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G. Giappichelli Editore

I danni punitivi nella prospettiva internazionalprivatistica (di Cristina Campiglio, Professore ordinario di Diritto internazionale – Università degli Studi di Pavia)


Il contributo analizza la posizione assunta dalla Corte di Cassazione in relazione all’istituto dei punitive damages (sentenze nn. 1183/2007 e 16661/2017) e al controverso rapporto tra ordine pubblico europeo e ordine pubblico nazionale. Laddove intervenga il limite dell’ordine pubblico, si pone poi il problema di capire se il giudice debba sempre e comunque negare il riconoscimento della sentenza straniera o debba piuttosto procedere al riconoscimento della sentenza limitatamente alle statuizioni conformi all’ordine pubblico (riconoscimento parziale, selettivo o riduttivo). Insomma, nonostante lo “sdoganamento” dei punitive damages da parte della Corte di Cassazione nel 2017, il problema del loro riconoscimento in Italia resta ancora aperto.

 

Punitive damages from a conflict-of-laws perspective

The contribution analyzes the position taken by the Italian Supreme Court in relation to the institution of punitive damages (judgments nos. 1183/2007 and 16661/2017) and the controversial relationship between European and national public policy. Where the limit of public policy intervenes, then the problem arises of understanding whether the judge should always and in any case deny the recognition of the foreign judgment or should rather proceed with a recognition limited to the rulings compliant with public policy (partial, selective or reductive recognition). In short, despite the "acceptance" of punitive damages by the Court of Cassation in 2017, the problem of their recognition in Italy is still open.

Keywords: punitive damages - recognition of foreign judgment - public policy - European public policy - partial recognition.

Il volume della dott. De Menech affronta un tema di ampio respiro e di grande interesse anche per i non civilisti. Ne è dimostrazione la presenza, tra i relatori, di penalisti, processualcivilisti e internazionalprivatisti [1].

Il volume si apre con un paragrafo dedicato alla circolazione dei modelli giuridici che porta gli ordinamenti nazionali a innovarsi, accogliendo istituti prima sconosciuti. Talvolta il trapianto legale di istituti, avviene per imitazione: è il caso appunto del modello dei danni punitivi, circolato in diversi Paesi; ma anche – per citare un istituto più noto – del matrimonio same sex che dal 2002 ad oggi è stato introdotto in una quarantina di Stati. Altre volte un istituto viene introdotto nell’ordinamento su spinta internazionale: è il caso del trust, noto anche in Italia dal 1° gennaio 1992, a seguito dell’entrata in vigore della Convenzione dell’Aja del 1º luglio 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, alla quale è stata data esecuzione con l. 16 ottobre 1989, n. 364; o dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, introdotta nel nostro Paese con la l. 20 maggio 2016 n. 76 su sollecitazione della Corte EDU (secondo la quale la mancata previsione, da parte del legislatore italiano, di un istituto giuridico che riconosca una relazione tra persone dello stesso sesso, costituisce violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8 CEDU [2]).

Diverso, ma sempre legato alla porosità ordinamentale e al legal borrowing, è il fenomeno di ibridazione ordinamentale “di riflesso” cioè a seguito del riconoscimento di sentenze straniere. Il fenomeno giuridico di cross-fertilization è avvertito soprattutto in ambito familiare, fortemente condizionato da fattori sociali, culturali e religiosi. Riconoscere situazioni create all’estero ma non ipotizzabili all’interno (si pensi, per quanto riguarda l’Italia, all’adozione da parte di coppie del medesimo sesso o alla surrogazione di maternità) crea inevitabilmente una disparità di trattamento all’interno dell’ordinamento. Disparità che però deve essere accettata perché il diritto internazionale privato si basa proprio sul presupposto della differenza tra ordinamenti e sulla conseguente necessità di coordinamento: e per questo l’interprete si trova non di rado a confrontarsi con il problema dell’inquadramento – nel proprio ordinamento – di istituti sconosciuti (la cd. qualificazione di istituti sconosciuti). Del resto, il rifiuto delle differenze porterebbe alla omologazione degli ordinamenti verso il basso. Come la stessa Corte costituzionale ha rimarcato due anni fa, “la circostanza che esista una differenza tra la normativa italiana e le molteplici normative mondiali è un fatto che l’ordinamento non può tenere in considerazione. Diversamente opinando, la disciplina interna dovrebbe essere sempre allineata, per evitare una lesione del principio di eguaglianza, alla più permissiva tra le legislazioni estere che regolano la stessa materia” [3]. E questo addirittura anche nel caso in cui ci si rechi all’estero al solo scopo di eludere un divieto vigente in patria.

A tutela della propria armonia interna, in via eccezionale, l’ordinamento nazionale può rinunciare al coordinamento e dunque chiudersi in se stesso. Lo strumento utilizzato è il c.d. limite (o eccezione) di ordine pubblico, previsto dalla l. 31 maggio 1995, n. 218 (recante la “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”) [4], limite la cui portata è per definizione vaga. L’ordine pubblico infatti muta nello spazio (da Stato a Stato) e nel tempo (ciò che oggi è contrario all’ordine pubblico, potrebbe non esserlo domani alla luce dell’evoluzione normativa); muta a seconda che si tratti di applicare una norma straniera piuttosto che di riconoscere una decisione estera (e in questa seconda ipotesi muta a seconda che siano in gioco aspetti processuali – nello spazio giudiziario europeo il setaccio si è fatto più largo per favorire la circolazione delle sentenze – o aspetti sostanziali); muta a seconda della fonte di partenza (legge, regolamento dell’Unione europea, convenzione internazionale) e della fonte da cui attingere i principi inderogabili (normativa interna, sovranazionale o internazionale).

Già si è detto che il problema si pone principalmente per gli status familiari ma va registrato il progressivamente interessamento di altri settori, incluso quello della responsabilità civile.

Basti qui ricordare la sentenza 19 gennaio 2007, n. 1183, con cui la Corte di Cassazione ha affermato che nel nostro ordinamento “l’idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno” e che alla responsabilità civile è assegnato “il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mediante il pagamento di una somma di denaro che tenda a eliminare le conseguenze del danno arrecato”. Rimane estranea al sistema, dunque, l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile, ed è indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta. Di qui l’incompatibilità con l’ordina­mento italiano dell’istituto dei danni punitivi che, per altro verso, non è neanche riferibile alla risarcibilità dei danni non patrimoniali o morali. La Cassazione evoca il limite dell’ordine pubblico “interno” senza peraltro soffermarvisi.

A diversa conclusione la Cassazione perviene, pronunciandosi a sezioni unite, nel 2017. Si tratta di una decisione (la n. 16661) interessante anche perché analizza in maniera approfondita il concetto di ordine pubblico “internazionale”, concetto di cui la Corte registra la “profonda evoluzione”. L’ordine pubblico infatti si è trasformato da “complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale in un determinato periodo storico, e nei principi inderogabili immanenti nei più importanti istituti giuridici” a distillato del “sistema di tutele approntate a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria, sicché occorre far riferimento alla Costituzione e, dopo il trattato di Lisbona, alle garanzie approntate ai diritti fondamentali dalla Carta di Nizza, elevata a livello dei trattati fondativi dell’U­nione Europea dall’art. 6 TUE” [5].

“Pertanto a fungere da parametro decisivo non basta il confronto tra le reazioni delle corti dei singoli Stati alle novità provenienti da uno Stato terzo, o da un altro Stato dell’Unione …. La sentenza straniera che sia applicativa di un istituto non regolato dall’ordinamento nazionale, quand’anche non ostacolata dalla disciplina europea, deve misurarsi con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell’apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l’ordinamento costituzionale. Se con riguardo all’ordine pubblico processuale, ferma la salvaguardia dell’effettività dei diritti fondamentali di difesa, il setaccio si è fatto più largo per rendere più agevole la circolazione dei prodotti giuridici internazionali, con riguardo all’ordine pubblico sostanziale non può dirsi altrettanto. Gli esiti armonizzanti, mediati dalle Carte sovranazionali, potranno agevolare sovente effetti innovativi, ma Costituzioni e tradizioni giuridiche con le loro diversità costituiscono un limite ancora vivo: privato di venature egoistiche, che davano loro “fiato corto”, ma reso più complesso dall’intreccio con il contesto internazionale in cui lo Stato si colloca. Non vi potrà essere perciò arretramento del controllo sui principi essenziali della lex fori in materie, come per esempio quella del lavoro (v. significativamente Cass. n. 10070/13) che sono presidiate da un insieme di norme di sistema che attuano il fondamento della Repubblica. Nel contempo non ci si potrà attestare ogni volta dietro la ricerca di una piena corrispondenza tra istituti stranieri e istituti italiani. Non avrebbe utilità chiedersi se la ratio della funzione deterrente della responsabilità civile nel nostro sistema sia identica a quella che genera i punitive damages. L’interrogativo è solo il seguente: se l’istituto che bussa alla porta sia in aperta contraddizione con l’intreccio di valori e norme che rilevano ai fini della delibazione” (par. 6).

In altri termini – come l’apertura, anche – la chiusura dell’ordinamento sarebbe condizionata in primis dai precetti costituzionali ma anche dai diritti fondamentali garantiti dall’Unione europea.

Sul versante costituzionale, la Cassazione allude “a una concezione polifunzionale della responsabilità civile, la quale risponde soprattutto a un’esigenza di effettività … della tutela che in molti casi … resterebbe sacrificata nell’angustia monofunzionale” (par. 5.3). Di conseguenza la irrogabilità di danni punitivi, in sé, non è incompatibile con l’ordine pubblico.

La parte più innovativa della pronuncia è però quella della riconosciuta dimensione europea dell’ordine pubblico.

A seguito della c.d. comunitarizzazione del diritto internazionale privato e processuale, “l’ordine pubblico da strumento di tutela dei valori nazionali, da opporre alla circolazione della giurisprudenza, diviene progressivamente ‘veicolo di promozione’ della ricerca di principi comuni agli Stati membri, in relazione ai diritti fondamentali”. Questa svolta viene fatta coincidere con una pronuncia della Corte di Giustizia – erroneamente attribuita alla Corte EDU – relativa all’ordine processuale, e più precisamente al principio dell’equo processo [6] (par. 2.2). L’ordine pubblico europeo avrebbe la funzione “promozionale dei valori tutelati, che mira ad armonizzare il rispetto di questi valori, essenziali per la vita e la crescita dell’Unione” e, in definitiva, a garantire l’armonia interna dell’Unione europea rispetto a valori di Stati terzi. Con la precisazione che “il rapporto tra l’ordine pubblico dell’Unione e quello di fonte nazionale non è di sostituzione, ma di autonomia e coesistenza”. Ne è riprova l’art. 67 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il quale afferma che “l’Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri”.

Di qui l’enunciazione del seguente principio di diritto (par. 8). “Nel vigente ordinamento alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico”.

La Cassazione prende dunque posizione in merito al controverso rapporto tra ordine pubblico europeo e ordine pubblico nazionale. Al riguardo in dottrina sono state prospettate varie teorie.

La prima è quella che vede la prevalenza dell’ordine pubblico europeo su quello dei singoli Stati membri. La sostituzione dell’ordine pubblico europeo rispetto all’ordine pubblico nazionale è tuttavia poco convincente, in quanto comporterebbe la rinuncia da parte degli Stati al rispetto dei propri valori identitari. Ricordo, al riguardo, che lo stesso Trattato istitutivo impegna l’Unione europea a rispettare la “identità nazionale” degli Stati membri “insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale” (art. 4, par. 2, TUE). Nella prospettiva internazionalprivatistica il rispetto dell’identità nazionale implica la possibilità per gli Stati di continuare a invocare il limite dell’ordine pubblico in sede di riconoscimento di provvedimenti esteri. La Corte di Giustizia ha peraltro precisato in più occasioni che, nelle relazioni tra Stati membri, il limite deve essere ricostruito in termini particolarmente restrittivi e applicato in casi assolutamente eccezionali: nello spazio giudiziario europeo, infatti, la regola è la libera circolazione degli atti. Al di là di questa considerazione generale, va osservato che vi sono settori sottratti alla competenza dell’Unione europea: ad esempio il diritto di famiglia, settore in cui – già lo si è sottolineato – è più che in altri frequente l’impatto del limite dell’ordine pubblico.

Più realistico è pensare a una integrazione dell’ordine pubblico nazionale da parte dei valori fondanti dell’Unione europea, e dunque alla coesistenza di ordine pubblico nazionale e ordine pubblico europeo, che manterrebbero così la propria autonomia. Questa ricostruzione è probabilmente quella più corretta dal punto di vista teorico, in ragione dei rispettivi ambiti di competenza, più rispettosa delle identità nazionali dei singoli Stati membri e nel contempo più funzionale al processo di integrazione europea.

Se dunque la posizione espressa dalla Cassazione è condivisibile, resta il problema di ricostruire il concetto di ordine pubblico europeo in materia di danni punitivi.

La stessa Corte di Giustizia ammette infatti che, per quanto riguarda la concessione di un risarcimento danni e un’eventuale possibilità di liquidare danni punitivi, in mancanza di disposizioni europee in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i criteri che consentono di determinare l’entità del risarcimento, purché i principi di equivalenza e di effettività siano rispettati [7].

Non va dimenticato che nella proposta di regolamento sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (c.d. Roma II), presentata dalla Commissione nel 2004 [8], figurava una disposizione, l’art. 24, rubricata “Danni e interessi non aventi carattere risarcitorio”, dal seguente tenore: “L’applicazione di una disposizione della legge designata dal presente regolamento che conduca ad attribuire danni e interessi non aventi carattere risarcitorio, quali danni o interessi esemplari o punitivi, è contraria all’ordine pubblico comunitario”. Questa previsione – in un regolamento adottato nell’ambito della cooperazione giudiziaria in situazioni transfrontaliere, e dunque in un atto di natura strumentale – avrebbe indirettamente portato a unificare il diritto materiale degli Stati membri. Per questo motivo la disposizione è stata eliminata. L’unica allusione ai danni punitivi si rinviene oggi nel preambolo del regolamento Roma II (che reca il n. 864/2007), ossia nella parte non precettiva dell’atto. Il considerando 32 recita: “Considerazioni di pubblico interesse giustificano, in circostanze eccezionali, che i giudici degli Stati membri possano applicare deroghe basate sull’ordine pubblico … In particolare, l’applicazione di una disposizione della legge designata dal presente regolamento che abbia l’effetto di determinare il riconoscimento di danni non risarcitori aventi carattere esemplare o punitivo di natura eccessiva può essere considerata contraria all’ordine pubblico del foro, tenuto conto delle circostanze del caso di specie e dell’ordinamento giuridico dello Stato membro del giudice adito”. Dunque il legislatore europeo lascia spazio al solo ordine pubblico nazionale.

E qui si pongono due problemi. Il primo riguarda la valutazione circa la natura risarcitoria e la proporzionalità della condanna che, in linea di principio, dovrebbe essere esclusa in sede di riconoscimento di sentenze straniere. Come è noto, il riesame del merito non è ammesso, né in base al diritto italiano (l’art. 798 cod. proc. civ. che consentiva al giudice, su istanza del convenuto, di riesaminare nel merito la causa è stato abrogato dall’art. 73 della l. n. 218/1995) né in base al diritto dell’Unione europea: l’art. 52 del regolamento n. 1215/2012 del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecu­zione delle decisioni in materia civile e commerciale (Bruxelles I-bis), prevede infatti che “(i)n nessun caso una decisione emessa in uno Stato membro può formare oggetto di un riesame del merito nello Stato membro richiesto”.

Il secondo problema riguarda le conseguenze dell’eventuale contrarietà della condanna all’ordine pubblico. Il giudice dovrebbe sempre e comunque negare il riconoscimento della sentenza straniera o procedere al riconoscimento parziale della sentenza, limitatamente alle statuizioni conformi all’ordine pubblico? E in questa seconda eventualità, occorrerebbe optare per un exequatur parziale selettivo (riconoscendo solo i danni compensativi e non quelli punitivi) o piuttosto per un exequatur parziale riduttivo (riconoscendo sia i danni compensativi che quelli punitivi ma nella sola misura compatibile con il test di proporzionalità)? A favore della prima opzione parrebbe deporre l’art. 11 della Convenzione dell’Aja sugli accordi di scelta del foro del 30 giugno 2005 [9], in base al quale il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione possono essere negati se e nella misura in cui la decisione riconosce un risarcimento, anche di carattere esemplare o punitivo, che non indennizza una parte per una perdita o un danno effettivamente subiti.

Insomma, nonostante lo “sdoganamento” dei punitive damages da parte della Corte di Cassazione, il problema della loro compatibilità con l’ordine pubblico resta ancora aperto.

 

NOTE

[1] Da segnalare il volume curato da S. Bariatti, L. Fumagalli, Z. Crespi Reghizzi, Puntive Damages and Private International Law: State of the Art and Future Developments, Milano, 2019, che raccoglie gli atti di un Convegno internazionale organizzato presso l’Università Statale di Milano il 11 maggio 2018.

[2] Corte EDU, 21 luglio 2015, caso Oliari e altri c. Italia.

[3] Corte Cost. 23 ottobre 2019 n. 221, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 548, con nota di Barone, punto 14. La Corte ha ritenuto infondata la censura secondo cui la normativa che preclude alle coppie omosessuali l’accesso alla procreazione assistita darebbe luogo a una ingiustificata disparità di trattamento in base alle capacità economiche, facendo sì che l’aspirazione alla genitorialità possa essere realizzata da quelle sole, tra le coppie omosessuali, che siano in grado di sostenere i costi per sottoporsi alle necessarie pratiche mediche in uno dei Paesi esteri che le consentono.

[4] La l. n. 218/1995 prevede, da un lato, che una legge straniera non possa essere applicata “se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico” (art. 16), dall’altro che una sentenza straniera possa essere riconosciuta in Italia solo se “le sue disposizioni non producono effetti contrari all’ordine pubblico” (art. 64 lett. g).

[5] Il richiamo è a Cass. 21 gennaio 2013, n. 1302, in Riv. dir. int. priv. proc., 2013, 472.

[6] Si tratta della sentenza 28 marzo 2000, causa C-7/98, Dieter Krombach e André Bamberski. La Cassazione richiama invece la sentenza della Corte EDU, 13 febbraio 2001, Dieter Krombach c. Francia, ricorso n. 29731/96.

[7] C. Giust., 13 luglio 2006, cause riunite C‑295/04 a C‑298/04, Manfredi e a., punto 92; 17 dicembre 2015, in causa n. 407/14, Camacho, punto 44.

[8] COM/2003/0427 def.

[9] La Convenzione è in vigore in Italia dal 1° ottobre 2015.

Fascicolo 2 - 2022