Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Teoria come terapia. Note a margine di uno studio dedicato alle prestazioni pecuniarie sanzionatorie nel sistema giuridico italiano (di Valentina Calderai, Professore associato di Diritto privato – Università degli Studi di Pisa)


Questo breve saggio analizza la categoria delle prestazioni pecuniarie punitive avanzata da Carlotta De Menech. Mentre la nuova categoria rappresenta un progresso indiscutibile verso una teoria delle obbligazioni più coerente e sistematica, la sua collocazione nell'ambito delle obbligazioni da fatto illecito non appare del tutto convincente, per ragioni connesse a esigenze fondamentali di pari trattamento e proporzionalità, assicurate dalla qualificazione preliminare delle circostanze che giustificano la condanna al pagamento di una somma a titolo di punizione.

 

Theory as Therapy. Remarks on a Study of private pecuniary penalties in the Italian legal system

This paper discusses the concept of private pecuniary penalties proposed by Carlotta De Menech. It is contended that whereas the new category represents a major advancement towards a more coherent and systematic theory of the obligations in the Italian legal system, its placing under the heading of obligations from wrongful acts is not entirely convincing, in consideration of basic requirements of equal treatment and proportionality, ensured by the preliminary identification of the circumstances that justify the award of a sum as a penalty.

Keywords: General theory of law - Sources of obligations - Punitive damages - Private pecuniary penalties.

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1. Negli studi di diritto civile forse nessuna materia come le obbligazioni è associata all’immagine della frontiera e dei confini: mobili, nobili, incerti, sempre nuovi – oggi, soprattutto, come non mai contestati e contesi: tra diritto e non diritto, tra declinazioni giuridiche della responsabilità, tra contratto e torto, tra criteri di imputazione, tra funzioni della responsabilità aquiliana[1]. Come i confini reali, d’altro canto, i confini tra discipline segnano sulle mappe della conoscenza spazi di comunicazione, oltre che di divisione, de-terminano prospettive: «un luogo della mente» – nelle parole di un compianto Maestro pavese – «un luogo ipotetico in cui ci si potrebbe collocare per guardare a ciò che si vede»[2].

Ragionando sui confini è bene tenere a mente la differenza tra il territorio e la mappa: «A map is not the territory it represents, but, if correct, it has a similar structure to the territory, which accounts for its usefulness» [3]. La mappa non è il territorio. La rappresentazione di un fenomeno non è il fenomeno rappresentato. Ciò nondimeno, una ‘buona’ mappa sta al territorio che rappresenta in un rapporto di similitudine strutturale. Questa struttura può essere ulteriormente analizzata come un insieme di relazioni qualificate, tale che le posizioni relative degli oggetti sulla mappa riproducano le posizioni relative degli oggetti sul territorio.

Le teorie scientifiche stanno a un campo d’indagine dato come la mappa sta al territorio. Il diritto non fa eccezione, nella misura in cui anche le teorie giuridiche constano in ultima analisi di rappresentazioni astratte e di modelli, benché non sempre sia chiaro cosa esattamente riproduca il modello e, soprattutto, a che fine: la risposta a queste domande dipende infatti dal concetto di diritto, che cambia in relazione ai tempi, ai luoghi e, in qualche misura, anche alle prospettive disciplinari. In quest’ordine di pensieri, una definizione stipulativa minimale del campo di indagine delle teorie giuridiche nel diritto privato italiano in questo primo quarto del XXI secolo include (i) determinati fenomeni dell’universo materiale, psichico, sociale; (ii) gli enunciati delle fonti in senso formale che si riferiscono a tali fenomeni, qualificandoli (discorso-oggetto); (iii) le proposizioni normative degli interpreti, in modo particolare gli interpreti ufficiali (meta-discorso) [4].

 

2. Sulla scorta della definizione appena abbozzata, la risposta alla domanda sull’oggetto e lo scopo della teoria nel diritto privato suona così: le teorie giuridiche precostituiscono modelli di decisione e di argomentazione relativi al discorso delle fonti formali, che gli interpreti utilizzano per la soluzione di problemi applicativi, proprio come i viaggiatori consultano una mappa per capire se procedono nella giusta direzione.

In questa prospettiva il momento più delicato nella costruzione dei modelli teorici è verosimilmente il giudizio di rilevanza e cioè la scelta tra informazione che deve essere a ogni costo preservata e informazione che può andare perduta. Un modello che comprenda tutta l’informazione disponibile sarebbe in verità perfettamente inutile, come la mappa del frammento di Borges, «che aveva l’Immensità dell’Impero e coincideva perfettamente con esso» e finì abbandonata «alle inclemenze del Sole e degl’Inverni» [5]. La selezione delle informazioni, d’altra parte, è un processo esposto al rischio sistemico di errori derivanti da biases cognitivi, obsolescenza, condizionamenti culturali e in senso lato politici, manipolazioni. L’aporia dei modelli teorici non risparmia le scienze “dure”, ma nel caso della nostra disciplina è più intenso, nella misura in cui gli oggetti della scienza giuridica non sono direttamente i fenomeni osservabili (i), né in senso stretto le fonti che li qualificano (ii), ma le teorie, i concetti, gli argomenti, in una parola: il meta-discorso degli interpreti (iii). In questo senso la teoria giuridica è sempre anche analisi del linguaggio giuridico [6].

L’espansione cognitiva del principio di deterrenza e punizione nella responsabilità civile, veicolata dai punitive damages nella variante statunitense, illustra appunto come l’uso di un modello suggestivo e potente per rappresentare istituti solo parzialmente analoghi si risolva nella distruzione di informazione, allorché, ad esempio, la nozione di damage, che nel common law denota la prestazione cui è tenuto l’offensore, in modo quasi inavvertito si sovrappone alla nozione civilistica di danno, cancellandone la connotazione di conseguenza della lesione di una situazione giuridicamente qualificata [7]. Una discrepanza nascosta nelle pieghe del linguaggio – uno iato – si è inserita così tra il sistema di relazioni rappresentato nella mappa teorica e il sistema di relazioni sul terreno delle fonti formali. La conseguente drastica perdita di capacità esplicativa della teoria ha un puntuale riscontro nella larvata espansione dei poteri del giudice. Il deficit di intellegibilità si traduce sul piano politico-costituzionale nell’indebolimento di garanzie costituzionali (eguaglianza di fronte alla legge e conoscibilità del diritto) e della riserva al legislatore del potere di iniziativa in merito alla irrogazione di sanzioni pecuniarie.

Tali rischi si manifestano soprattutto sul versante interno al modello della responsabilità civile. La perdita di informazione insita nella qualificazione del danno come lesione di un interesse rilevante ha posto le basi della sopravvalutazione della dimensione deterrente e sanzionatoria, a scapito della dimensione compensativa. È ovvio che un’analisi della responsabilità civile non può trascurare gli effetti distributivi e di deterrenza, ad es. valutando la conformazione delle regole di imputabilità e i limiti di assicurabilità del danno: dalla prima variabile dipende infatti il livello di investimento in misure di precauzione, dalla seconda l’efficacia della sanzione tout court. D’altra parte sarebbe un esercizio di darwinismo giuridico ingenuo quello che provasse a spiegare la responsabilità civile sulla base delle conseguenze: l’organo in base alla funzione, con esiti paragonabili al tentativo di «spiegare il Natale interpretandolo come un incentivo annuale all’industria della vendita al dettaglio» [8]. Considerato in se stesso, l’obiettivo della deterrenza ottimale non dà ragione del risarcimento del danno più di quanto la predilezione per le foglie degli alberi dia ragione del lungo collo della giraffa.

Gli effetti perversi dello spreco di informazione non sono meno evidenti all’esterno del perimetro della responsabilità civile. In questo spazio il collegamento tra risarcimento/deterrenza/sanzione è un autentico ostacolo epistemologico, che ha impedito finora agli interpreti di percepire i tratti strutturali comuni alla congerie di ipotesi situate nella «vasta regione confinante con il sistema della responsabilità civile», oggi unificate nel concetto di prestazioni pecuniarie punitive nell’opera prima di una giurista di scuola pavese [9].

 

3. Il primo rilevante contributo al diritto delle obbligazioni del libro di De Menech è una mappa delle tutele e delle fonti molto diversa da quella tradizionale. Consegnata alle grandi opere istituzionali, quest’ultima appare tuttora dominata dai due grandi continenti del Contratto e Torto, e dalla polarità tra tutela (in via di principio) reale dell’aspettativa del contraente deluso e compensazione (per equivalente) della vittima dell’illecito, con il piccolo, residuale arcipelago delle variae causarum figurae, presidiato dalla restituzione dell’indebito. Poi in pratica più nulla. La pura deterrenza e le pene pecuniarie private, in particolare, restano ai margini del mondo giuridico conosciuto: hic sunt leones, a dispetto di alcune coraggiose esplorazioni[10]. Oggi quel territorio, «oltre i confini del sistema della responsabilità civile»[11], appare per la prima volta chiaramente disegnato sulla mappa, come un sub-continente del «fatto illecito».

Da questo punto di vista il sottotitolo – Studio per una teoria dei «danni punitivi» – è in un certo senso fuorviante. Molto più dell’interrogativo, che riceve peraltro una meditata e convincente risposta negativa [12], se le pene pecuniarie private nel diritto italiano siano riconducibili al modello dei punitive damages, sì da autorizzare l’accoglienza della categoria dei «danni punitivi» nell’ordinamento interno, il tema autentico e la posta in gioco del libro è la definizione di una nuova categoria di prestazioni obbligatorie. Contributo a una teoria delle fonti delle obbligazioni avrebbe illustrato in modo (forse meno accattivante, ma) più fedele, lo scopo e il risultato dell’indagine: una rappresentazione esaustiva, coerente, aggiornata dei fatti e degli atti che nel diritto privato italiano possono dare origine a un rapporto obbligatorio, di che tipo, e a quali condizioni [13].

Un secondo profilo rilevante del libro di De Menech, nel lungo periodo forse addirittura più significativo, è di carattere metodologico: l’uso della teoria generale del diritto, segnatamente dell’analisi del linguaggio e del metodo induttivo, per mostrare come certi problemi dogmatici in apparenza invincibili discendano in realtà da un uso non criticamente sorvegliato delle categorie giuridiche. Il banco di prova è l’annosa quérelle sulle funzioni della responsabilità: se la responsabilità civile possa legittimamente esercitare anche una funzione sanzionatoria. L’analisi si svolge nel capitolo centrale del libro, dedicato alla critica delle «forzature ermeneutiche», all’origine dell’espansione incontrollata della responsabilità civile, e al conseguente «sforzo di razionalizzazione» volto, per un verso, a ripristinare il confine tra risarcimento e indennità, reso in parte illeggibile dalla vocazione compensativa comune alle fattispecie, per altro verso, a dare «adeguata sistemazione concettuale» alle tante ipotesi di prestazioni pecuniarie da atto illecito non riducibili allo schema risarcitorio [14].

Lungo questa seconda direttrice, che è poi l’asse portante del libro, l’approdo della felice combinazione di metodo induttivo civilistico e analisi del linguaggio giuridico è la costruzione della categoria delle pene pecuniarie private: dalla disamina dei tratti strutturali comuni a una congerie di fattispecie apparentemente disparate [15], alla precisazione della funzione punitiva e deterrente che caratterizza tali ipotesi «all’interno della multiforme gamma delle sanzioni giuridiche» [16]. Tutta l’indagine è retta dall’analisi del significato dei concetti normativi elementari di «danno», «restituzione», «penalità», e dalla rigorosa distinzione tra «sanzione», come categoria generale che ricomprende le conseguenze della trasgressione di un dovere o della violazione di un obbligo, ivi incluso il risarcimento e le restituzioni, e «pena», come sotto-categoria corrispondente alle sanzioni afflittive, nel cui alveo confluiscono le pene pecuniarie private [17].

La cifra del discorso si compendia in un’idea terapeutica della teoria generale, come opera di chiarificazione del linguaggio giuridico. Il risultato più rilevante, in questa prospettiva, consiste nell’aver portato alla luce il fraintendimento all’origine della «comoda (e falsa) illusione di poter sostenere che tutto ciò che consegue ad un illecito, e non è reazione ad un pregiudizio, si risolva necessariamente in una pena» [18]. L’analisi del significato di «pena» e «sanzione», in particolare, mostra in modo a mio avviso difficilmente confutabile che la questione della funzione sanzionatoria, nel senso di repressiva, della responsabilità civile è essenzialmente una questione mal posta: un nonsenso, diremmo con Wittgenstein, un «crampo mentale» generato dall’uso improprio dei concetti (dogmatici). Appurato che «sanzione», nell’uso del linguaggio giuridico italiano, denota in via generale la reazione alla trasgressione di un precetto, è evidente che la responsabilità civile non ha bisogno di diventare “ultra-compensativa” per essere sanzionatoria. Tale connotazione non dipende infatti dal quantum, ma già dall’an della prestazione, vale a dire, dalla previsione di un meccanismo capace di tradurre nel rimedio compensativo del risarcimento del danno alcuni soltanto degli innumerevoli costi derivanti dal «fatto dell’uomo»; laddove l’irrogazione di una sanzione pecuniaria a titolo specifico di penalità si ricollega viceversa in effetti al quantum, essendo commisurata a una finalità deterrente e afflittiva specifica.

 

4. Il ruolo della teoria generale nella costruzione del concetto di pena pecuniaria privata invita, di rimando, a considerare il contributo della categoria delle pene pecuniarie private alla teoria generale delle fonti delle obbligazioni.

Una volta corretto il «vizio di prospettiva» [19] che induce a prendere posizione a favore o contro l’inte­grazione del concetto di danno punitivo nel diritto interno utilizzando quasi esclusivamente il parametro della responsabilità civile, e del rilievo della compensazione nella cornice di quell’istituto, si tratta di considerare lo spazio occupato delle pene pecuniarie private nell’attuale mappa delle fonti. Nel libro di De Menech queste ultime figurano tra le prestazioni obbligatorie da «fatto illecito» [20], sulla base di due considerazioni, rispettivamente di ordine storico-sistematico e di politica del diritto.

Sotto il primo aspetto, l’inquadramento delle pene pecuniarie private nel fatto illecito sarebbe giustificato dal tratto di illiceità comune alle fattispecie tipizzate dalla legge. Questa motivazione non è a mio avviso del tutto appagante, specie considerando che nell’opinione prevalente, dall’A. condivisa, anche l’inadempimento contrattuale presenta una connotazione di illiceità. Non è in discussione, naturalmente, la latitudine della categoria del «fatto illecito», ben oltre i confini dell’illecito aquiliano, ma la questione teorica, più fondamentale, della scelta tra diversi modelli di decisione alla base della nascita di un rapporto obbligatorio, a seconda cioè che le pene pecuniarie private siano costruite come l’oggetto di un’obbligazione secondaria, dipendente dalla violazione di un obbligo legale primario, o come oggetto di un’obbligazione primaria ex delicto, collegata alla violazione di un dovere genericamente determinato.

Ciò posto, dal punto di vista strutturale è degno di nota che nelle fattispecie associate all’irrogazione delle pene pecuniarie private la condotta oggetto della pretesa sia di regola preliminarmente individuata dalla legge [21], talora (ma non necessariamente) in collegamento con la violazione di un interesse creditorio (art. 3, comma 3, l. n. 192/1998; artt. 2 e 3 l. n. 386/1990; art. 3, comma 3, l. n. 431/1998) o per relationem a un atto negoziale (così nell’art. 70 disp. att. cod. civ.), a un reato (art. 12, l. n. 47/1948), a un’attività processuale (art. 815 cod. proc. civ.), e così via. La tipizzazione legale di fattispecie costitutive, disseminate in settori diversi dell’ordi­namento, è chiaro indice di una scelta in favore del primo dei due modelli di decisione evocati e, in ultima analisi, della ricerca di un equilibrio tra due spinte contrapposte: affinché la necessità disporre di strumenti efficaci di deterrenza e compliance fondati sull’azione privata non vada a detrimento delle esigenze di pari trattamento, non arbitrarietà, proporzionalità, assicurate dalla qualificazione preliminare delle circostanze che giustificano l’insorgere di un’obbligazione tra privati a titolo punitivo. A questa caratteristica combinazione di apertura e tipicità corrisponde precisamente la formula dell’art. 1173 cod. civ.: «ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico» [22].

L’ultima considerazione chiama in causa il secondo argomento, di politica del diritto, avanzato dall’A. contro l’inquadramento delle pene pecuniarie private nel tertium genus contemplato dall’art. 1173 cod. civ. In un quadro delle fonti del diritto segnato dell’allentamento del vincolo del giudice alla legge in nome dell’efficacia diretta dei principi, è giustificato il timore che la clausola generale della «conformità all’ordinamento giuridico» si traduca nella prassi in una norma in bianco, uno schermo per irrogare pene pecuniarie private praeter legem, nel nome di una unmittelbare Drittwirkung non sempre rispettosa del criterio di universalizzabilità alla base del controllo di razionalità delle decisioni [23]. Di là dal fatto che adducere inconveniens non est solvere argumentum, tuttavia, è verosimile che questa tendenza del diritto giurisprudenziale non sarebbe avallata, ma viceversa contrastata da una precisazione teorica dell’ultima parte dell’art. 1173 cod. civ. agganciata al parametro della tipicità, sia pure debole, a garanzia di principi fondamentali dello stato costituzionale di diritto. In questa prospettiva, infatti, il riferimento all’ordinamento giuridico dovrebbe essere inteso come parametro di valutazione delle scelte compiute dal legislatore, anziché come strumento per introdurre obbligazioni (punitive!) di fonte giudiziale.

La collocazione delle pene pecuniarie private nel sistema delle fonti delle obbligazioni potrebbe apparire una questione meramente teorica, considerando che la disciplina applicabile al rapporto dipende solo in parte dalla qualificazione della fonte. Questa constatazione tuttavia sfiora appena la superficie del problema. L’individuazione delle fonti delle obbligazioni è una questione di politica del diritto fondamentale, che investe gli standard di rigore, i parametri di controllo e la conseguente responsabilità nell’esercizio della giurisdizione. Si tratta dunque di un problema della massima importanza anche pratica: il rischio è forte di trasformare il parametro elastico della conformità all’ordinamento giuridico in una scatola vuota. In questo senso, un ideale regolativo di coerenza sistematica tra disposizioni classificatorie e modelli di responsabilità procede a ben vedere nella direzione, felicemente intrapresa da Carlotta De Menech, di disegnare sulla mappa e rendere intelligibile una regione finora in gran parte sconosciuta, a causa della ipertrofia della responsabilità civile.

L’esplorazione delle fonti delle obbligazioni è appena iniziata.

 

NOTE

[1] F. Galgano, Le mobili frontiere del danno ingiusto, in Contr. impr., 1985, 1 ss.; C. Castronovo, Le frontiere nobili della responsabilità civile, in AA.VV., La civilistica italiana dagli anni ‘50 ad oggi tra crisi dogmatica e riforme legislative. Congresso dei civilisti italiani. Venezia 23-26 giugno 1989, Padova, 1991, 623; F.D. Busnelli, Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e fatto illecito”. La responsabilità da informazioni inesatte, in Contr. impr., 1991, p. 563 ss.; E. Grande, Ai confini delle responsabilità (Prime riflessioni per un programma di ricerca in diritto comparato), in Rass. dir. civ., 1995, 857 ss.; G. Alpa, Gli incerti confini della responsabilità civile, in Resp. civ. prev., 2006, 1805-1837; A. Di Majo, I confini mobili della responsabilità civile, Giur. it., 2015, 1894 ss.; L. Nivarra, Le frontiere mobili della responsabilità contrattuale, in Giust. civ., 2016, 5 ss.; G. De Nova, Le nuove frontiere del risarcimento del danno: i punitive damages, in questa Rivista, 2017, 388 ss.

[2] M. Taruffo, Sui confini. Scritti sulla giustizia civile, Bologna, 2002, 7.

[3] A. Korzybski, On Structure, in Science and Sanity. An Introduction to Non-Aristotelian Systems and General Semantics, New York, 19955, 54 ss., 58.

[4] Questa indicazione è ispirata agli studi del Maestro indiscusso dell’analisi delle definizioni nel diritto civile italiano, ora raccolti in A. Belvedere, Scritti giuridici, vol. I, Linguaggio e metodo giuridico, Padova, 2016, e ivi, particolarmente, Aspetti ideologici delle definizioni nel linguaggio del legislatore e dei giuristi, 155 ss., 176 ss.

[5] J.L. Borges, Del rigore della scienza, in Storia universale dell’infamia, Milano, 1997.

[6] Riferimenti indispensabili nella dottrina civilistica: A. Gentili, Il diritto come discorso, Milano, 2013.

[7] Il carattere decettivo dell’equazione tra i damages e il «danno» è sottolineato da C. Granelli, In tema di “danni punitivi”, in Resp. civ. e prev., 2014, 6, 1760-1769, 1760. Rileva l’estraneità al perimetro della responsabilità civile dei punitive damages anche M. Franzoni, Danno punitivo e ordine pubblico, in Riv. dir. civ., 2018, 283 ss., 293. Un’ampia e aggiornata sintesi della questione si legge ora in F. Episcopo, Il problema dei danni punitivi, in Codice della Responsabilità Civile, a cura di E. Navarretta, Milano, 2021, 2065 ss.

[8] Così J. Coleman, in una critica mordace dell’analisi economica mainstream: The Practice of Principle. In Defense of a Pragmatist Approach to Legal Theory, New York-Oxford, 2001, trad. it. La pratica dei principi, Bologna, 2006, 69 ss., 78.

[9] C. De Menech, Le prestazioni pecuniarie sanzionatorie, cit., 144. L’opera si inserisce del resto nella vivacissima riflessione dottrinaria sul tema delle pene private e del risarcimento sanzionatorio nella dottrina italiana dell’ultimo ventennio. Tra le opere di respiro generale v. almeno: P. Sirena, Il risarcimento dei c.d. danni punitivi e la restituzione dell’arricchimento senza causa, in Riv. dir. civ., 2006, 531 ss.; Id. (a cura di), La funzione deterrente della responsabilità civile alla luce delle riforme straniere e dei Principles of European Tort Law, Milano, 2011; C. Castronovo, Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, in Liber amicorum per F.D. Busnelli, Milano, a cura di G. Cmandé, F. Giardina, E. Navarretta, G. Ponzanelli, Torino, 2008, 349 ss.; G. Di Martino, Interessi moratori e punitivi tra risarcimento e sanzione, Napoli, 2010; F. Quarta, Risarcimento e sanzione nell’illecito civile, Napoli, 2013; Id., Illecito civile, danni punitivi e ordine pubblico, in Resp. civ. prev., 2016, 1159; E. Lucchini Guastalla, La compatibilità dei danni punitivi con l’ordine pubblico alla luce della funzione sanzionatoria di alcune disposizioni normative processualcivilistiche, in Resp. civ. prev., 2016, 1474 ss.; M. Della Casa, Punitive damages, risarcimento del danno, sanzioni civili: un punto di vista sulla funzione deterrente della responsabilità aquiliana, in Contr. impr., 2017, 1142 ss; F. Cafaggi, P. Iamiceli, The Principles of Effectiveness, Proportionality and Dissuasiveness in the Enforcement of EU Consumer Law: The Impact of a Triad on the Choice of Civil Remedies and Administrative Sanctions, in Eur. Rev. Pr. Law, 2017, 575 ss.; M. Grondona, La responsabilità civile tra libertà individuale e responsabilità sociale: contributo al dibattito sui risarcimenti punitivi, Napoli, 2010; Id., La polifunzionalita della responsabilità civile e l’ubi consistam ordinamentale dei “risarcimenti punitivi”, in Pol. dir., 2018, 45 ss.; N. Rizzo, Le funzioni della responsabilità civile tra concettualizzazioni e regole operative, in Resp. civ. prev., 2018, 1811; F. Longobucco, La perdita del diritto nel sistema delle pene private, in Pol. dir., 2019, 349 ss.; A. Montanari, Del risarcimento punitivo” ovvero dell’ossimoro, in Eur. dir. priv., 2019, 377 ss.; E. Navarretta, Il risarcimento in forma specifica e il dibattito sui danni punitivi tra effettività, prevenzione e deterrenza, in Resp. civ. prev., 2019, 5 ss.; P. Trimarchi, Responsabilità civile punitiva?, in Riv. dir. civ., 2020, 4, 687 ss.; A. Procida Mirabelli Di Lauro, La funzione punitivo-deterrente della riparazione del danno “da reato”, R. Favale, L. Ruggeri (a cura di) Scritti in onore di Antonio Flamini, II, Napoli, 2020, 1087 ss.

[10] E. Moscati, voce Pena (dir. priv.), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 770 ss.; F.D. Busnelli, G. Scalfi, Le pene private, Milano, 1985, e ivi: F.D. Busnelli, Verso una riscoperta delle pene private?, 3 ss.; Id., La parabola della responsabiltà civile, in Riv. crit. dir. priv., 1983, 86; Id., Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni punitivi, in Eur. dir. priv., 2009, 4, 909; G. Ponzanelli, I punitive damages, il caso Texaco e il diritto italiano, in Riv. dir. civ., 1987, II, 405 ss.; P. Gallo, Pene private e responsabilità civile, Milano, 1996.

[11] C. De Menech, Prestazioni, cit., 99 ss.

[12] Ivi, 217 ss., 240 s.

[13] In questa chiave di lettura il libro partecipa chiaramente di una nouvelle vague di opere prime dedicate alla teoria generale delle obbligazioni, tra cui mi limito a ricordare: N. Rizzo, Il problema dei debiti di valore, Padova, 2010, e A. Bertolini, Il postcontratto, Bologna, 2018.

[14] C. De Menech, Prestazioni, cit., 102-104.

[15] Ivi, 151 ss.

[16] Ivi, 162.

[17] Ivi, 169 ss.

[18] Ivi, 119.

[19] Ivi, 242.

[20] C. De Menech, Prestazioni, cit., 336 ss. Un «fatto illecito», s’intende, emancipato dalla relazione biunivoca con l’obbligazione di risarcire il danno aquiliano, secondo l’intuizione di una dottrina autorevole: F.D. Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni punitivi, cit., 244 s.

[21] L’importante eccezione essendo la previsione «senza fattispecie» della lite temeraria nel processo civile (art. 96, c. 3, c.p.c.) e amministrativo (art. 26, comma 1, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104), non a caso oggetto di un intenso (e sostanzialmente riuscito) sforzo di razionalizzazione da parte della giurisprudenza pratica e teorica. Per tutti: F.D. Busnelli, E. D’Alesandro, L’enigmatico ultimo comma dell’art. 96 c.p.c.: responsabilità aggravata o condanna punitiva”?, in Danno e resp., 2012, 593.

[22] U. Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991, 108 ss.

[23] Mutato quel che c’è da mutare vale la preclusione alla possibilità di irrogare punizioni «sulla base di una norma in bianco o di una norma talmente elastica da sconfinare in clausola generale»: così M. Franzoni, Danno punitivo, cit., 296.

Fascicolo 2 - 2022