Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Nullità di clausole abusive, interpretazione e (limitato) ruolo del giudice in sede di integrazione contrattuale nella giurisprudenza della Corte di Lussemburgo (di Martina D’Onofrio, Assegnista di ricerca – Università degli Studi di Verona)


Il presente contributo – muovendo da una recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – si concentra sul tema dell’integrazione del contratto a seguito della nullità di una pattuizione abusiva. In particolare, ci si domanda cosa accada allorché il contratto non possa essere mantenuto in vita senza la clausola nulla e non vi siano norme dispositive che disciplinino la stessa materia. La trattazione dell’argomento impone altresì di soffermarsi sul discrimine tra interpretazione e integrazione del contratto, nonché sul ruolo del giudice in tale contesto.

Parole chiave: integrazione del contratto – interpretazione – nullità di clausole abusive.

Nullity of abusive clauses, interpretation and (limited) role of the judge in contractual integration in the case law of the court of luxembourg

Starting from a recent ruling of the Court of Justice of the European Union, the essay focuses on the integration of the contract as a consequence of the nullity of an unfair clause. In particular, it tries to answer the question of what happens when the contract cannot be maintained without the void clause and there are no dispositive rules governing the same matter. The discussion of this topic also requires the author to dwell on the distinction between interpretation and integration of the contract, as well as on the role of the judge in this context.

Keywords: integration of the contract – interpretation – voidness of unfair clauses.

COMMENTO

Sommario:

1. Il caso - 2. L’obbligo di chiarezza e i limiti del sindacato della Corte di Giustizia sulle clausole abusive - 3. La ricostruzione giurisprudenziale delle conseguenze dell’abusività - 4. Il rifiuto dell’integrazione giudiziale - 5. L’integrazione legale mediante norme dispositive in seguito alla nullità di clausole essenziali - 6. Al confine tra interpretazione e integrazione - 7. Rimane spazio per un intervento integrativo giudiziale? - NOTE


1. Il caso

Con riguardo alla questione delle conseguenze della nullità di una clausola abusiva, la disposizione di cui all’art. 6 della direttiva 93/13, si limita a stabilire che le clausole che rechino uno squilibrio tra diritti e obblighi derivanti dal contratto «non vincolano il consumatore» [1]. Tale asettica formulazione ha sollevato una serie di dubbi a cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha tentato volta per volta di rispondere, arrivando a fornire una disciplina ‘pretoria’ con riguardo a diversi profili del regime della nullità di clausole abusive [2]. Uno degli aspetti su cui i giudici di Lussemburgo si sono soffermati in una recente pronuncia concerne l’eventuale spazio interpretativo concesso al giudice al fine di riempire il vuoto residuato in seguito alla dichiarazione di nullità della clausola abusiva [3]. In particolare, nel caso in esame, due consumatori concludevano con un istituto bancario polacco un contratto di mutuo ipotecario per una somma corrispondente a 100.000 Euro in zloty polacchi, indicizzato in valuta estera (il franco svizzero). I mutuatari firmavano altresì una dichiarazione in cui manifestavano la volontà di accendere un mutuo indicizzato in valuta estera, pur essendo consapevoli del rischio di cambio. Le fluttuazioni del tasso di conversione tra zloty e franco comportavano una differenza di una somma corrispondente a circa 6.000 Euro tra l’importo rimborsato e quello che i ricorrenti avrebbero dovuto rifondere qualora il mutuo fosse stato denominato in zloty polacchi. I mutuatari, ritenendo abusiva la clausola di indicizzazione del mutuo in valuta estera, decidevano di proporre un ricorso chiedendo in loro favore il pagamento di circa 10.000 Euro. La supposta abusività della clausola derivava dall’ambiguità della medesima, tant’è vero che le parti ne davano interpretazioni discordi: mentre per la banca il tasso di cambio da considerare sarebbe stato quello indicato nella tabella dei tassi in vigore presso di sé, per i mutuatari lo stesso si sarebbe dovuto determinare sulla base di un tasso di cambio oggettivo, come quello fissato dalla Banca Nazionale Polacca. Secondo il giudice nazionale adito dal consumatore, la clausola presentava in effetti una dose di ambiguità dovuta alla genericità della sua formulazione, tale da far emergere profili di abusività; in [continua ..]


2. L’obbligo di chiarezza e i limiti del sindacato della Corte di Giustizia sulle clausole abusive

Prima di entrare nel merito delle questioni anticipate, occorre delimitare i confini del giudizio di abusività. La dir. 93/13 all’art. 4, comma 2, preclude il sindacato del giudice nei confronti delle clausole che riguardino la «definizione dell’oggetto principale del contratto», ovvero la «perequazione tra il prezzo e la remunerazione». La clausola oggetto del caso di specie contribuisce a definire il margine di guadagno della banca a fronte del finanziamento, sicché si potrebbe pensare che la stessa rientri nell’ambito dell’esclusione prevista dalla disposizione in esame. La Corte nega tuttavia che la clausola controversa si occupi della definizione nell’oggetto o della perequazione tra il prezzo e il servizio offerto, sicché esclude che la stessa ricada entro il campo di applicazione della norma citata [4]. Inoltre, a prescindere dalla questione se la pattuizione sia o meno compresa nell’ambito di esclusione di cui al sopra menzionato art. 4, comma 2, pare opportuno soggiungere che in base a tale disposizione l’esonero dal sindacato giudiziale opera «purché tali clausole siano redatte in modo chiaro e comprensivo», sicché, qualora – come nel caso in esame – sorgessero invece dubbi in merito alla chiarezza della pattuizione, tornerebbe in gioco il dovere del giudice di valutarne l’abusività [5]. Oltretutto, l’obbligo di redigere ogni clausola di modo che risulti chiara e comprensibile è sancito altresì dall’art. 5, dir. 93/13, che – secondo il dictum della Corte – si applica anche quando l’oggetto della pattuizione rientra nella sfera di applicazione del poc’anzi analizzato art. 4, comma 2 [6]. Come anticipato, con riguardo al contenuto del dovere di stilare le clausole in maniera chiara e comprensibile, il giudice del rinvio si chiedeva se fosse sufficiente la mera correttezza formale e grammaticale della clausola ovvero se sia necessario porre il debitore nella condizione di calcolare autonomamente l’importo della rata da rimborsare. Tra le due alternative la Corte – sulla scia di un precedente orientamento [7] – sceglie senz’altro la via di maggior tutela a favore del consumatore. Invero, alla luce della ratio del sistema di protezione che la direttiva è volta a costruire al fine di sopperire alle situazioni di [continua ..]


3. La ricostruzione giurisprudenziale delle conseguenze dell’abusività

La direttiva 93/13 all’art. 6 stabilisce che le clausole abusive inserite in un contratto con un consumatore non vincolano quest’ultimo, ferma restando la validità del negozio, se il medesimo possa sopravvivere senza la clausola ritenuta abusiva. Si tratta in sostanza di una nullità parziale necessaria, che nel nostro ordinamento viene recepita dall’art. 36 cod. cons. e rappresenta un’eccezione alla regola di cui all’art. 1419 cod. civ., in base al quale la nullità si estende all’intero contratto ove risulti che le parti non lo avrebbero concluso senza la parte affetta da nullità. Come si accennava in esordio, la formulazione dell’art. 6, dir. 93/13, si presenta piuttosto ellittica, sicché lascia ampi margini all’interprete nella concreta individuazione della sorte del contratto che contenga previsioni vessatorie. Ci si deve chiedere in quale misura, a seguito dell’eliminazione della pattuizione abusiva, venga in rilievo il meccanismo dell’integrazione contrattuale [8]. Al fine di meglio circoscrivere il perimetro dell’indagine, si deve precisare che non s’intende in questa sede affrontare la questione della violazione di norme imperative e della conseguente sostituzione di clausole nulle con i parametri fissati legislativamente. Il fenomeno su cui ci si soffermerà è quello della deroga a norme suppletive, e dunque di per sé disponibili da parte dell’autonomia privata [9], allorquando la divergenza tra la disciplina fissata dalla legge, che dovrebbe astrattamente realizzare una situazione di equilibrio ideale nel regolamento contrattuale, e le pattuizioni a cui sono addivenute le parti risulti abusiva e dunque censurabile ai sensi della dir. 93/13, in quanto importi «un eccessivo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto» [10]. La Corte di Giustizia, mediante numerose pronunce susseguitesi nell’ultimo decennio, ha tentato di colmare il vuoto di disciplina concernente il problema delle sorti del contratto da cui venga espunta una clausola considerata abusiva. Lo sforzo pretorio di ricostruire il regime applicabile a tali fattispecie ha lasciato però residuare non pochi dubbi e suscitato diverse critiche con riguardo ad alcune delle scelte operate, che sembrano potenzialmente collidere con la ratio di tutela sottesa alla dir. 93/13. Le strade [continua ..]


4. Il rifiuto dell’integrazione giudiziale

L’ultima tra le possibili opzioni sopra prospettate, ossia quella che prevede un ruolo centrale del giudice è stata fermamente rigettata dalla Corte di Giustizia nel 2012, interpellata in sede di rinvio pregiudiziale, nella sentenza Banco Español de Crédito [11]. Nel caso di specie, il supremo organo giurisdizionale dell’Unione era chiamato a pronunciarsi sulla compatibilità alla direttiva 93/13 di una disposizione spagnola che consentiva al giudice di ridurre il saggio degli interessi moratori qualora risultassero eccessivamente elevati. Secondo la Corte, il potere di integrazione giudiziale contrasterebbe con l’art. 6 della direttiva, in base al quale il contratto rimarrebbe vincolante nei medesimi termini, a seguito della caducazione delle clausole abusive. Il giudice avrebbe dunque unicamente il dovere di considerare queste ultime tamquam non essent, non essendo invece legittimato a integrare il contenuto del contratto. Siffatto esito sembrerebbe altresì conforme all’obiettivo di armonizzazione del diritto consumeristico degli Stati membri. Invero, qualora fosse riconosciuto al giudice un potere creativo, i diversi giudici nazionali potrebbero integrare il contratto secondo modalità e parametri mutuati dal proprio ordinamento di appartenenza, rischiando così di pregiudicare l’uniformità a cui mira il legislatore europeo. Ma la ragione che più di ogni altra spinge la Corte verso la decisione in tal senso deve leggersi alla luce della ratio della direttiva, che mira a scoraggiare i professionisti dall’inserimento di previsioni nocive nei confronti del consumatore. Invero, l’integrazione giudiziale rischierebbe di eliminare l’effetto deterrente che scaturisce dalla caducazione tout court delle clausole ritenute abusive [12]. Infatti, se al giudice fosse riconosciuto il potere di ridurre a equità il contenuto della pattuizione, il professionista sarebbe indotto a tentare comunque di inserirla nel contratto, rischiando – nel peggiore dei casi – che il giudice, anziché eliminare totalmente la clausola, soltanto ne argini gli effetti sino a ripristinare l’equilibrio. Orbene, l’effetto dissuasivo della totale espunzione della clausola risulta di regola più incisivo rispetto alla sostituzione della stessa con una norma dispositiva: invero, mentre la disciplina legale solitamente mira a porre [continua ..]


5. L’integrazione legale mediante norme dispositive in seguito alla nullità di clausole essenziali

Sin qui si è trattato dell’integrazione giudiziale, ma il panorama si complica allorché ci si chieda se sia ammissibile l’integrazione mediante norme suppletive che disciplinano gli stessi aspetti della clausola dichiarata abusiva. Con riguardo all’integrazione legale, il leading case può considerarsi la sentenza Kásler del 2014 [19]. In tale decisione la Corte di Giustizia si occupava di un caso di mutuo indicizzato in valuta estera, simile a quello oggetto della pronuncia da cui si sono prese le mosse. La clausola di indicizzazione veniva ritenuta abusiva e dunque priva di effetto. Tuttavia, poiché la stessa veniva considerata una previsione essenziale, senza la quale il contratto non sarebbe potuto rimanere in vita e fermo restando il divieto di integrazione giudiziale, i giudici si trovavano di fronte a un bivio: caducare tout court il contratto, ovvero ammettere l’integrazione per mezzo di norme suppletive. Appare chiaro il rischio della nullità totale del contratto, potenzialmente in grado di pregiudicare il consumatore, il quale si sarebbe trovato a dover rifondere in un’unica soluzione l’intera somma mutuata. Proprio dalla salvaguardia di quest’ultimo dagli effetti delle restituzioni conseguenti alla nullità muovono le argomentazioni che spingono la Corte ad ammettere in questi casi l’integrazione per mezzo di norme dispositive. Se così non fosse, infatti, il consumatore sarebbe spesso portato ad accettare la presenza di una clausola, nonostante la sua vessatorietà, pur di non dover subire le conseguenze restitutorie della nullità. A questo riguardo si deve rammentare che il giudice è tenuto a effettuare la valutazione circa l’abusività della clausola anche d’ufficio, senza necessità che il consumatore sollevi la questione [20]; tuttavia, trattandosi di una c.d. nullità di protezione, il consumatore può decidere di rinunciare alla tutela in suo favore. L’ipotesi appena delineata, ossia quella dell’abusività di una clausola essenziale è però l’unica in cui la giurisprudenza europea ammette l’introduzione nel contratto di norme suppletive in luogo della pura obliterazione della pattuizione nulla. Tale fermezza della Corte non è tuttavia andata esente da critiche: in tutte le sentenze sinora citate, i giudici di [continua ..]


6. Al confine tra interpretazione e integrazione

Per quanto sin qui considerato, la Corte altro non ha fatto che confermare l’orientamento precedente sui diversi aspetti trattati. Un profilo sul quale invece con la decisione in esame si aggiunge un tassello al mosaico della disciplina delle clausole vessatorie è quello concernente il ruolo dell’interpretazione nel contesto della valutazione di abusività. Peraltro, l’esposizione condotta dal supremo organo giurisdizionale dell’Unione presenta diversi nodi problematici. A ben vedere, in astratto, la ferma ostilità della Corte nei confronti dell’integrazione giudiziale non escluderebbe di per sé il dovere del giudice di interpretare le previsioni contrattuali nel senso più favorevole al consumatore, come stabilito dall’art. 5, dir. 93/13 [24]. Tutto sembrerebbe dunque giocarsi sul confine tra la (doverosa) attività interpretativa e la (vietata) integrazione giudiziale [25]. Orbene, volendosi sintetizzare i punti di approdo a cui è giunta l’elaborazione dottrinale nel corso degli ultimi decenni, la distinzione tra le due operazioni in esame si fonda sulle fonti che vanno a comporre il regolamento contrattuale: mentre l’interpretazione consiste nell’accertamento del significato dei segni con cui viene manifestata la volontà delle parti [26], l’integrazione vede affiancarsi alla cd. fonte privata altre fonti legali [27]. In altre parole, mentre con l’interpretazione – in base a criteri soggettivi od oggettivi – si opera una scelta tra più potenziali significati attribuibili alle espressioni utilizzate dalle parti, mediante l’integrazione si verifica una vera e propria addizione di norme rispetto a quelle previste dai contraenti nel contesto del regolamento di interessi fissato nell’accordo. Nella prospettiva del giudice del rinvio, l’attività che egli si apprestava a svolgere nel caso in esame non consisteva in una vietata revisione del contenuto della pattuizione, bensì in un’interpretazione della volontà delle parti, fondata su una previsione codicistica che espressamente gli attribuiva un corrispondente potere. Nel ragionamento del giudice polacco tale disposizione rappresenterebbe una norma suppletiva che interverrebbe a colmare la lacuna residuata a seguito dell’espunzione della clausola abusiva. Nondimeno, l’argomentazione, così [continua ..]


7. Rimane spazio per un intervento integrativo giudiziale?

A margine, pare infine utile soffermarsi su un ultimo aspetto. Come si è già osservato, nel caso di specie, la Corte sembra non considerare essenziale la pattuizione controversa. Nondimeno, in un caso pressoché analogo, come quello affrontato nella pronuncia Dziubak, i giudici di Lussemburgo erano andati oltre; in particolare, sottolineando che l’espunzione di una clausola di indicizzazione, ferma restando la validità del contratto, sebbene astrattamente configurabile, sarebbe sfociata in un mutamento della natura dell’ope­razione. In effetti, una volta eliminata la pattuizione nulla, il contratto sarebbe divenuto un mutuo non indicizzato. Tuttavia, in base al principio secondo il quale rimarrebbero ferme le altre previsioni contenute nell’accordo, il tasso di interesse permarrebbe immutato e dunque più basso rispetto a quello che si sarebbe fissato nel caso in cui il mutuo fosse stato erogato in valuta locale e non indicizzato. Nella sopracitata sentenza Dziubak i giudici concludevano nel senso della nullità totale del contratto in ipotesi come quella in oggetto, in cui la sopravvivenza del rapporto sarebbe stata di per sé possibile, ma avrebbe in realtà snaturato l’operazione voluta dai contraenti. Come si è già affermato, nulla quaestio nel caso in cui esistano norme dispositive idonee a integrare il contratto: si dovrebbe in tal caso seguire il percorso tracciato dalla sentenza Kásler. Rimane da chiedersi tuttavia che cosa accada nell’ipotesi in cui non vi siano norme suppletive volte a disciplinare l’aspetto regolato dalla clausola caducata. Appare evidente che la conclusione nel senso della nullità totale del contratto condurrebbe in molti casi alla perdita di effettività della tutela consumeristica, in quanto, pur di evitare le conseguenze restitutorie della nullità totale di un contratto, per es. di mutuo, il consumatore potrebbe essere spinto a mantenere in vita il contratto, seppur viziato da una clausola abusiva. Sono proprio queste le ipotesi nelle quali sarebbe forse opportuno attribuire al giudice un ruolo di maggior rilievo. A tali situazioni di criticità la Corte ha di recente tentato di fornire una risposta nella sentenza Banca B. SA, riconoscendo al giudice nazionale la facoltà di rinviare le parti a una trattativa finalizzata a giungere a una disciplina equilibrata del profilo su [continua ..]


NOTE