Spindler, The new Directive, cit., 386 s.

[69] V. considerando 31 dir. 771/2019/UE.

[70] V. considerando 24 dir. 771/2019/UE.

[71] V. in merito ai problemi posti dai beni cd. domotici, G. Versaci, Acquisto e utilizzo di dispositivi domotici nei rapporti B2C. Un’intersezione tra data protection e consumer (contract) protection, in Oss. Dir. civ. comm., 1, 2020, 259 ss.; L.Vizzoni, Dispositivi domotici e dati personali: dalle difficoltà applicative del GDPR alla prospettiva del futuro Regolamento “e-privacy”, in Nuove leg. civ. comm., 4, 2020, 1032 ss.

[72] Si veda supra, nt. 61.

[73] V. art. 19 dir. 770/2019/UE nonché art. 135-vicies semel cod. cons.: l’operatore economico risulta stimolato a garantire all’utente la possibilità di non procedere all’upgrade del contenuto o servizio digitale, a parere di chi scrive, poiché ove il professionista riconosca tale facoltà al consumatore, quest’ultimo non potrà recedere dal contratto di fornitura – rimanendo dunque obbligato a pagare il prezzo ovvero a fornire i propri dati personali a fini di lucro – e si troverà di fronte alla sola alternativa di accettare o rifiutare la modifica del contenuto o del servizio unilateralmente proposta dall’operatore economico.

[74] Risoluzione del Parlamento europeo del 25 novembre 2020 sul tema “Verso un mercato unico più sostenibile per le imprese e i consumatori”, 2020/2021(INI), par. 7.

[75] Ibidem: “al momento dell’acquisto, il venditore deve informare il consumatore circa il periodo durante il quale è prevedibile che siano pubblicati gli aggiornamenti del software fornito al momento dell’acquisto dei beni, in modo compatibile con l’innovazione e i possibili sviluppi futuri del mercato, nonché in merito alle loro specificità e al loro impatto sulle prestazioni del dispositivo, al fine di garantire che i beni mantengano la loro conformità e la loro sicurezza”.

Fascicolo 1 - 2022